Numero 5 - dicembre 2022 Numero 5dicembre 2022Anno LAIRC EditorePoste Italiane spa Sped. in Abb. Postale D. L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) Art. 1 comma 1 LO/MIISSN 2035-4479 DIRITTI Lasciarsi il tumore alle spalle vuol dire avere il diritto di non menzionarlo TERAPIE CELLULARI TCR-T, nuova strategia per usare i linfociti T contro il tumore SALUTE GLOBALE Il cancro che cresce è una sfida globale per i sistemi sanitari Angela Di Giannatale, clinica e ricercatrice METTERE KO IL NEUROBLASTOMA
“Noi
DIAGNOSTICA Tumori ereditari, la sfida dei test genetici è ancora aperta
SALUTE GLOBALE Poche risorse e fenomeni migratori rendono il cancro più difficile da curare
PROSTATA Tagliare i rifornimenti al tumore della prostata
NUTRIZIONE Obiettivo: ridurre gli sprechi a tavola
RACCOLTA FONDI Nastro Rosa Partner
L’Europa cerca di tutelare la salute umana e rispettare il benessere animale
I test genetici, problemi di diffusione e rimborsabilità
Wonder Why, l’iniziativa di AIRC per soddisfare le curiosità sulla scienza
FONDAMENTALE
Anno L - Numero 5
Dicembre 2022 - AIRC Editore
DIREZIONE E REDAZIONE
Fondazione AIRC per la ricerca sul cancro ETS
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COORDINAMENTO EDITORIALE
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REDAZIONE
Simone Del Vecchio
PROGETTO GRAFICO E IMPAGINAZIONE
SOMMARIO FONDAMENTALE
dicembre 2022 In questo numero:
CONSULENZA EDITORIALE
Fondamentale è stampato su carta certificata e proveniente da foreste gestite in maniera corretta e responsabile secondo rigorosi standard ambientali,
04 VITA DA RICERCATORE Dall’oncologia pediatrica alla ricerca di base 07 RUBRICHE I traguardi dei nostri ricercatori 08 TERAPIA Leucemia linfoblastica acuta Ph+, storia di un successo (italiano) 10 CAMPAGNE Il diritto di dimenticare la malattia quando è ormai alle spalle 12 FARMACI BIOLOGICI TCR-T, la nuova frontiera delle terapie
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Umberto Galli TESTI Alessia De Chiara, Riccardo Di Deo, Cristina Ferrario, Carlotta Jarach, Antonino Michienzi, Daniela Ovadia, Elena Riboldi, Fabio Turone FOTOGRAFIE Giulio Lapone 2022
sociali ed economici. 18 32
cellulari
NOTIZIE FLASH Dal mondo
SPERIMENTAZIONE ANIMALE L’approccio europeo alla ricerca animale, una questione di equilibrio
CURIOSITÀ SCIENTIFICHE Wonder Why
ESMO 2022 Dall’infanzia all’età adulta, la battaglia contro i tumori “nati cattivi”
IFOM La matematica contro le resistenze tumorali
SOLIDARIETÀ
non doniamo, restituiamo agli altri”
IL MICROSCOPIO Tumori pediatrici, una situazione difficile
Come gestire la terapia ormonale per il cancro prostatico
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Andrea Sironi Presidente AIRC
Certezze e speranze per il futuro dalla ricerca AIRC
Care lettrici e cari lettori, il numero di dicembre di Fondamentale è come sempre dedicato alla ricerca sui tumori pediatrici. Un tema cui tanti ricercatori AIRC hanno riservato e riservano ancora i loro sforzi, e per cui AIRC ha deliberato, solo per il 2022, più di 8 milioni di euro, destinati a 65 progetti e 13 borse di studio portati avanti nei laboratori di tutta Italia. A proposito dei risultati importanti raggiunti nella cura di queste malattie, nel presente numero abbiamo voluto ricordare il grande contributo che la ricerca oncologica italiana ha dato, negli anni, alla scoperta di una cura efficace per la leucemia linfoblastica acuta, il tumore più frequente in età pediatrica, che rappresenta l’80 per cento delle leucemie e circa il 25 per cento di tutti i tumori diagnosticati tra 0 e 14 anni. Questa neoplasia fino a non molto tempo fa aveva una prognosi davvero infausta, ma i progressi dei ricercatori hanno permesso oggi di raggiungere un tasso di sopravvivenza del 90 per cento.
Riguardo i risultati raggiunti dagli scienziati che Fondazione AIRC finanzia, è importante anche ricordare la messa a punto, nell’ambito del programma speciale 5 per mille coordinato da Maria Chiara Bonini, di una nuova terapia cellulare, le TCR-T, basata sull’impiego di cellule ingegnerizzate in laboratorio che sono già in questo momento in sperimentazione clinica, e che potrebbero rivelarsi un’arma per rendere più efficaci le cure contro le forme metastatiche dei tumori del pancreas e del colon-retto.
Un’ultima parola in chiusura voglio riservarla a Wonder Why, il progetto di AIRC dedicato alle curiosità scientifiche che, dalla pagina Instagram e dal sito wonderwhy.it, fa un’incursione per questo numero sulle pagine di Fondamentale. Abbiamo cominciato nel settembre 2020, convinti che intrattenere le persone, giovani e meno giovani, raccontando la bellezza della scienza sia uno straordinario volano per far loro capire quanto è importante la ricerca per la vita di tutti, e quanto potrà esserlo ancora se continueremo a sostenerla. Siamo entusiasti di scoprire ogni giorno che sempre più persone ci seguono in questa avventura.
Fondamentale per i tumori pediatrici
Alcuni articoli di questo numero di Fondamentale sono dedicati ai tumori pediatrici e sono riconoscibili grazie al simbolo dell’aquilone.
EDITORIALE
Dall’oncologia pediatrica alla ricerca di base
a cura di FABIO
TURONE
Quando a sei anni Angela Di Giannatale, oncologa pediatrica presso l’Ospedale Bambino Gesù di Roma, disse alla mamma che da grande avrebbe voluto fare la scienziata, e in particolare il medico, già mostrava una spiccata predilezione per la chirurgia, testimoniata dalle ardite operazioni che eseguiva su tutte le sue bambole. Negli anni del liceo, il classico Saffo di Roseto degli Abruzzi sulla costa adriatica, fu affascinata dal giornalismo e dall’idea di viaggiare e raccontare il mondo, e convinse suo padre a comperarle in edicola ogni settimana una rivista di attualità politica che pubblicava un corso di giornalismo in fascicoli: studiava, imparava e metteva in pratica nella redazione del giornale del liceo; qui scoprì anche la passione per il teatro, quando la scuola portava in scena le tragedie greche.
La laurea in medicina
Per una “perfettina” – come si definisce oggi Di Giannatale – l’ottimo voto di 55 su 60 all’esame di maturità rimase a lungo indigesto. “Colpa dello scritto di latino, e dei suggerimenti confusi che il professore ci diede nell’intento di aiutarci, finendo per farci sbagliare.”
Subito dopo la maturità c’è un nuovo esame da affrontare, quello per l’ammissione alla Facoltà di medicina dell’Università Cattolica, a Roma, che supera senza troppa fatica: “Dopo il primo anno, passato in un appartamento, mi sono potuta trasferire in collegio, diventando molto amica delle altre ragazze ospitate, tanto che due di loro sono state poi mie testimoni di nozze”.
Da studentessa esigente con se stessa non ha difficoltà a tenere una media che le garantisca l’ottenimento di borse di studio, e trova anche il tempo per interessi extracurricolari e una gioiosa vita sociale: “Sono stati anni molto belli, scanditi da scherzi goliardici e molta attività fisica. In primavera sfidavamo gli altri collegi della Cattolica nelle Colle-
VITA DA RICERCATORE
Angela Di Giannatale
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Oncologa pediatra, Angela Di Giannatale si occupa oggi anche di ricerca di base sul neuroblastoma, dopo aver lavorato in Francia e negli Stati Uniti
giadi, e io ero bravissima nella corsa nei sacchi” racconta nel suo appartamento nella zona della Piramide Cestia a Roma, in strategica collocazione tra le strutture in cui divide oggi le sue giornate, la sede del Gianicolo dell’Ospedale pediatrico Bambino Gesù e quella di ambulatori e laboratori in zona San Paolo.
Da Roma a Parigi e ritorno
Quando Fondamentale la raggiunge per questa intervista, è reduce da un faticoso turno notturno in ospedale, e ogni tanto viene interrotta dal piccolo Emanuele, che ha quattro anni e fa capolino dalla porta, mentre la piccola Myriam, che ha solo un anno, è in compagnia del padre Christian.
I due si sono conosciuti a Parigi, dove Angela si era trasferita nel 2007, durante l’ultimo anno di specializzazione in pediatria: “Nella scuola di specializzazione, sempre alla Cattolica, ero entrata subito ottenendo una delle sei borse disponibili” ricorda. Il concorso si era svolto dopo la laurea, conseguita questa volta con il massimo dei voti e la lode. “A Parigi volevo andare per migliorare le mie conoscenze sui tumori solidi pediatrici e sullo sviluppo di nuovi farmaci.” E così entra con uno stage al prestigioso centro oncologico Gustave Roussy di Villejuif, al confine meridionale della Ville Lumière.
L’incontro galeotto con Christian avviene nella cucina comune della Maison d’Italie, Casa Italia, all’interno della città universitaria, dove anche lui, di un anno più grande, ha trovato una camera mentre completa il dottorato in storia medievale alla Sorbona. Dopo avere ultimato il corso di specializzazione in pediatria, Angela ottiene di rimanere come interna mentre lui, per approfondire i suoi studi sui papi medievali, si trasferisce ad Avignone, nel sud della Francia, che fu sede del papato per gran parte del Trecento.
Dopo sei mesi, ad Angela viene proposto di tornare a Roma per una sostituzione di maternità, nel reparto di oncologia pediatrica del Policlinico Gemelli diretto da Riccardo Riccardi, e al rientro della collega ha l’occasione di trascorrere circa un anno nel reparto di neuroncologia dell’Ospedale Giannina Gaslini di Genova, sotto la guida di Maria Luisa Garrè, a imparare tutto quello che riesce sui tumori cerebrali.
Terapie pediatriche innovative
Il primo, vero incontro con la ricerca avviene quando Birgit Geoerger, nel cui gruppo ha lavorato a Villejuif, le propone di tornare a Parigi per lavorare nell’ambito del consorzio europeo per le terapie oncologiche pediatriche innovative (Innovative Therapies for Children with Cancer, ITCC), con una borsa di ricerca di due anni. Oltre a seguire i piccoli pazienti arruolati in sperimentazioni cliniche, Angela ha il compito di stendere i protocolli per studi clinici di fase 1 (in cui si verificano sicurezza e tollerabilità di un nuovo farmaco su piccoli gruppi di soggetti) e di fase 2 (in cui si esaminano gli effetti terapeutici osservati nelle fasi 1 e si determina il dosaggio ottimale dei farmaci). “È stata un’esperienza molto formativa, che ha suscitato in me un forte interesse per la ricerca di base” ricorda. Grazie a questo ruolo, firma il primo studio importante come prima autrice, che le vale l’invito al prestigioso congresso annuale dell’associazione americana di oncologia clinica (ASCO), a Chicago: “Mentre il francese lo avevo studiato a scuola e al liceo per tanti anni, e lo parlavo bene, il mio inglese era molto incerto, e in vista della presentazione orale dello studio TOTEM sul neuroblastoma presi diverse lezioni di inglese a Parigi, finendo per parlarlo con un marcato accento francese” racconta ridendo.
In questo articolo: oncologia pediatrica neuroblastoma metastasi
Verso la ricerca di base
Il 2012 si rivela un anno ricco di decisioni importanti: la coppia di giovani ricercatori decide di sposarsi, e lo fa in giugno nella Chiesa Italiana di Parigi, in presenza di familiari e amici intimi. Poco dopo, lei riesce a ottenere un finanziamento svizzero per approdare finalmente alla ricerca fondamentale e al sogno americano: grazie all’interessamento di Birgit Geoerger, riesce a entrare nel laboratorio di David Lyden, alla Cornell University di New York, per occuparsi di biopsia liquida e dei cosiddetti esosomi, piccole vescicole che viaggiano nell’organismo trasferendo messaggi complessi da una cellula all’altra, e che hanno un ruolo anche nello sviluppo e soprattutto nella metastatizzazione dei tumori: “Sono un po’ come le avanguardie dell’esercito invasore, che entrano nelle cellule sane con le istruzioni per imporre loro di preparare l’accampamento su cui poi crescerà la metastasi” spiega. “Quando sono arrivata, nel novembre del 2012, io non sapevo fare nulla da sola in laboratorio, e all’inizio ho avuto anche attacchi di panico quando, nel corso dei meeting di laboratorio, dovevo parlare in inglese di tecniche che conoscevo poco, ma dopo esserci ambientati abbiamo passato un periodo fantastico.”
Con la tenacia della sportiva applicata alla scienza
Con Christian, che a New York ha trovato un posto come visiting scholar alla Columbia University, arreda da zero una casetta a Roosevelt Island: ogni mattina prende la teleferica immortalata in centinaia di film americani per spostarsi a Manhattan, dove il lavoro di ricerca su cellule in vitro e modelli animali la occupa spesso fino alle dieci di sera. All’inizio studia tumori del pancreas, del polmone e del seno, poi propone e ottiene di dedicarsi anche al “suo” neuroblastoma, il tumore sul quale aveva già fatto ricerca in Italia e in Francia.
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Dai piccoli pazienti al bancone di laboratorio
VITA DA RICERCATORE
Angela Di Giannatale
portoghesi e tedeschi potrebbe continuare, ma, anziché restare come ricercatore associato, nel 2015 Angela decide di tornare in Europa: viene accolta al Bambino Gesù a Roma, dove, all’interno del Dipartimento diretto da Franco Locatelli, coordina un gruppo in cui alterna l’attività di ricerca e quella clinica, sempre focalizzata sul neuroblastoma, mentre il marito si sposta all’Istituto storico italiano per il medioevo vicino a Piazza Farnese.
Con l’arrivo dei figli, Emanuele nel 2018 e Myriam nel 2021, ha dovuto riorganizzare le proprie giornate per fare i conti con le guardie notturne e i turni nel week-end: ha ridotto i viaggi e le escursioni in montagna e rinunciato al kickboxing, cui si era appassionata durante il secondo anno di specializzazione, fino a diventare cintura nera.
Un Investigator Grant
“Quello che mi è piaciuto molto dell’ambiente negli Stati Uniti è l’opportunità di sviluppare il proprio progetto e la consuetudine a dare fiducia anche ai giovani” racconta. “Io ho impiegato il primo anno ad acquisire nuove tecniche e le competenze necessarie a progettare i miei esperimenti, poi ho avuto un contratto per restare ancora 18 mesi a fare ricerca.”
