DISCRIMINAZIONI ATTRAVERSO LA STORIA Di Filippo Bellocchi e Filippo del Corona Nonostante l’odio verso le etnie risalga all’antichità, basti pensare all’odio e ad il senso di superiorità che i Greci avevano verso i Persiani, il razzismo vero e proprio, basato sull’idea dell’esistenza delle razze, trae le sue origini a poco dopo la scoperta dell’America; “ispirandosi” alla tratta araba del Sahara, la più grande tratta di esseri umani della storia, i Conquistadores iniziarono a rapire gli Indios, spesso consegnati come prigionieri di guerra da altre tribù, e a ridurli in schiavitù, sterminarli in battaglie e con malattie che gli Indigeni non avevano mai contratto e la popolazione venne decimata. Tuttavia, i coloni si trovarono costretti ad impiegare servi bianchi poiché gli Indigeni, oltre che ribelli e aggressivi, erano troppo gracili e non abituati alla fatica ed al lavoro che gli Europei erano invece in grado di sostenere. Per i coloni sarebbe stata inconcepibile una “schiavitù bianca”, in quanto dei Cristiani non potevano asservire altri Cristiani, purché essi fossero Europei; infatti molti Indigeni che si erano convertiti vennero comunque schiavizzati. Una soluzione venne trovata nelle coste dell’Africa; così come nelle Americhe, anche qui i prigionieri di guerra venivano venduti ai coloni ed ai naviganti in schiavitù dai regni e dalle tribù che si affacciavano sul Golfo di Guinea, zona più conosciuta e più esplorata dell’Africa. Gli africani erano maggiormente preferiti rispetto agli Indios perché più robusti e più docili, rare erano infatti le fughe o le ribellioni. Così iniziò a fiorire una fitta tratta di esseri umani che venivano trasportati attraverso l’Atlantico e costretti a lavorare nelle piantagioni di cotone, di zucchero, nelle miniere o nei campi per lo sviluppo del commercio europeo. Le navi negriere spesso trasportavano dalle 300 alle 500 persone, tuttavia si stima che uno schiavo su sei era destinato a morire per le pessime condizioni igieniche o per fare spazio ad altri schiavi, numero destinato a salire in quelle navi che naufragavano o erano soggette a ribellioni. Una volta sbarcati, i negrieri vendevano gli schiavi al miglior offerente, tutelati legalmente da leggi apposite. Uno schiavo medio, ben robusto ed in salute, poteva arrivare a costare circa 33.000€ che andavano unicamente al negriero e non alla “merce”. Anche se i mestieri svolti dagli schiavi erano vari, essi non erano retribuiti in denaro ma in vitto e alloggio, seppur scarsi. Le pene per uno schiavo poco produttivo o insubordinato erano molto gravi: la fustigazione prolungata, il digiuno forzato e la pena capitale per i rivoltosi, come l’impiccagione o la fustigazione fino alla morte. La schiavitù iniziò ad essere condannata ed abolita in Europa rispettivamente nel XVIII e XIX secolo con l’avvento dell’Illuminismo, ma continuò fino alla seconda metà del 1800. Negli Stati Uniti venne abolita nei primi decenni dell’800 ma fu solo con la Guerra di Secessione che negli stati del Sud, meno progrediti economicamente e più diffidenti delle nuove tecnologie rispetto al Nord, la schiavitù venne soppressa definitivamente. Le conseguenze della schiavitù, presenti ancora oggi, sono l’odio e la discriminazione delle persone di origine africana che ancora oggi fanno sorgere proteste e movimenti. Nel corso del ‘900 le potenze europee iniziarono a spartirsi l’Africa e ad entrare in contatto con le popolazioni locali, senza però asservirle completamente; negli anni Venti, l’impiego nella Grande Guerra da parte delle maggiori potenze europee di soldati africani ed indiani, portò ad una maggiore integrazione delle etnie, alla nascita di movimenti intellettuali che supportavano l’unione tra di esse e popoli diversi in quanto tutti umani e di conseguenza uguali tra loro e l’avvento dei movimenti civili per gli Afroamericani negli Stati Uniti. Ciononostante, anche i
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