Numero 2 - aprile 2022 - Anno L - AIRC Editore - Poste Italiane spa Sped. in Abb. Postale D. L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) Art. 1 comma 1 LO/MI - ISSN 2035-4479
Numero 2 - aprile 2022
PREVENZIONE
TERAPIE
Fare ordine tra le mille prescrizioni è il segreto per evitare gli effetti collaterali
Su misura, basata sul rischio individuale, sarà il futuro della diagnosi precoce VITA DI COPPIA
La sessualità femminile è messa a dura prova dalla diagnosi di cancro
5 per mille, il sostegno ai ricercatori più giovani
UN’OPPORTUNITÀ DI CRESCITA SCIENTIFICA
SOMMARIO
FONDAMENTALE aprile 2022
In questo numero: 04 10 13 14 16 18 20 21 22 23 26 28 30 31 34 36 38
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5 PER MILLE
I giovani del 5 per mille appassionati di scienza e di ricerca Stabilità per i ricercatori e capacità di programmazione
Il 5 per mille a sostegno della ricerca ordinaria
PREVENZIONE
La prevenzione personalizzata è ancora troppo giovane
TESTIMONIANZE
Sposare una nuova vita dopo il cancro
RICERCA
Fatigue, la stanchezza comune a Covid-19 e cancro
ONE HEALTH. LA SALUTE È UNA I rischi per la salute dei nuovi precari
NOTIZIE FLASH
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La stanchezza profonda in comune tra Covid e cancro
Dal mondo
IFOM
Un doppio attacco ai linfociti T regolatori
TESTIMONIANZE
Due fratelli uniti nella filantropia
RUBRICHE
I traguardi dei nostri ricercatori
QUALITÀ DI VITA
Sessualità e cancro nelle donne, un imbarazzo da superare
TERAPIE
Ordine e chiarezza sui farmaci evitano gli effetti indesiderati
SPERIMENTAZIONE ANIMALE
Il primo cuore da donatore non umano dimostra l’importanza del modello animale
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Precarietà lavorativa e nella salute
Il primo xenotrapianto di cuore, un successo della ricerca
NUTRIZIONE
Latte e latticini aumentano il rischio di cancro?
INIZIATIVE
Arance della Salute, Cancro io ti boccio e Azalea della Ricerca
SPECIALE COMITATI
Le iniziative coordinate dai nostri Comitati regionali
RACCOLTA FONDI Partner ed eventi
IL MICROSCOPIO
Le strategie AIRC per giovani ricercatori
FONDAMENTALE Anno L - Numero 2 Aprile 2022 - AIRC Editore
DIREZIONE E REDAZIONE Fondazione AIRC per la ricerca sul cancro ETS Viale Isonzo, 25 - 20135 Milano tel. 02 7797.1 - airc.it - redazione@airc.it Codice fiscale 80051890152 Autorizzazione del Tribunale di Milano n° 128 del 22 marzo 1973. Stampa Rotolito S.p.A. DIRETTORE RESPONSABILE Niccolò Contucci
CONSULENZA EDITORIALE Daniela Ovadia (Agenzia Zoe) COORDINAMENTO EDITORIALE Anna Franzetti, Simone Del Vecchio REDAZIONE Simone Del Vecchio PROGETTO GRAFICO E IMPAGINAZIONE Umberto Galli TESTI Riccardo Di Deo, Cristina Ferrario, Carlotta Jarach, Antonino Michienzi, Daniela Ovadia, Elena Riboldi, Fabio Turone ILLUSTRAZIONI Chiara Zarmati 2022
Fondamentale è stampato su carta certificata e proveniente da foreste gestite in maniera corretta e responsabile secondo rigorosi standard ambientali, sociali ed economici.
EDITORIALE
Andrea Sironi
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Presidente AIRC
La risorsa più preziosa
I
l numero di aprile di Fondamentale è dedicato al 5 per mille, il prezioso strumento introdotto dal legislatore nel 2006 che consente ai cittadini di scegliere un ente non profit cui destinare una parte delle imposte dovute allo Stato, a sostegno delle cause ritenute più meritevoli. Insieme ai fondi raccolti grazie alle donazioni in occasione delle nostre campagne nazionali, il 5 per mille che voi sostenitori decidete da tanti anni di destinare ad AIRC non solo ci ha consentito di sostenere e dare continuità al lavoro dei nostri ricercatori, ma ci ha anche permesso di avviare importanti programmi che mettono in comunicazione gruppi di ricerca presenti su tutto il territorio nazionale, diventando un esempio di collaborazione virtuosa tra i migliori scienziati italiani. Anche quest’anno è quindi una priorità ricordarsi di AIRC al momento della propria dichiarazione dei redditi. A questi programmi 5 per mille non lavorano però solo ricercatori affermati, ma anche giovani di talento che nella collaborazione a progettualità così ambiziose hanno l’opportunità di crescere e prepararsi per coordinare a loro volta nuovi studi, magari partendo proprio dalle scoperte che hanno contribuito a ottenere. È proprio per facilitare la crescita di giovani scienziati, e per favorire il rientro in Italia dei ricercatori di talento che svolgono la propria attività all’estero, che AIRC ha deciso di accrescere, già da quest’anno, in misura significativa i fondi destinati ai bandi a loro rivolti: due direzioni strategiche molto importanti e interconnesse. Da un lato, è importante potenziare i finanziamenti nei confronti dei più giovani, in genere sotto i quarant’anni, perché la storia della scienza dimostra che dalle menti più giovani nascono le idee più innovative, i progetti più coraggiosi, capaci di far avanzare la conoscenza e le applicazioni in termini di diagnostica e terapia. È dunque importante che gli scienziati più giovani abbiano la possibilità di affrancarsi da quelli più senior, di sviluppare una propria autonomia, creando a loro volta gruppi di ricerca e diventando così anche “imprenditori” della ricerca. In questo modo, Fondazione AIRC intende anche favorire la crescita e lo sviluppo dei nuovi leader della ricerca oncologica del nostro Paese. Dall’altro, è importante potenziare i finanziamenti nei confronti di tanti giovani ricercatori che, dopo essersi formati in modo eccellente nelle nostre università, sono costretti a emigrare all’estero perché il nostro Paese non offre loro la possibilità di svolgere al meglio la propria attività scientifica. Una perdita di capitale umano che occorre frenare e, se possibile, invertire, cercando anche di attirare in Italia ricercatori di altri Paesi. Sempre puntando sulla risorsa più preziosa, i giovani.
La ricerca del 5 per mille su Fondamentale
Gli articoli contrassegnati dal simbolo qui a destra sono dedicati ai risultati di alcuni dei Programmi speciali e progetti finanziati da AIRC grazie alle donazioni del 5 per mille. Per info: www.programmi5permille.airc.it APRILE 2022 | FONDAMENTALE | 3
5 PER MILLE Giovani ricercatori
I giovani del 5 per mille appassionati di scienza e di ricerca Grazie ai fondi del 5 per mille, AIRC ha lanciato dei programmi speciali con l’obiettivo di approfondire le conoscenze sulle metastasi. La direzione dei lavori è affidata a ricercatori consolidati, ma sono molti i giovani a cui i fondi consentono di portare avanti una carriera nella scienza e perseguire un sogno
In questo articolo: giovani ricercatori metastasi
a cura di CRISTINA FERRARIO ono giovani, curiosi e determinati e sono tutti entusiasti di poter partecipare ai programmi che Fondazione AIRC ha messo in campo per sostenere la ricerca in oncologia, con un obiettivo ambizioso: arrivare dal laboratorio al letto del paziente. E anche se le strade che li hanno portati dove sono ora sono molto diverse, in comune hanno tutti la consapevolezza dell’importanza e dell’unicità dei progetti nei quali sono coinvolti. “Lavorare in un team multidisciplinare significa avere la possibilità di confrontarsi con diversi punti di vista, creare un ponte tra laboratorio e clinica e avere sempre nuovi stimoli” dicono i giovani ricercatori, che poi aggiungono: “Il sostegno di AIRC, così importante dal punto di vista economico e così prolungato nel tempo, ci permette di dedicarci completamente alla scienza e dare il meglio per il nostro obiettivo finale: la cura dei pazienti”. In rappresentanza dei tanti giovani sostenuti dai fondi del 5 per mille, AIRC ne ha selezionati alcuni che partecipano ai nove programmi dedicati allo studio delle metastasi.
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“Sin dai primi anni di medicina sentivo il desiderio di dare il mio contributo alla ricerca” spiega Alberto Sogari, medico laureato da un paio di anni e in forza al laboratorio di Alberto Bardelli a Torino sin dal suo secondo anno da studente. “Tra l’altro lui non era un mio professore, l’ho conosciuto frequentando un corso opzionale sull’impatto delle analisi omiche.” Sogari ha lavorato e tuttora lavora su progetti legati a tre concetti fondamentali: evoluzione dei tumori, riparazione del DNA e resistenza alle terapie. La strada scelta sembra quella giusta, stando ai risultati ottenuti finora e pubblicati su prestigiose riviste internazionali. Il progetto più recente in cui è impegnato coinvolge anche lo studio del microbiota intestinale e del ruolo di alcuni batteri e tossine nel tumore del colon. “Sono all’ultimo anno di dottorato di ricerca e sto ragionando su cosa fare dopo. In realtà continuo a vedermi nel mondo della ricerca, è una passione molto forte e trovo l’ambiente veramente stimolante.”
ria Chiara Bonini presso l’Ospedale San Raffaele. L’interesse per l’immunologia nasce all’università: da allora Alessia ha continuato a inseguire il suo desiderio di capire a fondo il sistema immunitario. E lo ha fatto con grande tenacia, con un’esperienza di alcuni mesi negli USA fino all’attuale esperienza milanese. “Cercavo l’università nella quale svolgere la laurea magistrale, ma prima ancora cercavo un posto in cui poter studiare l’immunoterapia dei tumori” spiega. Ed ecco l’attuale laboratorio, in cui Alessia ha svolto in seguito il dottorato di ricerca in medicina traslazionale, lavorando sulle metastasi epatiche del tumore del colon e del pancreas, cercando di modificare il sistema immunitario in modo da renderlo uno strumento contro il cancro. Con tecniche di ingegneria genetica e biologia molecolare, si inserisce nei linfociti T un gene che permette a queste cellule di riconoscere in modo specifico il tumore. Inoltre, gli si toglie specifici freni che impediscono ai linfociti di svolgere al meglio il loro lavoro. “Quello che mi ha sempre affascinato è capire come manipolare a nostro favore un sistema così complesso” dice.
DETERMINAZIONE E PERSEVERANZA “L’interesse per la ricerca è nato al liceo, prima ancora di sapere in quale ambito proseguire i miei studi” dice Alessia Potenza, dalla Puglia a Ferrara per la laurea in scienze biologiche, per arrivare poi a Milano, dove dal 2019 collabora al Programma AIRC 5 per mille coordinato da Ma-
LA VALIGIA SEMPRE PRONTA PER SEGUIRE LA RICERCA Parte dalla Turchia il viaggio di Dogus Altintas, che da qualche mese vive a Milano e collabora al programma coordinato da Paolo Comoglio presso IFOM. Il suo è stato un percorso intenso e vario dal punto di vista professionale, con tappe in Francia, in Sviz-
Un’opportunità per perseguire il proprio sogno nella ricerca
IL PALLINO DELLA RICERCA Gli studi di medicina hanno sempre rappresentato lo sfondo sul quale “incastonare” il lavoro di ricercatore.
zera e di nuovo in Francia, prima dell’approdo in IFOM, dove si occupa di tumori di origine primaria sconosciuta, e lo fa seguendo la particolare filosofia che guida il gruppo di ricerca in cui lavora. “Da sempre si pensa al cancro come a una malattia legata a un organo. Noi pensiamo invece che sia una malattia legata a un oncogene” dice il ricercatore. “Secondo noi non ci sono quindi tumori del polmone o del colon, ma tumori con mutazioni nel gene RAS o MET, indipendentemente dalla loro origine nel polmone o in un altro organo” aggiunge. E proprio sull’oncogene MET sta lavorando Dogus, che è anche padre di tre figli. “Siamo abituati a muoverci, ma organizzare lo spostamento con tutta la famiglia non è semplice. Questo però è parte dell’avventura ed è, secondo me, una bella esperienza che apre nuovi orizzonti.” FRANCESCA, IL PIACERE DELLA RICERCA Si definisce scherzosamente una “nerd”, ma ciò che emerge dalle sue parole è soprattutto la grande passione per la ricerca di base e la curiosità di scoprire “come funzionano le cose”. Francesca Zanconato da Padova collabora al programma coordinato da Stefano Piccolo e si occupa
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5 PER MILLE Giovani ricercatori
in particolare di studiare dal punto di vista molecolare le metastasi del tumore al seno. E lo fa con analisi a livello di singola cellula per svelare il volto dei singoli tumori. La meccanobiologia, insieme allo studio delle interazioni anche meccaniche tra le cellule del tumore e del microambiente, è parte integrante del lavoro di Francesca, che non pensa alla ricerca come a un mestiere, ma come a una passione e a un’esperienza totalizzante, capace di dare grandi soddisfazioni e a volte anche delusioni, sicuramente mai noiosa. E quando serve una pausa da questa immersione totale nella ricerca, Francesca si dedica al teatro: “È un interesse nato per caso, ma che mi coinvolge al cento per cento, concedendomi una pausa dal laboratorio”.
za di Roma. Luca inizia un dottorato subito dopo la laurea, scelta non comune per un medico. Il suo lavoro parte da Roma con lo studio della malattia minima residua nei linfomi follicolari, per poi uscire dai confini nazionali – in Germania (Munich Leukemia Laboratory), dove si sofferma sul ruolo predittivo di mutazioni geniche nella leucemia mieloide, e a New York (Cornell University) dove per tre anni studia modelli murini di leucemia linfoide e i rapporti fra cellule tumorali e microambiente. Esperienze che gli hanno fruttato pubblicazioni e presentazioni a due congressi annuali della Società americana di ematologia. “Il culmine di questo percorso è stato tornare a Roma nell’ambito di un programma 5 per mille. Nella vita voglio fare il medico e, visto il livello di preparazione dei medici e quello della ricerca portata avanti da questo gruppo, credo che per me sia una grande occasione per crescere ulteriormente dal punto di vista personale e professionale.”
