PINK BASKET N.15

Page 1

N.15 GENNAIO 2020

IN QUESTO NUMERO // CIAO KOBE // CARANGELO, CAZZIMMA DA VENDERE // SERIE A1: IL CASO ITALIANE // FOCUS: DIETRO LE QUINTE // LA LUCE DI ORIANA // SERIE A2: VOLATE E FUGHE // VICENZOTTI: STUDIA, GIOCA, LAVORA // STORIE: INCHINIAMOCI ALLA ZARINA // RUBRICHE PINK


GENNAIO 2020

N.15

in questo numero 1 EDITORIALE

Ciao Kobe

3 inside a1

Il caso italiane

9 numbers

Francesca Dotto

11 Focus

Dietro le quinte

17 cover story

Cazzimma da vendere

23 inside A2

Volate e fughe

29 Primo piano

Play, study & work

35 altri mondi

La luce di Oriana

41 storie

Inchiniamoci alla Zarina

46 pink mix 48 HSBL

Sofia Varaldi

51 PALLA E PSICHE

Tirare le somme

52 guardia e ladri

Ansia da lunetta

DIRETTO DA Silvia Gottardi REDAZIONE Silvia Gottardi,

Eduardo Lubrano, Alice Pedrazzi, Caterina Caparello, Manuel Beck, Francesco Velluzzi, Chiara BorzĂŹ, Giulia Arturi, Giancarlo Migliola, Linda Moranzoni, Susanna Toffali

PROGETTO GRAFICO Linda Ronzoni/ Meccano Floreal

INFOGRAFICA Federica Pozzecco IMPAGINAZIONE Grazia Cupolillo/ Meccano Floreal

FOTO DI Marco Brioschi,

Pierangelo Gatto, Archivio Fip, Reyer Venezia/ Ciamillo Castoria, Perabite, Maurizio Silla, Marco Picozzi, Giovanni Cassarino


editoriale

CIAO KOBE di silvia gottardi

Qualche giorno prima della tragedia del 26 gennaio è uscita un’intervista di Kobe Bryant per la CNN, in cui la ex stella del Lakers affermava in maniera netta e decisa che “Sì, mia figlia Gianna un giorno potrebbe giocare in Nba. Anche perché già adesso, due o tre delle ragazze che sono in Wnba potrebbero giocarci”. E non si teneva sul vago: “Penso che Diana Taurasi, Maya Moore e Elena Delle Donne sarebbero in grado di battersi nella lega degli uomini”. Un’affermazione sorprendente, perché anche se le tre atlete citate sono sicuramente dei fenomeni, nella Nba non contano solo tecnica e talento, ma sono soprattutto il fisico e la potenza a farla da padroni. Un’affermazione soprattutto che la dice lunga sull’attenzione e il rispetto che Kobe ha sempre avuto nei confronti del basket femminile e delle sue protagoniste. “La WNBA è bellissima da guardare” ha detto in un’altra occasione, e infatti era spesso a bordo campo a tifare per le Sparks. E d’altronde anche il suo modo di giocare è stato fonte d’ispirazione per tantissime ragazze di tutto il mondo. Sì, perché non richiedeva per forza l’essere grandi e grossi, il distruggere l’anello, il gesto atletico esasperato (anche se lui se lo poteva permettere). Piuttosto era una danza fatta di movimenti tecnicamente pulitissimi, di un uso impeccabile del piede perno e delle finte. Un gioco cerebrale che poneva l’attenzione sulle letture, sui dettagli, sull’approccio alla gara, sul lavoro in palestra, sul miglioramento continuo. Un gioco adatto anche per noi donne. Il 26 gennaio non ci ha portato via solo un idolo generazionale, un giocatore che ha saputo entrare nel cuore di tutti i tifosi, ma ha anche tolto la possibilità a sua figlia Gigi, tredicenne promessa del basket, di crescere e capire se davvero sarebbe stata in grado di confrontarsi un giorno con gli uomini. Ma forse grazie a Kobe altre ragazzine, una compagna di squadra di sua figlia o magari una ragazzina che fino a ieri ha giocato solo su un campo scalcagnato, cresceranno sognando in grande, immaginando di essere bellissime da guardare, immaginando quest’uomo grande e forte che da bordo campo salta su in piedi esultando per quel canestro impossibile. E allora quella ragazzina lì, quella scalcagnata, la compagna di squadra di Gigi, si girerà verso di lui e gli urlerà: Grazie Kobe!


BEA BARBERIS PRIMA DELLE ITALIANE PER MINUTI IN CAMPO CON 33,67 A PARTITA IN MAGLIA TORINO. SETTIMA IN ASSOLUTO.


inside A1

Il caso italiane

QUANTO E IN QUALI MOMENTI LE GIOCATRICI ITALIANE SI TROVANO IN CAMPO IN TERMINI DI MINUTAGGIO? TRA LE PRIME 100 GIOCATRICI CHE STANNO DI PIÙ SUL PARQUET, 44 SONO ITALIANE. I PARERI DI LUCCHESI, RICCARDI E ORLANDO. E UNA LETTERA SUL TAVOLO DEL PRESIDENTE PETRUCCI, CON UNA PROPOSTA…

Di EDUARDO LUBRANO

N

ell’ultima settimana di gennaio - più o meno in

coincidenza con l’uscita di questo numero di Pink Basket -, sulla scrivania del Presidente della Federbasket Gianni Petrucci sarebbe dovuto arrivare un documento che definire rivoluzionario è quantomeno corretto. In particolare perché coraggioso: dopo tanti anni c’è finalmente la prova che alcune teste pensanti nel mondo della pallacanestro, femminile in questo caso, sono rimaste. E pensano davvero al possibile bene dell’intera pallacanestro italiana senza estremismi o preferenze regionali, locali o di guadagni. Pink Basket ha potuto leggere questo documento in anteprima, mentre in redazione si stava pensando di organizzare un focus sulla presenza in campo delle giocatrici italiane nella serie A1 in termini di minutaggio.

Tra le prime 100 di questa particolare classifica abbiamo

visto esserci 44 italiane. Tante? Poche? Ci siamo chiesti e lo abbiamo chiesto ai tre allenatori del-

la Nazionali giovanili: Giovanni Lucchesi, Roberto Riccardi e Sandro Orlando, in ottica futura. Poi ci siamo per caso imbattuti nel documento di cui sopra, la cui sintesi è: l’importante non è soltanto quanto giochino ma quali minuti giochino, quali possessi giochino e se hanno possibilità di giocare quelli decisivi di una partita. Bello ma... come si fa? Per esempio, c’è scritto nel documento, provando a ridurre il numero delle straniere delle formazioni di A1, da tre a due. Avvertenza per le lettrici ed i lettori: questa semplice ma legittima ipotesi ha fatto saltare le coronarie a più d’un dirigente della Lega Basket Femminile e di qualche società di A1. Quell’ipotesi porta con sé una serie di azioni per facilitare ciò che sembra una piccola cosa ma che, in realtà, è gigantesca per un movimento abituato a vivere al di sopra delle proprie possibilità. Vediamo allora gli aspetti salienti di questa proposta


inside A1

fatta al presidente Petrucci nata da una domanda: perché con le Nazionali giovanili vinciamo tutto e poi la Nazionale senior non ottiene gli stessi risultati?

Spiegato a chi di dovere che nulla è scontato nel passaggio

dall’età giovanile a quella senior, che non tutte le giovani vengono travasate nella Nazionale maggiore e che le altre Nazioni hanno, da tempo, messo in campo programmi più o meno utili a vincere anche a livello senior a prescindere dalle qualità di partenza delle loro atlete (Belgio ed Ungheria per esempio), ecco i punti salienti sui quali sappiamo già quali resistenze ed opposizioni saranno fortissime e di “cortile”. Cosa comporterebbe ridurre i roster di una giocatrice straniera?

Che almeno 1 o 2 giocatrici italiane potranno beneficiare di maggiore minutaggio, che tutte le italiane avranno maggiori responsabilità di gioco – per esempio il numero di conclusioni e più possibilità di gestione dei possessi decisivi delle partite. Aumenterebbe la disponibilità economica per ingaggiare due straniere di maggiore qualità. Per non parlare del maggior stimolo da parte delle società nell’investire nel settore giovanile e nella formazione dello staff. Ma cosa servirebbe perché un’operazione del genere sia sostenibile – ci si chiede nel documento? • 14 atlete da prelevare da settore giovanile e/o da campionati minori (serie A2 soprattutto) con criteri mirati (competitività fisica e tecnica accettabile) • Maggiore investimento a cascata su settore giovanile


ILARIA PANZERA PER L’MVP DEGLI ULTIMI EUROPEI U18 QUASI 25MIN DI MEDIA A PARTITA SUL PARQUET CON IL GEAS.

• Ingresso in prima squadra di giovani U17-18-20 di livello almeno medio per assicurare competitività in campo e in allenamento E quali sono le criticità? • numero “praticanti” come base del problema • ricorso a “serbatoi” di A2 rappresentato spesso da atlete non “professioniste” • depauperamento dei campionati inferiori • reclutamento di giovani attualmente carente • decrescita della qualità complessiva? Domande per il movimento • abbiamo giocatrici per questo “passaggio”? • il beneficio è comune o limitato a determinate squadre?

• obiettivo è offrire esperienza di gioco internazionale o “solo” nazionale? • obiettivo è preparare meglio atlete per nazionali giovanili U18 e U20? • la sofferenza dei campionati di serie A2 è sostenibile qualitativamente (pur parlando in teoria di sole 14 giocatrici) ? Abbiamo numeri bassi di praticanti dunque bisogna lavorare bene sulla qualità (come in Belgio). Servono tecnici preparati e “asserviti” al concetto di far crescere le atlete.

Sul tema delle italiane in campo Giovanni Lucchesi , coach

dell’High School Lab – il progetto tecnico federale che sta facendo fare un campionato di A2 ad un

5


inside A1 gruppo di ragazze dal 2001 al 2004 – ed allenatore della Nazionale Under 16, ci ha detto “Il dato che ci siano 44 nostre giocatrici nelle prime 100 come minutaggio non mi emoziona in sé. Io credo vada valutata oggettivamente la situazione e la qualità della nostra pallacanestro che io trovo non molto alta. Cosa possiamo fare per alzarla? Allargare e potenziare la base: la A2 e la serie B devono, secondo me, diventare veri campionati di sviluppo dove andare a prendere le giocatrici da far giocare in A1. Ma devono essere ragazze che hanno fatto un minimo di palestra seria in campionati riqualificati”.

Roberto Riccardi che lavora in serie B ed allena la Nazio-

nale Under 18 (oro agli Europei del 2019) la vede così: “È un dato di partenza sul quale ragionare tenendo presente il punto di vista per esempio delle società. Se prendono tre straniere difficile far fare loro panchina. Quindi ragioniamo anche sul reale valore delle nostre ragazze, e sia chiaro io sono uno che crede nelle giocatrici di casa nostra. Il problema è quello da tanto tempo: reclutamento. Dopo l’annata 92/93 che vinse l’oro nel 2010, abbiamo avuto

un’altra sbirciata a quel documento in redazione ed abbiamo trovato la ciliegina che ci era sfuggita e che forse chiude il cerchio: la valutazione da parte di tutto il movimento, a cominciare dalla Lega per organizzare una selezione U17/18/19/20 di valore nazionale che partecipi ad una Coppa europea (EuroCup) col solo obiettivo di fare esperienza sul campo anche durante l’anno. Una squadra da far trovare il martedì per giocare il mercoledì e rimandare a casa il giovedì.

Obiezioni a questo programma? Le immaginiamo a par-

tire da questa ultima idea della squadra da mettere insieme durante la settimana per far crescere le giovani a livello europeo. “Ed io – dice la società X – come mi alleno per tre giorni senza la Y,W,Z?”. Ovvio che le società che saranno chiamate a contribuire alla selezione di sviluppo europeo saranno chiamate anche ad organizzarsi per un reclutamento più intenso, per avere una qualità di allenamenti adeguata. E si possono studiare forme di aiuti per tutte le altre squadre che dovessero ritenersi penalizzate dalla rivoluzione che va avviata: “Ma io senza una straniera sono meno competitiva!!” Davvero? Dal

PERCHÉ CON LE NAZIONALI GIOVANILI VINCIAMO TUTTO E POI LA NAZIONALE SENIOR NON OTTIENE GLI STESSI RISULTATI? quelle del 98, 99 e del 2000/01/02. Dobbiamo capire come stiamo messi dietro. Quante ne abbiamo? Ed un’altra domanda: le italiane giovani che giocano lo fanno perché non c’è budget per prenderne altre senior o per scelta consapevole delle società?” Infine Sandro Orlando , che ha il punto di vista della sua panchina di Battipaglia in A1 e della Nazionale Under 20 (Campione d’Europa la scorsa estate): “Mi stanno bene quelle 10-11 che giocano più di 30 minuti a partita perché vuol dire che sono in campo anche nei minuti decisivi, così come probabilmente anche quelle che giocano tra i 20 ed i 30 minuti. Però il ragionamento importante da fare è che salvo eccezioni che confermano la regola, più ambizioni hanno le squadre meno chance ci sono per le nostre di giocare. Dopo le prime 4 si vede qualcosa di più, sono un po’ più protagoniste. Ma hanno la possibilità di fare il tiro della vittoria? O di fare la giocata decisiva negli ultimi 5 minuti della partita? E le giovani che vogliamo far crescere sono destinate a vedere le Coppe solo dalla panchina o potranno giocarle prima o poi anche nell’età della crescita?” Allora sulla base di queste risposte abbiamo dato

2000 ad oggi con tre o addirittura quattro straniere quante squadre sono state davvero competitive per la vittoria finale in Campionato, Coppa Italia e Supercoppa? Priolo, Comense, Parma, Taranto, Napoli, Lucca, Ragusa, Faenza, Ribera, Venezia, Schio: una super élite, ristrettissima. Perché vincere, come lo intendono le società, vuol dire arrivare “uno” come dicevano i ciclisti di quarant’anni fa. Un po’ poco per dire che la formula attuale sia vincente per tutte e fa bene a tutte.

