Possible futures by Rebecca Pedrazzi

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Nel 2012 il Whitney decise di far rivivere l’opera ma non fu possibile poiché i codici e i collegamenti erano diventati obsoleti e inutilizzabili. La domanda che qui ci si pone è: For instance, when a Web-based work becomes technologically obsolete, does updated software simply restore it? Or is the piece fundamentally changed?9

ne ottimale di conservazione, facendo tesoro di quanto appreso con la conservazione delle sue “antenate” opere della New Media Art. In questi ultimi anni, i curatori e conservatori dei Musei si sono scontrati con l’obsolescenza di varie opere e installazioni d’arte, ritrovandosi in alcuni casi a dover adottare la strategia più radicale: la reinterpretazione che implica la ri-creazione dell’opera.

In pratica, per far funzionare nuovamente The World’s First Collaborative Sentence bisognava aggiornare parti integranti dell’opera andando a modificare l’opera originale così come pensata dal suo creatore, che ormai ultraottantenne non fu nemmeno possibile interpellare. Per un anno, al Whitney un team di programmatori e curatori discusse su come procedere: questo caso era diventato un dibattito concettuale, anche il New York Times10 gli dedicò un bellissimo articolo, e Christiane Paul, curatrice aggiunta dei new media al museo Whitney, ne evidenziò il nodo cruciale: «Una delle più grandi domande filosofiche è stata: lasciamo questi collegamenti non funzionanti come testimonianza del web e del suo rapido sviluppo?». Ma testimoniare la rapida obsolescenza di questo lavoro significava impedire ai visitatori di fruire l’opera nella sua forma originaria. Dopo molte perplessità i curatori optarono per una soluzione nuova: duplicare l’installazione di Mr. Davis e presentarne sia la versione originale con i codici non funzionanti, mantenendo così un approccio classico del restauro, sia una versione aggiornata traducendo il lavoro di Davis in un linguaggio attuale, mantenendo comunque l’assetto il più possibile simile all’originale. Quest’ultima versione attualizzata, chiamata dai curatori del museo live version, è stata sottoposta a un restauro continuo: i codici di questo lavoro sono stati messi in open source in modo da permettere anche a persone esterne al museo di contribuire alla manutenzione e all’aggiornamento dell’opera senza “tradire” la parte storica originale. Questo caso di restauro ci porta a riflettere su quanto sia complessa la conservazione di opere d’arte create con i BIT, e di conseguenza anche la conservazione delle recenti opere con Intelligenza Artificiale rientra appieno in questa nuova ricerca di una dimensio-

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