Viaggi e letture nel tempo libero come tutti i giovani
MEDICO E RICERCATORE GRAZIE (ANCHE) A FONDAMENTALE “Nei giorni in cui dovevo scegliere il dipartimento di ricerca da frequentare per il mio percorso di studi in medicina, mi capitò di leggere a casa di mia nonna Anna una copia della rivista di AIRC Fondamentale nella quale si parlava di Robin Foà. Questo articolo mi permise di conoscere il professore come ricercatore e come persona, e quindi decisi di fare domanda per il suo laboratorio” spiega Luca Cappelli. Nasce così il legame di Luca con la ricerca oncologica e con il programma coordinato da Robin Foà presso l’Università La Sapien-
GALEOTTA FU LA GITA A SIENA “Mamma, papà, io verrò a studiare a Siena.” Sono le parole di una bimba originaria della provincia di Matera in gita a Siena con la famiglia. Detto fatto. Quella bimba oggi è una ricercatrice che da oltre 15 anni vive nella città toscana e che attualmente contribuisce al programma coordinato da Michele Ma-
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io presso il centro di immunoncologia senese. “Mi sono innamorata di questa cittadina ordinata, che mi dava una sensazione di calma” spiega Maria Lofiego, laurea magistrale in biologia sanitaria e specializzazione in biochimica clinica e patologia clinica, seguite da un dottorato di ricerca. “Sono molto fiera di far parte di questa realtà, un vero centro di eccellenza da cui ricevo quotidianamente gli stimoli per portare avanti il mio lavoro” aggiunge. E al centro di questo lavoro c’è l’epigenetica, ovvero le modificazioni “chimiche” del DNA che permettono di rendere le cellule tumorali meno facilmente riconoscibili dal sistema immunitario e portano a studiare come togliere il velo dietro al quale il tumore si nasconde. “L’idea è studiare le modificazioni epigenetiche che caratterizzano la malattia anche per comprendere perché alcuni pazienti non rispondano all’immunoterapia” afferma Maria, che per raggiungere l’obiettivo analizza sia il tumore sia tutte le cellule che lo circondano, ovvero il microambiente tumorale. RIFLETTORI PUNTATI SUI MACROFAGI Sui macrofagi, una tipologia di cellule del sistema immunitario, si basa gran parte dell’esperienza professionale di Nina Cortese, biotecnologa di formazione, con studi a Milano e un periodo trascorso in Israele durante il dottorato di ricerca. Da tre anni Nina collabora al programma coordinato da Alberto Mantovani presso l’Istituto Humanitas di Rozzano, lavorando sulle metastasi al fegato derivan-
ti da tumore del colon-retto. “Il focus del nostro gruppo è individuare nuovi marcatori immunitari che possano aiutare a selezionare i pazienti che risponderanno alla terapia e che avranno una prognosi migliore” spiega Nina. Il progetto ha portato all’identificazione di importanti interazioni fra cellule del sistema immunitario, cosi come fondamentale è stata l’interazione fra i vari gruppi. “La ricerca occupa gran parte del mio tempo e mi piacerebbe continuare con questo lavoro anche in futuro” spiega Nina, che da qualche anno si è appassionata al tennis. “Ci gioco e lo seguo, ma solo nel tempo libero.” UN FILM A COLORI DALLE PROVETTE AL COMPUTER La “C” aspirata non lascia dubbi sull’origine toscana di Simone Romagnoli, biotecnologo di formazione passato poi alla bioinformatica, che oggi a Firenze collabora al programma coordinato da Alessandro Maria Vannucchi. Fresco di dottorato di ricerca, Simone ha seguito un percorso incentrato su applicazioni biotecnologiche che abbiano un risvolto nella clinica. Il focus è stato lo studio dei genomi di un gruppo specifico di pazienti con leucemia mieloide acuta, alla ricerca di marcatori che potessero aiutare a scegliere il trattamento migliore per ciascun malato. E dopo i primi passi dietro al bancone, la passione per i dati ha preso il sopravvento. “Sono sempre stato uno ‘smanettone’ e quindi la parte bioinformatica mi interessava” dice Simone. “A un certo punto, vedere tutta questa
mole di dati che si generava e aspettare che qualcun altro li analizzasse mi stava un po’ stretto” aggiunge. E da lì, grazie anche alla possibilità di dedicarsi per un periodo allo studio di questo aspetto della ricerca, nasce il Simone bioinformatico, che però nel poco tempo libero non rinuncia alle sue grandi passioni, tra le quali il cinema. “Sono praticamente cresciuto nella sala cinematografica che mamma e nonna gestiscono a Firenze.”
UN VIAGGIO “CONTROCORRENTE” Dagli Stati Uniti all’Italia. Quello di Valentina Ferrari, oggi coinvolta nel programma coordinato da Maria Rescigno presso l’Istituto Humanitas di Rozzano, è stato un viaggio “al contrario” rispetto a quello di tanti giovani ricercatori che dal Bel Paese volano negli Stati Uniti. Come svela il suo nome, Valentina ha radici italiane e la scelta dell’Italia è stata in un certo senso naturale quando
ha deciso di dedicarsi alla ricerca in immunoncologia in un nuovo Paese. “La scienza è universale e questa esperienza in Italia mi sta aiutando a crescere sia come ricercatrice che come persona” afferma Valentina, che ha alle spalle studi di psicologia prima della “conversione” alla biologia e all’immunologia. Complice una diagnosi di tumore in fa-
miglia, l’esempio dei suoi genitori entrambi ricercatori, e il desiderio di poter fare qualcosa in prima persona per trovare cure più efficaci contro le neoplasie, il passaggio all’immunologia ha portato Valentina fino alle porte di Milano, dove lavora allo sviluppo di un vaccino terapeutico universale per il cancro, concentrandosi in particolare sul melanoma.
L’esperienza all’estero è importante per tutti
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5 PER MILLE Progetti ordinari
In questo articolo:
cancro del polmone tumore del pancreas
Stabilità per i ricercatori e capacità di programmazione Sono questi i vantaggi offerti dal sostegno economico derivante dal 5 per mille alla ricerca scientifica, una fonte di introiti che si affianca alla raccolta di donazioni per finanziare, oltre ai programmi speciali, i progetti di ricerca ordinari
“
TUTTI GLI STRUMENTI A SOSTEGNO DEL NON PROFIT
I
legislatori hanno sviluppato diversi strumenti legati alla dichiarazione dei redditi per consentire di scegliere a chi destinare parte delle proprie tasse, senza aggravio per i cittadini stessi. Questi strumenti sono indipendenti tra loro: firmare per devolvere il 5 per mille a un ente che sostiene la ricerca scientifica non impedisce di sottoscrivere anche l’8 per mille a favore di una confessione religiosa e il 2 per mille a favore di un partito politico o di un ente culturale.
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per mille: lo si usa per devolvere una percentuale fissa del gettito IRPEF a una confessione religiosa tra quelle che hanno stipulato un’intesa con l’Italia (in alternativa si può firmare a favore dello Stato). Le erogazioni non hanno un tetto e, se non si sceglie nessuno, il gettito viene comunque ripartito tra le varie confessioni in
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”
proporzione alle scelte fatte dagli altri contribuenti.
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per mille: grazie a questo strumento potete devolvere il 5 per mille del vostro gettito IRPEF a enti che assolvono a determinate finalità di interesse sociale. In questa categoria rientrano anche gli enti che, come AIRC, sostengono la ricerca scientifica. A differenza dell’8 per mille, gli enti ricevono solo il gettito delle scelte a loro favore, mentre in caso di mancata dichiarazione la somma va a favore dello Stato.
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per mille: con questo strumento è possibile devolvere parte delle proprie tasse a un partito politico, come forma di sostegno pubblico. In realtà esistono due tipologie di 2 per mille: con la seconda è possibile destinare la stessa percentuale del proprio reddito a un’associazione con finalità culturali.
I
a cura della REDAZIONE ntrodotto in forma sperimentale nel 2006 e successivamente confermato, lo strumento del 5 per mille, che consente ai cittadini di devolvere parte delle proprie tasse a una causa che hanno a cuore, ha contribuito in modo importante a cambiare la ricerca oncologica in Italia. Fin dai primi anni, AIRC ha goduto della fiducia di moltissimi italiani, consapevoli che il denaro che arriva alla Fondazione viene distribuito in modo trasparente e meritocratico con lo scopo di trovare nuove cure contro il cancro. “Rispetto alle donazioni spontanee, che costituiscono comunque un contributo preziosissimo e indispensabile per raggiungere gli obiettivi, il 5 per mille ha il vantaggio di garantire, anno per anno, la stabilità finanziaria, che è ciò che spesso manca alla ricerca” spiega Federico Caligaris Cappio, direttore scientifico di Fondazione AIRC. “Un progetto di ricerca non dura mai un anno solo, e sapere di poter contare su introiti certi ha consentito ad AIRC di sviluppare nuove progettualità di lungo termine, più ambiziose ed efficaci in termini di risultati, da affiancare al sostegno puntuale alla carriera dei ricercatori, come accade per esempio con le borse di studio.” Il 5 per mille ha anche un altro pregio rispetto alle altre forme di finanziamento alla ricerca scientifica, inclusi i soldi che ora arriveranno dal PNRR: a scegliere dove e come spendere i soldi donati sono i cittadini stessi. “È uno strumento che consente alle persone di dire che cosa è importante per loro, quali problemi vogliono che siano risolti prioritariamente. E il cancro è purtroppo un problema che colpisce tutti e che richiede uno sforzo collettivo per trovare una soluzione” conclude Caligaris Cappio. Oltre ai programmi tematici (di cui parliamo anche alla pagina 4), il 5 per mille sostiene quindi molti dei progetti di ricerca che Fondazione AIRC eroga ogni anno e che vengono svolti capillarmente nei laboratori sparsi su tutto il territorio italiano.
Da Nord a Sud a fianco dei ricercatori
“Sono cresciuto come scienziato a Trieste, dove mi sono laureato in biotecnologie mediche e poi specializzato in medicina molecolare” racconta Alessandro Carrer, uno degli scienziati il cui progetto è sostenuto dai fondi del 5 per mille. “Ho iniziato a interessarmi di metabolismo tumorale, e in particolare di tumore al pancreas, durante il mio periodo di post-dottorato all’Università della Pennsylvania, negli Stati Uniti. Sono rientrato in Italia grazie a un grant che mi ha dato proprio Fondazione AIRC.” Ora Carrer lavora presso la Fondazione ricerca biomedica avanzata – Istituto veneto di medicina molecolare a un progetto che si propone di definire i fattori metabolici ed epigenetici che contribuiscono alla predisposizione e alla comparsa del cancro al pancreas (per esempio particolari regimi alimentari), in modo da sviluppare strategie di prevenzione più efficaci. “I fondi di AIRC, e in particolare il My First AIRC Grant che mi è stato attribuito nel 2019, mi hanno dato l’opportunità di tornare in Italia per lavorare sul tumore al pancreas, la malattia che più detesto” conclude. “Posso così mettere a frutto la mia esperienza di ricerca all’estero, e riportare qui strumenti di lavoro e modelli sperimentali all’avanguardia.”
inibitorio ILT3 nella regolazione dei meccanismi di soppressione tumorale nella leucemia linfatica cronica. “Nel gruppo di ricerca in cui lavoro vogliamo capire meglio perché alcuni tumori progrediscono più lentamente di altri, con l’intento di sfruttare questa conoscenza per lo sviluppo di terapie. Il nostro modello, la leucemia linfatica cronica a cellule B, raramente evolve in una forma aggressiva: vogliamo capire qual è il meccanismo che sopprime la progressione tumorale, per vedere se è possibile attivarlo anche nei tumori più aggressivi.” Kabanova è nata in Russia, a Novosibirsk, una delle grandi metropoli industriali della Siberia Occidentale, e si è laureata in biologia in quella città. “Nel 2007 sono venuta a fare un dottorato all’Università di Bologna, portando avanti un progetto di ricerca presso i laboratori di Novartis Vaccines di Siena. Mi sono poi spostata nella Svizzera italiana e infine, di nuovo, in Italia, sempre a Siena, dove sono tornata grazie ai finanziamenti di AIRC” spiega. E aggiunge: “Credo che ogni ricercatore che lavori nei laboratori italiani sia spinto da una profonda passione per la ricerca”.
