Riunioni digitali al tempo di Covid-19
Siate pronti
Capo informato mezzo salvato, consigli per capi responsabili
Esclusivo: Intervista di saluto al Cardinale Angelo Bagnasco
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Poste Italiane spa - Spedizione in A.P. DL 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1 comma 2 DCB Genova N° 51/anno X - Luglio 2020
SIL online!
Editoriale Pag. 3 Siate pronti
Messaggio del Comitato Regionale pag. 4 "Vegliate, dunque, perchè non sapete nè il giorno nè l'ora"
Zoom Liguria pag. 8 Aperto per lockdown
pag. 10 Cari "servitori"
Fare Scautismo pag. 12 Come faremo le nostre tane oggi?
pag. 15 Genitori e Capi: ESTOTE PARATI!
pag. 17 Mi sentite? Io vi ascolto.
Intervista pag. 19 Intervista al Cardinale Bagnasco
Capo informato mezzo salvato pag. 26 L'angolo del diritto
pag. 28 Prevedere e prevenire, una sfida esecutiva
Arte, Scout e Rock&Roll pag. 31 A Hidden life di Terence Malick
Spiritualità Scout pag. 33 Fede e distanziamento sociale
pg. 35 Diamo i numeri (Ovvero i simboli 2^ parte)
Scautismo in Liguria - La redazione Periodico di proprietà dell’Agesci Liguria Vico Falamonica 1/10 16123 Genova Tel. 010.236.20.08 Aut. del Tribunale n. 23 del 5 novembre 2004 Direttore Responsabile: Giuseppe Viscardi Direttore: Francesco Bavassano Redazione: Carlo Barbagelata, Stefano Barberis, Daniele Boeri, Andrea Borneto, Stefano Cavassa, Giorgio Costa, Stefania Dodero, Doris Fresco, Amelia Moro.
Hanno collaborato: ConCa Savona 7, Don Giovanni Benvenuto, Incaricati Branca L/C, Lorenzo Calvi, Pattuglia PC, Marco Scarfò. Impaginazione: www.gooocom.it Stampa: Pixartprinting Spa Finito di impaginare il 31 luglio 2020 La tiratura di questo numero é stata di 1300 copie. Comunicazioni, articoli, foto e altro vanno inviati all'indirizzo stampa@liguria.agesci.it
editoriale Ci abbiamo provato, abbiamo dovuto adattarci velocemente, più volte e, tutto sommato, non è andata male. Non è stato però tutto rose e fiori: alcuni capi e tanti ragazzi hanno avuto difficoltà a connettersi in questo modo: chi era più fragile non ha certo beneficiato di questo ulteriore filtro tra sé e gli altri.
Ci preoccupavamo delle nostre piccole o grandi sfide quotidiane, immersi placidamente nella tarda adolescenza della società digitale. Ecco, all’inizio del 2020, un piccolo virus supera la distanza di sicurezza che normalmente ci separa dagli eventi epocali. Altri virus sono stati una notizia al tg, altrove, non roba nostra, una bolla mediatica.
Ci sono due piani: la separazione che abbiamo vissuto fino a poco tempo fa e la proposta educativa che faremo nel prossimo futuro. In questo numero parleremo di entrambe: racconteremo della fantasia di Capi e ragazzi liguri nel mantenere vive le relazioni comunitarie e educative, il servizio e quell’intangibile essere scout a cui ci siamo aggrappati. Daremo anche voce ad alcune semplici riflessioni su cosa possiamo trarre per il futuro da ciò che abbiamo visto finora.
Covid-19 invece ci è piombato addosso e ha purtroppo connesso il mondo in modo del tutto analogico se guardiamo al dramma delle tante vittime, allo sforzo dei sanitari, alla vita quotidiana da quarantena che riscopre la farina e la lentezza delle relazioni. Tuttavia, questa emergenza ha dato una sferzata alla società che potrebbe significare non solo una pesante crisi economica ma anche un’accelerazione della rivoluzione antropologica in corso. Il mondo moderno, globalizzato e digitale, ha mostrato tutta la sua fragilità: sono state messe ulteriormente in crisi le sue potenzialità solo apparentemente smisurate. Le primissime parole di un documento sul tema della Pastorale Giovanile nazionale sono state: forse non è un azzardo affermare che il nuovo secolo inizia adesso.
Chiaro, non sappiamo come andrà a finire ma interrogarsi è naturale. Il lungo punto della Strada che abbiamo vissuto, circondati da una nebbia ostile, ha sicuramente stimolato il pensiero e l’azione di tutti i nostri gruppi. Quando questo numero arriverà nelle case saranno per alcuni in corso le attività estive, al posto dei campi cui tanti gruppi hanno rinunciato. Queste sono state il punto interrogativo più recente ma non l’ultimo. La società post-Covid-19 avrà ancor più bisogno della proposta educativa scout, è il momento di essere pronti.
Abbiamo vissuto questi mesi tra il “sanno obbedire”, il “sorridono e cantano nelle difficoltà” e il “si rendono utili”. C’è stata una risposta massiccia, ci siamo rimboccati le maniche tuffandoci istantaneamente nel mondo delle videoconferenze; molti gruppi ne hanno approfittato per ri-progettarsi.
Buona lettura, Francesco 3
Keywords: regione, attualità
Siate pronti.
Messaggio del Comitato Regionale
A cura del Comitato Regionale
“Vegliate, dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora”
Keywords: regione, gruppi, attualità
(Mt 25,13)
Queste parole del Vangelo di Matteo sono risuonate spesso nelle nostre teste negli scorsi mesi; le avevamo già usate in diverse attività con i nostri ragazzi, tra di noi capi: attività sul valore del progettare, sul perché nel nostro metodo si parta proprio da lì… dall’essere pronti. Di colpo abbiamo scoperto - nello smarrimento più profondo di questi mesi - che non eravamo pronti all’esperienza che abbiamo dovuto affrontare e che siamo stati travolti da un’onda così forte che tutt’ora non capiamo bene come rialzarci e se siamo ancora tutti interi. Ciascuno di noi ha provato sensazioni di smarrimento, il senso di abbandono dalle nostre certezze, il ritrovarsi su una strada che non sapevamo nemmeno dove ci portasse; mai come in questo momento abbiamo sentito che la condivisione e il cercare un bene comune fosse la cosa che
più ci illuminava e dava forza per affrontare le difficoltà. Pur nella radicale differenza di idee e reazioni che abbiamo visto anche tra noi. È da lì, dalle attività con i nostri ragazzi, che abbiamo cercato di ripartire (o di non fermarci!), ci siamo inventati, abbiamo studiato, siamo diventati ipertecnologici, abbiamo acquisito competenze in psicologia, medicina, legge e siamo tornati all’essenza del nostro essere scout, proprio ora che non potevamo uscire, correre su un prato, annusare l’aria fresca… abbiamo (ri)compreso la forza, la bellezza e la semplicità del nostro metodo… La forza che ci ha dato il cammino fatto insieme e che ci ha permesso di essere comunità… La bellezza dei luoghi e delle nostre attività che ci ha riempito gli occhi e la mente anche nei giorni più lunghi…
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La semplicità di una proposta che si basa sul sapersi progettare, sul non darsi per scontati, sul saper ripartire da qualunque punto ci si sia fermati.
Ai capi, nelle rispettive branche, sono stati offerti dai formatori vari strumenti per rileggere e mantenere l’azione educativa nelle unità: incontri specifici online, podcast, webinar,...
Senza retorica, sentiamo di dirci che questi mesi difficili ci hanno resi più forti perché più attenti e più essenziali, radicali a tratti, riportandoci all’origine della nostra proposta, al nostro fare semplicemente scouting nel suo osservare, dedurre ed agire… ma d’altra parte, forse, in quelle situazioni già fragili o poco ben definite le fratture e le difficoltà si sono allargate e ne stiamo iniziando a vedere gli effetti che dovremo tutti insieme saper leggere.
La formazione istituzionale invece si è fermata, per ovvie ragioni legate all’organizzazione dei campi, ma la riflessione regionale ci ha portati a lavorare con creatività e strategia per proporre dei percorsi misti online/ presenza di supporto al percorso dei tirocinanti che, forse più di tutti gli altri nelle nostre CoCa, hanno pagato le conseguenze del fermo totale, alla pari di tutti i ragazzi e bambini nelle delicate fasi di passaggio. Questi percorsi hanno trovato a livello nazionale un buon confronto con le altre regioni e, con il pensiero e il contributo di tutti, saranno estesi così ai tirocinanti 2019/2020 che saranno impossibilitati sui vari territori a vivere un CFT in presenza.
Come Comitato regionale ci siamo chiesti come essere pronti e utili per aiutare i nostri capi in questa ripartenza ed abbiamo messo in campo alcune azioni specifiche. Innanzitutto è nata la Pattuglia “Fenice” chiamata ad aiutarci nell’intricato mondo normativo che questa situazione ha generato. Abbiamo poi provato a fare una lettura insieme alle Branche e alle Zone dei temi educativi e formativi emergenti o amplificati dallo stato di emergenza: la sintesi che ne è sorta è davvero ricca di spunti e può darci tanto su cui riflettere e lavorare nel futuro.
Il secondo step - in atto - è quello di pensare a come garantire ai bambini e ragazzi dei capi pronti e competenti con l’avvio del nuovo anno associativo quando, nonostante tutto, le dinamiche interne alle CoCa prenderanno luogo e ci saranno i passaggi di consegne nelle unità. Questa
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estate si terranno nelle basi regionali, grazie anche al contributo logistico della Fondazione Gioiose, due campi, uno di branca LC e uno di branca EG, con i quali vogliamo iniziare così a dare risposta al forte bisogno di formazione metodologica che avvertiamo dai Gruppi.
non sostituirà certo la valida esperienza di un campo di formazione, ma ci aiuterà a preservare quel processo che sostiene il capo nel suo essere competente e adeguato al servizio a cui viene chiamato: servizio doppiamente difficile con le restrizioni e le condizioni che abbiamo conosciuto in questo periodo.
