I’GIORNALINO
NO 14 FEBBRAIO 2021
“Se fossimo soli l'immensità sarebbe davvero uno spreco” -Isaac Asimov
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REDAZIONE
Direttrice AURORA GORI (VA)
Redattori
GIULIA AGRESTI (IVB), MARGHERITA ARENA (IVB), FILIPPO BELLOCCHI (IIIB), GIORGIA BERRETTINI (IB), GEMMA BERTI (IIIB), NICCOLÒ BETTINI (IIIB), GIULIA BOLOGNESE (IIIA), EMANUELE IPPOLITO BOZZO (IA), DIEGO BRASCHI (VA), ELENA CASATI (IIIB), GIOVANNI CAVALIERI (IIA), ELISA CIABATTI (VB), FILIPPO DEL CORONA (IIIB), GIOVANNI GIULIO GORI (IIB), DANIELE GULIZIA (VB), MATILDE MAZZOTTA (VC), RACHELE MONACO (IIB), ALESSIA MUÇA (VA), ALLEGRA NICCOLI (IIIB), ALESSIA ORETI (IVA), FRANCESCA ORITI (IVB), SARRIE PATOZI (IVB), PIETRO SANTI (VA), IRENE SPALLETTI (VA)
Fotografi SILVIA BRIZIOLI (caposervizio, VA), MARIA VITTORIA D’ANNUNZIO (IIIB)
Collaboratori MARGHERITA CIACCIARELLI (IIB), MADDALENA GRILLO (VB), ALLEGRA NICCOLI (IIIB), ALESSIA ORETI (IVA), ALICE ORETI (VB) Art Director DANIELE GULIZIA (VB)
Disegnatori GREGORIO BITOSSI (IVA), VIOLA FANFANI (IVA), FABIOLA MANNUCCI (IVA), CATERINA MEGLI (IVA), SILVIA MONNO (IVA), REBECCA POGGIALI (VA), ERICA SETTESOLDI (IVA), FRANCESCA TIRINNANZI (IVB)
Social Media MARGHERITA ARENA (IV B), MARIANNA CARNIANI (IVB), MARTA SUPPA (IVA)
Ufficio Comunicazioni GIULIA AGRESTI (IVB)
Impaginatori GIULIA AGRESTI (IVB), DIEGO BRASCHI (VA), PIETRO SANTI (VA)
Collaboratore esterno GIULIA PROVVEDI
Referenti PROF. CASTELLANA, PROF.SSA TENDUCCI
UN DURO COLPO DI DEMOCRAZA……………………..4 IL MESSAGGIO DI ARECIBO………………………………6 L A L E G A L I Z Z A Z I O N E D E L L’ E U TA N A S I A I N PORTOGALLO……………………………………………….7 WHITE PRIVILEGE…………………………………………..8 DISCRIMINAZIONI ATTRAVERSO LA STORIA………..10 IL FEMMINISMO È ANCORA NECESSARIO?…………12 ARIA SOTTILE………………………………………………14 DIARIO DI SOPRAVVIVENZA PER IL LICEO…………..18 MEGA UTILE………………………………………………..19 ICCHÉ TU DIHI, DIALOGO………………………………..21
INDICE
“MA QUESTA NON È ARTE!”…………………………….23 ARTOGRAPHY……………………………………………..24 IL RAZZISMO NELLO SPORT……………………………26 GIRAMONDO 2.0…………………………………………..28 ESPLORANDO L’ITALIA…………………………………..30 IL NOME DELLA ROSA……………………………………31 BORIS………………………………………………………..34 RESOCONTI DEL SALOTTINO DELL’ALBERTIDANTE…………………………………………………….….34
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UN DURO COLPO DI “DEMOCRAZIA” Di Alessia Muça e Diego Braschi
Tutti abbiamo almeno una volta sentito parlare di Salvador Allende, ma probabilmente la maggior parte di noi ignora l’importanza delle riforme che apportò nel breve periodo del suo governo e come queste avrebbero potuto influenzare l’intera America Latina. Salvador Allende, nato nel 1908 a Santiago de Chile, fu presidente del Cile dal 1970 al settembre 1973, quando fu destituito da un colpo di Stato guidato dal generale Augusto Pinochet. Ma quale fu la genesi degli eventi che portarono alla fine della sua presidenza? Qual era la portata del suo pensiero e chi ne fu spaventato al punto di volersene sbarazzare? La sua carriera politica inizia già nel 1938, quando divenne ministro della Sanità e delle 4
Politiche Sociali; in questo periodo operò l’estensione del sistema sanitario pubblico anche alle classi inferiori, attuò riforme per il diritto alla maternità e all’educazione e altre cose. Si candidò due volte, nel 1952 e nel 1958, prima di vincere la carica di presidente, il 4 Settembre 1970. Quest’evento destò non poca preoccupazione a nord del Cile: il 15
Settembre, infatti, viene organizzata una riunione tra il presidente degli Stati Uniti Nixon, il Segretario di Stato Kissinger e il capo della CIA Helms; l'obiettivo era chiaro: impedire l’ascesa al potere di Allende con ogni mezzo (non ci si poteva permettere, dopo il successo della rivoluzione Cubana, di ignorare la democratica elezione di un presidente dichiaratamente marxista); la CIA ha a disposizione ben 10 milioni di dollari per evitare che i timori di Nixon si concretizzino: il suo primo tentativo è la corruzione dei membri del Congresso per scongiurare la conferma di Allende. L’operazione fallisce e l’elezione si svolge regolarmente. Inizia quindi la sua presidenza: tra i suoi provvedimenti vi è l’eliminazione dei sussidi statali alle scuole private, una riforma agraria e la legalizzazione d e l l ’ a b o r t o (mettendosi contro i latifondisti e la Chiesa cattolica); ma certamente le sue riforme più importanti e che segnano la svolta socialista del paese Pinochet sono la nazionalizzazione delle banche e delle miniere di rame: perché l’importanza di queste azioni fu decisivo per l’evolversi successivo degli eventi? La risposta, come è presumibile, la ritroviamo in un fattore economico e più precisamente in due nomi: Kennecott e Anaconda, le due aziende statunitensi che avevano fino a quel momento controllato le miniere di rame Cilene, le quali con la riforma passarono per il 90% sotto il controllo statale. Inoltre, sul fronte sociale, garantì un incremento dell’alfabetizzazione, l’aumento dei salari, il prezzo fisso del pane, la riduzione del prezzo degli affitti e la distribuzione gratuita di cibo ai più poveri. In politica estera, riaprì i rapporti con Cuba.
Il secondo tentativo di sabotaggio da parte della CIA è la destabilizzazione dell’economia: viene fatto crollare il prezzo del rame e incentivato lo sciopero dei camionisti; tramite queste manovre riescono a paralizzare il paese che già nel 1973 sperimenta una gravissima inflazione e continui scioperi. Nonostante queste difficoltà, il presidente continua saldamente la sua politica, mettendo a dura prova la CIA, che non trova altra soluzione se non quella del colpo di Stato. Sebbene Fidel Castro avesse avvertito Allende di tenere d’occhio i militari e di fare attenzione alle infiltrazioni dell’estrema destra nell’esercito, egli continuò a riporre fiducia nei suoi uomini e il 24 Agosto 1973 nominò Ministro della Difesa e Comandante in capo delle forze armate Augusto Pinochet; ma la CIA aveva infiltrato la cerchia del generale, il quale l’11 Settembre 1973 guidò il colpo di Stato. Con il suicidio di Allende si instaurò una dittatura militare, guidata dallo stesso Pinochet, che durò fino agli anni ‘90, durante la quale furono imprigionati, torturati o uccisi migliaia di oppositori. “È possibile che ci annientino, ma il domani apparterrà al popolo, apparterrà ai lavoratori. L'umanità avanza verso la conquista di una vita migliore.” Salvador Allende
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IL MESSAGGIO DI ARECIBO di Margherita Arena Il 16 novembre 1974 è stato mandato un messaggio radio nello spazio, verso l’Ammasso Globulare di Ercole, l’ammasso globulare più luminoso dell’emisfero boreale, visibile anche ad occhio nudo che si trova a 25.000 anni luce di distanza. Il messaggio di Arecibo è un messaggio radio trasmesso dal radiotelescopio di Arecibo in Porto Rico. Il messaggio è composto da 1679 cifre binarie, questo numero è stato scelto appositamente perché è il prodotto di 23 e 73, due numeri primi. Infatti gli studiosi pensarono che chiunque capendo ciò avrebbe deciso di ordinarlo in un quadrilatero composto da 23 righe e 73 colonne o il contrario. In questa prima disposizione il messaggio non ha alcun senso, invece posizionato in 73 righe e 23 colonne forma un’immagine dalla quale si possono riconoscere delle informazioni. Leggendo da sinistra a destra, dall’alto verso il basso: •Numeri da uno a dieci in codice binario; •Numeri atomici dell’idrogeno (H), il carbonio (C), l’azoto (N), l’ossigeno (O) e il fosforo (P), ovvero gli elementi che formano il DNA; •La formula degli zuccheri e delle basi dei nucleotidi del DNA; •Rappresentazione della struttura a doppia elica del DNA, e la barra centrale indica il numero di nucleotidi; •L’elemento centrale è la rappresentazione di un uomo, a sinistra troviamo l’altezza media di un uomo (1764 mm) e a destra il numero della popolazione mondiale del 1974. Quest’ultimo fu ipotizzato essere il più complicato da decifrare per una possibile popolazione aliena. •Il sistema solare: Sole, Mercurio, Venere, la Terra (spostata in alto per far capire che è il luogo dal quale proviene il messaggio), Marte, Giove, Saturno, Urano, Nettuno e Plutone. •Rappresentazione del radiotelescopio di Arecibo e sottostante il numero del suo diametro, 304,18 m. È mai arrivata una risposta? Per alcuni sì. Nel 2001 è comparso un crop circle o, in italiano, “cerchio nel grano”, con il quale si intende appiattimento di alcune parti nei campi di cereali che formano figure geometriche, nelle vicinanze del più grande telescopio inglese a Chilbolton, Hampshire. Tale crop circle, che da alcuni viene considerato la risposta al messaggio del 1974, era una rappresentazione dell’originale, ma con alcune differenze: F o t o d a : h t t p : / / infatti lo schema del DNA aveva una tripla elica; il sistema solare creativecommons.org/ rappresentava, sì nove pianeti, ma ben tre di questi erano posti in evidenza. licenses/by-sa/3.0/ E al posto del radioscopico si trovava una forma alquanto confusa, probabilmente una sonda spaziale. Comunque sia, gli scienziati del SETI (Search for Extra-Terrestrial Intelligence) replicarono che non c’erano prove che il messaggio non avesse origine terrestre, infatti gli “alieni” in questione avrebbero potuto inviare un segnale radio, molto più efficace; e inoltre per rispondere 27 anni dopo l’invio del messaggio gli alieni avrebbero dovuto trovarsi non più lontani di 13,5 anni luce, ma fino ad oggi non è stato trovato nessun sistema solare su quella traiettoria così vicino a noi. E voi cosa ne pensate? 6