Le variabili epidemiologiche sono complesse da valutare
Finanziare la mobilità I fondi del 5 per mille sono essenziali anche per chi sceglie l’Italia venendo dall’estero e trova in Fondazione AIRC il sostegno necessario a rimanervi. È il caso di Anna Kabanova, ricercatrice presso la Fondazione Toscana Life Sciences con i fondi di un My First AIRC Grant sostenuto dal 5 per mille. In Toscana, Kabanova si occupa dello studio della funzione del recettore
Sostenere il gruppo A Bari, presso l’Università degli studi Aldo Moro, lavora Clelia Tiziana Storlazzi, supportata da Fondazione AIRC con un Investigator Grant, che ha come scopo lo studio di nuovi marcatori genetici per valutare la gravità della malattia nei pazienti con carcinoma polmonare a piccole cellule con amplificazione dei geni MYCL/ MYC, una forma particolarmente refrattaria alle cure. “Mi sono laureata in biologia all’Università di Bari nel 1995. Ho lavorato a Perugia e a Roma e, nel 1998, ho vinto una borsa triennale di FIRC per lavorare sulla citogenetica molecolare di tumori solidi ed
ematologici. Grazie a quei fondi sono anche andata all’estero, in Svezia. Al ritorno ho continuato a lavorare a Bari, dove sono diventata professore associato nel 2016. I fondi dell’Investigator Grant quinquennale di AIRC, che parte proprio quest’anno, mi permetteranno di lavorare sul microcitoma, portando a termine un progetto di ricerca molto ambizioso, ma anche di supportare giovani e promettenti ricercatori attraverso assegni di ricerca” spiega. “Fare questo lavoro al giorno d’oggi non è semplice perché la competizione è fortissima e la tecnologia avanza rapidamente, sicuramente a velocità maggiore rispetto alla disponibilità di fondi. Grazie al sostegno di AIRC, tuttavia, alcuni scogli possono essere superati e si può cercare di svolgere il proprio lavoro con una sicurezza in più, cioè quella di essere sostenuti da un ente che premia il valore dei progetti e lo spessore scientifico e culturale di chi li propone.” APRILE 2022 | FONDAMENTALE | 9
PREVENZIONE Genomica e rischio
In questo articolo:
prevenzione personalizzata genomica diagnosi
La prevenzione personalizzata è ancora troppo giovane Sottoporre tutti a un test genetico per individuare eventuali anomalie che potrebbero, un giorno, dare origine a un cancro, ma anche essere del tutto innocue, è una strategia inutile. La prevenzione individualizzata ha applicazioni precise e limitate, che aumenteranno man mano che crescono le conoscenze sui tumori a cura di CARLOTTA JARACH erapie sempre più personalizzate per ogni malato: è questo l’approccio più avanzato alla cura del cancro. La medicina di precisione vorrebbe però fare un passo avanti, fornendo a ognuno di noi la propria, personalissima, ricetta per prevenire più efficacemente i tumori. Utopia o realtà? Da tempo sappiamo che una diagnosi precoce e una corretta prevenzione sono elementi fondamentali per ridurre l’impatto del cancro sulla
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popolazione, nonché strumenti importanti per abbassare il rischio individuale. Le misure preventive possono essere prese prima dell’insorgenza della malattia (in questo caso si parla di prevenzione primaria), quando la malattia è già presente, seppur ancora all’esordio (prevenzione secondaria), o dopo averla curata, per evitare l’insorgere di recidive (prevenzione terziaria). A livello di politiche sanitarie e sanità pubblica esistono diverse strategie: alcune, cosiddette paternalistiche, cercano di scoraggiare il consumo di prodotti specifici, come
Una ricetta personale per prevenire il cancro
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sigarette o alcolici, attraverso per esempio l’introduzione di tasse ad hoc, altre hanno un respiro più ampio e puntano al miglioramento, più o meno diretto, degli stili di vita dei singoli individui – come campagne informative e di sensibilizzazione del rischio. Queste e altre strategie di prevenzione ragionano secondo una valutazione del rischio a livello di popolazione generale, o tutt’al più su macrogruppi a rischio (per età, per condizioni lavorative…). Cosa potrebbe accadere se si cambiasse il paradigma, ovvero si sviluppassero strategie di prevenzione incentrate sulle caratteristiche dei singoli individui? I CERCHI CONCENTRICI Per capire meglio il contesto in cui si inserisce la prevenzione di precisione (così come viene chiamato questo approccio personalizzato), si possono immaginare le strategie di prevenzione come una serie di cerchi concentrici. Nel cerchio più largo abbiamo le indicazioni rivolte a tutta la popolazione, per lo più di tipo legislativo e normativo. Sono indirizzate a tutti, sia a coloro che sono esposti sicuramente al fattore di rischio, sia a chi può venirvi a contatto indirettamente. Un esempio classico è il divieto di fumare nei luoghi pubblici al chiuso, che riduce sia le possibilità dei fumatori di fare un danno a se stessi, sia quelle dei non fumatori di essere esposti a un rischio indiretto. Nel cerchio immediatamente più interno si trovano tutte le iniziative basate su un approccio più mirato a coloro che sono ad alto rischio. In ambito oncologico, esempi in tal senso sono i test di screening
per chi ha familiarità per certi tumori, e si trova quindi ad avere un rischio più elevato di incidenza di malattia, ma anche i test di screening riservati a determinate categorie (per età o sesso), come il Pap test o la mammografia. Esiste poi un terzo cerchio, più piccolo, al cui interno troviamo la prevenzione di precisione, i cui destinatari sono i singoli individui e il loro personale profilo di rischio. In tal senso è nota (e ha costituito una sorta di spartiacque) nella storia dei test genetici a fini preventivi la vicenda di Angelina Jolie, portatrice di una mutazione del gene BRCA1, che, come quella del gene BRCA2, aumenta nettamente il rischio di ammalarsi di tumore al seno e all’ovaio (e per i maschi di tumore alla prostata) rispetto alla popolazione generale. L’attrice è stata il primo personaggio pubblico a raccontare il proprio percorso individuale, dalla valutazione genetica, resa necessaria dalla presenza nella sua famiglia di casi precoci di cancro al seno e all’ovaio, alla sofferta decisione di sottoporsi a una mastectomia bilaterale preventiva. Queste tre tipologie di strategie di prevenzione non hanno un ordine gerarchico, ma sono complementari: le strategie di prevenzione di precisione necessitano, più delle altre, di una conoscenza estremamente approfondita delle basi molecolari del cancro, nonché di un’analisi puntuale delle risposte individuali agli interventi preventivi. IL RISCHIO NON È PER TUTTI UGUALE Non tutti gli individui, anche se esposti allo stesso fat-
a
tore di rischio, hanno la medesima probabilità di ammalarsi: nella maggior parte dei casi giocano un ruolo importante la suscettibilità del singolo, l’età, il sesso, le condizioni di salute prima della malattia e, come già detto, le caratteristiche genetiche. Le strategie di precisione, basate sulle caratteristiche del singolo individuo, risponderebbero proprio al problema delle diagnosi che si perdono a causa di iniziative che, per quanto mirate, non sono abbastanza specifiche, riuscendo meglio a identificare il rischio tumorale e quindi le misure di prevenzione più adatte. “Uno dei problemi che abbiamo oggi è decidere cosa far rientrare nella definizione di prevenzione di precisione” afferma Francesco Perrone, direttore della Struttura complessa di sperimentazioni cliniche dell’Istituto nazionale
tumori Fondazione Pascale di Napoli, e presidente eletto dell’Associazione italiana di oncologia medica (AIOM). “La prevenzione primaria attraverso i vaccini (per esempio la somministrazione del vaccino antiHPV alle ragazzine di 12 anni) può essere considerata una misura personalizzata e già in essere. Rientra nella prevenzione personalizzata già largamente utilizzata anche l’uso di specifici farmaci. Approcci più specifici, invece, sono ancora in una fase molto embrionale: in teoria possono essere utili, ma di fatto stiamo ancora studiando se e quando funzionino.”
È il caso per esempio della caratterizzazione molecolare di lesioni precancerose, possibili bersagli di una terapia preventiva, un’idea proposta da molti ma che non è ancora diventata lo standard nella pratica clinica. “Poi ci sono le sindromi genetiche che inducono un aumentato rischio di cancro: sono, al momento, gli ambiti nei quali ci avviciniamo di più alla prevenzione basata sulle caratteristiche genetiche che dovrebbe essere la vera e propria prevenzione di precisione” commenta Perrone. “In questo caso, le decisioni sono basate sulla presenza
o l’assenza di una specifica anomalia genetica. Facciamo un esempio: se si diagnostica un tumore della mammella o dell’ovaio in una paziente portatrice di una mutazione BRCA1 o BRCA2, e si fa di conseguenza un counseling genetico della famiglia, si possono identificare altri soggetti portatori che hanno quindi un’elevata probabilità di sviluppare la malattia. E così si aprono spazi per strategie di tipo preventivo (per esempio, controlli più frequenti e serrati, o con tecnologie più specifiche) e di cura (per esempio scegliendo una classe di farmaci invece di un’altra).”
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PREVENZIONE Genomica e rischio
TECNOLOGIE
NEXT GENERATION SEQUENCING
I
dentificare chi ha una predisposizione ereditaria al cancro è centrale in oncologia. In questo compito vengono in aiuto nuove tecnologie di sequenziamento del DNA, soprattutto di Next Generation Sequencing (NGS). Si tratta di analisi genetiche che permettono di studiare il DNA a tempi e costi contenuti. Non senza difficoltà: infatti, spesso si ottengono molte più informazioni del dovuto e, aspetto ancora più problematico, non sempre queste informazioni sono semplici da interpretare (o rilevanti). Non conosciamo tutte le possibili alterazioni genetiche alla base delle specifiche malattie, e per questo non avrebbe senso fare screening su individui sani senza familiarità. “Con questi test troviamo anomalie genetiche che in un’elevata percentuale di casi non significano nulla” commenta Perrone. “Non sono cruciali per la crescita del tumore, non sono utili come bersaglio terapeutico; sono legate al fatto che il nostro DNA di errori ne fa, e ne fa tanti, ma la maggior parte di essi fortunatamente non scatena alcuna patologia e non crea problemi. Fino a quando ciò accade in concomitanza con la comparsa della malattia, costituisce un semplice rumore di fondo nella diagnostica genomica. Ma se il rumore di fondo compare anche nella popolazione sana e non siamo capaci di individuarlo come tale, diventa un problema che porta a un eccesso di interventi preventivi.”
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PRO E CONTRO Con una strategia di prevenzione di precisione, si potrebbero identificare sottogruppi di persone sane per le quali il rischio di sviluppare malattia è più alto che nella popolazione generale. Con però un sostanziale rovescio della medaglia: “Si tratta pur sempre di un aumento di rischio, non di una diagnosi o di una certezza” spiega Perrone. “Possiamo solo stimare gli indicatori di rischio, ma non calcolare la probabilità che la malattia si presenti. Agendo con strategie di prevenzione personalizzata sulla popolazione sana, otteniamo da una parte il vantaggio di far entrare chi è più a rischio in programmi di sorveglianza serrata, offrendo quindi la possibilità concreta di una diagnosi anticipata e una miglior probabilità di guarigione; dall’altra, però, se generalizziamo questa strategia, andiamo incontro a un grosso problema di sovradiagnosi, ovvero sottoponiamo a controlli costosi e a volte anche potenzialmente fastidiosi o pericolosi tante persone che non ne avrebbero bisogno. Infine, qualsiasi fattore di rischio si identifichi, quando lo si utilizza per interventi su larga scala, ha un impatto sociale. La diagnosi di un’anomalia genetica, nel contesto delle società evolute dei Paesi ricchi, può diventare uno stigma e dare problemi. Basti pensare agli Stati che hanno sistemi sanitari privati basati su assicurazioni: negli Stati Uniti, per esempio, sapere di essere portatori di un’anomalia ge-
netica che aumenta il rischio di tumore potrebbe comportare polizze assicurative nettamente più elevate.” La prevenzione “à la carte” basata sulle caratteristiche personali è quindi, al momento, più un obiettivo da perseguire che una realtà, con l’eccezione delle malattie di origine genetica, in cui si orienta la valutazione sulla base della storia familiare. Non esiste infatti un test unico che permetta di individuare eventuali mutazioni genetiche che aumentano il rischio di specifici tumori. Per ciascuna mutazione si devono mettere a punto e validare esami appositi. Un altro problema di questo approccio così puntuale è la necessità di identificare per ogni tumore il gene (o la mutazione) chiave, quello che è effettivamente all’origine della trasformazione maligna: un compito tutt’altro che semplice, dal momento che la maggior parte delle forme cancerose è il risultato di un gran numero di mutazioni concomitanti, ciascuna delle quali ha il proprio peso. “La ricerca scientifica offre opportunità straordinarie, ma bisogna essere cauti nel passare dal laboratorio alla pratica quotidiana troppo precocemente” conclude Perrone. “Nel caso delle prevenzione personalizzata, è importante soprattutto non far passare l’errato messaggio che basta sottoporsi una tantum a un test genetico qualunque per scoprire a quali malattie si andrà incontro e attuare quindi misure per prevenirle.”
Un singolo test genetico non predice il rischio
TESTIMONIANZE Tumore all’ovaio
Sposare una nuova vita dopo il cancro Dopo un tumore all’ovaio, Marta il prossimo anno si sposerà e ha deciso di offrire bomboniere AIRC ai suoi ospiti. “Oltre a sostenere la lotta al cancro, speriamo di ispirarli ricordando loro quanto sia importante la ricerca”
“O
a cura di ANTONINO MICHIENZI ggi ho tanti sogni, ma non progetto più.” Quando a Marta si chiede come sia cambiato il suo rapporto con il futuro dopo la malattia, risponde così. Per lei oggi il futuro è uno spazio aperto, ma senza gli assilli dei programmi, delle scadenze, delle cose da fare a tutti i costi. Uno spazio da conquistare vivendo e apprezzando ogni giorno. Marta ha 33 anni e un anno fa le è stato diagnosticato un tumore ovarico. “Era il 20 febbraio quando ho ricevuto la diagnosi. Mio padre dieci giorni prima aveva finalmente smesso di essere positivo al Covid dopo 90 giorni. Il 2 dicembre avevo perso mia madre all’improvviso” ricorda, scandendo le date che in due mesi le hanno stravolto la vita. Proprio la morte della mamma l’aveva messa in uno stato di allerta. “Nonostante fossi stata dal ginecologo pochi mesi prima, sentivo che il mio corpo mi stava inviando dei segnali” racconta. Torna dal medico, che si rende subito conto che c’è qualcosa che non va; in pochissimo tempo Marta viene operata. Il tumore è al primo stadio; è raro che un cancro all’ovaio sia diagnosticato così precocemente.
Nonostante ciò, i chirurghi sono costretti a un intervento radicale. “È un qualcosa che intacca irreversibilmente la femminilità, i progetti di vita. In quel momento, però, io ero grata di essere viva” confessa. Marta vacilla solo per un attimo di fronte alla chemio: “C’erano state persone che mi avevano spaventato” racconta. Ma conosce un paziente che si trova nella sua stessa situazione, si confrontano e recupera la fiducia. “Ho capito in quell’occasione quanto sia importate condividere la propria esperienza per dare una speranza agli altri malati. Soprattutto a quelli che sono soli” aggiunge. Marta non è stata sola. Oltre alla sua famiglia, ha avuto una persona che l’ha accompagnata per tutto il percorso della malattia: il suo fidanzato Nicola. “La malattia per chi ti vive accanto non è facile” afferma. “Vedi la persona a cui vuoi bene che si trasforma; hai paura e soffri per lei. Ma
Nicola non mi ha mai abbandonato. È stato un angelo. E poi mi ha chiesto se volevo diventare sua moglie.” Il 20 maggio del 2023 Marta e Nicola si sposeranno. Hanno già deciso che per la loro festa sceglieranno partecipazioni e bomboniere solidali di AIRC. “Si può fare del bene in tanti modi” dice Marta. “Io da quando mi sono ammalata faccio una donazione ad AIRC tutti i mesi. Ma quando si dona un oggetto simbolico come questo, oltre a sostenere direttamente la lotta al cancro, forse si può riuscire anche a risvegliare qualcosa in chi lo riceve e ricordargli quanto sia importante la ricerca.”
