MONDO MIGROS
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SOCIETÀ
Sui social spopolano i coach per genitori che danno consigli su come comportarsi con i figli
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TEMPO LIBERO
Da un’idea di Jeffrey Rosenbluth, gli ingegneri hanno creato il tetrasci, già testato sulle nevi delle Alpi
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Se non avesse invaso l’Ucraina a quest’ora Putin avrebbe stravinto e senza perdere un solo soldato
ATTUALITÀ Pagina 17
Il mondo a colori di Werner Bischof
Qualcosa di buono da ricordare
Carlo Silini
Non sarà facile, ma proviamoci. Mentre scade il primo anniversario della guerra tra Russia e Ucraina, resuscitiamo le notizie in controtendenza dell’ultimo anno, le «buone novelle». Partiamo umili, che è meglio. Cominceremo da quelle «di consolazione» che si delineano dentro scenari catastrofici. Come i corpi esausti ma incredibilmente vivi estratti da montagne di calcinacci anche a diversi giorni dai primi sommovimenti del sisma turco-siriano. O la mobilitazione di Paesi l’un contro l’altro armati per soccorrere i terremotati, sotto l’unica bandiera della solidarietà. Con qualche paradosso, come i soccorsi russi ad Aleppo e Idlib, laddove negli scorsi anni gli aerei di Mosca – sempre loro – avevano bombardato gli ospedali. Ma non facciamo i difficili e annotiamo che un minimo sindacale di buon cuore pulsa trasversalmente a tutti i Paesi e regimi del mondo, perfino i più sbilenchi.
Poi ci sono le notizie «neutre» che, per contrasto rispetto alla situazione generale o precedente, sembrano magnifiche. Come l’anno di relativa pace pandemica che ci lasciamo alle spalle.
Nuovi focolai sono ripartiti dalla Cina e siccome è impossibile prevedere con certezza lo sviluppo della situazione, il Parlamento elvetico ha prorogato la legge COVID-19 fino a metà 2024. Ma come lamentarsene, pensando alla vita dimezzata di un paio d’anni fa, quando entravamo negli spacci alimentari con la mascherina tesa sopra la faccia e lo Stato ci intimava di evitare effusioni?
Bentornati abbracci, teniamoceli stretti.
Con la crisi energetica galoppante, anche i mesi invernali caldi si sono rivelati una benedizione. Il surriscaldamento globale (pessima cosa), nel contesto di questi mesi balordi ha giocato a nostro favore: non abbiamo dovuto svenarci per raggiungere il giusto tepore in casa. Nell’orrore
del conflitto, registriamo poi la resistenza degli ucraini all’aggressione russa. Il loro orgoglio e il loro coraggio rischiano di prolungare sine die la carneficina. Ma che lezione per i tiranni col delirio d’onnipotenza e per le stanche democrazie occidentali! Ci sono infine notizie «buone senza se e senza ma». Come l’accordo di pace in Etiopita in novembre tra il Governo e il Fronte popolare di liberazione del Tigray. Il processo è ancora acerbo e avanzerà a fatica. Ma sono i primi passi di un dopo conflitto che, lontanissimo dall’attenzione del resto del mondo, negli ultimi due anni ha provocato oltre mezzo milione di morti tra militari e civili, milioni di sfollati interni, e un’acuta crisi alimentare. Bene, anche, che dopo gli scempi del precedente Esecutivo, il nuovo Governo brasiliano rinnovi l’impegno per proteggere la foresta amazzonica,
CULTURA Pagina 25
La pittura fantastica di Hieronymus Bosch in mostra a Palazzo Reale fino al 12 marzo
che raccoglie il 20% dell’acqua dolce terrestre e regola il clima dell’intero pianeta. Sappiamo di tralasciare, in questa scarna rassegna, numerosi altri eventi positivi di piccolo e grande calibro, per esempio nei campi della scienza (le scoperte che danno speranze nella cura dell’Alzheimer e dell’AIDS) e della società. Nelle nebbie del momento brilla sempre qualche stella nascosta, a saperla e volerla vedere. Donne, uomini e comunità ricchi di pietas e d’intelligenza, volontari, operatori umanitari, visionari, filantropi, maestri di spirito, di scuola, di vita, scienziati, artisti, musicisti, letterati – ne siamo certi – continueranno a generare bellezza, bontà e saggezza senza riempire le prime pagine dei giornali. Non dimentichiamocene quando saremo sommersi dai necessari e mesti promemoria sull’anno di brutture che ha sconvolto l’Ucraina e, per effetto domino, il resto dell’umanità.
Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVI 20 febbraio 2023 Cooperativa Migros Ticino
◆ ● G.A.A. 6592 San t’Antonino
edizione 08
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Gian Franco Ragno Pagina 26
Alfio Tommasini
Tanto non succede, ma Migros Ticino è pronta
Info Migros ◆ La pandemia ha insegnato l’importanza di essere in grado di affrontare eventuali emergenze; l’azienda ha acquisito un’esperienza che sta affinando anche in vista di una possibile crisi energetica
Elia Stampanoni
Nella sua più recente analisi dei rischi del 2020, l’Ufficio federale della protezione della popolazione (UFPP) aveva stabilito che una situazione di penuria di elettricità rappresenterebbe per la Svizzera il più grande pericolo, superiore anche a quello di una pandemia globale come il Covid-19.
Ma quanto è alto un tale rischio?
Come indica il sito dell’Organizzazione per l’approvvigionamento elettrico in situazioni straordinarie (OSTRAL, vedi riquadro) la minaccia è reale e per prepararsi a questo scenario la Confederazione ha da tempo incaricato l’Associazione delle aziende elettriche svizzere (AES) d’attuare dei provvedimenti preparatori. È così nata l’OSTRAL che, in caso di situazioni di ristrettezze prolungate, concretizza le misure stabilite dal Consiglio federale. Tra di esse l’attivazione dello Stato di necessità, degli Stati maggiori cantonali o regionali di condotta, l’attuazione di misure di risparmio o razionamento dell’energia, così come la riduzione di alcune attività o la chiusura di determinate industrie.
Anche in seguito alla pandemia e alla situazione energetica attuale, la cellula di crisi di Migros Ticino è particolarmente attiva, stabilendo misure volte a ridurre i consumi. Rispondendo agli appelli dell’Approvvigionamento economico del Paese della Confederazione (AEP), Migros Ticino ha già implementato alcuni provvedimenti, tra cui la riduzione delle temperature: negli uffici a 21°C e nella logistica a 19°C. Anche nelle filiali sono stati adottati degli accorgimenti, regolando i riscaldamenti a 19°C, riducendo la durata della ventilazione e spegnendola nelle ore notturne. Migros Ticino ha inoltre diminuito l’intensità luminosa negli schermi delle casse e ha rinunciato alle luci natalizie, sia esterne che interne, spegnendo pure le insegne a chiusura dei negozi. Per l’estate è inoltre previsto un aumento delle temperature tollerate nei locali, che potranno salire fino a 24°C. Anche nelle filiali si arriverà al massimo a questi livelli, per evitare problemi di conservazione di alcuni alimenti, come per esempio il cioccolato.
A questo s’è aggiunta una campagna di sensibilizzazione ai collaboratori, sempre con lo scopo di prevedere una crisi energetica persistente, durante la quale entrerebbero in vigore (attuati da OSTRAL) gli ulteriori provvedimenti decisi dal Consiglio federale. Nello scenario di una crisi prolungata, le disposizioni previste porterebbero a restrizioni o chiusure per impianti o servizi non strettamente necessari, tra i quali rientrerebbero anche alcuni settori di Migros Ticino, come la gastronomia, Activ Fitness o altri.
Il livello d’intervento successivo, a dipendenza della richiesta e della percentuale di riduzione dei consumi necessari, prevede delle misure di contingentamento ai grandi consumatori come Migros Ticino, che dovrà im-
plementare dei provvedimenti. L’ultimo scalino (ultima ratio) è il razionamento periodico, ossia un’interruzione ciclica e programmata dell’approvvigionamento energetico per tutte le attività, uffici e filiali. Una strategia simile a quella adottata per i periodi di
blackout, ma con una durata più lunga e quindi con possibili problemi nella continuità d’esercizio. Le interruzioni continue causerebbero infatti difficoltà nel mantenimento della catena del freddo, e la cellula di crisi di Migros Ticino sta comunque già cercan-
Quando interviene OSTRAL
L’Organizzazione per l’approvvigionamento elettrico in situazioni straordinarie (OSTRAL) si attiva in caso di una situazione di penuria di elettricità, che subentra quando la domanda supera l’offerta per più giorni o settimane. Una situazione rara, che può però palesarsi qualora diversi fattori vadano a sommarsi causando una (possibile) situazione di crisi. È per esempio quello che la Svizzera (e non solo) sta vivendo in questo momento, con un periodo e soprattutto un’estate asciutta alle spalle, la quale non ha permesso un sufficiente riempimento dei bacini di accumulazione. Alla scarsità d’acqua s’è aggiunta la problematica relativa all’approvvigionamento dall’estero, che sta
Redazione Carlo Silini (redattore responsabile) Simona
rendendo difficile superare il lungo e freddo inverno (quando anche la produzione di energia fotovoltaica è inferiore) senza adottare delle misure di risparmio.
Oltre alle situazioni di penuria prolungata (situazioni OSTRAL) sono sempre possibili dei blackout, che hanno una durata di pochi giorni o poche ore. Anche queste situazioni, gestite su decisione dell’Approvvigionamento economico del Paese della Confederazione (AEP) e non del Consiglio federale, sono delle emergenze e Migros Ticino vuole gestirle nel migliore dei modi. A dipendenza dell’evento, sono ipotizzabili diversi scenari, fino alla chiusura di filiali in caso di durata prolungata dell’even-
do delle soluzioni ideali per limitare i danni e superare al meglio anche questi periodi, che si spera sempre non arrivino mai.
I contingentamenti elettrici riguardano i grandi consumatori, vale a dire clienti che consumano oltre 100
to, con conseguenti problematiche nell’approvvigionamento delle merci e nella conservazione di alcuni tipi di alimenti. Per poche e limitate situazioni puntuali possono eventualmente essere d’aiuto altre fonti energetiche, come il gas, l’olio combustibile o il carburante. Migros Ticino è inoltre attrezzata anche con ulteriori provvedimenti per superare questi momenti di crisi di breve o media durata. Le filiali sono per esempio equipaggiate di lampade frontali o di emergenza per i punti vendita e per la logistica, di ricaricatori solari ( power banks), così come di sacchi per l’eventuale smaltimento di merce fresca che non sia riuscita a superare indenne il periodo di mancanza energetica.
MWh all’anno. Queste misure avrebbero ripercussioni sulla vita economica e sociale, ma si prefiggono di proteggere la popolazione da misure ancora più drastiche, come i disinserimenti di rete a rotazione per tutti, che avrebbero come conseguenza, invece che una riduzione, l’assenza totale di elettricità per periodi di quattro ore ognuno.
A tale scopo, la cellula di crisi di Migros Ticino ha inoltre seguito in gennaio una nuova formazione metodologica, effettuata dal Servizio della protezione della popolazione (SPP) facente parte della SMPP (Sezione del Militare e della protezione della popolazione ticinese). Durante la giornata sono stati presentati i possibili scenari di crisi energetica, esponendo le azioni attuabili all’interno di Migros Ticino per affrontare una possibile penuria. In qualità di attore essenziale per l’approvvigionamento della popolazione ticinese, Migros Ticino è pertanto in costante contatto con le autorità competenti, monitorando con attenzione la situazione e sta già lavorando con serietà per essere pronta in caso di necessità. Oltre alla formazione metodologica per la cellula di crisi, sono anche previste ulteriori istruzioni ed esercitazioni pratiche.
Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVI 20 febbraio 2023 azione – Cooperativa Migros Ticino MONDO MIGROS 2
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Sala Barbara
Manuela
Nelle immagini, alcuni momenti salienti della formazione metodologica effettuata dal Servizio della protezione della popolazione del nostro Cantone alla cellula di crisi di Migros Ticino. (Oleg Magni)
Promuovere la salute psichica a scuola
Un corso rivolto agli insegnanti mette al centro dell’attenzione l’intervento precoce: intervista alla psicologa Vincenza Guarnaccia
«Fare il volontario mi rende più sereno»
Amanzio Marelli racconta la sua esperienza accanto ai pazienti oncologici come volontario dell’Associazione Triangolo
Il gentil coniglio «d’acqua»
Il noto e seguito calendario cinese dedica il 2023 all’animale di compagnia della dea della Luna
Genitori alla ricerca della ricetta perfetta
Da essere genitori siamo passati a fare i genitori: secondo lo psicoterapeuta Alberto Rossetti «pensare alla genitorialità come a una professione è uno dei tratti specifici di questo nostro tempo». (Pexels.com)
Il caffè delle mamme ◆ Sui social sono sempre più numerosi i coach che elargiscono consigli su come comportarsi con i propri figli
Sui social sotto al nome di personaggi seguiti da decine di migliaia di follower c’è una qualifica sempre più ricorrente: counselor o parent coach. Al di là delle definizioni in inglese, il significato è sempre lo stesso: a spopolare, in particolare su Instagram, sono i coach per genitori, ossia figure che ci dicono come è meglio comportarci con i nostri figli. Sotto la qualifica, ogni genere di promessa: «Mi prendo cura di te per migliorare il rapporto con i tuoi figli», «Ti alleno a potenziare la comunicazione con tuo figlio», «Aiuto a comunicare meglio con bambini e adolescenti», «Ti aiuto a trovare la soluzione alle difficoltà con tuo figlio», «Ti aiuto a gestire meglio le emozioni con tuo figlio», «Aiuto le mamme e i papà a diventare i genitori che vogliono essere», «Guido genitori e bambini a diventare più felici e ad avere più successo», «Ti aiuto a smettere di arrabbiarti con i tuoi figli», «Ti aiuto a gestire i momenti di capricci, rabbia e opposizione», «Da genitore frustrato a sereno e sicuro di sé», «Diventa il genitore che avresti voluto». Via via che scorriamo i profili Instagram a Il caffè delle mamme ci sorge spontanea una domanda: noi genitori siamo davvero messi così male nel rapporto con i nostri figli?
Ci assicurano la soluzione per farci ascoltare, comunicare in modo ef-
ficace, gestire la nostra e la loro rabbia, passare da minacce e punizioni ad amorevole fermezza ed empatia. Ci suggeriscono gli incoraggiamenti da dare prima dell’ingresso a scuola, le domande da rivolgere quando escono, le parole migliori da usare nelle più svariate circostanze («Invece di dire “attento che cadi”, prova a dire “mantieni l’equilibrio”», «Invece di dire “basta capricci” prova a dire “vieni qui che mandiamo via le lacrime”», ecc.). Ci indicano come comportarci per porre regole e limiti, avere autorevolezza, uscire dal loop di punizioni e premi, prevenire i capricci. Ci snocciolano gli errori da evitare per migliorare la relazione con i nostri figli: smettere di correggerli, non avere l’ansia da controllo emotivo, non tentare di condizionarli ma lasciar loro il tempo di crescere. Ci svelano segreti, strategie infallibili, strumenti efficaci per vivere in famiglia serenamente, perfino per pianificare una giornata efficace (testuali parole) con i nostri figli.