LA LEGALIZZAZIONE DELL’EUTANASIA IN PORTOGALLO Di Sarrie Patozi 20 Gennaio 2021. Con 136 voti a favore, 78 contrari e 4 astensioni, il Portogallo diventa il quinto Paese europeo a legalizzare l’eutanasia. La prima fu l’Olanda che, nel 2003, diede l'ok all’eutanasia diretta e al suicidio assistito, estendendoli poi nel 2016 anche ai minori; a seguire la Svizzera che tollera sia l’eutanasia diretta (interruzione dei dispositivi di cura per il mantenimento vitale del paziente) che indiretta (assunzione di sostanze letali). Anche il Lussemburgo nel 2009, depenalizzando tale pratica, ne ha convalidato l’utilizzo da parte esclusivamente adulta; persino la Francia con la “Legge Leonetti” ha favorito la “dolce morte” grazie al caso del tetraplegico Vincent Lambert: entrato in stato vegetativo dopo un incidente stradale, a seguito di numerosi processi viene decisa l’interruzione dei trattamenti. Salgono quindi ora a 5 i Paesi europei favorevole all’eutanasia (Olanda, Belgio, Lussemburgo, Svizzera) e a 9 quelli mondiali (Colombia, Canada, Uruguay, e cinque Stati degli Stati Uniti d’America). La normativa considera “l’eutanasia non punibile, con l’anticipazione della morte per decisione della propria persona” che si trovi “in situazione di sofferenza estrema, con lesioni irreversibili, di estrema gravità” o “colpita da una malattia incurabile e fatale”. Essa deve essere assistita da un medico e deve essere il paziente stesso a manifestare consapevolmente questa volontà. L’eutanasia potrà avvenire in qualsiasi luogo purché dotato di strumentazione e personale adatti. «Si tratta di provocare attivamente la morte di una persona. Il ruolo dello Stato è averne cura, non ucciderla», afferma José Maria Seabra Duque, portavoce della Federazione Cattolica; sulla stessa linea si trova poi anche la Conferenza episcopale locale. Quest’ultima in particolare afferma: «Tutti noi vogliamo impegnarci a salvare più vite possibili, accettando restrizioni della libertà e sacrifici economici senza precedenti». Ribadiscono i vescovi: «È una contraddizione legalizzare la morte in questo contesto, rifiutando le lezioni che questa pandemia ci ha dato sul valore prezioso della vita umana, che la comunità in generale e gli operatori sanitari in particolare stanno cercando di salvare in modo sovrumano». Tuttavia, l’ultima parola spetta a Marcelo Rebelo de Sousa, capo dello Stato portoghese, che dovrà decidere se promulgare la legge, ricondurla alla Corte Costituzionale o porvi il veto.
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WHITE PRIVILEGE di Giulia Agresti
A maggio e a giugno del 2020, a seguito delle proteste del movimento Black Lives Matter, negli USA si è sempre più diffuso il termine ‘white privilege’, ma cosa significa esattamente? Per white privilege si intendono tutti i vantaggi che le persone bianche ricevono, anche se involontariamente, solo per il colore della loro pelle. Peggy McIntosh, fondatrice del progetto SEED (“Seeking Educational Equity & Diversity”), ha definito il white privilege come “uno zaino invisibile senza il peso di disposizioni speciali, assicurazioni, strumenti, mappe, guide, libri di codice, passaporti, visti, vestiti, bussola, equipaggiamento di emergenza e assegni in bianco”. Purtroppo cominciamo a parlare di white privilege solo adesso, per di più è facile dare per scontato i nostri privilegi, quindi l’argomento è stato per molto tempo tralasciato. È dunque fondamentale informare tutti su ciò. La più evidente forma di white privilege è la caratterizzazione attraverso la pelle. L’essere umano ‘normale’ infatti è pensato come bianco, tanto che per indicare una persona di colore la maggior parte delle volte la prima cosa che si denota è proprio il colore della pelle. Un altro esempio è il non essere rappresentati: solitamente sono bianchi i 8
Foto da: https://www.sinistra.ch/?p=9614
protagonisti di spot pubblicitari, immagini illustrative su libri generali e libri scolastici, e film - anche se Bollywood ha sempre dato spazio nell’industria cinematografica all’India e ultimamente le case di produzione cinematografica stanno inserendo sempre più personaggi multietnici. Ancora, i bianchi possono essere certi che i loro figli non siano bullizzati per il colore della loro pelle; possono essere certi che i loro problemi siano discussi pienamente dal momento che le persone al potere sono prevalentemente bianche; possono interessarsi a questioni razziali senza essere accusati di farlo solo per il loro tornaconto; possono imparare approfonditamente a scuola la storia delle proprie origini. Altri esempi di white privilege minori, ma altrettanto cruciali, riguardano l’estetica. Quando infatti entriamo in un negozio per comprare un fondotinta o un correttore, ci vengono presentate un milione di sfumature così da capire quale sia quella perfetta per noi. Se confrontiamo però il numero di trucchi per
la pelle chiara con quelli per la pelle scura, vediamo che il primo è estremamente più alto. Spesso infatti le donne di colore sono costrette a ordinare i loro trucchi in negozi specializzati, i quali, essendo pochi, solitamente hanno prezzi molto elevati. Una situazione analoga si ha anche per i capelli. Tra tutti i parrucchieri che lavorano a Firenze, solo quattro offrono trattamenti e prodotti (non sempre infatti si trovano nei supermercati) per i capelli afro. Troviamo per di più esempi di white privilege anche in settori particolari, come quello della danza. Quando infatti le ballerine devono comprare le scarpette da ballo, sia quelle normali sia le punte, si trovano davanti a una grandissima scelta di scarpe rosa. Una scarpetta color rosa addosso a una persona di colore non solo è brutta da vedere, ma è anche ‘sbagliata’ in quando essa in teoria dovrebbe rispecchiare il colore della pelle, così da sembrare tutt’uno con la gamba.
Foto da: https://www.dancespirit.com/amp/ inclusive-dancewear-2646174713
Tante volte il white privilege è stato criticato da persone bianche in quanto non accettano che la
loro vita sia considerata più facile di quella delle persone di colore; ma dobbiamo capire che godere del privilegio bianco non significa non affrontare difficoltà nella vita, ma vuol semplicemente dire che esse non sono causate dal colore della pelle.
Foto da: Adam Fagen, Flickr
Come possiamo fare per eliminare il white privilege? Prima di tutto bisogna accettarlo e riconoscere che tutte le persone bianche sono effettivamente avvantaggiate rispetto alla black community. Dopodiché è fondamentale usare il white privilege affinché questo sia utile e non nocivo. Ciò consiste nel fare il possibile per amplificare la voce di chi non viene ascoltato perché non bianco; farsi sentire sulle ingiustizie razziste anche quando esse non ci riguardano e anche se significa andare contro corrente; seguire attivisti da cui informarsi. Durante le proteste negli USA del movimento ‘Black Lives Matter’ alcune persone bianche si sono messe come ‘scudo’ davanti alle persone di colore così che esse non potessero essere picchiate o arrestate. Il manganello e le manette infatti erano strumenti utilizzati da tanti poliziotti per spaventare la folla e costringere i manifestanti a disperdersi. Anche se in Italia non si sono presentate situazioni tali, non significa che qui non esista il white privilege, quindi è cruciale adoperarsi per estirparlo del tutto dalla nostra società. 9
DISCRIMINAZIONI ATTRAVERSO LA STORIA Di Filippo Bellocchi e Filippo del Corona Nonostante l’odio verso le etnie risalga all’antichità, basti pensare all’odio e ad il senso di superiorità che i Greci avevano verso i Persiani, il razzismo vero e proprio, basato sull’idea dell’esistenza delle razze, trae le sue origini a poco dopo la scoperta dell’America; “ispirandosi” alla tratta araba del Sahara, la più grande tratta di esseri umani della storia, i Conquistadores iniziarono a rapire gli Indios, spesso consegnati come prigionieri di guerra da altre tribù, e a ridurli in schiavitù, sterminarli in battaglie e con malattie che gli Indigeni non avevano mai contratto e la popolazione venne decimata. Tuttavia, i coloni si trovarono costretti ad impiegare servi bianchi poiché gli Indigeni, oltre che ribelli e aggressivi, erano troppo gracili e non abituati alla fatica ed al lavoro che gli Europei erano invece in grado di sostenere. Per i coloni sarebbe stata inconcepibile una “schiavitù bianca”, in quanto dei Cristiani non potevano asservire altri Cristiani, purché essi fossero Europei; infatti molti Indigeni che si erano convertiti vennero comunque schiavizzati. Una soluzione venne trovata nelle coste dell’Africa; così come nelle Americhe, anche qui i prigionieri di guerra venivano venduti ai coloni ed ai naviganti in schiavitù dai regni e dalle tribù che si affacciavano sul Golfo di Guinea, zona più conosciuta e più esplorata dell’Africa. Gli africani erano maggiormente preferiti rispetto agli Indios perché più robusti e più docili, rare erano infatti le fughe o le ribellioni. Così iniziò a fiorire una fitta tratta di esseri umani che venivano trasportati attraverso l’Atlantico e costretti a lavorare nelle piantagioni di cotone, di zucchero, nelle miniere o nei campi per lo sviluppo del commercio europeo. Le navi negriere spesso trasportavano dalle 300 alle 500 persone, tuttavia si stima che uno schiavo su sei era destinato a morire per le pessime condizioni igieniche o per fare spazio ad altri schiavi, numero destinato a salire in quelle navi che naufragavano o erano soggette a ribellioni. Una volta sbarcati, i negrieri vendevano gli schiavi al miglior offerente, tutelati legalmente da leggi apposite. Uno schiavo medio, ben robusto ed in salute, poteva arrivare a costare circa 33.000€ che andavano unicamente al negriero e non alla “merce”. Anche se i mestieri svolti dagli schiavi erano vari, essi non erano retribuiti in denaro ma in vitto e alloggio, seppur scarsi. Le pene per uno schiavo poco produttivo o insubordinato erano molto gravi: la fustigazione prolungata, il digiuno forzato e la pena capitale per i rivoltosi, come l’impiccagione o la fustigazione fino alla morte. La schiavitù iniziò ad essere condannata ed abolita in Europa rispettivamente nel XVIII e XIX secolo con l’avvento dell’Illuminismo, ma continuò fino alla seconda metà del 1800. Negli Stati Uniti venne abolita nei primi decenni dell’800 ma fu solo con la Guerra di Secessione che negli stati del Sud, meno progrediti economicamente e più diffidenti delle nuove tecnologie rispetto al Nord, la schiavitù venne soppressa definitivamente. Le conseguenze della schiavitù, presenti ancora oggi, sono l’odio e la discriminazione delle persone di origine africana che ancora oggi fanno sorgere proteste e movimenti. Nel corso del ‘900 le potenze europee iniziarono a spartirsi l’Africa e ad entrare in contatto con le popolazioni locali, senza però asservirle completamente; negli anni Venti, l’impiego nella Grande Guerra da parte delle maggiori potenze europee di soldati africani ed indiani, portò ad una maggiore integrazione delle etnie, alla nascita di movimenti intellettuali che supportavano l’unione tra di esse e popoli diversi in quanto tutti umani e di conseguenza uguali tra loro e l’avvento dei movimenti civili per gli Afroamericani negli Stati Uniti. Ciononostante, anche i