Non sappiamo ovviamente cosa ci riserverà il futuro prossimo, ma occorre pensare fin da subito a tutti i percorsi possibili e alternativi alla formazione che abbiamo sempre erogato e conosciuto laddove le condizioni dovessero tornare a mutare. Nessuna pretesa di stravolgere l’iter formativo per come lo conosciamo o di inventarci soluzioni posticce di ripiego. Un eventuale potenziamento della formazione permanente o a domicilio
Alcuni pensieri e riflessioni che mettiamo sul tavolo e che apriamo al contributo di tutti… Si è dimostrato fondamentale - per quanto possibile - il preservare e curare i processi che governano le nostre dinamiche relazionali, formative ed educative più delle forme che
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inevitabilmente sono riviste quando certe libertà fondamentali vengono limitate.
Mentre scriviamo, molti gruppi e unità stanno cercando di approfittare della bella stagione per riprendere il filo con i ragazzi anche con incontri di persona. Ma con lo sguardo iniziamo a pensare all’autunno, quando il nuovo anno scout partirà: tutti ci auguriamo che si possa ripartire con serenità, ma dobbiamo essere pronti anche al fatto che così potrebbe non essere.
Nelle difficili condizioni che abbiamo vissuto molto del nostro “fare” specifico è stato stravolto, annichilito e rivisto… questo ha fermato il nostro “essere”? E’ stato scouting nonostante tutto? I ragazzi e i bambini hanno vissuto questo periodo e sono cresciuti: quanto siamo stati loro utili per rileggere se stessi, gli altri e il mondo? Quanto la mancanza del nostro “core” ha pesato e quanto va recuperato? Abbiamo fatto del nostro meglio e lo abbiamo soprattutto riconosciuto in noi e negli altri, quando forse l’alternativa era il nulla?
In questo tempo e nel tempo che verrà, è necessario che permanga e debba permanere un forte senso di responsabilità per fare in modo che la situazione migliori ulteriormente. Senso di responsabilità che siamo chiamati a esercitare come cittadini, ma anche come capi di una Associazione che ha molto a cuore i ragazzi che le sono affidati, bambini e ragazzi che sono stati dimenticati dalla maggior del mondo politico e sociale, e che hanno patito e patiranno tantissimo di questo tempo “perduto” che non potranno recuperare.
I lasciti sulle CoCa e sulla tenuta dei Gruppi sembrano essere notevoli ad un primo giro di impressioni: andrà affrontata la questione con uno sguardo ancor più progettuale, più orientato ad uno sviluppo qualitativo del nostro esserci sui nostri territori e tra la gente.
… Voi siete il sale della terra; ma se il sale perde il sapore, con che cosa lo si renderà salato? (Mt 5, 13)
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Zoom Liguria Keywords: regione, gruppi, attualità
A cura di Giorgio Costa
Aperto per lockdown Dal primo momento in cui si è cominciato a parlare di lockdown i capi si sono ingegnati a costruire contatti e attività con i ragazzi per mantenere vive le unità nella speranza di un’estate insieme. Ecco come ci sono riusciti.
Quando c’è un momento si può implementare il racconto: speriamo di poterla leggere presto. La necessità urgente è mantenere i contatti, quindi l’invio di brani di racconto Giungla anche in forma animata, vocali o video, coinvolge tanti branchi.
Periodo invernale, difficile da gestire nelle dinamiche delle unità: uscite fredde, calo di tensione post natalizio, esami e cambio di quadrimestre. Proprio in questo momento viene meno anche il motore più importante: la possibilità di vedersi, incontrarsi, approfondire la conoscenza, indirizzare il cammino personale.
Poi attività a tema, giochi come le cacce al tesoro che ti portano a scoprire nuove stanze nelle piattaforme on-line. In piena stagione di caccia tutti branchi si concentrano su prede e specialità, risulta ovviamente più difficile il momento dell’avvistamento delle prede. In generale la maggiore sofferenza è la mancanza del rapporto personale compensata, ove possibile, con colloqui telefonici che fanno bene al morale di alcuni.
Per questo tutti i capi, dopo un primo momento di disorientamento, si lanciano decisi nel cercare nuovi modi di fare attività, tenersi in contatto a distanza, trovare impegni e giochi per i ragazzi. È uno sforzo importante, nasce spontaneo e immediato, con uno slancio comune poi condiviso nelle branche a zona.
Incontri on line preferibilmente per gruppi piccoli: CdA o sestiglia oppure branchi poco numerosi.
Ad aprile viene fatta una raccolta di esperienze anche a livello regionale, le branche verificano come tutte le unità in tutte le zone abbiano avviato attività a distanza alle quali hanno partecipato tutti.
Il branco vive o sopravvive anche se siamo chiusi in casa, alla fine la gioia di vedersi anche solo in video e potersi salutare è la cosa più importante. Una descrizione delle tante attività svolte è raccolta su un drive a livello regionale ed è consultata dai capi della Branca.
La vita associativa non può fermarsi. Branca L/C I VV. LL. si scatenano nella loro creatività anche se sanno di andare a incidere su famiglie oberate da attività scolastiche e compiti on line, a fronte della scarsa autonomia dei bambini. Le attività quindi diventano anche un modo per avvicinare i genitori che non sempre reggono il compito.
Branca E/G Risulta in molti casi la branca più gestibile a distanza: con un buon ConCa e molta fantasia, i ragazzi autonomi on line, gli appuntamenti organizzati stimolano interesse a partecipazione. Attività soprattutto di squadriglia, challenge, vari, giochi, missioni, con i risultati riprodotti in video di ogni tipo, più o meno impegnati.
Bella l’idea del Cogoleto 1, far lavorare insieme genitori e figli su una storia, iniziata e introdotta dai VV. LL. scritta a più mani dalle famiglie con una catena di passaggi.
Poi le specialità, dimostrazioni di tecniche 8
condivise on line fino al raggiungimento delle stesse.
Da segnalare un servizio “speciale” attivato dal Clan del Golfo Paradiso: su indicazione del parroco, telefonate per tenere compagnia alle persone anziane particolarmente sole e isolate in quel momento. Rotta la diffidenza iniziale impariamo come il telefono può diventare veramente un “amico” creando nuovi rapporti.
In generale i ConCa producono e sviluppano idee originali, dalla bella lettera pubblicata su questo numero fino alla trasmissione radio in podcast, la famosa #iorestoinaccappatoio, condotta dal Conca con la partecipazione in diretta di tutti i membri del reparto del Genova 40.
Esperienza
Infine, non dimentichiamo le specialità di squadriglia, con regia regionale, con collegamenti dedicati alle squadriglie coinvolte.
Abbiamo imparato che in questa situazione nuova bisogna sviluppare nuove idee che vadano oltre lo strumento tradizionale, non è possibile adattare il metodo ma trovare nuove leve per aiutare i nostri ragazzi. È necessario ora più che mai interrogarsi a fondo sul perché facciamo le attività, per studiarle nel modo migliore.
Branca R/S Teoricamente la branca più facile con cui lavorare on line ma alla lunga la distanza stanca.
Si tratta di partire dalle necessità dei ragazzi e dalle nostre capacità e caratteristiche, ripartire da quello su cui ti senti più forte per dare il meglio nel mondo limitato della relazione a distanza.
In generale, nelle riunioni a distanza c’è molta più presenza, siamo costretti ad ascoltarci di più, rivediamo anche quelli che spesso sono ai margini, forse liberati da altri impegni.
Abbiamo notato la difficoltà maggiore dei noviziati, al’inizio del loro cammino e in alcuni casi di tutti i cuccioli e novizi non ancora perfettamente integrati nella comunità.
Tanti clan lavorano bene sui capitoli più o meno iniziati, tanti altri si lanciano a immaginare route forse un po’ liberatorie. Qualcuno affronta il tema di rinnovare la carta di clan e in generale si fanno tanti incontri per conoscersi, condividere e mantenere viva la comunità.
Abbiamo provato quanto sia difficile la preghiera di gruppo fatta a distanza, senza ambiente e senza poter sentire a pieno il tuo vicino.
Altri ragionano in termini di adattamento: situazione nuova, nuovo modo di fare riunione. Per questo le riunioni prevedono sempre incontri con qualcuno, in diretta, nuove persone, nuove idee, noi rinchiusi apriamoci ad altri.
Siamo riusciti però in molti casi a vivere buone esperienze di catechesi, soprattutto nel periodo pasquale, che per tutti è molto importante. Veglie, Via Crucis come quella di Gruppo del Genova 51 con video da tutte le unità, celebrazioni ben strutturate, partecipate in qualche modo, possono essere utili e di stimolo ad un cammino personale.
Non possono mancare anche giochi e momenti forti di catechesi. Nota dolente il servizio: molti si lanciano nel volontariato a livello personale, perché la richiesta da parte degli organi ufficiali di soli maggiorenni o capi, sappiamo, è troppo limitante.
È stata un’esperienza difficile e altre sfide ci attendono, ma ci siamo e, nonostante la stanchezza, arriveremo in fondo.
Favoriti coloro che prestano servizio associativo, in qualche modo coinvolti negli staff, rispetto a servizi extra subito interrotti. 9
Zoom Liguria Keywords: eg, zone, gruppi, attualità.