Per chiudere Le Under 20 che giocano di più in A1 (dopo

15 giornate), per media minuti, sono: Panzera (‘02, Geas) 24.9; Madera (‘00, Lucca) 23.8; Natali (‘02, Vigarano) 22.6; Villa (‘04, Costa) 20.9; Gilli (‘02, Vigarano) 18.0; Spinelli (‘02, Costa) 17.7; Pastrello (‘01, Lucca) 16.1; Orsili (‘01, Lucca) 16.0; Mazza (‘01, Battipaglia) 15.4; Pasa (‘00, S. Martino) 15.3; Cremona (‘00, Battipaglia) 14.4; Toffolo (‘00, S. Martino) 12.4. Per Pastrello e Orsili purtroppo la stagione è già finita per infortuni al crociato. Bene, ora c’è tutto e il dibattito può iniziare. La rivoluzione si farà?


ALICE NORI IN MAGLIA BATTIPAGLIA, PER LEI 33,33MIN DI MEDIA A PARTITA. 2ª ITALIANA, 9ª ASSOLUTA.

7



numbers

FRANCESCA DOTTO

palmares carriera

TOP SCORE A1 ‘20

20 14 18

‘17

21

‘15

20 15 18

‘12

12

PUNTI tot. e perCENTUALI

3378

3

1

3

Scudetti

supercoppa

premio reverberi

2016/17 - Lucca 2017/18 - Schio 2018/19 - Schio

2017 - Schio 2018 - Schio 2019 - Schio

2014/15 miglior giocatrice

1

1

1

medaglia oro medaglia argento 2010 Europeo U18

COPPA ITALIA 2017/18 - Schio

2013 Europeo U20

carriera

PUNTI TOTALI DAL 2007 AD OGGI

S. MARTINO DI LUPARI

11,5%

NAZIONALE

08/09

34,6%

COLLEGE ITALIA

11/12

SAN MARTINO DI LUPARI

12/14

LUCCA esordio A1

14/15

REYER

15/17

LUCCA

REYER

SCHIO

6,4%

17,8% Numero di stagioni.

%: su totale punti.

miglior giocatrice

scudetto

RUOLO: playmaker

altezza: 1.70m

1

23 4

top score europei

mondiale U19

supercoppa (stagione in corso)

STATS STAGIONI a1

116

82,2

15

57

‘12

47

64

‘12

RIMBALZI TOT.

96

89 57

‘20

73 120 111

127

93 78 57

‘20

33

119

238 244

steals

101

86,5

85

ASSIST

391 361

248,5

Periodo considerato: 2012-2020 · In alto a destra: medie stagionali.

135 117

PUNTI

scudetto + coppa Italia + supercoppa scudetto + supercoppa

64 83 55

presenze

65

663 94

SCHIO

17/20

73

NAZIONALE

181 237 217

09/11

LUCCA

19,6%

‘12

SAN MARTINO DI LUPARI SAN MARTINO DI LUPARI

07/08

COLLEGE ITALIA

10,1%

punti

23

‘20

‘12

‘20 9


FRANCESCA ZARA È LA PREPARATRICE ATLETICA DI BRONI. EX GIOCATRICE AZZURRA, CREDE MOLTO NEL SUO LAVORO ISPIRANDOSI A DUE GRANDI PREPARATORI: ROBERTA FRANCHI ED ENNIO SABBADIN


focus

DIETRO LE QUINTE

SIAMO ABITUATI A CONOSCERE A MENADITO COACH E GIOCATRICI. MA COSA SAPPIAMO REALMENTE DI CHI SI TROVA DIETRO LE QUINTE? CHI SONO QUEI PROFESSIONISTI CHE SI OCCUPANO A 360° DELLA SQUADRA? ADDETTO STAMPA, DIRIGENTE E PREPARATORE ATLETICO QUELLE FIGURE CHE SI CONOSCONO MENO, MA TRA LE PIÙ IMPORTANTI

Di ALICE PEDRAZZI

Q

uel momento, quasi solenne, in cui tutto è pronto e nien-

te è cominciato. Quando l’arbitro alza la palla a due per la contesa iniziale che dà il via ad una partita, l’attimo è sospeso: se ci si fa caso, anche nei palazzetti più affollati e rumorosi, è come se ci fosse un istante di silenzio, quasi a sottolineare la solennità di quell’inizio. In quel frangente ognuno concentra il proprio sguardo – ed il conseguente pensiero – su un dettaglio, su uno dei protagonisti. Pensiamoci: c’è chi guarda i due giocatori piegati sulle gambe e pronti a saltare la contesa, chi il top player dell’una o dell’altra squadra, per scrutarne sensazioni ed emozioni, chi l’allenatore che dà le ultime indicazioni, chi si concentra sulla mano dell’arbitro tesa verso l’alto, con la palla pronta ad essere alzata. Poi c’è chi dedica il proprio lavoro quotidiano a far sì che quel momento possa realizzarsi, pur non essendo uno dei protagonisti che raccoglie sguardi o pensieri. Dai, siamo sinceri: chi in quel momento – o durante l’arco di una intera partita – pensa, ad esempio, all’ad-

detto stampa? O al dirigente accompagnatore? O ancora: al preparatore atletico?

È come quando a teatro si apre il sipario: chi pensa al tecni-

co delle luci o all’impresario che ha reso possibile la realizzazione dello spettacolo in quella sede? O alla sarta-costumista? È il duro, ma affascinante, lavoro di chi sta dietro le quinte. Una vera e propria filosofia di vita, pensandoci bene. È un modo d’essere, in realtà, che unito a competenze e passione, diventa professione. “Ogni tanto mi fermo a pensare a quale ruolo avrei potuto avere nella pallacanestro femminile, se avessi cercato più visibilità personale”, dice Francesco Forestan, Franz per tutti quelli che frequentano il mondo del basket donne, uno che ha trasformato, per esperienza e meriti sul campo, il suo nome in una definizione vivente di dirigente, perché lui, nel basket femminile è il dirigente per eccellenza: 3 anni nell’As Vicenza dell’indimenticato presidente Concato, poi 2 stagioni in A2 a Thiene, 12 intensi anni alla Reyer Venezia per arrivare


focus

MICHELE FARINACCIO È L’ADDETTO STAMPA DI RAGUSA. RAGUSANO DOC, È UN GIORNALISTA DALLA FORTE PASSIONE PER IL BASKET E DA UN PROFONDO SENSO DI APPARTENENZA ALLA SQUADRA. SI ISPIRA A FLAVIO TRANQUILLO.

a giorni più recenti, con i 2 anni da Team Manager a College Italia (nelle stagioni 2011-2012 e 2012-2013) ed alle collaborazioni, attuali, con il Settore Squadre Nazionali, per il quale svolge diverse funzioni, dal funzionario delegato per le nazionali giovanili, all’aiuto team manager e addetto ai materiali per la Nazionale A, accanto all’onnipresente e onnisciente Marco Gatta.

E invece no, quella visibilità non c’è stata, perché non ricerca-

ta. La differenza sta tutta qui, tra chi comprende a pieno il proprio ruolo e non solo lo interpreta, ma lo vive, sentendoselo addosso come una seconda pelle. “Il mio compito – prosegue Forestan, parlando come se fosse il “manuale del buon dirigente” – è quello di mettere tutte le altre componenti della squadra e della società nelle condizioni migliori per poter svolgere il proprio

lavoro senza dover dedicare energie e investire tempo nelle esigenze (o emergenze) quotidiane”. Già, perché a quelle ci pensa lui. Il dirigente a cui nessuno, probabilmente, guarda quando si sta alzando la palla a due o quando la sirena del 40esimo suona per sancire una vittoria, magari con titolo e trofeo inclusi, ma senza il cui lavoro nulla sarebbe stato possibile. O tutto molto più difficile. “La capacità di organizzare e organizzarsi, il cercare e trovare un collegamento costante tra staff squadra, l’essere il trait d’union tra la componente societaria e quella tecnica e saper intuire, prima che si manifestino, le problematiche”. Queste, secondo Forestan, le qualità fondamentali di un buon dirigente che, alla stregua di un buon padre di famiglia, deve gestire persone e situazioni, nel miglior modo possibile, dimostrando di essere – come si intuisce dalle sue parole


– anche una buona Cassandra. Un compito non banale, da svolgere sempre stando un passo indietro, perché le luci illuminano altri. “Le difficoltà maggiori – rivela Franz, anima per tanti anni del lato femminile di una società, l’Umana Reyer Venezia, capace di costruire una solida struttura societaria in grado di giocare ruoli di primissimo piano non solo nei due massimi campionati, maschile e femminile, ma anche nei due settori giovanili – sono legate alla necessità-capacità di essere utile a tutti, di trovare soluzioni che accontentino le varie componenti dello staff e della società ed alla non sempre facile gestione dei rapporti”. Le soddisfazioni, però, per chi dirigente sportivo lo è non solo sulla carta d’identità, ma nell’anima, non mancano: “La più bella, senza dubbio, è stata l’emozione dell’oro vinto con la nazionale U20 questa estate. Per come eravamo partiti

(con due sconfitte, ndr) e per la capacità di reazione che abbiamo avuto, mostrando maturità e consapevolezza, salire sul gradino più alto del podio a cantare l’Inno di Mameli è stata una emozione fortissima”. In pochi avranno incrociato il suo sguardo, ma quella vittoria – chi fa sport lo sa bene – è sua, anche “in nome e per conto” di tutti gli altri dirigenti, tanto quanto di chi sul campo ha fatto canestro o dalla panchina ha diretto le operazioni.

Conosce bene le sensazioni del campo, per essere stata una ex

grandissima giocatrice, ma oggi assapora quelle di chi sta, non dietro, ma accanto alle giocatrici, aiutandole a trovare la condizione fisica migliore per esprimere il proprio potenziale tecnico: Francesca Zara, ex azzurra dalle mille battaglie e tante vittorie, è oggi la preparatri-

13


focus ce atletica della Pallacanestro Broni ’93, attività che affianca a quella della palestra Top (Training to Optimize Performance) che gestisce a Pavia con Angela Scariato (altro grande personaggio del “dietro le quinte” del basket femminile, per anni fisioterapista di riferimento di società di A1 come Pavia, Magenta e Vittuone, ndr). “Quello del preparatore è un ruolo difficile e di grande responsabilità – racconta Zara, con il suo inconfondibile sorriso -, mi ispiro a due grandi maestri, come Roberta Franchi, che mi ha seguito durante tutta la carriera, aiutandomi a recuperare sin dal mio primo infortunio al ginocchio, e Ennio Sabbadin, storico preparatore veneto, con numerose esperienze anche in azzurro”. Il campo vissuto da protagonista certamente le dà una chiave di lettura in più, per entrare in empatia con le atlete di oggi e svolgere uno dei ruoli più delicati fra quelli che restano nell’ombra: “Sento forte la responsabilità nei confronti delle atlete – confida Zara – e ritengo fondamentale avere un rapporto collaborativo e di fiducia con lo staff tecnico. Solo così si possono gestire 12-15 persone con esigenze e problematiche differenti, con l’obiettivo di portarle allo stesso livello”. Un ruolo delicato, dunque, che però cela molte sod-

l’addetto stampa, bravo ad illuminare le figure delle protagoniste sul parquet, nascondendo nell’ombra la propria. Lo sa bene Michele Farinaccio, ragusano doc, un passato da giornalista per La Sicilia e dal 2013 addetto stampa della Virtus Eirene Ragusa, di cui dal 2016 fa anche le telecronache, prestando la sua voce al racconto delle gesta delle ragazze durante le partite casalinghe. “Tutto è iniziato – racconta Michele – in virtù di una grande passione, quella per la pallacanestro”. Già, la passione, la forza che muove (quasi) tutto. E poi gli esempi: “Flavio Tranquillo – confida Farinaccio - è il mio modello, certamente il giornalista di basket a cui provo ad ispirarmi”. Già, perché saper guardare in alto e trarre ispirazione è certamente una qualità importante per chi deve dare parola ad un racconto sportivo fatto di tante vittorie, certo, ma anche sconfitte. “Indubbiamente – prosegue Farinaccio - le qualità di un buon addetto stampa sono la competenza, il senso di appartenenza al gruppo-squadra e poi, come detto, la passione. Senza queste tre caratteristiche, non si può essere un buon comunicatore”. Perché raccontare gli altri non sempre è facile, anche quando, o forse soprattutto

IL MIO COMPITO È QUELLO DI METTERE TUTTE LE ALTRE COMPONENTI DELLA SQUADRA E DELLA SOCIETÀ NELLE CONDZIONI MIGLIORI PER POTER SVOLGERE IL PROPRIO LAVORO. FORESTAN disfazioni: “Vedere la squadra esprimersi ad alti livelli è molto gratificante”. Come segnare il tiro della vittoria? Impossibile, è ovvio, fare paragoni, ma le parole di Francesca trasudano passione ed una capacità non comune di passare dall’avere il palcoscenico tutto per sé, al preparare, in silenzio e con tanto lavoro, chi va in scena oggi: “Assistere al ritorno allo sport di una atleta che ha subìto un infortunio, conoscerne e guidarne i tanti piccoli passaggi e le conquiste quotidiane, è una emozione forte”. Essere stata atleta, indubbiamente agevola: “Certo, comprendo le loro paure”. Quelle che non ha avuto lei, guidata da passione e competenza, nello scegliere un ruolo delicato e, forse, poco celebrato. Ma i riconoscimenti, anche in poco tempo (ha iniziato solo dal 2015, anno in cui ha smesso i panni della giocatrice, ndr), non sono mancati: questa estate ha seguito, con il ruolo di Coach Development, in sinergia con il preparatore azzurro Matteo Panichi, la nazionale A durante gli Europei: “Mi sono dedicata all’integrare la parte fisica con quella tecnica. Un esempio concreto? Seguire, e migliorare, il lavoro dei piedi nell’arresto e tiro”. Tanta sostanza, poca apparenza.