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movimenti razzisti aumentarono (vedi Partito nNazionalsocialista in Germania), e da qui nacquero altre tensioni tra gli stati europei che sfociarono nella Seconda Guerra Mondiale. Durante gli anni di guerra il Reich tentò lo sterminio degli Ebrei, degli omosessuali e degli invalidi, ritenuti inutili per lo stato tedesco. Nel secondo dopoguerra, personaggi di spicco quali Martin Luther King e Malcom X portarono alla luce i problemi e le discriminazioni che gli Afroamericani erano costretti a subire e proposero diverse idee di rivoluzione etnica: mentre King supportava l’idea della nonviolenza e della riforma pacifica, Malcolm riteneva che la soluzione migliore risiedesse nell’abbandono dell’America da parte dei neri ed il loro ritorno in Africa. Poi, con l’inizio della guerra in Vietnam, sorsero i movimenti delle Pantere Nere, bande di Afroamericani, che esigevano specifici diritti e pattugliavano le strade assicurandosi che la polizia non commettesse brutalità. Nel corso del XX secolo, i neri negli Stati Uniti si sono sempre più emancipati, ottenendo diritti basilari che erano sempre stati negati loro, quali il diritto di voto o l’abolizione della separazione dei mezzi pubblici tra bianchi e neri e delle leghe sportive ed il diritto ad un servizio di assistenza medica appropriato. Black Lives Matter Black Lives Matter è un movimento attivista internazionale, originato all'interno della comunità afroamericana, impegnato nella lotta contro il razzismo e perpetrato a livello socio-politico, verso le persone nere. Il movimento organizza regolarmente delle manifestazioni per protestare apertamente contro gli omicidi delle persone nere da parte della polizia, nonché contro questioni più estese come brutalità della polizia e disuguaglianza razziale nel sistema giuridico degli Stati Uniti. Nel 2013, in seguito all'assoluzione di George Zimmerman, il quale aveva sparato al diciassettenne afroamericano Trayvon Martin il 26 febbraio 2012, uccidendolo, cominciò a comparire su vari social media l'hashtag #BlackLivesMatter, da cui poi ebbe origine l'omonimo movimento. BLM ottenne visibilità a livello nazionale grazie alle sue proteste in strada in seguito alla morte di due afroamericani, entrambi uccisi da agenti di polizia, nel 2014: Michael Brown, che portò a numerose rivolte nella città di Ferguson, e Eric Garner, soffocato da un agente a New York. Dalle ultime parole di quest'ultimo è nata la celebre frase I can't breathe ("Non riesco a respirare"), molto diffusa durante questo tipo di proteste. Dalle proteste di Ferguson, i partecipanti del movimento sono scesi in strada per manifestare dopo la morte di numerosi altri afroamericani, uccisi in seguito ad azioni della polizia o durante la custodia in carcere. Dal 25 maggio 2020, data della morte di George Floyd, in tutti gli Stati Uniti si sono verificate proteste pacifiche e non, dividendo molto l'opinione pubblica. Questa su Black Lives Matter, all'interno della popolazione statunitense, varia in modo significativo tra i diversi gruppi etnici. In risposta al movimento è stata coniata la frase "All Lives Matter", ma è stata criticata per ignorare o fraintendere il messaggio che il motto "Black Lives Matter" vuole trasmettere. In seguito all'uccisione di due agenti di polizia a Ferguson, è stato creato l'hashtag #BlueLivesMatter in supporto ai membri delle forze dell'ordine. Alcuni attivisti neri per i diritti civili si sono mostrati in disaccordo con la strategia del movimento opposto. 11
Il femminismo è ancora necessario? di Francesca Oriti
“Il femminismo è ancora necessario?”, questa la domanda da cui è scaturito un incontro organizzato dal gruppo di dibattito Politicoffee, che riunisce giovani appartenenti a vari indirizzi politici. Il dialogo era articolato in relazioni da parte di rappresentanti delle istituzioni e dei partiti politici, ma ben presto al discorso preparato è stata preferita l’improvvisazione e la riflessione a braccio in base agli spunti ricevuti. Su otto tra relatrici e relatori, solo uno ha messo in dubbio la validità del femminismo, ma il tema è stato sviluppato ponendo l’accento su aspetti diversi: dall’azione sul territorio per contrastare la violenza sulle donne alle pagine satiriche sui social per ridicolizzare il patriarcato, dalla censura del corpo femminile ai limiti culturali che determinano la sottomissione della donna in un contesto familiare. Insomma tutti hanno cercato di dare la propria definizione personale di femminismo e del perché qualcuno la consideri quasi una parolaccia. Il femminismo come movimento di difesa delle donne nasce durante la Rivoluzione francese, con la “Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina”, redatta da Olympes de Gouges, una vera e propria pioniera nel campo delle libertà femminili. Importante rivoluzione femminista nella storia italiana è stata la legge 194/1978 che depenalizza l’aborto. In seguito a questi grandi cambiamenti sociali, nonostante ancora molti siano da realizzare, il femminismo si è ramificato in scuole di pensiero molto diverse tra loro, ma tutte hanno al centro la libertà delle donne e, più in generale nel caso del femminismo intersezionale, la tutela dei gruppi discriminati. Nell’epoca in cui la pandemia ci priva delle grandi proteste di piazza e ora più di prima c’è la necessità di arrivare a tutti e a tutte, la tutela dei diritti delle donne viene propugnata anche Olympes de Gouges sui social. Ciò accade in vari modi, ci sono pagine che usano l’ironia per evidenziare i limiti di una società patriarcale, c’è chi invece lotta per poter esporre foto del suo corpo senza dover subire una censura immotivata, ma qualunque sia il metodo, sembra che difendere questi principi possa portare solo ad episodi di odio verbale e fisico. La matrice di qualsiasi tipo di odio è sempre un complesso di inferiorità, accompagnato dalla paura di essere prevaricati, ma siccome l’intento del femminismo non è certamente quello di sottomettere qualcuno, come si fa a evitare il meccanismo difensivo che può portare ad atti che vanno dalla battuta spregevole fino addirittura all’omicidio? Se si tratta di una discussione, la soluzione migliore è sempre evitare di porsi in modo arrogante, 12
ma mantenere la calma in modo da discutere di argomenti concreti, evitando di cadere nell’insulto vicendevole. È necessario che ogni donna capisca di avere la libertà di fare della sua vita e del suo corpo ciò che vuole: non c’è religione, non c’è politica, non c’è altro essere umano che possa decidere per lei. E se una donna o un uomo decide di comunicare alle donne intorno a sé che questo diritto esiste e che nessuno può toglierlo loro, nessuno dovrebbe dire il contrario. Negare questo diritto non consiste solo nel dire apertamente di non approvarlo, ma è anche, per esempio, fare una battuta sul fatto che le donne debbano essere relegate ai luoghi e ai lavori che la mentalità patriarcale assegna loro o fare scelte aziendali che pongano in posizioni di potere sempre e solo gli uomini. Una battuta è divertente quando tutti ridono, l’uguaglianza è vera quando tutti hanno le stesse opportunità, bisogna sempre concentrarsi sull’abolizione di un privilegio che permette a qualcuno di sottomettere un altro essere vivente. La questione del femminismo nei giorni più recenti, successivamente al dialogo argomento di questo articolo, ha assunto particolare rilevanza nel dibattito politico perché nella costituzione del nuovo Governo, sono state scelte solo otto ministre, di cui cinque senza portafoglio. Mentre gli Stati Uniti eleggono la prima vicepresidente donna, mentre i governi europei da decenni ormai hanno donne ai loro vertici, l’Italia vanta un progresso legislativo come certificato dalla legge Golfo-Mosca, ma arranca nel progresso storico fattuale. È una notizia recentissima la decisione del fondo sovrano norvegese, detentore dell’1,5% delle azioni globali, di investire sulle aziende che all’interno del consiglio di amministrazione abbiano almeno il 30% di donne. Studi in materia dimostrano che aziende con vertici amministrativi composti in percentuale considerevole da donne offrono performance migliori, come afferma uno studio di Consob. Non è quindi una questione di aderenza rigida alle norme richiedenti le cosiddette “quote rosa”, ma è semplicemente improbabile che un uomo sappia prevedere come eliminare delle difficoltà che non vive (ad esempio il voucher babysitter fu introdotto sperimentalmente nel 2013 dall’allora ministra dell’economia Elsa Fornero). Se un Paese democratico non si cura di rappresentare adeguatamente il 51% della sua popolazione, la domanda iniziale sulla necessità attuale del femminismo risulta retorica. https://www.ilsole24ore.com/ art/il-fondo-sovranonorvegese-investira-societail-30percento-donne-cda13
ARIA SOTTILE
di Irene Spalletti