A cura di Chiara, Davide, Elliot, Giovanni, Giulia, Giulio, Irene, Noemi, Simona e Stefano, Consiglio Capi del gruppo scout Savona 7
Cari "Servitori" Cari “Servitori”, è così che noi del Consiglio Capi del gruppo scout Savona 7 abbiamo deciso di chiamarvi, poiché tutti voi siete persone semplici, ma siete persone che si stanno mettendo al servizio della comunità, sacrificando la vostra vita personale per aiutare tutti noi nel mantenere al sicuro il bene più grande, il regalo più prezioso che Dio ci ha fatto: la Vita. Abbiamo deciso di vivere il nostro Giovedì Santo distanti ma insieme, provando a scrivervi una lettera a più mani ripensando a ciò che Gesù ha fatto per noi, sacrificando la sua vita, e così noi vogliamo provare a fare lo stesso con voi, “lavando i piedi” nel nostro piccolo a chi ogni giorno sta “lavando i nostri”, con l’amore e la dedizione che vi caratterizza, nonostante la situazione di grave emergenza che ci attanaglia da diversi mesi. Vi siete dovuti adattare in breve tempo ad una situazione diversa da quella a cui eravate abituati a lavorare, costringendovi a stare lontani da tutti, ma soprattutto dai vostri familiari, lavorando anche più di quanto prima faceste, più di quanto una persona normale sia solita sopportare. Ma, nonostante tutto questo, continuate imperterriti nella vostra missione, e per questo vogliamo ringraziarvi. Ringraziarvi per la vostra determinazione, e perché mettete a rischio ogni giorno la vostra salute per aiutare la vostra comunità, che spesso vi denigra e vi attacca per il vostro corretto servizio al pubblico. Ringraziarvi per quello che fate per noi, e per le dure decisioni che siete costantemente costretti a prendere, per provare a contrastare
questo male invisibile che ci sta mettendo tutti alla prova. Ringraziarvi perché il vostro obiettivo è oggi più che mai il nostro bene, e perché continuate a spronarci a rimanere in casa e a seguire tutte le precauzioni sanitarie utili per prevenire il contagio, e farci sentire al sicuro. per citare una canzone “ci vuole molto coraggio, molto coraggio per reggere il giorno, molto coraggio per guardarsi allo specchio con un bel sorriso”, e noi possiamo solo immaginare quello che in questo momento state provando tutti i giorni e a tutti i sacrifici che state facendo per noi. Ci vuole coraggio ad alzarsi tutte le mattine, a respingere tutte le paure e tutti i dubbi che vi perseguitano, e buttarvi di nuovo nell’ inferno della realtà con l’unico obiettivo di salvarci, nonostante le enormi difficoltà organizzative, dalla carenza di materiale utile per l’incolumità e ai numeri sempre più risicati del personale in servizio. Sono molte le persone che oggi si lamentano di dover stare a casa, ma questo è un minimo sforzo in confronto al vostro impegno quotidiano soltanto per fare sì che non tutto si fermi, ma che i servizi essenziali siano garantiti, e pensiamo che sia molto peggio dover continuare ad andare a lavorare, come fate voi, personale sanitario ma non solo, a tutti voi che dedicate la vostra vita in lavori nel sociale, a contatto con la popolazione, in luoghi pubblici ad alto rischio contagio. Questa lettera è dedicata a voi, voi che siete costretti a “rimediare” ai nostri errori, a chi
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trova stupide scuse per andare in giro, come andare a fare la spesa più volte al giorno o recarsi nei servizi sanitari inutilmente ed esponendo voi e tutti ad un rischio sconsiderato. A voi, che nonostante tutto cercate di affrontare sempre le diverse situazioni con il sorriso, cercando di infonderci quella speranza che oggi più che mai ci fa andare avanti, convincendoci che davvero ce la faremo, e che potremo rivederci di nuovo nella quotidianità. Grazie a voi, che non siete eroi come vi chiamano tutti, ma che siete persone che nella propria normalità svolgono “eroicamente” e con amore ciò che è di propria competenza, che mettete in pratica ciò che per tutti noi dovrebbe essere un obiettivo, ossia lo “spirito di servizio” a cui tutti noi, indipendenti dal proprio credo religioso e politico, dovremmo tendere. In questo momento possiamo solo chiedervi “come state?” perché dietro a quelle mascherine e a quegli scafandri che quasi tolgono il respiro e che voi sopportate per ore, batte un cuore grande ed un’enorme professionalità, che vi fa essere sempre pronti, o “estote parati”, come recita il nostro motto. È pur vero che sentiamo la mancanza a ciò che prima davamo per scontato, come il semplice stare insieme, abbracciarci e dormire insieme in tenda, ma sappiamo che tutto questo è necessario per la salute di
tutti, e che questo nostro piccolo sacrificio ci permetterà di poter rivivere al più presto tutte queste bellissime esperienze, dando molto più valore alle piccole cose che caratterizzano la nostra vita e ci rendono felici. Speriamo che voi non vi arrenderete, ma siamo sicuri che non lo farete. Siete la nostra più grande speranza. Ed ecco che si concretizza ciò che nel Vangelo di oggi, Giovedì Santo, ci disse Gesù: “se dunque io ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Vi ho dato un esempio, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi”. Questo sia per noi esempio e stile di vita, e che ci faccia crescere come singoli e come comunità. Dal profondo del cuore vi ringraziamo, e speriamo che questa lettera possa essere per voi una piccola fonte di coraggio, in una piccola parte del mondo che sta cercando di “guarire” per ricominciare a vivere. Buona Pasqua!
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Fare Scautismo Keywords: lc, metodo, regione
A cura degli Incaricati Regionali alla Branca L/C
Come faremo le nostre tane oggi? Riflessioni metodologiche I bambini crescono, anche oggi, anche in quarantena. La preoccupazione di molti capi branco in questa situazione è quella di riuscire a portare avanti la Progressione Personale dei propri fratellini e sorelline, anche se spesso questa è ridotta al solo gioco delle prede e dei voli: “Come faranno i nostri lupi a cacciare le loro prede oggi?”. La risposta, non solo ligure ma a livello nazionale, è quella di creare piccoli compiti da eseguire in video che possano sostituire le prede del gioco, come se questo fosse l’unico modo possibile di fare scoutismo.
Il nostro metodo è, semplicemente, quello di essere accanto a loro in questo percorso, offrendo occasioni in cui i bambini possano sperimentarsi e, infine, aiutarli ad elaborare l’esperienza vissuta in modo tale che possa tradursi, per loro, in un significato che li accompagnerà per il resto della loro crescita e, speriamo, della loro vita. Se siamo d’accordo su questa premessa, allora fare scautismo oggi significa fornire ai fratellini occasioni e strumenti per rielaborare la situazione che stanno vivendo. I nostri bambini , proprio come noi, sono catapultati in una situazione assolutamente nuova, che hanno bisogno di “digerire” e rielaborare.
Il nostro obiettivo, come sempre, è quello di proporre un’esperienza di crescita.
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L’occasione della quarantena, però, è anche tempo di riflessione su di sé: è una possibilità di deserto unica per tutti. Possiamo aiutare i bambini quindi sia a dare un significato, un nome, a quello che vedono, quello che provano e anche ciò che non si accorgono di provare; ma anche sfruttare il tempo dell’isolamento perché i fratellini possano godere di questo silenzio obbligatorio per ascoltarsi e, perché no, per ascoltare la voce di Dio. Un’ultima attenzione: quello che più rischia di perdersi e che dobbiamo sforzarci di preservare è la dimensione comunitaria e di gioco. Il nostro vero nemico è, ovviamente, l’impossibilità di giocare insieme. Uno degli obiettivi di noi capi, allora, deve essere sfruttare tutta la nostra creatività per riuscire ad offrire occasioni comunitarie con gli strumenti tecnologici che abbiamo a disposizione, il tutto in una dinamica di gioco. Già la scuola, in molte sue manifestazioni, sta dando compiti passivi che si limitano ad incollare i piccoli allo schermo. Noi abbiamo l’imperativo di non fare questo. Abbiamo il compito, difficile e sfidante, di permettere ai bambini di crescere giocando, e di riflettere su questa situazione in modo adulto. A noi capi, spetta cogliere l’occasione per lasciarci il tempo di metabolizzare. Ora che abbiamo le mani in pasta, volenti o nolenti, in questa realtà, è importante affrontare la questione con calma: non cerchiamo soluzioni immediate ma diamoci il tempo e il respiro necessario per cambiare il nostro sguardo in modo tale da poter affrontare in modo solido una situazione quanto più traballante.
Inoltre, come staff, possiamo cogliere questo momento per interrogarci sul cuore delle nostre attività, del nostro metodo, per tornare all’essenza di quello che è il grande gioco dello scoutismo. Dobbiamo provare a capire quali sono i nostri obiettivi profondi e organizzarci per trovare nuovi modi per rispondere a quelle domande originarie che muovono ogni nostro gioco. Per questo è fondamentale trovare il tempo di riprogettare: non è possibile perseguire vecchi programmi di unità e, probabilmente, anche il Progetto Educativo è ora da rimaneggiare. Consigliamo caldamente alle Comunità Capi e alle staff di riguardare i propri obiettivi (e le modalità annesse) per calarle con maggior efficacia nel tempo presente. Per chiudere, vi invitiamo nelle vostre riunioni di staff a progettare attività che abbiano le caratteristiche che abbiamo provato a presentarvi. Vi chiediamo di essere sinceri: stiamo vivendo una situazione difficile che non è giusto né costruttivo nascondere o banalizzare ai bambini; è molto meglio aiutarli ad acquisire consapevolezza di ciò che gli succede intorno, considerando che, alcuni tra loro, potrebbero vivere il lutto della morte o il disagio di una famiglia che deve fronteggiare la cassa integrazione se non la perdita del lavoro. Infine, vi suggeriamo, per ogni attività, gioco o esperienza che state per avere con i bambini di chiedervi se questa (qualunque essa sia) stia rispondendo ad un bisogno, o sia fatta solo per riempire il tempo. Assicuratevi di non lasciare indietro nessuno, poiché ogni bambino del vostro branco ha bisogno di voi, ora. Che il vostro mantra sia: “Sto rispondendo ai bisogni di ogni mio bambino oggi?”. 13
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Keywords: attualità, genitori
Fare Scautismo
A cura di Stefania Dodero
Genitori e Capi: ESTOTE PARATI! Un piccolo bilancio di questa strana “missione scout” tra emergenza sanitaria COVID-19 e reclusione forzata.