All’apparenza invece, non propria, certo, ma delle atlete e

delle società, pensa un’altra figura da back-office:

quando, si sta “dentro” il gruppo: “Alle volte – confida l’addetto stampa ragusano – la difficoltà sta proprio qui: non sempre si può e si deve dire tutto ciò che si vorrebbe. Questa è la differenza principale tra fare informazione e fare comunicazione”. Travolgenti, però, le emozioni: “Senza dubbio – conclude Farinaccio – le due vittorie di Coppa Italia sono state un momento magico da raccontare, così come indimenticabile è stata gara 4 della prima finale scudetto, una emozione dolce-amara (Ragusa perse contro Schio il primo set-point casalingo per lo scudetto, ndr) che né io, nè l’intera città, dimenticheremo facilmente”.

La prossima volta, quando assisteremo alla palla a due, che

nel mondo dei canestri è il sipario che si apre sullo show che “must go on”, ricordiamoci di cercare, con lo sguardo ed il pensiero, il preparatore atletico seduto in fondo alla panchina, il dirigente, magari appollaiato accanto al cubo del cambio e l’addetto stampa, davanti al suo pc o con le cuffie per la telecronaca: troveremo nei loro occhi tutte le tensioni e le emozioni che solo il lavoro, quello fatto di impegno e passione, sanno suscitare. E l’umiltà, vera, di sapere che questo impegno non sarà mai illuminato dalle luci della ribalta, ma che senza, tutto sarebbe un po’ più complicato.


FRANCESCO FORESTAN È IL DIRIGENTE PER ECCELLENZA. FRANZ HA ALLE SPALLE 3 ANNI A VICENZA, 2 A THIENE, 12 ALLA REYER, 2 AL COLLEGE ITALIA. È IL FUNZIONARIO DELEGATO NAZIONALI GIOVANILI E AIUTO TEAM MANAGER PER LA NAZIONALE A.

15


DEBORA CARANGELO, CLASSE 1992, È NATA A MADDALONE (CE). NEL 2012-13 ARRIVA IN CASA REYER CONQUISTANDO L’ACCESSO IN A1, EUROCUP ED EUROLEGA.


cover story

CAZZIMMA DA VENDERE QUANDO LA GRINTA CHIAMA, E IL MOMENTO È TOPICO,

DEBORA CARANGELO È PRONTA A RISPONDERE RUGGENDO, SENZA SMETTERE MAI DI CREDERCI, ARRENDERSI E, SOPRATTUTTO, SORRIDERE

di CATERINA CAPARELLO

C

os’è la “cazzimma”? Non è una sensazione che si

può spiegare facilmente. È quel sentimento che parte dalla pancia, si irradia per tutto il corpo dalla testa alle dita dei piedi per poi mostrarsi negli occhi. E quando negli occhi appare la cazzimma, allora è il momento di farla uscire. Debora Carangelo ha la cazzimma e lo sa bene. Lo ha dimostrato in 8 anni di Reyer nel passaggio dall’A2 all’A1 (2012-13), ai quarti di finale di Eurocup 2018 con quei 4 punti (canestro da 3 e libero a 5 secondi dalla fine) che hanno catapultato la squadra, dopo semifinale e finale, in Eurolega e continua a farlo giorno per giorno, arrivando in Nazionale a vestire la maglia azzurra.

Jim Morrison diceva “Sii sempre come il mare che, in-

frangendosi contro gli scogli, trova sempre la forza di riprovarci”. Provare e riprovare è la strada giusta ed è così che Debora Carangelo, classe 1992 di Maddaloni (CE), vive la sua carriera cestistica sin

da quando era una bambina, accompagnata dalla mamma Maria a vedere il fratello gemello Gianni giocare con quella strana palla arancione.

Il mio amore per la pallacanestro è iniziato a 5 anni con

mia mamma Maria, lei è sempre stata un’appassionata senza aver mai giocato a basket. Seguivamo una squadra vicino casa nostra, assieme a lei, andavamo a vedere sempre le partite. Mia madre ha sempre pensato “quando avrò dei figli, almeno uno proverà questo sport”. Ecco, mio fratello gemello Gianni (in casa sono 4 fratelli ndr) ha cominciato a giocare prima di me. Io non ero affatto convinta ma, guardando per forza mio fratello, vedevo tutti questi bimbi che correvano e giocavano e mi è venuta voglia di provare, ho chiesto alla mamma, dopo solo una settimana, di poter provare e da lì non ho più smesso. Praticavo anche altri sport con la scuola, ma non ho mai saltato un allenamento di basket. Infatti ringrazio mia mamma e il mio gemello.


cover story

L’ AMORE PER IL BASKET NASCE GRAZIE ALLA MAMMA MARIA E AL FRATELLO GEMELLO GIANNI. L’ESPERIENZA LONTANA DALLA FAMIGLIA L’HA RESA PIÙ FORTE

Un percorso importante per Debora, quasi sui mattoni gial-

li verso il mondo di Oz, da Maddaloni, passando per Cervia e Faenza, alla Reyer Venezia dove ha incontrato persone che l’hanno sempre spinta ad andare avanti. I primi allenatori non si dimenticano anche se passano gli anni, perché sono loro a spingerti. Dopo il fallimento della società di Maddaloni, mi ritrovai a fare una scelta: rimanere a casa o buttarmi in una nuova esperienza lontana dalla famiglia e partire. Fortunatamente, ho avuto dei genitori che mi hanno supportata e che, soprattutto, credevano in me lasciandomi la libertà di scegliere. Da Maddaloni sono andata a Cervia e lì c’è stata la mia vera formazione in una città, che reputo ancora oggi nonostante io sia a Venezia da 8 anni, la mia seconda famiglia che

mi ha aiutata a crescere, perché era la fase dell’adolescenza. Un grazie anche a loro e a Lanfranco Giordano, il mio ex coach. Il sostegno fondamentale è quello della famiglia che non la lascia mai. Sì, siamo lontani ma quando possono mi vengono a trovare, inoltre il mio gemello abita vicino Crema e, quando gioco in Lombardia, mi viene sempre a vedere. I miei famigliari mi supportano tantissimo, devo ringraziarli perché senza di loro non so cosa farei.

Nella stagione 2012-2013 Carangelo cuor di leone veste la

maglia orogranata, che continua a indossare con il sorriso e la passione di chi vuole vincere per sé e


per la propria squadra. Come per Cervia, anche la Reyer è una famiglia importantissima. Ho sempre percepito la loro stima nei miei confronti. Non è facile rimanere in Reyer, e in una società in generale, per così tanto tempo. Ovviamente ho avuto degli alti e dei bassi, periodi no nella vita che, fortunatamente, si superano anche con l’aiuto di coloro che fanno parte della società. Io qui sto bene, è una grande famiglia, inserendo anche il reparto maschile. Ho iniziato il progetto dell’A2 mentre ero a Faenza, immediatamente mi ha chiamato la Reyer e ho subito detto di sì, perché è una squadra da sogno. Da 8 anni sono ancora qui e sono felice. Li ringrazio per avermi dato negli anni la possibilità di rimanere.

Dall’A2 all’A1, una crescita non solo personale ma anche

cestistica, il tutto mano nella mano proprio con la Reyer. È stato un crescere insieme, da qui ho visto passare tantissime giocatrici, tantissime amiche, perché c’è sempre in una squadra quella con cui vai più d’accordo. Ogni volta penso che se sono ancora qua ci sarà un perché, quindi il mio è davvero un percorso di crescita. Sono 3 anni che disputiamo un campionato europeo, abbiamo una doppia chances: la nostra è una vera e propria sfida. Infatti, poiché ci manca sempre un passo per l’obiettivo finale, spero prima o poi di portare un trionfo, di alzare una coppa perché il mio scopo adesso è quello. Dopo 8 anni hai voglia di vincere con una squadra con cui hai fatto l’impossibile e ogni anno una cosa diversa,

19


cover story combattere per un obiettivo poi arrivarci e non riuscire a raggiungerlo proprio quell’ultimo step, lì ti dà quel senso di amarezza. Debora ha ancora negli occhi, e nel cuore, quel momento topico della sua carriera: Eurocup 2018, quarti di finale contro il Mersin, 5 secondi dalla fine. Walker tenta il tiro ma la palla schizza sul ferro, rimbalzo di Riquna Williams che vede la numero 5 (e capitana di quell’anno) Carangelo chiamare la palla dal lato opposto con le braccia alzate. Debora non pensa, tira da tre e segna con fallo subìto. I 3 punti sono validi ma bisogna segnare il tiro libero dalla lunetta, è quello il punto che serve. Prima di prendere la palla per il libero, muove le mani e fa un giro su se stessa. La palla c’è e il canestro pure: semifinale, che poi si trasformerà in finale (persa), e infine Eurolega. Anche adesso mi stanno venendo i brividi nel raccontare. Penso che quella sia stata l’emozione più bella della mia vita. Ogni tanto mi ritorna in mente e non riesco a dire cos’ho provato se non un’emozione unica. In quel momento ero concentratissima, poi avevo la pressione e il peso addosso per il libero,

i giorni. Noi ce la siamo conquistata, è stata una bella vittoria visto che l’anno prima non eravamo riuscite nell’intento, ma ce lo eravamo poste come scopo. Infatti non abbiamo mai rinunciato ai nostri obiettivi e ci abbiamo creduto, ci siamo riuscite, felici e consapevoli del fatto che ci fossero squadre più forti. La Nazionale: prima una chimera e poi la realtà. La Nazionale è importante, è bella, è divertente. Indossare la maglia azzurra è sempre un piacere, tutti vorrebbero farlo. Io l’ho indossata nelle giovanili, ma quest’anno ho debuttato per la prima volta in Danimarca con la Nazionale maggiore; anche lì non ero mai riuscita a fare quel saltino in più e, quando ce l’ho fatta, è stata un’emozione. Ai raduni partecipano tutte, ma a giocare le partite ufficiali sono solo 12. Quando sono stata convocata e ho indossato quella maglia con il mio numero preferito (il 99 ndr) è stata un’emozione indescrivibile. È come se il cuore stesse piangendo, ma di gioia.

La forza viene dalle esperienze e dalle strade che si in-

traprendono senza paura. È importante trasmettere

IL MIO HASHTAG È “SORRIDERE CREDERCI SEMPRE ARRENDERSI MAI”, NONOSTANTE QUALCHE MOMENTO DI SCONFORTO, BISOGNA AVERE LA VOGLIA DI COMBATTERE PER QUALCOSA. perché ho pensato “se non segno il libero non ho fatto nulla”. Però dopo piangevo di gioia, sono stati i 5 secondi più belli e che ricorderò per sempre. Quel canestro ci ha dato la possibilità di arrivare in semifinale, peccato per la finale. Ci è mancato poco, ma giocare la finale in Turchia nel palazzetto del Galatasaray, con 8mila persone e 5 mila mani alzate da sembrare un lunghissimo muro, sono sensazioni che farà fatica a dimenticare, sono emozioni bellissime.

In Eurolega la differenza si sente, ma è comunque bellis-

simo. Dall’Eurocup all’Eurologa è la fisicità che la fa da padrone. In Eurolega puoi imparare qualcosa anche in una sola partita grazie alle avversarie. Quando abbiamo giocato contro l’Ekaterinburg ho pensato di avere la grande opportunità di poter giocare con avversarie davvero forti (molte dalla Wnba ndr) e per me è stato anche un onore poterci giocare contro. Tutte vorrebbero arrivare al punto più alto di un campionato e per noi è l’Eurolega e, nel momento in cui ci sei, ti senti onorata. Per questo bisogna ringraziare la società che ha permesso tutto questo, di giocare contro persone del genere e forti, non è da tutti

fiducia e sicurezza alle nuove generazioni, spingendole sempre avanti e mai indietro. Tutto dipende dalla voglia. Il mio consiglio è di andare via, di fare un’esperienza perché si cresce e si matura molto prima. Di non arrendersi alla prima delusione. Il mio hashtag è #sorriderecredercisemprearrendersimai, nonostante qualche momento di sconforto, aver la voglia di combattere per qualcosa. Porsi degli obiettivi, che si possono o non si possono raggiunge, perché alla fine siamo umani, però almeno la voglia e la forza di provarci. Il 10 febbraio Debora compirà 28 anni: desideri e cambiamenti. Il mio desiderio è quello di vincere qualcosa con la Reyer, portare qualche titolo e provarci per il 2020. Per me stessa, mi auguro di crescere perché non si smette mai di imparare. Imparare sempre, giorno dopo giorno, nonostante la stanchezza e il lavoro da fare. Sono una di quelle persone con la cazzimma, che non si arrende mai cercando di mettere cazzimma in qualsiasi cosa faccia. E poi mi auguro di stare bene anche fisicamente. Passione, sorriso e cazzimma, queste sono le caratteristiche del leone Debora Carangelo.


OROGRANATA DA 8 ANNI, DEBORA INDOSSA LA MAGLIA DELL’UMANA REYER VENEZIA. HA GIOCATO ANCHE A CERVIA E FAENZA. QUEST’ANNO VIAGGIA A 8.4 PT A PARTITA.

21


CHANGE THE GAME, PLAY WITH US.

@ruckerparkmilano

For you

Washington, 82 Milano call us at +39 02 4987460 or contact us at

www.ruckerparkmilano.com

XLCommunication

W


inside A2

Volate e fughe

TRIO AL COMANDO NEI DUE GIRONI: MONCALIERI, CREMA E ALPO AL NORD; LA SPEZIA, FAENZA E CAMPOBASSO AL SUD. DEFINITE LE 8 PER LA COPPA: CARUGATE LA SORPRESA. TANTO DA RACCONTARE FRA CANESTRI SULLA SIRENA, CAMBI D’ALLENATORE E PURTROPPO INFORTUNI

di manuel beck

S

i è giocato senza sosta in A2, sotto le festività e poi

per tutto gennaio. Splendida la serie di partite decise sulla sirena: l’ultimo episodio l’ha scritto la leggenda Ballardini con la pennellata vincente per Faenza nel big match con Campobasso. Bloccata la fuga delle molisane in testa al girone Sud, così come Moncalieri non è riuscita a fare il vuoto al Nord. È una triade a contendersi il potere in entrambi i gironi, con un netto divario sulla concorrenza, che però a sua volta dà vita a incertissime lotte per gli altri obiettivi: playoff, salvezza diretta, playout. A proposito di traguardi: eravamo rimasti, prima dell’ultimo turno di dicembre, con 3 posti ancora da assegnare per la Coppa Italia. Li hanno conquistati Faenza e Umbertide al Sud, Carugate al Nord. Il club della provincia milanese è la vera sorpresa: nell’incertezza alle spalle delle tre corazzate, la squadra di Cesari, scattata con pochi riflettori addosso, ha trovato più continuità della concorrenza.