La passione per l’opera
In quel periodo partecipa, una o due volte alla settimana, alle riunioni del gruppo diretto da Cheung Nai-Kong al centro oncologico Sloan Kettering, per seguire le loro attività sul neuroblastoma sotto la guida di Shakeel Modak
(che oggi dirige il gruppo specializzato in questo tumore). È un periodo in cui Angela passa moltissime ore al bancone: “Gli americani sono particolarmente bravi a organizzare aperitivi e spuntini di lavoro, col risultato che dopo un breve stacco si riprende a lavorare in laboratorio fino a tardi” spiega con un sorriso malizioso.
Grazie alla convenzione stipulata dalla Cornell con il Metropolitan, tempio dell’opera, scopre anche una nuova passione, condivisa con il marito. “Appena potevamo, andavamo all’opera: ho amato particolarmente il Don Giovanni di Mozart” ricorda.
La fervida attività scientifica e l’intensa vita sociale con colleghi e amici americani, italiani, spagnoli, francesi,
Nel 2021, insieme all’ultima figlia, è nato anche il suo progetto quinquennale finanziato da un Investigator Grant di AIRC, che punta a conoscere meglio il ruolo degli esosomi nel complesso meccanismo che porta il neuroblastoma a produrre metastasi, preferenzialmente nel midollo osseo. Obiettivo del progetto è individuare e testare, in vitro e in modelli animali, nuovi potenziali farmaci che prevengano la formazione delle metastasi, da proporre poi per le successive fasi di sperimentazione clinica.
“Io ho fatto il percorso inverso, partendo dalla ricerca clinica per approdare alla ricerca di base, che mi appassiona moltissimo” conclude.
A breve l’aspettano due viaggi per altrettanti congressi internazionali, in Grecia e a Parigi, per raccontare ciò che osserva con occhiali diversi da quelli che immaginava sognando di fare la giornalista: il mondo dell’instabile equilibrio che nel microambiente tumorale fa la differenza tra l’aggravarsi della malattia e la completa guarigione.
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Angela Di Giannatale con il suo gruppo di ricerca
Un progetto per testare nuovi farmaci contro le metastasi
NOSTRI
Un duplice effetto
In uno studio pubblicato sulla rivista Neuropathology and Applied Neurobiology, Giuseppe Giannini dell’Università La Sapienza di Roma e collaboratori hanno scoperto che la perdita di una particolare proteina, a seconda che sia parziale o totale, può avere un effetto che favorisce o contrasta la progressione di alcune forme di medulloblastoma, un tumore del sistema nervoso centrale. Si tratta di NBS1, che fa parte di un comples-
so di proteine, noto in breve come MRN, coinvolto nella riparazione del DNA. Grazie a diversi esperimenti, per i quali sono stati utilizzati anche animali da laboratorio, si è scoperto che una perdita parziale della proteina ha un’azione che favorisce il tumore, mentre quando la perdita è totale l’azione è antitumorale. La ricerca accresce così la comprensione del complesso di proteine già da tempo oggetto di studio del gruppo di Giannini.
Una spinta per il sistema immunitario
Un gruppo di ricerca dell’Università di Bologna, coordinato da Giovanni Capranico, ha scoperto che gli inibitori della topoisomerasi I, oltre alla nota capacità di uccidere le cellule tumorali, sembrano anche essere in grado di stimolare il sistema immunitario contro tali cellule. Un ulteriore meccanismo d’azione che, se confermato da altri studi, potrebbe permettere di usare questi farmaci per potenziare gli attuali trattamenti immunoterapici e contrastare diversi tipi di cancro. La scoperta è riportata in uno studio
Stop alla vecchiaia
I risultati di un recente studio, coordinato da Stefano Piccolo di IFOM e dell’Università di Padova, potrebbero portare in futuro a capire come rallentare l’invecchiamento e, poiché quest’ultimo è uno dei più importanti fattori di rischio per il cancro, anche a diminuire l’incidenza di tumori tra le persone anziane. La ricerca, pubblicata su Nature, ha messo in evidenza il ruolo di due tipi di “interruttori” nei processi di invecchiamento: YAP/TAZ e cGAS–STING. In particolare, quando la struttura di supporto degli organi
pubblicato sul British Journal of Cancer in cui i ricercatori, ricorrendo a culture cellulari e analisi bioinformatiche, hanno esaminato i meccanismi dei farmaci in quattro tipi di cancro al polmone. Il gruppo ha inoltre notato che gli effetti non erano sempre uguali: il sistema immunitario non si attivava nel tumore del polmone a piccole cellule. Un risultato che potrebbe portare a identificare nuovi bersagli e sviluppare nuove strategie terapeutiche.
comincia a degradarsi si assiste a un calo dei livelli del primo interruttore, con conseguente formazione di “buchi” nella membrana che avvolge il nucleo delle cellule da cui fuoriesce DNA. Questo rappresenta un segnale di accensione del secondo interruttore, che favorisce l’istaurarsi di uno stato infiammatorio cronico. I risultati di questa ricerca potrebbero aprire la strada allo sviluppo di metodi in grado di interferire con questi segnali e di conseguenza permettere di mantenersi in buona salute mentre si invecchia.
I TRAGUARDI DEI
... continua su: airc.it/traguardi-dei-ricercatori
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Leucemia linfoblastica acuta Ph+, storia di un successo (italiano)
vello del genoma possa causare un tumore.
Il cromosoma Ph è frutto di una sorta di scambio tra due cromosomi (9 e 22), definito “traslocazione” in gergo scientifico, in cui una porzione del primo prende il posto di una porzione del secondo e viceversa. Il processo determina la formazione di un gene (BCR-ABL1) che produce una proteina di fatto responsabile della moltiplicazione incontrollata delle cellule, e quindi della malattia.
a cura di ALESSIA DE CHIARA
Quella della leucemia linfoblastica acuta Philadelphia positiva, indicata anche con la sigla LLA Ph+, è una storia lunga e non ancora conclusa, ma costellata da molti successi e nella quale la ricerca italiana ha ricoperto e tutt’ora ricopre un ruolo da protagonista. Negli ultimi decenni sono stati compiuti notevoli passi in avanti nel trattamento di questa ma-
lattia ematologica. “Risultati positivi raggiunti grazie ai finanziamenti alla ricerca di base, molti dei quali arrivati da Fondazione AIRC. Non è un caso isolato: le scoperte fatte in laboratorio hanno permesso in tante malattie di fare passi in avanti nell’ambito clinico, ma la storia della LLA Ph+ ne è un esempio emblematico” afferma Robin Foà, professore emerito di ematologia presso il Dipartimento di medicina traslazionale e di precisione alla Università La Sapienza di Roma,
che in un recente articolo pubblicato sulla prestigiosa rivista New England Journal of Medicine ricostruisce, in collaborazione con Sabina Chiaretti, professore associato nella stessa università, i progressi compiuti nella cura di questa malattia.
LA SCOPERTA
Il primo capitolo di questa storia è stato scritto oltre 60 anni orsono a Philadelphia, dove nel 1960, con un’analisi citogenetica (lo studio dei cromosomi nelle cellule), si individuò una particolare alterazione cromosomica nella leucemia mieloide cronica (LMC), denominata appunto cromosoma Philadelphia (Ph). “Si tratta della prima alterazione citogenetica trovata in un tumore umano” afferma Foà, sottolineando l’importanza della scoperta, poiché ha dimostrato in pratica come un’anomalia a li-
A partire da quella iniziale scoperta, la ricerca ha permesso di ottenere informazioni sempre più dettagliate portando, agli inizi degli anni 2000, allo sviluppo della prima molecola in grado di contrastare l’anomalia nella LMC. Oggi siamo alla terza generazione di questa tipologia di farmaci, somministrati per via orale e noti come inibitori tirosinchinasici (TKI), il cui avvento ha rivoluzionato il decorso della malattia, con i pazienti che presentano un’aspettativa di vita simile a quella delle persone senza leucemia.
L’anomalia genetica (Ph) è presente anche nella LLA, più raramente nel bambino, mentre viene ritrovata sempre più spesso con l’avanzare dell’età dei pazienti e, in pratica, nella metà di coloro che hanno superato i 50-60 anni. In questi casi si parla appunto di LLA Ph+.
UNA MALATTIA
CHE FA MENO PAURA
“Prima dell’uso dei TKI, la LLA Ph+ era la peggior neoplasia in ematologia, se non addirittura in oncologia. Era una malattia devastante con una prognosi infausta. L’unica
anche grazie al contributo della ricerca italiana, una malattia un tempo caratterizzata da prognosi nefasta può essere curata con successo e fa meno paura. Servono altri studi nel contesto pediatrico per ottimizzare i risultati TERAPIA LLA Ph+ 8 | FONDAMENTALE | DICEMBRE 2022
Oggi,
possibilità di cura era portare il paziente al trapianto di cellule staminali, ma per farlo è necessario che il paziente abbia risposto alle terapie, cosa difficile soprattutto nell’anziano. Inoltre, la probabilità di poter effettuare un trapianto è inversamente proporzionale all’età” dice Foà.
Mentre prima nei pazienti anziani ci si orientava spesso verso una terapia di supporto, anche per le loro difficoltà nel sopportare la chemioterapia, oggi con i TKI lo scenario è completamente cambiato.
In principio i TKI venivano somministrati in aggiunta alla chemioterapia. Grazie proprio agli studi italiani, si dimostrò che si poteva evitare di ricorrere alla chemio fin dalla fase iniziale delle cure, alla luce dei risultati ottenuti nella LMC.
“Pensare di utilizzare il pri-
mo TKI esistente da solo nei pazienti sopra i 60 anni senza limite massimo di età era eticamente accettabile, vista la loro pessima prognosi. E la sorpresa fu che tutti i pazienti coinvolti risposero al trattamento” spiega Foà, ricordando il primo studio, i cui risultati furono pubblicati nel 2007.
Altre ricerche condotte in Italia con altri TKI hanno proseguito su questa strada, fino ad arrivare all’ultimo studio clinico in cui, dopo una prima fase di terapia con un TKI (induzione), il trattamento è stato associato a un farmaco immunoterapico come consolidamento. E i risultati, pubblicati a fine 2020 sul New England Journal of Medicine, sono decisamente positivi. “Sta avvenendo una rivoluzione nell’approccio terapeutico da un lato, e nella prognosi dall’altro. È un
cambiamento epocale” afferma Foà.
PAROLA D’ORDINE: INTERAZIONE
“Per la gestione ottimale della LLA Ph+ e di tutte le leucemie acute, e direi nell’ematologia in generale, il ruolo del laboratorio è fondamentale. Serve una stretta interazione tra i diversi tipi di laboratorio e la clinica. Questo fin dal principio, perché prima di somministrare un TKI bisogna dimostrare nei primi 7 giorni dalla diagnosi che il paziente ha una specifica lesione genetica. Il che vuol dire poter disporre di un laboratorio attrezzato per farlo” dice Foà. “In Italia, dove l’ematologia è molto avanzata, non è un problema. Abbiamo una rete di gruppi che cooperano in ambito sia pediatrico (AIEOP, Associazione italiana di ematologia e oncologia pediatrica) sia adulto (GIMEMA, Gruppo italiano malattie ematologiche dell’adulto), e che permette di trattare i pazienti sempre allo stesso modo e con le terapie più avanzate. I campioni sono gestiti in maniera centralizzata e sempre in laboratori certificati e con procedure standardizzate. Tutto ciò rappresenta una garanzia. Capita da noi e in altri Stati europei, come pure in America, Canada, Australia e in altri Paesi ancora, ma il mondo è molto vasto e in diverse zone tutto questo non esiste” afferma Foà, descrivendo i vantaggi che potrebbero ottenere i Paesi con meno risorse dall’uso dei TKI nelle LLA Ph+. Trattare con questi farmaci pazienti di tutte le età, quando identificati precocemente, significa fornire loro una terapia orale
che permette di ridurre gli accessi in ospedale così come il numero e i tempi di ricovero, un aspetto da non sottovalutare anche in tempi di pandemia da Covid-19.
IL FUTURO È GIÀ QUI
La storia della LLA Ph+ non è terminata. “Riteniamo che una quota di pazienti possa essere curata senza essere sottoposta a chemioterapia o a trapianto, anche quando c’è un donatore compatibile, ma dobbiamo provarlo” afferma l’esperto. “È già in corso in Italia uno studio, il primo al mondo, che mira a dimostrarlo in modo inequivocabile.” Il trapianto rimane tuttavia necessario in alcune categorie di pazienti, per esempio in chi presenta lesioni genetiche aggiuntive alla diagnosi oppure una malattia minima persistente.
Il trattamento chemio-free, e cioè che non prevede chemioterapia (né trapianto), è ora possibile per i pazienti di qualsiasi età ma comunque adulti. E per i più piccoli? “I bambini vengono curati con protocolli disegnati per l’età pediatrica che, in genere, sebbene dipenda dai singoli Paesi, arriva ai 18 anni. In ambiente pediatrico si tende ancora a somministrare la chemioterapia, sempre però associata a un TKI. I bambini tollerano la chemioterapia molto meglio degli adulti e hanno in generale una prognosi più favorevole, per cui al momento ci sono meno motivi per cambiare approccio. È un aspetto dibattuto ed è possibile che nel tempo la situazione vari, ma per il momento non si è ancora arrivati a ricorrere all’approccio utilizzato negli adulti” conclude Foà.
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In questo articolo: ricerca di base leucemia linfoblastica acuta cromosoma Philadelphia
Il ricercatore AIRC Robin Foà
CAMPAGNE
Diritto all’oblio
“
a cura di CRISTINA FERRARIO
Il cancro non deve più essere considerato un male incurabile: oggi, grazie alla diagnosi precoce e alle terapie disponibili, dal tumore si può guarire” afferma Giordano Beretta, presidente di Fondazione AIOM ed ex presidente dell’Associazione italiana di oncologia medica (AIOM).
Su questa premessa si basa la campagna “Io non sono il mio tumore” per garantire il diritto all’oblio, avviata da Fondazione AIOM e pensata per eliminare le discriminazioni alle quali sono sottoposte molte persone che hanno avuto un tumore in passato, ma che oggi possono essere considerate guarite dal punto di vista clinico.
L’obiettivo è arrivare a una legge che tuteli chi ha avuto un tumore e che, per questo, subisce discriminazioni sociali.
“Oggi in Italia vivono circa 3,6 milioni di persone che hanno avuto un’esperienza di tumore, e di queste circa un milione ha un’aspettativa di vita del tutto simile a quella di un individuo con le stesse caratteristiche (per esempio età, sesso eccetera) che però non ha avuto il cancro” spiega Giordano Beretta.
Un cambiamento culturale
Il diritto all’oblio non ha l’obiettivo di aiutare l’ex paziente a dimenticare il tumore: non basterebbe certo una legge per cancellare l’esperienza di malattia. È invece fondamentale per permettere ad alcuni pazienti di non subire più ripercussioni sulla propria vita quotidiana a causa di una patologia che si sono ormai lasciati alle spalle.