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Reinhold Messner la vita e l'alpinismo oltre gli Ottomila Intervista di Erminio Ferrari ed Ellade Ossola - 12/09/2009 «Vorrei essere ricordato come l’alpinista che ha fallito più di tutti sugli Ottomila». Ecco, se avete un’idea di Reinhold Messner ricalcata sull’immagine che ne hanno dato (complice lui stesso) giornali, libri e televisioni, cambiatela. Le parole che riempiono una sala spoglia di Castel Firmiano, dove ha sede il maggiore dei cinque musei fondati dall’alpinista altoatesino, sono quelle di un uomo di 65 anni, che è sì cresciuto sulle proprie certezze, ma che non ha mai esitato davanti ai fatti o agli incontri che gliele hanno fatte correggere. Ricordarlo come il primo salitore di tutte le quattordici cime di ottomila metri è davvero poca cosa. Prima che in Himalaya, la sua grandezza alpinistica aveva già fatto sensazione sulle Alpi e sulle Dolomiti; poi vennero le traversate dell’Antartide, della Groenlandia, quella in solitaria del Deserto del Gobi, il mandato di parlamentare europeo, l’avventura dei musei della montagna. Ma sono stati senza dubbio i giganti himalayani a dargli una fama che nessun alpinista aveva mai conosciuto, né forse avrà più. Cominciamo da qui, allora. Come si portano l’onore e la responsabilità di essere la prima figura di alpinista universalmente nota? «La notorietà non significa per forza qualità dell’alpinista. Ma è vero, sono una persona nota perché faccio attività anche al di fuori dell’alpinismo. Sono una figura che attira interesse; ma a me interessa soprattutto poter fare la mia vita, senza voler essere un leader, né compiacere i desideri di qualcuno o di un pubblico. Non voglio essere seguito». [...] L’alpinista è spesso dipinto come un uomo libero o piuttosto come un individualista. Non ha mai sentito limitata la sua libertà da questa figura? «La mia libertà di alpinista include la responsabilità di ciò che faccio nei confronti di chi mi è vicino, figli, moglie, genitori. È chiaro che chi svolge un’attività pericolosa porta con sé questa responsabilità e solo chi se l’assume può veramente dirsi libero alpinista. L’alpinismo si pratica in un mondo arcaico dove non ci sono leggi, ma proprio per questo non c’è quasi rimedio agli errori. È una vita anarchica che chiede di assumersi la responsabilità di ciò che si fa. In ogni salita difficile va contemplata la possibilità di morire, e in questo senso l’alpinismo è egoista». Ma lei non si è mai sentito limitato in quanto uomo dall’essere un personaggio? «Sono una persona pubblica e questo è un onere; ma lo accetto, perché so che non mi condiziona nelle scelte. Non mi curo di chi mi applaude o mi fischia. Voglio essere giudicato sul palco come oratore; sul piano letterario se scrivo un libro, su quello artistico se giro un film. Ma non come un vitello a tre teste perché ho fatto i 14 Ottomila o l’Everest o queste cose qui». 15
Quando ha portato a termine l’ultimo Ottomila lei ha scritto: sono contento di averlo fatto, ma non ne sono fiero. Può spiegare perché? «Sono stato uno dei primi a dare un taglio all’alpinismo eroico, nato nei primi decenni del secolo in Italia e Germania – non a caso culle del fascismo europeo – sopravvissuto anche dopo la seconda guerra mondiale e in parte vivo ancora oggi. E sono stato il primo a dire: io non porto bandiere in vetta, la mia bandiera è il mio fazzoletto; venendo per questo fischiato e insultato. Non condivido neppure la filosofia secondo cui un alpinista che muore in montagna è in qualche sorta un eroe. No: se l’alpinista muore è solo una disgrazia. E la sola cosa da fare è prendersi cura di chi ha lasciato». [...] La crisi arrivò sull’ultimo, il Lhotse, nel 1986 fu la paura di vedere l’obiettivo così vicino, o si trattò d’altro? «Finendo gli Ottomila era chiaro che mi liberavo di un peso che io stesso mi ero caricato. Ma avevo già altre idee, per la verità. Sul Lhotse, sulla espostissima cresta finale soffiava un vento fortissimo che rischiava di buttarci giù. Ma Kammerlander, che era con me, ha insistito: “andiamo avanti”, e così abbiamo fatto. Fu una liberazione, ma anche il momento della crisi: per sedici anni non avevo fatto altro (occupandomi di tutto dalla logistica alla ricerca dei finanziamenti). Ora i miei compagni non condividevano i progetti futuri di traversate ai Poli, e non ho trovato nessuno disposto a seguirmi; forse non capivano la dimensione di quella nuova avventura, o la temevano. Ho dovuto imparare da zero e per fortuna ho trovato specialisti in quel campo, scoprendo compagni straordinari». [...] Lei ha anche conosciuto l’esperienza del fallimento. Come se ne esce, che cosa si impara? «Non c’è alpinista di punta che non abbia conosciuto il fallimento. Si impara attraverso il fallimento, non attraverso ciò che riteniamo essere vittorie. Per la propria consapevolezza è importante conoscere i propri limiti, e li si conosce soltanto sperimentandoli. Io ho fallito tredici ottomila. Vorrei essere ricordato come l’alpinista che ha fallito più volte sugli Ottomila. Io ho fatto 18 volte la salita di un Ottomila, perché mi interessavano le salite non i record. Se non avessi fallito (come mi è capitato sul Dhaulagiri, sul Makalu e sul Lhotse) sarei già morto. Ho dimostrato di essere coraggioso nelle sfide, ma anche nel ritirarmi». [...] Nella sua prima salita a un Ottomila, il Nanga Parbat nel 1970, lei ha perso suo fratello Günther. Quanto e come questo episodio ha mutato il suo rapporto con l’alpinismo? «È stata un’esperienza fondamentale nella mia vita e mi ha fatto considerare del tutto morta la retorica sul cameratismo in montagna. Sapevo, salendo alla cima, che stavamo mettendoci su un 16
cammino di rischio assoluto. Poi, nella discesa non c’è più stata scelta. Per i miei genitori è stato un colpo durissimo; per me, in più, c’era lo sgomento di non essere creduto. Il capospedizione mi aveva dato per morto e quando tornai dovette darsi e dare una spiegazione. Il mio ritorno destabilizzò i suoi piani perché si riteneva impossibile che potessimo scendere in quelle condizioni dal Nanga Parbat. Poi vennero le accuse, e solo il ritrovamento dei resti di Gunther, dopo 35 anni, ha reso la verità della storia, nonostante le speculazioni indegne costruite a mio danno». Yuri Gagarin, dopo il primo volo spaziale disse di non aver visto Dio in cielo. Lei che cosa ha visto sulle cime più alte della terra? «Chi pensa che l’Everest sia più vicino a Dio sbaglia. Se pensiamo all’infinito non c’è nessuna differenza tra l’Everest e noi qui a questa quota modesta. L’Aldilà, o Dio se si vuole chiamare così, è fuori dalla nostra portata. Rispetto l’Aldilà ma non ho il diritto né il coraggio per descriverlo, è fuori della nostra misura». La vera avventura, scrive lei, è quella dove non è garantito il ritorno. Quale è allora il valore della vita per Reinhold Messner? «Non è che la vita valga meno se la si mette in gioco o ci si espone al rischio di perderla. Andare in zone pericolose è un modo per vivere più intensamente. Del resto oggi le metropoli sono molto più pericolose della cima dell’Everest. Abbiamo impiegato migliaia di anni per metterci al sicuro, ma il sentimento di insicurezza non fa che crescere». [...] Lei si lasciò alle spalle un mondo coeso, con un forte senso di comunità e valori saldi, che però avvertiva come chiuso e reazionario. Prese la Foto da: http://www.mountainblog.it/redazionale/reinholdstrada del mondo e della montagna messner-40-anni-senza-bombole-sulleverest-lolimpocome pratica sportiva. I suoi musei dellalpinismo/ sono oggi un ritorno, o la chiusura del cerchio? «Sono stato fortunato a uscire da questa terra che era e resta molto chiusa. Sono tornato a portarvi la mia idea di pace, e vi propongo vie di convivenza praticabili. Io sono stato il primo a dire: noi sudtirolesi non siamo italiani né austriaci, né tedeschi, ma sudtirolesi e europei. Se ragioneremo così saremo d’esempio per le altre regioni d’Europa. Una volta dire queste cose bastava per essere espulsi dalla comunità. Solo ora, lentamente, la mia strada, che è quella di Alex Langer, si va confermando quella più giusta. Ho riattivato tre masi di montagna dimostrando che si può animare un’economia locale autentica, non finanziata da fuori, ma sufficiente e esemplare. Questo intendo per politica ». Fonti: https://www.planetmountain.com/it/notizie/interviste/intervista-a-reinhold-messner.html
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DIARIO DI SOPRAVVIVENZA PER IL LICEO
Complesso di inferiorità di Alessia Oreti Laura questa mattina ha lasciato suonare la sveglia almeno dieci minuti. La mente era sveglia, ma gli occhi faticavano ad aprirsi. Non aveva dormito bene: la sera prima aveva pianto, niente di serio, in realtà non sapeva nemmeno perché. Aveva anche avuto qualche problema a respirare per qualche minuto. Attacco di panico? Forse. Aveva pensato sul momento che il giorno dopo avrebbe parlato con sua madre, ma era chiaro che non l'avrebbe fatto davvero: non si era mai trovata bene a parlare di se stessa. Il cielo era fin troppo nero, tetro. Le sarebbe piaciuto rimanere a letto per non dover affrontare i problemi del giorno. Ancora non sapeva come sarebbe sopravvissuta se soltanto l'idea di alzarsi le sembrava un'impresa. Laura si è vestita, cercando nell'armadio degli abiti che potessero farla sparire, niente di troppo appariscente per lei, quello lo aveva sempre lasciato a chi poteva permetterselo. Laura ultimamente parla poco e a bassa voce, quasi non volesse farsi sentire; preferisce ascoltare ciò che gli altri hanno da dire, è sicuramente più interessante di uno dei suoi banali discorsi. Laura ogni giorno sprofonda un po' di più, soprattutto quando si confronta con gli altri, a volte li invidia. Forse più spesso di quanto 18
pensi, inconsciamente. "Quanto sarebbe bello essere liberi come loro! Vorrei essere almeno un passo più vicina alla loro perfezione, ma sembrano così lontani da me.", pensa. Laura ha quasi dimenticato cosa voglia dire essere umani, ha dimenticato quanto vale la sua vita e il suo parere, la sua opinione e la sua parola. Laura è diventata un'ombra. Laura siamo noi, o almeno una buona parte lo è o lo è stata. Perché ci sentiamo inferiori e crediamo di non poter raggiungere certi risultati? Ci blocchiamo e ci poniamo dei limiti: non ci rendiamo conto del nostro valore. Il nostro corpo è uno, la nostra vita è una. Ogni giorno che viviamo (o che non viviamo appieno) non lo riavremo indietro. Non c'è un tasto di reset. Non c'è il tempo per piangersi addosso e agire da sconfitti. Ogni vita ha lo stesso valore, non sono gli sbagli a determinare chi siamo e dove andremo. Viviamo senza limiti, viviamo dando valore a quei giorni che non torneranno. La nostra vita è il regalo più grande, da passare apprezzando e spaccando il mondo. Io sono la mia forza, io sono il mio limite, io posso fare tutto, devo solo crederci.