Non sono mancati i cambi di allenatore (ci salutano due nomi importanti come Corno e Altobelli), né i soliti infortuni, di cui parliamo anche nel “Pink Mix” di questo numero. Al Sud, tra le variabili c’è anche il calendario doppiamente “zoppo”, cioè con due squadre a riposo ogni turno: nel periodo che qui riassumiamo c’è chi ha giocato 5 volte e chi solo due. Prima del dettaglio squadra per squadra, ecco le classifiche individuali a fine gennaio. Fra le marcatrici è balzata in vetta Sorrentino (Civitanova) con 18.4 di media, davanti a Villarruel (Marghera, 16.3) e Dzankic (Ponzano, 15.2). La rimbalzista principe è Cutrupi (Viterbo) con 13.4 a partita, davanti a Toffolo (S. Martino, 12.2) e Fabbri (Ariano, 11.5). Negli assist sempre in testa Porcu (Campobasso) con 5.7: seguono Melchiori (Crema) e Vespignani (Alpo), entrambe con 4.8. Nelle statistiche al tiro segnaliamo il 50% da 3 per De Pasquale (Valdarno) su quasi 4 tentativi a partita.


inside A2

al Nord // Crema ferma Moncalieri ma è battuta da Alpo. Milano mette la freccia sulle rivali nella lotta-playoff. Piace Mantova. Si sblocca Marghera ma è difficile risalire. Vicenza si separa da Aldo Corno Akronos Moncalieri (15 vinte-2 perse): inizia il 2020 dominando il derby con Castelnuovo (sugli scudi Katshitshi, ex di turno). Cade nella partitissima a Crema segnando appena 34 punti con 13/53 dal campo, ma poi strapazza Albino e Mantova (Trucco 15 punti) tornando in vetta da sola. Crema (14-3): espugna con autorità S. Martino (Melchiori 20 punti), poi fa 1-1 nei big match: si esalta con Moncalieri, 50-34 (Rizzi 12; vittoria consecutiva n°12), si ferma con Alpo dopo aver comandato nel 1° tempo (Melchiori 18); salva la differenza-canestri e il 2° posto. Chiude gennaio domando Albino. Ecodent Point Alpo (14-3): mese perfetto. Regola Sarcedo con agio (Granzotto 15 punti); evita la trappola a Milano con una rimonta coronata da un canestro “di rapina” di Vespignani (Reani 15). Poi piega Crema, che non perdeva da 3 mesi: 60-51 (Vespignani 7 punti con 14 rimbalzi e 8 assist), e Vicenza. Le vittorie di fila sono 7. Mapp Tools Carugate (11-5): dal dolore alla gioia. Perde con Castelnuovo (12 punti e 14 rimbalzi di Schieppati) e Gambarini s’infortuna al crociato. Reagisce qualificandosi alla Coppa Italia grazie al 58-49 su Ponzano (Maffenini 18): a pari punti con Bolzano la premia lo scontro diretto a favore. Ancora gran difesa nei successi su S. Martino (+19, Canova 20) e su Udine (Canova 15) che la tengono al 4° posto. Ha inserito la guardia Frustaci da Costa Masnaga. BC Bolzano (11-5): sfortunata nel mancare la Coppa Italia per scontro diretto a sfavore con Carugate, e nel perdere Mingardo per la stagione (crociato). Ma riparte inanellando un tris: +8 a Udine (Fall 13 punti), +1 su Ponzano con tripla decisiva di Valerio (15 per Nasraoui), +15 su Marghera (Trehub 17). Bene la difesa e l’alternanza di protagoniste. Autosped Castelnuovo (10-7): alti e bassi ma resta salda in zona-playoff. Batte Carugate, 68-61, (Bonvecchio 18 punti, Podrug 16 in 13’ prima di uscire per infortunio) ma non basta a qualificarsi per la Coppa. Travolta nel derby a Moncalieri: già -19 all’intervallo. In gran spolvero contro S. Martino: +25 in due quarti (Albano 18 con 32 di valutazione). Scivola a Marghera, poi si salva con Ponzano con due liberi di Podrug allo scadere: 58-57. Il Ponte Milano (9-8): grande ascesa: 4 vittorie su 5 gare, nonostante Cicic fuori o a mezzo servizio nel periodo in questione. Ora è settima e ha staccato le concorrenti. Espugna Marghera (Toffali 16 punti), fa +21 con Vicenza (Toffali 18). Accarezza l’impresa con Alpo ma sfuma in volata (Beretta 20). Si rifà sbancando Udine alla grande (+16, Beretta 21), poi gran difesa con Sarcedo (Toffali 14). Fanola S. Martino (7-9): chiude dicembre con un colpo in volata, 59-60, a Vicenza (Guarise 17 punti). Poi però 3

sconfitte, peraltro con squadre meglio piazzate: -9 con Crema (Amabiglia 14), -23 con Castelnuovo (ma mancava Toffolo oltre a Pasa già fuori da tempo), opaco anche il -19 con Carugate. Nulla di compromesso in classifica: resta in fondo alla zona-playoff. Sarcedo (7-10): gennaio senza vittorie: scivola ai margini della zona-playoff. Senza infamia né lode la sconfitta con Alpo (Shaw 12 punti), dietro la lavagna nel -16 con Albino (Viviani 18) e nella scivolata casalinga con Mantova all’overtime (Viviani 15). Non si sblocca a Milano, segnando solo 43 punti. È rientrata Santarelli. Fassi Albino (7-10): solo una vittoria ma non paga dazio in classifica. Cede nell’ultimo quarto con Udine (Grudzien 25 punti e 15 rimbalzi), domina lo scontro diretto con Sarcedo (Grudzien 15+12), si fa strapazzare da Moncalieri (-32) ma vende cara la pelle con Crema (Grudzien 19+13). Rientro progressivo delle giovani infortunate (Birolini, Gionchilie, Peracchi), prezioso per le rotazioni. Delser Udine (7-10): incostanza massima. Espugna il campo di Albino con uno scatto nell’ultimo quarto (Ianezic 17 punti), ma segna solo 47 punti con Bolzano (Turel 18). Si riscatta vincendo a Mantova di misura (Turel 14) ma “stecca” con Milano (-21 in 3 quarti; Vente 18 dopo 3 partite di assenza). In quel momento ha 4 vittorie esterne di fila ma 5 k.o. consecutivi in casa... Poi smarrisce il feeling con la trasferta, cedendo a Carugate. Eppure i playoff sono ancora alla portata. MantovAgricoltura (6-11): continua a “fare il suo”. Regola Marghera (Monica 22 punti), cede di misura con Udine (Monica 21), espugna Sarcedo all’overtime (Giordano 19), può far poco con Moncalieri. Grazie alle frenate di quelle davanti, è appena a 2 punti dalla zona-playoff. Ponzano (5-12): muove la classifica regolando Vicenza (Miccoli 17) ma è sfortunata nelle sconfitte all’ultimo secondo con Bolzano (Leonardi 15 punti) e Castelnuovo (Miccoli 14): vinte quelle partite, sarebbe vicina alla zona-playoff, così invece sembra destinata ai playout. Marghera (2-15): rompe il ghiaccio con le prime due vittorie, ottenute senza la top-scorer Villarruel: a Vicenza nello scontro “direttissimo” (Camporeale 17), poi gran colpo con Castelnuovo (62-54, Grattini 17). Anche 3 sconfitte: pesa quella con Mantova perché così la zona-playout resta lontana. Bene la crescita delle giovani. Velcofin Vicenza (1-16): servono miracoli. La sconfitta nella sfida cruciale con Marghera (nonostante 18 punti di Profaiser) chiude la gestione di Aldo Corno, che era subentrato a fine novembre senza però ottenere vittorie: panchina affidata a Claudio Rebellato, che ha iniziato perdendo con Ponzano e Alpo.


GIULIA MONICA DOPO AVER CONQUISTATO LA PROMOZIONE CON MANTOVA, PER LEI UNA STAGIONE DA PROTAGONISTA IN A2 CON 14.1 PT DI MEDIA A PARTITA

25


inside A2

CIVITANOVA GIULIA SORRENTINO (1998) A SX E ANNA PAOLETTI (2001) A DX. GIOVANE E PROLIFICA COPPIA DI ESTERNE DELLA FEBA. PER SORRENTINO 3 “TRENTELLI” NELLE ULTIME 5 USCITE.


Al Sud // doppia vittoria sul filo per Faenza. Percorso netto per La Spezia e una scatenata Nico. I colpi di Livorno, le difficoltà di Valdarno. Virtus Cagliari esulta nel derby ma il Cus resta la miglior sarda Crédit Agricole La Spezia (13 vinte-2 perse): tris per la vetta. Domina con la Virtus Cagliari (Sarni 15 punti +10 rimbalzi); poi passa con autorità a Selargius (Packovski 23) e nega la riscossa a Valdarno, domando la rimonta delle toscane (Templari 22). Il tutto con la consueta formula “poche ma ottime”. Dovrà confermarsi in febbraio con un calendario duro. La Molisana Campobasso (13-3): periodo intenso, con 3 vittorie ma anche 2 sconfitte che le fanno cedere il comando solitario. Stop interno con l’emergente Nico (Sanchez 15 punti), dominio a Viterbo (Masic 24) e con Civitanova (Masic 20), ok di misura in Valdarno (Marangoni 16), ma la supersfida a Faenza è persa sul filo (Mancinelli 13). E-Work Faenza (13-3): emerge bene da un ciclo di fuoco: 4 vinte su 5 e Coppa Italia centrata. Raid in Valdarno ribaltando il -11 del 1° quarto (Brunelli 19 punti); facile con Livorno (Soglia 19); esulta in volata nei big match con Umbertide, 68-67 (Brunelli 16; di Franceschelli l’ultimo canestro), sia con Campobasso, 57-56 grazie a un capolavoro di Ballardini allo scadere. In mezzo alle due vittorie-thrilling l’unico stop, ad Ariano, subendo 80 punti (Brunelli 18): interrotta una striscia di 11 vittorie. La Bottega del Tartufo Umbertide (10-5): conquista l’ultimo biglietto utile per la Coppa Italia, piegando Ariano, 71-66, nella sfida decisiva di fine andata (Giudice 16 punti + 11 rimbalzi). Cede di un’unghia a Faenza (Kotnis e Prosperi 15), mancando così il treno per le prime 3 posizioni. Domina con BasketLab. Ha perso Paolocci per la stagione (crociato). Nico Ponte Buggianese (10-6): grande ascesa: 5 su 5 nel periodo considerato, a partire dagli “scalpi nobili” di Campobasso (63-68 in trasferta, Pappalardo 19 punti, Perini 18) e Valderno (Pochobradska 13). Nel carniere infila anche BasketLab, Virtus Cagliari (Pappalardo 23) e di misura Selargius (Perini 19). Fin dove può arrivare? Intanto è tornata in organico Giglio Tos. Farmacia del Tricolle Ariano I. (9-6): perde il testa-a-testa con Umbertide che poteva valere la Coppa (Fabbri 15 punti + 11 rimbalzi). Reagisce alla grande stoppando Faenza con un poderoso 80-66 (Zanetti 21, Zitkova 19). Si conferma travolgendo la Virtus Cagliari in trasferta (Fabbri 18 + 11 rimbalzi). Ha ancora il 4° posto nel mirino. Cus Cagliari (8-7): solo due partite in gennaio, ambo perse; resta comunque in zona-playoff. Dolorosa sconfitta di un punto (Ljubenovic 11) nel derby con la Virtus, bis dell’andata: paga l’assenza di Striulli, ora tornata ma non ancora al meglio. Poi cede di misura a Civitanova (Puggioni e Ljubenovic 18). Ha inserito Francesca Mura da Selargius.

RR Retail S.G. Valdarno (7-9): 5 sconfitte di fila, separazioni dal “totem” Rosset e da coach Altobelli: tremendo inizio di 2020. In parte è colpa di un calendario micidiale: avversarie Faenza (perso di 5; De Pasquale 16 punti), la lanciata Nico (Missanelli 14), Campobasso (Missanelli 17), e da ultimo La Spezia, con l’ennesima sconfitta di misura dopo una rimonta da -15 (Missanelli 15). Il vero spreco è a Livorno, segnando appena 44 punti. La buona notizia è il debutto stagionale di Pieropan dopo il lungo infortunio. Obiettivo arrivare ai playoff e poi provare a risorgere. Selargius (7-9): alti e bassi, ma è ancora in piena corsa per i playoff. Batte Civitanova dopo un overtime (Pertile 18 punti), non riesce a bissare con Spezia (Pertile 19), fa bottino a Viterbo (Arioli 19), è rimontata e battuta nella ripresa dalla Nico (Mataloni 17). Fe.Ba. Civitanova (6-10): periodo difficile ma vede luce in fondo al tunnel. Cede all’overtime nello scontro diretto a Selargius nonostante 30 punti di Sorrentino. Trafitta in volata anche da Livorno (Bocola 15). Può far poco a Campobasso, ma strappa due punti d’oro con il Cus Cagliari: 74-70 (Sorrentino 32, Bocola 21). In arrivo l’argentina Perez per inseguire i playoff. Jolly Acli Livorno (5-10): ha preso le misure alla categoria e piazzato tre colpi risalendo la classifica, anche se resta difficile evitare i playout. Prova “difensiva”, 47-39, nello scontro diretto con Viterbo (Orsini 22 punti + 12 rimbalzi); batosta preventivabile a Faenza; impresa in volata a Civitanova (Tripalo 14) e con Valdarno (Orsini 20 + 19 rimbalzi), entrambe le volte di 2 punti. Virtus Surgical Cagliari (5-11): fa 3 su 3 nei derby stagionali piegando il Cus al fotofinish, 54-53 (Georgieva 22 e contropiede decisivo), nonostante l’uscita per infortunio di Brunetti, ora rientrata. Il resto però è sofferenza: sconfitte con Spezia, Nico e Ariano, peraltro tutte in preventivo, magari non così nettamente. Direzione playout. Belli 1967 Viterbo (3-12): perde lo scontro diretto con Livorno segnando solo 39 punti: non basta una rimonta da meno 20. Lascia strada a Campobasso (Stoichkova 14). Cala alla distanza con Selargius (Cutrupi 21 + 18 rimbalzi). Rischia di fare “en plein” di sconfitte partendo male con BasketLab, ma ribalta il risultato nel secondo tempo (Veinberga 20) e allontana l’ultimo posto. HighSchool BasketLab (0-16): dopo le sconfitte secche con Umbertide e (meno netta) con la Nico (Blasigh 18 punti), il team-laboratorio federale accarezza la prima vittoria nel derby laziale con Viterbo, chiudendo il 1° quarto sul 14-4; alla distanza però cede (Ronchi 17 punti, Rescifina 16). Avrà altre occasioni per concretizzare i progressi.