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RICERCA Stanchezza cronica
In questo articolo: Covid-19 fatigue infiammazione
Fatigue, la stanchezza comune a Covid-19 e cancro Dallo studio sugli strascichi del Covid-19 potrebbero derivare conoscenze utili per i pazienti oncologici che soffrono di stanchezza cronica, a dimostrazione del fatto che la ricerca non ha confini
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a cura di ELENA RIBOLDI lcune persone che si sono ammalate di Covid-19 non si ristabiliscono pienamente e, a distanza di mesi dall’infezione, sono ancora debilitate, anche se formalmente guarite. Questa condizione, che viene chiamata long Covid o sindrome post-Covid, è caratterizzata da estrema stanchezza, problemi di concentrazione e memoria e altre manifestazioni cliniche, come affanno respiratorio e mal di testa. In campo medico si usa un termine inglese, “fatigue”, per indicare una stanchezza profonda e immotivata che interferisce con la vita quotidiana. La fatigue è ben nota agli oncologi perché tormenta molti pazienti colpiti da tumore. A oggi si sa ancora poco del long Covid, ma sembra che alcuni dei meccanismi che generano la
fatigue dopo l’infezione virale possano essere comuni alla fatigue da cancro. Da questo nuovo settore di ricerca potrebbero perciò derivare conoscenze importanti sulla fatigue in generale, a vantaggio di tutti i pazienti che ne soffrono. UNA QUOTIDIANITÀ IRTA DI DIFFICOLTÀ “Non è semplice dare una definizione di fatigue” afferma Fabio Penna, ricercatore del Dipar-
timento di scienze cliniche e biologiche dell’Università di Torino. “Non si tratta di ‘normale’ stanchezza, ma della sensazione costante di trovarsi in difficoltà a svolgere le proprie attività quotidiane e a provare interesse nella vita privata e sociale.” La fatigue è tipica anche della vecchiaia. “Il malato oncologico, per via del tumore e di buona parte delle terapie utilizzate, mostra caratteristiche paragonabili a quelle di un individuo anziano.” Di conseguenza i malati di cancro e gli anziani vengono raggruppati nella categoria dei “fragili” di cui tanto si è parlato in questa pandemia, soggetti con un rischio elevato di finire in ospedale e di avere conseguenze gravi se colpiti da patologie fa-
cilmente affrontabili dal resto della popolazione. “La fatigue è un problema subdolo che impatta moltissimo sulla qualità della vita del paziente. Un elemento che accomuna pazienti con tumore, soggetti anziani e pazienti con long Covid è uno stato infiammatorio persistente” continua Penna. “L’infiammazione cronica, che sappiamo avere un ruolo nell’insorgenza del cancro, facilita l’insorgenza di fragilità e fatigue.” Scoprire un modo per intervenire è però tutt’altro che semplice. “Nella risposta a un tumore o a un virus l’infiammazione è necessaria, è il preludio alla risposta immune specifica che ha come obiettivo l’eliminazione della cellula tumorale o
del virus. Non possiamo pensare di bloccare l’infiammazione, ma dobbiamo modularla, guidarla nella direzione corretta perché interessi solo il bersaglio senza causare danni al nostro organismo.” L’IMPORTANZA DELL’ESERCIZIO FISICO “La fatigue è un problema concreto per i cancer survivors, coloro che hanno superato la malattia” aggiunge Penna. “Oggi l’obiettivo degli studi clinici è aumentare le probabilità di sopravvivenza dei malati e la loro longevità: il passo successivo deve essere offrire loro una buona qualità di vita.” Potrebbe essere necessario intervenire sulle abitudini del paziente. “Le prove che uno stile di vita attivo permette di migliorare la fatigue stanno aumentando” racconta Penna, che, grazie al sostegno della Fondazione AIRC, sta studiando la relazione tra la gravità della cachessia neoplastica (la perdita di massa muscolare che si osserva nei tumori avanzati) e della debolezza connessa e gli stili di vita. “Facciamo dei test per misurare la funzionalità fisica dei pazienti e, con gli smartwatch,
verifichiamo quanto siano attivi a casa loro” spiega, sottolineando la valenza fortemente innovativa della ricerca. “Il paziente oncologico è sempre stato seguito in ospedale, noi andiamo a valutare le sue condizioni nel quotidiano.” L’obiettivo del progetto è capire se chi è più attivo abbia una prognosi migliore e minor fatigue. Le conclusioni di uno studio come questo possono verosimilmente essere applicate anche ai pazienti con long Covid. FATIGUE POST-VIRALE La sindrome post-Covid ricorda infatti altre condizioni mediche. “Esiste una sindrome che colpisce principalmente giovani donne, la sindrome della tachicardia posturale ortostatica (POTS), che nel 50 per cento dei casi compare dopo un’infezione virale” racconta Raffaello Furlan, direttore dell’Unità di clinica medica dell’Istituto Humanitas di Rozzano e professore di medicina interna presso l’Humanitas University. “I sintomi della POTS comprendono una eccessiva frequenza cardiaca quando la pa-
ziente si mette in piedi, dolore toracico, colon irritabile, fatigue e ‘brain fog’, la sensazione di avere la testa nella nebbia.” La POTS condivide alcuni sintomi con altre malattie, come la sindrome da stanchezza cronica e la fibromialgia. In tutti questi casi il paziente trascura l’attività fisica e passa più tempo seduto e sdraiato che in piedi. “Il post-Covid è una sindrome post-virale che colpisce soprattutto chi ha avuto la forma grave della malattia e, nella mia esperienza, soprattutto i giovani” dice Furlan. “E i sintomi sono analoghi a quelli della POTS.” Il gruppo di Furlan ha avviato uno studio sul long Covid coinvolgendo un centinaio di pazienti ricoverati per Covid-19 durante la seconda e terza ondata della pandemia. “Raccogliamo dati sui sintomi, tra cui la fatigue, e informazioni sulle alterazioni a carico del controllo nervoso dell’apparato cardiovascolare, sulla qualità di vita e del sonno e sulle ripercussioni della sin-
drome a livello lavorativo.” Di nuovo si torna a parlare di infiammazione. “Esiste una stretta correlazione tra infiammazione e sistema nervoso autonomo” afferma Furlan. Il sistema nervoso autonomo è la parte del sistema nervoso che controlla i visceri, ed è costituito da due sistemi, simpatico e parasimpatico, con attività generalmente opposte (per esempio, l’attività parasimpatica rallenta la frequenza cardiaca, mentre l’attività simpatica la aumenta). “L’attivazione del sistema parasimpatico si associa a una riduzione della liberazione di molecole infiammatorie e concorre a spegnere l’infiammazione, viceversa l’attivazione del sistema simpatico mantiene l’infiammazione. Si potrebbe pensare di agire sul sistema nervoso autonomo per modulare l’infiammazione cronica.” Un’ipotesi che ora sarà verificata con ricerche ad hoc, dai cui risultati potrebbero trarre beneficio anche i pazienti con fatigue da cancro.
Le analogie aiuteranno a trovare una cura efficace
APRILE 2022 | FONDAMENTALE | 15
ONE HEALTH, LA SALUTE È UNA Lavoro e salute
I rischi per la salute dei nuovi precari Lavoretti saltuari e “a chiamata”, a volte scelti per arrotondare e a volte per vera necessità, hanno ripercussioni negative sulla salute di chi li svolge e richiedono attenzione nelle misure di prevenzione
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a cura di CRISTINA FERRARIO oglia di una pizza o di sushi, ma non di cucinare o di uscire per comprarli? Niente paura, ci pensano i tanti servizi di consegna a domicilio e le migliaia di rider che, armati di
“
un mezzo di trasporto e tanta buona volontà, accontentano le nostre richieste. I rider sono l’esempio più tipico e conosciuto di lavoratori della cosiddetta gig economy, ovvero il modello economico basato su lavori precari, spesso senza contratto e in genere “a chiama-
IDENTIKIT DEI “GIG WORKER” IN ITALIA
M
”
aschio nel 75 per cento dei casi e in 7 casi su 10 appartenente alla fascia di età 30-49 anni. È questo il “gig worker” tipico in Italia, anche se le eccezioni non mancano. Secondo l’indagine Inapp-Plus, in un caso su tre queste persone lavorano senza contratto scritto, un dato preoccupante se si pensa che per l’80 per cento circa dei soggetti coinvolti nell’indagine il reddito da gig economy è stato definito essenziale o importante. Quasi la metà dei lavoratori delle piattaforme digitali (45,1 per cento) appartiene a una “coppia con figli”, mentre i single rappresentano poco meno del 38 per cento. È importante anche notare che una persona su due si dedica a questi lavori non per scelta, ma per mancanza di alternative valide.
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ta”, caratteristico del nuovo millennio. Un modello reso possibile dalla sempre maggiore diffusione di internet e che è in poco tempo diventato una realtà fondamentale per l’economia, soprattutto per quella dei Paesi ad alto reddito.
Di chi stiamo parlando Il termine “gig” è nato nel mondo della musica jazz per indicare l’ingaggio del musicista per una singola serata. Il rapporto lavorativo tipico della gig economy comprende infatti ogni genere di “ingaggio” che non costituisca una forma di impiego continuativo. Secondo stime recenti, in Europa oltre 160 milioni di persone lavorerebbero in questo modo, e con la pandemia di Covid-19, che ha causato grandi perdite di posti di lavoro e un cambiamento drastico delle modalità di svolgimento di diverse attività professionali, la gig economy ha preso sempre più piede, tanto che oggi questi impieghi saltuari sono per molti la principale fonte di guadagno. L’indagine Lavoro virtuale nel mondo reale: i dati dell’Indagine Inapp-Plus sui lavoratori delle piattaforme in Italia, pubblicata a inizio 2022, ha svelato che in Italia 2,2 milioni di persone lavorano attraverso le piattaforme digitali. Tra queste, alcune si occupano di vendita di prodotti o affittano stanze e appartamenti, ma oltre 570.000 rientrano nella categoria di chi offre prestazioni lavorative. Non solo rider che consegnano a domicilio, ma anche autisti, persone che offrono aiuto nei traslochi, nei lavori di casa e giardi-
In questo articolo:
medicina del lavoro prevenzione gig economy
no o nelle faccende domestiche, come baby sitter o dog sitter, fino a lavoratori più “qualificati” che si propongono per esempio come traduttori o gestori di siti web e social media.
La salute ne risente Sotto alcuni punti di vista, si può dire che la gig economy dia l’opportunità – almeno in linea teorica – di svolgere un lavoro in proprio, stabilendo autonomamente gli orari di attività e quali impieghi accettare o rifiutare. Una flessibilità che però spesso si traduce in redditi non particolarmente elevati, incertezza sulla durata e il mantenimento dell’impiego e difficoltà a integrare la vita privata con quella lavorativa – anche a causa degli orari non regolari e spesso prolungati o notturni. A farne le spese sono le buone abitudini e lo stile di vita sano: spesso questi lavoratori dormono poco o hanno ritmi sonno-veglia irregolari, rischiano di trascurare la sana alimentazione e di cadere in pericolose abitudini come il fumo di sigaretta o il consumo di alcol. Inoltre, se da un lato devono correre da un lavoro all’altro sottoponendosi a forti stress fisici e psicologici, dall’altro rischiano di non svolgere sufficiente attività fisica e di accumulare peso in eccesso. Lo affermano due ricercatori italiani, Anna Freni-Sterrantino e Vincenzo Salerno, ambedue affiliati al prestigioso Dipartimento di epidemiologia e biostatistica dell’Imperial College di Londra, in un articolo pubblicato di recente sulla rivista Frontiers in Public Health, in cui chiedono al mondo della ricerca scientifica, oltre che a quello della salute pubblica, di porre più attenzione alle esigenze di questi lavoratori. “Mancano studi precisi su questa categoria di persone” spiegano. “Sappiamo però, da ricerche precedenti, che il modo con cui si lavora contribuisce a determinare il livello di rischio per molte malattie, in
particolare per quelle cardiovascolari e per quelle oncologiche.” Lo stesso appello per una ricerca più attenta agli effetti del lavoro sulla salute viene anche da un recente articolo sullo stesso tema firmato da medici dell’Università di Stanford, in California, e pubblicato sulla rivista JAMA Cardiology.
Attenzione alla prevenzione
Sappiamo da tempo che stress e cattive abitudini si ripercuotono sulla salute. Turni notturni, esposizione a sostanze pericolose o condizioni di lavoro precarie sono collegati allo sviluppo di numerose malattie, incluso il cancro. E lo stress lavorativo, causato dall’insicurezza professionale e dalla sensazione di mancanza di equilibrio tra sforzo e ricompensa, mette a particolare rischio il cuore e il metabolismo: la presenza continua di condizioni di stress aumenta le probabilità di andare incontro a iper-
Le abitudini risentono della precarietà e dell’incertezza
tensione, malattie cardiovascolari e diabete di tipo 2. Tra i lavoratori della gig economy, inoltre, sono più frequenti la sedentarietà e l’obesità – fattori di rischio ben noti per le patologie cardiovascolari e anche per molti tumori – così come i problemi psicologici, dalla depressione al burnout. È importante, secondo gli esperti, combinare la classica ricerca epidemiologica con le tecniche moderne di biologia molecolare, identificando biomarcatori (sostanze prodotte dall’organismo in risposta a stress o condizioni di vita non ottimali) che permettano di valutare il rischio per la singola persona e di rafforzare i controlli tra i lavoratori più esposti. A livello individuale, invece, è importante mantenere viva l’attenzione sulle conseguenze potenziali di queste nuove modalità di lavoro, in cui sono spesso impegnati giovani (di solito meno attenti ai campanelli d’allarme) o stranieri con scarso accesso alle cure, affinché si sottopongano regolarmente ai controlli consigliati e si rivolgano al medico in caso di disturbi. APRILE 2022 | FONDAMENTALE | 17
NOTIZIE FLASH
Dal Mondo Caffè e tumore dell’endometrio Stando ai risultati di una revisione sistematica pubblicata sul Journal of Obstetrics and Gynaecology Research, il consumo di caffè è associato a un rischio più basso di sviluppare un tumore dell’endometrio, il tessuto che riveste l’interno dell’utero. I ricercatori hanno analizzato una ventina di studi provenienti da tutto il mondo, confrontando il rischio di tumore dell’endometrio delle donne che consumavano più caffè con quello delle donne che ne consumavano meno. Dall’analisi statistica è emerso che un maggior consumo di caffè si associava a una riduzione del rischio pari a circa il 30 per cento.
Integratori che non servono Secondo un’inchiesta condotta nel Regno Unito, un paziente su cinque crede che assumere integratori alimentari possa ridurre il rischio di andare incontro a una recidiva del tumore e quattro pazienti su dieci fanno uso regolare di supplementi dietetici. Il 40 per cento degli intervistati (a cui era stato diagnosticato un tumore del seno, della prostata o del colon-retto) assumeva più di un integratore e il 10 per cento addirittura più di tre. Gli integratori più utilizzati erano gli oli di pesce, seguiti dagli integratori di calcio, di vitamina D, multivitaminici e a base di erbe. Le linee guida internazionali non consigliano l’assunzione di integratori dietetici per prevenire il cancro, dato che gli studi clinici condotti per verificarne l’utilità non hanno evidenziato nessun beneficio e che, in qualche caso, sono stati osservati effetti indesiderati inattesi.
Scagionata la pillola contraccettiva
Una notizia rassicurante per le donne che utilizzano contraccettivi ormonali: quando avranno figli, i loro bambini e le loro bambine avranno la stessa (bassa) probabilità di andare incontro a tumori del sistema nervoso dei figli delle donne che non hanno assunto ormoni a scopo contraccettivo. Questo risulta da uno studio che ha preso in esame ben 1.185.000 bambini nati in Danimarca tra il 1996 e il 2014. Dato che l’esposizione a ormoni sessuali durante la gestazione è stata collegata a un rischio più elevato di sviluppare il cancro, i ricercatori danesi hanno voluto verificare se esistesse un’associazione tra uso di contraccettivi ormonali e rischio di tumori del sistema nervoso centrale, tra i più frequenti e letali nei bambini. L’incidenza di queste neoplasie nei bambini le cui madri avevano usato contraccettivi ormonali e in quelli le cui madri non li avevano utilizzati era assolutamente paragonabile.
