editoriale
NEMICHE/AMICHE di silvia gottardi
La finale dei mondiali di volley l’hanno vista ben 6,3 milioni di telespettatori per un vertiginoso share del 36,1%. Nell’ultimo set c’è stato addirittura un picco di 8 milioni col 43,1%. Praticamente tutta Italia l’ha vista. Eh sì, anche io, perché quando una squadra azzurra gioca una finale mondiale va guardata e va tifata. Ma mi permetterete di essere onesta: ho rosicato non poco pensando che noi ad un mondiale non ci andiamo da ben 24 anni (Australia 1994). Nel frattempo è successo che il basket è stato scalzato dall’essere lo sport per le donne italiane, come era invece qualche decennio fa, e lo è diventato la pallavolo. Il numero di tesserate non lascia via di scampo: circa 300.000 per il volley, solo più o meno un decimo le cestiste. Ma cos’è successo, com’è potuto accadere? Questo dato è ancora più strano se si pensa che all’estero, ad esempio in Spagna, Francia o Turchia, il rapporto è esattamente inverso, con le cestiste in numero molto maggiore. E allora? Non mi soffermerò a discutere sulla bellezza del gioco, perché ovviamente sono di parte. Sono i risultati a far innamorare il pubblico: il volley li ha avuti e continua ad averli, mentre noi ricordiamo con nostalgia quel podio agli Europei del 1995. I risultati portano le bambine in palestra, ma poi bisogna anche essere bravi a tenersele: il volley è stato più abile ad entrare nelle scuole, sicuramente aiutato dal fatto che si tratta di uno sport più facile. È migliore anche la comunicazione: loro vanno in chiaro sulla Rai e hanno i paginoni sui giornali, noi siamo segregati su tv e web tv a pagamento, e gli spazi sui media dobbiamo quasi sempre comprarceli. Che ci sia una partita a settimana su Sportitalia lo sanno, ahimè, solo gli addetti ai lavori, anche se i dati di audience pare siano in aumento. E poi c’è la rete più bassa, che rende il gioco più accessibile a tutte e più spettacolare per chi lo guarda. Noi invece ci ostiniamo con i 3,05 metri degli uomini, manco fossimo tutte Brittney Griner! È un circolo virtuoso: più vinci, più hai visibilità, più trovi sponsor, più puoi investire, più ragazzine giocano, più campionesse nascono; più vinci, più attiri il pubblico e così via. Insomma, credo non ci sia da stupirsi per i numeri del volley: loro hanno sicuramente lavorato meglio di noi negli ultimi 20 anni, e sono stati forse anche aiutati dall’idea antiquata, e tutta italiana, di femminilità, per cui la donna deve essere aggraziata e sexy anche quando fa sport. “Mannaggia, ma questa Egonu non poteva giocare a basket?” mi sono detta guardando la finale, poi però mi sono consolata pensando che anche noi abbiamo la nostra stella, Zandalasini, un bell’entusiasmo che gira attorno alla nostra Nazionale, e un’attenzione crescente da parte della Federazione che finalmente pare essersi accorta anche delle donne e sta proponendo iniziative interessanti. Certo ci vogliono tempo e ancora tanto lavoro; non c’è mai una sola soluzione a una crisi, e sicuramente non può essere immediata. Credo piuttosto che servano investimenti mirati (comunicazione, reclutamento, dispersione atlete ecc.) e soprattutto un gruppo di lavoro dedicato che non improvvisi niente, ma pianifichi il lavoro nel tempo. Se poi si riuscisse anche a rendere la classe dirigente più pink coinvolgendo qualche atleta o ex atleta, non sarebbe niente male!
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