27


DEBORA VICENZOTTI, CLASSE 1989, È LA CAPITANA DELLA DELSER UDINE, SQUADRA CHE MILITA IN A2. È ARRIVATA NEL CLUB A 14 ANNI SOTTO L’EGIDA DI LEONARDO DE BIASE.


primo piano

PLAY, STUDY & WORK NON SERVE GIOCARE IN A1 PER ESSERE DAVVERO FELICI.

IL DURO MA GRATIFICANTE LAVORO, LO STUDIO E LA PASSIONE PER IL BASKET POSSONO RENDERE UNA PERSONA, COME DEBORA VICENZOTTI, GIÀ VINCENTE E QUINDI GRANDE.

Di FRANCESCO VELLUZZI

S

TUDIARE, GIOCARE, LAVORARE. STUDIARE, GIOCARE, LAVORARE

Debora Vicenzotti, 30 anni, è la capitana della Delser Udine di A2, è laureata in Economia aziendale, con specialistica in Management internazionale e ogni mattina alle 8 è in banca, nella sede della Deutsche Bank in centro a Udine, dove resta fino alle 17.30 circa. Prima di tornare a casa, preparare la borsa e corre all’allenamento. È una donna in carriera e una forte giocatrice di basket. Se la Lega annotasse qualche nome di alcune ragazze prodigio del movimento e le invitasse a un tavolo per elaborare un progetto di sviluppo e rinnovamento del settore, Vicenzotti non potrebbe mancare. In A2 per scelta e per amore. Di Udine. Anche se in A1 non avrebbe sfigurato e non sfigurerebbe di certo. È arrivata nel club che Leonardo De Biase dirige con competenza e passione smisurata, a 14 anni. “Forse la vera follia che ho fatto. Andar via di casa (Tamai-Brugnera nel pordenonese ndr) per giocare a pallacanestro”. Per una che non si è mai ubriacata, che ha sempre avuto

l’idea di studiare, giocare e lavorare, questa sì che è una follia. Sostenuta da due genitori stupendi, Gianluigi e Cristina, che per Debby o Debbina, come la chiamano le persone più care, insieme alla sorella più piccola (1997), Eleonora, appassionatissima di Nba, sono tutto. Gianluigi e Cristina sono insieme da una vita, mano nella mano, hanno anche lavorato insieme in fabbrica. Ma il vero amore di papà è stato il basket. “Era un lungo atipico, di 1,96. Ha giocato tra B e C, ma io non ho mai avuto la fortuna di vederlo giocare. Però l’ho visto arbitrare, l’attività che ha svolto dopo aver smesso di giocare. Ero sui campi, è stato naturale essere coinvolta in quel che poi è diventato l’amore anche per me. A 9-10 anni ho cominciato, ero Latina, 1,50. A Porcia c’era una squadra femminile, facevo il torneo Propaganda. Angelo e Annalisa sono stati i miei primi insegnanti. A 14 anni, nell’agosto del 2004, il grande passo. Mi trasferisco a Udine per giocare a basket. Mi voleva anche Napoli, scelsi Udine, un trasferimento più semplice. Facevo il liceo scientifico


primo piano

bilinguistico, inglese e tedesco. Vivevo in un monolocale con un’altra ragazza, ho imparato il friulano, ma anche a fare le lavatrici... La sera scongelavo le cose dal freezer che mi lasciava mia mamma. A16-17 ho imparato a fare davvero tutto. Ma a 15 anni avevo già debuttato in A2. Non avevo un talento enorme, ma un buon fisico e tanta voglia di impegnarmi. Ho lasciato Udine, soltanto una volta, nel 2008. Andai a Viterbo, il miraggio della A1, ma il club allenato da Claudio Agresti aveva enormi problemi economici. Sono rimasta un paio di mesi e poi sono andata a Broni. Un anno e basta fuori Udine. A Broni ho trovato una fa-

miglia, i tifosi che ormai tutti conoscono. Sono stata bene, Gregory, anima di questo gruppo di appassionati, ti aiuta in tutto. Lo ricordo ancora bene, è stata sicuramente una buona esperienza, formativa. Anche se poi sono voluta tornare nella mia Udine”.

NIENTE A1 Da Udine Debby non si è più mossa. Forse,

un giorno, si muoverà per fare una famiglia. Per ora gioca nel club che ama. “Non sono mai voluta andare in A1, forse proprio perché il mio sogno era quello di portare Udine in A1. È una società familiare che ha grandi valori e vive sul rispetto delle persone. È


DEBBY HA CONSEGUITO LA LAUREA IN MANAGEMENT INTERNAZIONALE E, OLTRE ALLA CARRIERA CESTISTICA, LAVORA ANCHE IN BANCA NELLA SEDE DI UDINE DELLA DEUTSCHE BANK.

un club in cui senti forte il senso di appartenenza, c’è meritocrazia. Ho creato le amicizie perché Patrizia De Gianni, che ora gioca ad Albino (è di Pasian di Prato a due passi da Udine ndr), e Sara De Biase, che ha smesso di giocare ma è ogni giorno con noi come fisioterapista e ora anche come assistant coach, sono amiche vere e importanti. Da 10-15 anni. Quella in cui sono dal 2004, è una società soltanto al femminile che ha trovato, peraltro, uno sponsor come Delser (azienda di biscotti ndr) che ha una filosofia aziendale improntata sul lavoro delle donne. Per questo motivo hanno deciso di seguirci con affet-

to e attenzione”. Debora Vicenzotti è la capitana del gruppo. “Ho imparato a farlo da Mita Giacomelli che è venuta prima di me e qualche volta viene ancora alle nostre partite. Credo di interpretare al meglio questo ruolo. Pretendo molto, ma lo faccio per le ragazze, per quelle più giovani che aspirano anche a un futuro più ambizioso. Io voglio bene alle mie compagne e penso che loro non mi disprezzino. Nella squadra attuale abbiamo individualità importanti, giovani che possono fare il grande passo. Giulia Ianezic (2000) è molto forte, ha talento e gran tiro, credo possa arrivare. Anna Turel, che è addirittura del 2002, lo stesso.

31


primo piano La squadra è buona, ma dovrà lottare per salvarsi. Ed è la prima volta che mi succede. Ma abbiamo perso a inizio stagione Eva Da Pozzo, una grossa perdita. Si è rotta al ginocchio. E abbiamo avuto fuori per un mese la nostra straniera, il pivot Liga Vente, boccata da una tendinite. Proveremo ad andare ancora ai playoff, ma stavolta è dura, rischiamo più i playout. Il gruppo è sempre buono. Abbiamo una tradizione, che cerchiamo di rispettare, e che credo serva tanto. Ogni giovedì ci riuniamo a casa di una compagna. Cuciniamo noi e vediamo una serie tv o un programma che piace a tutte. Qualche volta diversifichiamo e andiamo al cinema, ma stare almeno una sera a settimana tutte insieme credo sia bello e possa servire”. Debora è cresciuta da bambina con questa mentalità e la porta avanti. Il suo coach del cuore è Larry Abignente che continua a far bene a San Martino di Lupari dove, con una squadra costruita al risparmio, sta facendo un gran campionato. “Sì, è il tecnico che mi ha dato una certa impronta. Posso sicuramente definirlo come il più importante che ho avuto finora. È bravo tecnicamente e tatticamente, cura tutti gli aspetti, dalla difesa al fisico”. Vicenzotti ha sempre amato giocare da tre. “Il mio riferimento è sempre stata Chicca Macchi, la giocatrice che più ho ammirato. Tra le compagne, una straniera italo-americana, Francesca Vanin, un pivot davvero molto forte. Che poi non è andata in A1

anche con la pallacanestro, ma non è quello il mio pensiero. Amo ancora andare in palestra a fare pesi e all’allenamento al Benedetti dopo essere uscita da una lunga giornata di lavoro”. Giornata che per Debby comincia molto presto: “Sveglia alle 6 e mezzo. Colazione. Preparativi. Vado in banca a piedi. Mi hanno assunta nel 2016. C’era un solo posto, dopo tre colloqui mi hanno presa. E mi piace tanto perché amo il contatto con la gente, amo tenere le relazioni, vedere persone diverse. Sono nell’area consulenza, mi occupo dei clienti-investitori che stanno sotto i 500 mila euro. Voglio andare avanti. Non escludo neppure un trasferimento. Al lavoro sto bene, parlo con i colleghi, anche se non vengono a vedermi alle partite. A pranzo mangio spesso in ufficio. Mi preparo tutto io, di solito riso e verdure. Mangio tanto perché, poi devo allenarmi. Integro con una merenda in cui inserisco frutta e del cioccolato fondente. Poi vado a casa, mi cambio e vado ad allenarmi. Finisco tra le 22 e, talvolta, anche alle 23. Torno a casa stravolta, ma felice come una bambina di quel che faccio. La molla di tutto, anche se ogni giorno mi chiedo se lo voglio ancora fare. E, quando rientro, stanchissima, mi preparo da mangiare. Le verdure cotte non mancano mai, neppure la sera, aggiungo della carne, del pollo, della fesa di tacchino, o del pesce. Poi vado a letto e la mattina dopo si ricomincia. Dal lunedì al ve-

NON SONO MAI VOLUTA ANDARE IN A1, FORSE PROPRIO PERCHÉ IL MIO SOGNO ERA QUELLO DI PORTARE UDINE IN A1. È UNA SOCIETÀ FAMILIARE E MERITOCRATICA in Italia”. Le necessità di squadra però portano Debora a giocare ormai prevalentemente da 4. “Mi sono adattata. Sfrutto col mio metro e 82 i miei movimenti spalle a canestro. Ho sempre preferito penetrare che tirare da fuori. Un must il mio gioco spalle a canestro”. Sarà importante per salvarsi. “In torneo ci vedo favorita Moncalieri perché ha tutto: la squadra, la società, i soldi. Mi sembra davvero avanti alle altre. Anche se Crema e Alpo sono due ottime squadre”.

FUTURO Debora fa le sue previsioni su un campionato

che potrebbe anche essere l’ultimo per lei. Il lavoro è tanto e comincia a pesare. Il fidanzato non è vicinissimo. E l’idea di fare una famiglia c’è. “Penso eccome alla possibilità di diventare mamma. È una cosa che desidero”. È fidanzata da due anni. Ma la sua friulanità le fa tenere i sentimenti in una maniera molto molto riservata. “Giocare mi piace tantissimo. Il basket rimane la mia passione più grande. Non ho badato ai soldi nella vita, avrei potuto guadagnare qualcosa

nerdì è ovviamente così. Il sabato o la domenica si gioca. E cerco pure di andare a casa dai miei. Perché adoro stare con loro. D’altra parte il mio motto è stato sempre quello: studiare, giocare, lavorare”. Debora Vicenzottti lo ha interpretato sempre al meglio. Un esempio per chi vuol far conciliare la passione per lo sport con la responsabilità dello studio e il sogno di sviluppare una carriera. Le giovani che provano a diventare campionesse nel basket seguano la linea di Debby. Avranno soddisfazioni e glorie e sportive, ma potranno anche pensare a un ambizioso futuro. Senza tralasciare l’aspetto sentimentale. Che per Debora, oggi, vale quanto il basket e come il lavoro conquistato con lo studio e l’impegno alla Deutsche Bank. Insomma, avete conosciuto una ragazza modello. Della quale Gianluigi e Cristina possono andare fieri. E che il presidente Leonardo De Biase può mostrare con orgoglio a tutte le ragazzine che cominciano ad affacciarsi al vecchio Benedetti, in centro a Udine.


ALTA 1,82, VICENZOTTI AMA GIOCARE SPALLE A CANESTRO PREFERENDO LA PENETRAZIONE AL TIRO DA FUORI. LA SQUADRA È ORMAI UNA FAMIGLIA CON IL SOGNO DI ANDARE INSIEME IN A1.

33


ORIANA MILAZZO HA GIOCATO IN MAGLIA AZZURRA CON L’U18 E U20. TRA LE SQUADRE IN CUI HA MILITATO CI SONO PRIOLO, ALCAMO E POMEZIA.


altri mondi

LA LUCE DI ORIANA

NEL 2019 ORIANA MILAZZO, EX GIOCATRICE DI A1 E NAZIONALI GIOVANILI, DECIDE DI APPENDERE LA CASACCA DA BASKET PER PRENDERE

I VOTI PERPETUI E FAR PARTE DELLE CLARISSE DEL MONASTERO DI SANTA CHIARA AD ALCAMO, CON IL NOME DI SUOR CHIARA LUCE

Di CHIARA BORZÍ

“l

a pallacanestro è l’unico sport che tende al cielo”,

assicurava Bill Russell senza probabilmente immaginare come, anni dopo, una giocatrice italiana di pallacanestro avrebbe scelto di prendere le sue parole molto seriamente. Nella primavera del 2019 Oriana Milazzo, classe 1991, ex giocatrice della Nazionale U18 e U20, ex di Priolo, Alcamo e Pomezia, prendeva i voti perpetui entrando a far parte delle clarisse del Monastero di Santa Chiara ad Alcamo, diventando formalmente la prima cestista donna ad aver salutato la carriera professionistica in Italia per dedicarsi totalmente alla fede. Famiglia e amici più stretti erano a conoscenza della scelta di Oriana fin al giorno in cui, pochi mesi fa, il quotidiano cattolico Avvenire le ha riservato un’intervista che ha fatto il giro del web. In questo modo la notizia del suo addio alla pallacanestro per la clausura era davvero diventata ufficiale, nonostante il cammino verso la vita consacrata a Dio fosse iniziato almeno dieci anni prima e dentro il campo da basket.