E non c’è neppure il rischio di perdere dati clinici preziosi o diritti acquisiti, come alcune esenzioni o invalidità. “Nessuno pensa di cancellare cartelle cliniche o altri dati relativi alla malattia. Il nostro sco-
“ PER ADERIRE ALLA CAMPAGNA”
L’iniziativa di Fondazione AIOM è descritta in dettaglio su un sito web dedicato (dirittoallobliotumori.org), dal quale è possibile anche scaricare la prima guida sul Diritto all’oblio oncologico e aderire all’iniziativa con la propria firma. Scopo
della campagna era raggiungere 100.000 adesioni da presentare al presidente del Consiglio per chiedere l’approvazione della legge, traguardo raggiunto alla fine del mese di settembre scorso. La raccolta prosegue comunque come forma di testimonianza civile.
Il diritto di dimenticare la malattia quando è ormai alle spalle oblio
La campagna “Io non sono il mio tumore”, lanciata da Fondazione AIOM perché sia garantito il cosiddetto diritto all’oblio, punta a liberare dallo stigma del cancro quei pazienti che possono considerarsi guariti a tutti gli effetti
po è permettere ad alcuni pazienti di guarire anche a livello sociale, oltre che clinico.”
Dichiarare di aver avuto un tumore in alcune situazioni può infatti rappresentare un ostacolo: l’assicurazione sulla vita costa di più, per un mutuo o un prestito sono richieste maggiori garanzie e può essere più difficile trovare un lavoro. “Eppure, anche se non è possibile affermare con certezza che la malattia non ritornerà mai, la probabilità che ciò accada è molto bassa, quasi trascurabile” aggiunge Beretta.
L’obiettivo della campagna nazionale è quindi un provvedimento di legge che permetta di non essere più considerati pazienti oncologici dopo 5 anni dalla fine delle terapie, se il tumore è insorto in età pediatrica, o dopo 10 anni se la diagnosi è arrivata in età adulta. Ciò consentirebbe di non menzionare la malattia in tutte le situazioni in cui potrebbe essere controproducente farlo e permetterebbe inoltre di avere uno strumento in più per costringere piattaforme e social media a cancellare fotografie e post del passato che non sono più graditi all’ex paziente.
difficoltà per avere mutui o assicurazioni sulla vita: si chiede un vero e proprio cambiamento culturale nei confronti della malattia oncologica, arrivando a stabilire senza dubbi che dal cancro si può guarire” dice Beretta.
Dati chiari e volontà comune
In questo articolo: diritto all’oblio leggi guarigione
firmare una certificazione di guarigione. È una sorta di medicina difensiva, ancora troppo frequente nel nostro Paese” spiega, ricordando che molti professionisti non sono nemmeno consapevoli dell’esistenza di questo tipo di problemi.
Una legge per rimuovere ostacoli burocratici
Una richiesta in apparenza semplice, ma che porta con sé un messaggio molto forte. “Non si tratta solo di ridurre le
Leggi che garantiscono il diritto all’oblio sono già una realtà in alcuni Paesi europei, per esempio in Francia, in Lussemburgo, in Belgio, in Olanda e in Portogallo. È a questi esempi che si è ispirata Fondazione AIOM nel formulare la sua richiesta, seppur scontrandosi con diverse critiche. Una è relativa al fatto che le soglie di 5 e 10 anni indicate nella proposta non sono applicabili a tutti i tumori. “In effetti per il cancro della mammella e per quello della prostata possono passare anche 20 anni dalla diagnosi prima di poter essere definiti guariti, ma dal momento che i 10 anni della nostra proposta vanno contati a partire dal termine del trattamento e non dalla diagnosi, la soglia dei 10 anni può essere considerata valida anche in questi casi” afferma Beretta, che cita però un altro grande ostacolo alla realizzazione del progetto. “Il problema è la formazione dei medici, che spesso hanno timore nel
“I pazienti hanno bisogno di questa legge, anche per poter voltare pagina dopo la fine dei trattamenti oncologici” afferma Antonella Campana, vicepresidente di Fondazione AIOM e membro del coordinamento volontari di IncontraDonna. “La tutela dei diritti dei pazienti oncologici passa anche attraverso il riconoscimento giuridico di una guarigione dal cancro” aggiunge. “I finanziamenti vengono spesso concessi agli ex malati oncologici solo in caso si stipuli una polizza assicurativa sulla vita, e il sovra premio assicurativo richiesto è basato su dati che riflettono solo in parte quelli clinici. Questi parametri dovrebbero essere costantemente aggiornati in modo da riflettere le nuove evidenze scientifiche su prevalenza e guarigione” conclude Campana. Perché il cambiamento culturale sia reale, è quindi importante che tutti gli attori chiamati in causa facciano la propria parte verso un obiettivo comune, il bene del paziente.
Il tempo e l’età cambiano l’atteggiamento verso la malattia
oblio
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FARMACI BIOLOGICI Terapie cellulari
TCR-T, la nuova frontiera delle terapie cellulari
a cura di ELENA RIBOLDI
Quando le terapie convenzionali falliscono, occorre trovare strategie alternative. Sfruttare le cellule del sistema immunitario del paziente per uccidere le cellule del tumore è una di queste. Alla già approvata terapia con le cellule CAR-T, capace di migliorare le prospettive di cura in bambini con leucemie prima considerate incurabili, si potrebbe presto affiancare un’altra terapia cellulare, quella delle cellule TCR-T.
I LINFOCITI T
COME FARMACI
Chiara Bonini, professore ordinario all’Università VitaSalute San Raffaele di Milano, studia da molti anni, anche grazie al sostegno di Fondazione AIRC, come “educare” i linfociti T affinché attacchino e distruggano le cellule maligne.
I linfociti T, globuli bianchi che distruggono le cellule pericolose per l’organismo, possono essere “ingegnerizzati”, ovvero modificati, in laboratorio: inserendo o mutando alcuni geni cambia la loro capacità di riconoscere molecole specifiche. “Sia le CAR-T sia le TCR-T sono cellule del sistema immunitario del paziente modificate affinché divengano capaci di riconoscere le cellule tumorali” spiega Bonini, chiarendo che si tratta di due approcci complementari e che entrambi presentano vantaggi e svantaggi.
“Le cellule CAR-T sono equipaggiate con un recettore chimerico dell’antigene che riconosce l’obiettivo preciso sulla cellula tumorale come farebbe un anticorpo. Funzionano in tutti i pazienti che hanno un tumore le cui cellule esprimono quel particolare antigene e non ci sono
problemi di compatibilità” sottolinea. “Il recettore chimerico è però in grado di riconoscere solo proteine che nella loro forma originale (o nativa) sono espresse sulla superficie della cellula tumorale.”
Hanno come bersaglio le proteine di superficie
LE CELLULE TCR-T
Le cellule TCR-T (T Cell Receptor-edited T cells) vengono invece equipaggiate con un recettore naturale, ovvero con il recettore che il linfocita T usa per individuare il proprio bersaglio specifico (per esempio un virus o una cellula tumorale). Il funzionamento del TCR (T-cell-receptor) si basa sul fatto che tutte le proteine contenute nella cellula, a un certo punto, vengono degradate e trasformate in
piccoli frammenti chiamati peptidi: ogni peptide si associa a una molecola della famiglia HLA (un insieme di proteine importanti per il riconoscimento di cellule estranee all’organismo da parte dei linfociti) e viene esposto sulla superficie proprio per essere visto dal sistema immunitario. “Una cellula infettata da un virus presenterà sulla superficie anche le proteine virali, così i linfociti T specifici per quel virus vedranno che è infettata e la elimineranno” prosegue Bonini. “Una cellula trasformata in senso neoplastico presenterà i prodotti proteici delle mutazioni che hanno causato la trasformazione e succederà la stessa cosa, benché in maniera meno efficiente.”
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La terapia con le cellule TCR-T, basata sulla modificazione genetica delle cellule del sistema immunitario del paziente, potrebbe essere utilizzata in molti tipi di tumore dell’adulto e del bambino
In questo articolo: immunoterapia terapie cellulari linfociti T
Ogni TCR è in grado di riconoscere solo una precisa accoppiata di un peptide con uno specifico HLA. L’espressione delle molecole HLA è determinata geneticamente. Di conseguenza, dato che esistono molte molecole HLA diverse tra loro, i linfociti T ingegnerizzati in laboratorio con un certo TCR sono utilizzabili solo nei pazienti che presentano uno specifico HLA, contrariamente alle terapie CAR-T che, non necessitando del riconoscimento HLA, possono essere utilizzate in tutti i soggetti, indipendentemente da quale HLA le loro cellule esprimono. “Di contro, con le cellule TCR-T abbiamo il notevole vantaggio che possiamo usare come bersaglio anche molecole che si trovano all’interno della cellula tumorale, non solo quelle presenti sulla membrana cellulare. Con l’approccio del TCR ampliamo molto la gamma dei possibili bersagli.”
UNA LIBRERIA MOLECOLARE
Il gruppo di Bonini si è inizialmente concentrato sulla messa a punto di cellule TCR-T da utilizzare nei pazienti con leucemia mieloide acuta (LMA), scegliendo come bersaglio WT1, una molecola molto importante per le leucemie, ma espressa anche da alcuni tumori solidi.
I ricercatori hanno generato quella che in gergo è chiamata una “libreria” di TCR. “Siamo partiti dal sangue di donatori sani, perché tutti noi abbiamo qualche linfocita T capace di individuare ed eliminare continuamente cellule che sviluppano mutazioni del DNA potenzialmen-
LE TERAPIE CON CELLULE T
preleva un campione di sangue o di tessuto tumorale
isolano i linfociti T dal campione
cellule T vengono moltiplicate in vitro e modificate geneticamente per renderle più efficaci nel combattere il tumore
I linfociti T modificati vengono reinfusi nel paziente, come un farmaco
I linfociti T modificati continuano a moltiplicarsi nel paziente
Le cellule modificate riconoscono e uccidono le cellule tumorali
te pericolose. Abbiamo poi isolato 19 linfociti T in grado di riconoscere in modo specifico WT1 e questi sono stati usati per sequenziare i geni che codificano per il TCR anti-WT1.” Conoscere la sequenza genica è il passaggio essenziale per poter inserire questo TCR nei linfociti T del paziente.
A CIASCUNO IL SUO
Metà dei 19 TCR della libreria riconoscono il peptide derivante da WT1 quando è presentato sulla superficie cellulare dalla molecola HLA-A2. “Usando un TCR adatto a HLA-A2, la molecola HLA più comune nella popolazione di origine europea, possiamo trattare molti pazienti” specifica Bonini. “Nella nostra libreria però ci sono anche TCR che funzionano con altre molecole HLA. Il nostro progetto, sul lungo
periodo, è quello di avere una banca di TCR utilizzabili nei vari pazienti a seconda del loro HLA.”
Per inserire il TCR desiderato nei linfociti e allo stesso tempo eliminare quello già presente, i ricercatori sfruttano alcuni virus innocui (che trasferiscono i geni per il TCR antitumorale) e il metodo CRISPR/Cas9, che funziona come una forbice molecolare ed elimina i geni del TCR originale per fare spazio a quello nuovo.
TUMORI DELL’ADULTO E DEL BAMBINO
La sperimentazione clinica delle cellule TCR-T anti-WT è già stata avviata da un’azienda americana che aveva collaborato con il gruppo di Chiara Bonini per la
parte preclinica. “Ora stiamo cercando di ripercorrere la strada che con le CAR-T ha avuto successo nei tumori infantili, lavorando su altri antigeni importanti nelle due patologie su cui è focalizzato il nostro progetto AIRC 5 per 1000, ovvero il tumore del pancreas e il tumore del colon-retto nelle loro forme metastatiche.”
Benché vi sia ancora molto lavoro da fare, le potenzialità di questa terapia cellulare sono veramente importanti. “Le cellule TCR-T potrebbero essere utilizzate sia nei tumori dell’adulto sia in quelli del bambino” conclude l’esperta. “Oltretutto, molti antigeni sono comuni, presenti in neoplasie magari più frequenti nell’adulto ma che insorgono anche in età pediatrica.”
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La terapia è già in fase di test negli USA
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Dal Mondo
L’instabilità abitativa, un rischio per i pazienti
I pazienti oncologici con difficoltà abitative hanno un rischio aumentato di mortalità. “È importante che i sistemi sanitari comprendano quali risorse sociali sono disponibili per i pazienti” ha detto Matthew P. Banegas dell’Università della California, autore dello studio che ha misurato la relazione. Nella ricerca pubblicata su Jama Network Open, 1.277 persone con diagnosi recente di cancro hanno completato un sondaggio per misurare il loro livello di difficoltà finanziarie, insicurezza alimentare, difficoltà di trasporto e instabilità abitativa. Le difficoltà finanziarie erano particolarmente comuni, ma l’instabilità abitativa si associava a un aumento misurabile del rischio di mortalità. I ricercatori prevedono di studiare altre popolazioni e sistemi sanitari, analizzando ulteriori fattori, e sottolineano che la cura del cancro deve tenere in considerazione anche gli aspetti sociali.
Misurare il tumore con un sensore
Un nuovo dispositivo potrebbe accelerare e rendere automatica la selezione di nuove potenziali terapie oncologiche, diminuendo allo stesso tempo i costi di sviluppo. Si tratta di un sensore elettronico indossabile chiamato FAST (dall’inglese Flexible Autonomous Sensormeasuring Tumors) progettato in modo da aderire alla pelle (per ora solo in topi da laboratorio), allo scopo di misurare in maniera automatica e non invasiva le dimensioni, e i cambiamenti di volume, di un tumore sottostante, con una sensibilità che arriva ai 10 micrometri. Il dispositivo è stato presentato dai ricercatori che lo hanno sviluppato in uno studio pubblicato su Science Advances, come metodo veloce e molto accurato per testare l’efficacia dei farmaci nella riduzione delle dimensioni del tumore in modelli animali, in modo che possano essere scelti (o esclusi) per studi successivi, un passaggio essenziale per arrivare alla cura degli esseri umani.
Al via lo screening del tumore al polmone
Lo screening del tumore al polmone potrebbe affiancarsi agli altri già offerti gratuitamente dal Sistema sanitario nazionale. Tutto dipende dai risultati del programma ministeriale RISP (Rete italiana screening polmonare), presentato a Roma nel corso del congresso annuale della Associazione italiana di oncologia medica (AIOM). Si tratta di un programma basato sull’uso della tomografia computerizzata del torace a basso dosaggio (LDCT), da proporre ad alcune categorie di fumatori ed ex-fumatori, e che punta a coinvolgere circa 7.300 persone di età compresa tra 55 e 75 anni, che fumano almeno un pacchetto di sigarette al giorno da 3 decenni oppure forti fumatori che hanno smesso di fumare da meno di 15 anni.
Chi presenta queste caratteristiche può aderire all’iniziativa iscrivendosi attraverso il sito web www.programmarisp.it, oppure rivolgendosi ai reparti ospedalieri che prendono parte a questa fase di reclutamento iniziale.