MEGA UTILE Di Gemma Berti, Elena Casati, Maria Vittoria D’Annunzio, Allegra Niccoli e Giulia Bolognese Vi state chiedendo a cosa serve ciò che studiate e ancora non siete riusciti a darvi una risposta? Non sapete quale università scegliere? Non vi preoccupate! Siamo cinque ragazze pronte ad aiutarvi! Ogni mese intervistiamo degli studenti universitari, che, con le loro risposte, potranno aiutarvi a porre fine ai vostri interrogativi. Per questo mese abbiamo intervistato Ilaria Moscardi, una ragazza di 22 anni, che ha frequentato il Liceo Artistico Alberti. “Ilaria, di che cosa ti occupi adesso?” “Sono al terzo anno di pittura all’Accademia delle Belle Arti di Firenze e faccio parte della Consulta degli Studenti, un organo di rappresentanza dell’Accademia, con cui sto anche portando avanti diversi progetti indipendenti dall’Accademia. Inoltre, collaboro, ormai da quattro anni, con una fondazione internazionale che si occupa di a r t e contemporanea in Basilicata, chiamata Porta Coeli Foundation. Dopo la maturità infatti sono andata in Basilicata per fare un colloquio presso questa galleria, sono stata ammessa con una borsa di studio ed ho fatto un master in economia e management della cultura e dell’arte, prendendo l’abilitazione con riserva, poiché non ho ancora una laurea. Così, mi sono trasferita in provincia di Potenza per un anno e dopo ho continuato la collaborazione facendo la gavetta in diverse gallerie. Ciò ha influito nella mia partecipazione a concorsi, ad esempio la Triennale internazionale di Bari del 2019 a cui ho preso parte.” “Com’è cambiata la situazione in conseguenza al Covid-19?” “In questa situazione frequentare un’Accademia che è in 19
gran parte laboratoriale è un problema, però quella di Firenze ha saputo adattarsi all’emergenza in pochi mesi, variando il programma e i metodi.” “Hai avuto difficoltà nello scegliere cosa fare dopo il liceo? Cosa ti ha spinto a fare questa scelta?” “Non ho avuto grandi difficoltà nello scegliere: sapevo di voler fare l’Accademia. La difficoltà maggiore è stata capire dove farla, poiché le differenti accademie italiane presentano diverse prerogative, sia nel piano di studi, sia come costi. Alla fine ho deciso di rimanere a Firenze, facendo la pendolare dato che vivo nel Mugello. Ma, in fin dei conti, ho sempre avuto le idee chiare!” “Come ti sei trovata al Liceo?” “Al liceo mi sono trovata abbastanza bene, anche se sono entrata al secondo anno, dopo aver frequentato il liceo scientifico a Borgo San Lorenzo per il primo anno. I compagni e i professori sono stati gentilissimi, mi sono sentita accolta e ho trovato un ambiente molto aperto. Arrivando all’Accademia però, mi sono resa conto, a causa della differente richiesta, di avere una base di formazione artistica molto acerba: all’Accademia la preparazione scolastica, tipica del liceo, deve lasciar spazio ad una stilistica e viene data per scontata una base solida da cui partire. Insomma, l’ambiente era caloroso, ma la preparazione data dalla scuola era minore rispetto a quella richiesta.” “C’è qualche ricordo particolare che ti lega alla scuola?” “Sicuramente i dibattiti che nascevano nelle lezioni del professor Gala, che insegnava letteratura, e le gite, in particolare quella in Sicilia e in Spagna; ma la cosa che mi ha sempre affascinata è l’apertura mentale dei ragazzi della scuola.” “Tornassi indietro, lo rifaresti?” “Sì, lo rifarei, cercando di cogliere il meglio che l’istituto mi può dare, senza dare nessuna responsabilità ai professori: tutto ciò che posso apprendere dipende da me.” “Hai qualche consiglio da dare ai ragazzi che quest’anno devono scegliere l’università?” “Credo che sia importante informarsi in tutti i modi possibili, in modo da riuscire a trovare un percorso che più si adatti a ciò che si vuol fare nella vita.” 20
Icché tu dihi: il dialogo La giovinezza DelLa Franca e di Pietro Santi Si consiglia di andare a rileggere il Dialogo scritto nel numero ordinario di dicembre, in funzione di una più ottimale comprensione del testo seguente. Personaggi: Lorenzo de’ Medici (LM) Marsilio Ficino (MF) Angelo Poliziano (AP) Ambientazione: Villa del Cafaggiolo, verso le cinque pomeridiane del 27 ottobre 1491. E’ nostri, imitando la scola peripatetica, prencipiarono pe’ corridoi e pe’ saloni della Villa ad ambulare, discorrendo, ora, della giovinezza. MF- Che bella poesia, da te già composta, quella che or tu rammenti, caro Lorenzo… la giovinezza fugge ahinoi, il tempo ‘n cui di grande energia è empito ‘l corpo et, dico, anco lo animo.
Marsilio Ficino
LM- Quande ancor prodigiosi si potéa cavalcar ne’ boschi e cacciar le fiere e farne la sera gran banchetto nelle sale signorili; quande ancor potevam bagnar, sanza cura, li nostri polmoni del bon vin Trebbiano; giovinezza etade dell’amore, spirtual alimento, e degli sguardi fugaci… ahi, non sol giovinezza dileguasi, enim porta seco omnia quae dixi. AP- Convenio teco, Lorenzo, MF- Ora inizia uno de’ suo’ soliti honcioni: vande smarimette a cincistia’, alla fine un arriva ma’ nulla. Maremma... AP- pel contenuto che dicesti e pel modo che tu l’esponesti: manca quell’ora lampante, quel verde prato sì floreale. Riman la terra tamen sulla qual si stende quello: lo spirto resta leon! Vedete 21
‘nfatti Niccolò da Tolentino che nel suo anno ottantesimo quinto messe ‘n fuga e’ senesi; poscia Bartolomeo Colleoni che al suo settantesimo primo condusse le schiere a Bologna; or adunque considerate pur Platone, maximus inter philosophos, anch’ei perì poscia a’er visto 80 estati et 80 inverni. Sì, lo dico, lo pongo fermo: lo spirto non china ‘l capo, troppo è potente che l’asperità non possin fedirlo e… LM- Caro Angelo, avem inteso quel che ‘ntendi dire, ma il che ‘n gioventude si vive, mai nella vita rursus interverrà. Né Tolentino, né Colleoni, neanco Platone avranno avuto mai a dire d’esser eternamente giovini. AP- Si sic putas, contra profero: verrà un giorno ‘n cui le donne e gli uomini assai vegli, saggi di novant’anni di vita, potranno render lor pelle rugosa liscia qual di fanciulli. Adunque far di lor corpo eguale all’anima, ricognunger l’apparenza e l’essere insito in un’armoniosa sfera. MF- Questo farò bene a dimenti’ammene. Omai sappiam la sostanza delle tue parole, tam auliche, quam i tuo’ canti, iustum est ea ponderare. AP- Il che ho pronunciato, pria o poscia avverrà, la turba sarà libera di render il suo corpo iterum govine. Fidate dell’omo! LM- Pur περὶ σώµατος è tema dove esplorazione è faccenda, seguitiam lo nostro cammino acciò di gire alla sala del desinare la cui ora omai interviene. Secondo il che propose il Medici, i tre si diressero alla sala.