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La pelle spia della risposta alla cura Alcuni ricercatori di Boston hanno scoperto che i pazienti trattati con immunoterapia che sviluppano reazioni avverse a livello cutaneo hanno maggiori probabilità di rispondere al trattamento. Sono stati selezionati 14.000 pazienti con tumori avanzati trattati con inibitori dei checkpoint immunologici, di cui 7.000 avevano avuto reazioni cutanee come prurito, rash o xerosi (pelle secca) legate alla terapia e 7.000 non ne avevano avute. I ricercatori hanno osservato che la mortalità nel primo gruppo era inferiore del 22 per cento rispetto a quella registrata nel secondo gruppo. La tossicità cutanea potrebbe essere sfruttata per distinguere i pazienti che presumibilmente trarranno beneficio dall’immunoterapia.
Progressi nella leucemia linfoblastica acuta
Risposte immuni più forti col magnesio
Nell’arco di vent’anni, la sopravvivenza dei pazienti adulti colpiti da leucemia linfoblastica acuta (LLA) che hanno una ricaduta di malattia dopo trapianto di cellule staminali ematopoietiche è quasi raddoppiata. A dirlo è una ricerca in cui è stata analizzata la storia clinica di 900 pazienti con LLA Philadelphia positiva (un tipo di leucemia caratterizzata dalla presenza di un cromosoma anomalo, detto cromosoma Philadelphia) curati nei centri che afferiscono alla European Society of Blood and Marrow Transplantation (EBMT), la società scientifica europea che riunisce gli specialisti dei trapianti di midollo osseo. Le prospettive di sopravvivenza sono migliorate grazie a farmaci di nuova generazione e all’introduzione di strategie terapeutiche innovative, come l’immunoterapia e le terapie cellulari.
Nei topi alimentati con una dieta povera di magnesio, il sistema immunitario non lavora in modo adeguato, i tumori crescono più in fretta e le infezioni virali sono più aggressive. Un lavoro congiunto di scienziati delle Università di Basilea e di Cambridge ha portato a identificare una possibile spiegazione: il magnesio è essenziale per l’attivazione dei linfociti T contro le cellule infettate e le cellule tumorali, attivazione mediata dalla proteina LFA-1. Usando modelli animali, i ricercatori hanno osservato che, se si aumenta la concentrazione locale di magnesio, si potenzia la risposta dei linfociti T contro il tumore. Sembra che questa situazione si verifichi anche nell’essere umano: i dati clinici mostrano che pazienti con bassi livelli di magnesio nel sangue rispondono meno bene alle immunoterapie.
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IFOM Nuove scoperte
In questo articolo: IFOM immunoterapia linfociti T
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l gruppo di ricercatori di IFOM ha caratterizzato l’attività di alcune sottopopolazioni di cellule del sistema immunitario per la risposta contro il tumore, scoprendo che uno sbilanciamento tra cellule T effettrici e T regolatorie porta a una mancata risposta all’immunoterapia T regolatorie
T effettrici
T regolatorie
T effettrici
Un doppio attacco ai linfociti T regolatori Uno studio effettuato in IFOM rivela le caratteristiche di alcuni tipi di linfociti T che potrebbero essere sfruttate per aumentare l’efficacia dell’immunoterapia
Tessuto sano
Situazione bilanciata fra cellule T regolaT effettrici torie ed effettrici Tessuto sano T regolatorie
T effettrici
T regolatorie
Tumore Tumore
L’accumulo delle cellule T regolatorie nel microambiente tumorale sopprime la risposta immunitaria contro il tumore e ne promuove la crescita.
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a cura della REDAZIONE l team condotto da Massimiliano Pagani, responsabile del programma di ricerca di oncologia e immunologia molecolare in IFOM, specializzato nella caratterizzazione molecolare delle cellule del sistema immunitario presenti nei tumori, si occupa di cancro del colon-retto e del polmone non a piccole cellule. “Abbiamo osservato questi due tumori da una prospettiva specifica, quella delle cellule del sistema immunitario che li in-
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filtrano” spiega Pagani. “In particolare abbiamo rivolto attenzione alla popolazione dei linfociti T regolatori, cellule che, di norma, hanno la funzione di attenuare o spegnere la risposta immunitaria per evitare che questa si rivolga contro l’organismo. Il tumore, invece, grazie a queste cellule si difende dagli attacchi del sistema immunitario che potrebbe contribuire a eliminarlo. Per questo i linfociti T regolatori sono fra i bersagli dell’immunoterapia, ma per ottenere terapie sempre più efficaci è necessario tracciare un identikit molecolare ad alta risoluzione di queste cellule. Per raggiungere il nostro scopo abbiamo adottato un approccio basato sull’analisi dei profili di espressione genica di ogni singola cellula, combinato a sofisticate analisi bioinformatiche e intelligenza artificiale per l’interpretazione dei dati.” I risultati della loro analisi sono stati pubblicati sulla rivista Nature Immunology.
cellule immunitarie presenti nel tumore. “Noi abbiamo fatto una scelta diversa e ci siamo focalizzati su una popolazione specifica, i linfociti T, suddivisi in cellule T effettrici, che sono in grado di contrastare la crescita del tumore, e cellule T regolatorie, che, al contrario, sono responsabili dell’attenuazione della risposta immunitaria specifica contro il tumore stesso” spiega Pagani. “Con il nostro studio abbiamo evidenziato un consistente arricchimento di una specifica sottopopolazione di cellule T regolatorie in diversi tipi di tumori, incluse le loro metastasi. I nostri dati pertanto suggeriscono che è necessario colpire entrambe le popolazioni con una immunoterapia combinata per stimolare in modo efficace la risposta immunitaria contro il tumore stesso e promuoverne la regressione” dice ancora Pagani. Questo tipo di lavoro, che si basa sull’analisi dei profili di espressione genica di migliaia di singole cellule contemporaneamente, richiede, accanto alla parte sperimentale, competenze bioinformatiche e immunologiche che il laboratorio di Pagani in IFOM possiede grazie al suo approccio multidisciplinare.
Migliaia di cellule analizzate nello stesso tempo
LA POTENZA DELLA SINGOLA CELLULA La maggior parte dei lavori presenti in letteratura sfrutta la potenza dell’analisi eseguita su singole cellule per dare una visione di insieme delle numerose
TESTIMONIANZE Lasciti testamentari
Due fratelli uniti nella filantropia Alberto e Gianfranco hanno disposto un lascito in favore di Fondazione AIRC per continuare a sostenere due obiettivi cui tenevano molto: la carriera dei giovani ricercatori e la lotta al cancro
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a cura di ANTONINO MICHIENZI lberto e Gianfranco erano fratelli molto diversi tra loro. I loro nomi, però, oggi sono legati dalla scelta di perseguire un fine comune: sostenere i giovani ricercatori impegnati nella lotta al cancro attraverso un lascito testamentario in favore della Fondazione AIRC, una somma che ha consentito di istituire quattro borse di studio a loro nome. È Alberto il motore di questa storia che, però, è stato Gianfranco a portare a termine. Alberto è il maggiore dei due. Fin da bambino dimostra un’intelligenza viva che lo porta, su- Alberto e Gianfranco bito dopo gli stu- con la mamma in di, a cominciare occasione del suo quella che sarà centesimo compleanno. una brillante carriera in banca. È appassionato di sport (gioca a calcio e a tennis a buoni livelli), arte, letteratura e teatro. Soprattutto, però, è impegnato nel sociale, specie nella parrocchia del comune del Varesotto in cui vive. Qui, tra le
altre cose, promuove iniziative culturali e di svago rivolte soprattutto ai giovani, che lui considera il futuro su cui investire, contribuendo anche economicamente tutte le volte che ce n’è bisogno. “È sempre stato un uomo dedito a fare del bene in silenzio” ricorda il cugino Francesco. “Aveva intravisto nella ricerca, e soprattutto nel lavoro dei giovani ricercatori, che aveva particolarmente a cuore, il lascito che voleva tramandare” ricorda il cugino, che è stato al suo fianco quando Alberto ha deciso come disporre della sua eredità. “Nel suo testamento ha voluto che tutto andasse al fratello Gianfranco, esprimendo, però, il desiderio che, alla morte del fratello, i fondi fossero usati per sostenere alcune delle cause in cui lui credeva molto.” Tra queste c’è la ricerca sul cancro. Alberto non ha mai esplicitato perché tenesse particolarmente a questo tema. Forse la ragione risiede in una storia passata: “Da giovane ha perso una ragazza a cui era molto legato a causa del can-
cro. Ciò può aver influito. Ma è solo un’ipotesi” si affretta a precisare Francesco. Quando Alberto manca, la sua eredità, patrimoniale e ideale, passa a Gianfranco. Il fratello è completamente diverso: umile, schivo, sensibile. Purtroppo non sopravvive molto ad Alberto. “È mancato in piena pandemia, senza che si sia potuto rivolgergli un meritato saluto, ma in un modo che rispecchia la sua vita trascorsa in semplicità e senza disturbare” ricorda Francesco. Gianfranco prosegue nel solco tracciato da Alberto e, oltre a lasciare una parte degli averi ai familiari, dispone di sostenere cause benefiche. Tra queste, la ricerca sul cancro portata avanti da Fondazione AIRC. Questo gesto ha consentito di avviare, a partire da gennaio 2022, quattro borse di studio per ricercatori che saranno impegnati presso l’Università di Torino, IFOM – Istituto FIRC di oncologia molecolare, l’Università di Padova e l’Università di Ferrara. Grazie a queste borse intitolate a loro, la fiducia che Alberto e Gianfranco nutrivano nella ricerca oncologica e il loro desiderio di sostenere i giovani continueranno a vivere nel lavoro di quattro brillanti ricercatori e, attraverso il loro impegno, contribuiranno a trovare cure nuove e più efficaci per quanti in futuro dovranno affrontare una diagnosi di cancro.
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VUOI DISPORRE UN LASCITO TESTAMENTARIO A FAVORE DI AIRC? CONTATTACI!
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Se desideri legare il tuo nome o quello di una persona a te cara alla realizzazione di un futuro libero dal cancro, puoi scegliere anche tu, come Alberto e Gianfranco, di fare testamento a favore della ricerca oncologica. Per ogni domanda specifica puoi contattare Chiara Blasi.
02 779 72 87 chiara.blasi@airc.it APRILE 2022 | FONDAMENTALE | 21
I TRAGUARDI DEI NOSTRI
... continua su: airc.it/traguardi-dei-ricercatori
Altro che spazzatura! Da inutili pezzetti di materiale genetico a potenziali nuovi bersagli per la cura dei tumori. Sembra poter essere questo il destino di alcune molecole di RNA non codificante (ovvero che non genera una proteina) che derivano da sequenze, chiamate LINE1, ripetute spesso nel nostro DNA e viste un tempo come DNA “inutile” (per questo definito DNA spazzatura). Lo afferma su Natu-
re Genetics uno studio coordinato dall’Università statale di Milano e portato avanti anche grazie al sostegno di Fondazione AIRC. I ricercatori hanno chiarito il ruolo di LINE1 nel regolare particolari cellule del sistema immunitario, i linfociti T CD4+, e hanno inoltre dimostrato che, spegnendo l’RNA di LINE1, è possibile restituire ai linfociti T presenti nel tumore la capacità di eliminare le cellule cancerose.
Vita dura per le staminali del glioblastoma Uno studio coordinato dai ricercatori dell’Istituto europeo di oncologia e pubblicata su Science Translational Medicine ha dimostrato che è possibile bloccare le cellule staminali del glioblastoma, il più letale dei tumori cerebrali, senza intaccare le cellule cerebrali sane. Come spiegano gli autori, questo nuovo approccio punta a interferire con la capacità delle cellule staminali tumorali di adattarsi e sopravvivere. Protagonisti sono la
proteina LSD1, coinvolta nello sviluppo del glioblastoma e nel mantenimento delle staminali, e la molecola DDP_3800, capace di legarsi a LSD1 e di bloccarne la attività. Senza LSD1 le staminali tumorali non riescono a sopravvivere, di conseguenza questa proteina può rappresentare un importante bersaglio per terapie molecolari.
La via da percorrere per recuperare la forza I ricercatori dell’Università di Padova hanno identificato una via di comunicazione cellulare che potrebbe aiutare a limitare i danni legati alla cachessia, ovvero il deperimento muscolare e generale al quale molti pazienti oncologici vanno incontro. I risultati della ricerca sono stati pubblicati sul Journal of Cachexia, Sarcopenia and Muscle e si concentrano sulla via di comunicazione Akt-mTOR, già nota per il suo ruolo nel mantenimento del muscolo e già bersaglio di alcune te-
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rapie anti-cancro. Lavorando su topi, i ricercatori hanno confermato che questa via è meno attiva in caso di tumore, ma hanno anche dimostrato che riattivandola si arriva a un recupero della massa muscolare e della forza. Questi dati, oltre ad aprire la strada a nuove possibili terapie farmacologiche mirate, potrebbero anche aiutare a stabilire programmi di esercizio fisico ad hoc.
QUALITÀ DI VITA Relazioni di coppia
In questo articolo: sessualità cancro fertilità
Sessualità e cancro nelle donne, un imbarazzo da superare Al momento della diagnosi la sessualità spesso non è considerata una priorità da medici e pazienti, ma è fondamentale per riconquistare una buona qualità di vita, a tutte le età
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a cura di ELENA RIBOLDI na diagnosi di tumore rappresenta uno tsunami: la malattia, le terapie e i turbamenti che ne conseguono travolgono ogni ambito della vita di una persona. In particolare nelle donne, la sfera della sessualità può esserne colpita in modo devastante. L’argomento è delicato ed è spesso sottovalutato dai medici, eppure è importante parlarne apertamente perché recuperare intimità e piacere non solo è lecito, ma è parte del processo che porta a riappropriarsi della propria vita. Filippo Nimbi, psicologo e sessuologo del Dipartimento di psicologia dinamica, clinica e salute dell’Università La Sapienza di
Roma, e Ludovica Scotto, psicoterapeuta e consulente sessuologica presso la Divisione di psiconcologia dell’Istituto europeo di oncologia di Milano, fanno il punto su questo importante aspetto della vita delle donne malate di cancro. OSTACOLI CONCRETI “Nella fase iniziale, quella della diagnosi e dei primi trattamenti, la paziente colpita dal cancro concentra tutte le proprie energie su ciò che può salvarle la vita e tende a mettere in secondo piano la sfera della sessualità” spiega Filippo Nimbi. “Poi intervengono aspetti prettamente biologici legati alle terapie, che possono interrompere o modificare il ciclo della risposta sessuale. Per esempio, la te-
All’inizio l’attenzione è rivolta alla malattia
rapia ormonale, spesso utilizzata nelle pazienti con tumore al seno, blocca il ciclo mestruale e riduce la lubrificazione, importantissima per la risposta sessuale femminile.” I tumori che riguardano l’area genitopelvica e il cancro della mammella sono le neoplasie che hanno maggior impatto sulla sessualità. “Possono insorgere difficoltà fisiche che ostacolano l’atto sessuale. Una minore lubrificazione può portare a sentire dolore durante i rapporti, rendendoli un’esperienza spiacevole.”