NOTIZIE FLASH 14 | FONDAMENTALE | DICEMBRE 2022
L’IA e il tumore al pancreas
Uno studio condotto a Taiwan dimostra che l’intelligenza artificiale (IA) può identificare in maniera efficace un tumore al pancreas. In particolare, come descrive l’articolo pubblicato su Radiology , i ricercatori hanno creato uno strumento di deep-learning sviluppato grazie a immagini TC (tomografia computerizzata) di persone con e senza diagnosi di cancro al pancreas. Il programma, quando viene utilizzato per analizzare le TC di persone in cui si sospetta un tumore, riesce a identificare con accuratezza elevata la presenza di malattia nel pancreas, anche in caso di tumori più piccoli di 2 cm. Di norma, circa il 40 per cento dei tumori al pancreas di quella dimensione non viene individua-
Prevedere il rischio dopo l’immunoterapia
Secondo uno studio pubblicato su Clinical Cancer Research, grazie a un test si potrebbe capire se i pazienti che devono sottoporsi a immunoterapia dopo l’asportazione di un melanoma rischiano di andare incontro a recidiva o a gravi effetti collaterali. I ricercatori si sono serviti di campioni di sangue prelevati a 950 persone cui era stato asportato un melanoma e che erano destinate a un trattamento con alcuni farmaci immunoterapici. Hanno quindi analizzato, con una particolare tecnica di laboratorio, se i campioni contenevano autoanticorpi (anticorpi che reagiscono contro i tessuti e le cellule dell’organismo stesso) contro oltre 20.000 proteine umane. Hanno così identificato alcuni autoanticorpi che, se presenti nel sangue prima del trattamento immunoterapico, possono contribuire a prevedere il rischio di recidiva o grave tossicità. Serviranno ulteriori studi, ma il test potrebbe essere di aiuto nella scelta delle cure.
Colpire
gli astro-
citi per colpire il glioblastoma
Uno studio coordinato dall’Università di Tel Aviv potrebbe fornire le basi per lo sviluppo di farmaci efficaci contro il glioblastoma, un tumore cerebrale estremamente aggressivo. I ricercatori si sono concentrati sul tessuto che circonda la massa e in particolare sugli astrociti, cellule del sistema nervoso. L’eliminazione di astrociti associati al tumore ha ridotto la progressione del glioblastoma e allungato la sopravvivenza in topi da laboratorio. Gli astrociti supportano il cancro modificando la capacità delle cellule del sistema immunitario richiamate di attaccarlo e utilizzando il colesterolo per fornire al tumore stesso l’energia necessaria per crescere. Bloccando il trasporto del colesterolo, il tumore “affamato” non progredisce. I ricercatori sperano che i risultati possano essere d’aiuto per identificare trattamenti efficaci.
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to con la TC addominale. L’innovazione potrebbe quindi essere di supporto ai radiologi.
L’approccio
a cura della REDAZIONE
Nel mese di settembre del 2021, il Parlamento europeo ha votato a larga maggioranza una risoluzione che chiedeva alla Commissione, l’organo di governo dell’Unione europea, di accelerare le attività volte a eliminare il prima possibile l’utilizzo di animali nella ricerca scientifica. I promotori della risoluzione fanno notare che, dopo molti anni di calo nella quota di animali utilizzati, anche grazie alla messa in atto di nuove normative a livello europeo e nazionale, in alcuni settori si è raggiunto un limite al di sotto del quale non si riesce ad andare. La ragione è semplice: le tecniche alternative alla sperimentazione animale, specie nel campo biomedico, non sono ancora abbastanza mature da consentire una totale rinuncia.
La richiesta dei membri del Parlamento europeo di inasprire i divieti per legge e investire maggiormente nella ricerca di metodi alternativi agli animali ha ricevuto una risposta ufficiale da parte della Commissione nel marzo 2022, con un pronunciamento in cui si ribadisce che l’attuale normativa (la Direttiva 2010/63, che obbliga gli Stati membri a fare propri i principi di controllo e riduzione della sperimentazione animale) è adeguata e sufficiente a tutelare il benessere animale.
Un buon documento
Kirk Leech, direttore esecutivo della European Animal Research Association (un gruppo che si batte perché le leggi sulla sperimentazione animale siano rispettose del benessere animale ma anche dei bisogni della ricerca scientifica), ha dichiarato: “I gruppi di attivisti e alcuni europarlamentari vogliono dare l’impressione che la ricerca sugli animali sia una ‘scienza superata’. Tuttavia, il successo nello sviluppo di CRISPR-Cas9 e dei vaccini Covid-19 ha dimostrato che la scien-
animale,
il Parlamento europeo spinge per l’abolizione di qualsiasi tipo di ricerca scientifica che usi gli animali, la Commissione europea, consapevole dei limiti dei metodi alternativi, cerca di salvaguardare sia il benessere animale sia la sicurezza degli esseri umani
ANIMALE
16 | FONDAMENTALE | DICEMBRE 2022
europeo alla ricerca
una questione di equilibrio Se
SPERIMENTAZIONE
Leggi europee
za d’avanguardia comprende il valore dei dati sugli animali e le soluzioni innovative che essi forniscono alle sfide che dovremo affrontare in futuro. È stato positivo vedere come la Commissione abbia riconosciuto che, nonostante i progressi della ricerca biomedica, i metodi alternativi alla sperimentazione animale abbiano ancora un uso molto limitato e che non sia ancora possibile prevedere quando saranno disponibili metodi scientificamente validi in grado di sostituire particolari procedure sugli animali”.
EARA, e molti scienziati, hanno anche sottolineato che la ricerca sui farmaci e su nuove tecniche chirurgiche sarebbe gravemente ostacolata o costretta a fermarsi completamente in caso non si possano più fare esperimenti sugli animali. Il Piano per sconfiggere il cancro della Commissione europea vuole rispondere ai bisogni di 3,5 milioni di cittadini dell’Unione europea a cui ogni anno viene diagnosticato un tumore. “Sarebbe immorale per la comunità dei ricercatori in campo oncologico smettere di fare ricerca sugli animali senza alternative comprovate” ha ribadito Leech.
Migliore comunicazione
Tuttavia, alla luce del voto del Parlamento, la Commissione ha accettato di esaminare nuovamente le strategie per “concentrare e intensificare gli sforzi attuali” volti a raggiungere l’obiettivo finale della completa sostituzione, rafforzando il Partenariato europeo sugli approcci alternativi alla sperimentazione animale (EPAA), un gruppo di esperti che include anche rappresentanti dell’Agenzia europea per le sostanze chimiche e dell’Agenzia europea per la sicurezza alimentare. Lo scopo è fornire indicazioni sui cambiamenti realistici che possono essere apportati per ridurre il numero di animali, pur rispettando le misure di sicurezza che proteggono l’uomo, gli animali e l’ambiente.
La Commissione europea ha inoltre affermato che è possibile migliorare la comunicazione e la trasparenza su questi temi, per esempio con articoli come questo, che servono a spiegare ai cittadini interessati quale può essere l’approccio più corretto alla questione.
Infine, la risoluzione della Commissione europea conferma che tutti i principi che governano i test sulle sostanze chimiche, stabiliti dalla normativa REACH, vanno mantenuti, perché si tratta di un settore di indagine importante per la protezione della salute umana.
Il regolamento REACH impone all’industria di produrre, importare e utilizzare le sostanze chimiche in modo sicuro. A tal fine devono essere disponibili informazioni sufficienti sulle sostanze chimiche pericolose. Come recita lo stesso regolamento europeo, “un gran numero di sostanze sono state prodotte e immesse sul mercato europeo in passato, a volte in quantità molto elevate, senza sufficienti informazioni sui pericoli che esse potevano comportare per la salute umana e l’ambiente.”
Fin dalla stesura del REACH, i legislatori sapevano che la necessità di raccogliere più informazioni avrebbe comportato un maggiore utilizzo di animali di laboratorio. La tossicità delle sostanze chimiche non può essere determinata in modo sufficiente con la sperimentazione in vitro e affidarsi esclusivamente a questi metodi può portare a sottostimare eventuali danni per l’uomo e l’ambiente.
Tuttavia, come si è visto, la Commissione europea prende sul serio le preoccupazioni relative all’uso degli animali per i test. Per questo motivo, il regolamento REACH impone alle aziende di condividere i dati (e quin-
di di evitare test inutili sugli animali). Coloro che desiderano effettuare questi test devono ottenere l’approvazione prima di eseguirli. In base al regolamento REACH, la sperimentazione animale deve essere evitata se esistono metodi alternativi: gli esperimenti sugli animali sono permessi solo come ultima risorsa.
Ricerca e monitoraggio
La Commissione europea è attiva anche nel campo dello sviluppo di metodi di sperimentazione alternativi, per esempio attraverso l’attuale Programma quadro di ricerca Horizon Europe, e gestisce il Centro europeo per la convalida dei metodi alternativi (ECVAM), tra i più avanzati centri mondiali nel settore. Infine, ha creato il sistema di monitoraggio TSAR, per garantire che nuovi metodi promettenti possano essere rapidamente adottati.
“Possiamo dire che a livello europeo c’è molta attenzione alla crescente richiesta da parte dei cittadini di usare sempre meno animali nella scienza, pur nella consapevolezza che non possiamo rinunciarvi del tutto. È un atteggiamento giusto ed equilibrato, che garantisce anche la salute umana e il progresso scientifico” conclude Leech.
In questo articolo: sperimentazione animale Commissione europea normative
La notte tra il 16 e il 17 luglio 1918 la decaduta famiglia imperiale dei Romanov fu giustiziata in una casa a Ekaterinburg, una città sul lato orientale dei Monti Urali. Qui un gruppo di rivoluzionari bolscevichi portò a termine l’esecuzione con armi da fuoco e baionette del deposto zar Nicola II, di sua moglie Aleksandra e dei suoi figli Ol’ga, Tat’jana, Marija, Aleksej e Anastasija, assieme ad alcuni servitori.
Si tratta di uno degli eventi storici più terribilmente simbolici del periodo della Rivoluzione russa. La ricostruzione parziale di ciò che è realmente accaduto ha tuttavia richiesto molti decenni. Gli esecutori, infatti, hanno condotto l’operazione in segreto e, al termine, hanno cercato di rendere irriconoscibili i corpi delle vittime e di farli scomparire: non volevano che diventassero dei martiri.
La segretezza sul massacro e la mancanza di informazioni certe ispirano la nascita di
Il progetto Wonder Why di AIRC punta a risvegliare la tua curiosità con contenuti originali, un linguaggio immediato e strumenti diversi, per coltivare il piacere di imparare cose nuove e la capacità di cogliere la bellezza della scienza. Direttamente dal nostro profilo Instagram e dal sito Wonderwhy.it, ti presentiamo alcune delle curiosità scientifiche più apprezzate da chi già ci segue. Unisciti alla community inquadrando il QR Code!
leggende. Qualche giovane Romanov, si dice, è riuscito a fuggire (sulla sorte di Nicola II e Aleksandra, invece, sono tutti concordi). Nel tempo si fanno avanti alcuni impostori, e le loro storie intrattengono per decenni l’opinione pubblica. In particolare, tante donne sostengono di essere la principessa Anastasija, la più giovane dei Romanov.
Alla fine degli anni Settanta, un geologo appassionato di storia, Aleksandr Avdonin, riesce a ottenere le informazioni per localizzare il secondo luogo di sepoltura dei Romanov, e il caso viene infine risolto negli anni Novanta quando, con la messa a punto dell’analisi del DNA mitocondriale, è stato possibile ricostruire se Anastasija fosse sopravvissuta o meno a quella terribile notte.
IL DESTINO
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L’ANALISI DEL DNA HA PERMESSO DI SVELARE
DI ANASTASIJA ROMANOV
Il pianeta è sommerso dalla plastica. Ma non è tutto. Quella che vediamo in realtà è solo la punta dell’iceberg. Sì, perché, oltre alla plastica visibile, esistono frammenti di piccolissime dimensioni, invisibili all’occhio umano, che sono diffusi ovunque. Le microplastiche, ovvero particelle con diametro inferiore a 5 millimetri, e le nanoplastiche, inferiori ai 100 nanometri (!), sono state rinvenute nei mari di tutto il mondo, a tutte le latitudini, e in tutti gli organismi che li popolano: pesci e molluschi, plancton compreso, che è alla base della catena alimentare marina.
Se ora vi state chiedendo se dal mare le microplastiche possano finire sulla nostra tavola, la risposta è ovviamente sì. E non solo quando mangiamo pesce. Perché le microplastiche sono state rinvenute anche nel sale da cucina, nello zucchero, nella verdura e perfino nell’acqua in bottiglia!
Non ci sono dubbi, quindi, sul fatto che queste sostanze vengano regolarmente ingerite o inalate dal nostro organismo.
Ma quali sono gli effetti sulla nostra salute?
In condizioni di alta concentrazione o alta suscettibilità individuale, riportano i ricercatori, le microplastiche potrebbero causare lesioni infiammatorie, stress ossidativo, e persino cancerogenicità e mutagenicità. Tuttavia, spiegano gli autori, è ancora troppo poco ciò che sappiamo per certo sulla patogenesi e gli effetti dell’esposizione a questi contaminanti ambientali per trarre conclusioni affrettate e suscitare allarme.
Nonostante l’assunzione di microplastiche tramite la dieta sia sostenuta da svariate evidenze riassunte in una review del 2020 a firma italiana sull’International Journal of Environmental Research of Public Health frazione di particelle in grado di raggiungere effettivamente gli organi e le membrane cellulari sembrerebbe essere limitata.
Nonostante l’assunzione di microplastiche evidenze riassunte in una review del 2020 International Journal of Environmental Research of Public Health cellulari sembrerebbe essere limitata.
Niente allarmismi, insomma. Lo scorso anno è stata l’Organizzazione mondiale della sanità a ribadire il bisogno di approfondire le conoscenze in merito all’impatto delle microplastiche sulla nostra salute. In particolare, nel presentare l’analisi Microplastics in drinking-water, l’OMS ha sottolineato che è
in drinking-water, l’OMS ha sottolineato che è
improbabile che le microplastiche più grandi di 150 micron vengano davvero assorbite dal
improbabile che le microplastiche più grandi di 150 micron vengano davvero assorbite dal corpo umano e, sebbene le informazioni sulla loro presunta tossicità siano ancora frammentarie, nessun dato consistente legittima preoccupazioni. Anche se, ovviamente, è necessario saperne di più.
Definitivo invece l’invito dell’OMS a ridurre l’inquinamento da plastica, in tutto il mondo, sia per diminuire le possibilità di esposizione sia per salvaguardare l’ambiente.
Definitivo invece l’invito dell’OMS a ridurre
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EFFETTI DELLE MICROPLASTICHE SULLA
SALUTE
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GLI
NOSTRA
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LE CELLULE ETERNE DI HENRIETTA LACKS
Henrietta Lacks non è un medico, eppure ha permesso di sviluppare il vaccino antipolio, di studiare gli effetti delle radiazioni, di scoprire le correlazioni fra il papilloma virus e il cancro alla cervice e di comprendere alcuni aspetti di come funziona l’invecchiamento cellulare. Nonostante questo, per decenni dopo la sua morte è stata dimenticata.
stante il ciclo di radioterapia, la paziente morì appena otto mesi dopo.
