Missio non grata Inés Elvira Ospina
"Il degrado del selvaggio è così profondo", dicono Luis e Martin Restrepo Mejía, "così radicato e debilitante, che il selvaggio che è stato elevato alla civiltà ha bisogno di essere continuamente sostenuto in essa, e se viene abbandonato ritorna presto, come trascinato dal suo stesso peso, alla barbarie: è un malato in perenne stato di convalescenza". Iglesia Católica, Las misiones católicas en Colombia: labor de los misioneros en el Caquetá y Putumayo, Magdalena y Arauca, informes año 1918- 1919.
"Siamo vittime dei cosiddetti civilizzati, di coloro che ci hanno privato dei nostri diritti": con queste parole, pubblicate il 15 novembre dal quotidiano di Bogotá El Nuevo Tiempo, Juan Bautista Villafaña chiarì quello che lui e il suo popolo pensavano dei coloni che si erano stabiliti nel loro territorio. Villafaña era uno dei sei arhuaco che avevano compiuto un viaggio di tre mesi per raggiungere la capitale colombiana, sperando di parlare col presidente dell'epoca, José Vicente Concha, perché si ponesse fine alle violenze dei coloni. "Non ci piacciono questi civilizzati, perché sono nemici del mostro popolo" disse Villafaña nella stessa intervista pubblicata dal quotidiano. Grazie alle ricerche compiute dal professor Bastien Bosa della Universidad del Rosario è stato possibile conoscere l'intero quadro storico di questa visita, dall'antefatto alle conseguenze che avrebbe avuto fino agli anni Trenta. "Gli Arhuaco presentarono una petizione chiara e dettagliata che fu ascoltata con attenzione. Quindi restarono molto sorpresi quando pochi mesi dopo arrivò un gruppo di missionari cappuccini spagnoli, che peggiorarono ulteriormente la situazione con nuove violenze" dice Bosa, coordinatore del progetto di ricerca. Lo studioso ha lavorato con la comunità arhuaco per oltre dieci anni, una parte dei quali è stata dedicata alla ricostruzione della memoria storica di quanto era avvenuto un secolo fa. Bosa ha vagliato centinaia di documenti, lettere, fotografie e testimonianze relative ai fatti dell'epoca. "Abbiamo cercato tutte le fonti disponibili. Quella lasciata dai Cappuccini è molto dettagliata. Sono andato a Valencia, in Spagna, dove sono raccolti molti dei loro documenti. Anche gli Arhuaco avevano conservato molto materiale prezioso del tempo in cui San Sebastián de Rabago (oggi Nabusímake) era un corregimiento (villaggio) della Prefettura di Valledupar", dice Bosa. Il mosaico della memoria Secondo Bosa, uno degli aspetti principali della ricerca è stata la ricostruzione delle storie familiari. Grazie all'aiuto di un gruppo di studenti è stato possibile documentarle e ricomporre i loro alberi genealogici. "La ricchezza delle storie tramandate per via orale permette un approccio molto interessante al passato. Queste memorie non si riferiscono soltanto alla presenza di coloni o missionari, ma permettono anche di vedere la storia dal punto di vista degli Arhuaco" dice lo studioso. Attraverso questa ricerca, le ragioni del viaggio compiuto dai sei arhuaco nel 1916 sono venute alla luce insieme a ciò che era successo negli anni successivi con l'arrivo dei missionari e l'apertura di un orfanotrofio, dove i bambini arhuaco erano stati rinchiusi con la forza "per essere cristianizzati e civilizzati". La ricerca mostra come questo intervento stimolò una forte coesione della comunità. Nell'udienza con il presidente colombiano Concha gli arhuaco misero in evidenza tre necessità: 1) il recupero dell'autonomia politica, che avevano perduto con la nomina dei coloni a funzionari am-ministrativi locali (corregidores); 2) la cessazione di ogni forma di sfruttamento da parte di persone "civilizzate"; 3) il pieno rispetto delle loro espressioni culturali, alcune delle quali erano state proibite.