Il fenomeno è sicuramente la conseguenza di una diffusione di massa dei social che rendono accessibile a tutti la psicologia o presunta tale e che vede soprattutto nelle mamme in cerca di consigli delle frequentatrici assidue delle piattaforme. La convinzione
a Il caffè delle mamme è, però, che bisogna andare più a fondo e capire perché siamo arrivati fin qui. Degli spunti interessanti a tal proposito arrivano dal capitolo «Da essere genitore a fare il genitore: la vana ricerca della ricetta perfetta» del nuovo saggio dello psicoterapeuta Alberto Rossetti La vita dei bambini negli ambienti digitali (ed. GruppoAbele, gennaio 2023). Le cause del bisogno spasmodico di consigli su come comportarci possono essere principalmente tre, tutte interconnesse tra loro. Uno: la sempre maggiore solitudine dei genitori. Dice Rossetti: «Nella famiglia allargata le competenze inerenti alla cura, all’accudimento e all’educazione di un figlio si apprendevano sul campo. Con le famiglie che diventano meno numerose, una maggiore mobilità sul territorio e l’arrivo del primo, a volte unico, figlio in età più avanzata rispetto al passato, questa fonte di apprendimenti si è indebolita. E la sempre maggiore solitudine dei genitori ha fatto più spazio a conoscenze tecniche, scientifiche o evidence based, come si sente dire spesso». Due: l’ansia da prestazione da ricondurre all’insicurezza generata dalla solitudine. «Pensiamo ai figli, come ultimamente accade purtroppo sovente, come a un investimento fatto dai genitori, e non come a degli esseri
umani liberi che devono emanciparsi dalla famiglia e diventare cittadini del mondo. Le famiglie hanno cominciato a spendere più tempo e denaro nella scuola e nella formazione in generale. Il figlio è diventato anche un investimento economico, per cui si fanno delle rinunce in cambio della sua felicità futura – osserva Rossetti –. In più, anche i genitori hanno cominciato a investire tempo e denaro su loro stessi, frequentando corsi e laboratori rivolti a genitori e affidandosi a manuali che promettono di avere successo con i figli. Si è via via diffusa l’idea che la genitorialità potesse essere un mestiere e quindi che dovesse essere trattata alla stregua di qualsiasi altro lavoro. Ovvero con una formazione iniziale e dei corsi di aggiornamento a seconda del problema e dell’età del bambino/ragazzo». Tre: da essere genitore siamo passati a fare i genitori. «Pensare alla genitorialità come a una professione è uno dei tratti specifici di questo nostro tempo – sottolinea Rossetti –. Da quest’ultima prospettiva il parenting si riferisce a un modello di genitorialità in cui ci sono una serie di “compiti”, oppure tasks per dirla con il termine inglese, di cui ci si deve occupare per essere dei bravi genitori. Come se esistesse uno standard giusto, una sorta di genitore perfetto a cui fare riferi-
mento». In sintesi: siamo alla ricerca della ricetta perfetta.
A Il caffè delle mamme, a questo punto, non possiamo fare a meno di chiederci: la ricetta perfetta esiste davvero? Ognuno di noi deciderà se i consigli dei coach per genitori ci possono essere d’aiuto o minare le già poche certezze che abbiamo. Ma questa riflessione di Rossetti merita, a nostro avviso, di essere considerata: «È impossibile avere certezza sul risultato finale. Il risultato finale non dipende soltanto dalle nostre azioni. Non c’è traccia di ricerca che ci dica, con sufficiente validità, che una certa azione educativa avrà un risultato specifico a lungo termine. Genitori alle prese con il digitale, nel lettone insieme ai figli, lasciarli piangere oppure prenderli in braccio, costringerli a studiare o lasciarli liberi di giocare… ebbene, nessuna di queste decisioni prese dai genitori potrà determinare a priori come sarà quel bambino da adulto. In termini più tecnici potremmo aggiungere che a un certo input non corrisponderà un dato output. Tra l’altro, parlando di esseri umani, meno male. Altrimenti più che di educazione dovremmo parlare di addestramento e quindi di annullamento di qualsiasi soggettività del bambino». Rassegniamoci, dunque: la ricetta giusta non esiste. Per fortuna.
SOCIETÀ ● ◆ Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVI 20 febbraio 2023 azione – Cooperativa Migros Ticino 3
Simona Ravizza
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Insalate di stagione
Attualità ◆ Alla scoperta di uno degli ortaggi più amati dai consumatori. Vi presentiamo alcune varietà invernali particolarmente apprezzate
Leggera e gustosa, l’insalata arricchisce la nostra tavola in ogni stagione dell’anno. Tra le decine di varietà disponibili sul mercato, ce ne sono alcune che non mancano mai anche durante la stagione più fredda e in gran parte sono di produzione indigena. Oltre ad essere povera di calorie, l’insalata contiene importanti sostanze salutari come sali minerali e vitamine che aiutano a sostenere il nostro organismo.
Questa insalata possiede delle foglie croccanti è un gusto leggermente amarognolo. Oltre al consumo crudo, la scarola si presta bene anche per la cottura e può essere consumata come gli spinaci. Dal punto di vista botanico, l’ortaggio è una sottospecie dell’indivia.
Il formentino, molto apprezzato alle nostre latitudini, viene spesso consumato come sfizioso contorno durante le festività. Conosciuto anche come «valerianella» o «soncino», ha un caratteristico aroma nocciolato. Si abbina bene a uova sode, pancetta arrostita e crostini di pane croccanti.
L’indivia belga cresce al buio e, a causa della mancanza di luce, le foglie rimangono bianche. Per evitare che quest’ultime diventino verdi e troppo amare, è consigliabile conservare l’insalata in frigorifero. Per addolcirne il sapore leggermente amaro, immergere l’indivia in acqua tiepida.
La cicoria pan di zucchero, conosciuta anche come cicoria o radicchio Milano, è un ortaggio che deve il suo nome alla forma conica che ricorda appunto un pan di zucchero. Tuttavia, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, possiede un sapore leggermente amaro e acidulo, con una nota nocciolata.
Un prosciutto cotto sopraffino
Attualità ◆ Il Puccini della Rapelli è una specialità che non può mai mancare nel frigo di casa
Gustato in una michettina soffiata, come classico ingrediente di un tagliere di salumi misti, per accompagnare un formaggio dal sapore intenso, oppure da solo, abbinato a una croccante insalata di stagione, del melone o dei carciofi: il prosciutto cotto Puccini della Rapelli soddisfa le preferenze culinarie di tutti gli amanti dei prodotti genuini del nostro territorio. Questa specialità dal profumo caratteristico e dall’aroma delicato viene prodotta dalla Rapelli con carne di maiale svizzera accuratamente selezionata. I mastri salumieri del salumificio di Stabio sottopongono le cosce a una lavorazione artigianale – che comprende disosso, aromatizzazione e zangolatura (massaggio) – seguendo un’antica ricetta tramandata di generazione in generazione. Una volta lasciato riposare il tempo necessario perché gli aromi si distribuiscano in modo ottimale, il prosciutto viene cotto lentamente in forno a temperatura controllata. Al termine di questo delicato processo, che permette al-
la carne di acquisire una tenerezza e succulenza uniche, un gusto pieno e la sua tipica tonalità di rosa, il prosciutto viene affettato supersottile e confezionato nella vaschetta salvafreschezza a firma Rapelli. Il prodotto non contiene lattosio, né glutine, né polifosfati aggiunti. Lasciatevi conquistare da questa delizia della nostra regione!
Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVI 20 febbraio 2023 azione – Cooperativa Migros Ticino MONDO MIGROS 4
30% Prosciutto cotto Puccini prodotto in Ticino, confezione da 100 g Fr. 2.45 invece di 3.55 dal 21.2 al 27.2.2023
Azione
Prodotti sostenibili per la pulizia
Novità ◆ Nelle maggiori filiali Migros sono disponibili tre nuovi detergenti concentrati da aggiungere all’acqua
I nuovi detergenti concentrati Add Water del marchio Migros Plus arrivano proprio in concomitanza con l’inizio delle pulizie di primavera. Questi efficaci prodotti con ingredienti naturali da miscelare semplicemente con l’acqua del rubinetto sono stati sviluppati e prodotti in Svizzera dall’azienda Migros Industrie Mibelle Group e rappresentano un’innovazione particolarmente sostenibile nel settore dei prodotti per la pulizia. La gamma include un detergente per il bagno, un detergente per stoviglie e un detergente per vetri, tutti e tre disponibili in un pratico flacone e nel sacchetto di ricarica da acquistare separatamente. Accanto al consueto e apprezzato elevato potere pulente dei prodotti Migros Plus «Oeco Power», questi nuovi prodotti presentano diversi altri vantaggi: sono biodegradabili fino al 99%, permettono di risparmiare fino al 90% di plastica grazie ai sacchetti di ricarica, consentono di ridurre le emissioni di CO2 grazie alla riduzione della plastica utilizzata, alla produzione indigena e al minor impatto sul trasporto. Per un utilizzo efficiente, si consiglia di miscelare i concentrati in un rapporto di 1:2, ossia 150 ml di prodotto in 300 ml di acqua per ottenere 450 ml di detergente.
Chiamarsi con un fischio, una meraviglia dei mari
Una voce unica Noi umani ci salutiamo chiamandoci per nome. Per i delfini non è molto diverso: ogni cucciolo di tursiope sviluppa un fischio individuale che utilizza per avvicinare gli altri animali e comunicare con loro. Anche dopo decine di anni i delfini si ricordano la voce dei loro vecchi compagni di mare. Per altre meraviglie: mari.wwf.ch
Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVI 20 febbraio 2023 azione – Cooperativa Migros Ticino MONDO MIGROS 5 SPINAS CIVIL VOICES
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Favorire la salute psichica dei giovani, un impegno anche per gli insegnanti
Adolescenti ◆ Intervista alla psicologa Vincenza Guarnaccia, responsabile dei progetti scuola di Radix Svizzera italiana
Incontrare il loro sguardo, ascoltarli attivamente, promuovere il dialogo, comprendere situazioni di disagio (l’elenco non è esaustivo). La scuola, dove i giovani trascorrono buona parte del loro tempo, come cerca di rispondere a queste urgenze? Una delle proposte arriva dal Dipartimento formazione e apprendimento, che dal prossimo 1° marzo organizzerà un corso intitolato, Promozione della salute psichica nelle scuole e intervento precoce. Tra i relatori, Vincenza Guarnaccia, psicologa, e osservatrice particolare dell’universo giovanile: per Radix Svizzera italiana è responsabile dei progetti scuola. Il corso, rivolto ai docenti delle Medie, si propone di approfondire il tema dell’adolescenza, del disagio adolescenziale e della promozione della salute psichica.
Quali sono gli obiettivi del corso?
Sicuramente rafforzare le risorse in un contesto di vita così importante per lo sviluppo dei ragazzi come lo è la scuola. In un’ottica di promozione della salute è infatti essenziale fornire maggiori strumenti agli adulti a contatto con i giovani, in questo caso i docenti. Per far sì che la scuola sia un luogo di crescita positivo per i ragazzi è pertanto importante tenere in considerazione le vulnerabilità di giovani che stanno crescendo.
Uno dei punti su cui intende focalizzarsi il corso è quello di «imparare a riconoscere i segnali del disagio negli adolescenti»…
Esatto. L’idea è proprio quella di promuovere l’intervento precoce che mira a ridurre fattori di rischio e consolidare ambienti di vita favorevoli alla salute. L’intervento precoce va dalla promozione della salute, al rilevamento di segnali di disagio, fino alla presa a carico dei disturbi. Chiaramente nel contesto scolastico stiamo parlando del ruolo educativo dell’insegnante, che può cogliere in
Viale dei ciliegi
Si inserisce nel ricco filone delle storie ambientate in collegi, accademie, internati più o meno fantastici, che da sempre hanno costituito un’ambientazione tipica nelle storie di successo per adolescenti, come Hogwarts insegna. Non ci sono genitori, i ragazzi devono cavarsela da soli sviluppando anche strategie di convivenza con il gruppo dei pari; gli adulti di riferimento sono i docenti e non tutti sono affidabili; spesso avvengono fatti misteriosi o inquietanti che mettono alla prova le doti investigative degli studenti; ragazzi e ragazze condividono gran parte del loro tempo e nascono amori e gelosie. Un altro topos di queste storie è quello delle «vacanze di Natale», dove c’è chi torna a casa e chi invece resta mestamente in collegio, e magari, in un clima freddo e nevoso, affronta da solo altri misteri. Un po’ tutti questi ingredienti vengono utilizzati nel primo giallo per ragazzi di Sarah Savioli, conditi però con una salsa molto tecnologica
anticipo dei fattori di rischio nei ragazzi, quei primi segnali che possono permettere di intervenire tempestivamente, prima che si sviluppi un vero e proprio problema. O comunque se iniziano a esserci situazioni di malessere l’obiettivo è che si arrivi rapidamente a una presa a carico di un possibile disturbo, attivando la rete interna alla scuola, per poi permettere di giungere ad affrontare il disagio con un professionista. Il ruolo educativo del docente è centrale nell’intervento precoce: l’osservazione e la capacità di ascolto permettono di attivare un dialogo che già da solo può migliorare una situazione di difficoltà di un giovane.
Non è dunque sufficiente la figura del docente di sostegno pedagogico?
È importante guardare alla scuola come a una comunità dove tutti condividono lo stesso approccio e lavorano insieme. I primi segnali di disagio sono colti perlopiù dal docente che è in classe. Se non li rico-
nosce lui, il rischio è che non li colga nessun altro. Solo riconoscendoli si può giungere al docente di sostegno pedagogico. L’importante è che ci siano procedure condivise all’interno della scuola e che tutti i docenti, in contatto quotidiano con i ragazzi, sentano di poter dare il loro contributo.
L’universo adolescenziale oggi, dal suo punto di vista, è divenuto più complesso rispetto al passato?
È divenuto più complesso perché è divenuta più complessa la società. In una società molto più frammentata è importante lavorare per rafforzare le risorse presenti in tutti i luoghi di vita dei giovani. È determinante che si lavori tutti nella stessa direzione. E lo stesso discorso vale anche per le associazioni sportive, per i centri giovanili... Più rafforziamo le competenze degli adulti a contatto con i ragazzi nella capacità di ascolto e dialogo, tanto più possiamo offrire un aiuto a chi sta crescendo in questa società complessa.
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Quali sono le difficoltà più ricorrenti tra gli adolescenti? Se parliamo di scuola, quello che si coglie sono difficoltà nella gestione delle emozioni, la rabbia, che poi può portare a dei comportamenti esternalizzati, cioè che sfociano in aggressioni, provocazioni, oppure a quelle manifestazioni internalizzate, come la chiusura in sé stessi. Oggi i giovani sono alle prese con i social, con continue immagini e incessanti confronti con i propri pari. È qualcosa che accadeva anche nel passato, oggi, però, la platea con cui confrontarsi è immensa. E questo può portare a una chiusura degli adolescenti, a un ritiro sociale o a forme di aggressione e prevaricazione.
Lei è responsabile della Rete delle scuole 21, una realtà che in Ticino esiste da una quindicina di anni ed è presente a più livelli, cantonale, nazionale ed europeo. Quali sono le peculiarità?
La Rete delle scuole 21 promuove la salute e la sostenibilità. Si tratta di un approccio di rete, appunto, di comunità. A livello ticinese, la Rete è coordinata da Radix Svizzera italiana, su mandato del Decs e del Dss, e rappresenta un partner del Programma d’azione cantonale promozione della salute dell’Ufficio del medico cantonale. La Rete delle scuole 21 intende favorire nella scuola una cultura della promozione della salute, perché sia sede importante di crescita per i bambini e per gli adolescenti, un luogo di benessere di tutta la comunità scolastica. Questo significa lavorare tenendo in considerazione diversi ambiti di intervento: rafforzare le cosiddette competenze per la vita, psicosociali, che aiutano ad affrontare meglio le difficoltà (saper gestire le proprie emozioni, avere una buona autostima, senso critico, riuscire a costruire delle relazioni efficaci). Per instaurare un clima favorevole al benessere occorre inoltre migliorare l’ambiente sociale
all’interno della scuola, promuovendo per esempio il senso di appartenenza, relazioni rispettose, la mediazione dei conflitti. Ma significativa è anche la struttura organizzativa della scuola, persino da un profilo di architettura interna, così come il legame con il territorio affinché possa concretizzarsi un approccio globale alla promozione della salute e perché all’interno della scuola s’instaurino relazioni positive, il rispetto, l’inclusione delle differenze, incidendo positivamente sul benessere degli allievi e di tutta la comunità scolastica.
Come si aderisce alla Rete delle scuole 21?