All’ospedale la donna era stata sottoposta a una biopsia, con la quale le furono prelevati campioni sia di tessuto uterino malato sia di quello sano. Servivano per una ricerca scientifica in corso, che non riguardava direttamente la sua malattia. Nessuno la informò, perché all’epoca la pratica del consenso informato, che prevede l’autorizzazione del paziente per gli interventi che lo riguardano, ancora non esisteva.
perché all’epoca la pratica del consenso
Le cellule prelevate arrivarono al laboratorio di Otto Gey, un pioniere della crescita in coltura dei tessuti, che ai tempi lavorava alla Johns Hopkins. La sua assistente, Mary Kubicek, si rese conto che le cellule tumorali di Henrietta Lacks sopravvivevano e continuavano a moltiplicarsi in coltura, mentre qualsiasi altra cellula umana, comprese quelle sane di Henrietta, soccombevano in breve tempo. La resistenza e la prolificità di quelle cellule avevano sì ucciso Henrietta Lacks, ma per le stesse caratteristiche stavano anche rivoluzionando la storia della medicina.
ne virale all’origine di questa malattia è meno
Era il gennaio del 1951 quando Lacks, una donna nera di 30 anni che viveva con la famiglia a Turner Station, nella contea di Baltimora, venne ricoverata per un’emorragia alla clinica universitaria Johns Hopkins. Era l’ospedale più vicino e, ai tempi della segregazione razziale, offriva cure agli afroamericani che non potevano permettersi cure mediche private. La diagnosi: cancro alla cervice dell’utero. Oggi, con Pap test per la diagnosi precoce e vaccini preventivi antiHPV, l’infezione virale all’origine di questa malattia è meno diffusa o la si riconosce presto, ma all’epoca di Lacks non esisteva niente di tutto questo e, nono-
Le cellule HeLa – questo il nome della linea cellulare, ottenuto dalla fusione delle prime lettere del nome e del cognome della paziente originaria – vennero da quel momento usate per condurre test ed esperimenti fino ad allora impensabili. Nel 1964 i sovietici spedirono alcune di quelle cellule addirittura nello spazio, per scoprire se quell’ambiente ne avrebbe alterato le proprietà biologiche.
Otto Gey, lo scienziato che per primo aveva cominciato a coltivare le cellule HeLa, non ne ricavò mai un beneficio economico, avendole distribuite gratuitamente ai ricercatori di tutto il mondo a scopo di ricerca. Ma molte aziende biotecnologiche hanno ottenuto enormi profitti grazie all’utilizzo di HeLa, senza che la famiglia Lacks fosse mai ricompensata in alcun modo.
Nei decenni successivi, tanto la comunità scientifica quanto il pubblico hanno cominciato lentamente a prendere coscienza di quello che era successo e la figura di Henrietta Lacks è stata commemorata, dentro e fuori Baltimora.
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GLI ANIMALI TOSSICI CHE NON TI ASPETTI
Serpenti, ragni, scorpioni, ma anche pesci: molte specie animali contengono sostanze nocive per l’essere umano. Le definiamo tossine e possono essere introdotte nel nostro corpo per ingestione, nel caso ci cibassimo di una creatura tossica, oppure attraverso morsi e punture, e in questo caso l’animale è definito velenoso.
Ma come agiscono? Le tossine possono avere un effetto lieve o localizzato, ma essere anche neuro o cardiotossiche, creare cioè danni gravi al sistema nervoso o al cuore (e non solo) con esito persino letale.
Se artropodi e serpenti sono gli animali che immediatamente ci vengono in mente pensando alle specie velenose, anche alcuni mammiferi possano farci del male attraverso sostanze tossiche.
Il loris lento (Nycticebus coucang), per esempio, a dispetto delle sembianze da peluche vivente, è in grado di difendersi con un morso velenoso. Per distribuire il veleno, il
piccolo primate (l’unico di cui sia nota la velenosità) alza le braccia sopra la testa e si lecca apposite ghiandole situate più o meno nell’incavo dei gomiti. La sostanza, dotata di proprietà infiammatorie e necrotizzanti, si mescola così alla saliva e si accumula sui suoi denti affilati, pronta per agire sullo sfortunato destinatario.
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CHI È LUCA?
LUCA è il nome che gli scienziati hanno dato al Last Universal Common Ancestor, ovvero l’antenato comune a ogni forma di vita sulla terra.
Dall’erba all’elefante, dalla mosca al leone, ogni creatura sul nostro pianeta è legata dal DNA.
LUCA
è anche uno dei protagonisti di DNA, lo spettacolo di AIRC e dei Deproducers, con la preziosa collaborazione del filosofo ed evoluzionista Telmo Pievani. DNA offre al pubblico un’esperienza immersiva, fatta di brani musicali inediti e immagini suggestive, da vivere all’interno di una cornice scenografica costruita per l’occasione.
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Si calcola che il genoma universale, a partire dal quale sono state esplorate tutte le vie dell’evoluzione sulla Terra, consti di circa 5 milioni di geni. Un patrimonio che dimostra che tutti gli esseri viventi sulla Terra, noi compresi, discendono da una matrice comune.
Questo significa che siamo tutti cugini, che abbiamo una fratellanza genetica, un legame a base di DNA che ci connette gli uni con gli altri: africani, norvegesi o indiani, non importa.
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Dall’infanzia all’età adulta, la battaglia contro i tumori “nati cattivi”
In occasione del più importante congresso europeo di oncologia, si è parlato di come affrontare i tumori (tra i quali alcuni tumori cerebrali infantili) che sono ancora particolarmente difficili da trattare, facendo leva sulle conoscenze di base
a cura di DANIELA OVADIA
Perché il cancro è l’imperatore di tutte le malattie? Uno dei motivi principali è che il suo sviluppo è un processo evolutivo.” Così ha dichiarato Nicholas McGranahan, dello UCL Cancer Institute di Londra, presidente della Sessione speciale sui “tumori troppo difficili da trattare” che ha riscosso particolare interesse durante il recente congresso della Società europea di on-
le cellule del cancro hanno caratteristiche diverse tra loro, diventa molto complicato trovare il farmaco in grado di eliminarle tutte. “Proprio la diversità intratumorale è un aspetto cruciale che rende alcuni tumori difficili da trattare” ha spiegato McGranahan, specificando che i tumori pediatrici, soprattutto quelli cerebrali, sono particolarmen-
te ricchi di variabilità, il che spiega perché sono così complicati da aggredire.
DIFFICILI FIN
DAGLI ESORDI
McGranahan ha presentato i dati del suo studio TRACERx, che riguarda in particolare il tumore polmonare non a piccole cellule, tipico dell’adulto. Con raffinate analisi geneticologia molecolare (ESMO) tenutosi a Parigi. Al cancro si applicano infatti i tre principi dell’evoluzione per selezione naturale (variazione, ereditarietà, selezione): è grazie a questi tre passaggi che le cellule all’interno della massa tumorale cambiano ogni volta che si duplicano, di generazione in generazione. È un fenomeno che, nei tessuti maligni, avviene in poche settimane o mesi, e genera una grande variabilità cellulare. In sostanza, poiché
INQUINAMENTO IL DANNO POLMONARE COMINCIA DA PICCOLI
Ha avuto risalto sui giornali di tutto il mondo la ricerca presentata a ESMO Parigi da Charles Swanton, del Francis Crick Institute di Londra, nel Regno Unito, sugli effetti dell’inquinamento atmosferico sul rischio di sviluppare il cancro del polmone. Swanton e i suoi collaboratori hanno identificato il meccanismo molecolare che, in caso di esposizione intensa e prolungata alle particelle inquinanti, può favorire lo sviluppo del tumore polmonare non a piccole cellule. In particolare, hanno scoperto che la citochina interleuchina-1beta (IL-1beta) svolge un ruolo crucia-
ESMO 2022 Tumori diffi cili 22 | FONDAMENTALE | DICEMBRE 2022
“
che, è stata ricostruita la storia evolutiva di ogni singolo tumore. “Grazie a questa sorta di ‘archeologia’ della malattia siamo riusciti a capire esattamente in che momento della sua evoluzione acquisisce la capacità di dare metastasi e perché proprio il gruppo di cellule che costituiscono il clone cellulare più aggressivo ha un vantaggio in termini di
diffusione della malattia e resistenza ai farmaci.”
Il dato più interessante dello studio riguarda il 35 per cento dei casi in cui il gruppo di cellule capaci di dare metastasi è presente già in tumori piccolissimi, sotto il millimetro di diametro. “Questi sono i tumori ‘nati cattivi’, i più difficili da trattare, a meno che non si riesca ad identificare un farmaco in grado di agire proprio contro la mutazione chiave che governa tutta la trasformazione della cellula” ha continuato McGranahan, illustrando così quanto sia stretto il rapporto tra ricerca di base e ricerca clinica nei tumori complicati da curare.
DENTRO E FUORI
Roel Verhaak, del Jackson Laboratory for Genomic Medicine di Farmington, negli USA, ha sottolineato che la difficoltà di curare alcuni tumori dipende da una combinazione di fattori interni ed esterni alla massa tumorale, come dimostrato nei gliomi, il tipo più comune di tumore cerebrale maligno nei bambini.
Il consorzio GLASS, guidato da Verhaak, sta creando una mappa molecolare dell’evolu-
le nel meccanismo che collega le polveri sottili (PM2.5) al tumore polmonare, attraverso la mutazione del gene EGFR. In termini più semplici, il particolato inquinante provoca infiammazione e questa a sua volta favorisce la comparsa delle mutazioni che, con gli anni, possono indurre il cancro. Più precoce è l’esposizione all’inquinamento, maggiore è il rischio. Ecco perché i bambini vanno protetti nelle giornate in cui il livello di particolato nelle nostre città sale oltre la soglia di allarme. Swanton suggerisce due implicazioni dei nuovi risultati: “L’intervento più incisivo sarebbe mettere in atto delle strategie per ridurre le PM2.5 presenti nell’atmosfera. Se non è possibile farlo abbastanza rapidamente, dovremmo iniziare a studiare un metodo di prevenzione farmacologica che agisca su questa specifica via dell’infiammazione, in particolare per coloro che sono stati esposti all’inquinamento fin da giovani.”
zione del glioma durante la terapia. I dati finora disponibili indicano che alcune chemioterapie inducono un eccesso di mutazioni nel tumore, mentre la radioterapia aumenta significativamente le piccole delezioni. In alcuni casi, quindi, le cure stesse potrebbero avvantaggiare la crescita di cloni cellulari particolarmente resistenti alle cure, un problema che si può evitare se riusciamo a conoscere bene le prime mutazioni che portano la malattia verso la forma più aggressiva e che possono fungere da campanello di allarme. Le forme più resistenti alle cure si accompagnano anche a cambiamenti nel microambiente intorno al tumore, con un aumento delle cellule immunosoppressive, in grado di bloccare i meccanismi naturali di difesa dell’organismo. Anche contro questo fenomeno è possibile mettere in atto delle misure di contrasto.
TROVARE UNA CURA
“Cosa si intende per un tumore difficile da trattare dal
punto di vista clinico? È un tumore aggressivo, del quale non sappiamo abbastanza, privo di bersagli precisi contro i quali agire e per cui non esistono a oggi cure efficaci. I pazienti colpiti da queste forme peggiorano rapidamente e anche per questo sono difficili da arruolare nelle sperimentazioni cliniche” ha concluso Elena Garralda, dell’Istituto di oncologia Vall d’Hebron (Barcellona, Spagna), spiegando perché i progressi della ricerca su questi tipi di cancro non sono spediti come si vorrebbe. I miglioramenti nella genomica del cancro e nelle terapie mirate hanno ridotto la mortalità per alcuni tumori che rispondono a questa descrizione. “Le sperimentazioni cliniche sono lo strumento a nostra disposizione per accelerare lo sviluppo di farmaci per i tumori difficili da trattare. Dobbiamo coinvolgere un maggior numero di pazienti nelle sperimentazioni cliniche, in particolare in quelle pediatriche.”
In questo articolo: congressi evoluzione tumori pediatrici
L’efficacia della cura dipende dall’interno e dall’esterno
La matematica contro le resistenze tumorali
Guidati da modelli matematici messi a punto in IFOM, i clinici potrebbero modulare meglio le cure e prevenire le recidive
L’ISTITUTO COS’È IFOM
I
FOM, Istituto fondazione di oncologia molecolare, è un centro di ricerca di eccellenza internazionale dedicato allo studio della formazione e dello sviluppo dei tumori a livello molecolare, nell’ottica di un rapido trasferi-
– ISTITUTO FONDAZIONE DI ONCOLOGIA MOLECOLARE ETS
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IFOM
Modelli matematici
a cura della REDAZIONE
Uno studio condotto da IFOM, Università di Torino, Università Statale di Milano e Candiolo Cancer Institute FPO IRCCS, guidato da Marco Cosentino Lagomarsino e Alberto Bardelli, ha indagato la resistenza alle terapie a bersaglio molecolare con un approccio inedito, che combina modelli matematici ed esperimenti di laboratorio. I ricercatori sono così riusciti a caratterizzare tutte le sottopopolazioni cellulari dei tumori con eccezionali livelli di dettaglio e approfondimento. I risultati sono stati pubblicati sulla rivista Nature Genetics. Lo studio è stato sostenuto da Fondazione AIRC e da un grant ERC dell’Unione europea.
DRITTI AL BERSAGLIO
Una delle strategie terapeutiche più promettenti per i pazienti oncologici è costituita dalle terapie a bersaglio molecolare. Veicolando il farmaco in modo specifico alle cellule tumorali che portano in superficie un determinato bersaglio, queste cure garantiscono una maggiore precisione e una minore tossicità rispetto alle chemioterapie tradizionali. L’efficacia di queste terapie è però purtroppo limitata dallo sviluppo di tolleranze e resistenze da parte dei tumori, che possono così dare metastasi.
Lo sviluppo di metastasi e di resistenza alle terapie è la principale causa di ricadute nei pazienti oncologici. Il tumore può ripresentarsi a distanza di poco tempo dalla sua iniziale remissione, e in questo caso la recidiva è generalmente dovuta ad alterazioni genetiche già esistenti nella massa tumorale prima della somministrazione del trattamento; oppure può riapparire anche anni dopo la diagnosi. Capire esattamente in che modo i tumori riescono a opporre resistenza alle terapie è pertanto un quesito cruciale a cui rispondere per riuscire a sconfiggerli.
RADICI NELLA STORIA
Il gruppo interdisciplinare di ricerca, costituito da fisici e biologi, ha investigato la resistenza alle terapie a bersaglio molecolare da un punto di vista quantitativo e con un approccio inedito che combina la matematica alla biologia. Grazie agli strumenti matematici, le cellule tumorali sono state caratterizzate nelle loro diverse sottopopolazioni, raggiungendo eccezionali livelli di dettaglio e approfondimento. “Abbiamo adottato un metodo molto simile a quello originariamente utilizzato, nel 1943, da Salvador Luria e Max Delbrück per studiare lo sviluppo di resistenza nei batteri” illustra Mar-
mento dei risultati scientifici dal laboratorio alla cura del paziente. Fondato nel 1998 a Milano da Fondazione AIRC per la ricerca sul cancro, che da allora ne sostiene lo sviluppo, IFOM oggi può contare su 269 ricercatori di 25 diverse nazionalità, e si pone l’obiettivo di conoscere sempre meglio il cancro per poterlo rendere sempre più curabile.
co Cosentino Lagomarsino. “Quell’esperimento pionieristico diede un impulso fondamentale alla moderna genetica sperimentale e si dimostrò cruciale per lo sviluppo della biologia molecolare, al punto che i due scienziati ricevettero il premio Nobel per la fisiologia o la medicina nel 1969. Questo approccio era stato utilizzato finora in modo assai limitato nelle cellule umane, verosimilmente per la complessità e la durata degli esperimenti richiesti. Occorre infatti campionare e caratterizzare tantissime cellule, nel nostro caso ottenute da pazienti affetti da tumore al colon retto, sia durante il trattamento farmacologico sia in condizioni normali di crescita.”