Grazie al contributo di: Anna, Andrea, Camilla G., Camilla L. e Francesca (genitori sempre pronti!) In questo tempo particolare vissuto con il distanziamento sociale, la quaresima, la quarantena e quindi gli “arresti domiciliari” forzati per tutti, molte cose sono cambiate. Le dinamiche sociali, i rapporti interpersonali hanno avuto un indubbio scrollone, sia all’interno dei nuclei famigliari più stretti, sia per quanto riguarda le relazioni degli stessi con il “mondo esterno”. Grazie alla convivenza forzata genitori/ figli, 24 ore al giorno, sono successe cose sorprendenti: prima di tutto, qualche genitore si è accorto di avere dei figli! (non datelo per scontato, solo perché i vostri genitori sono tutti così “perfetti” sempre presenti, “carini e coccolosi”); secondo, molti genitori si sono accorti (notando le proprie difficoltà di gestione figliale) di quanto sia importante e prezioso il lavoro di insegnanti e di educatori. Il ruolo dell’educatore (nell’accezione del termine che deriva dal latino “educere = tirare fuori”), non è facile (anche se voi capi scout lo fate apparire così semplice e naturale, con la vostra freschezza e inventiva). Proprio in questo periodo particolare, quando tutti erano presi dallo smarrimento e dalla chiusura, gli Scout hanno saputo essere pronti, con proposte, iniziative, idee e attività a distanza, tirando fuori il meglio dei propri lupetti/scout/ rover, anche se da lontano. C’è chi ha iniziato a fare riunione via Zoom, chi ha sfruttato Whatsapp, mail, video e
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quant’altro il mondo digitale offriva per fare challenge, specialità, missioni… (ma di queste belle iniziative, quelle più degne di nota, ne abbiamo parlato in un altro articolo). Per sapere come è andata, abbiamo chiesto e contattato qualche volenteroso genitore (scout, ex-scout, non scout), in modo da fare un minimo di bilancio…Anche perché si deve, sì, essere “pronti a servire”, ma anche a saper sfruttare ogni opportunità come motivo di crescita personale e/o di gruppo. Poiché i capi, come anche gli insegnanti, non erano da soli coi bambini/ragazzi, almeno inizialmente e soprattutto coi più piccoli hanno per forza dovuto coinvolgere i genitori in tutto, e prima di tutto, come intermediari e mediatori. Inevitabilmente i genitori si sono fatti coinvolgere ed hanno anche dovuto collaborare, soprattutto nelle attività che prevedevano di lavorare insieme alla famiglia. Qualche genitore, poi, avrà anche dovuto farsi da “promotore” con quei bimbi o ragazzi un po’ scarichi per via della situazione e dei cambiamenti repentini subiti nella propria routine. Come hanno sottolineato pediatri, psicologi e sociologi, la routine, insieme a noia, autonomia, solitudine, legami e socialità, fa parte di quei tasselli importanti per la crescita personale di ogni individuo. Confrontandosi su questo con le Co.Ca., qualche gruppo ha deciso di mantenere l’impegno settimanale, altri invece hanno cercato comunque di equilibrare il tutto, senza essere assillanti ed eccedere (come accaduto in qualche scuola)
nello sforzo di riempire il vuoto che si era creato con la quarantena forzata. Forse il “gioco a distanza” è stato più semplice con gli anni di mezzo delle singole unità, ai primi anni (specialmente in Branco), quelli che devono fare ancora esperienza e scoperte, è di certo mancata la fisicità, il contatto e il rapporto coi coetanei, il poter condividere le nuove esperienze coi pari e coi fratellini maggiori (dovendole condividere solo coi genitori… e non è proprio lo stesso!). Per gli ultimi anni, quelli che si avviano al reparto (ma non escluderei anche quelli che si affacciano alla piena adolescenza) forse c’è stato un po’ il rischio, nel lungo andare, che attenzione ed entusiasmo scemassero. Ma nel complesso, bene, il bilancio è favorevole (e tutti i genitori concordi) per una delle poche agenzie educative sul territorio che hanno retto l’impatto con il COVID-19 in modo positivo. Se per i capi, i genitori sono stati tutti partecipi, disponibili e collaborativi, certamente, per quello che riguarda i genitori, la figura del capo scout ne esce rafforzata in simpatia e affetto (perché di fantasia, si sa, ne hanno già tanta… anche troppa!). Forse i capi e le staff più giovani hanno temporeggiato e preso l’iniziativa in mano con più lentezza rispetto a capi più adulti e “navigati”, ma nel complesso si può dire davvero di aver reso onore all’ESTOTE
PARATI! Sono stati pronti ed in gamba, dando subito ai loro bambini/ragazzi e alle famiglie un segnale positivo, in un momento di difficoltà (sociale) dove persino la scuola era abbastanza impreparata ed assente. Da qui facciamo tesoro di ciò che abbiamo imparato anche in questi mesi, non per gloriarci e “dormire sugli allori” ma per partire (con lo “zaino aggiornato”) ed affrontare le sfide future: BUON SENTIERO, CAMMINO, STRADA a tutti quanti! Rileggete le ultime parole di B.P. (scritte più di 90 anni fa), alla luce dell’oggi, non vi paiono quanto mai attuali? “Ma il vero modo di essere felici è quello di procurare la felicità agli altri. Cercate di lasciare questo mondo un po’ migliore di quanto non l’avete trovato e, quando suonerà la vostra ora di morire, potrete morire felici nella coscienza di non aver sprecato il vostro tempo, ma di avere fatto del nostro meglio. “Siate prearati” così, a vivere felici e a morire felici. Mantenete la vostra Promessa di Scouts, anche quando non sarete più ragazzi, e Dio vi aiuti in questo. Il vostro amico Baden Powell of Gilwell”
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Fare scautismo Keywords: attualità, opinioni, CoCa
A cura di Francesco Bavassano
Mi sentite? Io vi ascolto. Riunioni digitali, una gradita sorpresa 17
Scrivere di riunioni digitali dopo il periodo che ci siamo lasciati alle spalle potrebbe sembrare un accanimento su un qualcosa che è stato insieme una necessità, uno strumento utile, una scoperta, una fatica, ma soprattutto un elemento onnipresente!
tutt’altro: ce lo siamo arredato per bene anche online. È stato bello ritrovarsi in tanti, più del solito analogico, in modo meno stressante. Sarà perché Andrea, non dovendo tornare a casa fuori Comune dopo mezzanotte, ha partecipato più volentieri senza mancare ogni tanto? Magari Michela, che era preoccupata per la sveglia presto del giorno dopo e la consegna lavorativa, ha risparmiato importanti mezz’ore di sonno.
Abbiamo dovuto sostituire una miriade di modi di relazionarsi con la grammatica del link, dell’”unmute” e dello “share screen”. Certo, diversi facevano un uso quotidiano delle videoconferenze per lavoro e quasi tutti erano già avvezzi a passare ore incollati agli schermi, i nostri “black mirror”. Niente di nuovo dunque, ma abbiamo vissuto un’accelerazione e una tale pervasività nell’uso del Digital nelle nostre attività scout che è interessante chiedersi: cosa possiamo trarre da questo intenso esperimento collettivo?
La Partecipazione alle discussioni è migliorata? Qui le percezioni potrebbero essere più variegate e andare dall’agonia del “mi sentite, io vi vedo ma non sento! - Noi ti sentiamo male e vediamo un gamer cinese” alla fluidità elegante e aristocratica di Zoom Pro. Una certezza è che abbiamo finalmente parlato uno alla volta, ascoltandoci in un rispettoso silenzio e ricercando il coinvolgimento di tutti. Forse dire che abbiamo imparato a farlo è troppo benevolo, meglio riconoscere che vi siamo stati costretti pena l’emicrania istantanea da inferno di eco in call. Ciò non toglie che il valore dell’ascolto, così importante, è stata una bella conquista per le nostre Comunità Capi.
Per non togliere il lavoro alle Branche o lanciarmi in riflessioni metodologiche da zero a zero, mi piacerebbe concentrarmi sulle riunioni tra Capi. La prima sensazione è che ci siamo allenati e abbiamo ora più frecce al nostro arco (non che ci servano armi per le nostre riunioni dove tutto scorre armonioso, ovvio).
Che dire inoltre della qualità degli Ospiti e quindi del pensiero che si sviluppa? Quadri, formatori ed esterni sono stati spesso generosi, disponibili a muoversi per venirci a trovare, ma il lockdown ci ha spalancato gli occhi definitivamente: possiamo parlare con persone significative e intenderci anche in videoconferenza!
Se prima, timidamente, si usavano i google doc. per scrivere documenti e progetti a più a mani e forse qualcuno si era già lanciato nei verbali di Co.Ca. digitali, oggi siamo stati costretti a sperimentare in fretta molte soluzioni che avrebbero richiesto in passato chissà quante elucubrazioni. Ad esempio, quanto ci avremmo messo a fare una riunione in videoconferenza ogni tanto, per far partecipare anche Giulia che studia a Milano o Hector che lavora ad Alessandria in settimana? Di sicuro avrebbe richiesto una lunga riunione in presenza per deciderlo :) E chi l’avrebbe spesa?
Cosa ce ne facciamo, quindi? Tornerà tutto come prima? Ci riapproprieremo in modo esclusivo delle nostre tante e lunghe riunioni scout con le gambe sotto a un tavolo? Avremo la nausea da videoconferenza quando queste non saranno più strettamente necessarie? Può essere. Nel frattempo, alcuni Gruppi hanno introdotto verbali e spazi digitali, la comunicazione tramite le pagine social è migliorata, la partecipazione attiva ha ora qualche possibilità in più. Forse anche il linguaggio e il terreno di gioco si sono fatti più vicini a quelli delle generazioni più giovani, ma questa è un’altra storia...
La presenza media dei capi alle riunioni digital è aumentata; non abbiamo statistiche ma questa è un’altra sensazione. Sarà perché in casa ci si annoiava a far nulla? In parte, ma quella fase non è durata molto. Si potrebbe anzi dire che non siamo esattamente usciti dal tunnel delle mille “riunioni scout”, 18
Intervista Keywords: interviste, spiritualità
A cura di Marco Scarfò e Francesco Bavassano
INTERVISTA al Cardinale Bagnasco Don Angelo, Agesci e le verità profonde dell’Uomo
Il Cardinale ci accoglie sereno, di ritorno da uno dei suoi giri per i vicoli, nel cortile silenzioso dell’Episcopio, a pochi metri dal brulichio delle vie del centro di Genova.
sua drammaticità, è sempre incompiuto, e quindi procedere verso il tratto finale della vita terrena significa procedere verso il compimento. C’è soprattutto la prospettiva di Dio che raccoglie tutto il bene di una vita, purifica il male e compie il bene, perché senza il grande Bene non esistono neppure i piccoli beni terreni. Questo porta alla pienezza l’amore, la vita degli affetti, il bene nel lavoro, nella società, nelle relazioni. Poi, quando uno nella vita non cerca nulla, un sacerdote o un vescovo in particolare, e non manovra nulla per arrivarci, questo dona maggiore libertà rispetto alle cose che vengono incontro, sia nell’accoglierle sia nel lasciarle, perché non ti sei affannato come fosse la tua finalità. Tuttavia, questa maggiore libertà di prendere e di lasciare non rende indifferenti e insensibili. Sono molto sereno e grato a Dio di quello che mi ha dato di vivere: non ho cercato di raggiungere nulla, ma allo stesso tempo non sono indifferente a niente: la libertà di ciascuno nella fede non viene negata, semmai elevata.