Ad oggi in Ticino sono 18 gli istituti scolastici che ne fanno parte, di cui 12 scuole medie e 6 scuole professionali. L’idea è di estenderla anche alle scuole dell’infanzia, elementari e licei. Per aderirvi occorre che il plenum dei docenti sia d’accordo e che, attraverso una convenzione, indichi degli obiettivi da sviluppare nell’arco di tre anni. È fra l’altro possibile ottenere aiuti finanziari per progetti fino a 3000 franchi. Viene nominato un gruppo di lavoro dove è importante la presenza della direzione. Un referente del gruppo parteciperà poi alle nostre riunioni di coordinamento. Ogni realtà scolastica possiede una sua peculiarità e propri bisogni, le esperienze e i programmi dei singoli istituti in rete sono molteplici. Alle Medie di Tesserete, ad esempio, viene realizzato, ogni anno, un progetto di valorizzazione dei talenti artistici musicali degli allievi. Un altro progetto cardine viene compiuto alle Medie di Giubiasco, con la Peer-Education, ossia un’educazione tra pari, per cui allievi volontari di terza e di quarta vengono formati per intervenire nelle classi animando discussioni sulle dipendenze. Un’iniziativa edificante, proprio nel solco del rafforzamento delle competenze dei giovani.
e fantascientifica (che se da una parte costituisce la cifra stilistica originale di questo romanzo, dall’altra non ne rende semplicissima la lettura). I ragazzi usano dei device particolari, con i quali programmare, chattare, svolgere lezioni con persone e ologrammi, e soprattutto collaborare per progetti in cui mettere a frutto i loro talenti. I loro sono talenti di gran calibro, ogni studente eccelle in una particolare area, del resto la Tesla Academy seleziona i ragazzi più geniali del mondo. I personaggi principali sono tre: il quattordicenne Marcus, taciturno e assediato dalle continue chiacchie-
re di Etta, vivacissima undicenne che lo segue ovunque, insieme al gentile Jian, giovane musicista dalla cotta facile. Ma ben presto l’anno scolastico è incupito da fatti strani che catalizzano l’attenzione e i sospetti dei ragazzi. Le indagini segrete hanno inizio, tra ipotesi e deduzioni scientifiche. Il climax coincide con la morte improvvisa di un uomo: evento naturale per la polizia; delitto, invece, per i giovani investigatori, che – come in ogni giallo per ragazzi che si rispetti – dimostreranno di avere ragione. Il finale, su cui naturalmente non faremo spoiler, è un ulteriore colpo di scena, che rende ancora più fantascientifico il romanzo e che, forse, fa presagire un sequel
Jörg Mühle
Quando i capelli di papà andarono in vacanza
Terre di Mezzo (Da 5 anni)
Divertentissimo, surreale, perfettamente riuscito questo esordio dell’illustratore tedesco Jörg Mühle nella narrativa per primi lettori. L’efficacia umoristica si basa sull’idea di partenza, senza dubbio originale; sulla capa-
cità di portarla avanti costruendo una storia in cui c’è dinamismo, c’è azione; e sull’ottima padronanza del ritmo narrativo di testo e di immagini, tra loro in un rapporto di brillante armonia. Apriamo il libro e siamo subito dentro il topic: «Un bel giorno i capelli di papà si stancarono di pettine e spazzola. Non avevano più nessuna voglia di starsene sempre lì, fermi sulla sua testa. Volevano fare le loro esperienze. Vedere qualcosa del mondo, per una volta». Pronti via! Se la prima pagina ci mostra il papà che si guarda compiaciuto il suo bel ciuffo nello specchio del bagno, ecco che al
prossimo voltapagina… «shock!», colpo di scena, i capelli sono volati via. Da qui lo humour s’impenna, perché comincia la rincorsa di papà dietro ai suoi capelli, dapprima in bagno, con ruzzoloni e scivolate, poi fuori dal bagno e fuori dalla casa, in giro per la città. Ma a nulla vale il gran correre di papà, e nemmeno le sue suppliche («provò a minacciarli. A sgridarli. A supplicarli…») perché gli indomiti capelli sono ben decisi a farsi le vacanze. E pazienza se papà era molto «attaccato» ai suoi capelli, o «per meglio dire, era stato molto attaccato». La traduttrice Claudia Valentini ha fatto un accurato lavoro, che mantiene tutto il brio dell’originale nei giochi di parole (anche quando i capelli mandano cartoline dalle loro vacanze in FranGIA, o a RICCIone) e nel ritmo della narrazione. Una storia da leggere da soli, appena si è capaci, o da farsi leggere ridendo insieme. Una storia per il puro, necessario, fondamentale piacere di leggere divertendosi, senza «messaggi» o temi di tendenza da comunicare. O meglio, un messaggio c’è, ed è potente: una storia ti può mettere di buon umore.
6 Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVI 20 febbraio 2023 azione – Cooperativa Migros Ticino SOCIETÀ
di Letizia Bolzani
Sarah Savioli
Delitto alla Tesla Academy
Feltrinelli Kids (Da 11 anni)
Guido Grilli
Per instaurare un clima favorevole al benessere occorre prestare molta attenzione all’ambiente sociale all’interno della scuola. (Keystone)
Farsi del bene ad esempio facendo il pane
Incontri ◆ A colloquio con Amanzio Marelli, da alcuni anni volontario oncologico per l’Associazione Triangolo
Simona Sala
Fare il pane è spesso molto più della preparazione di un impasto, della sua cottura, del taglio della pagnotta, in quanto, forse proprio in virtù del suo essere un rito antico, può trasformarsi in un momento di assoluta… normalità. Soprattutto per chi la normalità se l’è vista temporaneamente sfilata da sotto i piedi a causa di una malattia che richiede delle cure impegnative e una pausa forzata dalla propria quotidianità.
Della nostra necessità di potere vivere la normalità ci ha raccontato il luganese Amanzio Marelli, pensionato e reduce da un fortunato corso di panificazione organizzato nell’ambito delle attività dell’Associazione Triangolo, in cui da alcuni anni è attivo come volontario. Amanzio Marelli aveva già messo in campo il suo spirito di iniziativa nell’organizzazione della Colazione in piazza del Triangolo, andata in scena nel centro storico di Lugano a giugno dello scorso anno con il sostegno di Migros Ticino.
Quella del pane è dunque solo l’ultima nata di una serie di occasioni di incontro organizzate regolarmente dall’Associazione Triangolo, cappello sotto il quale professionisti sanitari (oncologi, infermieri e assistenti sociali) lavorano a braccetto con i volontari, animati dal comune intento di creare una rete di presa a carico del paziente che sia il più possibile solida e trasversale.
Amanzio Marelli si è avvicinato al volontariato al termine della propria carriera professionale, che lo ha visto attivo come panettiere per 45 anni, durante i quali è stato per quattro anni presidente dei panettieri ticinesi e per dieci responsabile della formazione professionale per panettieri e pasticceri. Oltre all’organizzazione di momenti di incontro come la colazione o il corso di panificazione, da cinque anni si occupa di accompagnare i pazienti alle visite mediche o nei centri di cura e, come ci racconta, nel tempo questa attività è riuscita a cambiarlo. In meglio, come afferma con un sorriso.
Amanzio Marelli, come si è avvicinato al volontariato oncologico?
Nel settembre del 2018, mentre ero alla clinica Sant’Anna per una visita, incontrai un’amica intenta a organizzare un aperitivo per l’Associazione Triangolo. Fu lei a spiegarmi in cosa consistesse l’attività di volontariato, ossia soprattutto nell’accompagnamento delle persone alle cure o allo studio medico o, in alcuni casi, in posta o a fare la spesa.
Si tratta di un’attività che le richiede molto tempo?
Dipende, in alcuni periodi dell’anno si è più sollecitati, in altri meno, ma non è un impegno fisso, e gli appuntamenti vengono organizzati in base alla disponibilità di ogni singolo volontario.
Oltre ad avere un impatto sul tempo a disposizione, questa attività si riverbera anche su altri ambiti: possiamo immaginare che sia facile diventare una persona di riferimento per chi ha bisogno, come si trova dunque un equilibrio nei rapporti con i pazienti?
Per me è molto bello quando si crea un rapporto personale, quando nasce la confidenza, e sono sempre stupito davanti a certe espressioni di gratitudine. In questi legami
interpersonali vi è un solo rischio, ed è rappresentato dall’incognita della malattia: anche a noi volontari capita di legarci a taluni pazienti, e quando un percorso si interrompe, può essere difficile. Vi sono però anche altre situazioni molto belle, come quando ad esempio incontro delle meravigliose coppie di persone anziane: la moglie accompagna il marito di sotto, dove io lo aspetto, gli dà un bel bacio e lo rincuora, facendogli forza per l’imminente visita di controllo. O come ieri, quando ho chiamato una paziente per accordarci sull’orario in cui sarei passato a prenderla, e mi ha risposto il marito, dicendomi che sarebbe venuto anche lui, aggiungendo in dialetto, «mi la mòli mia». In quei momenti penso sempre che la malattia sia come un vento che spazza via le nuvole e ci permette di vedere solo l’essenziale.
Le viene richiesto anche un sostegno che vada oltre l’accompagnamento di un paziente da un luogo all’altro?
Certo, può succedere: magari accompagno dal medico una persona dalla disposizione particolarmente speranzosa, quasi euforica, e poi, dopo la visita, me la ritrovo giù di corda, e devo riaccompagnarla a casa. A quel punto mi lascio portare dal momento; a volte già conosco la persona che sto accompagnando, per cui esiste un rapporto, un dialogo e un racconto iniziato. Mi sforzo dunque di percepire lo stato d’animo, e capendo che la sofferenza può portare al silenzio, sto zitto anche io. A volte è proprio meglio non dire niente. Attraverso questo lavoro ho imparato quanto sia importante riflettere e soprattutto cercare di capire prima di parlare.
Il periodo per me più difficile è stato quello in cui vigeva l’obbligo della mascherina. Essa mi costringeva a guardare le persone negli occhi per capirle. Se ci si guarda in faccia, in qualche modo si riesce a mentire, o a edulcorare, magari sorridendo, o con una smorfia, ma gli occhi non mentono… gli occhi sono diretti e sinceri, e con la mascherina diventano la parte principale del volto, e capita allora di vedervi delle cose, di leggervi dei pensieri… Il protocollo Covid inoltre prevedeva che il paziente si
accomodasse sui sedili posteriori, e ricordo bene quegli sguardi eloquenti attraverso lo specchietto retrovisore. Guardarsi con la mascherina è stato per me imbarazzante, perché paradossalmente ti fa sentire nudo.
Tutto questo non rischia mai di diventare troppo?
Ci sono stati dei momenti in cui ho fatto fatica, ma la condivisione dei miei pensieri durante le riunioni dell’Associazione Triangolo mi ha sempre aiutato a superarli. Con il tempo ho capito che quando faccio una cosa, non devo pesarla sulla mia pelle, ma sulla pelle delle persone per cui la sto facendo.
Per diventare volontari
È vero che un’attività di questo tipo può portare a un cambiamento interiore?
Credo che sia importante capire come i sani e gli ammalati non siano due diverse categorie di persone. All’inizio del volontariato ero convinto che, guardandomi, i pazienti pensassero fossi una persona fortunata, ma in realtà non è così. Ero io che mi sentivo un privilegiato, così come mi sentivo fuori posto nella sala d’aspetto di qualsiasi medico ogni volta che vi accompagnavo un paziente. Ciò che osservo spesso nelle persone che accompagno alle visite è il modo in cui guardano all’essenza delle cose: la settimana scorsa, ad esempio, un paziente mi ha raccon-
tato con gioia di una serata trascorsa con la figlia, come se fosse un evento speciale. Quando sento questi racconti di essenzialità, quando vedo il desiderio di certi pazienti di fare pulizia nella propria vita, cerco di fare miei questi concetti, di vivere anche io con maggiore consapevolezza, ma poi finisco immancabilmente per scivolare di nuovo nel mio tran tran. E forse è giusto così.
La consapevolezza però è già un primo passo, non crede? Sì, e spesso mi chiedo perché sia necessaria la malattia per la comprensione della vita. D’altro canto questa attività, attraverso dei piccoli momenti formativi che ci vengono offerti dagli oncologi, ci permette anche di capire cosa sta succedendo nel campo della ricerca e dei nuovi farmaci, dandoci così prospettive nuove e in qualche modo rinvigorendo la speranza verso i nostri pazienti, aspetto per me estremamente interessante.
Spesso penso che se dovessi ammalarmi non avrei mai la forza dei miei pazienti, ma in realtà non è vero, perché mi accorgo che ognuno di noi ha da qualche parte una riserva di forza che può attivare in determinate situazioni. Credo si tratti di una forza comune a tutto il genere umano, visibile nella malattia e anche in altre situazioni difficili. Questo è un aspetto che mi piace moltissimo: sono profondamente affascinato da quella forza, che spesso vedo affiorare nei momenti più inaspettati.
«Volontariato», alla luce di queste affermazioni, diventa quasi un termine riduttivo… Credo che fare il volontario non voglia dire mettere a disposizione qualcosa di cui si dispone in sovrappiù, bensì significhi rinunciare a qualcosa. Quando parlo di rinuncia però non penso a un sacrificio, ma semplicemente a una scelta: lasciare perdere qualcosa a favore di un’altra. Non so se a causa della mia attività di volontario o dell’età che inesorabile avanza, ho imparato a non rimandare più… In questo senso la vita stessa mi ha dato un paio di lezioni quando sono mancati cari amici cui mi accomunavano ancora molti progetti. Alla mia età potrei girare il mondo e passare il tempo viaggiando, ma poi so che prima o poi dovrò ritornare, perché la mia vita è qui, e quindi devo cercare di viverla bene. Grazie al volontariato rifletto molto di più e mi sono reso conto di come la vita sia un ciclo. Questo mi ha reso una persona più equilibrata e serena.
Per diventare volontari sono fondamentali uno spiccato senso civico e un grande senso di solidarietà e responsabilità sociale. Il volontario può sostenere l’attività dell’Associazione Triangolo in vari modi: stando accanto al malato, dedicandosi ai trasporti o collaborando nelle mansioni amministrative e associative. Ogni volontario definisce i tempi del suo impegno e i congedi con la coordinatrice di riferimento per un massimo di quattro ore alla settimana.
L’attività di volontariato prevede una formazione specifica con un percorso iniziale di formazione/accompagnamento per acquisire competenze di base necessarie a fornire un aiuto qualificato e una supervisione e for-
mazione continua orientata al sapere e al saper fare e al saper essere «volontario». Il servizio di volontariato è attivo su tutto il territorio del Ticino e del Moesano tramite i due gruppi del Sopraceneri e del Sottoceneri. Il prossimo corso di preparazione al volontariato dell’Associazione Triangolo inizierà nel mese di marzo.
Per informazioni ci si può rivolgere alle coordinatrici dei volontari o compilare il modulo online:
Sezione Sopraceneri
+ 41 91 7518241
sopraceneri@triangolo.ch
Sezione Sottoceneri
+ 41 76 5432449
sottoceneri@triangolo.ch
Dalle riflessioni al pane il passo sembra breve… Da qualche tempo nell’ambito del volontariato lei propone anche un corso di panificazione. Come è nato?
Credo sia fondamentale riuscire a realizzare qualcosa, e soprattutto farlo tutti insieme. Abbiamo formato un bellissimo gruppo di circa dodici persone preparando di tutto, dalle pizze alle focacce, passando per le stelle di Natale, gli stollen, le trecce, le brioche e gli stuzzichini da aperitivo. Mentre lavoriamo sui nostri impasti sento che le persone parlano, entrano in confidenza, si raccontano dei propri percorsi, ma alla fine dell’incontro a prevalere è sempre l’entusiasmo per quanto realizzato. Fare le cose con le mani, vederle, stare insieme, sono cose concrete che fanno stare bene.
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Il coniglio «d’acqua»
Mondoanimale
◆ Fra biologia e superstizione, il 2023 del calendario cinese associa al mite animale un periodo di pace
Maria Grazia Buletti
«Neve è la mascotte dei miei bambini che se ne occupano personalmente da quando l’anno scorso è entrato a far parte della nostra famiglia». Diana abita a Vira Gambarogno, dove ci riceve insieme ai suoi due bambini di sette e dieci anni, e a un coniglietto: il loro animaletto domestico, «invece che un cane, un gatto o un canarino».
