3. DISFATTISTI, PACIFISTI, AUSTRIACANTI: IL CLERO TREVIGIANO NELL’ULTIMO ANNO DI GUERRA
Il Veneto, al momento dell’entrata in guerra dell’Italia, si presentava come una regione prevalentemente rurale, nella quale le varie diocesi1 e le numerose parrocchie di loro competenza vi si inserivano quali strutture portanti della vita sociale locale. In questo contesto, da non sottovalutare è la figura del parroco, la quale va considerata come una dalle le autorità che più poteva influenzare le masse, specialmente quelle contadine: A questo proposito si può senz’altro affermare che nell’Italia del 1915 il clero aveva un’importantissima funzione di tramite, rappresentando talora […] l’unico mezzo attraverso il quale larghe fette di popolazione prendevano coscienza del significato e delle implicazioni della partecipazione italiana al conflitto mondiale2.
Gli organi governativi – militari e civili –, sia a livello nazionale che a livello locale, erano ben consapevoli di questo ruolo svolto dal clero, il quale era nella condizione di poter influire sull’orientamento di pensiero di una buona parte dell’opinione pubblica. L’ascendente che i parroci avevano sui propri parrocchiani poteva essere però considerato anche come vantaggioso, secondo il governo, in quanto ottimo veicolo per la propaganda patriottica e di resistenza interna. A questo riguardo, una lettera inviata nell’aprile del 1918 dal Ministero dell’Interno ai Prefetti, ricordava loro «l’importanza di una più intensa propaganda fra le popolazioni rurali, per rafforzarne lo
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Undici erano all’epoca le diocesi del Veneto: Adria, Belluno-Feltre, Ceneda (Vittorio Veneto), Chioggia, Concordia, Padova, Treviso, Udine, Venezia, Verona, Vicenza 2 Luigi Bruti Liberati, Il clero italiano nella grande guerra, Roma, Editori riuniti, 1982, p. 11.
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