Con noi di SIL c’è la Responsabile regionale Anna Risso, per i saluti da parte di Agesci Liguria. L’Arcivescovo uscente di Genova, visto da vicino, torna per alcune ore il bambino che giocava tra le macerie della guerra in piazza Sarzano, il Don Angelo giovane assistente ecclesiastico scout nei tumultuosi anni ’70, il pastore con uno sguardo profondo sulle vicende umane, il genovese che ama visceralmente la sua città. Un’ampia chiacchierata nella quale il Cardinale ci consegna in pochi tratti il compimento della sua esperienza pastorale, anche in relazione al passato e al futuro di Agesci. Come si sente nel lasciare la guida pastorale della Diocesi? Gli anni scorrono velocemente nella vita e questo è giusto e normale, ma è anche bello che la vita terrena passi, perché tutto quello che noi viviamo, per la sua bellezza e per la
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senso che si celebrava la S. Messa tutti i giorni e venivano, ma per il resto i lupetti non mi consideravano. Alla fine però ci fu un momento di verifica, il Consiglio della Rupe, e in quel caso mi accorsi che tra i bambini più di uno diceva “ringrazio anche Baloo, è stato tanto con noi, ha lavato le gavette con noi”: allora ho capito che mi osservavano, mi misuravano, questi bambini guardavano il loro sacerdote come uno dei capi, con un occhio non indifferente ma di interesse positivo. Poi, le varie Branche hanno una loro metodologia propria e mi ha fatto molto bene stare in questo contesto. Un criterio generale è che bisogna starci con i bambini, anche con i capi ovviamente per preparare, e poi coi lupetti, gli esploratori, le guide, i rover e le scolte. Il momento privilegiato è ovviamente il campo estivo perché lì sei tutti i giorni a contatto con loro ed è un momento magico, con la fatica che ti richiede, per entrare in relazione più profonda e più vera.
Bagnasco con i Lupetti del Branco Seonee, GE 10
Invece, guardando un po’ di più alle sue esperienze con lo scautismo, quali sono i suoi ricordi? Lo scautismo è stata una delle diverse scuole di vita che il Signore mi ha dato, perché la vita è un crescere, se uno non si rinchiude ma vive cercando di essere aperto. Lo scautismo all’inizio mi faceva un po’ di paura: nella mia parrocchia di Sarzano non c’era, gli scout erano nella vicina Carignano, da noi c’era l’Azione Cattolica, la piazza, tutto ruotava intorno alla chiesetta di Sant’Antonio Abate. Lo scautismo mi faceva timore perché avevo sentito delle storie di bambini lasciati in mezzo ai boschi da soli, di notte, le prove terribili; ero un giovane prete, avevo 26 anni e sono entrato come Vecchio Lupo con i Lupetti che non conoscevo per niente. Per un inverno sono stato con loro e ho cercato di capire questo mondo, il gergo, la metodologia che mi era estranea e sono molto riconoscente ai due capi - Akela e Wontolla - che mi hanno pazientemente aiutato a comprendere e a inserirmi. Un’esperienza simpatica e molto istruttiva per me è stata il primo campo estivo, al quale per una settimana mi sono sentito totalmente estraneo, nel
A maggior ragione per un AE, che ha un ruolo particolare. Sì, bisogna starci, non basta essere disponibili, bisogna esserci anche quando nessuno ti cerca e quando ti chiedi “che cosa vado a fare”. Non è bella questa impressione, soprattutto i capi devono cercare di non darla. Però, anche con questa impressione, vera o presunta che sia, tu sacerdote e assistente devi esserci. È una legge umana molto semplice, se non ci sei non hai occasione di relazione, di reciproca conoscenza. “Ma io sono disponibile se mi vengono a cercare” uno potrebbe dire; no, è sbagliato, bisogna esserci e questa è stata una cosa molto importante. Come ricorda il rapporto con i Capi? Ricordo con grande piacere, tra molti, due figure, che porto ad esempio. Una capo guida, Paola, che mi ha insegnato molto, precisa e ri-
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Bagnasco alla Route Nazionale R/S del 2014 a San Rossore
gorosa nell’organizzazione; in quella Direzione eravamo solo in due e lei mi trasmetteva una grande solidità e chiarezza. L’altra figura è un capo reparto, Lauro, poi capo clan, che era più grande di me di un anno ed è stato straordinario. Soprattutto quando non c’ero, coi ragazzi valorizzava la figura dell’assistente magari nei campi estivi e nelle Route: “ricordatevi che c’è don Angelo con noi, approfittatene per la confessione, la messa, per parlare un po’ se avete delle difficoltà o delle cose da chiedere”. Non era invidioso dell’assistente, anzi, e io facevo lo stesso con lui. È fondamentale: se un capo fa questo, l’assistente è aiutato moltissimo e qui è in gioco il bene dei ragazzi, non c’è da fare concorrenza. A queste due figure sono veramente grato. Ho vissuto tanti anni da Assistente Ecclesiastico, partecipato a campi estivi e tantissime Route. Anni anche di grande fermento sociale e politico: nell’Associazione convivevano varie idee di mondo, che si dibattevano in modo franco cercando di avere sempre come orizzonte l’educazione dei ragazzi.
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In questi accenni al suo vissuto, sembra di rileggere l’articolo della rivista Servire (1-2020, pagina 9) sull’unione di AGI e ASCI del 1974 e il ruolo dell’AE. Certamente ricordo l’unione delle due associazioni, maschile e femminile; la questione che era un po’ da limare era la novità della coeducazione: nel fare attività in comune con le unità inizialmente separate bisognava un po’ capire come fare, anche per i Capi. Riprendendo l’articolo, con Agesci si unirono due tradizioni, volendo semplificare molto: quella del Capo forte e trascinatore e quella della Capo improntata alla relazione e all’empatia. Infatti, pensando ai due esempi di prima, in genere il capo era più trascinatore e talvolta duro, anche se non escludeva l’approccio più affettivo, mentre la capo aveva un approccio differente, ad esempio curava di più la comunità, la relazione e l’ascolto nel piccolo gruppo, come l’alta squadriglia. La diarchia è un grande valore specifico di Agesci. Non bisogna né mascolinizzare né femminilizzare troppo, è invece bello avere questa visione integrale.
Questo differente approccio poi è simile a quello della figura materna e paterna nella famiglia, che viene replicata all’interno del gruppo.
Non illudiamoci quindi che facilitare significhi guadagnare qualcosa per i ragazzi; nella mia esperienza no, perché magari borbottano e ti mandano al diavolo: “manca qui, manca là, ci siamo persi nella nebbia, non capite niente, non c’è l’acqua da bere”. Poi trovi la cisterna militare e bevi quell’acqua e speri che non succeda niente, cose simili tutti le conosciamo (sorride). Dopo la fatica resta il segno di essere andati in cima, di aver fatto quella cosa che sembrava impossibile. Non tanto per il gusto della maschiata ma per il valore educativo che c’è dentro alla fatica e anche all’affidarsi al Capo. Molte cose vanno spiegate, ma non tutte: c’è anche un modo per affrontare le cose che è l’affidamento. Questo, secondo me, oggi è molto decaduto e non è bene anche per un motivo pedagogico: non puoi trattare i bambini da adulti, non possiamo pretendere che capiscano tutto e subito. Questo anche nella Chiesa e nella liturgia.
Abbiamo parlato del suo percorso in Agesci, e oggi? Quali priorità individua per l’associazione? Si potrebbero riassumere forse in tre concetti. Il primo: non aver paura di chiedere molto ai ragazzi, penso alle Route che da un certo punto di vista sono le più dure. La cultura di oggi è appiattita e troppo comoda e questo non fa bene alla formazione di un uomo e di una donna, non solo perché non tempra, ma anche perché non soddisfa.
Ci si chiede spesso infatti in che modo avvicinare i nostri bambini e ragazzi alla proposta di fede. È una riduzione antropologica ritenere che solo la ragione sia il modo della conoscenza: c’è la bellezza, il sentimento, la corporeità, l’intuizione. I bambini hanno il senso di Dio molto più acuto di quello dell’adulto. Per cui lo snaturare una Messa o una Veglia per renderla ad un’ipotetica misura di bambino, secondo me è rischioso: siamo troppo razionalisti su certe cose. Il teologo Romano Guardini, parlando dell’infanzia, dice una cosa molto bella: i bambini hanno un intuito che poi si perde con la crescita e subentra la forza della ragione. I piccoli sono molto più avanti nell’intuizione di Dio, della bellezza, della vita. Il secondo concetto invece? Il secondo è un aspetto in apparente contraddizione con quanto appena detto. Il ruolo del gioco nel metodo, lo sappiamo, è fonda-
Passaggi 1985 del GE 10, con il futuro Vescovo G.Gallese
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mentale, però non tutto può essere veicolato con esso e mi riferisco in modo particolare, ma non solo, alla formazione religiosa. Si dice “Facciamo questo gioco con uno sfondo religioso che deve veicolare contenuti evangelici”, ma non deve rimanere tutto sul piano di pura sensazione e quindi di vaghezza. Quindi è vera l’importanza del gioco come veicolo di qualunque cosa, ma non deve mai offuscare o negare una proposta più diretta, in qualche modo più articolata e sistematica. Mi raccontava un prete nei giorni scorsi che gli è stato detto da un papà “sai il mio bambino fa catechismo, si sta preparando alla prima
Route a La Verna, clan Ge10
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Comunione, e la sera viene nel lettone per dire le preghiere e ci corregge se sbagliamo qualcosa”. Cosa possiamo dire? Che è solo un bambino che ripete a pappagallo una preghiera? È una lettura distorta e pessimista. Capisco che si voglia lottare alla meccanicità della preghiera, però un bambino è un bambino e a volte può essere più utile utilizzare forme già pronte che portano l’eco della fede delle generazioni che ci hanno preceduto e che – a volte – hanno dato la vita. Gesù d’altra parte non è un concetto vago ma è Parola e azione. L’intuizione del bambino, molto più grande della nostra, non è a rischio.