https://www.frammentiarte.it/2016/14-08apparizione-dellangelo-a-zaccaria/
Glossario Enim: infatti Omnia quae dixi: tutto ciò che ho detto Honcioni: discorsi Smarimette: comincia Cincistia’: perdere tempo Tamen: tuttavia Poscia: dopo Maximus inter philosophos: il più grande tra i filosofi Fedirlo: ferirlo Si sic putas, contra profero: se pensi così, ribatto Iustum est ea ponderare: è giusto soppesarle Iterum: di nuovo 22
“Ma questa non è arte!” di Rachele Monaco Non so se avete notato, ma direi che negli ultimi cento anni il concetto di arte è cambiato esponenzialmente. C’è chi preferisce l’arte classica, chi quella rinascimentale, chi il ready made… chi più ne ha più ne metta! Ultimamente però mi trovo a confrontarmi con persone che dicono proprio di non comprendere l’arte contemporanea, e chi magari addirittura arriva a commentare con la famosa frase: “Questa non è arte”. Non voglio certo farvela piacere per forza, però vorrei farvi entrare almeno nell’ottica dell’arte contemporanea e chiarire i mille significati e le mille sfumature che lo stesso concetto di arte può assumere. Partiamo col dire che l’arte contemporanea non consiste solo nel ready made, o solo nel graffito: è un’arte in cui non vige alcuna regola. Tutti possono fare arte. L’arte stessa non è diventata altro che espressione di sé, la rappresentazione fisica di un’idea, un pensiero. Fino al primo Novecento l’arte è sempre stata solo raffigurativa, il quadro era fatto per essere esposto in case private o abbellire le Chiese; l’opera veniva commissionata, l’artista aveva semplicemente il compito di eseguire le istruzioni per essere profumatamente pagato. Chi trasgrediva i canoni artistici non veniva mai considerato e finiva in miseria. Ad oggi il concetto ha assunto forme e colori diversi, e l’arte è diventata espressione, e cerca di colpire lo spettatore, confonderlo, magari “schifarlo” a volte, solo per trasmettere emozioni, sensazioni o pensieri. Se non si comprende qualcosa, non significa che sia per forza sbagliata. Dobbiamo portare rispetto agli artisti, che magari sognano da anni di essere esposti in una galleria, per poi sentirsi dire “questa non è arte” oppure “lo potevo fare anch'io”. Quell’opera è sua, è espressione di sé e rappresenta una sua idea, una parte di lui. Da amante di ogni forma di arte sul pianeta, vi consiglio di provare ad apprezzare anche quella contemporanea o almeno di capirla, d’altronde bisognerà accettarlo in qualche modo: le cose cambiano, e l’arte non è da meno. 23
“ARTOGRAPHY” foto di Silvia Brizioli e illustrazioni di Rebecca Poggiali Per questo numero proponiamo la rivisitazione di un ritratto femminile in bianco e nero. L’immagine della ragazza ha suggerito all’illustratrice l’immagine di Lilith: l’ispirazione è nata dalla collana che la ragazza indossa, la quale riporta un ciondolo a forma di serpente, simbolo riconducibile alla tentazione ed al peccato. La scelta del soggetto di Lilith come ispirazione per la rivisitazione della fotografia è dovuto a n c h e dall’espressione intensa e malinconica della ragazza, quasi disperata, la quale è stata leggermente modificata in tavola grafica, accentuando il sorriso e allungando le sopracciglia. I colori dell’immagine sono invariati: lo sfondo d i f f e r i s c e dall’immagine originale in un piccolo ritocco sulle foglie, le quali vengono leggermente
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sfocate. Gli elementi aggiunti in tavola grafica sono inoltre i giochi di luce, che vengono accentuati in modo tale da creare un contrasto più netto e definito tra ombra e luce, tra bianco e nero, e le lacrime sul viso della modella , le quali rappresentano la malinconia e la disperazione espresse dallo sguardo della ragazza. 25
L’ANGOLO DELLO SPORT
Il razzismo nello sport di Niccolò Bettini Il razzismo è una bestia che procedendo per la sua strada spazza via tutto ciò che si trova davanti. Questa piaga si manifesta non solo nella vita sociale di tutti i giorni, ma va anche a macchiare una valvola di sfogo e di espressione che esiste da moltissimo tempo: lo sport. Ora vedremo come e in che occasioni il razzismo si è presentato e soprattutto come lo sport lo ha saputo combattere. MARIO BALOTELLI Mario Balotelli, noto calciatore italiano che ha giocato in Inter, Milan, Brescia e tutt'ora giocatore del Monza, anche conosciuto per il suo piccante carattere, è stato oggetto di molti episodi razzisti, vediamo il più importante e recente. Verona-Brescia una "pallonata al razzismo". Accade tutto il 03/11/2019 nel match Verona-Brescia al 54' minuto. Balotelli protegge palla vicino alla bandierina quando il numero nove bresciano prende il pallone con le mani e lo calcia verso la curva veronese con tutto il dolore e la rabbia provata in quel momento a causa di pesanti cori razzisti da parte dei Butei. In seguito Balotelli minaccia di abbandonare il campo poiché affranto dai cori subiti ma l'arbitro forza la sua sostituzione. La Serie A e la FIGC hanno condannato a seguito della partita a 3 giornate di D.A.SPO. (misura prevista al fine di impedire aggressioni violente nei luoghi degli avvenimenti sportivi) per la tifoseria veronese a causa di questo orrido comportamento che per pochi minuti ha sotterrato l'immagine stupenda che questo sport può dare. KALIDOU KOULIBALY Kalidou Koulibaly, difensore titolare del Napoli, ha subito provocazioni razziste durante una partita di calcio. Durante Inter-Napoli i tifosi interisti nel corso della partita hanno simulato il verso della scimmia per prendere in giro il difensore senegalese. Kalidou ha replicato: «Fa male, li ho presi come un attacco personale». Dopo la partita Koulibaly ha ricevuto un supporto sociale e mediatico spaventoso, tutte le tifoserie italiane si sono schierate con lui grazie all'hashtag #Siamo tutti Kalidou nella lotta al razzismo. Dalla sua parte si è schierato anche Didier Drogba, campione ivoriano dicendo: «La cosa più bella del calcio è che è una cosa per tutti, non importa da dove uno venga o che aspetto abbia. Il calcio riunisce persone di tutto il mondo ma alcuni non lo capiscono e se la prendono con i giocatori di colore. Ho avuto problemi con questa cosa in passato e credo sia sbagliato: dobbiamo pensare a come far capire a queste persone che il loro comportamente non è giusto. Non è un problema che riguarda solo l’Italia e il calcio, ma è qualcosa a cui ognuno di noi deve contribuire a trovare un rimedio». JESSE OWENS Jesse Owens, atleta afroamericano ha gareggiato nelle olimpiadi del 1936 a Berlino proprio quando a governare c'era Hitler. Quest'ultimo ha usato le olimpiadi proprio per definire e sottolineare la superiorità della razza ariana anche negli sport: non aveva però fatto i conti con Jesse Owens. L'atleta afroamericano infatti ha combattuto onorevolmente contro il razzismo del tempo conquistando tutte e 4 le medaglie d'oro portando l'America al trionfo davanti al dittatore tedesco. La vittoria di Jesse per molti è 26
stata così importante da essere degna di nota: così nel 2016 esce "Race, il colore della vittoria" diretto da Stephen Hopkins, un film interamente dedicato alle qualità tecniche di Owens, le quali hanno annichilito la supremazia tedesca. Il Black Lives Matter, movimento contro le discriminazioni razziali, ha agito anche nello sport. Andiamo a scoprire in quali casi. ROMELU LUKAKU E NICOLAS NKOLOU Lukaku, attaccante interista, si è spesso espresso contro il razzismo anche ultimamente, a seguito dello scontro avuto con Ibrahimovic in coppa Italia, il quale disse lui: «Torna a fare i riti vodoo con tua mamma». Durante la partita InterBenevento, Romelu Lukaku si procura il rigore e segna il gol della vittoria ma esultando in un modo particolare. Dopo l'abbraccio coi compagni decide di inginocchiarsi e di puntare il pugno verso l'alto, tipico gesto del movimento americano. Il numero 9 belga dopo il match ha voluto ribadire il concetto postando una foto che ritraeva la sua esultanza commentando: "Questo gol è per tutti quelli che stanno combattendo contro l'ingiustizia. Sono con voi". Anche Nicolas Nkolou ha voluto dare il proprio contributo a questa battaglia contro l'ingiustizia mondiale: il centrale difensivo del Torino, ha dedicato il suo primo gol in Serie A della stagione 2020/21, trovato all'89' minuto con un colpo di testa, al Black Lives Matter esultando proprio come Lukaku. Pure Nkolou ha voluto reincarare la dose postando una foto su Instagram scrivendo: "È da quando sono in Italia che combatto tutto questo, e mi sento in dovere di dimostrare il supporto che voglio dare alle persone che ci mettono la faccia, grazie". PREMIER LEAGUE E ROMA La federazione inglese del calcio ha deciso di aggiungersi alla protesta. Per una giornata di campionato ha deciso di stampare la scritta "BLACK LIVES MATTER" su tutte le maglie da gara al posto del nome dei giocatori proprio per sottolineare il fatto che non conta chi siamo, nello sport siamo tutti uguali, uniti per un unico scopo. Anche la Roma si è ben espressa sull'argomento stampando anch'essa "BLACK LIVES MATTER" sopra il logo della squadra, a simboleggiare la loro personale vicinanza a chi combatte contro tutto questo. NBA: LEBRON JAMES E MICHAEL JORDAN Il basket, essendo quasi lo sport nazionale americano, è stato lo sport che ha sentito maggiormente questa situazione che ha sconvolto tutti i cestisti del campionato NBA. Ma come ha reagito il basket? L'NBA ha, come gli altri, creato magliette col proprio logo assieme alla scritta "BLACK LIVES MATTER" per i giocatori in panchina, ma ha anche scritto direttamente lo slogan del movimento nato in America sul campo da gioco di ogni squadra presente nel campionato. La squadra dei Milwaukee Bucks ha deciso qualche mese fa di non presentarsi alla partita contro i Los Angeles Lakers in segno di protesta e tutte le squadre hanno aderito allo sciopero creando un'unità sociale potentissima. Parlando di Lakers non si può non parlare della loro stella Lebron James il quale disse riguardo a tutto questo: «Per me non è un movimento ma uno stile di vita. Il razzismo farà sempre parte della storia, credo, ma penso anche che noi, le persone che hanno l’opportunità di avere una voce e tutti coloro che hanno la possibilità di influenzare la gioventù che verrà, dobbiamo guidarli come meglio possiamo». Concludo con le parole di Michael Jordan, da molti creduto il cestista più forte di tutti i tempi, alla festa in ricordo di Kobe Bryant: «Sono vicino alle famiglie che hanno perso le persone amate. I nostri figli dovranno crescere lontani da tutto questo e ognuno di noi ha il dovere di educarli in modo tale che disprezzino questi eventi. Il razzismo non deve esistere facciamolo arrivare anche a Kobe, che da lassù sarebbe d’accordo con me». 27
GIRAMONDO 2.0
LONDRA di Giorgia Berrettini
Londra è una delle città più visitate al mondo non solo per il suo importantissimo patrimonio storico e culturale ma anche per la sua straordinaria modernità. Molti dei suoi 10 milioni di abitanti provengono da altri Paesi e ciò la rende una metropoli cosmopolita e multietnica in cui convivono culture e costumi di tutto il mondo. Piove spesso ma questo, se possibile, rende ancora più suggestivi i luoghi storici che nel tempo hanno fatto da sfondo alle tante storie raccontate dalla letteratura e dal cinema. Anche la nebbia fa parte del paesaggio urbano: avvolge la città nelle giornate d’autunno come un grande mantello dal colore unico e inimitabile, il cosiddetto “fumo di Londra”. Il West End, la zona tra Trafalgar Square - la piazza con al centro la colonna dedicata all’Ammiraglio Nelson, vincitore della battaglia navale di Trafalgar – e Piccadilly Circus può essere definita il cuore della città. Qui si trovano molti dei luoghi simbolo della capitale: Buckingham Palace, Westminster Abbey, il British Museum, la National Gallery, Houses of Parliament ma anche i teatri di Covent Garden, e Soho con i suoi tanti locali e ristoranti. Tutti conoscono Buckingham Palace, la residenza londinese della famiglia reale. Ogni giorno frotte di turisti si accalcano di fronte al suo cancello per assistere al cambio della guardia reale che, con le tipiche uniformi rosse e i colbacchi di pelo d’orso, si avvicendano dando vita ad uno spettacolo davvero unico! Westminster Abbey ha una straordinaria architettura in stile gotico, al suo interno ricchissima di tesori è soprattutto il luogo dove sono stati incoronati tutti (o quasi) i sovrani inglesi a partire da Guglielmo il Conquistatore nel 1066. Poco distante, affacciato sulle rive del Tamigi si trova The Houses of Parliament ospitata nel sontuoso palazzo di Westminster. La parte più famosa dell’edificio è certamente la Clock Tower nota a tutti come Big Ben. Impossibile non fare una visita al British Museum ed ai suoi inestimabili tesori provenienti da tutto il mondo. Il museo è vastissimo, difficile riuscire a visitarlo in un solo giorno ma si può organizzare un tour per ammirare i reperti più importanti tra i quali davvero imperdibili sono la Stele di Rosetta, i marmi del Partenone e la ricca collezione di mummie egizie.