DESIDERIO LONTANO Il dolore ha un effetto diretto sul desiderio, su cui agiscono anche altri fattori. “Molte donne riferiscono di non provare desiderio sessuale nella fase più acuta della lotta al tumore, ma ciò è vero anche nella fase successiva, quando l’emergenza si è risolta” racconta Nimbi. “Le donne che hanno superato un tumore al seno hanno difficoltà nel riprendere ad avere rapporti sessuali, hanno paura di non essere più in grado di lasciarsi andare dopo aver-
QUALITÀ DI VITA Relazioni di coppia
li esclusi per un po’ di tempo dalla loro vita.” Subentrano così aspetti psicologici complessi. “La diagnosi di cancro è un trauma e come tale può portare ad ansia, depressione e reazioni emotive molto forti. È difficile separare i vari elementi, perché ansia e depressione in genere diminuiscono il desiderio e l’attività sessuale.” IL RIFLESSO DELLO SPECCHIO Non è infrequente un problema di percezione e accettazione di sé. “La mastectomia (l’asportazione del seno) incide molto sull’immagine corporea della donna, che non si sente più attraente né per sé né per gli altri. In realtà gli studi in letteratura ci dicono che è più un problema personale. I partner non vivono i cambiamenti nell’aspetto esteriore (vale anche per la perdita dei capelli) così male come si aspettano le donne” commenta Nimbi. “La donna si tira indietro per paura di essere rifiutata, il partner rispetta questa paura e non si fa avanti, si crea una fase di stallo
in cui nessuno muove un passo per ricominciare ad avere una vita sessuale.” “Il cambiamento corporeo ha un impatto molto forte sulla sessualità, non soltanto in termini estetici come siamo indotti a pensare, ma in termini di funzionalità” chiarisce Ludovica Scotto. “Il corpo diventa traditore, non è più forte come in passato, quando permetteva di fare cose a cui ora si accede con difficoltà. Pensiamo al caso di una donna con tumore al seno in cui l’intervento chirurgico è andato benissimo e la ricostruzione con protesi ha dato un risultato estetico soddisfacente: la terapia ormonale, però, può determinare una serie di effetti collaterali, tra cui invecchiamento precoce, sbalzi di umore, osteoporosi, rigidità dei tessuti, dolore. A 35-45 anni questa donna si sente giovane, perché è giovane, ma in un corpo che non sta al passo. Cambia la percezione di sé come essere vitale e questo, a cascata, ha un impatto sulla sessualità.”
tia in famiglia o nella coppia, in colpa perché creano un problema all’altro. Il senso di colpa fa sì che non vogliano raccontare al partner che hanno dolore, che non provano piacere.” LA COPPIA IN STALLO Le difficoltà sperimentate a livello fisico e psicologico da chi si è ammalato vanno a condizionare la coppia. “Esistono diverse modalità attraverso cui si entra in relazione con l’altro. Una di queste è il meccanismo di attaccamento/accudimento: se io ho bisogno, l’altro si offre di accudirmi; l’accudimento è un sistema motivazionale che disattiva quello della sessualità” spiega Scotto. “Per cui, quando nella coppia si instaurano nuove dinamiche relazionali, ne risente la sessualità.” La mancanza di un confronto sereno sull’argomento non aiuta. “A volte le donne non riescono a parlare delle proprie difficoltà con il partner, spesso raccontano allo psicoterapeuta di sentirsi in colpa per avere portato la malat-
LA LEGITTIMAZIONE DEL PROBLEMA Per sbloccare la situazione può diventare essenziale il coinvolgimento di una figura professionale. “Il medico legittima le difficoltà: non è colpa tua, ci sono dei problemi reali, vediamo insieme con quali modalità questa esperienza può tornare a essere piacevole anche per te” illustra Scotto. “La sessualità va costruita e per costruirla bisogna che i partner siano al corrente di come l’altro o l’altra vive questo momento, quali sono le difficoltà, quali sono gli aspetti motivanti, come l’intimità, e quali sono gli aspetti demotivanti, come il dolore.” Per chi è single il percorso è personale, legato alla consapevolezza di sé e all’autostima, e punta a trovare risorse diverse. “La sessualità non ha un tempo per essere vissuta, ma riguarda l’essere umano lungo tutto l’arco della vita, è fondamentale a qualsiasi età e in qualsiasi situazione” conclude Scotto. “L’invito è a parlarne liberamente con il partner, con il medico e con tutte le proprie figure di riferimento nel percorso di recupero.”
Rivolgersi a uno psicologo può essere utile
ASSISTENZA
PARLARNE SI PUÒ
“N
ella mia esperienza, la gestione del benessere psicologico nel paziente con tumore è considerata molto secondaria rispetto alla gestione biomedica della malattia” riferisce Filippo Nimbi. “In più, spesso gli stessi psicologi, per non parlare degli oncologi, non sono formati sui temi della sessualità, che è un tabù anche per i clinici. Bisognerebbe fare un doppio lavoro, da una parte di formazione per i sanitari su quanto la sessualità contribuisca alla qualità della vita delle persone, e dall’altra di supporto per i pazienti.” Come intervenire? “Credo molto negli approcci integrati in cui medici, psicologi e altre figure lavorano insieme sulla persona e sulla coppia per cercare la strategia più efficace” prosegue Nimbi. “La psicoterapia può essere particolarmente utile anche nelle situazioni in cui non si può tornare alla vita sessuale precedente. Per esempio, quando, in seguito a tumori ginecologici, non è più possibile la penetrazione perché potrebbe essere rischiosa: si esplorano esperienze di piacere con modalità differenti”. Non si deve avere paura di chiedere aiuto, rivolgendosi a figure specializzate. “All’Istituto europeo di oncologia,
all’interno del Women’s Cancer Center, abbiamo creato un ambulatorio psicosessuologico in cui si affronta specificamente il tema della sessualità” racconta Ludovica Scotto. “Trovarsi all’interno di un ospedale oncologico ci consente di collaborare con specialisti di altre discipline, usando un approccio integrato in cui la paziente è al centro del proprio percorso di cura, un processo che è denominato empowerment. A seconda della situazione può essere proposta una consulenza di coppia.” Gli psicoterapeuti che lavorano in ambulatorio hanno alle spalle studi specialistici in consulenza sessuologica. “Il tema della sessualità viene sviscerato in tutte le sue componenti. La sessualità, infatti, non può essere ridotta soltanto a un atto di soddisfacimento fisico, bensì, essendo un sistema complesso che ha varie dimensioni (ludica, sociale, riproduttiva, semantica, narrativa), chiama in causa obiettivi di vita specifici che riguardano non soltanto il corpo, ma l’idea di se stessi in relazione con gli altri. Ha inoltre un valore procreativo che può essere intaccato in maniera indiretta. Infatti, se la patologia oncologica impatta sulla qualità di vita della persona ostacolandone la sessualità, può interferire con il desiderio di genitorialità anche senza avere un effetto sulla fertilità. La sessualità è importante per garantire una vita coerente con le aspettative della persona.”
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TERAPIE Effetti collaterali
Ordine e chiarezza sui farmaci evitano gli effetti indesiderati Perché le cure funzionino al meglio e per evitare spiacevoli interazioni non volute, è fondamentale che ciascun medico conosca in dettaglio le terapie che il paziente sta seguendo e che l’oncologo tenga sotto controllo le prescrizioni che si possono sovrapporre in modo disordinato
a cura di CRISTINA FERRARIO li esperti la chiamano “ricognizione-riconciliazione farmacologica” e, stando a quanto riportano gli studi clinici e le esperienze quotidiane di tanti medici, può fare la differenza per la salute e il benessere di un paziente. Semplificando, si potrebbe definire come un processo in due fasi. La prima fase – la
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ricognizione – prevede la raccolta e la descrizione accurata di tutte le terapie che una persona segue, con dettagli anche sulla via di somministrazione (orale, intramuscolo eccetera) e sulle dosi. Nella seconda fase – la riconciliazione – il medico confronta questa “lista” con eventuali nuove prescrizio-
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ni o con quanto compare in cartella clinica, per verificare che tutto sia riportato in modo corretto e che non ci siano interazioni potenzialmente pericolose tra le varie sostanze. “La conoscenza puntuale della terapia farmacologica è un elemento fondamentale per garantire la sicurezza del paziente e l’appropriatezza delle prescrizioni di nuovi farmaci, e costituisce inoltre il primo passo verso l’aderenza terapeutica, ovvero la capacità di un paziente di assumere davvero tutti i farmaci prescritti, nelle dosi e nei tempi giusti” spiega Alessandro Passardi, oncologo medico dell’IRCCS – Istituto scientifico romagnolo per lo studio e la cura dei tumori (IRST), autore di un recente studio dedicato proprio alla ricognizione-riconciliazione farmacologica.
Non esistono farmaci innocui, tutti vanno valutati
A sottolineare l’importanza di questo processo ci sono anche documenti pubblicati da associazioni internazionali come l’Organizzazione mondiale della sanità. “In Italia, esiste una raccomandazione ministeriale, la numero 17, che ha come scopo proprio la prevenzione degli errori di terapia a causa di una scorretta o insufficiente riconciliazione farmacologica” aggiunge Passardi. ANCHE I DETTAGLI SONO IMPORTANTI “I farmaci oncologici, tra cui quelli innovativi che consentono di ottenere risultati clinici sempre più importanti, non possono essere compromessi da fattori che ne influenzino l’efficacia e mettano a rischio la sicurezza dei pazienti” dice l’esperto. “La conoscenza dei farmaci e di ogni sostanza impiegata, anche a casa, e la valutazione della compatibilità farmacologica sono fondamentali, e altrettanto importante è il
In questo articolo:
prescrizioni effetti indesiderati cartella clinica elettronica
monitoraggio continuo di ogni cambiamento durante i cicli di terapia” aggiunge, ricordando che la durata sempre maggiore della risposta ai trattamenti, il decorso stesso della malattia e gli effetti collaterali delle terapie anticancro portano spesso i pazienti a ricorrere ad altri farmaci autoprescritti o prescritti da professionisti diversi dall’oncologo che li segue. “Questi medici o farmacisti, se non sono a conoscenza dei farmaci oncologici somministrati al paziente, non possono valutare al meglio eventuali interazioni e compatibilità” precisa Passardi. Da ricordare poi che anche gli integratori, considerati generalmente innocui, in realtà non lo sono e potrebbero interferire con le terapie oncologiche. Persino l’alimentazione ha un ruolo nel determinare l’efficacia dei trat-
tamenti: “I cibi devono essere cucinati e assunti in relazione alla loro compatibilità con i farmaci oncologici e con le altre terapie che si seguono a domicilio” spiega l’oncologo. È quindi estremamente importante non tralasciare alcun dettaglio. L’UNIONE FA LA FORZA L’oncologo da solo non basta. Perché il processo di ricognizione-riconciliazione farmacologica vada davvero a buon fine serve una collaborazione stretta tra tutti gli attori che sono coinvolti nel percorso di cura del paziente oncologico, quindi anche il medico di base, il farmacista, il caregiver, ma anche e soprattutto il paziente stesso, che mantiene il ruolo di protagonista. “La consapevolezza che la corretta ricognizione-riconciliazione farmacologica è uno
Anche gli integratori vanno segnalati al medico
strumento fondamentale per una prescrizione appropriata e per la sicurezza del malato costituisce la leva principale che porta a un coinvolgimento attivo di tutti” afferma Passardi. Ciascun paziente, magari con il supporto del proprio caregiver, può cominciare con la preparazione di una lista accurata di tutti i farmaci e di tutti gli eventuali integratori che assume. “Nel corso della prima visita, noi oncologi dobbiamo informare il malato dell’importanza della ricognizione farmacologica nella quale verranno registrati tutti i farmaci, gli integratori e gli alimenti assunti a domicilio” dice l’esperto. Meglio allora portare con sé le confezioni e la documentazione medica legata alle terapie in corso. Sarà poi compito di chi effettua la valutazione individuare le sostanze più critiche. E qui potrebbe entrare in gioco il farmacista, che può fungere da anello di collegamento tra il paziente e l’oncologo o il medico di famiglia. “Il passo conclusivo, la riconciliazione farmacologica, è un atto esclusivamente medico, dunque a carico dell’oncologo e del medico di famiglia” chiarisce Passardi. “Si tratta di eliminare ciò che non serve, ridurre le cure inutili o potenzialmente dannose, programmando tempi e modi delle interruzioni o delle eventuali sostituzioni con altre molecole.” ORGANIZZAZIONE E ATTENZIONE Sulla carta potrebbe sembrare semplice, ma in realtà sono molti gli ostacoli che bloccano o rallentano la ri-
cognizione-riconciliazione farmacologica. “Si tratta soprattutto di aspetti culturali e organizzativi” spiega Passardi. “Tutti devono essere coscienti dell’importanza di questo processo, che deve diventare una priorità e per il quale vengono messi a disposizione strumenti, risorse e interventi formativi. Infine, gli strumenti sono essenziali. In particolare occorre che la comunicazione tra i vari medici che curano un paziente e ne organizzano visite e prescrizioni avvenga su piattaforme informatiche” aggiunge. A questo scopo è dedicato anche una parte del finanziamento che il Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) ha destinato allo sviluppo della cartella clinica informatica nazionale, che dovrebbe seguire il paziente nei suoi spostamenti da medico a medico e da luogo di cura a luogo di cura. La buona notizia è che tutto ciò è realizzabile nella pratica quotidiana, con l’impegno e la collaborazione collettiva. Lo dimostrano i risultati dello studio PROF-1, cui hanno preso parte Passardi e colleghi. Il progetto ha visto la creazione di una rete tra l’istituto romagnolo e le farmacie del territorio e, grazie alla partecipazione attiva dei pazienti, ha permesso di identificare alcuni dati importanti, per esempio sull’uso di prodotti non convenzionali come fitoterapici o medicinali omeopatici, assunti dal 60 per cento dei partecipanti e potenzialmente in grado di interferire con le cure, o di alimenti incompatibili con le terapie oncologiche nel 28,5 per cento dei casi.
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SPERIMENTAZIONE ANIMALE Xenotrapianti
Il primo cuore da donatore non umano dimostra l’importanza del modello animale Batte nel petto di un americano di 57 anni il primo cuore trapiantato da un maiale, grazie anche a tecniche di editing genetico che hanno reso l’organo compatibile col sistema immunitario umano
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a cura della REDAZIONE l primo trapianto di cuore da donatore non umano è stato effettuato il 7 gennaio scorso su David Bennett, un cittadino del Maryland, negli Stati Uniti, in fase terminale per una grave malattia cardiaca. Il signor Bennett aveva le ore contate, dato che non si riusciva a trovare un cuore compatibile da donatore umano. Nel suo petto batte ora un cuore di maiale, geneticamente modificato per rendere l’organo il più simile possibile a quelli umani ed evitare il rigetto.