VIVEVO LA VITA CHE DESIDERAVO, MA NON ERO FELICE “Ho iniziato

ad interrogarmi profondamente a 17 anni circa mentre ero a Priolo - spiega Oriana, oggi Suor Chiara Luce. Stavo per finire le scuole superiori ed era tempo di scelte, l’università o rimanere a Priolo. Mi sono interrogata. Giocare da professionista era quello che desideravo, ma ho iniziato a capire che questo non mi bastava. Vivevo un’insoddisfazione che non riuscivo a spiegare perché, per grazia di Dio, non mi mancava niente, eppure non ero felice. Non ero pianamente soddisfatta e ho iniziato ad aprire il cuore al Signore. A Priolo vicino il residence c’era vicina una chiesa in cui andavo nei momenti di maggiore nostalgia di casa (che ho lasciato a 13 anni) o di maggiore stanchezza per l’attività e in quei momenti sentivo vicino il sostegno del Signore. In quel periodo ho chiesto a lui cosa volesse da me, cosa aveva pensato per me. Chiedevo che me lo indicasse e in quell’anno e arrivata Alcamo, squadra a cui sono stata mandata in prestito in Serie A2. Lì attraverso una dirigente che frequentava il Monastero ne ho conosciuto la realtà ed


altri mondi è iniziato un periodo di travaglio. In quegli anni di crisi ho sentito poi il bisogno di fare qualcosa per gli altri, di donarmi per far avere Gesù agli altri”.

LA CHIAMATA NON ANNULLA IL PASSATO “Ho un ricordo bellis-

simo della pallacanestro e degli anni in cui ho giocato da professionista - spiega a cuore aperto Suor Chiara Luce - conservo nel cuore tutti i momenti e i ricordi legati alle compagne di squadra con le quali ho giocato con e contro e non ho dimenticato nulla. Sono ricordi per cui sono grata a Dio e che mi danno gioia, ma non li rimpiango perche oggi sono felice. Sono felice perche ho compreso cosa il Signore può fare quando entra nei cuori di ognuno”.

CAMPO E CONVENTO NON SONO POI COSI ESTRANEI! “La scoperta

che faccio di giorno in giorno è proprio questa! Alcuni elementi caratterizzanti della pallacanestro li sto ritrovando. Sono entrata nell’ordine di Santa Chiara, fondato da San Francesco D’Assisi, che è basato sulla povertà e la santa unità, la clausura e la dimensione fraterna. Cerchiamo unità, come in una squadra

ANEDDOTI DI BASKET IN MONASTERO “Durante la pausa capita anche di giocare a basket con le sorelle”, ci ha spiegato Suor Chiara, e se proviamo a farle notare che, visti i trascorsi, il confronto potrebbe essere impari lei risponde con una fragorosa risata: “Forse!”.

ORIANA VS ILARIA, CHI AVREBBE VINTO? “Non abbiamo mai gio-

cato insieme perché lei è arrivata a Priolo dopo di me, ma se avessimo giocato contro, avrebbe vinto lei - sorride Oriana – è un fenomeno!”. Ilaria è dunque l’unica delle sorelle Milazzo ancora in attività nel campionato di Serie A1 italiano. La sua carriera ha del sensazionale e ha lanciato chiari segnali fin dagli inizi. A 16 anni Santino Coppa la trascina in prima squadra e la fa esordire nella massima serie in uno degli anni più difficili della storia societaria. Ilaria lascia di stucco il PalaEnichem e, partita dopo partita, mostra alle avversarie il tipo di basket che sarebbe stata in grado di sviluppare. Priolo saluterà la serie A poco dopo, ma regalando al campionato di A1 una giocatrice formata per fare la differenza nella difficoltà. Arrivano per lei gli anni ad Umbertide,

VIVEVO UN’INSODDISFAZIONE CHE NON RIUSCIVO A SPIEGARE PERCHÉ, GRAZIE A DIO, NON MI MANCAVA NIENTE, EPPURE NON ERO FELICE che in questo caso è come una famiglia che segue il signore Gesù. Cerchiamo collaborazione nel rapporto con le sorelle, il sacrificio quotidiano, la fatica del lavoro. In convento siamo 12...”

ORIANA MILAZZO SCOPRE LA CHIAMATA DI DIO A 17 ANNI. I GIOVANI D’OGGI NON HANNO VALORI, REALTÀ O STEREOTIPO? “Non sono d accordo

sul generalizzare. Ognuno, ogni giovane ha una sua storia e generalizzare cosi non è corretto. Credo che i giovani siano poco sostenuti dal contesto familiare nel riscoprire i valori. Nel profondo del cuore di ogni essere umano c’è l’impronta divina, c’è un germe buono. I valori ci sono. Sta nel riscoprirli e farli riemergere. Aiuta il contesto sociale e familiare che spesso al momento è debole”.

ORA ET LABORA, MA IL BASKET E’ ANCORA UN ARGOMENTO “Grazie a

mia sorella Ilaria riesco a rimanere informata - spiega Suor Chiara - Entrando in monastero non ho dimenticato nessuno. Il mio dovere dinnanzi al Signore è ricordare tutte le persone che ho incontrato nel mio cammino e portarle dinnanzi a Gesù. Mi hanno dato tanto. Il cammino mi dà l’opportunità di fare qualcosa anche per loro. Continuo ad amare lo sport, amo la pallacanestro tantissimo, grazie ad Ilaria me ne sento ancora parte. Non ho nessun rimpianto. C’è dono in ognuno di noi”.

gli infortuni, voci che la vorrebbero profeta in patria nella sua Sicilia (anche grazie a prestazioni sempre straordinarie davanti al pubblico regionale), ma Ilaria Milazzo oggi e “semplicemente” la capitana della Iren Fixi Torino dopo tre stagioni in Piemonte. Con Oriana condivide la passione per il basket, ma anche la fiducia nella Fede. Un credo che interpreta come ritorno alla semplicità dei rapporti e nel vivere. Il rapporto con la sorella è cambiato diventando un “legame pieno” e la pallacanestro è ancora un argomento durante gli incontri in monastero.

IL CORAGGIO DI FIDARSI “Credo che la fede parta dalla sem-

plicità del cuore - spiega Ilaria Milazzo - Da un fidarsi senza pretese né preconcetti. La società odierna ci ha portati a prediligere la mentalità del “tutto e subito”, a confidare solo sulle nostre forze, a non accettare sconfitte o fallimenti. In questa concezione, credere in un Dio che apparentemente non ti parla, non ti ascolta, non si manifesta, anzi se ne sta in silenzio comporta uno sforzo, un andare contro corrente. Oggi manca forse questo coraggio di fidarsi e di ripartire dalla semplicità”.

LA SEPARAZIONE DA ORIANA NON ESCLUDE UN LEGAME FORTE “Oriana

mi ha insegnato a confidare in Gesù Cristo. E non lo ha fatto con parole o sermoni. Ma semplicemente


SUOR CHIARA LUCE, ENTRATA NELL’ORDINE DI SANTA CHIARA, SI TROVA IN UN CONVENTO DI CLAUSURA ASSIEME AD ALTRE 11 CONSORELLE.

37


altri mondi

ILARIA MILAZZO È LA SORELLA DI SUOR CHIARA LUCE. DAL 2017 GIOCA NELLA PALLACANESTRO TORINO IN A1. È MOLTO VICINA E FIERA DELLA SORELLA.

con il suo esempio di vita. Il nostro rapporto è molto maturato da quando è entrata in Monastero. Ogni qual volta ci vediamo, sappiamo che quello è un tempo pieno, di infinita condivisione e comunione. Il nostro è un legame che si rafforza sempre più ed in maniera autentica”.

CON GLI ALTRI TORNIAMO AIUTENTICI “Credo che al giorno d’og-

gi, più che i valori, si sia perso il desiderio far emergere l’autenticità che ognuno di noi ha e la bellezza che si porta con sé - spiega la capitana della Iren Fixi - questo genera un meccanismo di ricerca costante di un apprezzamento, di una pienezza nelle cose materiali, nelle persone, nel lavoro. Forse ha origine in età adolescenziale ma riguarda un po’ tutti, non solo i giovani”.


DA ORIANA A ILARIA, LA PALLACANESTRO HA SOLO PASSATO IL TESTIMONE

“Confermo che la pallacanestro è uno dei nostri argomenti - dichiara Ilaria - rimane sempre uno dei primi. È un amore che lei per prima mi ha trasmesso e che poi abbiamo sempre condiviso”. La fede in Dio è un elemento che caratterizza le sorelle Milazzo rappresentando nel contesto della pallacanestro femminile italiana un’eccezione ab-

bastanza evidente. Tuttavia non sono le sole: nel passato recenti altre giocatrici che hanno preso parte al campionato italiano hanno apertamente manifestato il proprio credo. Nel basket maschile e in altre discipline, le fede si è trasformata in un elemento aggregante tanto da dare vita ad associazioni presenti in tutto il mondo, specificatamente chiamate “Atleti di Cristo”.

39


CATARINA POLLINI, CLASSE 1966, È LA PRIMA ITALIANA NELLA CLASSIFICA DELLE REALIZZATRICI IN SERIE A. CON 8381 È TERZA DIETRO SOLAMENTE A LAWRENCE E COOPER. È STATA LA PRIMA ITALIANA A VINCERE UN TITOLO WNBA, NEL 1997 CON LE HOUSTON COMETS.


storie

INCHINIAMOCI ALLA ZARINA CATARINA POLLINI RIVIVE LA SUA MOSTRUOSA CARRIERA: “IL RICORDO PIÙ BELLO È LA PRIMA COPPA CAMPIONI VINTA, AVEVO 17 ANNI E PARTIMMO SOTTO 14-0...” E POI LA NAZIONALE, LA CLAMOROSA BATTAGLIA VINTA CONTRO LO SVINCOLO, LA MATERNITÀ… E UN CRUCCIO: “CHE RABBIA QUANDO NON DANNO LA PALLA ALLE LUNGHE!”

di GIULIA ARTURI

C

atarina Pollini, 53 anni, è la team manager dell’Ensina

Lugo, la squadra femminile di serie A (o meglio Liga) di Lugo, una città di poco meno di 100.000 abitanti, in Galizia, Nord della Spagna. La giornata tipo di Pollini è quella di tanti suoi colleghi: “Dopo la colazione e un caffè in compagnia, verso le 10, inizio la mia giornata lavorativa. Vado in ufficio (che è proprio di fianco alla palestra), oppure a seconda delle esigenze faccio qualche giro in città. Passo quasi sempre a vedere la fine dell’allenamento della mattina, alle 14, poi torno a casa. Ogni tanto mi tocca anche fare lavatrici di asciugamani, ma tutto sommato mi rilassa, almeno stacco un po’ (risata). Nel pomeriggio torno alla scrivania alle 18 e ci rimango fino a quando non finisce anche il secondo allenamento, poi cena verso le 22.30. Orari spagnoli”. In realtà, Cata, non è una team manager qualsiasi. La carriera da dirigente è la sua seconda vita, nella prima è stata una delle più forti, se non la più forte, giocatrice della storia della pallacanestro italiana. Se dietro alla

sua scrivania posizionassimo una bacheca per esporre tutti i suoi trofei, faremmo fatica a ritrovare Cata, nonostante il suo 1.93. Persino leggendo il solito, asettico elenco colpisce la sua grandezza: 12 scudetti (7 a Vicenza, 1 a Cesena, 4 a Como), 12 coppe dei Campioni (5 a Vicenza, 1 a Cesena, 1 a Como), 1 titolo WNBA nel 1997 con le Houston Comets, un argento agli europei di Brno del 1995. Nel 2000, a 34 anni, decise di cambiare aria, di andare all’estero, in Spagna; quello che doveva essere un breve cambio di prospettiva, si trasforma in un pezzo di vita lungo 20 anni. “È stata una scelta quasi casuale. Ad un certo punto della carriera volevo fare un’esperienza lontano dall’Italia. Quando arrivai, mia figlia era piccola e mi legai moltissimo alla famiglia che ci aveva adottato, ci fu un forte coinvolgimento emotivo. Lugo è una cittadina tranquilla, la gente è accogliente, e si mangia bene: con una figlia piccola e per giocare a basket era l’ideale. Magari tra qualche anno andrò via, ma la Spagna mi rimarrà comunque nel cuore. Figuriamoci poi mia figlia, cresciuta qua”.


storie POLLINI È SCESA IN CAMPO CON LA MAGLIA DELLA NAZIONALE 252 VOLTE, SEGNANDO 3903 PUNTI. HA PARTECIPATO A DUE OLIMPIADI (BARCELLONA 1992 E ATLANTA 1996).