COLLABORAZIONE INTERDISCIPLINARE
“I risultati ottenuti con gli esperimenti di laboratorio sono stati arricchiti dalle analisi matematiche e viceversa” spiega Alberto Bardelli. “La collaborazione è stata essenziale per la buona riuscita di questo progetto. Da un lato le considerazioni teoriche preliminari basate sui modelli matematici hanno permesso di progettare gli esperimenti in maniera ottimale per i nostri scopi. Dall’altro, i risultati degli esperimenti di genetica e biologia molecolare hanno consentito di applicare modelli matematici per pensare a protocolli di trattamento innovativi, che possano in prospettiva portare a una riduzione della resistenza alle terapie.”
Cosa hanno evidenziato
In questo articolo: resistenza ai trattamenti terapie a bersaglio molecolare recidive
i ricercatori in laboratorio? “Abbiamo osservato che le terapie a bersaglio molecolare inducono nelle cellule tumorali la transizione a uno stato di letargo, rendendole in grado di tollerare temporaneamente il trattamento. Queste cellule, chiamate persistenti in quanto tolleranti alla terapia, hanno potenzialmente il tempo di acquisire mutazioni genetiche che le rendono in grado di replicarsi pur in presenza del farmaco, causando così una recidiva di malattia” racconta Mariangela Russo, dell’Università di Torino e Candiolo Cancer Institute. “I nostri studi ci hanno permesso di capire inoltre che la terapia induce un aumento significativo della capacità di mutare delle cellule persistenti: non solo le cellule tumorali persistenti hanno il tempo per sviluppare mutazioni a loro favorevoli, ma la terapia rende questo processo più veloce.”
Grazie a strumenti forniti dalla fisica teorica, gli esperimenti eseguiti in laboratorio sono stati tradotti in un linguaggio matematico per interpretare e predire con maggiore precisione il comportamento delle cellule tumorali durante i trattamenti.
I risultati aprono a nuove possibilità per prevenire l’insorgere della resistenza e impedire lo sviluppo di metastasi. Guidati da modelli matematici, i clinici potrebbero modulare le dosi e i tempi di somministrazione dei farmaci antitumorali in modo da minimizzare la probabilità di recidiva di malattia.
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L’obiettivo è minimizzare le probabilità di recidiva
Rita, milanese, una lunga e brillante carriera nel campo della finanza e dei mercati azionari, da molti anni sostiene Fondazione AIRC per la ricerca sul cancro e recentemente ha contribuito all’istituzione di una borsa di studio. Ha però scelto anche di disporre un lascito che contribuisca alla ricerca quando lei non ci sarà più.
“Il lascito è un modo per rispettare la nostra filosofia di vita anche quando non ci saremo più. Ed è un atto di profonda fiducia verso i destinatari. Mi aspetto che le organizzazioni che ho scelto restino fedeli alla loro identità e continuino a mantenere la serietà e l’affidabilità che hanno costituito le ragioni per cui le ho identificate come beneficiarie del mio lascito” dice.
Ma come si arriva a donare? Quello
“Noi non doniamo, restituiamo agli altri”
Rita, dopo aver sostenuto AIRC per molti anni, ha disposto un lascito testamentario a favore della Fondazione. “È un modo per rispettare la nostra filosofia di vita anche quando non ci saremo più ed è un atto di profonda fiducia verso i destinatari.”
di Rita è un percorso che parte da lontano. “La decisione di donare nasce sicuramente da un’eredità familiare: lo faceva già mio padre e per me è stato
normale continuare” dice. “A questo si aggiunge l’esperienza del cancro, anche mia personale, un fattore che sicuramente aumenta la sensibilità su
a cura della REDAZIONE
SOLIDARIETÀ Lasciti testamentari
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questo tema. E poi c’è l’attenzione per la ricerca e l’amore per le scienze.”
Un passo alla volta, Rita ricostruisce le ragioni che stanno alla base di questo gesto che “mi fa stare bene”, dice. Ricorda una lezione del filosofo Salvatore Natoli che ha contribuito a cambiare la sua visione della filantropia. “In quell’occasione, Natoli disse che per il solo fatto di esistere noi siamo intrinsecamente debitori nei confronti di tutti gli altri. È un’affermazione che mi ha colpito molto e che ho fatto mia” continua Rita. “Noi non doniamo ma restituiamo agli altri. Soprattutto a chi è stato meno fortunato e non ha avuto le nostre stesse possibilità.”
Per Rita, una delle gioie più grandi è scoprire che qualcuno si è convinto a seguire il suo esempio. Anche per questo ha deciso di raccontare la sua scelta di disporre un lascito testamentario in favore di Fondazione AIRC per la ricerca sul cancro. La donazione così diventa un gesto attraverso cui ispiriamo gli altri. E anche uno strumento per contribuire a rendere un po’ migliore il mondo: “È un’azione che possiamo fare per non stare a guardare, lamentandoci per ciò che non viene fatto, criticando ciò che a nostro avviso viene fatto male e condannando i fallimenti altrui” dice an-
cora Rita. Che aggiunge: “Abbiamo una motivazione in più per fare un lascito testamentario, forse un po’ egoistica: la voglia di essere ricordati dopo la morte, il desiderio di ‘immortalità’ che ognuno persegue a suo modo”.
Una scelta così ricca di motivazioni non può essere causale. Rita è una donatrice attenta. Soprattutto per le donazioni più importanti, segue i finanziamenti, le attività delle realtà sostenute, i loro conti economici. Non è solo una deformazione professionale: è un principio etico che la spinge a impegnarsi per verificare che le sue donazioni siano impiegate al meglio.
E anche la decisione di fare un lascito testamentario è stata accompagnata da una lunga riflessione: “Con il lascito non ci si libera, ma si predispone e si sceglie di lasciare un’eredità di valori che fanno parte della nostra esistenza: proprio per questo ho deciso di farlo in anticipo, in un momento in cui si spera di avere ancora una buona aspettativa di vita”.
AIRC l’ha coinvolta in diversi incontri con gli scienziati sostenuti dalla Fondazione e l’impressione che Rita ne ha tratto è più che positiva: “È stato un piacere vedere l’entusiasmo e l’impegno di questi giovani ricercatori. E una soddisfazione che AIRC li stia aiutando in questo percorso”.
“ UN GRANDE GRAZIE ”
In questo numero di Fondamentale vogliamo ringraziare di cuore tutti coloro che, come Rita, nel corso degli ultimi anni ci hanno comunicato di aver disposto un lascito a favore della ricerca oncologica, ma anche coloro che non abbiamo avuto l’opportunità di conoscere personalmente e che, con grande generosità, hanno fatto la stessa scelta: ricordare Fondazione AIRC per la ricerca sul cancro nel loro testamento.
Tra questi ricordiamo con gratitudine la signora Guglielmina Bodda, che ha lasciato a Fondazione AIRC la somma di 100.000 euro per sostenere i giovani ricercatori attraverso l’istituzione di due borse di studio per l’Italia intitolate a Giovanni Dellepiane e Guglielmina Bodda. Grazie al suo gesto solidale e illuminato, due brillanti giovani ricercatori potranno presto muovere i loro primi passi nel mondo della ricerca sul cancro.
Se desideri legare il tuo nome o quello di una persona a te cara alla realizzazione di un futuro libero dal cancro, puoi scegliere anche tu, come Rita, di fare testamento a favore della ricerca oncologica. Per ogni domanda specifica puoi contattare Chiara Cecere. 02 779 73 53 - chiara.cecere@airc.it
“ VUOI DISPORRE UN LASCITO TESTAMENTARIO A FAVORE DI AIRC? CONTATTACI
”
Con il lascito non ci si libera, ma si sceglie di lasciare un’eredità di valori
Tumori ereditari, la sfida dei test genetici è ancora aperta
a cura dI CRISTINA FERRARIO
Un gruppo internazionale di esperti ha recentemente lanciato un appello dalle pagine della rivista Lancet Oncology: “È
tempo di allargare l’accesso ai test genetici per il cancro, in particolare per chi ha ricevuto una diagnosi di tumore al seno o all’ovaio”. L’articolo si concentra sui Paesi a basso e medio reddito, dove l’accesso a questi test è in effetti ancora
privilegio di pochi e le infrastrutture per permettere una corretta gestione del percorso di genetica oncologica sono scarse, se non assenti.
Anche nei Paesi più ricchi come l’Italia, però, l’uso dei test genetici rappresenta una questione non del tutto risolta, soprattutto per quanto riguarda l’organizzazione del sistema sanitario, la formazione di personale specializzato e la comunicazione con i pazienti.
“La genetica oncologica è una parte essenziale dell’oncologia moderna, e sempre più dati e prove ne confermano l’importanza, non solo per i tumori del seno. Il livello di conoscenza cresce velocemente e di conseguenza dovremmo occuparci di tutti gli aspetti legati a questo settore” spiega Alberto Zambelli, capo sezione dell’Area medica della senologia oncologica presso l’Humanitas Research Hospital di Rozzano, alle porte di Milano, e professore associato di oncologia presso la Humanitas University.
SÌ AL TEST, MA NON PER TUTTE
Come spiega Zambelli, oggi in Italia i test genetici per intercettare la presenza di mu-
tazioni in grado di indurre la formazione di un tumore alla mammella vengono prescritti a partire dal cosiddetto “caso indice”. Questo significa che vengono sottoposti a indagine genetica prima le pazienti con tumore al seno, e poi eventualmente anche i familiari, di cui si ricostruisce la storia di malattia o il livello di rischio. Ciò avviene però solo quando sono presenti alcuni criteri di storia personale e familiare che suggeriscono per la persona un elevato rischio di essere portatrice di una mutazione genetica. “Questi criteri rappresentano la porta d’ingresso della paziente (o del paziente, perché il rischio genetico si estende anche ai maschi) al test rimborsato dal Sistema sanitario nazionale” dice l’esperto. L’eventuale identificazione di una mutazione permette poi di accedere, con un’esenzione dedicata, a una serie di esami di screening e di sorveglianza oncologica specifica.
È quindi importante ricordare che il test non viene offerto a tutte le persone con diagnosi di tumore mammario, ma solo a quelle che presentano specifiche caratteristiche. Per esempio, a chi si ammala di tumore mammario del sottotipo triplo negativo prima dei 60 anni o di tumori mammari bilaterali prima dei 50 anni, ai maschi che sviluppano un tumore al seno o, infine, a persone che si ammalano molto giovani (sotto i 36 anni di età), indipendentemente dal sottotipo tumorale. “Inoltre, se la paziente, pur non avendo questi criteri di rischio personali, riferisce una storia familiare di tumori mammari oppure ovarici ricorrenti (con almeno due familiari di primo grado colpi-
DIAGNOSTICA Test predittivi 28 | FONDAMENTALE | DICEMBRE 2022
La loro utilità è confermata sotto diversi punti di vista, ma sono ancora molti gli ostacoli che bloccano la diffusione dei test genetici nella pratica clinica
ti), allora ha comunque diritto al test” conferma Zambelli, riconoscendo come quelli oggi in uso siano criteri “in movimento”, che si modificano nel tempo e che possono cambiare sulla base delle evidenze scientifiche emergenti.
UNA PLATEA
SEMPRE PIÙ LARGA
A oggi, in caso di sospetto cancro al seno ereditario, viene effettuato un test per individuare eventuali mutazioni di BRCA1 e BRCA2, ovvero dei due geni per i quali i dati disponibili relativi a un legame con la malattia sono più solidi e consistenti. Altri geni potrebbero dare informazioni utili in alcuni casi: tra questi PALB2, CHEK2, ATM e CDH1, che fanno parte dei cosidetti “pannelli genetici” valutati nei test. “Circa il 15 per cento delle pazienti oggi sottoposte al test genetico risulta positiva” spiega Zambelli. “Laddove ci sia una mutazione nel caso indice, si può offrire il test a cascata ai familiari, con l’obiettivo di gestire meglio un eventuale rischio aumentato dalla presenza di una mutazione” aggiunge.
Oggi sappiamo che il test genetico ha un valore “terano-
stico”, ovvero è in grado di integrare informazioni diagnostiche a opportunità terapeutiche. In particolare, la presenza di una mutazione in BRCA1 o 2 in pazienti ad alto rischio di malattia rappresenta un’indicazione per l’uso di una specifica classe di farmaci chiamati inibitori di PARP, che possono garantire un vantaggio in termini di sopravvivenza. “È verosimile che anche in Italia si arriverà a offrire il test a tutte le pazienti ad alto rischio e che potrebbero beneficiare del trattamento con inibitori di PARP, quando è presente la mutazione BRCA” ipotizza Zambelli.
FORMAZIONE, INFORMAZIONE E ASCOLTO
Con l’allargamento della platea di candidati ai test, il Sistema sanitario si trova senza dubbio di fronte a una sfida importante. “Serve una visione a lungo termine” dice Zambelli, spiegando che le risorse dedicate ai test genetici dovrebbero essere considerate un investimento in prevenzione.
Per affrontare a 360 gradi tutte le implicazioni di un test genetico, però, non bastano le risorse economiche. Serve un cambio di mentalità e una ve-
ra e propria riorganizzazione di sistema. “È fondamentale puntare sulla formazione dei giovani medici e del personale sanitario. E poi è necessario occuparsi di tutte le implicazioni che la diagnosi genetica porta con sé, anche a livello psicologico e sociale” spiega Zambelli, che ha promosso il Master universitario in genetica oncologica dell’Università di Pavia e ne è stato il responsabile. Il paziente e i suoi familiari devono essere accompagnati lungo tutto il percorso attraverso un counseling dedicato, ovvero incontri con esperti nei quali vengano spiegate tutte le implicazioni dei risultati di un test.
Di fronte a un dubbio è bene rivolgersi all’esperto
Infine, ma non certo meno importante, serve una maggiore attenzione ai programmi di screening e alla presa in carico dei familiari sani, cioè di chi è portatore della mutazione senza essere malato oncologico (e che auspicabilmente non lo sarà mai).
“Il nostro sistema s anitario si sta muovendo in questa direzione, seppur a fatica, e per questo serve un rinnovato sforzo corale, anche perché il tema dei test genetici non riguarda solo il tumore della mammella e dell’ovaio, ma si estende oggi anche ad altre malattie oncologiche di rilevanza sociale” conclude Zambelli.