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Al momento in cui scriviamo (e ci auguriamo ancora per lungo tempo) il cuore trapiantato continua a funzionare e l’organismo di Bennett non mostra segni di rigetto. L’impresa, oltre a costituire una pietra miliare nella storia della medicina e della ricerca, si inserisce in un dibattito molto teso che vede l’Italia dotata di una legge che vieta ogni tipo di studi in questo settore. La legge risulta a oggi sospesa fino a luglio 2025, grazie a un emendamento inserito, contro il parere del Governo, nell’ultimo decreto Milleproroghe.
LA DIRETTIVA ITALIANA
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a direttiva 2010/63/UE sulla protezione degli animali utilizzati per scopi scientifici è stata scritta dopo anni di consultazioni tra i legislatori europei e la società civile, inclusi i rappresentanti delle associazioni animaliste. È stata definita il miglior compromesso possibile tra la tutela del benessere animale e le esigenze della ricerca biomedica.
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Il recepimento nell’ordinamento italiano della direttiva ha visto però l’inserimento di limiti ulteriori alla ricerca (incluso quello relativo agli xenotrapianti) che ha provocato l’apertura di una procedura di infrazione da parte dell’Unione europea nei confronti dell’Italia. Fin da subito, i divieti introdotti sono stati sospesi per effetto di una moratoria prorogata più volte negli anni, e la cui
In pratica, un intervento come quello di cui è stato protagonista David Bennett secondo i nostri legislatori dovrebbe essere vietato nel nostro Paese, in contrasto con quanto stabilito dalla direttiva 63 del 2010 dell’Unione europea. Nella definizione di xenotrapianto rientrano peraltro anche pratiche meno pionieristiche, come l’inserimento in animali di piccoli frammenti di tessuto tumorale con lo scopo di verificare l’efficacia dei trattamenti prima di somministrarli al paziente, una tecnica relativamente comune nella cura di alcuni tumori.
Modificazioni genetiche
Il cinquantasettenne americano con insufficienza cardiaca cui è stato trapiantato l’organo di maiale era stato ripetutamente escluso dalle liste per un trapianto standard a causa delle sue condizioni precarie ed era stato giudicato inadatto all’impianto di una pompa meccanica di supporto al cuore malato in attesa di un donatore umano compatibile. Per rendere il cuore di maiale più simile al suo ed evitare il rigetto, l’organo è stato geneticamente modificato utilizzando CRISPR/Cas9, una tecnica di editing genetico che è valsa il premio Nobel alle sue due scopritrici, Jennifer Doudna scadenza è ora prevista per luglio 2025. La mancata abolizione di questa legge controversa, oltre a danneggiare lo sviluppo scientifico, ha conseguenze negative anche per i ricercatori italiani nell’accesso ai bandi europei pluriennali. In assenza di certezze sul futuro di questo tipo di ricerca, i finanziatori europei tendono a penalizzare i progetti che richiedono procedure su animali considerando che a breve queste potrebbero essere di nuovo vietate.
In questo articolo: xenotrapianti editing genetico CRISPR/Cas9
ed Emanuelle Charpentier, nel 2020. Questo incredibile progresso scientifico, quindi, è stato reso possibile dallo sviluppo di due diverse tecnologie, quella dello xenotrapianto e quella dell’editing genetico. In precedenza gli scienziati si erano concentrati sugli studi per rendere compatibile per il trapianto nell’uomo il fegato dei maiali, che ha anch’esso molte analogie con quello umano, nella speranza di poter avere un numero di organi sufficiente a rendere il trapianto epatico più accessibile ai potenziali candidati (inclusi i pazienti con cancro del fegato primario o metastatico). La domanda di organi da donatori
supera di gran lunga la disponibilità, quindi l’idea di utilizzare organi di animali è allo studio da molti decenni, ma finora ogni tentativo si era concluso con la morte del paziente per rigetto acuto. Lo sviluppo delle tecniche di modificazione genetica ha però permesso di risolvere uno dei più grossi ostacoli, visto che dal punto di vista anatomico non ci sono grosse differenze tra un cuore umano e uno di maiale. I ricercatori sono intervenuti su dieci geni chiave in modo da prevenire il rigetto acuto (rendendo l’orga-
no meno “diverso” da quello umano) e bloccare la sua progressione dopo il trapianto. Gli scienziati non sono però certi che il pool di geni modificati per questo paziente sia sufficiente a evitare ogni tipo di rigetto e a tenere a bada il sistema immunitario. Senza altre sperimentazioni, in laboratorio ma probabilmente anche sui pazienti che non hanno alternative disponibili, non sarà possibile portare a maturazione uno sviluppo scientifico che costituisce comunque una tappa storica.
Una pietra miliare nella storia della medicina
NUTRIZIONE Rubrica alimentazione
In questo articolo: cancro del colon latticini ricette gustose
Latte e latticini aumentano il rischio di cancro? L’analisi della letteratura scientifica non ha evidenziato a oggi una correlazione tra sviluppo di tumori e consumo di latte e latticini. Anzi questi alimenti, contro alcuni tumori, come quello del colon-retto, sembrano esercitare un effetto protettivo.
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a cura di RICCARDO DI DEO apita non di rado di imbattersi in notizie contrastanti sul possibile ruolo di latte e latticini nello sviluppo di alcune forme di tumori. Da anni ricercatrici e ricercatori cercano di analizzare queste associazioni con risultati che, se presi singolarmente, possono alimentare la confusione. È opportuno ricordare che valutare l’impatto di un singolo alimento su patologie complesse come i tumori comporta diverse limitazioni. Determinare con esattezza le quantità consumate è in-
Ciambellone con ricotta e marmellata d’arancia Ingredienti per 8 persone • • • • • • • •
250 g farina integrale 100 g farina di mandorle 300 g di ricotta vaccina 100 g di marmellata d’arancia 2 uova 100 ml di latte 1 bustina di lievito 3 cucchiai di semi di anice
Preparazione
Unire in un contenitore la ricotta
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fatti spesso molto difficile, e sono inoltre numerosi i fattori che possono influenzare i risultati ottenuti. Per questo è essenziale analizzare nell’insieme i dati disponibili attraverso delle revisioni della letteratura scientifica che permettano di avere un quadro complessivo più chiaro. È il lavoro che gli esperti del Fondo mondiale per la ricerca sul cancro conducono periodicamente e che è stato riassunto nell’ultimo report del 2018 su dieta, nutrizione, attività fisica e cancro. Dal documento emerge una probabile diminuzione del rischio di
con le uova e mescolare in modo energico fino a ottenere un composto omogeneo. Aggiungere la farina di mandorle, la farina integrale e il lievito, amalgamando gli ingredienti uno alla volta e, infine, insaporire con i semi di anice. Ammorbidire l’impasto con il latte, senza renderlo troppo liquido, e mescolare bene fino a quando non risulterà omogeneo e morbido. Versare metà dell’impasto nello stampo per ciambelle antiaderente con diametro da 20 cm, se si utilizza uno stampo non antiaderente oliarlo prima di aggiungere il composto. Creare uno strato omogeneo con la marmellata e infine aggiungere la metà rimasta dell’impasto.
sviluppare un tumore del colon-retto legata al consumo di latte e latticini e prove limitate di una diminuzione del rischio di ammalarsi di tumore del seno in pre-menopausa. Sono limitate anche le prove a sostegno di un aumento del rischio di ammalarsi di tumore della prostata. L’effetto protettivo nei confronti dei tumori del colon-retto viene in gran parte attribuito al contenuto di calcio e alla protezione esercitata dai batteri che producono acido lattico. Restano tuttavia da chiarire ancora molti meccanismi alla base di queste associazioni. Sul piano nutrizionale, latte e latticini sono alimenti importanti per il contenuto in proteine e minerali, come appunto il calcio, e se consumati nelle corrette quantità contribuiscono a costruire un’alimentazione sana e equilibrata. Le linee guida per una sana alimentazione italiana del CREA suggeriscono di consumare 3 porzioni al giorno di latte o yogurt (una porzione corrisponde a 125 ml di latte o 125 g di yogurt), alle quali si possono aggiungere da 2 a 3 porzioni a settimana di formaggi freschi (100 g ciascuna) o stagionati (50 g), privilegiando i primi perché generalmente sono meno ricchi in sale e grassi. Infornare nel forno precedentemente riscaldato a 180 gradi per 45 minuti e lasciarlo riposare prima di sfornare e servire.
INIZIATIVE Le Arance della Salute
Arance alla riscossa Sono tornate nelle piazze di tutta Italia le Arance della Salute per raccogliere fondi per la ricerca
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a cura della REDAZIONE l 29 gennaio le Arance della Salute di AIRC hanno di nuovo invaso le piazze e le scuole di tutta Italia, dopo lo stop forzato del 2021 per le restrizioni legate al Covid-19. In circa 3.000 piazze e in più di 700 scuole, nell’ambito dell’iniziativa Cancro io ti boccio, è stato possibile sostenere la ricerca sul cancro ottenendo una reticella di arance per un contributo minimo di 10 €, un vasetto di miele per un contributo minimo di 7 € e un vasetto di marmellata di arance bio per un contributo minimo di 6 €. Sono state in totale oltre 149.000 le reticelle di arance, 70.000 i vasetti di miele e 70.000 quelli di marmellata di arance distribuiti, nel rigoroso rispetto delle norme vigenti. Un risultato importante che ha permesso di raccogliere oltre 2,3 milioni di euro, e per cui dobbiamo dire grazie al fondamentale impegno dei volontari AIRC, degli studenti, dei docenti e dei sostenitori, e al prezioso coordinamento dei Comitati regionali. Uno sforzo di cui
parliamo in maggior dettaglio nelle pagine che seguono. Oltre che a raccogliere fondi per la ricerca sul cancro dei nostri oltre 5.000 ricercatori, questa campagna nazionale è dedicata anche a sensibilizzare sull’im-
portanza di adottare abitudini e comportamenti salutari per prevenire i tumori. Per questo motivo insieme a ogni prodotto solidale è stata distribuita una copia di un’edizione speciale di Fondamentale in versione tascabile, dedicata ai pro e i contro della dieta vegetariana, anche per quanto riguarda la prevenzione dei tumori.
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INIZIATIVE Cancro io ti boccio
Cancro io ti boccio torna nelle scuole di tutta Italia Oltre 700 plessi a livello nazionale hanno aderito all’iniziativa per distribuire arance, miele e marmellate e sensibilizzare sull’importanza degli stili di vita salutari
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a cura della REDAZIONE ancro io ti boccio è un’esperienza di volontariato veramente importante per gli studenti.” Esordisce così Cristina Carcano, docente dell’ I.C. Comerio “Campo dei fiori” a Casciago, in provincia di Varese, che anche quest’anno ha organizzato, insieme ai suoi alunni, la raccolta di fondi in favore di AIRC in occasione della campagna nazionale le Arance della Salute. Pur ancora nelle difficoltà legate alle precauzioni da prendere contro Covid-19, sono stati più di 700 gli istituti che hanno scelto di distribuire i prodotti solidali di AIRC. In totale, all’interno delle scuole sono stati consegnati 28.464 vasetti di miele, 24.504 di marmellata di arance
bio e 34.160 reticelle d’arance, risultati che ogni anno ci sorprendono in positivo e testimoniano dell’impegno di insegnanti e alunni: “I bambini sono molto coinvolti fin dalle battute iniziali, cominciando con la realizzazione di una vera e propria campagna promozionale da presentare alle famiglie. Nei giorni di Cancro io ti boccio, poi, prepariamo un ambiente per la consegna dei prodotti, accompagnati da una scenografia fatta da cartelloni pensati da AIRC e cartelloni realizzati dagli alunni. Ogni bambino della classe ha un suo compito specifico che svolge con diligenza. È un’esperienza molto formativa, che fa capire loro l’importanza del donare a favore di AIRC e della ricerca contro il cancro” conclude Cristina Carcano.
Un’iniziativa che fa parte di un percorso molto ampio
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LA PROPOSTA DIDATTICA DI AIRC
Cancro io ti boccio è un progetto di cittadinanza attiva che fa parte di un percorso didattico più ampio offerto da AIRC alle scuole di ogni ordine e grado. Tra le diverse proposte dedicate al tema della sana alimentazione, e più in generale alla prevenzione, ci sono kit didattici gratuiti scaricabili online ricchi di attività da svolgere sia in classe sia in famiglia, webinar, giochi online, contest con fantastici premi, la possibilità di chiedere un incontro con un ricercatore AIRC sia online sia nel proprio istituto, le videopillole del progetto Sto una favola, che rivisitano le favole tradizionali per parlare di cultura della salute e prevenzione, e tante altre iniziative. Per scoprire di più visita il sito scuola.airc.it
TESTIMONIANZA Tumore alla tiroide
“Un’arma segreta per scoprire nuove cure”
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a cura della REDAZIONE tefania è nata in provincia di Novara nel 1977, e riassumerne la quotidianità in poche righe è impossibile: per la voglia di fare e osare assomiglia a un vulcano in eruzione, ed è “merito” della malattia che, come ripete sempre, l’ha cambiata in meglio. Tutto inizia nell’estate del 2000. Stefania ha 23 anni, è appena tornata dal mare con i suoi gemelli e decide di sottoporsi ad alcuni esami per quel gonfiore al collo che non se ne va e le causa fastidio a deglutire. “I valori, però, erano nella norma, tanto che il medico pensava che fosse una questione di stress. Ma io non mi sentivo stanca, così ho insistito per fare altri accertamenti.” E solo alla terza ecografia il quadro si fa più chiaro. “L’endocrinologa mi ha detto che si trattava di un tumore alla tiroide, ma mi ha tranquillizzata. Avevo due bimbi piccoli e davanti alla parola cancro mi è crollato il mondo addosso, così mi sono aggrappata alla sua serenità.” Dopo la diagnosi, Stefania viene subito operata. I medici rivelano che si tratta di un tumore molto aggressivo, avvinghiato alle corde vocali. “Avevo il terrore di perdere la voce. Ma non mi sono abbattuta, volevo essere in grado di raccontare quello che mi stava succedendo e, magari, anche di riderci su. Così, dopo sei mesi di logopedia, ho imparato a gestire la voce: sono diventata più roca, forse, ma sempre ottimista.” Intanto, Stefania deve anche sottoporsi alla radiotera-
pia metabolica, che prevede tre giorni di isolamento in ospedale visto che il farmaco usato contiene componenti radioattivi. “Sono stati i momenti più brutti della mia vita, perché ero isolata da tutto e da tutti. Giocare con i bambini mi ha sempre aiutato a tenermi impegnata e a non pensare troppo a quanto mi stava succedendo, ma in quella situazione ho dovuto prenderne coscienza e le mie paure sono venute a galla.” Ora che sono trascorsi molti anni dalla diagnosi, Stefania può dirsi soddisfatta di come ha reagito alla malattia: “Il cancro ha tirato fuori la mia forza, mi ha fatto capire che nulla è scontato e che bisogna osare, buttarsi, godersi la vita. Mi sono iscritta all’università perché non volevo più essere
considerata una malata e ho frequentato un master. Ho così tanti progetti... Il tumore ha lasciato una piccola traccia, un residuo microscopico nel collo che non si può rimuovere ma va controllato periodicamente. Lo faccio, senza farmi condizionare dalla malattia: mi ha già rubato troppi sorrisi”. Così Stefania sorride, anzi ride. E continua anche a raccontare la sua storia con quella voce che temeva di perdere. “Voglio testimoniare l’importanza della ricerca: gli euro che voi avete donato o donerete ad AIRC sono quelli che mi hanno salvata e salveranno tante persone. L’Azalea o i Cioccolatini non sono semplici oggetti, ma sono l’arma segreta per scoprire nuove cure contro il cancro.”