Infine il terzo punto di attenzione.
la fonte e il culmine dell’umanesimo. Questa categoria, per cui io sono me stesso solamente nel momento in cui esco da me e mi faccio dono in qualunque forma (ad esempio il Servizio), è il cuore dell’educazione, sia umana/antropologica sia religiosa e cristiana. Se si entrasse dentro a questo modo di pensarsi e di pensare, saremmo più protetti da una mentalità diffusa che è individualista e tesa al “successo”.
Il terzo è la Chiesa, riprendendo le parole di Papa Francesco all’Udienza del 2015, è vero che i gruppi scout non sono parrocchiali come struttura, ma è altrettanto vero, per esperienza personale, che se ci sei in mezzo loro si affezionano alla tua parrocchia è questo fa bene alla parrocchia e all’Agesci, altrimenti la Chiesa resta lontana. Invece, corrispondendo alla pedagogia dell’incarnazione, la chiesa deve essere vissuta: volti e luoghi, ci vuole affezione. Ho sempre incoraggiato la pastorale giovanile di Vicariato (specie se siamo in pochi), ma ho sempre insistito perché i campanili venissero vissuti, fossero aperti. Cancellare un campanile vuol dire cancellare un luogo concreto dove la mia umanità si attacca, si affeziona. Posso girare il mondo ma se non ho un campanile, e non ho un posto che chiamo Casa (anche in famiglia), divento un vagabondo, non un cittadino del mondo. Quello è uno slogan, attenzione. Senza casa, senza patria, senza chiesa… abbiamo bisogno della corporeità e dell’umanità, ecco l’importanza della parrocchia, che però rimanda all’assistente: più l’AE è presente, più ci si cerca a vicenda, più cresce l›affetto per la parrocchia.
Si parla oggi di “Fear of Missing Out”, della paura di perdersi qualcosa tra le opportunità della vita, contrapposta ad impegni personali più stabili. Tutto può cambiare nel mondo, la storia ce lo dice, può cambiare il sistema di vita, di lavoro, ma una cosa non cambierà mai: l’uomo. Dio l’ha creato come una grande domanda: sé stesso, e questo non cambierà mai. Questo ci impedisce qualunque scoraggiamento, qualunque sfiducia e ci stimola non sbagliare l’obiettivo, a non credere che nell’inseguire l’uomo moderno in certe strade possiamo vincere la sfida del cambiamento. Dobbiamo andare diritti al cuore dell’uomo, al mondo interiore che è una grande domanda. Questo vale, in modo particolare oggi, per il mondo occidentale (si parla di progresso, immortalità). La domanda radicale dell’uomo moderno, preso da mille problemi (giustizia, pace, fame nel mondo, società vivibili, il cammino dell’unione europea), è: “che cosa sarà di me?”. L’uomo è enigma a se stesso e questo emerge tanto più di fronte alla morte, convitato di pietra che la nostra cultura vuole eliminare salvo poi farne motivo di saga, tanto da non saper più distinguere la realtà dalla finzione: tutto sembra un gioco, ma così non è. L’uomo occidentale porta in sé questa domanda che deve essere risvegliata. È questo un grande compito, anche per Agesci.
Ha accennato ai “cittadini del mondo” e ci viene subito in mente l’attualità dell’essere capi oggi. Dalle opportunità di studio e lavoro che portano “fuori”, alla precarietà di fondo, al desiderio di realizzarsi spinto da una società che guarda all’individuo. Riprendendo ciò che dice il Concilio Vaticano II - l’uomo si realizza solamente quando si fa dono - incontriamo la chiave strettamente antropologica. Ma questa visione così espressa affonda le sue radici in Gesù, figlio di Dio che si è fatto uomo e si è donato per noi. Lui è
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il ritratto del Cardinale e Genova
Scendendo più nel pratico c’è poi, per i Capi Agesci, il rischio di una stanchezza che logora e non porta gioia, ciò può dipendere anche dalle tante e lunghe riunioni: forse un approccio un poco più contemplativo che riscopra l’ascolto, l’essenzialità e, perché no, la bellezza dell’Adorazione, potrebbe giovare.
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Il Cardinale ci saluta guidandoci a conoscere l’Episcopio: ci mostra il suo ufficio, le stanze cariche di storia e di fede popolate dalle immagini dei Vescovi che lo hanno preceduto, il ritratto artistico a lui tanto caro perché coglie insieme il suo spirito e quello di Genova. L’incontro si conclude con un’Ave Maria in Cappella, insieme. Grazie Don Angelo, buona Strada!
Capo informato mezzo salvato Keywords: CoCa
A cura di Lorenzo Calvi
L'angolo del Diritto Capitolo 2: la responsabilità penale dei capi.
Ciao a tutti! Eccoci al secondo capitolo di questa rubrica sulla responsabilità giuridica di noi capi scout. Oggi ci occuperemo della responsabilità penale. Innanzitutto, giova ricordare che la responsabilità penale è personale, così come enunciato dalla nostra Costituzione. Questo significa che possiamo essere chiamati a rispondere penalmente solo per condotte attive od omissive che noi stessi abbiamo tenuto. Se ricordate lo scorso numero di SIL, per la responsabilità civile non valeva questo principio. Infatti, si diceva che si sarebbe risposto dell’eventuale danno anche quando questo fosse stato cagionato dal nostro educando (e da qui l’importanza dell’assicurazione!). Un’ulteriore precisazione dovuta è che nessuno può essere punito per un fatto che non sia espressamente preveduto come reato da una legge scritta. Questo significa che non possiamo essere puniti per condotte che non sono state tassativamente indicate in una norma vigente nell’ordinamento. Noi tutti possiamo esprimere una condotta con dolo o con colpa. Dolo significa che l’evento illecito realizzatosi è dal soggetto preveduto e voluto come conseguenza della propria azione od omissione. Al contrario, l’agire colposo presuppone che l’evento illecito realizzatosi non sia voluto
dal soggetto ma si generi a causa della sua negligenza, imprudenza, imperizia o per sua inosservanza di leggi, regolamenti, ordini e discipline. Per fare un esempio, il capo reparto che, accidentalmente, nello spostare un palo di legno per le costruzioni, colpisce il novizio che gli sta tra i piedi, potrebbe essere chiamato a rispondere di lesioni colpose perché, a causa di una sua imprudenza, ha ferito il ragazzino; invece, se il capo reparto, colto da un momento di rabbia assurda, colpisse volontariamente il novizietto, risponderebbe di lesioni dolose, con aggravio di pena di non poco conto. Nella convinzione che nessuno di noi farebbe del male volontariamente ai ragazzi che il Signore gli ha affidato, ci concentreremo in particolare sui reati colposi. Anche per questi, la nostra condotta penalmente rilevante può essere di due tipi: attiva od omissiva. La prima non pone particolari problemi di comprensione: ogni nostra azione diretta ha un risvolto su ciò che ci circonda e questo può portarci a risponderne penalmente. Ciò che muta è l’elemento soggettivo del nostro agire che può essere, come descritto, doloso o colposo. Gli esempi fatti prima rientrano in questa categoria. Pongono maggiori problemi le condotte omissive, soprattutto per le attività che, come le nostre, presuppongono situazioni che 26
possono moltiplicare i pericoli. Su questa categoria è necessaria una premessa. Nell’ordinamento penale italiano esistono due sottotipi di omissioni: quella propria, per la quale la fattispecie illecita è descritta propriamente ed unicamente come omissione (dolosa o colposa); quella impropria (dolosa o colposa), per la quale non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo. Nel primo sottotipo rientra l’omissione di soccorso del capo unità che non si è curato della bruciatura grave che si è inferto un educando. Tuttavia, è l’omissione impropria che deve interessare maggiormente noi capi scout responsabili. Infatti, il principio per il quale non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo, significa che, nel caso in cui si verificasse un evento rilevante sotto il profilo penale, e noi capi fossimo stati chiamati dalla legge ad evitare che si realizzasse, ne dovremmo rispondere come se lo avessimo causato noi stessi. Facciamo subito degli esempi chiarificatori: potrebbero essere chiamati a rispondere per lesioni colpose i capi reparto che hanno fatto montare la tenda ad una squadriglia vicino ad un albero pericolante, il quale, poi, cade lì vicino ferendo i ragazzi. La ragione è chiara: i capi hanno il dovere giuridico dell’incolumità degli educandi (anche maggiorenni!) a loro affidati. Pertanto, hanno sicuramente violato le regole di prudenza, perizia o diligenza che impone di non montare una tenda sotto ad un albero pericolante. Ugualmente nel caso in cui si fosse fatto costruire una sopraelevata con dei tronchi non idonei all’uso: ai capi sarebbe addebitabile una condotta che non tutela l’incolumità dei ragazzi.
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Chiaramente, questo non vuole dire che tutte le situazioni, gravi o meno che siano, presuppongano una nostra responsabilità: se, per esempio, a causa di un fortissimo ed improvviso temporale, una frana sotterrasse la casa con tutti i lupetti dentro, difficilmente potremmo essere chiamati a rispondere di qualcosa, in virtù della straordinarietà ed imprevedibilità dell’evento. Non così se avessimo deciso di fare un’uscita di clan in piena allerta rossa. In sintesi, come per quanto si diceva della responsabilità civile, la preparazione e l’attenzione dedicate alle attività risultano fondamentali per evitare qualsiasi rimprovero da parte delle autorità e, quindi, di eventuali ripercussioni penali. Pertanto, ancora una volta, soprattutto per quanto riguarda i casi in cui agli educandi è lasciata molta autonomia, le attività devono essere ben preparate e realizzate in tutta sicurezza, soprattutto per mezzo di una attenta analisi dell’ambiente circostante e delle capacità non solo nostre ma dell’intera staff e dei ragazzi che ci sono stati affidati.