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La National Gallery con i suoi circa 2.300 quadri di pittori europei è una delle più grandi pinacoteche al mondo. Si trovano esposti dipinti di artisti come Leonardo, Michelangelo, Tiziano, Van Gogh e Renoir. La seconda versione della Vergine delle Rocce di Leonardo è straordinaria! A Londra si gira in metropolitana, Tube, che con le sue 11 linee di colori diversi permette di spostarsi da un punto all’altro della città in modo semplice e veloce. Gli Autobus Rossi a due piani sono ormai rari e sono divenuti solo un’attrazione turistica. È facile così raggiungere la City e avventurarsi tra gli edifici della Tower of London, un vero e proprio castello che custodisce i gioielli della Corona “sorvegliati” da un gruppo di corvi che da secoli vivono al suo interno; secondo un’antica leggenda se i corvi dovessero lasciare la Torre la Monarchia sarebbe in pericolo. Da qui lo sguardo corre verso il Tower Bridge, uno dei simboli più famosi di Londra. Per una vista unica sulla città si deve salire sul London Eye, la ruota panoramica installata accanto alle rive del Tamigi per dare il benvenuto al nuovo millennio. Nei piccoli negozi e tra le bancarelle del Camden Market e Portobello’s Road a Notting Hill si può trovare davvero di tutto. Ci si può anche andare per un tradizionale Afternoon tea o per mangiare un ottimo Fish and Chips. Insomma Londra è una città per giovani, qui nascono le nuove tendenze in campo musicale e si organizzano continuamente concerti e eventi straordinari. Gli inglesi hanno voluto la Brexit ed in futuro sarà più complicato andare e soggiornare in Inghilterra, ma anche se sarà necessario il passaporto continuerà a valer la pena fare un viaggio a Londra!
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ESPLORANDO L’ITALIA
ORTA SAN GIULIO Di Sofia Vadalà Nell’articolo di questo mese vi parlerò di Orta San Giulio, un'isoletta piemontese in provincia di Novara. È molto piccola in quanto ha solo 1338 abitanti tuttavia è considerato uno dei borghi più belli d’Italia! Risale ai primi anni del ‘300, periodo durante il quale ebbe un sistema di fortificazioni successivamente andate distrutte; tra il XVI ed il XVIII conobbe un periodo di ricchezza durante il quale si diede il via alla produzione di ferro battuto, necessario per la costruzione del Sacro Monte nel ‘500 ed oggi divenuto Patrimonio dell’Unesco. Questo comune ha uno stile medievale con delle viuzze interamente pedonalizzate a nord della piazza principale, Piazza Motta, vi si trova un il broletto nonché Palazzo della Comunità della Riviera di San Giuliano (1582) atto al mercato; di fronte invece vi è una salita chiamata “Motta” che conduce alla parrocchia di Santa Maria Assunta (1485). Il municipio di Orta ha sede nella Villa Bossi la quale possiede un giardino con vista sul lago, che fortuna! Inoltre nell’isola vicina: quella di San Giulio è stato ambientato il noto racconto C’era due volte il barone Lamberto. Le pareti degli edifici possiedono l’insolita caratteristica di avere degli affreschi, dipinti da vari artisti provenienti da tutta Italia, che ne ritraggono la storia. È un paesino ottimo per delle gite romantiche con molte vite che conducono al Lago D’Orta, e nonostante sia piccolo e magari poco conosciuto, all’occasione penso sia una delle più belle mete d’Italia!
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IL NOME DELLA ROSA di Giovanni Cavalieri Il nome della Rosa è un romanzo dello scrittore e accademico Umberto Eco, pubblicato nel 1980 e tradotto in più di quaranta lingue in tutto il mondo. TRAMA Quando Adso da Melk, giovane monaco benedettino, e il suo maestro Guglielmo da Baskerville, frate francescano ed ex inquisitore, arrivano in un’abbazia sperduta nelle Alpi piemontesi, scoprono che è appena accaduto una disgrazia: un monaco è morto cadendo dalla finestra della biblioteca. Guglielmo, che è inizialmente venuto al monastero per gestire un incontro tra i Francescani e gli emissari del Papa di Avignone, Giovanni XXII, si dedica alle indagini. Da lì in poi si susseguono altri sei omicidi che, come il primo, ruotano intorno alla biblioteca del monastero, ricca di antichi manoscritti. Dall’altra parte l’inquisitore Bernardo Gui accusa ingiustamente degli omicidi due frati, per poi condannarli a morte. Tuttavia, sapendo che non sono loro i colpevoli, Guglielmo prosegue le indagini per conto suo, aiutato dall’allievo Adso, arrivando a un’incredibile scoperta sul colpevole e sul movente degli omicidi. RECENSIONE Possiamo considerare la biblioteca come la protagonista della storia: intorno a questa, infatti, ruotano le principali vicende del romanzo. In particolare i sette omicidi che avvengono nell’abbazia orbitano intorno al possesso di un libro, il secondo volume della Poetica di Aristotele, dedicato alla commedia e al riso. La ricerca del libro di Aristotele può essere vista come una metafora della ricerca della verità, a cui l’uomo ambisce, ma che non sempre riesce a raggiungere. Il romanzo è inoltre ambientato in un contesto storico perfettamente ricostruito, ossia quello del Trecento. L’anno in cui si svolge il romanzo, il 1327, è segnato dal trasferimento del Papa ad Avignone, in Francia. Tale evento porta poi a uno scontro tra il Regno di Francia e il Sacro Romano Impero, le due grandi potenze dell’epoca. E proprio in questo contesto sono inserite le vicende del romanzo, nel quale vengono presentati alcuni personaggi realmente esistiti, quali l’inquisitore Bernardo Gui; altri invece, come lo stesso frate Guglielmo e Adso, sono ispirati solo in parte a personaggi storici esistiti realmente. Il libro di Eco è un giallo entusiasmante, con una trama ben costruita e capace di immergere il lettore in un’atmosfera buia e tormentata, ma caratterizzata anche da un grande fermento culturale, in cui i monaci (gli intellettuali dell’epoca) conservano con avidità antichi manoscritti e discutono arditamente all’interno dei monasteri. 31
BORIS di Giovanni G. Gori “Boris” è una serie TV andata in onda dal 2007 al 2010 e sceneggiata da Mattia Torre, Luca Vendruscolo e Giacomo Ciarrapico. Premessa: Come vi sarete sicuramente accorti leggendo sopra, questa recensione sarà molto atipica se paragonata alle precedenti, perché andrà a parlare di una serie televisiva e non di un film. L’augurio resta quello di stimolare in chi legge un pizzico di interesse su opere diverse, ma sempre profonde e originali. E questa sarà una recensione molto “italiana”… TRAMA Chi è Boris? Boris altri non è che l’inseparabile pesciolino rosso di René Ferretti (un Francesco Pannofino che definire impareggiabile è poco), il regista della Fiction “Gli occhi del cuore 2”. Sul set di Cinecittà arriva lo stagista Alessandro (Alessandro Tiberi), che si ritrova catapultato in un gruppo di attori e tecnici le cui debolezze, rappresentate con una comicità intelligente come poche, simboleggiano, in qualche modo, le debolezze dell’Italia e degli Italiani. Troviamo in primis il “Divo” Stanis La Rochelle (Pietro Sermonti), narcisista che si atteggia a grande attore hollywoodiano, e la “Star” Corinna Negri (Carolina Crescentini), definita da René “Cagna maledetta” perché priva di qualsiasi talento recitativo, che ha ottenuto la parte solo perché raccomandata dal potente capo della rete televisiva. Arianna (Caterina Guzzanti), la tirannica assistente alla regia che in un tal qual senso è Foto da:https://www.themoviedb.org/tv/36189il vero capo, forse è l’unica che cerca di boris lavorare seriamente, mentre Biascica (Paolo Calabrese) e Duccio (Ninni Bruschetta), rispettivamente capo elettricista e direttore della fotografia non fanno altro che dormire o imprecare (e -nel caso di Duccio- anche sniffare cocaina), maltrattando continuamente il povero Lorenzo (Carlo De Ruggieri), soprannominato “lo Stagista schiavo”. In questa parodia del mondo della Fiction Italiana non possono mancare Itala (Roberta Fiorentini), la rozza segretaria di edizione, alcolizzata, ma anche lei protetta in alte sfere, Sergio (Alberto Di Stasio), il severo e tirchio produttore esecutivo e Diego Lopez (Antonio 32
Catania), il delegato di produzione, uomo furbo, opportunista e privo di qualsiasi etica. Tra i personaggi secondari, indimenticabile è Mariano Giusti, (un Corrado Guzzanti alla summa di se stesso, tanto che interpreta due ruoli diversi), attore instabile psicologicamente che creerà non pochi problemi ad Alessandro. Non si può non citare poi la magistrale idea dei tre sceneggiatori di prendersi in giro attraverso i loro alter ego sullo schermo, tre babbei che non fanno altro che gingillarsi e scrivere in sceneggiatura tutto ciò che passa loro per la testa “così, de botto, senza senso”.
Foto da: https://movies.gamesource.it/boris-la-quarta-stagione-e-vicina/
RECENSIONE Una serie geniale, che mostra con ironia i meccanismi della fiction italiana, che in quegli anni stava attraversando un vero periodo di boom nel pubblico televisivo nostrano. Lo stesso Sermonti si autocita, prendendo in giro il suo personaggio di “Un medico in famiglia”. E’ una “metatelevisione” che mostra il dietro le quinte di queste produzioni commerciali, dove la qualità artistica viene completamente trascurata, perché quello che conta sono solo gli ascolti e il tenere bassi i costi di produzione. “Boris”, soprattutto, guarda con occhio cinico e dissacrante, all’Italia e agli Italiani, tanto che, a distanza di più di dieci anni, moltissime frasi sono entrate a far parte del linguaggio comune degli abitanti dello Stivale. Gli esempi più eclatanti comprendono le varie ”espressioni” di René, come “Cagna maledetta” (in relazione a Corinna e alla sua “recitazione”), oppure l’incitazione agli attori a recitare “A CXXXO DI CANE!”, o ancora “DAI DAI DAI!”; poi alcune battute di Stanis: “Tu sei molto italiano” oppure “I toscani hanno devastato questo paese!”. Considerata oggi una delle serie più note e amate dal pubblico italiano, “Boris” inizialmente è stato un prodotto “di nicchia”, che solo negli anni successivi è diventato un cult. Le tre stagioni sono ora interamente disponibili su Netflix (per chi non avesse tale piattaforma, qualche episodio si trova completo anche su YouTube) ed è arrivata l’ora, per chi non l’ha vista, di guardarla; per chi invece l’ha già vista, di guardarla di nuovo. Sedetevi sul divano, prendete il telecomando e…usate gli occhi del cuore! DAI DAI DAI!!! 33
Angolo del poeta Giorni Dolci di Giovanni Gori "Una notte come mille, con in cielo tante stelle, chissà forse son le stesse stelle che brillarono anni or son Un anziano come tanti che passeggia solitario e ripensa tristemente ai suoi lieti tempi d'or Ricorda ancora quand'era bambino E la sua mamma gli dava un bacino Quando il papà con lui sempre giocava E i suoi compagni scherzavano con lui Quei tempi dolci, che fine hanno fatto? Pensa nostalgico "Se non li rivedrò, spero soltanto che in una nuova vita, quei dolci giorni riviver potrò" Ah, esser giovani che incanto, Tutti si è un po' sognatori Come sognano i bambini, sia che dormano oppur no Poi l'incanto ahimè finisce quando si diventa grandi, ma il ricordo è sempre saldo, il cuore è ancora sognator.... Ricorda ancora quand'era bambino Era felice sol con un trenino, Tutti gli amici stavan sempre con lui E lui con loro rideva sempre allegro, Quei giorni dolci davvero son spariti? Io son sicuro e dico di no... Quando inizierò una nuova vita, quei dolci giorni riviver potrò...