TERMINOLOGIA
MUTAZIONI E VARIANTI
A
nche se spesso si utilizza il termine “mutazioni” (lo abbiamo fatto anche noi nell’articolo), quello scientificamente più corretto per definire il risultato che emerge da un test genetico è “variante”, cioè uno dei tanti modi con cui un gene può presentarsi: non tutti questi modi hanno lo stesso significato.
Infatti, come si legge in un documento congiunto AIOM-SIGU sulla consulenza e i test genetici datato 2021, “il termine ‘mutazione’ più correttamente individua l’evento che ha portato al cambiamento della sequenza di DNA”. Occorre invece ricordare che non tutte le varianti sono uguali: alcune varianti che emergono dai test non aumentano il rischio di malattia.
In questo articolo: test genetici cancro al seno cancro all’ovaio
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SALUTE GLOBALE
Cancro nel mondo
Poche risorse e fenomeni migratori rendono il cancro più difficile da curare
stenza sanitaria, quella del cancro paradossalmente aumenta, favorita anche dall’adesione sempre più massiccia ad abitudini e comportamenti poco salutari tipici dei Paesi sviluppati, come l’alimentazione sbilanciata, il vizio del fumo e la scarsa attività fisica.
Di fatto, il cancro è diventato la seconda causa di morte a livello mondiale da oltre 10 anni, secondo i dati dell’American Cancer Society, superando il tasso di mortalità di HIV, tubercolosi e malaria messi insieme.
a cura della REDAZIONE
Il cancro è un problema di salute globale, che colpisce tutte le comunità del mondo. Studi recenti riportati dall’Organizzazione mondiale della sanità hanno confermato che la malattia colpisce prevalentemente i Paesi
a più alto reddito, ma che è in rapida crescita in quelli a medio e basso reddito, anche per via dell’allungamento generale della vita media: con l’avanzare dell’età infatti cresce il rischio di sviluppare tumori. Se l’incidenza di molte altre malattie è in diminuzione, grazie al miglioramento delle condizioni di vita e dell’assi-
Se i casi sono più numerosi nei Paesi più ricchi, il tributo maggiore in termini di morti viene pagato dai Paesi in via di sviluppo. In alcuni Paesi, come l’Uganda, una persona colpita da cancro vede la sua aspettativa di vita ridursi al di sotto dei 5 anni, secondo i risultati di uno studio pubblicati di recente sulla rivista Lancet Oncology.
Guerre e migrazioni
A peggiorare il quadro per i pazienti oncologici ci ha pensato il fenomeno migratorio, che si è acuito negli ultimi anni per via di guerre, cambiamento climatico e pandemie. “L’azione umanitaria a sostegno delle popolazioni sfollate in contesti con scarse risorse è tradizionalmente concentrata sugli aiuti d’emergenza e sul controllo delle malattie infettive” spiega Filippo Grandi, alto commissario per i rifugiati delle Nazioni unite, in carica dal 2016 fino alla metà del 2023. “Oggi, però, il cancro e altre malattie non trasmissibili sono prevalenti tra i rifugiati, e non sempre è facile rispondere a questi nuovi problemi.”
La possibilità di accesso alle cure oncologiche, per esempio, può dipendere molto dalla nazione di provenienza del rifugiato e dalla capacità locale di diagnosticare la malattia in tempo. I ritardi diagnostici sono molto frequenti tra i cosiddetti rifugiati interni, persone che non varcano il confine del proprio Paese ma lasciano le proprie case e la rete di assistenza abituale, come è accaduto di recente in Ucraina.
Sebbene in assoluto vi siano più malati di cancro nei Paesi sviluppati che in quelli a basso reddito, il peso globale delle malattie oncologiche sta aumentando proprio nei Paesi in via di sviluppo, complici anche guerre e migrazioni
“Oltre a un’elevata incidenza di tumori, la maggior parte dei Paesi in conflitto ha una lunga storia di scarsi investimenti in ricerca sanitaria” continua Grandi. “Questo incide sulle competenze del personale sanitario locale: c’è meno sorveglianza generale, meno capacità di cura, il che limita anche l’efficacia delle iniziative delle agenzie internazionali per aiutare i pazienti nei loro Paesi d’origine.”
Per esempio i programmi di controllo del cancro nei Paesi del Nord Africa e dell’Africa sub-sahariana fanno sì che l’assistenza al cancro per le popolazioni locali sia molto limitata e lo sia ancora di più per coloro che migrano all’interno del continente africano. Sempre secondo l’OMS, degli oltre 420.000 rifugiati che hanno lasciato il Burundi nel periodo 2015-2017, il 20 per cento si è recato in Ruanda e il 54 nella Repubblica Unita di Tanzania, Paesi già in grave crisi sanitaria. I conflitti in Ciad, Libia e Mali e in tutto il Sahel hanno spinto i malati di cancro a cercare cure in Tunisia e oltre il Mar Mediterraneo, fino all’Italia. L’impatto di questi nuovi malati su sistemi già fragili li ha fatti collassare completamente.
Cure a due velocità
“La cura del cancro è uno degli ambiti sanitari in cui le diseguaglianze pesano maggiormente” spiega Michael Marmot, professore di epidemiologia ed esperto di diseguaglianze in salute
allo University College di Londra. “Alcuni studi condotti nel Sud-Est asiatico mostrano per esempio un sistema di cura del cancro a due livelli: inesistente per chi non ha soldi, relativamente efficace per chi può pagare. Ma avere soldi non basta, perché, se il Paese non è attrezzato per programmi di screening e diagnosi precoce, anche le persone benestanti scoprono di essere malate quando il cancro è già in fase avanzata e le probabilità di guarire sono minori” continua Marmot.
Uno dei fattori di rischio più preoccupanti nei Paesi in via di sviluppo è la presenza di malattie infettive, che aumentano notevolmente la probabilità non solo di avere il cancro, ma anche di morirne. In questi Paesi le infezioni sono responsabili di un decesso per cancro su quattro: basti ricordare che il Papillomavirus umano è la causa del cancro al collo dell’utero e svolge un ruolo nel cancro allo stomaco, e che le epatiti B e C, provocate rispettivamente dai virus HBV e HCV, spesso causano il cancro al fegato. Questi tumori potrebbero essere combattuti in modo molto più efficace se i sistemi di prevenzione e diagnosi precoce fossero migliorati (per esempio se si potenziasse l’accesso al Pap Test).
“Gli investimenti in strategie di prevenzione del cancro sono quasi inesistenti nei Paesi in via di sviluppo, di conseguenza quando le pazien-
ti si recano finalmente a fare un controllo è spesso troppo tardi perché qualsiasi trattamento possa essere efficace. La prevenzione, la diagnosi precoce e l’accesso a terapie oncologiche adeguate sono gli elementi che hanno portato a un calo costante delle morti per cancro nei Paesi ricchi, più di qualsiasi nuovo farmaco, e sono le strategie da perseguire nel resto del mondo” spiega Marmot.
L’accesso alle cure merita un discorso a parte: nonostante rappresentino oltre l’80 per cento della popolazione mondiale, i Paesi in via di sviluppo hanno a disposizione solo un terzo delle strutture di radioterapia nel mondo, con oltre 30 di essi che non possiedono una sola macchina per la radioterapia. “Anche il costo dei farmaci è un ostacolo, e parliamo di farmaci di vecchia concezione” spiega Dario Trapani, esperto dell’OMS e oncologo medico del Dana Farber Institute di Boston. “L’OMS sta cercando di stabilire una modalità per calcolare i prezzi delle chemioterapie (ma anche delle nuove cure) che tenga conto del contesto sociale, dell’efficacia della cura e del guadagno in termini di anni di vita per il paziente.”
In alcune aree, le possibilità di sopravvivenza al cancro non arrivano al 20 per cento a causa del difficile e costoso accesso all’assistenza sanitaria. Mancano le risorse finanziarie, le strutture, il personale, le tecnologie o la formazione per affrontare il peso del cancro.
“La diminuzione della mortalità per cancro nei Paesi in via di sviluppo è però un obiettivo tutt’altro che irrealistico” spiega Marmot. “Più di un terzo dei 10 milioni di nuovi casi l’anno può essere prevenuto. Bisogna puntare sulla formazione del personale in loco, sullo sviluppo di una ricerca scientifica che risponda ai quesiti specifici di questi Paesi e non solo di quelli più ricchi, sulla prevenzione e, infine, sulla riduzione del costo delle cure.”
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In questo articolo: salute globale diseguaglianze in salute migrazioni
L’accesso alle cure è difficile e costoso
Tagliare i rifornimenti al tumore della prostata
La terapia ormonale è la cura cardine del tumore della prostata: diversi studi sono in corso per verificare quando iniziarla e, soprattutto, se interromperla
PROSTATA
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Terapie ormonali
In questo articolo: cancro alla prostata terapia ormonale deprivazione androgenica
a cura dI ELENA RIBOLDI
Il cancro della prostata cresce sfruttando l’ormone maschile testosterone e già un secolo fa i medici avevano capito che abbassando i livelli di questo ormone si induceva una regressione del tumore. Per farlo, all’epoca si ricorreva alla rimozione dei testicoli, gli organi che producono gli ormoni maschili. Da molti decenni i medici dispongono invece di farmaci che bloccano il rilascio o l’azione dell’ormone. Tale terapia viene chiamata deprivazione androgenica, mentre la vecchia espressione “castrazione chimica” è stata abbandonata perché troppo cruenta e anche inesatta, dal momento che in molti casi la terapia può essere interrotta e il rilascio di ormoni maschili ripristinato.
mente migliorata grazie a un insieme di cure: tra queste la principale è proprio la deprivazione androgenica, che ha un effetto molto rapido, nell’ordine di pochi giorni, e durevole nel tempo.”
LA CHIRURGIA NON È ALTERNATIVA
Spesso gli uomini colpiti da tumore della prostata pensano che la deprivazione androgenica sia alternativa alla chirurgia, che prevede l’asportazione totale o parziale della ghiandola.
In realtà non sempre è così.
Il bivio tra chirurgia e terapia farmacologica
UNA PROGNOSI SPESSO FAVOREVOLE
“Il tumore della prostata è una delle malattie oncologiche più comuni: in Italia vengono diagnosticati 36.000 casi ogni anno” spiega Giuseppe Procopio, responsabile dell’Oncologia medica genitourinaria dell’Istituto nazionale dei tumori di Milano. “Il dato di mortalità, circa 7.000 decessi annui, è però la riprova del fatto che nella maggior parte dei casi la malattia si può curare.” In Italia sono ben 500.000 gli uomini guariti o che convivono con il tumore della prostata.
“Oggi, anche in presenza di una malattia avanzata, l’aspettativa di vita è decisa-
La ghiandola prostatica risponde all’azione degli ormoni maschili prodotti dai testicoli, mentre l’asportazione della prostata (parziale o totale) non influenza la produzione di testosterone. Può ridurre la necessità di ricorrere alle cure ormonali o limitarne la durata, ma non sempre la elimina.
Nei casi di tumore localmente avanzato, di solito si prescrivono farmaci antitestosterone allo scopo di evitare la formazione di metastasi. Questo approccio è stato rimesso in discussione in anni recenti, in quanto alcuni studi non hanno evidenziato un beneficio in termini di sopravvivenza tale da giustificare gli effetti collaterali della terapia. Si tratta quindi di un ambito di cura in cui vi è dibattito, nell’attesa di nuovi dati, anche se la maggior parte degli esperti propende per la combinazione di chirurgia e terapia farmacologica.
Nelle forme avanzate e metastatiche la terapia ormo-
ORMONI NON PER SEMPRE, NON PER TUTTI
La terapia ormonale per il cancro della prostata è un trattamento molto efficace, ma con alcuni effetti collaterali fastidiosi, che possono incidere sulla qualità di vita dei pazienti, soprattutto dei più giovani. La carenza di ormoni maschili porta ad alterazioni del desiderio sessuale, depressione, difficoltà di concentrazione, ginecomastia (un aumento del volume del seno) e vampate di calore che possono variare in intensità e frequenza a seconda delle persone.
Per questa ragione, in anni recenti la ricerca si è concentrata sulla definizione della migliore terapia ormonale possibile, perfezionando i farmaci e cercando di definire con maggiore precisione i pazienti per i quali è indicata. Il cancro della prostata, infatti, può essere anche a crescita lentissima e non richiedere alcun trattamento attivo. Per questo oggi le linee guida sono contrarie alla deprivazione androgenica nelle forme iniziali della malattia, preferendo piuttosto l’osservazione ravvicinata.
Al recente congresso della società europea di oncologia medica, ESMO, che si è tenuto a Parigi nel mese di settembre, si è anche discusso di terapia intermittente: un protocollo che consente di fare delle pause nella cura, quando i livelli di PSA nel sangue scendono molto, per alleviare i sintomi dovuti agli effetti collaterali.
Ulteriori ricerche sono in corso per contrastare la resistenza al blocco ormonale che molti pazienti sviluppano dopo qualche tempo. Infine, non tutti i tumori alla prostata sono sensibili agli ormoni: una minoranza risulta insensibile al trattamento e deve essere curata in altro modo (per lo più con chirurgia, radioterapia e chemioterapia).
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PROSTATA Terapie ormonali
nale rimane lo standard di cura pure per coloro che sono stati sottoposti all’asportazione completa della prostata e magari anche alla radioterapia. Le eventuali metastasi sono infatti a loro volta sensibili all’azione del testosterone, per cui bisogna cercare di evitare in tutti i modi possibili che possano ulteriormente diffondersi.
In discussione il ruolo degli ormoni in alcuni casi
FARMACI SEMPRE PIÙ EFFICACI
La deprivazione androgenica può essere ottenuta con due modalità. La maggior parte dei trattamenti ormonali per il tumore della pro-
stata è a base di antiandrogeni (farmaci come apalutamide, enzalutamide, darolutamide), che interferiscono con il recettore dell’androgeno, impediscono cioè che il testosterone si leghi al suo recettore sulla cellula ed eserciti le proprie attività. Gli inibitori della biosintesi (per esempio l’abiraterone) bloccano invece la produzione di testosterone a livello dei testicoli, delle ghiandole surrenaliche e del tumore stesso. Con entrambi i tipi di trattamento si contrasta la proliferazione del tumore.
“Oggi abbiamo a disposizione nuovi antiandrogeni e nuovi inibitori della sintesi
del testosterone che esercitano un’azione più incisiva sul controllo dei sintomi e, soprattutto, hanno una efficacia più duratura. Questo garantisce un controllo prolungato nel tempo nella gran parte dei casi di tumore alla prostata.”
AZIONE SU PIÙ FRONTI
La deprivazione androgenica è il primo trattamento farmacologico in tutti i casi di tumore della prostata (indipendentemente dalla chirurgia, come sopra spiegato), ma a essa si possono affiancare la chemioterapia e le terapie a bersaglio molecolare. “Anche per il trattamento del tumore alla prostata siamo entrati nell’era della medicina di precisione” rimarca Procopio. “Si identificano specifici bersagli e su quelli si va ad agire.” In poco meno del 25 per cento dei tumori della prostata è presente un’alterazione dei geni coinvolti nei meccanismi di riparazione del DNA, in particolare sono presenti mutazioni dei geni BRCA1 e BRCA2, gli stessi la cui mutazione aumenta il rischio di sviluppare un tumore della mammella o
dell’ovaio. In questi casi è possibile utilizzare gli inibitori di PARP, anche in combinazione con la terapia ormonale.
