locali, quali il Prefetto di Treviso e i Reali Carabinieri, su cittadini di nazionalità italiana, fu un’attività dalle conseguenze ampiamente lesive dei diritti di libertà personali. Detto ciò, la situazione si rivelò essere ancora più grave per tutti quegli stranieri residenti in Italia che, soprattutto se di lingua tedesca, venivano automaticamente bollati – sia dalle autorità che si occupavano della pubblica sicurezza, che dalla popolazione – come spie.
2.2. Sorveglianza e indagini su persone sospette: i sudditi di Paesi nemici Sin dall’inizio del conflitto, l’internamento e l’espulsione dei cittadini di Stati nemici furono provvedimenti generalmente adottati come misura di sorveglianza contro lo spionaggio internazionale e che costituirono la norma per tutti i paesi belligeranti, Italia inclusa. In mancanza di una legislazione che ne regolasse l’attuazione, ogni paese seguì norme specifiche, le quali risultarono comunque essere in larga parte condivise: «dall’espulsione dei cittadini stranieri nemici che non fossero in età di richiamo al fronte, alla restrizione della loro mobilità, alla privazione dei diritti di disporre dei propri beni e di mantenere la nazionalità acquisita, alla possibilità di essere internati in campi appositamente creati o nelle isole»47. Il nostro Paese, tuttavia, si contraddistinse per una precoce e violenta propaganda contro il «nemico interno» e per il fatto che le espulsioni, gli espropri e gli internamenti a cui furono sottoposti i sudditi di Stati nemici vennero effettuati senza che alcun organismo governativo o comitato si preoccupasse di vigilare che i loro diritti, se non come cittadini, almeno come persone, non venissero calpestati. Nella specifica realtà che qui viene presa in considerazione, rappresentata da Treviso e dalla sua provincia, non si ebbero però, da quello che si può evincere dai documenti d’archivio disponibili, 47
Giovanna Procacci, Le limitazioni dei diritti di libertà nello stato liberale…, cit., p. 635.
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