Neve, per l’appunto, che deve il nome al suo manto completamente… nero!
«Lo abbiamo chiamato così perché sarebbe stato così banale chiamarlo Nerino, e perché ci siamo resi conto che è d’animo gentile, calmo e paziente: candido, bianco».
Diana spiega che, con l’arrivo di Neve, lei ha insegnato ai suoi bambini a conoscere questo animaletto comunemente classificato a torto come roditore: «Nell’imparare insieme chi fosse il nostro coniglietto, come accudirlo e come rispettarlo, abbiamo scoperto che in realtà il coniglio non è un roditore ma fa parte di una famiglia completamente diversa: quella dei lagomorfi». Diana ha anche insegnato ai ragazzi (come si dovrebbe sempre fare quando si accoglie a casa un animale), che avrebbero dovuto impegnarsi a pulire la grande gabbia nella quale Neve può rifugiarsi quando ha bisogno di calma e tranquillità, spiegando loro che pur essendo un ottimo animale da compagnia, forse un po’ inusuale, bisogna assolu-
tamente imparare a rispettare il suo carattere riservato: «Insieme abbiamo scoperto che, per esempio, Neve non ama essere portato in giro e non ama essere coccolato come fosse un gatto, perché se lo tocchiamo troppo può rimanere paralizzato dalla paura o, come è successo alla mia figlia più piccola che lo toccava di continuo, può provare a graffiare non perché sia aggressivo, ma semplicemente per difendersi».
I ragazzi hanno imparato a rispettarlo per quello che è: un coniglio con cui giocare a nascondino finché lui non batte in ritirata nella sua gabbietta. «Sappiamo che i conigli sono animali sociali, devono vivere in contatto con i propri simili, e per questo tra qualche mese ne arriverà pure un secondo a fargli compagnia». Una vita consona per Neve, del quale i bambini si divertono a osservare il comportamento senza essere invadenti, anche grazie agli insegnamenti della loro mamma.
Pure in Giappone i conigli sono molto apprezzati come animali da compagnia; ce lo rivela Alessandra Arrigoni che ha vissuto qualche anno proprio a Tokyo: «Secondo le regioni, troviamo diverse razze di conigli più o meno pregiate che possono arrivare a costare anche parecchio». Narra di una leggenda giapponese che risale, dice, al Kojiki: «È il tempo preceden-
te i samurai, dunque è antichissima, e parla di una lepre (equiparata al coniglio): la Lepre di Inaba».
Racconta che negli ultimi anni in Giappone è ritornato molto in voga parlare di questa lepre selvatica per il fatto che oggi si tratta di un animale in via di estinzione: «In natura hanno bisogno di muoversi in spazi molto ampi che però scarseggiano e per questo si stavano estinguendo a poco a poco. Per evitare ciò, i giapponesi hanno creato parchi protetti in cui lasciarle libere senza il pericolo che vengano cacciate».
Con Alessandra torniamo però a parlare proprio del coniglio, dato che l’oroscopo cinese nel 2023 entra proprio nell’anno del «coniglio d’acqua», un animale che subito stuzzica la nostra fantasia, pensando che viva nell’acqua o qualcosa di simile. «Per prima cosa, devo subito dire che non esiste il coniglio d’acqua: semplicemente, l’oroscopo cinese è sempre collegato ai quattro elementi acqua, aria, terra e fuoco. La combinazione del 2023 è quella dell’acqua».
Non è l’unica sorpresa che un argomento così apparentemente «leggero» come l’oroscopo cinese ci riserva, perché oltre a scoprire che il coniglio d’acqua è pura fantasia, ci viene detto che quest’anno in Vietnam è chiamato l’anno del gatto. Coniglio, coniglio d’acqua e ora addirittura gatto: «Nel-
le due lingue, vietnamita e mandarino, i termini gatto e coniglio si pronunciano in modo del tutto simile: in Vietnam lo si pronuncia con un suono onomatopeico molto simile al miagolio di un gatto, dunque: anno del coniglio che può essere declinato anno del gatto».
A ogni modo, per scaramanzia e per uscire da quella che pare diventare una confusione di identità animale, chiediamo quali siano le caratteristiche che il coniglio regala a quest’anno da esso simboleggiato: «È appena terminato l’anno della Tigre che ha rappresentato la forza, l’azione, l’energia. Ora, il coniglio ci porta gentilezza, pazienza, calma». E pure questo è legato a una leggenda, stavolta cinese: «La dea della luna (Chang’e) ha un coniglio come animale da compagnia. Per questo, alcuni affermano che il coniglio è la sua incarnazione
e lo vedono come simbolo di purezza e buon auspicio, gentile, paziente ed empatico come lei».
Un mondo fantasioso e magico che non si fa mancare qualche cliché: «Queste sono tutte qualità appartenenti a stereotipi femminili della tradizione: perciò, l’anno del coniglio d’acqua è considerato un anno fortunato se nascono delle bambine, mentre meno ideale se nascono dei maschietti, sulla scia del luogo comune che vuole l’uomo con qualità femminili troppo marcate come uomo non ideale». Superstizione o meno, occidentale o asiatica che sia, secondo l’oroscopo cinese questo anno del coniglio d’acqua dovrebbe portarci mesi tranquilli, privi di stress e di conflitti: «Ideale per rimettersi in forze, ma è sempre bene ricordarsi di essere responsabili delle proprie azioni: se dài gentilezza, gentilezza sarà!».
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L’altropologo
Par condicio
Cinque anni fa veniva pubblicato un corposo saggio destinato ad occupare pagine di recensioni, qualche dibattito serio e fare molto scalpore fino a diventare un bestseller multilingue. The Darkening Age – The Christian Destruction of the Classical World della storica e giornalista statunitense Catherine Nixey ha il pregio di presentare a un pubblico vasto fatti ovvero misfatti che, nei secoli della transizione dal Mondo Antico al primo Medioevo, videro «i cristiani» senza distinzioni rendere ai «pagani» – senza distinzione – quanto quelli avevano loro inflitto nell’età delle persecuzioni imperiali. Al momento di imporre la loro neonata egemonia culturale, «i cristiani» avrebbero distrutto il fior fiore della cultura classica. A partire dalla distruzione delle immagini di ogni fattura alla distruzione di intere biblioteche (ivi compresa la Biblioteca o Biblioteche di Alessandria, sulle vicende della/e
quali ancora non vi è chiarezza) si imputa una sorta di democratica ed egalitaria par condicio a episodi storici che hanno cause, ragioni e disragioni e responsabilità diverse e specifiche. Si tratta di un modo di procedere culturalmente molto (nord)americano oggi ormai globalmente populista. In nome dell’uguaglianza dei bilanci «etici» contabili, una sorta di Primo Emendamento «laico». Si sostiene – esempio fra tutti – che «Stalin era come Hitler», che Destra e Sinistra sono la stessa cosa, che gli Estremismi alla fine si toccano; che –sì l’Olocausto e la Giornata della Memoria però vogliamo – par condicio –anche la Giornata del Ricordo delle Foibe e via di questo ragionare. Certo: i fatti ci sono, le cifre pure, gli errori e gli orrori anche. Ma la Storia –quella che ci tocca capire, riflettere e interpretare se non vogliamo trovarci a ripetere quegli stessi errori ed orrori – non è ragioneria di fatti e cifre
La stanza del dialogo
di Cesare Poppi
che poi ciascuno, in regime di libertà, può liberamente narrare a modo suo secondo la ricetta che a ciascuno pare aggiungendo e chi pepe, chi peperoncino, chi omettendo il sale e chi la preferisce in bianco. Comprendere la Storia è farsi ragione delle condizioni contestuali, uniche e irripetibili, degli specifici dilemmi, angosce, ossessioni e ingestibili eredità storiche – quei «peccati dei genitori» che occorre cessino di ricadere sui figli una volta che si comprendano fino in fondo le (dis)ragioni di una storia altrimenti – e lo scrivo oggi in affanno visto quel che capita in Ucraina – coatta a ripetersi. Oggi è moda definire ogni sequenza comunicativa che abbia un inizio ed una fine come «Narrativa». Si tratta di un termine fumoso, confuso e confondente che ha origine come concetto vagamente e pasticciosamente filosofico (Platone e Aristotele, che amavano il rigore, lo avreb-
Figli e genitori: la giusta distanza a tutte le età
Cara Silvia, penso che siamo coetanee e che mi capirai. Sono ormai anziana ma sto relativamente bene. Però questo non dovrebbe autorizzare mio figlio a telefonarmi la domenica quando va bene e a venirmi a trovare sì e no ogni due o tre mesi. Sua moglie poi non la sento mai e neppure mio nipote, che ha ormai 12 anni e potrebbe farsi vivo di quando in quando. Non ho amiche e spesso mi sento sola. Sono sicura che, in caso di emergenza, posso contare su di loro, ma non basta. Ho bisogno di sentirmi pensata e amata ogni giorno senza aspettare la fine. Perché non lo capiscono? / Sonia
Gentile dottoressa, da quando sono stata operata per frattura del femore, i miei figli (una femmina e un maschio) mi ossessionano con le loro premure: mamma non uscire, non salire sulla scaletta, copriti, man-
gia, ti accompagno dal dottore, hai preso le medicine? Ho una certa età ma non sono né scema né invalida e vorrei che avessero più fiducia nelle mie risorse. Sono sempre stata una donna libera e autonoma e, finché posso, vorrei continuare così, senza sentirmi ostaggio delle loro apprensioni. / Vera
Care Sonia e Vera, ho messo insieme le vostre lettere perché mostrano come sia difficile, quando i genitori invecchiano, trovare la giusta misura per proteggerli senza abbandonarli o soffocarli. Spesso si garantiscono le cure del corpo senza pensare ai bisogni dell’anima. L’attenzione è il miglior farmaco contro la depressione che minaccia chi sente ridursi il tempo che resta. Forse, in entrambi i casi, il normale processo di separazione dei figli
La nutrizionista
Come integrare gli omega-3?
Care lettrici e cari lettori, questo mese risponderò a due vostre lettere. A dicembre parlai delle noci e delle loro proprietà; l’articolo ha suscitato l’interesse di Georges e Mara, che ringrazio. Nel precedente articolo avevo risposto, per ragioni di spazio, solo con informazioni essenziali a chi mi domandava se le noci fossero davvero un cibo miracoloso, o se si trattasse di una leggenda metropolitana.
Posso riassumere così le domande di Georges e Mara: che sintomi manifesta una persona allergica alle noci?
Attraverso quali altre vie si può assumere l’omega-3?
Il Centro delle Allergie Svizzera indica che circa il 10 per cento dei bambini e degli adulti con un’allergia alimentare non sopporta la frutta a guscio, a volte nemmeno in tracce.
L’allergia alla frutta a guscio si può manifestare come allergia alimentare primaria, cioè una sensibilizzazio-
ne diretta a un allergene alimentare specifico, soprattutto in età infantile e nella maggior parte dei casi permane per tutta la vita. Oppure può insorgere per la prima volta in età adolescenziale o adulta, come un’allergia secondaria (o reazione crociata) dove la persona è in realtà allergica ai pollini di betulla o graminacee e reagisce all’alimento in questione perché gli allergeni si assomigliano.
I sintomi delle allergie alimentari, in genere, compaiono da pochi minuti a poche ore dopo aver ingerito il cibo a cui si è allergici, e possono variare da un’orticaria, pelle arrossata o eruzione cutanea, a sensazioni di formicolio o prurito in bocca, fino al gonfiore del viso, della lingua o delle labbra, vomito e/o diarrea, crampi addominali, tosse o respiro sibilante, capogiri e/o stordimento, gonfiore della gola e delle corde vocali, respirazione difficoltosa e perdita di conoscenza. Chi
bero bandito da Simposi e Logiche) percolato dal caos primordiale delle filosofie postmoderniste nel pacchetto della spesa al supermercato. Dove ciascuno compra quel che vuole e che può permettersi basta che paghi, e ciascuno oggi – in un Antropocene dove i miei diritti sono inalienabili in quanto intransitivi e chi non li ha si dia da fare – ha il diritto di dare aria alla sua Narrativa. All’A l tropologo piace al contrario pensare che la Narrativa di «Cappuccetto Rosso» abbia altre ragioni, contesti ed implicazioni della Narrativa della guerra nel Donbass, che sono Altri. Non si tratta, ovvero, di Fiction v. Fake News, che quelle si fanno concorrenza a colpi di sconti prendi tre paghi due sugli scaffali del supermercato mediatico. Si tratta di contesti, ragioni ed implicazioni che rispondono a diversi, specifici ed incompatibili regimi di verità e validazione –verità con la minuscola, certo relativa
ma autorevole a pieno titolo proprio perché dignitosamente altra rispetto alla Verità.
A questo punto i miei perplessi lettori si chiederanno cosa c’entri questo sermonaccio con l’A ltropologia. Mi scuso, faccio ammenda e mi giustifico.
Il 19 febbraio 356 l’Imperatore Costanzo II, figlio di Costantino il Grande, promulgava un Editto col quale restringeva di molto e sanciva le libertà religiose dei pagani e degli Ebrei – le stesse che suo padre non aveva osato toccare. L’Editto di Costanzo rappresenta un coacervo complesso di misure che apparirebbero oggi divertente ragioniera legale, incongruenti e contraddittorie. Il tutto e il contrario di tutto. Eppure furono. Per una Storia che non procede per logiche di par condicio e si appella alle narrative dei Massimi Sistemi proprio quando ormai le scompaiono dal mirino. Meditatur
dai genitori è rimasto incompiuto per cui permangono alcuni squilibri. Credo che il figlio di Sonia si difenda, centellinando le attenzioni verso la madre, dall’angoscia di confrontarsi con la caducità della sua stessa vita. La vecchiaia rende evidente che ogni anno in più è anche un anno in meno. E a molti questa constatazione fa paura. L’intervento della nuora sarebbe importante perché, meno coinvolta emotivamente, potrebbe indurre atteggiamenti più equilibrati. Anche al ragazzino, che sta delineando la sua identità, farebbe bene sapere che ha alle spalle una storia di famiglia, un passato che orienta il futuro. Inoltre, occuparsi della nonna potrebbe farlo sentire più forte e maturo. Ogni volta che ci prendiamo cura dell’altro ci prendiamo cura di noi.
Al contrario di Sonia, Vera apprez-
za l’attenzione dei figli ma la trova esagerata per cui li supplica: lasciatemi fare anche a costo di sbagliare. È giusto che, a un certo punto della vita, i ruoli si capovolgano e i figli diventino genitori dei loro genitori, ma non di colpo, solo perché è accaduto un evento traumatico. Ogni stagione della vita va affrontata con gradualità. Si è sempre vecchi per la prima volta e imparare dall’esperienza è un impegno continuo. Quando il passo diventa insicuro, la memoria perde colpi e i sensi si affievoliscono, non si ha bisogno di essere sostituiti ma di ricevere fiducia e incoraggiamento. La dipendenza risulta sempre penosa ed è meglio ridurla al minimo, anche accettando qualche rischio. Può darsi che figli eccessivamente accudenti intendano mettersi al riparo da eventuali sensi di colpa. Ma tra il disinteresse e l’apprensione
vi è una terza via: la responsabilità. Fintanto che i «più che adulti» rimangono capaci di intendere e di volere non sono oggetti ma soggetti della loro vita. Ed è pertanto con loro che va contrattata, con empatia e sensibilità, la distanza da tenere. Quello tra generazioni è uno scambio difficile, che muta nel tempo, si adegua alle circostanze ma che deve essere personalizzato perché ognuno è modellato dalla sua storia e ha un carattere unico, inconfrontabile, uguale solo a sé stesso.
Informazioni Inviate le vostre domande o riflessioni a Silvia Vegetti Finzi, scrivendo a: La Stanza del dialogo, Azione, Via Pretorio 11, 6901 Lugano; oppure a lastanzadeldialogo@azione.ch
ha manifestato uno di questi sintomi deve quindi prestare attenzione, e cercare di evitare le noci.