Capo informato mezzo salvato Keywords: regione, settori, pc
A cura della Pattuglia regionale Protezione Civile
Prevedere e prevenire, una sfida esecutiva Capitolo 2: Sedi e case vacanze sicure Tutti noi siamo consapevoli che la vita all’aria aperta e l’avventura costituiscono alcune delle principali ed insostituibili esperienze per una bella e fruttuosa applicazione del metodo educativo scout. La competenza e la dedizione che i capi mettono nella preparazione scrupolosa delle singole attività garantisce un’ottima valenza educativa della proposta. Organizzare e ragionare sulle attività per tempo (progettare), senza lasciare ampi spazi all’improvvisazione può garantirci di minimizzare i rischi e ci permette di mettere in atto modalità per svolgere in sicurezza anche quelle attività che ci appaiono più rischiose, ma che riteniamo comunque importanti per i nostri ragazzi.
Sicuro dal punto di vista degli impianti tecnologici (tubi per il riscaldamento, gas, canne fumarie ecc.): i controlli sono fatti con regolarità? Siamo consapevoli di scadenze o prescrizioni e le controlliamo regolarmente?
Se quindi siamo spesso portati a valutare i rischi per le attività all’aperto, possiamo dire lo stesso per quelle fatte nelle nostre sedi o nei luoghi dove svolgiamo le vacanze di branco o i bivacchi?
Sicuro dal punto di vista dell’esodo (facile da evacuare): le vie di fuga sono tenute libere? Se in questo momento dovessimo evacuare avremmo degli impedimenti?
La sede è il luogo dove passiamo una parte importante dell’anno scout e dove riponiamo il materiale e, proprio per questo, dovrebbe essere innanzitutto un luogo “sicuro” e la sua cura argomento di periodico confronto fra la Comunità Capi; lo stesso vale per le case nelle quali sostiamo o pernottiamo. In generale ognuno di questi luoghi dovrebbe essere:
Sicuro dal punto di vista delle strutture montate (scaffali, mensole ecc.): quale carico possono sostenere i ripiani? Lo scaffale è ben fissato o può ribaltarsi? Sicuro dal punto di vista degli infissi e delle murature: vetri e persiane sono in buono stato?
Sicuro dal punto di vista dell’impianto elettrico: è presente un salvavita funzionante? Le prese sono in buono stato e usate correttamente? In generale l’impianto è a norma?
Sicuro dal punto di vista delle normative antincendio: i bomboloni di gas sono riposti in un luogo idoneo? Sono presenti estintori e sono stati revisionati?
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Inoltre è importante considerare sempre il modo in cui useremo e vivremo gli spazi: in base a quello che faremo all’interno di un locale i pericoli, e i relativi rischi, potranno cambiare. Ad esempio lo spigolo di un tavolo non è di per sé un pericolo che ci verrebbe naturale considerare, ma se nella stessa stanza facciamo un gioco di movimento (es. gara coi sacchi) diventa importante prevenire il rischio di sbatterci contro cadendo (sarà magari sufficiente spostare temporaneamente il tavolo o porre la linea di partenza proprio a partire da esso). Queste e molte altre sono le domande che potremmo farci periodicamente coinvolgendo anche i nostri ragazzi affinché siano loro i primi “occhi che (davvero) guardano nell’oscurità” e segnalano ciò che vedono, per poi agire assieme nel concreto mettendo in pratica una soluzione semplice e di buon senso, condivisa con tutti. Come fatto per le attività all’aperto anche la progettazione di attività al chiuso è spunto per lavorare sulla prevenzione: partendo dalla domanda quale rischio c’è se… passando per cosa questo comporta… per arrivare a come possiamo minimizzarlo? Per esempio tenere una sede in ordine minimizza il rischio che le vie di fuga presenti siano ostruite dalle cose più disparate sparse in giro e facilita così un eventuale esodo in caso di necessità. In questi giorni poi abbiamo, nostro malgrado, scoperto che per minimizzare il rischio di contagio da virus sia necessario attuare alcuni comportamenti che consentono di abbassare il pericolo di contagiarsi, per non rischiare di ammalarsi. In previsione del tanto auspicato rientro nelle nostre sedi e 29
alla vita all’aria aperta, fin da ora potremmo pensare a come attrezzare gli spazi che useremo affinché sia reso disponibile a tutti un disinfettante per le mani o anche solo un buon sapone igienizzante; a come rivedere gli spazi della nostra sede liberandoci di cose superflue e aumentando così lo spazio utile per fare riunione; a come mantenere davvero le nostre sedi realmente più pulite; a come indossare, levare e smaltire correttamente guanti e mascherine che probabilmente ancora per un po’ ci potrebbe essere chiesto di utilizzare; e probabilmente molto altro che i nostri ragazzi sapranno aiutarci a individuare e risolvere. Usiamo questo tempo per progettare al meglio ciò che presto torneremo a fare e non sarà “tempo perso” ma “ben impiegato”. Per provare ad accompagnarvi in questa analisi, di seguito riportiamo un elenco non esaustivo da cui partire, sarete poi voi a fare la differenza aggiungendo molti altri punti all’elenco. •
Mettere a norma gli spazi facendovi consigliare da qualcuno che conosce le normative vigenti.
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Informarvi su dove passano i tubi del gas e i cavi elettrici nella vostra sede. Sarà anche necessario che ogni capo conosca l’esatta posizione e manovre da effettuare sui quadri elettrici e valvole di interruzione dell’erogazione del gas.
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Cercare di migliorare il più possibile l’abitabilità e l’evacuabilità della sede, evitando d’ingombrare i corridoi, anche facendo una prova di evacuazione magari
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inserita in un gioco. Ad esempio se per far scappare un branco dalla tana ci vorranno alcuni minuti forse sarà necessario capire il perché di questo tempo ed eventualmente provare a ridurlo. •
Ridurre il più possibile il carico di incendio anche liberandosi di quei materiali che spesso sostano a lungo nelle sedi senza che sia necessario (ad esempio la pila di vecchi elenchi telefonici “che prima o poi qualcosa ne faremo…”). Comprare un adeguato numero di estintori da tenere in sede e da portare al campo, ad esempio per incendi di legname andranno bene quelli a polvere mentre quelli a CO2 vi serviranno nelle cucine o se avete apparati elettrici. Ci raccomandiamo però di tenerli in efficienza, ogni sei mesi vanno controllati da una ditta specializzata.
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Cambiare almeno ogni 5 anni il tubo del gas dei fornelloni.
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Togliere di mezzo, anche con l’aiuto dei ragazzi, tutti gli attrezzi, che devono essere protetti e costuditi nelle casse di squadriglia o in un apposito luogo. Più in generale dovremmo cercare di organizzare le sedi facendo in modo di avere spazi per riunirsi e giocare ed altri per riporre tutti i materiali utili per le attività.
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Dotare le sedi di una buona cassetta di primo soccorso che vi permetta di agire tempestivamente in caso di necessità. Molto spesso, ad esempio, ci dimentichiamo di tenere a disposizione dei semplici guanti in lattice che, a maggior ragione in questo periodo, possono risultare particolarmente indispensabili.
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Verificare tutte quelle dotazioni che devono anche proteggerci dalla caduta dall’alto quali parapetti delle scale, balaustre ed infissi (sapevate che tra il piano di calpestio del pavimento e la base della finestra deve esserci almeno un metro?).
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Rendere i prodotti chimici/tossici/dannosi per la salute (ad esempio candeggina o diluente) difficilmente raggiungibili dai ragazzi per esempio facendo in modo che siano riposti in luoghi “tabù” dove sanno di “non dover mettere le mani” senza il permesso di un capo.
Quando i vostri occhi “saranno allenati a fare attenzione” alle piccole cose in materia di sicurezza certamente non avrete problemi a fare lo stesso con le case vacanza e luoghi per i bivacchi.
Fare in modo che ci sia uno spazio adeguato (es: bagno agibile) in cui lavarsi le mani, e che lo stesso sia dotato di tutto il necessario per farlo (es: sapone igienizzante, cestino dei rifiuti).
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A cura di Andrea Borneto
A Hidden Life di Terence Malick La vita nascosta di Franz Jägerstätter, il contadino austriaco che si è rifiutato di arruolarsi nell‘esercito nazista.
La sana crescita del mondo dipende in parte da atti ignorati dalla storia e se a te e a me le cose non vanno così male come sarebbero potute andare, lo dobbiamo anche a coloro che hanno vissuto con fede una vita nascosta e vivono in tombe dimenticate“1 1943, il film tratta della vita di Franz Jägerstätter, abitante del disperso paese di Radegund, dove la campagna montanara è un mondo profondo e sensitivo come in un dipinto di Millet2. È in questo ambiente che Franz insieme alla moglie lavora i campi e cresce le figlie. Malick filma questo legame tra lo spazio circostante el'uomo, e grazie alle ottiche grandangolari imposta il film su un flusso esistenziale di voci che entrano ed escono dal campo diegetico, formando un discorso continuo, una litania esperienziale. Come nei suoi precedenti lavori, a partire da "La sottile linea rossa", le voci compenetrano lo scorrere delle immagini e, come un salmo,
sedimentano e disvelano catarsi per lo spirito in una visione luminosa e trascendente. Questo cinema è allora una preghiera, uno scavo dell‘anima che ci avvolge come una messa di Bach. La creazione di immagini (sacre) è al centro del dialogo/flusso riflessivo che si svolge tra il protagonista, reticente all'arruolamento nazista, ed il pittore che sta affrescando la chiesa del paese: luogo dove anche attraverso l‘estetica si fonda l‘etica del cristiano, scontrandosi con l‘umano troppo umano ideale nazista: „Dipingo tutta questa sofferenza ma in realtà non la provo, ci porto a casa il pane. Quel che facciamo è creare comprensione, noi creiamo dei fedeli non creiamo seguaci. La vita di Cristo è fatta di agonia, nessuno vuole ricordarsene, in questo modo non siamo costretti a vedere la verità. Arriveranno tempi oscuri in cui gli uomini saranno più intelligenti, non combatteranno la verità, la ignoreranno.“
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Keywords: arte
Arte, Scout e Rock&Roll
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Il rifiuto ad essere, anche solo passivamente, complice della subdola appartenenza dell‘odio prevaricante, è un segno di libertà che si tramuterà in una situazione limite. Karl Jaspers, filosofo e religioso tedesco, individuava nella situazione limite il momento della manifestazione della Trascendenza, intesa come un rapporto esistenziale diviso in 4 fasi (sfida, abbandono, caduta, ascesa). Franz sfida il potere nazista, abbandona la famiglia, cade perchè giustiziato e ascende poichè nonostante tutto ha fede. In questa sofferenza cristologica c‘è una scelta di autocoscienza libera e trascendente, ovvero la forza interiore di seguire la luce eterna ed infallibile: „essere se stessi non è sapere di sé come oggetto, ma piuttosto un‘autorelazione fondata sulla libertà“3. Il film di Malick richiama quel tema centrale e kierkegaardiano già presente nel film Silence di Scorsese: l‘uomo religioso di fronte al silenzio di Dio e alla sua doppia natura. È Un silenzio assordante di assenza? O è un silenzio trascendente di presenza? In Hidden Life anche nell‘abissale terrore della situazione limite il silenzio si riempe continuamente di grazia ed il vuoto della prigione diviene uno spazio r/esistente in cui è possibile elevarsi.