L’Azalea della Ricerca
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volontari AIRC saranno presenti con i loro banchetti in 3.600 piazze italiane domenica 8 maggio, in occasione della Festa della mamma. Con un contributo minimo di 15 euro distribuiranno l’Azalea della Ricerca, per raccogliere risorse fondamentali per la ricerca sui tumori che colpiscono le donne. Per informazioni da fine aprile visita il sito www.lafestadellamamma.it APRILE 2020 | FONDAMENTALE | 31
Abruzzo-Molise:
Tel. 085 35215 - com.abruzzo.molise@airc.it – airc.it/abruzzo
Basilicata:
Tel. 0835 303751 - com.basilicata@airc.it - airc.it/basilicata
Calabria:
Tel. 0984 413697 - com.calabria@airc.it – airc.it/calabria
Campania:
Tel. 081 403231 - com.campania@airc.it - airc.it/campania
Emilia-Romagna:
Tel. 051 244515 - com.emilia.romagna@airc.it - airc.it/emiliaromagna
Friuli-Venezia Giulia:
Tel. 040 365663 - com.friuli.vg@airc.it - airc.it/fvg
Lazio:
Tel. 06 4463365 - com.lazio@airc.it - airc.it/lazio
Liguria:
Tel. 010 2770588 - com.liguria@airc.it - airc.it/liguria
Lombardia:
Tel. 0277971 - com.lombardia@airc.it - airc.it/lombardia
Marche:
Tel. 071 2804130 - com.marche@airc.it - airc.it/marche
Piemonte-Valle d’Aosta:
Tel. 011 9933353 - com.piemonte.va@airc.it - airc.it/piemonte
Puglia:
Tel. 080 5218702 - com.puglia@airc.it - airc.it/puglia
Sardegna:
Tel. 070 664172 - com.sardegna@airc.it - airc.it/sardegna
Sicilia:
Tel. 091 6110340 - com.sicilia@airc.it - airc.it/sicilia
Toscana:
Tel. 055 217098 - com.toscana@airc.it - airc.it/toscana
Umbria:
Tel. 075 5838132 - com.umbria@airc.it - airc.it/umbria
Veneto-Trentino Alto Adige:
Tel. 045 8250234 - com.veneto@airc.it - airc.it/veneto
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a cura della REDAZIONE n occasione delle Arance della Salute dello scorso gennaio, anche questa campagna nazionale di Fondazione AIRC per la ricerca sul cancro è tornata a essere organizzata nelle piazze (e in questo caso anche nelle scuole). L’entusiasmo dei nostri volontari, con l’indispensabile coordinamento dei Comitati regionali di AIRC, ha di nuovo invaso, nel rispetto assoluto delle norme anti-contagio, Comuni piccoli e grandi in tutta Italia, risultando come
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di consueto inestimabile per il successo della nostra raccolta fondi per rendere tutti i tipi di cancro sempre più curabili. Sono state 149.000 le reticelle di arance, 70.000 i vasetti di miele e altrettanti i vasetti di marmellata di arance bio che, grazie al loro aiuto, hanno potuto raggiungere i nostri sostenitori. Un risultato eccezionale, che ha permesso di raccogliere un totale di oltre 2,3 milioni di euro. Ma i nostri volontari non si fermano e si stanno già preparando a essere in piazza l’8 maggio per l’altra grande campagna nazionale di AIRC, la più importante e simbolica, l’Azalea della Ricerca. In quell’occasione contiamo ancora una volta di tornare in tutte le oltre 3.700 piazze dove i nostri volontari tradizionalmente distribuiscono le Azalee per soddisfare al meglio possibile le richieste che arriveranno e confermare quanto sia forte il legame tra i sostenitori, la Fondazione AIRC e la nostra missione di raccogliere fondi per i ricercatori impegnati nei centri di ricerca di tutta Italia a individuare nuove terapie per rendere il cancro sempre più curabile.
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DIVENTA VOLONTARIO AIRC
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l ritorno in piazza dei nostri volontari per le campagne nazionali Arance della Salute, Azalea della Ricerca e Cioccolatini della Ricerca ci riempie di fiducia per il futuro. Siamo convinti che a breve anche tutti gli eventi locali e le altre attività coordinate dai Comitati regionali potranno tornare a pieno regime, e per questo abbiamo bisogno di tutto l’aiuto possibile. Se vuoi anche tu mettere il tuo tempo, la tua energia e il tuo entusiasmo a disposizione della raccolta fondi a favore della ricerca per rendere il cancro sempre più curabile, compila il modulo su www.generazioneairc.it oppure chiama il numero 02 779 77 77.
Nelle foto: volontari AIRC in piazza per l’edizione 2022 delle Arance della Salute
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RACCOLTA FONDI Partner ed eventi
Le aziende e AIRC,
una storia di successi
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ono passati oltre cinquant’anni dall’inizio della sfida di AIRC al cancro, quando nel 1965 alcuni ricercatori sostenuti da illuminati imprenditori la facevano nascere. Oggi sono milioni le persone vicine ad AIRC e sono tante le aziende che scelgono, ogni giorno, di far parte di questa incredibile storia. Nel 2021 sono state oltre 6.000 le aziende che hanno deciso di sostenere AIRC e di posizionarsi come realtà impegnate per la ricerca scientifica, attente alla salute e al benessere dei propri clienti e dipendenti. Un numero straordinario di imprese, professionisti, esercenti e realtà imprenditoriali che, in modi diversi, sono stati vicini ad AIRC per portare avanti un obiettivo comune: rendere il cancro sempre più curabile. Molte di queste realtà aderiscono al progetto “Impresa contro il cancro”, che riunisce gli imprenditori che credono nella ricerca scientifica oncologica come valore del progresso di un Paese e scelgono di stare al fianco di AIRC. Una 36 | FONDAMENTALE | APRILE 2022
comune sfida contro il cancro, che permette loro di convogliare gli sforzi su tre obiettivi fondamentali: lo studio dei tumori che colpiscono cervello, pancreas e polmone, tra i più aggressivi e meno semplici da curare; il sostegno a IFOM, l’Istituto di oncologia molecolare di AIRC, dove operano con strumenti d’avanguardia giovani ricercatori provenienti da tutto il mondo; e lo studio dei tumori che colpiscono i bambini. Altre aziende hanno scelto di avviare una partnership con AIRC per sostenere specifici progetti di ricerca. Alcune di queste, come per esempio The Estée Lauder Companies e Ferrarelle (con il brand Acqua Vitasnella), hanno deciso di supportare il lavoro di giovani ricercatrici e ricercatori, finanziando una o più borse di studio, con l’obiettivo di contribuire alla formazione di una nuova generazione di scienziati impegnati in oncologia; aziende come Ralph Lauren e Palazzoli hanno invece preferito destinare le proprie donazioni a studi coordinati da ricercatori affermati.
Numerose realtà hanno scelto di affiancarci per contribuire alla divulgazione scientifica dei contenuti di ricerca e prevenzione, sostenendo i programmi che AIRC dedica alle scuole o condividendo tali contenuti con i propri dipendenti. Sono stati infatti più di 90.000 i destinatari dei piani editoriali che AIRC realizza appositamente per informare e sensibilizzare i lavoratori delle aziende partner. Facendosi diretti promotori della missione di AIRC, molti partner aziendali hanno deciso di attivarsi per coinvolgere i propri dipendenti o i propri clienti in iniziative di raccolta di fondi a sostegno della ricerca oncologica, oppure invitandoli ad aderire a iniziative e manifestazioni promosse su tutto il territorio nazionale. Grazie a Banco BPM, partner istituzionale in prima linea nel sostegno alla ricerca oncologica, è stato possibile promuovere la missione e la raccolta fondi AIRC, con diverse iniziative e progetti, su tutti gli stakeholder del gruppo: privati, aziende e clienti di Banca Aletti. Alle migliaia di aziende che decidono ogni giorno di contribuire alla missione di AIRC rivolgiamo un sentito ringraziamento, unito a quello dei ricercatori e dei pazienti guariti grazie alla ricerca.
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al 22 gennaio al 12 giugno 2022, Palazzo Martinengo di Brescia ospita la mostra Donne nell’arte e devolverà parte del ricavato della biglietteria alla ricerca oncologica sui tumori che colpiscono le donne di Fondazione AIRC. La mostra, che documenta quanto la rappresentazione dell’universo femminile abbia giocato un ruolo determinante nella storia dell’arte italiana lungo un periodo di quattro secoli, dagli albori del Rinascimento al Barocco, fino alla Belle Époque, riprende il proprio cammino, dopo lo stop imposto dalla diffusione della pandemia nel febbraio 2020. L’esposizione presenta oltre 90 capolavori di artisti quali Tiziano, Guercino, Pitocchetto, Appiani, Hayez, Corcos, Zandomeneghi e Boldini che, con le loro opere, hanno saputo rappresentare la personalità, la raffinatezza, il carattere, la sensualità e le più sottili sfumature dell’emisfero femminile, ponendo particolare attenzione alla moda, alle acconciature e agli accessori tipici di ogni epoca e contesto geografico. Per maggiori informazioni: tel. 392-7697003; mostre@amicimartinengo.it oppure visita il sito donnenellarte.it
HeRo e aiRC di nuoVo insieMe PeR sosteneRe La RiCeRCa
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ERO Italia e AIRC hanno rinnovato per il terzo anno consecutivo la collaborazione per sostenere la missione della Fondazione di rendere il cancro sempre più curabile. L’azienda, leader in Italia nel settore delle mar-
mellate e confetture a ridotto contenuto calorico, quest’anno vestirà con il logo AIRC sia la linea light di marmellate sia le barrette HERO LIGHT, nei tre gusti al cioccolato, alla nocciola e ai frutti rossi. Dal 1° marzo al 31 agosto 2022, acquistando le barrette o le confetture HERO LIGHT sarà possibile sostenere la ricerca sul cancro: per ogni vasetto o confezione di barrette venduti nei supermercati italiani 10 centesimi saranno destinati ad AIRC. HERO Italia inoltre si impegnerà a diffondere attraverso i propri canali social e digital ricette e sfide per sensibilizzare sull’importanza di uno stile di vita sano per la prevenzione dei tumori. Per ulteriori informazioni, visita il sito heroperairc.it APRILE 2022 | FONDAMENTALE | 37
IL MICROSCOPIO
Le strategie AIRC per giovani ricercatori
FEDERICO CALIGARIS CAPPIO Direttore scientifico AIRC
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n giovane che nei primi anni Ottanta intendeva dedicarsi alla ricerca in oncologia si trovava di fronte innumerevoli domande, ma le sue possibilità di dare risposte efficaci erano scarse. In genere, i pazienti ricevevano una diagnosi in fasi molto avanzate di malattia e la ricerca clinica aveva pochissime armi, fondamentalmente solo alcuni chemioterapici. Le cono38 | FONDAMENTALE | APRILE 2022
scenze sulla biologia del cancro erano molto limitate, i laboratori avevano attrezzature modeste, le tecnologie erano rudimentali e le collaborazioni, soprattutto internazionali, sporadiche. Il grande ostacolo biologico era lo studio diretto delle cellule tumorali dei pazienti. I tumori del sangue offrivano maggiori opportunità di indagine, dato che un semplice prelievo di sangue periferico o midollare era spesso sufficiente per studiare la malattia. Comprensibilmente, l’oncoematologia è stata la punta di diamante della ricerca oncologica. Oggi la situazione generale è cambiata. Gli studi di questi anni, favoriti dagli incessanti avanzamenti tecnologici, hanno portato a una migliore comprensione delle basi biologiche e molecolari del cancro. I laboratori e i centri di ricerca hanno assistito a un cambiamento epocale in termini di strumentazione e di competenze: a medici, biologi, biotecnologi si affiancano sempre più nuove figure professionali quali informatici, matematici, chimici, data manager, infermieri di ricerca. Inoltre la ricerca è diventata sempre più collaborativa e internazionale. I progressi nella diagnostica di precisione e lo sviluppo di terapie di combinazione tra farmaci mirati a bersaglio molecolare, immuno e chemioterapia consentono di arrivare alla guarigione o a un sostanziale miglioramento del-
le condizioni di salute in diversi tipi di tumore. Quali problemi deve affrontare un giovane che voglia oggi dedicarsi alla ricerca in oncologia? Le frontiere della ricerca sono rappresentate dall’indagine mirata dei “buchi neri” della nostra conoscenza, quali la malattia metastatica, i tumori rari, la resistenza alle terapie convenzionali e i tumori, come quelli cerebrali, di cui sappiamo ancora troppo poco. Lo studio e la comprensione di questi problemi è assolutamente indispensabile se vogliamo un futuro in cui tutti i tipi di cancro siano sempre più curabili. I giovani hanno di fronte orizzonti culturali più vasti, ma anche problemi più precisi da risolvere, traggono grande vantaggio dall’interazione tra diverse discipline e possono avvalersi di tecnologie sofisticate. Queste permettono di affrontare in modo concreto le domande cruciali, soprattutto se maneggiate con la creatività, la freschezza di idee e la capacità di pensare in modo non convenzionale proprie dei nuovi ricercatori. AIRC, da sempre sensibile ai problemi dei giovani, intende offrire loro, attraverso modalità di finanziamento innovative, nuove opportunità per impegnarsi nella ricerca avendo come obiettivo finale “trovare la cura del cancro attraverso la ricerca”. A tal fine AIRC lancia nel 2022 un piano progettuale rivolto a giovani ricercatori in oncologia con bandi diversificati e articolati a seconda degli interessi scientifici e della fase di carriera. Lo scopo è attrarre i migliori ricercatori, sia di laboratorio sia clinici, inclusi coloro che vogliono rientrare dall’estero. Ciò senza penalizzare i ricercatori senior, i cui laboratori rappresentano gli incubatori all’interno dei quali si formano i giovani più promettenti. AIRC intende così rafforzare un circolo virtuoso costruito negli anni per stimolare la crescita della ricerca oncologica nazionale e potenziare le sue positive ricadute sui pazienti.
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