È bene sapere che un’allergia primaria alla frutta a guscio reagisce per lo più alle cosiddette proteine di riserva, che sono diverse in ogni tipo di frutto a guscio. Poiché gli allergeni non sono quindi identici, l’allergia non si estende automaticamente a tutta la frutta a guscio. Occorre rivolgersi a un allergologo per stabilire con precisione a quale frutto si reagisce, e quali invece potete continuare a consumare in sicurezza. Quello che hanno in comune queste proteine allergeniche è che non vengono distrutte né dal calore né dall’acido gastrico. La frutta a guscio può quindi scatenare reazioni allergiche in forma cruda, tostata e cotta. Secondo la gravità dell’allergia, come ho anticipato, è indispensabile fare attenzione persino alle tracce.
Se si dovesse evitare tutta la frutta a guscio, come poter quindi integrare gli omega-3? Esistono tre tipi principali di acidi grassi omega-3: l’acido alfa-linolenico (ALA), l’acido eicosapentaenoico (EPA) e l’acido docosaesaenoico (DHA). Mentre l’ALA è presente negli oli vegetali, il DHA e l’EPA si trovano nel pesce e nelle alghe. Il corpo può convertire ALA in EPA e DHA, ma il tasso di conversione è inferiore al 15 per cento. Pertanto, le persone potrebbero aver bisogno di consumarne di più per ottenere abbastanza omega-3. Se, come Mara, si è allergici pure al pesce e ai frutti di mare, si può consumare l’olio di colza, l’olio di semi di lino, l’olio di semi di canapa, oppure il germe di grano o le alghe nori – quelle che avvolgono i sushi – o gli integratori di spirulina e clorella. Una dieta sana è quella che include i tre tipi di omega-3: DHA, EPA e
ALA. Pesce e frutti di mare tendono a essere ricchi di DHA ed EPA. Le fonti vegetali sono tipicamente abbondanti di ALA, le alghe contengono anche EPA e DHA, rendendole un’opzione salutare per le persone allergiche al pesce o che seguono una dieta vegetariana o vegana. Il fabbisogno giornaliero di omega-3 non è noto con esattezza, ma si stima che una quantità adeguata possa essere di 1,6 g al giorno per gli uomini e di 1,1 g per le donne. Io consiglio di consumare giornalmente uno degli oli indicati e 1 o 2 capsule di integratore di alghe alla settimana, come si consiglia per il consumo di pesce.
Informazioni Avete domande su alimentazione e nutrizione? Laura Botticelli, dietista ASDD, vi risponderà. Scrivete a lanutrizionista@azione.ch
Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVI 20 febbraio 2023 azione – Cooperativa Migros Ticino 11 SOCIETÀ / RUBRICHE
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di Silvia Vegetti Finzi
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di Laura Botticelli
Una pasta sarda cucinata come il risotto Condita con i funghi cardoncelli, la fregola può dare vita in poco tempo a una sfiziosa e profumata pietanza interamente vegetariana
Milano non è Milano pur restando Milano
Ha tratti poetici, la guida d’autore dedicata alla metropoli lombarda a firma di Aldo Nove, scrittore di Viggiù il cui sguardo ha qui mantenuto l’emozione della scoperta
Tetrasci, curve in un respiro sulle piste lucernesi
Altri campioni ◆ Da qualche mese in Svizzera anche le persone tetraplegiche possono sciare in modo autonomo
Davide Bogiani
Tutto è pronto nella località sciistica di Sörenberg, nell’Entlebuch – distretto del Canton Lucerna –, per accogliere il primo amante della neve tetraplegico che scierà in modo autonomo lungo le piste del Rossweid.
A riceverci sul piazzale, alla partenza degli impianti, in una fredda mattina di gennaio, è Richard Studer, esperto maestro di sci, specializzato nell’insegnamento per persone con lesioni midollari e con alle spalle oltre vent’anni di esperienza maturata con il monosci e il dualsci: «Oggi è un giorno speciale» esordisce Studer, «con noi ci sarà Martin Friedli, ex competitore di sci, che a causa di un incidente è rimasto tetraplegico».
Saliamo in cabinovia per arrivare nel cuore della stazione, dove l’Associazione Svizzera dei Paraplegici dispone di un ampio locale in cui sono depositati numerosi monosci e dualsci. E dove da quest’anno è comparso anche un tetrasci.
Sul viso di Martin Friedli traspare una strana espressione, mista fra stupore e sana diffidenza di fronte a questo attrezzo decisamente innovativo, ma anche ingombrante e pesante. «Il tetrasci è qualcosa di completamente
nuovo, anche per noi maestri è completamente diverso rispetto sia al monosci che al dualsci» spiega Studer. «Appena sotto la scocca in cui si siede lo sciatore è posizionato un motore ad alimentazione elettrica che aziona due cilindri, i quali a loro volta muovono gli sci nelle varie direzioni, permettendo l’esecuzione di curve a velocità e raggi diversi».
Martin viene inizialmente istruito. Attraverso un joystick posizionato sul poggiabraccio del tetrasci è possibile azionare i cilindri, che fanno spostare gli sci per curvare nella direzione desiderata. «Con il movimento laterale del joystick – spiega Studer – l’attrezzo può essere guidato a destra e a sinistra, mentre la manovra verticale porta gli sci più piatti e paralleli oppure a spazzaneve, modificando quindi la velocità della sciata».
E se lo scopo è quello di rendere il più autonomo e indipendente lo sciatore – come ha spiegato il fondatore del tetrasci, il professor Jeffrey Rosenbluth durante la settimana di formazione lo scorso mese di dicembre sui pendii del Parsenn a Davos –è altresì importante garantire la totale sicurezza. Questo è possibile trami-
te due sistemi. Innanzitutto attraverso una corda che unisce il tetrasci al maestro e che permette a quest’ultimo di gestire la velocità e di intervenire tempestivamente in caso di necessità per ritrovare il controllo dell’attrezzo. Inoltre il maestro di sci tiene sempre in una mano un telecomando che gli consente di guidare l’attrezzo in remoto, correggendo eventuali errori commessi dallo sciatore.
Il sole a Rossweid timidamente filtra dai vetri ed entra nel locale. Per Martin Friedli è giunto il momento di uscire e di lanciarsi sulle piste. Le prime discese, contratte e poco eleganti, lasciano sempre più spazio a una sciata armoniosa ed efficace, quella sciata che Martin Friedli proponeva da ragazzino, quando nella sua stessa squadra, al suo fianco, come avversario e compagno c’era Beat Feuz. Martin sa leggere bene il terreno, gestisce la velocità. «Grazie alla sua esperienza, in sole poche discese Martin ha saputo proporre una sciata completamente indipendente – spiega Studer – che ha richiesto solo alcuni piccoli correttivi durante la discesa e chiaramente il mio aiuto nella risalita sullo skilift».
Il 2023 è dunque un anno molto
importante per gli istruttori che vorranno acquisire esperienza con questo nuovo attrezzo. Importanti saranno soprattutto, in questi primi mesi, i feedback dei clienti, iniziando da quello, appunto, di Martin Friedli . Esperienza che certo non manca all’ideatore del tetrasci, Jeffrey Rosenbluth, che come accennato poche righe sopra, si è recato sulle Alpi per istruire un gruppo di maestri, tra cui appunto lo stesso Richard Studer.
L’iniziativa del visionario Rosenbluth, direttore medico del programma di riabilitazione acuta delle lesioni al midollo spinale presso l’University of Utah Health Sciences Center, è nata nel 2008. Da allora un team di ingegneri, medici, ricercatori e meccanici si sono uniti per creare un attrezzo che fosse in grado di essere preciso, solido, resistente alle fredde temperature delle montagne e soprattutto che rendesse possibile anche alle persone colpite da una tetraplegia la maggiore indipendenza possibile.
Una tecnologia che riesce ora a rendere autonomi anche coloro i quali con il proprio fisico riescono soltanto a respirare e che non muovono più alcuna parte del corpo. «Gli ingegneri – ci
spiega Studer – hanno creato un incredibile sistema: attraverso una cannuccia che da un’estremità viene collegata ai comandi del motore, lo sciatore inspirando permette al tetrasci di curvare a destra, espirando a sinistra. Sciare con i polmoni, una cosa davvero incredibile». Incredibile e innovativa, come i campionati nazionali di tetrasci che si terranno nella Powder Mountain Resort in Eden, nello Utah, il prossimo 24 marzo; al via si allineeranno qualche decina di partecipanti.
«Nel frattempo noi ci esercitiamo – continua Studer – e cercheremo nel corso della stagione di dare la possibilità al maggior numero di persone di provare questa esperienza». Esperienza decisamente positiva per Martin Friedli, che ha deciso di rientrare dalle piste dopo alcune ore di puro divertimento e libertà. Già, la libertà e quel sentimento che lega chiunque trascorra del tempo in montagna, nella natura. E allora, mentre i maestri di Sörenberg acquisiranno sempre nuove importanti esperienze, a noi non resta che guardare con grande entusiasmo a questo attrezzo, e chissà che fra qualche anno anche sulle Alpi non potranno svolgersi i Campionati svizzeri!
TEMPO LIBERO ● ◆ 12 Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVI 20 febbraio 2023 azione – Cooperativa Migros Ticino
Martin Friedli con il maestro di sci di Sörenberg. (Associazione svizzera dei paraplegici)
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In mezzo alle genti scorre il fiume
Reportage ◆ Un viaggio nella storia della Colombia lungo i millecinquecento chilometri del Rio Magdalena
«Ya van, ya van, ya llegan, / Corazón mío, mira las naves, / Las naves por el Magdalena, / Las naves de Gonzalo Jiménez / Ya llegan, ya llegan las naves». («Eccole, ecco che arrivano / Oh cuore mio, guarda le navi / Le navi sul Rio Magdalena / Le navi di Gonzalo Jiménez / Eccole lì, che arrivan le navi»). Così Pablo Neruda cantava la spedizione del conquistador spagnolo Gonzalo Jiménez de Quesada, che nel 1536 per primo riuscì a risalire il Rio grande de la Magdalena, asse fondativo dell’odierna Colombia. Nei versi di Neruda quell’impresa fu rovina perpetua delle genti che abitavan le sue rive; per gli spagnoli invece fu l’inizio d’una grande avventura.
Le navi eran brigantini e risalivano il fiume in parallelo con la missione terrestre, molto più dura, tra foreste, fiere e sciami d’insetti voraci. In tre anni Quesada scoprì miniere d’oro, smeraldi e sale. Perlustrò l’altopiano Cundiboyacense – terra della fiorente civiltà muisca, dove si originò la leggenda del mitico Eldorado – e vi fondò Santa Fé de Bogotà, l’odierna capitale colombiana.
Un bel navigar su acque calme, tra canneti e alberi, sciabordando accanto alle canoe di pescatori solitari nella luce del tramonto
Con i suoi oltre millecinquecento chilometri dalle Ande al Caribe, il Rio Magdalena è sempre stato la grande via di comunicazione tra il mare, i monti e gli altipiani dell’interno. Dal Massiccio colombiano, nel Sud, su fino a Barranquilla, porto caribeño che s’abbevera alla sua foce, lungo le sue acque ora placide, ora insidiose per mulinelli e secche, interi popoli son diventati migranti e poi coloni, nell’infinito andirivieni di mercanzie, idee e persone. Per questo, le ceramiche, gli ori, i gioielli delle genti che hanno abitato la sua valle s’assomigliano tutti.
San Agustín è la mia prima tappa, vicino alla sorgente. Qui tra il IV e il IX sec. d.C. una misteriosa civiltà ha lasciato dietro di sé centinaia di monumenti megalitici, tombe e statue simboliche, cui gli storici cercano da tempo di dare un senso. La zona archeologica è sparsa su colline distese per decine di chilometri intorno; per visitarla ci vuole un’auto e una buona guida, come Oscar, che non perde occasione per citare il nonno, buonanima, che a suo dire avrebbe partecipato ad alcuni importanti rinvenimenti (e ovviamente lui conserva qualche souvenir). Entusiasta del mio interesse per il fiume, Oscar ci tiene ad accompagnarmi ad ammirare lo spettacolo della strettoia (estrecho) del Magdalena. Ha ragione da vendere: la valle è drammatica, angusta. Dopo solo qualche decina di chilometri il Magdalena è già impetuoso, dilava pietroni e assorda la boscaglia intorno.
L’alto corso del Magdalena rimane impervio ancora per duecento chilometri, fino a Neiva, poi è navigabile per trecento, fino alle rapide di Honda, dove Bogotà stabilì il suo porto. Appollaiata sull’altipiano a duemilaseicento metri, solo grazie al fiume la città poteva essere la capitale efficiente
del Vicereame della Nuova Granada, come si chiamava allora la Colombia. Ma bisognava percorrere i centosessanta chilometri lastricati del Camino Real (XVI sec.) per raggiungere il porto. Da lì schiavi neri vogavano sui sampan per quaranta giorni e novecento chilometri prima di arrivare a Cartagena. All’inizio dell’Ottocento i battelli a vapore ci mettevano già meno di due settimane, poi con ferrovie e auto la vecchia via fu dimenticata, ma ora, grazie al turismo, si cerca di recuperarne il significato. Benché i battelli
passeggeri non navighino più da sessant’anni, sull’acqua c’è ancora un certo traffico di merci, soprattutto idrocarburi, e si pensa di aumentarlo. Del resto la valle del Rio Magdalena, tra le cordigliere orientale e centrale, ospita quasi l’80% della popolazione e produce l’85% del PIL nazionale.
A Mompox, pur amalgamata al fiume, s’arriva solo via terra. Madida delle sue acque, che un po’ più in là si perdono in acquitrini, detti ciénagas, è una città bianca, d’ovatta, piena di chiese, con una piazza porticata che
si stempera nell’acqua e i marciapiedi alti mezzo metro, memori d’antiche alluvioni. Protetto dall’UNESCO, l’abitato sembra affiorato dalle brume calde del fiume, o da un racconto magico. Ma voglio approfittare anch’io di questo mondo anfibio. Così sul lungofiume fiacco affitto la lancia di Rodrigo e mi faccio portare, avido di brezza, a esplorar la ciénaga vicina, quella di Pijiño, un labirinto di meandri che forse mi farà sentire cosa provavano i naviganti d’un tempo, e mi farà vedere quel che resta della natura selvaggia che descrisse Alexander von Humboldt. E in effetti è un bel navigar su queste acque calme, tra canneti e alberi, e il gracchiare d’aironi e cormorani, sciabordando accanto alle canoe di pescatori solitari che gettano le reti nella luce rossa del sole al tramonto.
Lungo la rotta del Canal del Dique, biforcazione artificiale del fiume a collegar Bogotà con Cartagena, decido di far sosta a San Basilio de Palenque. Palenques, nell’America ispanica, erano i villaggi creati dai cimarrones, gli schiavi neri fuggiaschi. Ce n’erano centinaia, ma in pochi è rimasta come qui la popolazione delle origini e quasi nessuno ha creato, come San Basilio, una lingua creola, mista d’idiomi africani e di spagnolo. In paese le strade son deserte, evapo-
Mompox vista dal fiume; al centro a sin. la ciénaga di Pijiño; a des. pescatori nella ciénaga di Pijiño; in basso, nel quartiere degli artisti Getsemani, a Cartagena.
rate sotto il caldo tropicale; solo qualche cane stravaccato all’ombra, tra le casette basse. Carlos fuma sotto la veranda, dapprima sembra burbero, ma poi ci vuol poco per lasciarsi andare, ed è una miniera. Mi racconta dei turisti che da qualche tempo passano di lì, di come i locali organizzano loro una danza africana coi tamburi preparando qualche pietanza afro-caribeña, un pesce en cabrito (in forno con verdure), un riso con cocco.