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Resoconti di Margherita Arena e Marianna Carniani
Troverete le puntate sul canale YouTube della nostra scuola
Incontro 4/02/2021 Durante l’episodio del 4 febbraio abbiamo avuto il piacere di ospitare Vittorio Gasparrini e Stefano Corsi, rispettivamente i presidenti dell’UNESCO e di ARCI Teatro. Da poco è nata una convezione tra i due enti per far arrivare, attraverso il teatro, i messaggi supportati da UNESCO. Il loro obiettivo è quello di rendere più leggibili tali messaggi a tutte le generazioni, soprattutto ai più giovani, così da portare un cambiamento nella società. Come recita il motto di ARCI Teatro “più cultura e meno paura”. Nella seconda parte dell’episodio abbiamo avuto il piacere di intervistare Francesco Pelosini, ex studente del nostro liceo classico, che ormai da due anni frequenta l’Accademia teatrale di Pisa e recentemente ha iniziato un percorso all’Accademia di Cinema. La sua passione per la recitazione è nata da piccolissimo per caso, infatti è stato costretto dai suoi genitori a frequentare un corso di teatro per un problema alle corde vocali e perché timido. Quando era piccolo e gli veniva chiesto cosa avrebbe voluto fare da grande, lui rispondeva l’insegnante: spesso a casa imitava le sue maestre, e solo più tardi ha capito che lui voleva imitare. Così, durante l’incontro, quando gli abbiamo chiesto dove si vede tra 10 anni lui ci ha risposto senza esitare: «A recitare in teatro». Sempre in Italia, e forse con anche qualche esperienza cinematografica; ma il palco di un teatro sarà sempre il suo sogno più grande. 35
Incontro 11/02/2021 e 16/02/2021 Giovedì 11 abbiamo avuto il piacere di intervistare il signor Enrico Spinelli, proprietario dell’Associazione I Pupi di Stac. Proprio in questa associazione fu inventata la tradizione toscana dei burattini con le gambe; a crearla fu il signor Staccioli, il quale lasciò la sua attività alla madre del nostro ospite nel 1971. Nel 1973, mentre frequentava l’Università, il signor Spinelli, avendo bisogno di denaro, iniziò ad aiutare la madre come tecnico, e con il passare del tempo, preso coraggio, cominciò anche a fare l’attore. Fino a quando nel 1991 ha rilevato l’attività lui stesso. Gli spettatori non sono solo i bambini fino ai 10 anni circa: il 55% del pubblico è composto da adulti, genitori e nonni dei bambini. Per questo è importante creare spettacoli divertenti e comprensibili per gli spettatori più piccoli, ma che non facciano annoiare gli adulti: infatti di solito vengono inserite battute di attualità, politica e giochi di parole che i bambini non capiscono, ma fanno divertire i grandi, così che anche loro lascino lo spettacolo felici. Come ha affermato il nostro ospite: «I burattinai sono i narratori di fiabe». Durante la puntata di martedì 16 abbiamo ospitato il Professor Fabrizio Scaturro che con i suoi studenti delle classi IVC e IVD ha realizzato progetti molto interessanti, con l’obiettivo di portare avanti l’aspetto creativo di ogni singolo studente o di gruppi di studenti. I ragazzi hanno provato a sviluppare certe tematiche sotto forma di video e composizione musicale, ma non è stato dato nessun tema predefinito. I ragazzi, secondo il Prof. Scaturro, hanno lavorato con molta originalità e creatività, sia in fase di produzione che di montaggio vista anche la difficoltà di racchiudere in pochi minuti tematiche molto importanti ed attuali; hanno infatti spaziato dal tema dell’ambiente a quello della pandemia attuale, dal cyberbullismo all’uso della tecnologia, dal tema dei pregiudizi a quello dei social media che possono distanziare e avvicinare le persone allo stesso tempo. Non è sempre facile racchiudere tematiche importanti in pochi minuti e ci vogliono notevoli capacità di sintesi. L’obiettivo del Prof. Scaturro era quello di scardinare la modalità tradizionale di fare determinate cose e quindi di trovare modalità diverse che possano in qualche modo non essere immediatamente intelligibili e che magari necessitino di più tempo per arrivare a carpire il messaggio che si vuole trasmettere. I ragazzi sono riusciti a trovare soluzioni molto efficaci ed interessanti, hanno applicato modalità di narrazione molto diverse, fuori dal comune, utilizzando a volte anche solo la musica come veicolo narrante. Proprio riguardo alla musica dobbiamo sottolineare che essa è tutta originale e composta dai vari gruppi. Per la creazione dei video i ragazzi hanno seguito delle lezioni su come realizzare una sceneggiatura utilizzando il concetto di story telling e dello story board. La strumentazione tecnologica era molto semplice ma ponendo particolare attenzione alla fotografia, alla luce e alle inquadrature, i ragazzi hanno raggiunto risultati notevoli. Ecco i titoli dei video che sono disponibili su Youtube: - Peste 48 - Der Tut offnung - Violenza gratuita - Nunchi - Indifferenza - L’uso della tecnologia - Social media distancing - Le stagioni si riuniscono - Pregiudizi di genere - Punti di vista - Una vita in treno
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Incontro 18/02/2021 Il 18 febbraio abbiamo avuto il piacere di parlare con il Signor Fulvio Palmieri, il quale ci ha raccontato la storia del Teatro Verdi di Firenze. Nel 1200, la città era spaccata dalla guerra civile tra guelfi e ghibellini, sviluppatasi in seguito tra guelfi neri e guelfi bianchi; per questo in quel periodo c’era un disperato bisogno di strutture carcerarie, che non esistevano. Venivano adibite a carceri altri edifici, che spesso erano fatiscenti e insicuri. Dopo la fuga di un carcerato nel 1299 si decise di costruire un carcere, proprio nel luogo in cui ora sorge il Teatro Verdi. Questo fu uno dei primi esempi di struttura carceraria destinata alla detenzione in Europa. In seguito Pietro Leopoldo abolì la pena di morte e la tortura, e perciò nel 1833 Leopoldo II decise di demolirlo. Nel 1839 al suo posto iniziarono a crearsi degli edifici civili, ovvero una serie di appartamenti con a piano terra delle botteghe, era presente inoltre una cavalleria e una sala da musica probabilmente molto bella. Al posto della cavalleria e della sala Girolamo Pagliano c’è oggi il teatro. Pagliano era stato a Parigi per studiare medicina e, tornato in Italia, fece molto successo e diventò ricco perché si diceva che avesse trovato l’elisir di lunga vita, che in realtà si rivelò essere un semplice un lassativo. Il suo successo non era comunque abbastanza da permettergli di essere ricordato per sempre, perciò decise di acquistare l’edificio e creò un teatro accessibile a tutti i fiorentini. Questo fu nominato nel 1859 con il nome di Teatro Pagliano.
Incontro 25/02/2021 All’interno della puntata odierna abbiamo ospitato il Professor Alfredo Panerai, insegnante di storia e filosofia nel nostro Istituto e ci ha parlato del tema del male e della violenza dell’uomo. Per rispondere all’interrogativo sul perché esista il male, il Prof. Panerai ci ha per prima cosa raccontato una storia realmente accaduta a New York la sera del 13 marzo 1964. Quella sera una donna venne uccisa mentre rientrava a casa e ben 6 persone dichiararono di aver udito e addirittura visto l’aggressione. Come mai nessuno intervenne? Per chiarire questo interrogativo il Prof. Panerai ci ha illustrato l’esperimento di Milgram. Ad alcune persone venne chiesto di fare delle domande ad un’altra persona che, seduta in un’altra stanza, non potevano vedere ma solo sentire. Nel caso questa persona avesse sbagliato avrebbero potuto inviarle una scossa elettrica che avrebbe dovuto essere sempre più forte via via che gli errori aumentavano. In realtà Milgram aveva escogitato un trucco poiché la persona interrogata fingeva di subire la scossa e di urlare per il dolore; quello che allo psicologo interessava era capire come le persone si sarebbero comportate di fronte alla possibilità di fare del male a qualcuno. Purtroppo, più della metà dei volontari continuò a dare scosse fino anche a voltaggi potenzialmente mortali. La conclusione a cui giunse Milgram fu che uno dei motivi per cui le persone possono commettere violenza è quando c’è un’autorità che lo comanda. In quel caso la coscienza si sente autorizzata a mettersi da parte e a far del male. Per rivelarci un secondo motivo del perché gli uomini compiono il male, il Prof. Panerai ci ha parlato dell’effetto di diffusione delle responsabilità: quando una persona ha bisogno di aiuto e ci troviamo circondati da molta gente, siamo portati a non intervenire perché “tanto lo farà qualcun altro. L’ultimo esperimento che il Prof. Panerai ci ha raccontato è quello di una situazione in cui a più persone vengono mostrati segmenti di grandezza diversa per stabilire quali siano i due segmenti uguali. Solo una delle persone non è a conoscenza dell’esperimento, e di fronte all’errore di tutti gli altri, seppure sappia per certo che stanno sbagliando, sbaglia anche lui. Questo perché l’essere umano si sente più sicuro se è in coerenza con chi gli sta accanto, è una sorta di adattamento che ci può spiegare come, se vediamo altre persone intorno a noi che compiono un’azione sbagliata, siamo anche noi portati a compierla. 37
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