Un altro esempio di medicina di precisione nel tumore della prostata è l’uso del lutezio-PSMA. Questa strategia può essere utilizzata quando è presente l’antigene PSMA (antigene di membrana della prostata), individuato tramite tomografia a emissione di positroni (PET) con un mezzo di contrasto specifico.
“In questo caso si può usare il radiofarmaco marcato con Lutezio 177, che esercita un’azione antitumorale nella malattia avanzata e metastatica” spiega Procopio. “Il trattamento non è risolutivo, ma è in grado di prolungare il controllo della malattia e aumentare l’aspettativa di vita.”
È importante sottolineare che molti pazienti riescono a convivere per diversi anni con il tumore della prostata. “Considerato il fatto che spesso questa patologia insorge in persone anziane, anche ultraottantenni, non è infrequente che il paziente conviva con il tumore e che il decesso sia dovuto ad altre cause.”
NUTRIZIONE Sprechi alimentari
Obiettivo: ridurre gli sprechi a tavola
Tutti noi, come consumatori, possiamo fare la differenza nella lotta agli sprechi alimentari.
In Italia si stima che ogni anno siano circa 67 i chili di cibo per persona che vengono buttati
rispetto ai servizi di ristorazione fuori casa e alla vendita al dettaglio. Se si considera complessivamente la fase produttiva, distributiva e di consumo vero e proprio, circa 1/3 degli alimenti prodotti nel mondo per il consumo umano viene perso o sprecato. In questo modo vanno sprecate anche le risorse naturali utilizzate per produrre quel cibo e si generano inutilmente emissioni di gas serra nell’atmosfera e rifiuti.
Il contrasto agli sprechi alimentari è quindi oggi un elemento chiave in termini di sostenibilità, oltre che un imperativo etico, se si considera che quasi 1 miliardo di persone soffre di denutrizione e un altro miliardo patisce la fame. Tanto che l’obiettivo di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite numero 12.3 si propone di dimezzare entro il 2030 gli sprechi alimentari a livello di vendita al dettaglio e di consumo, nonché di ridurre la perdita di cibo attraverso le catene di approvvigionamento.
Noi, in quanto consumatori, possiamo avere un impatto diretto sul problema dello spreco alimentare prestando attenzione al nostro comportamento.
Pasta con ragù di lenticchie
Ingredienti per 4 persone
• 100 g di lenticchie
• 1 carota
• 1 gambo di sedano
• ½ cipolla (o 1 scalogno)
• spezie e aromi (a piacere)
• olio EVO
• ½ bicchiere di vino rosso
• 450 ml di polpa di pomodoro
• 300 ml di acqua
• 300 ml di latte vegetale senza zucchero
• sale q.b.
Preparazione
Tritare finemente carota, sedano e cipolla. Rosolarli in una pentola con l’olio, poi aggiungere le lenticchie e le spezie/aromi.
a cura di RICCARDO DI DEO
Con le festività alle porte, non mancheranno le occasioni di ritrovarsi nelle case con amici e parenti a condividere un buon pasto. Cosa fare del cibo che avanza? Può essere spartito con gli ospiti, riciclato in nuove ricette o congelato per essere consumato in futuro.
Questi sono solo alcuni dei molti accorgimenti che ciascuno di noi può attuare ogni giorno per ridurre gli sprechi di cibo all’interno delle mura domestiche, che, secondo l’ultimo report pubblicato dal programma delle Nazioni unite per l’ambiente (UNEP Food Waste Index Report, 2021), è il luogo dove si registra il maggior numero di sprechi alimentari,
Nel documento Stop allo spreco di cibo, il Ministero della salute suggerisce alcuni consigli che riportiamo, oltre a quelli già citati: pianificare i pasti prima di fare la spesa, conservare il cibo correttamente, evitare di servire porzioni troppo abbondanti e prestare attenzione alla differenza tra “data di scadenza”, che indica il limite oltre il quale il prodotto non deve essere consumato, e “termine minimo di conservazione”, che indica che il prodotto, oltre la data riportata, può aver subito modifiche per quanto riguarda alcune caratteristiche organolettiche come il sapore e l’odore, ma può essere ancora consumato senza rischi per la salute.
Infine, un altro consiglio utile per ridurre gli sprechi è riutilizzare gli avanzi con gusto e fantasia, per esempio tramite la ricetta che proponiamo, che può essere realizzata con le lenticchie avanzate dal cenone di Capodanno.
Mescolare e continuare la cottura finché i legumi non saranno ben tostati, quindi aggiungere il vino. Farlo evaporare completamente, poi aggiungere il pomodoro, l’acqua, metà del latte vegetale, il sale e infine coprire. Mescolando saltuariamente, far cuocere per 50 minuti.
Quando le lenticchie saranno cotte, aggiungere il latte restante e far asciugare, poi frullare grossolanamente con il minipimer per ottenere un effetto ragù.
Condire la pasta con abbondante sugo.
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Riutilizzare gli avanzi per ridurre gli sprechi
RACCOLTA FONDI Nastro Rosa
Un passo avanti nella lotta al tumore al seno
a cura della REDAZIONE
Si è conclusa il 31 ottobre la trentesima edizione della Breast Cancer Campaign, la campagna internazionale contro il tumore al seno ideata da Evelyn H. Lauder e promossa da The Estée Lauder Companies, di cui Fondazione AIRC per la ricerca sul cancro è partner ufficiale in Italia.
È stata promossa proprio da The Estée Lauder Companies Italia l’accensione del Maschio Angioino di Napoli, che il 28 settembre ha dato il via alla campagna alla presenza del sindaco di Napoli Gaetano Manfre-
di, della madrina della BCC Roberta Capua, di Federica Polinori, amministratore delegato e direttore generale di The Estée Lauder Companies Italia, e di Daniele Finocchiaro, consigliere delegato di Fondazione AIRC per la ricerca sul cancro. Oltre al castello della città napoletana, sono stati illuminati di rosa oltre 155 palazzi comunali e monumenti, grazie alla ormai storica collaborazione fra AIRC e ANCI, Associazione nazionale comuni italiani.
Ma a colorarsi di rosa è stata tutta l’Italia, grazie alle spillette con il nastro incompleto simbolo del Nastro Rosa AIRC, distribuite in 2.775 farma-
cie, e ai prodotti in rosa delle aziende partner, che hanno popolato centinaia di punti vendita GDO, profumerie, negozi e siti internet. Iniziative che oltre a essere fondamentali per la raccolta fondi sono importanti per sensibilizzare il grande pubblico.
L’impegno dei partner, insieme a quello fondamentale dei Comitati regionali AIRC e dei tanti volontari che si sono messi a disposizione, ha permesso di consegnare complessivamente oltre 275.000 spillette su tutto il territorio italiano.
La7 è stata media partner sui suoi canali televisivi e digitali: dal 9 al 16 ottobre giornaliste e conduttrici, insieme ai colleghi, hanno indossato il Nastro Rosa e invitato il pubblico a donare per rendere il tumore al seno sempre più curabile.
Un grande sforzo collettivo è stato quindi profuso per poter portare ancora avanti la ricerca sul cancro al seno, e avvicinarci sempre di più all’obiettivo di arrivare a curare tutte le donne.
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RACCOLTA FONDI Partner
La frutta di stagione è più buona, anche per la ricerca
a cura della REDAZIONE
Da sempre AIRC ha ben presente l’importanza di un’alimentazione sana per poter aiutare a prevenire diversi tipi di tumore. Si calcola, infatti, che le cattive abitudini alimentari siano responsabili di circa tre tumori su dieci. In generale, gli studi epidemiologici hanno dimostrato che un’alimentazione ricca di grassi e proteine animali favorisce la comparsa della malattia, mentre la preferenza per gli alimenti ricchi di fibre, vitamine e oligoelementi, come frutta e verdura, sembra avere un effetto protettivo. Nello scegliere quali cibi consumare, poi, è importante variare il più possibile e preferire frutta e verdura di stagione, con caratteristiche organolettiche migliori.
Essendo così importante, la frutta di stagione è protagonista di tante iniziative a sostegno di AIRC, realizzate dalle aziende del settore agro-alimentare e della distribuzione organizzata. Quest’estate, per esempio, una di queste attività ha riguardato i frutti coltivati dall’azienda Meloni Francescon, in particolare i meloni retati, distribuiti in oltre 1.200 punti vendita Eurospin, e le angurie Perla Nera, che i sostenitori hanno potuto invece trovare negli 800 punti vendita MD. Dal 28 ottobre al 6 novembre è stato invece il turno delle mele del consorzio VI.P, Associazione delle cooperative ortofrutticole della Val Venosta, anche queste distribui-
LA PROSSIMA PRIMAVERA CORRI CON AIRC
Fare attività fisica è considerato uno dei comportamenti più efficaci per prevenire l’insorgenza di numerose malattie nel corso della vita: patologie cardiache, ictus, diabete, malattie polmonari o ossee. E anche diverse forme di cancro.
Non è necessario essere grandi atleti per mantenersi in salute. È sufficiente praticare 30 minuti di attività fisica a intensità moderata 5 volte alla settimana, o 15 minuti di attività intensa, come per esempio una corsa, per rispettare le linee guida dell’OMS.
Correre può aiutare doppiamente a combattere il cancro. E ognuno di noi può fare la sua parte la prossima primavera, con il programma #oggicorroperairc, sostenitori, ricercatori e team aziendali torneranno a correre insieme, il 19 marzo in occasione della Run Rome The Marathon e il 2 aprile per la Milano Marathon, con l’obiettivo di raccogliere fondi per rendere il cancro sempre più curabile. Una sfida che nel 2022 è stata accettata da oltre 500 runner, che hanno scelto di mettere gambe e cuore al servizio della ricerca oncologica di AIRC, permettendo di destinare oltre 70.000 € a innovativi progetti di studio dei tumori.
Se vuoi unirti anche tu alla squadra e diventare un runner solidale AIRC, puoi scrivere agli indirizzi e-mail Run4.roma@airc.it, per la Run Rome The Marathon, e Run4.milano@airc.it per la Milano Marathon, in modo da scoprire la modalità di partecipazione più adatta al tuo livello di allenamento. Scrivi subito e corri con noi!
te nella catena Eurospin. Un carrello pieno di frutta di stagione che ha permesso nel complesso di destinare alla ricerca sul cancro un totale di circa 250.000 €
Questo genere di iniziative sono importanti non solo per raccogliere fondi a sostegno della ricerca, ma anche per sensibilizzare il pubblico sull’importan-
za della sana alimentazione. Quello della prevenzione attraverso l’alimentazione è infatti un tema fondamentale per le aziende della Grande Distribuzione che ogni anno a febbraio scelgono di sensibilizzare i propri consumatori in occasione delle Arance Rosse per la Ricerca, l’iniziativa corale del settore a favore di AIRC.
Tumori pediatrici, una situazione difficile
Poche situazioni sono più traumatiche dei tumori infantili. Se la domanda che ogni paziente adulto si pone è “perché proprio a me e come posso uscirne?”, le domande che ogni genitore di paziente pediatrico si fa sono “perché proprio a mio figlio o figlia? Come si può risolvere il problema?” e, se l’evoluzione è favorevole, “quali conseguenze ci saranno?”. I tumori pediatrici sono rari,
mediamente ne vengono diagnosticati 1.400 nuovi casi all’anno nella fascia d’età 0-14 anni e 900 in quella 15-19 anni. I più frequenti sono i tumori del sangue, quali leucemie acute e linfomi, mentre molto più rari sono i sarcomi (circa 10-12 per cento) e i tumori del sistema nervoso (circa 10 per cento). La ricerca ha contribuito a un deciso miglioramento nella terapia dei tumori infantili: oggi siamo in grado di guarire un’elevata percentuale di piccoli pazienti con tumori del sangue, grazie alla manipolazione del sistema immunitario con i trattamenti di immunoterapia, incluso il trapianto di midollo osseo, e con terapie combinate con farmaci a bersaglio molecolare, immuno e chemioterapia. Questi risultati ci rendono orgogliosi del lavoro svolto negli anni, ma non sono sufficienti, perché ancora circoscritti ad alcuni tipi di cancro e perché gli effetti collaterali dei nuovi farmaci spesso limitano le possibilità terapeutiche e possono creare difficoltà al futuro dei piccoli pazienti guariti. Soprattutto, permangono numerose sacche oscure e drammaticamente impegnative, quali i sarcomi e i tumori cerebrali, per cui le armi disponibili sono limitate, nonché una quota minoritaria di leucemie acute infantili resistenti alle terapie attuali.
Per curare occorre capire i meccanismi che portano una cellula norma-
le di un certo tessuto a trasformarsi in cellula tumorale e che sottendono l’evoluzione dei diversi tipi di cancro. Per capire e di conseguenza identificare terapie innovative occorre fare ricerca, impegnandosi in un lavoro accurato che richiede tempo, tenacia e pazienza, oltre a importanti investimenti in termini sia economici sia umani, per portare a risultati riproducibili e affidabili. La ricerca non si improvvisa ma si costruisce nel tempo con rigore e metodo, indispensabili per affrontare la complessità del problema cancro, utilizzando approcci scientifici tecnologicamente sempre più multiformi e complessi. Un’ulteriore riflessione deriva dalla necessità di comunicare i risultati della ricerca non solo agli addetti ai lavori, per riceverne le doverose valutazioni, ma anche al pubblico, per far comprendere come solo la ricerca permetta di ottenere i risultati che tutti desideriamo. Ne deriva l’importanza di riportare i risultati in modo non trionfalistico, ma spiegandoli in modo semplice, comprensibile, da un lato mettendo in luce i vantaggi che ne potranno derivare, dall’altro sottolineando i limiti delle nostre attuali conoscenze. Si può e si deve far comprendere l’insensatezza delle scorciatoie e dell’ipersemplificazione, oltre all’importanza di rifiutare la superficialità, semplice da propagandare, ma dannosa per chi lavora seriamente e soprattutto per i pazienti, che sono i veri destinatari della ricerca.
I limiti delle conoscenze attuali e dei risultati sinora ottenuti portano AIRC a riflettere sulla visione strategica necessaria per realizzare la sua missione, “trovare la cura del cancro attraverso la ricerca”, visione che si può riassumere nella frase: la clinica di oggi è il frutto della ricerca di ieri e la ricerca di oggi è la clinica di domani.
IL MICROSCOPIO
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FEDERICO
CALIGARIS CAPPIO Direttore scientifico AIRC
Per alcuni tumori pediatrici c’è ancora molto da fare
Tutto, in un dono.
Regala gioia a chi ami e forza alla ricerca, nel segno di AIRC.
A Natale festeggia con un dono solidale o partecipando a una delle tante iniziative AIRC e rendilo indimenticabile per te, per chi ami e per la ricerca contro il cancro. Dai più valore al tuo Natale su nataleairc.it
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