La tappa finale del mio viaggio è Cartagena de las Indias, una cartolina di magioni coloniali, porticati e patios, chiese barocche e santi, fiori, viuzze e carrozze; e poi mura e fortezze e mare, mare, mare, il Caribe e gli yacht e i velieri e le navi che vanno e vengono, e i grattacieli che orlano la città moderna, e gli hotel, i ristoranti, i bar, e le bancarelle d’artigianato sul far del tramonto. La notte ci si diverte, almeno dentro le mura vecchie, perché là fuori c’è sempre la solita, vecchia Colombia, con i suoi cent’anni di guerre civili, i milioni di profughi, interni e stranieri, e più della metà degli abitanti sulla soglia della povertà.
E in mezzo scorre il fiume.
si trova una più ampia galleria fotografica.
● Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVI 20 febbraio 2023 azione – Cooperativa Migros Ticino 13
Informazioni Su www.azione.ch,
Paolo Brovelli, testo e foto
Ricetta della settimana - Fregola sarda ai funghi ●
Ingredienti
Piatto principale vegetariano Ingredienti per 4 persone
4 spicchi d’aglio
300 g di fregola sarda
6 c d’olio d’oliva
8 dl circa, di brodo di verdura
300 g di cardoncelli sale
1 mazzetto d’erbe aromatiche miste, ad esempio erba cipollina e prezzemolo
2 c di burro
50 g di parmigiano grattugiato
Preparazione
1. Taglia l’aglio a fettine sottili e fallo appassire con la fregola sarda in un po’ d’olio. Sfuma con un po’ di brodo poi aggiungi il resto poco alla volta. Cuoci la pasta, mescolando di tanto in tanto, per circa 15 minuti, finché risulta tenera, ma ancora al dente.
2. Taglia i funghi a bocconi e rosolali nell’olio rimasto per circa 5 minuti. Sala, trita grossolanamente le erbe e incorporale. Unisci il burro a pezzetti e il parmigiano. Regola di sale e servi con i funghi.
Consigli utili
La piccola pasta sarda, preparata con semola di grano duro, ha la forma di piccoli pallini. In questa ricetta viene risottata come la pasta greca kritharaki, che ha la stessa forma dei risoni italiani.
Preparazione: circa 30 minuti.
Per persona: circa 17 g di proteine, 22 g di grassi, 59 g di carboidrati, 510 kcal /2150 kJ.
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Dall’altra parte del Duomo, la dattilografa
Bussole, letture per esplorare il mondo ◆ S’intitola Milano non è Milano e meriterebbe una ristampa la guida d’autore dedicata alla metropoli lombarda a firma di Aldo Nove
Manuela Mazzi
Sono trascorsi quasi vent’anni da quando Aldo Nove – intitolando Milano non è Milano la sua «guida d’autore alla metropoli più metropoli d’Italia», come si legge in quarta di copertina – affermò che «non è possibile andare a Milano due volte». Eppure, a noi che Milano la frequentiamo oggi più di ieri, leggendo questo tascabile di 145 pagine sembra proprio di respirare quell’aria lì, quella che d’estate ti si attacca addosso, e d’inverno ti condensa il respiro; di sentire lo stesso «mutismo architettonico (…) stordito però dal caos dei rumori che l’invadono»; di vedere quelle stesse strade che fanno questa città; di tornare sempre a Milano, in quella stessa Milano che continua a cambiare ma – anche dopo vent’anni – è sempre uguale.
Basta sentire il rombo di un aereo che vola basso, forse in manovra di atterraggio, un distinto vociare lontano e schiamazzi vicini, portiere d’auto che si aprono e si chiudono con forza, un cane che abbaia lento e con tono baritonale, il tutto inghiottito dal frastuono continuo, implacabile di un pulisci asfalto che procede a passo d’uomo lungo il marciapiede per riportarti a Milano, una mattina d’inverno, nel quartiere intitolato da Aldo Nove «La zona equatoriale», che va da corso Buenos Aires alla stazione Centrale.
Lo sguardo di Aldo Nove, d’altro canto, combacia molto con il nostro, con quello ticinese, per una questione bio-geografica: «Chi scrive – annota, l’autore – ha trascorso la sua infanzia in un piccolo paese al confine con la Svizzera, a un paio d’ore di macchina da Milano». Nato a Viggiù, racconta così di quando, ragazzino, si recava coi genitori nella metropoli ascoltando Celentano mentre cantava di alberi di trenta piani, campi trasformati in centri commerciali, e colate di cemento: «A dire la verità, Milano (la città) faceva un po’ paura. / Era una cosa poco precisa. / Se ci andavi ne vedevi un poco. / Qualcosa. / Non era possibile vederla tutta. / Se ci tornavi era cambiata. / Ma non abbastanza da essere un’altra cosa. / Era sempre Milano. / Ci facevano i panettoni. / E c’era il Duomo. / E in cima al Duomo la Madonnina».
Ha tratti poetici, il testo di quest’opera d’autore, che, sì, forse avrebbe meritato una cura più amorevole da Editori Laterza – che nel 2004 lo pubblicò per i tipi della collana Contromano – date alcune sbavature anche informative. Ma non importa davvero, perché un libro così, lo si legge per assaporare il clima, per farsi tirare dentro in quell’atmosfera un po’ così, che solo la letteratura può ricreare, alla faccia dei saggi che le dicono tutte giuste. Come ricorda lo stesso
Giochi e passatempi
C’è una sostanza usata nelle aziende alimentari in sostituzione dello zucchero, sai come si chiama e quante volte ne è più dolce? Leggi le risposte a soluzione ultimata leggendo nelle caselle evidenziate.
(Frase: 7 – 2, 9, 1, 11)
ORIZZONTALI
1. Splende in tubi di vetro
5. Il letto degli sposi
10. Se è balzana non vale molto
12. Introduce un’ipotesi
13. Un terzo di trenta
15. Facevano parte dell’armatura
17. Preposizione articolata
19. Spesso involucro del nucleo terrestre
21. Vasto ingresso
24. Arnese a forma di prisma triangolare
26. Giovane di rara bellezza
28. Le iniziali dell’attore Frassica
30. Scorre nel Punjab
31. Computer Integrated
Manufacturing
33. Pari nei decolli
Nove quando descrive Milano con le parole di un collega di penna: Milano è «“Un sogno guasto e cavo al centro”, ha detto un grande poeta milanese, Milo De Angelis, forse il più capace, negli ultimi trent’anni, di descrivere le suggestioni e le inquietudini del capoluogo lombardo».
Altrettanto capace, per noi, è stato Aldo Nove con questa sua opera, che andrebbe ristampata, a nostro avviso, proprio perché in verità è riuscito a descrivere una Milano senza tempo, tracciandone – a partire dalla sua fondazione avvenuta per mano dei Galli nel Cinquecentodue avanti Cristo –la linea evolutiva e lanciandola verso un infinito che non avrà mai fine, ma le cui tappe nemmeno potranno mai venir perdute per il grande segno che hanno lasciato.
Prima di chiudere, di questa guida ci preme trascrivere un ultimo passaggio, invero un po’ lungo, perché ci sembra riassumerne la cifra di scrittura. È tratto da pagina 23, e racconta di quando Nove vide per la prima volta Piazza Duomo: «Era dicembre, aveva appena nevicato e faceva freddo. Un freddo pungente. Un freddo immediatamente svanito di fronte a uno degli spettacoli più belli che avessi visto nella mia vita. Nella mia vita, nel 1974, avevo già visto: 1) I campi innevati della Svizzera; 2) Mia madre; 3) Una cosina che mi aveva fatto vedere
mia cugina in cantina che da lì a pochi anni avrei capito essere molto importante per la vita umana; 4) Il parroco di Viggiù ubriaco; 5) Bobby Solo (dal vivo); 6) Gli gnu (alla tele); 7) I biscotti Colussi, e un sacco di altre cose, ma nessuna bella come quella. Che ho visto quella volta. Che ero in piazza Duomo. E non c’entrava niente con il Duomo. Ma era dall’altra parte della piazza. Dove in un trionfo di luci al neon una dattilografa di luce batteva a
La copertina di Milano non è Milano di Aldo Nove; sullo sfondo: palazzi della metropoli lombarda. (Ksenja Mazzi)
macchina. Come di fronte a un videogioco grande due volte una casa normale. Una donna gigante di luce. In una città su una parete di luce. Decine di pubblicità. Un bombardamento di colori. Il Duomo, la chiesa, dall’altra parte, non l’avevo proprio visto».
Bibliografia
Aldo Nove, Milano non è Milano, collana Contromano, Editori Laterza, 2004.
Vinci una delle 2 carte regalo da 50 franchi con il cruciverba e una carta regalo da 50 franchi con il sudoku
della settimana precedente
34. Ciascuna delle due ossa del bacino
36. Nota musicale
37. Le iniziali dell’attrice Argento
38. Se le dà il borioso
VERTICALI
2. Pronome poetico
3.
18.
20.
22.
23.
Regolamento per i concorsi a premi pubblicati su «Azione» e sul sito web www.azione.ch
I premi, tre carte regalo Migros del valore di 50 franchi, saranno sorteggiati tra i partecipanti che avranno fatto pervenire la soluzione corretta entro il venerdì seguente la pubblicazione del gioco. Partecipazione online: inserire la soluzione del cruciverba o del sudoku nell ’apposito formulario pubblicato sulla pagina del sito. Partecipazione postale: la lettera o la cartolina postale che riporti la soluzione, corredata da nome, cognome, indirizzo del partecipante deve essere spedita a «Redazione Azione, Concorsi, C.P. 1055, 6901 Lugano». Non si intratterrà corrispondenza sui concorsi. Le vie legali sono escluse. Non è possibile un pagamento in contanti dei premi. I vincitori saranno avvertiti per iscritto. Partecipazione riservata esclusivamente a lettori che risiedono in Svizzera.
Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVI 20 febbraio 2023 azione – Cooperativa Migros Ticino TEMPO LIBERO 15
Famoso quello di Pericle ad Atene
4. Preposizione articolata
6. Simbolo dell’arsenico
7. Cavalli dal mantello grigio
8. Prima di me e di te
9. La indica la meridiana
11. Le iniziali della Marcuzzi
14. Un colpo all’uscio
16. Come finisce comincia...
Terza città più grande della Francia
Le separa la «t»
Coda di cometa
Fluttuanti
25. Misura per guantoni da box
27. Isole dette anche Lipari
29. Quella indiana è per uno 32. Nota dopo il «re» 35. Due vocali
Cruciverba
Sudoku Scoprite i 3 numeri corretti da inserire nelle caselle colorate.
MERAVIGLIE DEL MARE – Nome della conchiglia e utilizzo: CAURI – FU LA PRIMA «MONETA» DELLA STORIA. 1 2 34 5 67 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 1920 21 22 23 24 25 26 27 2829 30 31 32 33 34 35 36 37 38 C ANG U R I UF FA UL OR L A PI RO TR IO M AM ME I O N E A TE A D EMO L LOS G A SOLIO TM T ONS DE R A IT A SECOLO 2 76 46 71 29 6 851 24 8 9 4 5 2 7 6 6139 587 42 5473 261 89 2987 146 53 1 2 6 8 3 9 5 7 4 3854 729 61 4795 613 28 9 6 1 2 4 7 8 3 5 8526 934 17 7341 852 96
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ATTUALITÀ
Dietro il sabotaggio di Nord Stream Chi ha fatto saltare i tubi del gasdotto ha agito a favore dell’America e colpito, insieme a quello russo, l’interesse della Germania
Il dramma siriano e le mire di Damasco Le tensioni interne rallentano l’arrivo degli aiuti in Siria mentre Assad cerca di riacquistare credito internazionale e riconquistare territori
Svolta a destra in autunno?
Il politologo Sean Müller analizza il risultato del voto nel Canton Zurigo, un test importante in vista delle elezioni federali di ottobre
Se Putin non avesse invaso l’Ucraina
L’analisi ◆ Uno scenario ipotetico e il bilancio di un conflitto tragico anche per la Russia a un anno dall’inizio delle ostilità
A quest’ora Vladimir Putin avrebbe stravinto, e senza perdere un solo soldato. Se solo avesse evitato l’invasione. Facciamo un balzo indietro per ricostruire il clima di inizio febbraio 2022. Lo scetticismo europeo sui preparativi di un’invasione russa. La processione di leader alla corte dello Zar, disponibili a fare concessioni enormi. Perfino in America, il peso allora influente di correnti di realpolitik che volevano dare a Mosca un veto sull’adesione di Kiev alla NATO, trasformando l’Ucraina in un cuscinetto neutrale e filorusso. Quell’inizio del febbraio 2022 fu un momento «magico» in cui la Russia poteva esercitare il massimo della sua influenza. Immaginare una storia alternativa –un’invasione solo minacciata e mai realizzata – dà la misura di tutto ciò che Putin ha distrutto, oltre a tante vite innocenti: un ruolo diverso per la Russia nel mondo, un Occidente più amichevole e perfino arrendevole nei suoi confronti. Dettaglio finale, lo Zar ha frantumato il mito di sé stesso come grande stratega.
All’inizio del febbraio 2022 l’allarme lanciato dall’intelligence anglo-americana su un’aggressione imminente veniva liquidato dagli europei come propaganda anti-russa. Molti preferivano abboccare alla versione ufficiale di Mosca secondo cui le truppe ammassate al confine conducevano una esercitazione. Perfino Zelensky fu scettico di fronte agli avvertimenti da Washington e Londra. Tant’è, per evitare che Putin passasse dalle «esercitazioni» agli atti, il mondo intero si mobilitò. Visite, telefonate, tutti avevano qualcosa da offrirgli. Omaggio, rispetto e anche concessioni sostanziose per placare l’espansionismo russo. Era una gara a prendere sul serio la teoria secondo cui Putin si sentiva «accerchiato», quindi agiva mosso da un genuino senso di insicurezza, che andava curato regalandogli una sfera d’influenza più larga. Il cancelliere tedesco Olaf Scholz disse che l’Unione europea si sarebbe allargata al massimo fino ai Balcani, poi basta. Emmanuel Macron, che poco tempo prima aveva dichiarato «la morte cerebrale della NATO», metteva in dubbio perfino l’allargamento UE nei Balcani, popolati da slavi che era pronto a regalare alla Russia. Il vento dell’appeasement – arrendevolezza o cedimento – non soffiava solo sull’Europa occidentale. Biden aveva una priorità, evitare ogni coinvolgimento. Lanciò un appello ai cittadini americani presenti sul territorio ucraino perché partissero subito, avvisandoli che non avrebbe mandato un solo soldato per evacuarli. L’ex ambasciatore di Barack Obama a Mosca, Michael McFaul, evocò un «grande patto con Putin per evitare la
guerra». I maggiori think tank strategici ascoltati dalla Casa Bianca cercavano compromessi da offrire a Putin. Tra questi una «finlandizzazione» dell’Ucraina, termine che evocava la neutralità imposta alla Finlandia per rassicurare l’URSS durante la prima guerra fredda.
Prima dell’attacco Putin era in una posizione invidiabile: con un prestigio ai massimi, molti leader occidentali genuflessi
A ispirare le concessioni c’era, tra l’altro, una profonda sfiducia sulla capacità dell’Occidente di reagire compatto. Sul fronte delle future e ipotetiche sanzioni, Scholz si era rifiutato di mettere in gioco il gasdotto Nord Stream 2. Vista la dipendenza dell’Europa dalla Russia per il 55% delle sue forniture di gas, Washington non s’illudeva di convincere gli europei a mollare quel cordone ombelicale. Putin era in una posizione invidiabile: con un prestigio ai massimi, molti leader occidentali genuflessi, pronti a concedergli un dirit-
to di signoraggio su Paesi ex-satelliti dell’URSS che presto rischiavano di tornare ad essere vassalli della Russia. Dietro l’Ucraina: Georgia, Moldavia e poi un giorno forse i Baltici, se funzionava il ricatto sulla «difesa delle minoranze russofone». Se Putin fosse rimasto allo stadio della minaccia, di una guerra solo virtuale, oggi staremmo analizzando la rinascita di un impero russo, con la NATO allo sbando, l’Occidente umiliato, l’Unione Europea costretta a sottoporre ogni futura candidatura al vaglio di un vicino prepotente.