Pari opportunità, professionismo, discriminazioni di genere: qualche anno dopo le iniziative di Mabel Bocchi, anche Pollini diventa, suo malgrado, portabandiera dei diritti delle donne atlete. A cavallo tra anni 90 e duemila, è infatti protagonista di una clamorosa controversia con le istituzioni sportive: Cata vuole giocare a Schio, ma la Comense non ha nessuna intenzione di cedere il suo gioiello. All’epoca esistono ancora i cartellini: inizia una lunga lotta per ottenere gli stessi diritti degli atleti uomini, ai quali era riconosciuto lo status dei professionisti e la libertà di non essere vincolati dal cartellino. Dopo un braccio di ferro estenuante, viene creata una regola ad hoc per lei: uno svincolo valido per atlete di oltre 33 anni con più di 200 presenze in Nazionale. Ma proprio grazie ai suoi sforzi, inizia a sgretolarsi l’istituto dello svincolo, che ora sopravvive soltanto a livello giovanile. “Giocare a Schio con un provvedimento creato apposta per me, non fu il massimo. Andammo a perorare la causa in ogni sede: giustizia sportiva, Pari Opportunità, Ministero del Lavoro. Ho sempre pensato fosse una battaglia giusta, molto al di là del mio caso specifico: il tema fondamentale erano e rimangono le pari opportunità. Perché

non funzionino bene a livello organizzativo. È diverso: preferivo lo stress del campo!”. A proposito di suggerimenti… “Sto abbastanza defilata. Abbiamo un allenatore e un vice che fanno bene il loro lavoro. Ogni tanto mi chiedono qualcosa, ma preferisco non mischiare i ruoli e stare nel mio”. Ti capita ancora di prendere in mano la palla? “Mi rifiuto, perché non riesco più a fare nulla. Fino a qualche anno fa era diverso, ma ora, cercare di fare le stesse cose di prima, senza poterci riuscire, mi fa solo arrabbiare (risata)”. Una dote che non deve mai mancare a una giocatrice dal punto di vista caratteriale? “Non deve arrendersi mai. Lottare sino all’ultimo anche quando sembra tutto perso. Come dicono qua: ‘no bajar los brazos’. Mai. Anche se fisicamente sei stanca, la vera forza è quella mentale”. Torniamo al passato. A 13 anni, mentre i tuoi coetanei

“No bajar los brazos’. Mai. Andare oltre la stanchezza fisica, la vera forza è quella mentale”. i maschi potevano svincolarsi e io no? Perché le società potevano fare quello che volevano di noi atlete? Ho seguito gli ultimi sviluppi in Italia: capisco che fare il passo verso il professionismo femminile sia difficile, in Spagna le giocatrici di Liga 1 sono considerate professioniste, quindi lavoratrici dipendenti a tutti gli effetti e so quanto sia difficile da sostenere, ma è importante che qualcosa cominci a muoversi e che si trovi un giusto compromesso per tutelare le atlete senza mandare in crisi il sistema”. In quei momenti avevi la sensazione di portare avanti una battaglia? “Un po’ sì, anche se in verità allora io mi sono sentita sola; non tanto perché le altre giocatrici non mi appoggiassero, ma perché c’era molta ignoranza: non era ancora iniziata una riflessione profonda su questi temi”. Questo altro modo di stare nel basket, di far parte dello staff, come lo vivi? La passione è la stessa? “Sono un po’ più distaccata. Non c’è solo il campo, ho molto altro lavoro da fare. Tutti mi dicono che dovrei allenare, ma non fa per me. Giocare era un’altra cosa: se fosse stato possibile lo avrei fatto tutta la vita! Nonostante i sacrifici, gli allenamenti, i dolori, non c’è gara: fare l’atleta è qualcosa di favoloso, non devi pensare a nient’altro che ad essere in forma e vincere la partita. Ora invece c’è sempre un po’ di stress, di preoccupazione che le cose

sono impegnati a crescere, tu sei già grande e inizi a giocare con le grandi. “Non avevo idea, questa è la verità (risata). Quando a 13 anni fui catapultata nella realtà di Vicenza non conoscevo quel mondo, a cui mi avvicinai più o meno per caso. Ho cominciato a 11 anni, relativamente tardi, e neanche sapevo esistesse una squadra di serie A. Avevo solo seguito l’esempio delle mie compagne di scuola. ‘Perché no’, risposi quando mi chiesero se volessi unirmi a loro. Così iniziai: mi divertivo, abbastanza inconsapevolmente. Quando mi dissero ‘ok, ora ti allenerai con la prima squadra’, iniziai a realizzare, anche se avevo solo 14 anni. E non era proprio una prima squadra qualunque, insomma era di un certo livello (risata). Per me non cambiò niente: mi continuava a piacere tantissimo allenarmi, amavo giocare”. Pollini sboccia come star ben prima dei 20 anni. Le prestazioni di questa ragazzina esile, talentuosissima e dominante, richiamano la figura di Caterina la Grande, imperatrice di Russia. Ed ecco che nasce il suo soprannome, la Zarina. “Ho avuto la fortuna di giocare in una squadra forte. Ci sono due facce della medaglia: le aspettative erano molto alte, ma in compenso avevo la sensazione che attorno a me ci fosse qualcuno sempre pronto ad aiutarmi. Wanda, Lidia, (Sandon e Gorlin, ndr) queste giocatrici, che potevano anche essere severe quando facevo un errore, allo

43


storie stesso tempo mi erano vicine: mi aiutavano, mi davano sicurezza, quando c’era tensione erano pronte ad allentarla. Questa sensazione di potersi affidare alla squadra era fondamentale, soprattutto quando ero più piccola. Gente singolarmente forte, che diventava formidabile come gruppo”. Si fa fatica addirittura a riassumere il numero dei titoli che hai vinto: c’è n’è uno per te indimenticabile? “La prima coppa dei Campioni. Incredibile. A Mestre, nel 1983, giocavamo praticamente in casa, avevo appena compiuto 17 anni. Palazzetto pieno, palla contesa, partiamo sotto 14-0. Un inizio terribile. La coppa, che allora era di legno, era su un tavolino a bordo campo, pronta per la premiazione. Dopo quei primi minuti l’ho vista lontana, lontanissima. Ma ci abbiamo creduto, abbiamo rimesso a posto le cose, e abbiamo vinto. Io ero una ragazzina, ero lì, ma quasi neanche ci credevo”. Hai giocato con le due squadre italiane più forti di ogni tempo, Vicenza e Como: in che cosa differivano? “Vicenza aveva un settore giovanile davvero incredibile. In quegli anni c’era un gruppo di giocatrici locali, vicentine e venete, le giovani forti che venivano tutte dal vivaio. Il gruppo di Vicenza era locale, questa era una grande peculiarità e forza, eravamo tutte di lì e cresciute lì. Sono anche i casi della vita: che tanti così grandi talenti nascessero nella stessa zona. A Como la squadra è stata più costruita”. Se n’è andato da poco Antonio Concato, il tuo presidente storico di Vicenza, il dirigente che ti ha lanciato: ce lo ricordi con un episodio? “Come non nominare la sua immancabile Coca-Cola. Quando eravamo giovani ci portava sempre a mangiare la pizza dopo le partite e dopo qualche allenamento. Il primo anno non avevamo neanche lo sponsor, ma disputammo un campionato incredibile. All’epoca c’erano la poole scudetto e la poole retrocessione, la squadra era giovane ma siamo comunque riusciti a salvarci giocando la poole scudetto. Era una persona unica”. Anche in Nazionale hai lasciato un segno impressionante: qual è stato il momento migliore è quello peggiore? “Indimenticabile l’argento di Brno. Anche se avremmo potuto provare a vincere l’oro. Ma la qualificazione all’Olimpiade era una cosa stratosferica, il grande sogno. Mondiali, Europei contano certo, ma i Giochi Olimpici sono un’altra emozione, un’altra dimensione. Ci allenava Riccardo Sales: era parte del gruppo, ci dava serenità e la capacità di stare bene insieme. Tra le sconfitte mi ricordo la seconda fase delle qualificazioni olimpiche in Malesia: passammo il primo turno giocando bene, ma la seconda fase fu una grande delusione”. Avevi i centimetri per giocare centro, ma ti sei sempre mossa da 4, se non da tre, quali erano i tuoi punti di forza in campo?

“La velocità e la rapidità. Ero leggera e potevo sfruttare queste caratteristiche soprattutto da 4. Da 3 non ho giocato tanto, anche se mi sarebbe piaciuto poterlo fare di più. Probabilmente mi mancavano un po’ il palleggio e il tiro dalla lunga distanza. Anche se devo dire che c’è stato un anno, qua a Lugo, dove ho iniziato a tirare anche da 3 con continuità! Mi divertiva giocare fuori! Mi sarebbe piaciuto soprattutto per la possibilità che si ha di passare la palla dentro, che sembra sempre un’impresa così difficile (risata). Non ero una grande passatrice, ma nel corso degli anni ho affinato anche questo fondamentale. Penso sia stato importante l’anno in cui sono stata in America, dove già giocavano con il pallone piccolo. Ho imparato a guardare i passaggi, e a trovare il giusto timing per realizzarli”. C’è qualcosa che ti infastidisce in particolare quando guardi le partite da spettatrice? “Proprio quando non si dà la palla alle lunghe. Prendono posizione, sono davanti, le piccole guardano, riguardano e poi la ripassano fuori. Caspita, dagliela (risata)! Poi può sempre tornare fuori! Intanto la difesa deve chiudersi e muoversi, un gioco dentro fuori aiuta e non poco”. Due nomi: Lidia Gorlin e Mara Fullin. Che ricordi hai di queste tue due compagne? “Lidia e Wanda Sandon erano le nostre ‘mamme’. Gorlin aveva un carattere molto forte, era capace di mandarti a quel paese, ma poi aveva sempre la parola giusta per rincuorarti, per darti una mano. Una grande guerriera, con un’enorme umanità, credeva nella squadra e sapeva di avere delle giovani che bisognava aiutare a crescere. Con Mara il rapporto era diverso: avevamo la stessa età e siamo cresciute insieme, quindi eravamo compagne in tante altre situazioni. Tra noi è nata un’amicizia che dura tuttora, nonostante due caratteri diversi”. La maternità in cosa ti ha cambiato? “Diventare mamma mi ha dato sicurezza: quando cresci una figlia ti rendi conto dell’importanza eccessiva che si è data a situazioni che non la meritavano. Mi sono sentita più ‘realizzata’, se così si può dire, e in pace con me stessa. Poi il fatto di essere madre e di tornare a giocare ai tempi era quasi impossibile. È difficile, perché devi avere una serie di appoggi per riuscirci, ma vedo che ora succede più di frequente”. Non ho fatto in tempo a vedere Pollini giocare, ma ho un ricordo personale che mi lega a lei giocatrice. Qualche anno fa, ad un camp estivo, organizzammo una partitella tra “vecchie glorie” e giovanissime. Quando una ragazzina malcapitata riuscì a beffarla con un passo e tiro, non sapeva a cosa andasse incontro: da quel momento, nonostante ormai si fosse ritirata da anni, Cata fece pesare tutta la sua classe, regalando un clinic di pallacanestro a partecipanti e spettatori. L’istinto della campionessa non si perde mai: quando nasci vincente, lo rimani per sempre.


HA GIOCATO A VICENZA (19791988), A CESENA (1988 -1994), A COMO (1994-1998). DOPO UN’ESPERIENZA A SCHIO, NEL 2000 SI TRASFERISCE A LUGO, DOVE INIZIERÀ POI LA SUA CARRIERA DA DIRIGENTE. NEL 2009, A 43 ANNI COMPIUTI, È TORNATA IN CAMPO 3 PARTITE PER AIUTARE LE SPAGNOLE A NON RETROCEDERE IN SERIE A2. MISSIONE COMPIUTA.

45


pink mix

serie A1 serie A1 INFORTUNi RAGUSA LEADER COPPA & MERCATO L’ECATOMBE Ragusa fa, disfa, rifà. Guadagnato il titolo d’inverno, la Passalacqua scivola a Bologna consegnando momentaneamente il primato a Schio, ma lo riconquista subito, battendo le tricolori (74-67) nella supersfida di fine gennaio. Le due “big” sono ora appaiate in testa, ma la squadra di Recupido ha il 2-0 negli scontri diretti. Il tutto senza Ibekwe, fuori da più di due mesi, ma con una stratosferica Hamby, che nelle ultime 4 partite ha quasi 25 punti e 13 rimbalzi di media. A 10 giornate dalla fine, con Ragusa e Schio appaiate e Venezia a soli 2 punti, la lotta-primato è ancora apertissima. Così come quella per il 4° posto tra S. Martino, Lucca e Geas; quella tra Empoli, Vigarano e Broni (più Palermo, risalita dal basso) per gli ultimi due biglietti-playoff; e quella tra Torino, Costa, Bologna e Battipaglia per evitare la retrocessione diretta.

STRATOSFERICA DEARICA HAMBY VIAGGIA A QUASI 25 PT E 13 RIMBALZI NELLE ULTIME 4 PARTITE. RAGUSA IN TESTA ALLA CLASSIFICA.

Con l’ultimo turno di andata si sono definite le 8 qualificate alla Coppa Italia di A1, che mantiene la formula delle Final Eight introdotta lo scorso anno. La delusa è Broni, punita dalla classifica avulsa sfavorevole con Empoli e Vigarano, a parità di punti: decisiva la vittoria delle toscane sul Geas. Si gioca a Lucca dal 2 al 4 aprile; così i quarti:: Ragusa-Vigarano, Schio-Empoli, Venezia-Sesto S.G., Lucca-S. Martino. Il mercato di gennaio ha portato due nuove straniere di spessore: i problemi alla schiena di DeShields hanno costretto Schio a ingaggiare la spagnola Rodriguez, che al debutto ha firmato 18 punti e nella partita seguente 33. Altrettanto bene si è presentata la statunitense-portoricana Gwathmey, inserita da S. Martino grazie all’italianizzazione a tutti gli effetti di Ostarello: la guardia con trascorsi Wnba ha segnato 20 punti contro il Geas all’esordio.