„Se vado più avanti, allora io inciampo sempre nel paradosso, in quello divino e demoniaco poiché il silenzio è l‘uno e l‘altro. Il silenzio è la seduzione del diavolo e più si tace e più il demone diventa terribile, ma il silenzio è anche la mutua intesa fra la divinità e il Singolo“4 Come sottilinea il raziocinante avvocato, questa ribellione è una presa di posizione senza senso visto che non cambierà il corso degli eventi e non sarà d‘aiuto a nessuno. Franz ha diverse scappatoie, come l‘adesione formale per servire nel settore medico, ma anche di fronte al gerarca che funge da Pilato, interpretato da Bruno Ganz nella sua ultima toccante apparizione, non fa nessun passo indietro; il suo è un silenzio presente, è un silenzio rumoroso ed incompreso. gerarcha nazista:“ Niente sarà cambiato. Il mondo andrà avanti come prima... Lei mi sta giudicando?“ Franz:“ Io non la giudico, non sto dicendo lui è malvagio e io sono giusto. Io non so niente. Un uomo può fare del male e non riuscire ad uscirne, a salvare la sua vita. Magari vorrebbe tornare indietro ma non può. Ho questa sensazione dentro di me e non posso fare ciò che ritengo sbagliato.“
3 G.Cantillo, “ K.Jaspers - Il compito 1: George Eliot, pseudonimo della scrittrice vittoriana Mary Anne Evans della filosofia nell’età della tecnica”
2: Jean Francois Millet, pittore realista ottocentesco 3: G.Cantillo, " K.Jaspers - Il compito della filosofia nell'età della tecnica" 4: Soren Kieerkegaard, "Timore e tremore" 4
more” 32
Soren Kieerkegaard, “Timore e tre-
Fede e distanziamento sociale
Nonostante le avvisaglie ci fossero tutte, da un giorno all’altro ci siamo sentiti catapultati in un inaspettato mondo surreale. Se prima ci si confrontava sulla data dei Passaggi del prossimo anno, in questi mesi uno degli interrogativi più pressanti è stato: “Che dite... CoCa la facciamo su Zoom o su Skype?” Anche molte parrocchie e sacerdoti si sono attrezzati: Messe su Youtube, Rosari su Facebook, Consigli pastorali su Google Duo. Personalmente ho celebrato ogni giorno per due mesi su Facebook, e dopo il rodaggio iniziale, è diventata un’abitudine anche piacevole: ad inizio Messa facevo partire la diretta, chiedevo se l’audio si sentiva e salutavo i presenti che via via si affacciavano allo schermo, idem al termine della celebrazione. Al centro, la Messa vera e propria: una celebrazione raccolta (vorrei vedere, ero solo...), con qualche canto e qualche stecca in solitaria, omelia tutti i giorni, e via via che le settimane passavano, al momento della
Comunione sentivo un imbarazzo crescente nel pronunciare quell’invito: “Beati gli invitati alla Cena del Signore: ecco l’Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo”. In quel momento mi sentivo come il ricco della parabola di Gesù, che banchetta lautamente mentre ai piedi della sua tavola il povero Lazzaro riceve solo le briciole. Nel mio caso, neanche quelle: io la Comunione tutti i giorni, ai miei follower, ehm, fedeli, rimaneva il vedere me che la facevo, mentre a nome loro recitavo la preghiera della Comunione Spirituale. Dal 18 maggio via libera alle Messe. Ne siamo felici, certo. Ma ogni giorno che entro in chiesa con mascherina e guardo l’assemblea ma mi sembra di vedere tante isole e dico “scambiatevi uno sguardo di pace” e poi do la Comunione con i guanti e a fine Messa non posso abbracciare né la dare la mano a nessuno, ogni volta mi tornano in mente queste parole di don Roberto Fiscer: “La nostra è una fede vissuta, da abbracci, da 33
Keywords: spiritualità
Spiritualità Scout
A cura di Don Giovanni Benvenuto
Padre nostro mano nella mano! Non è vero che siamo come i musei, i supermercati e i mezzi di trasporto. Noi siamo famiglia. Ci tocchiamo, ci abbracciamo, ci prendiamo in braccio.” Ora che qualche riunione si può fare, l’idea di dire agli educatori “Ragazzi, stiamo a distanza e con mascherine”, senza potersi mai toccare, mi fa comprendere come nessun rapporto può crescere alla giusta distanza. Tra un bacio mimato e uno sulle labbra, la differenza è quantificabile con il metro? In fin dei conti, se Dio ha voluto farsi uomo, un motivo ci sarà: per starci vicino e soprattutto dare a noi la certezza di averlo vicino. Oggi più che mai, come Capi, abbiamo bisogno di tenere accesa la nostra fede e quella dei nostri ragazzi: cosa stiamo facendo e cosa faremo ancora per accompagnare in questi prossimi mesi il nostro e il loro desiderio di Assoluto? Un paio di piccoli spunti su cui confrontarsi come Capi: - in questi giorni abbiamo capito come la fede possa e debba essere sostenuta da piccoli momenti quotidiani: potremmo inviare periodicamente su Whatsapp ai ragazzi una piccola preghiera, adatta
alla loro età e a ciò che vivono, dicendo loro che sarebbe bello recitarla insieme, ognuno a casa propria, in un orario serale concordato; - la mancanza della Mensa dell’Eucaristia in questi mesi ha messo in risalto, anche nelle celebrazioni in streaming, l’importanza della Mensa della Parola di Dio: inviare piccoli estratti di Vangelo con breve commento (anch’esso adatto a loro: che meraviglia se fossero i Capi a prepararlo, attingendo alla loro vita e alla loro esperienza di fede!) può essere un altro modo di condividere con loro la gioia di incontrare Gesù e conoscere meglio il Vangelo. Tutto ciò, nell’attesa del momento in cui potremo nuovamente cantare abbracciati alle stelle: o la nostra fede è anche comunitaria, o forse non la si può neppure chiamare fede.
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Spiritualità Scout A cura di Stefania Dodero
Eccoci qui di nuovo a parlare di simboli… questa volta diamo i numeri… no non siamo tutti improvvisamente impazziti (anche se messi a dura prova dalla reclusione forzata per pandemia). Nella vita quotidiana ci sono proverbi o modi di dire che riguardano i numeri, pensateci (se non ve ne vengono in mente non preoccupatevi, ma provate ad ascoltare questa banalissima quanto divertentissima canzone per bambini di circa
Keywords: spiritualità
Diamo i numeri (Ovvero i simboli 2^ parte) 10 anni fa dal titolo “Sette”: https://www. youtube.com/watch?v=l0Ujyt1IqhQ ) Dicevamo… anche i numeri fanno parte del nostro vivere, non a caso abbiamo appena passato un periodo di quaresima e quarantena, cioè 40 giorni lontani dagli altri, per scelta o necessità, per cammino spirituale o per questioni sanitarie… poi, se pensiamo alla Bibbia e al Vangelo, ci saremo 35
certo accorti che sono costellati di numeri che spesso non hanno valore quantitativo, bensì qualitativo, ovvero simbolico. Il 7, per esempio, non indica solamente i giorni della settimana impiegati per la creazione, ma è un segno di pienezza e perfezione (insieme ai suoi multipli). In questa luce si comprende anche perché Gesù ci ammonisca di perdonare non solo sette volte, ma settanta volte sette (Mt. 18,21-22). Adesso mettiamo in luce il numero 10, sicuramente ha un riscontro biblico, ma è anche un numero propriamente scout. È rappresentato nel distintivo AGESCI (ma anche in quello delle organizzazioni mondiali WOSM e WAGGGS) dalle 5 punte delle 2 stelle e ricorda i 10 punti della legge. Un numero facile da ricordare, basta guardare le dita delle nostre mani, e ,appunto per questo, è il numero che indica la memoria e qualcosa che deve essere ricordato (non a caso anche i comandamenti sono 10).
Infine mi soffermerei su un ultimo numero che è sempre sotto i nostri occhi, perché anch’esso è rappresentato nel distintivo e nel saluto: il 3! Tre sono infatti le punte del giglio come 3 sono le foglie del trifoglio… e, a proposito di trifoglio, dovete sapere che S.Patrizio, vescovo missionario Irlandese, lo usava proprio per spiegare ai cattolici il significato e il mistero della SS.Trinità (Padre, Figlio e Spirito Santo come i tre cuori che si uniscono in un unico stelo)…e proprio per questo, nella bibbia, il 3 significa il tutto, la totalità. Se poi ci pensiamo il cammino di progressione personale, che ci porta a crescere nella nostra interezza, è diviso in 3 tappe.
Abbiamo parlato delle 2 stelle: per i lupetti è facile ricordarsi il perché, i punti della legge del Branco sono 2, come 2 sono le orecchie tese del lupo attento (o le antenne della cocci) e per questo anche le dita del saluto in Branco e Cerchio (fino a una trentina di anni fa, 2 erano anche le stelle che segnavano la pista di progressione personale dei lupetti).
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