Chiuso lo scenario ipotetico, resta l’elenco delle perdite che Putin si è inflitto. Oltre ai duecentomila soldati russi che ha mandato a morire.
Ben lungi dall’essere «finlandizzata», l’Ucraina dopo un anno di massacri ha poche certezze se non questa: il suo destino è ad Occidente, non perdonerà alla Russia gli orrori subiti, la scelta di campo è irreversibile. Una Nazione di 43 milioni di abitanti che per gran parte della sua storia fu legata alla sua vicina orientale, ora le volta le spalle. Già nel giugno 2022, Scholz e Macron erano a Kiev con Draghi e con il presidente rome-
no Iohannis, per dare via libera alla candidatura dell’Ucraina nell’Unione Europea. Sul fronte NATO le novità sono addirittura più impressionanti. La Finlandia non sarà più «finlandizzata», insieme con la Svezia ha scelto di uscire da un’antica neutralità. Il presidente turco Erdogan ha preso in ostaggio queste domande di adesione esercitando il veto, ma anche se dovesse ritardare a lungo quell’ingresso, nei fatti gli eserciti svedese e finlandese si stanno coordinando con la NATO. È un danno strategico enorme per la Russia che condivide un ampio confine terrestre con Helsinki e marittimo con Stoccolma. Sul futuro posizionamento strategico dell’Ucraina ci sono pochi dubbi: sarà in qualche modo associata alla NATO, o la sua sicurezza sarà garantita dagli alleati atlantici nell’ambito di futuri accordi. Ormai si è convertito a questa idea perfino Henry Kissinger, il patriarca della realpolitik, che all’inizio aveva posizioni più concilianti verso Putin. Lungi dall’essere in uno stato di «morte cerebrale», la NATO è stata resuscitata da Putin. Certo, ancora tardano a realizzarsi le promesse di alcuni Stati membri
(Germania e Italia) di alzare le loro spese per la difesa fino al 2% del PIL. Certo, gli eserciti europei si sono scoperti sottodimensionati, impreparati, con arsenali esigui; ci vorrà tempo e perseveranza perché le lezioni della tragedia ucraina vengano apprese. Però questo ha spinto l’Europa ancora più nelle braccia degli USA: il contrario di ciò che auspicava Putin. Lo stesso bilancio si applica alle sanzioni. Non sono invalicabili. Da sempre le sanzioni economiche vengono aggirate, Cuba Corea del Nord e Iran insegnano. Il mercato nero fiorisce. Cina, India, Golfo Persico, più Africa e America latina non le applicano. L’economia russa non è agonizzante, anche se conosce tante difficoltà. Quel che conta è il danno di lungo periodo nel settore energetico. Con pazienza, cinismo e lungimiranza, generazioni di leader sovietici avevano costruito infrastrutture pesanti per portare energia a buon mercato all’Europa, rendendola dipendente. Putin ha distrutto il lavoro dei predecessori. La Germania russo-dipendente era un asso nella manica per il peso geopolitico della Russia nel mondo. Ancora dodici mesi fa era una realtà.
● ◆ Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVI 20 febbraio 2023 azione – Cooperativa Migros Ticino 17
Macron, Scholz e Draghi in Ucraina nel giugno del 2022. Il futuro di Kiev è ad Occidente. (Keystone)
Federico Rampini
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Sabotaggio di Nord Stream: chi ci guadagna
L’analisi ◆ Dal punto di vista americano la Germania resta un partner da tenere sotto controllo, specialmente a causa delle relazioni speciali intrattenute con la Russia
Lucio Caracciolo
La clamorosa inchiesta del giornalista investigativo americano Seymour Hersh, che attribuisce agli Stati Uniti la responsabilità del sabotaggio del gasdotto sottomarino Nord Stream, ha suscitato reazioni contrastanti. C’è chi ricorda la qualità delle inchieste di Hersh, ormai 85enne specialista in scoop di prima grandezza, c’è chi dubita del valore di queste rivelazioni e ci sono naturalmente le smentite ufficiose da parte degli interessati. Siccome comunque la si pensi l’inchiesta di Hersh apre uno scenario di straordinario rilievo geopolitico, questa vicenda merita alcune considerazioni.
Se il giornalista
investigativo Seymour Hersh ha ragione si tratterebbe di un attacco degli Stati Uniti a un Paese formalmente alleato
In primo luogo, se Hersh ha ragione si tratterebbe di un attacco degli Stati Uniti a un Paese formalmente alleato. Perché mai Washington dovrebbe colpire Berlino? Come sappiamo, gli interventi a gamba tesa degli USA nei confronti della Repubblica Federale di Germania sono stati diversi e ripetuti anche negli ultimi anni – si pensi solo al Dieselgate o alle intercettazioni del telefonino della cancelliera Merkel. Fatto è che dal punto di vista americano la Germania resta un partner da tenere sotto controllo, specie quando si tratta delle sue speciali relazioni con la Russia.
Il gasdotto Nord Stream 1, prima del sabotaggio appena raddoppiato con Nord Stream 2, è il simbolo massimo di queste relazioni giacché lega direttamente il fornitore di gas russo al consumatore tedesco (ed europeo).
I polacchi hanno infatti fin da subito battezzato questa conduttura come «gasdotto Molotov-Ribbentrop». E l’ex ministro degli Esteri Radosław
Sikorski ha festeggiato il sabotaggio del Nord Stream con un tweet molto esplicito: «Thank you USA!».
In secondo luogo, l’amministrazione Biden era stata molto esplicita nel denunciare come nefasta la scelta russa e tedesca di raddoppiare il gasdotto. E aveva fatto pressione sul Governo tedesco affinché rinunciasse al progetto, voluto da Merkel e difeso poi da Scholz. Il 7 febbraio del 2022, ricevendo Scholz alla Casa Bianca, Biden era stato secco: «Se la Russia invade l’Ucraina, non ci sarà più un gasdotto Nord Stream 2, la faremo finita…». E la vice segretaria di Stato Victoria Nuland, neocon di punta nel dossier ucraino, aveva annunciato venti giorni prima la stessa decisione americana, avvertendo che nel momento in cui Putin avesse attaccato Kiev «in un modo o in un altro NS 2 non andrà avanti».
Da queste premesse, si trae la conclusione che chiunque sia stato a far saltare i tubi (tre su quattro) ha servito l’interesse americano e colpito, insieme a quello russo, l’interesse dell’alleato tedesco. Quindi la ricostruzione di Hersh ha una sua logica. Ma questo non prova che sia veritiera. La regola del cui prodest (a chi giova?) è un falso amico dell’analista. Spesso un osservatore esterno non può arrivare a comprendere il modo di ragionare e di agire dell’attore geopolitico osservato. Premesso che molto probabilmente la verità sul sabotaggio non potrà mai essere accertata, colpisce comunque il basso profilo della reazione di Berlino. Scholz ha rimandato la questione alle indagini della magistratura. Prudenza? Certamente, ma non solo. La posta in gioco è infatti altissima. La fine (provvisoria?) del gasdotto che congiungeva direttamente russi e tedeschi scavalcando polacchi, ucraini e altri Paesi intermedi è il più importante successo americano nella guerra sempre meno indiretta contro la Russia che Washington sta condu-
cendo dopo il 24 febbraio. Il principio primo della geopolitica americana è da oltre un secolo impedire la congiunzione fra energia russa e industria tedesca – tout court : fra potenza russa e potenza tedesca. La fine del Nord Stream è il più grave colpo che si potesse infliggere a chi, sia a Mosca che a Berlino, pensava o pensa di poter continuare lungo il percorso inaugurato negli anni Settanta dal cancelliere Brandt e dal leader sovietico Brežnev, proseguito fino all’aggressione russa all’Ucraina.
Questo significa che d’ora in avanti i margini di manovra per chi in
Germania conta ancora di tenere in vita il rapporto speciale con la Russia tendono allo zero. Oppure implicano rappresaglie americane sempre più robuste. In chiaro: il grado di sovranità della Bundesrepublik resta limitato, specie in tempo di guerra.
A oggi, la Germania è il Paese europeo che dopo l’Ucraina ha subìto i danni più pesanti dalla guerra in corso. In un colpo solo Berlino ha perso la vitale interdipendenza energetica stabilita cinquant’anni fa con la Russia; dubita della protezione strategica americana né può disporre di un deterrente nucleare proprio, co-
me invece la Francia (ciò che potrebbe indurre Berlino a dotarsene, nel caso provocando pesantissime rappresaglie americane); vede a rischio quote rilevanti di mercato cinese, su cui dalla fine del secolo scorso aveva puntato a occhi chiusi, addirittura immaginando che attraverso il commercio si sarebbe potuto mutare il carattere autocratico del regime cinese («Wandel durch Handel»). Comunque questa guerra vada a finire, la Germania non ne uscirà più forte. Non una buona notizia per chi ha a cuore la stabilità e la prosperità del nostro Continente.
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Stazione di arrivo di Nord Stream in Germania. Chiunque sia stato a far saltare i tubi ha colpito, insieme a quello russo, l’interesse tedesco. (Keystone)
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L’Apocalisse dei siriani e il cinismo di Assad
Il punto ◆ Guerra civile e tensioni interne rallentano l’arrivo degli aiuti nelle zone di confine colpite dal terremoto mentre Damasco cerca di riacquistare credito internazionale e riguadagnare territori sfuggiti al suo controllo
Francesca Mannocchi
La notte tra il 5 e il 6 febbraio il terremoto di magnitudo 7,8 non ha scosso solo la Turchia e la Siria, uccidendo diverse decine di migliaia di persone, devastando intere città, accartocciando migliaia di edifici, ma ha scosso anche molti equilibri geopolitici che rischiano di rimodellare le alleanze dei Paesi che finora sono stati protagonisti in quella sofferente area del mondo. E ha avuto l’effetto secondario di riportare agli onori delle cronache una guerra dimenticata e una tra le popolazioni più vulnerabili al mondo: i siriani.
Oggi circa il 90 per cento dei 4,6 milioni di persone nel nord-ovest della Siria fa affidamento sull’assistenza umanitaria
«Non ci sono parole per descrivere la vista di famiglie – la maggior parte delle quali sfollate più di una volta –che hanno dovuto lasciare le loro case al freddo, al gelo, per rifugiarsi in strade pericolose nel cuore della notte», ha detto Fabrizio Carboni, direttore regionale del CICR (Comitato della Croce Rossa Internazionale) per il Vicino e Medio Oriente dopo essere accorso nelle aree colpite, nelle ore immediatamente successive alla tragedia. Il dramma nel dramma è che non esiste un’unica Siria ma almeno tre: quella controllata dal regime di Bashar al Assad, quella sotto il controllo dei ribelli e del gruppo islamista di Hay’at Tahrir al Sham e le regioni semi-autonome controllate dai curdi. Circa la metà dei siriani colpiti dal terremoto vive nell’ultimo grande baluardo di opposizione del Paese, al confine con la Turchia e quindi non sotto il controllo di Damasco, e questo ha riproposto alla comunità internazionale un problema irrisolto da anni.
Sebbene l’accesso alla Turchia non sia un problema, i gruppi umanitari e le Nazioni occidentali sono alle prese con la complicata logistica dell’invio di aiuti di emergenza in Siria, in particolare nelle aree ribelli al di fuori del controllo del Governo. «La Siria è ancora una zona grigia dal punto di vista legale e diplomatico», ha affermato Marc Schakal, responsabile delle operazioni in Siria per l’ente di beneficenza francese Medici Senza Frontiere (MSF). Infatti, per accerchiare le zone controllate dai ribelli, il regime di Damasco – supportato prima dalla sola Russia poi anche dalla Cina, che al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite hanno fatto valere il loro diritto di veto – ha inizialmente lasciato aperto uno solo dei quattro valichi di frontiera da cui possono accedere gli aiuti umanitari. La fetta di territorio è piccolissima, il 4% circa dell’intero territorio siriano, eppure ci vivono – bisognosi di tutto, dal cibo all’acqua ai ripari – circa quattro milioni di persone.
Nelle ore successive al sisma la strada che collegava la Turchia al valico aperto di Bab al Hawa è stata danneggiata e ci sono voluti quasi quattro giorni alla comunità internazionale per inviare i primi aiuti, tra i quali però figuravano medicine e coperte ma non, per esempio, scavatrici per verificare se ci fossero ancora sopravvissuti sotto le macerie. Omar al Bam, fotografo di Idlib, tra i testimoni e i sopravvissuti del sisma, da noi
raggiunto al telefono, descrive uno scenario da Apocalisse e rimprovera l’Occidente. «Ci siamo svegliati sapendo di essere di fronte all’ennesimo incubo – ha detto – ma non pensavamo di tale portata. Il terremoto ha riaperto in noi ferite mai sanate. L’Occidente ci ha dimenticato una volta ancora; l’aveva già fatto quando ha deciso che il nostro destino non meritasse un intervento, e poi ancora quando non ha fatto nulla di fronte alla chiusura dei valichi. Ci avete lasciato vivere accerchiati per anni e ora ne stiamo raccogliendo i frutti. Qui sono innumerevoli i bambini orfani: non sanno se i genitori sono sotto macerie che non possiamo spostare. Continua a scorrere il tempo e continuiamo a non sapere come estrarre i corpi dai detriti. Siamo arrivati al paradosso di pensare che almeno chi vive nelle tende da dieci anni è fortunato: è scampato alla morte».
«Siamo arrivati al paradosso di pensare che almeno chi vive nelle tende da dieci anni è fortunato: è scampato alla morte»
A complicare le cose il fatto che il terremoto ha colpito una regione già martoriata da 12 anni di conflitto, aggravando la crisi umanitaria che era già presente. Oggi circa il 90 per
cento dei 4,6 milioni di persone nel nord-ovest della Siria fa affidamento sull’assistenza umanitaria. Anche prima che lo sciame sismico colpisse, più della metà delle strutture sanitarie era stata distrutta, mentre il conflitto in Siria ha reso beni essenziali come cibo, medicine e carburante, inaccessibili per molti. Recentemente un’epidemia mortale di colera ha infettato più di 85mila persone che non hanno accesso alle cure o ai servizi essenziali. L’approvvigionamento idrico del Paese è stato ridotto tra il 30 e il 40 per cento. Il giorno dopo il terremoto l’inviato del regime siriano alle Nazioni Unite, Bassam Sabbagh, sembrava escludere la riapertura di qualsiasi altro valico di frontiera nelle aree controllate dai ribelli, insistendo sul fatto che tutti gli aiuti dovrebbero invece transitare dall’interno della Siria. «Se qualcuno vuole aiutare la Siria può coordinarsi con il Governo», aveva detto, lasciando intendere che non sarebbe entrato un solo pacco di aiuti se non attraverso le autorità, che però già in passato sono state accusate di lucrare sugli aiuti umanitari, favorire le popolazioni leali a Bashar al Assad, punire le altre e tenere per loro parte di quel materiale diventato così un ennesimo bottino di guerra. Poi qualcosa è cambiato e lunedì scorso, a sorpresa, Bashar al Assad ha dichiarato che avrebbe lasciato aprire altri due valichi. Difficile pensare che sia
improvvisa generosità, più facile che sia un cinico calcolo politico volto ad allentare le sanzioni che gravano da dieci anni sulle spalle del regime. Le Nazioni occidentali, infatti, hanno ritirato i loro diplomatici da Damasco e imposto durissime sanzioni al regime di Assad dopo che aveva lanciato una brutale repressione delle proteste antigovernative nel 2011. Anche la Lega araba aveva sospeso l’adesione del Paese. Poi negli ultimi anni gli Emirati Arabi Uniti hanno cercato di alleviare l’isolamento del regime siriano, riaprendo la loro ambasciata di Damasco nel 2018 e accogliendo Assad ad Abu Dhabi lo scorso anno. Anche l’Arabia Saudita ha inviato aerei di aiuti nella Aleppo controllata da Assad, un gesto importante da parte di uno stato del Golfo ancora in disaccordo con il presidente siriano e che finora aveva inviato aiuti solo alle aree ribelli. Assad ha anche avuto un colloquio telefonico con il presidente egiziano Abdul Fattah al Sisi, il primo tra i due leader da quando al Sisi è salito al potere nel 2014. Un passo importante su cui ricostruire legami, hanno detto due funzionari arabi che hanno incontrato Assad. Permettendo agli aiuti di entrare nella Siria nord-occidentale controllata dai ribelli attraverso più valichi di frontiera dalla Turchia, il presidente Bashar al Assad ha ceduto il passo a una richiesta dei suoi avversari stranieri. La domanda ora, dicono gli analisti, è cosa potrebbe volere in cambio. Sono questi i movimenti secondari del sisma, gli effetti di riposizionamento, a cui hanno reagito, comprensibilmente molto male, i gruppi di soccorso della Siria nord orientale. Il gruppo di soccorso volontario Syria Civil Defence, noto anche come The White Helmets, gli Elmetti bianchi, dopo che le Nazioni Unite hanno accolto con favore la mossa di Assad di aprire nuovi valichi per consentire gli aiuti dalla Turchia hanno espresso un giudizio crudo. «È un fatto scioccante e non capiamo per l’ennesima volta la condotta delle Nazioni Unite», ha detto settimana scorsa all’agenzia di stampa Reuters il capo del gruppo di salvataggio gestito dall’opposizione,
Raed al Saleh. Gli Emetti bianchi da anni assistono le vittime della guerra civile siriana, gli sfollati a causa del combattimento. Al Saleh è stato durissimo e in una lettera aperta pubblicata dalla CNN ha scritto: «Non possiamo perdonare le Nazioni Unite per aver voltato ancora una volta le spalle ai civili siriani nel momento del bisogno. Mentre cercavamo tra le macerie di migliaia di edifici, sono state le comunità locali colpite ad aiutarci: prestando le loro auto e mezzi pesanti, aiutando a scavare e donando carburante che avrebbero potuto usare per riscaldarsi. I siriani hanno bisogno e meritano più sostegno. Le nostre organizzazioni locali e la risposta locale meritano riconoscimento e finanziamenti. Non c’è più tempo da perdere. Il segretario generale delle Nazioni Unite deve avere la visione e la leadership per mettersi dalla parte giusta della storia. Il Consiglio di sicurezza e il regime non dovrebbero essere utilizzati per limitare l’accesso agli aiuti umanitari in futuro. Guterres dovrebbe garantire immediatamente che le Nazioni Unite e le agenzie umanitarie internazionali abbiano un accesso al Paese senza ostacoli per garantire che non si perdano più vite umane».