Sembra un bollettino di guerra, ma è l’elenco stagionale delle infortunate gravi. Nell’ultimo mese la lista s’è allungata con nuovi casi di crociato rotto: in A1 Orsili (Lucca), in A2 Mingardo (Bolzano), Gambarini (Carugate), Paolocci (Umbertide), Zucca (Cus Cagliari). Da aggiungere a un elenco già comprendente Crippa, Kacerik (per lei tendine d’Achille), Madonna, Pastrello, Favento. E non dimentichiamo Caterina Dotto, il cui infortunio risale all’autunno 2018, ma che da allora non è più scesa in campo con S. Martino, per un riacutizzarsi dei dolori al ginocchio dopo l’Europeo della scorsa estate con la maglia azzurra. Pur sapendo che “gli infortuni fanno parte del gioco”, come recita uno dei luoghi comuni in materia, la frequenza di quest’anno ci sembra anomala: siamo già in doppia cifra di casi in metà stagione. Difficile però trovare un fattore comune che spieghi perché.


pink mix

3x3 Coppe WNBA OPERAZIONE TOKYO SCHIO BEN MESSA DI Più PER LE ATLETE Entra nel vivo la preparazione al Preolimpico di 3x3, la specialità che debutta a cinque cerchi a Tokyo 2020. Dopo il primo raduno di gennaio con 12 giocatrici, Andrea Capobianco – subentrato ad Angela Adamoli nel ruolo di c.t. – ne ha scelte 8 per l’attività d’inizio febbraio (dal 4 al 9): raduno a Roma e torneo a Parigi. Le selezionate sono Andrè, Bestagno, Carangelo, Consolini, D’Alie, Filippi, Rulli e Trucco. Il campionato di A1 in quel weekend è fermo (il 18° turno si gioca infrasettimanale). Dal 18 al 22 marzo, l’Italia 3x3 volerà in India per conquistare il biglietto olimpico. Dovranno essere brave tutte le componenti (giocatrici, club, Federazione) nel gestire al meglio gli impegni sui due fronti: il sogno-Tokyo vale qualsiasi sforzo, ma le squadre di A1 che cederanno giocatrici alla causa rischiano di essere penalizzate in un momento cruciale della stagione.

A 2 giornate dalla fine della prima fase di Eurolega, buone possibilità di playoff per il Famila Schio, secondo nel suo girone, a pari punti con Lattes-Montpellier (7 vinte-5 perse), dietro solo al Fenerbahce di Zandalasini. Proprio nell’ultimo turno di gennaio il club turco s’è imposto sul parquet scledense: 54-75 con 22 punti dell’azzurra, che viaggia a 15.1 di media. Nel turno precedente, successo-chiave per Gruda (mvp assoluta di giornata) e compagne in casa di Lattes-Montpellier. Più indietro Venezia, quinta con 4 vinte-8 perse nell’altro girone; ma l’ultima vittoria in casa del Castors Braine mette la Reyer in posizione favorevole per conquistare uno dei due posti “di recupero” in EuroCup. La seconda coppa ha disputato il ritorno del 2° turno di playoff: qualificazione in carrozza (+30 nella doppia sfida contro il Besiktas) per il Flammes Carolo di Sottana.

A metà gennaio, la WNBA ha annunciato miglioramenti nelle condizioni lavorative delle atlete. Il nuovo contratto collettivo tra la lega e l’associazione giocatrici prevede un aumento complessivo del 53% per i compensi. Le “top players” potranno guadagnare oltre 500.000 dollari l’anno (più del triplo di adesso) e il salario medio salirà a quasi 130.000. Quello degli stipendi relativamente bassi, rispetto agli ingaggi garantiti da alcune realtà europee e asiatiche, era un problema annoso per la WNBA. Saranno inoltre introdotte varie forme di sostegno, sia economiche sia in servizi, per le giocatrici con figli, e varati corsi di formazione in vista delle carriere post-basket delle atlete. Tutti elementi significativi in un periodo in cui, anche in Italia, è forte la richiesta di passi avanti nei diritti delle donne-atlete.

TOP PERFORMANCE GRUDA ELETTA MIGLIOR GIOCATRICE DELL’11° TURNO DI EUROLEGA, SCHIO A UN PASSO DAI QUARTI DI FINALE.


HSBL

SOFIA VARALDI Di Giancarlo Migliola Sofia Varaldi? “È il bello della biomeccanica applicata al basket. Le sue leve sono “misteriose”, lunghe e utili al basket per viverlo quasi senza sforzo, con eleganza rara, nell’applicazione di certi fondamentali. E poi il teatro, la musica, la lettura per sostenere una mente non comune che ha solo bisogno di affiancare alla bellezza del gesto anche la consapevolezza dell’utilità di un tessuto ruvido, ma estremamente protettivo e funzionale, per realizzare il miglior abito di atleta e giocatrice. Sofy, ancor prima di essere prospetto, è progetto nel vero senso della parola: sono tappe lunghe che ha con convinzione nuova cominciato a raggiungere e man mano superare. Non le manca nulla se non il diritto al giusto tempo e agli stimoli più funzionali per arrivare ad essere una donna di quasi 190 centimetri che gioca a basket in ogni ruolo”. Le parole sono di Giovanni Lucchesi, che Sofia la allena già da tre anni. Giocatrice moderna, un prospetto eccezionale nel momento in cui affinerà il proprio bagaglio tecnico e inizierà a credere di più nelle proprie possibilità. L’abbiamo incrociata all’Acqua Acetosa, alla vigilia della sfida casalinga con Viterbo. Sofia, come ti sei avvicinata alla pallacanestro? Mio padre ci giocava quando era giovane e quando avevo 12 anni mi ha portato a fare una prova nella società Polismile di Moncalieri, riuscendo a farmi appassionare dopo qualche allenamento. Cosa ha in più la pallacanestro rispetto agli altri sport? Il basket è una continua sfida con me stessa oltre che con gli avversari, fisicamente e tecnicamente parlando, e come tale mi permette di crescere sotto vari punti di vista. Sei diventata una specialista difensiva, tante stoppate a partita... Semplicemente sfrutto i miei centimetri, la lunghezza delle mie braccia e cerco ogni volta di capire il tempo giusto per saltare. E ora, su cosa lavorare? Ora devo lavorare su molte cose, ma principalmente sul contenere difensivamente l’uno contro uno. Cosa ti chiede soprattutto coach Lucchesi? Di non rinunciare ad attaccare e prendermi dei tiri, di andare a rimbalzo offensivo, di contenere appunto l’uno contro uno e di credere di più in me stessa. Cosa vuol dire vivere all’Acqua Acetosa? Vuol dire maturare poiché si è lontani dalla famiglia: pur essendo comunque un ambiente protetto, ti permette di assumerti maggiori responsabilità individuali. In più puoi incontrare atleti famosi e di un certo livello. Una compagna di squadra alla quale sei molto legata e perché? Sono legata a tutte in modi belli e diversi, ma se devo fare un nome direi Arianna Arado. Siamo state compagne di stanza per molto tempo, condividendo momenti sia felici che non, che ci hanno permesso di conoscerci più a fondo.


SOFIA VARALDI, CLASSE 2003, È ALTA 1.85 E MILITA CON L’HSBL IN A2 CON UNA MEDIA DI 3.6 PT A PARTITA E 2,9 RB. SOGNA DI VESTIRE D’AZZURRO

Il tuo sogno è Azzurro? Sì. So che la strada è ancora lunga e che ho molte cose da migliorare ma comunque sì, il mio sogno è Azzurro. Quest’anno state affrontando il campionato di A2, sfida molto impegnativa. Come la vivi? Essendo una persona molto ansiosa, inizialmente vedevo solo le difficoltà dell’esperienza. Ora il timore c’è sempre, ma quando entro in campo cerco di dare tutta me stessa per diventare una giocatrice migliore.

49



Tirare le somme Di Linda Moranzoni - Team Psicosport® Terminato il girone di andata e iniziato il ritorno, per società, allenatori e giocatrici può essere fondamentale tirare le somme, vedere dove si è arrivati e soprattutto capire se si è sulla buona strada per arrivare all’obiettivo fissato all’inizio della stagione. Il campionato, che non si è mai fermato, entra sempre più nel vivo e non ci sono lunghe pause per ragionare su quanto fatto fino ad ora. Il modo più veloce e immediato per misurare i progressi potrebbe essere l’analisi delle statistiche, ma non sono mai i numeri a descrivere davvero l’evoluzione di una squadra e dei giocatori che ne fanno parte. All’inizio dell’anno sono stati fissati gli obiettivi che si volevano raggiungere, e adesso è un buon momento per tirare le somme. Un altro modo per misurare i progressi e fissare nuove mete, è utilizzare il Performance Profile. Questo strumento aiuta l’atleta, ma anche il coach, a migliorare e ottimizzare la propria capacità di formulare obiettivi, oltre che individuare a quale punto si trova sulla strada verso la propria condizione ideale. Al contrario delle statistiche, in questo caso è l’atleta a valutare se stesso: prima individua le caratteristiche tecniche, tattiche e mentali che ritiene fondamentali per il suo ruolo e poi auto valuta il suo stato attuale confrontandolo con quello ideale. Se nella compilazione viene coinvolto anche il coach, il profilo di prestazione diventa un’ottima occasione per confrontarsi con lo staff per capire cosa gli allenatori si aspettano dal giocatore. Insomma, uno spunto in più per fare due chiacchiere con il coach e trovare la quadra! In questa fase della stagione in cui è doveroso fare un bilancio in vista del rush finale di campionato e play off, il Performance Profile è un ottimo strumento per trovare nuovi stimoli e tenere alto il livello della prestazione. Utilizzato fin dall’inizio della stagione e ripetuto nel tempo, il Performance Profile aiuta gli atleti a capire cosa realmente serve loro per poter raggiungere la massima forma; mantiene alto il livello di motivazione perché consente di fare un bilancio e fissare ogni volta nuovi obiettivi; facilita la comunicazione con lo staff, ma allo stesso tempo fa in modo che l’atleta si senta responsabile dei propri progressi. Per compilare in modo efficace e costruttivo un Performance Profile affidatevi a un mental trainer: vi seguirà nel riconoscere gli aspetti fondamentali della disciplina e vi aiuterà a sviluppare una comunicazione efficace con il coach. In molti team è già una pratica consolidata, provateci!

Questa rubrica è tenuta da Psicosport, una realtà che utilizza la Positive Psychology con atleti e allenatori, dai settori giovanili all’alto livello agonistico, per rispondere alle principali criticità che si incontrano sul campo di gara e di allenamento, per migliorare performance individuali e ottimizzare il rendimento di squadra.

51


GUARDIA E LADRI

ANSIA DA LUNETTA Di Susanna Toffali Guardo il tabellone, che recita un inequivocabile 55 a 53 per le avversarie, con 35 secondi da giocare. Mi avvio verso la linea della carità con il medesimo entusiasmo della me liceale che il giorno dell’interrogazione di storia si presentava alla cattedra senza aver studiato: stessa incertezza nei movimenti, stesso sguardo rassegnato, stessi pensieri catastrofici. Il ventaglio di possibilità che mi si apre davanti per cercare di dribblare il beffardo destino è abbastanza variegato: fingo di svenire? Spero nell’arrivo di un meteorite? Aspetto un blackout generale che mi permetta di darmela a gambe levate? Purtroppo non succede nulla e, mentendo spudoratamente a me stessa, fingo di essere tranquilla. Sento dei simpaticissimi fischi di sottofondo, ma cerco di ritrovare la concentrazione osservandomi le scarpe che, come sempre, pestano la linea bianca. 1 metro e 73 di statura, 44 di piede: tutti i centimetri destinati in origine alla mia altezza sono finiti nei piedi, non c’è altra spiegazione... Mi sento decisamente affine a Pippo, l’amico di Topolino. All’improvviso mi carambola in mano un pallone, mentre un curioso signore vestito in grigio mi fa il segno della vittoria con le dita. No aspetta, indica un due. Ah già, i due tiri liberi! Sono ufficialmente nel mio peggior incubo. Sabato mattina, ore 8.50, squilla il telefono. Tiro un sospiro di sollievo, indecisa se maledire l’ennesimo call-center o ringraziarlo per aver interrotto un disastroso finale già scritto. Rispondo con le stesse capacità lessicali di Pingu, farfugliando un infantile ma sempreverde “La mamma non è in casa” e chiudo la chiamata prima ancora di ricevere il minimo feedback. Chissà come è finita poi, la partita. Potrei tornare a letto e provare a riaddormentarmi con la speranza di aver semplicemente “skippato” la parte preoccupante del sogno. Ciondolando nuovamente verso la camera mi cade l’occhio sul calendario appeso in soggiorno, più precisamente sulla casella evidenziata in arancione di oggi, che può indicare una sola cosa: gameday! Mentre cerco di ricordarmi l’odierna squadra avversaria sento come una morsa allo stomaco, che da famelico individuo quale sono interpreto come semplice appetito. Decido di rinunciare al doppio avvitamento carpiato verso il piumone per andare a fare colazione, ma quando entro in cucina la trovo lì ad aspettarmi, mattiniera, mentre inzuppa le macine nel caffelatte: l’ansia pre-partita. Diamine, ma sono le 9.30, non è possibile che sia già qui! La verità è che all’ansia pre-partita non importa chi sei, da dove vieni, quale sia la tua religione o il tuo status sociale. Non importa se sei un pivot bonsai con più falli antisportivi che punti nelle mani o un playmaker di due metri con la coordinazione di un cerbiatto appena nato. Non importa se le tue ambizioni siano di livello “finale di playoff” o “torneo 3vs3 della sagra dello stracotto d’asino”. Lei c’è, è presente, e ti accompagnerà per tutto il corso della tua vita cestistica, senza se e senza ma. Dal primo (e ultimo) terzo tempo di sinistro nella categoria esordienti al primo (e sicuramente non ultimo) airball durante il timido esordio fra i grandi. Dalla prima trasferta lunga, a 120 chilometri da casa, in cui ti sei puntualmente dimenticata la carta d’identità, ai primi insulti dell’allenatore, proprio per questo motivo. Non c’è alcun modo di eliminarla, boicottarla o far finta che non esista. Tanto vale imparare a conviverci. Decido di affrontarla diversamente e, al posto di brontolare come di consuetudine, mi siedo al tavolo ed inizio a tuffare le macine nel caffelatte. Alzo lo sguardo: 55 pari. Ancora 35 secondi di gioco. Sono talmente incredula che mi viene quasi da ridere. Scuoto la testa e non torno nemmeno in difesa, tanto sta già suonando la sveglia.


ANSIA? 55 PARI. ANCORA 35 SECONDI SUL TABELLONE, SUSANNA TOFFALI IN LUNETTA. COME SARÀ FINITA?

53


http://www.pinkbasket.it


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.