È chiaro che il sistema delle Nazioni Unite non si è dimostrato all’altezza di gestire nell’immediato la crisi
Gli scenari che abbiamo di fronte lasciano aperto un grande dilemma: allentare a questo punto le sanzioni contro il regime di Assad e sollevare il maggior numero di persone possibile dalla crisi economica per far fronte all’ennesima tragedia, o ripensare il sistema di aiuti da capo? È chiaro, e purtroppo non è la prima volta, che il sistema dell’ONU non si è dimostrato all’altezza di gestire nell’immediato la crisi, così come non era riuscito a gestire il potere di veto del grande alleato siriano nel Consiglio di sicurezza, la Russia. La cosa ancora più tragica è che proprio un mese fa, a gennaio, l’Organisation for the Prohibition of Chemical Weapons (OPCW), l’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche, aveva affermato dopo anni di ricerche, di prove e studi, che vi erano «ragionevoli motivi» per ritenere che siano state proprio le forze governative siriane ad aver usato armi chimiche vietate contro le forze di opposizione nel 2018, nella città di Douma.
Sostenere le mosse di Assad oggi, e non capirne il cinismo, significa rinnovare la cecità che l’Occidente per dodici anni ha avuto rispetto alle politiche di un regime che ha dimostrato di non avere scrupoli e che, forse, sta usando i valichi della salvezza, di nuovo, con questo solo scopo: riacquistare credito all’esterno del Paese e riguadagnare territori che erano finora sfuggiti al controllo di Damasco, controllando gli aiuti umanitari in entrata. Per donazioni Terremoto in Turchia e Siria Catena della Solidarietà
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Svolta a destra il prossimo autunno?
Domenica 12 febbraio si è votato per il rinnovo del Parlamento e del Governo nei Cantoni di Basilea Campagna e Zurigo. Soprattutto l’elezione nel Cantone più popoloso della Svizzera viene considerata un importante banco di prova per i partiti in vista delle elezioni federali di ottobre. Ma è davvero così? Dal risultato delle elezioni cantonali zurighesi si può già intuire quale sarà l’esito delle federali? «Se analizziamo gli ultimi 20 anni, dal voto zurighese è sempre emersa una tendenza che è stata confermata 8 mesi più tardi a livello nazionale», spiega Sean Müller, esperto di politica svizzera, federalismo comparato e democrazia diretta all’Università di Losanna. «È stato così nel 2019, quando i partiti ecologisti hanno vinto prima a Zurigo e poi alle federali. L’onda verde non è quindi arrivata del tutto a sorpresa».
Dalla recente elezione zurighese emerge una sostanziale stabilità. Non si è verificato uno spostamento né verso sinistra né verso destra. Con 91 seggi su 180, la cosiddetta Alleanza climatica ha mantenuto la maggioranza in Parlamento, anche se risicata. L’UDC, la grande sconfitta di quattro anni fa, ha registrato una leggera avanzata (+0,5%), così come il PLR (+0,2%), il PS (+0,01%) e l’Alleanza del Centro (+0,2%), che ha guadagnato tre seggi. Dopo aver ottenuto una vittoria storica nel 2019, i Verdi hanno perso 1,5 punti percentuali e tre poltrone. Anche i Verdi liberali hanno registrato un calo dello 0,2% delle preferenze. Il 2 aprile ci sarà l’ultimo grande test prima delle elezioni federali: si andrà alle urne a Lucerna, Ginevra e in Ticino per il rinnovo di Parlamento e Governo. Sarà un «Super Sunday» in tre regioni linguistiche del Paese che fornirà ulteriori importanti indicazioni ai partiti.
Sean Müller, quali partiti devono preoccuparsi in vista delle elezioni federali?
Il voto a Zurigo e Basilea-Campagna ha evidenziato una grande stabilità e non ha prodotto scossoni politici come nel 2019. Tra gli sconfitti ci sono sicuramente i Verdi che hanno perso tre seggi nel Parlamento zurighese. È un risultato che deve
preoccupare i vertici del partito che hanno ancora 8 mesi per invertire la tendenza negativa. Va ricordato che le indicazioni emerse nelle elezioni cantonali non sempre si riflettono a livello federale, soprattutto se i partiti riescono a reagire, cambiando la loro strategia. E il passato ci insegna che i sondaggi non sono infallibili. A Zurigo, ad esempio, il barometro elettorale prevedeva una sconfitta del Partito socialista che ha addirittura guadagnato un seggio.
Il risultato dei Verdi a Zurigo ci dice che la crisi climatica non è più al centro delle preoccupazioni della popolazione e che l’onda verde si è indebolita?
Direi piuttosto che l’onda si è trasformata. Dal 2019 i Verdi liberali hanno costantemente aumentato la loro base elettorale e hanno più che raddoppiato i loro seggi nei Parlamenti cantonali. Quindi l’onda verde c’è ancora, ma è diventata un’onda verde liberale. Anche se a Zurigo non hanno potuto continuare la loro cavalcata vincente, i Verdi liberali confermano l’ottimo risultato ottenuto 4 anni fa. Il risultato di Zurigo va quindi considerato un successo per il partito più giovane della Svizzera.
I Verdi, come detto sconfitti nel voto zurighese, devono accantonare i loro propositi di conquistare un seggio in Consiglio federale?
Se il risultato zurighese sarà confermato alle federali di ottobre, i Verdi non potranno più rivendicare una poltrona in Governo. Già oggi, con la percentuale attuale, un seggio per i Verdi non è giustificabile, soprattutto se sommato alle due poltrone occupate dai consiglieri federali socialisti. Per entrare nella stanza dei bottoni a Berna, il partito ecologista non solo deve confermare il risultato di 4 anni fa, ma addirittura fare meglio. Alla luce del voto zurighese, oggi, non vedo come possa guadagnare delle preferenze a livello federale.
Dal canto suo, il PLR non è riuscito a conseguire il suo obiettivo, ossia superare il PS e diventare il secondo partito nel Canton Zurigo. Cosa significa questo risultato per
Ora in azione
il rinnovo del Parlamento federale di ottobre?
Il sistema elettorale elvetico promuove la stabilità e la rappresentanza di tutto l’elettorato in Parlamento. Per questo motivo assistiamo raramente a grandi cambiamenti nel panorama partitico, come avviene invece in altri Paesi. Secondo me, il PLR non riuscirà a superare il PS. Il sorpasso potrebbe riuscirgli se nei prossimi mesi saremo chiamati ad affrontare una grave crisi economica. Stando ai sondaggi, viene percepito dall’elettorato come il partito più competente in ambito economico, finanziario e quello più capace di trovare le soluzioni migliori per lottare contro la disoccupazione o l’inflazione. Al momento il dibattito non si concentra però unicamente su argomenti economici e quindi non vedo come il PLR possa diventare la seconda forza politica a livello nazionale.
L’Alleanza del Centro ha invece guadagnato tre seggi e, almeno a Zurigo, sembra aver arrestato un declino che durava da decenni. La scelta di cambiare nome darà
quindi ragione al suo presidente Gerhard Pfister?
Sì, io credo che l’Alleanza del Centro ritornerà a vincere anche a livello federale. Le ragioni di questa inversione di tendenza sono molteplici. Prima di tutto il cambio del nome ha permesso al partito di liberarsi dalla radice cristiana, dalla «c» che lo faceva apparire fuori moda, all’antica, noioso e sorpassato. Grazie al nuovo nome occupa ora una posizione ben definita, tra la sinistra e la destra, e si propone come una forza capace di trovare compromessi tra i due poli. Il compromesso è la grande forza del sistema politico svizzero. L’Alleanza del Centro vuole essere il partito di quell’elettorato che si è stufato della crescente popolarizzazione a cui si sta assistendo in Svizzera. Inoltre con il cambio di nome ha dimostrato che è capace di reinventarsi. Da un giorno all’altro ha smesso quella veste che lo vedeva come il partito legato al modello tradizionale della famiglia, al Sonderbund, all’autonomia cantonale, presentandosi ora come il partito del futuro, del cambiamento e di tutta la Svizzera.
Dopo aver perso nettamente nel 2019, l’UDC ha guadagnato a Zurigo 0,4 punti percentuali. A cosa va ricondotto questo risultato positivo? Ai temi su cui punterà in campagna elettorale: politica d’asilo, migrazione, sicurezza, neutralità e il dibattito intorno alla lingua inclusiva?
Stando ai sondaggi sono altre le preoccupazioni della gente: il carovita, la sicurezza sociale, l’aumento dei costi delle casse malati. L’UDC guadagna consensi quando gli altri partiti sono deboli e non riescono a mobilitare la loro base elettorale. Una base elettorale composta da persone che provano delle simpatie per il PS, i Verdi o il PLR, ma che non va a votare per varie ragioni: perché si tratta di giovani e se ne dimenticano, perché pensano che comunque non serva a nulla o che non sia importante recarsi alle urne. Se gli altri partiti condurranno una campagna elettorale convincente, non vedo come l’UDC possa aumentare e superare il 30% delle preferenze. Credo che abbia ormai raggiunto il culmine della sua forza elettorale.
Negli ultimi 10 anni le elezioni federali sono state influenzate più dai temi internazionali che da quelli nazionali. Nel 2011 dalla catastrofe di Fukushima, nel 2015 dalla crisi migratoria, nel 2019 dalla crisi climatica. Nel 2023 quali problemi potrebbero condizionare la campagna elettorale?
Finora sembra che sarà la guerra in Ucraina e le conseguenze che avrà in Svizzera. Al momento rimane comunque un conflitto molto lontano, se non fosse per le decine di migliaia di profughi che hanno cercato rifugio da noi. In ogni caso la guerra potrebbe vivere un’escalation di violenza e avere gravi ripercussioni sul nostro Paese e sul dibattito politico interno. Se la guerra dovesse diventare davvero il tema dominante prima delle elezioni federali di ottobre, allora potremmo assistere a una svolta a destra in Consiglio nazionale poiché, stando ai sondaggi, l’UDC e il PLR sono considerati i partiti che sanno fornire le soluzioni migliori per salvaguardare la sicurezza internazionale e la protezione nazionale.
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Le elezioni nel canton Zurigo sono considerate dagli esperti un test importante in vista delle elezioni federali di ottobre. Le indicazioni emerse dalla recente consultazione secondo il politologo Sean Müller
Luca Beti
Tra gli sconfitti i Verdi che hanno perso tre seggi nel Parlamento zurighese. (Keystone)
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La fotografia di Werner Bischof
Una mostra al MASI ci racconta lati inediti degli scatti del fotografo svizzero, in particolare il suo virtuosismo tecnico e l’utilizzo del colore
Incontri eccezionali
A tu per tu con Ursula K. Le Guin grazie a una collettanea di testi con riflessioni sulla politica, il femminismo e divagazioni sulla bellezza
Julia Hagen al LAC
Nell’attesa di sentirla a Lugano, intervista alla violoncellista di Salisburgo cresciuta nel segno della musica grazie al papà Clemens Hagen
Il Rinascimento fantastico di Hieronymus Bosch
Mostra ◆ Fino al 12 marzo a Palazzo Reale di Milano una mostra celebra il pittore
olandese
Avvicinarsi alla pittura di Hieronymus Bosch è spalancare una porta sulla stanza del fantastico. La storiografia artistica cinquecentesca di area italiana e spagnola ne parla da subito in termini di «pictor gryllorum», pittore di scene ridicole, definizione che si cristallizzerà nei secoli accanto a quella di «pittore di inferni e mostri», per stare alle parole del cronista Marcantonio Michiel, uno dei suoi primi recensori. La mostra che Milano gli dedica, ospitata nelle sale di Palazzo Reale, offre un percorso che si articola in un centinaio di opere d’arte tra dipinti, arazzi, incisioni, bronzetti – di Bosch e alla maniera di Bosch – raccolti grazie alla collaborazione di ventinove istituzioni museali italiane ed europee, collezioni pubbliche e private.
La parabola umana e artistica di Bosch si compie nei Paesi Bassi tra il 1450 circa e il 1516 ma la culla della sua fortuna sarà l’Europa meridionale: la Venezia delle collezioni di Domenico e Marino Grimani e la Spagna della dinastia asburgica e dei mecenati che vi gravitano attorno. Dal mondo fiammingo eredita un’idea di realtà policentrica dove la moltiplicazione degli osservatori genera, a sua volta, una stratificazione
degli oggetti. Un realismo basato sulla pluralità e sulla grande attenzione al dettaglio a cui si richiama la tesi della mostra di Bosch come interprete di un Rinascimento alternativo, eccentrico rispetto a quello vasariano, di casa nell’Italia centrale.
Il suo modo di dipingere ha avuto grande fortuna; la moda delle «immagini alla Bosch» si diffonde in Europa utilizzando tecniche come l’arazzo o l’incisione
La mostra è organizzata per sezioni dedicate a temi come il sogno, la magia, la rappresentazione della fine dei tempi. Per fare un’esperienza immersiva nell’arte di Bosch non resta allora che vestirci della giusta curiosità, alla scoperta delle infinite sfaccettature del fantastico. E già nella prima sala non saremo delusi: il Trittico delle Tentazioni di sant’Antonio (nell’immagine qui sopra, risalente al 1500 circa, proveniente dal Museu Nacional de Arte Antiga di Lisbona) ci racconta il mondo policentrico e fantasmagorico di Bosch, la sua visione lenticolare della realtà. In Italia per la prima vol-
ta, il Trittico è un’opera magistrale di cui si contano molteplici versioni. C’è tutto Bosch: le architetture fantastiche, i personaggi grotteschi, i fuochi guizzanti, le creature mostruose tanto che a quest’opera si attaglia perfettamente la definizione dei suoi dipinti come piccoli universi compiuti. Certo, il soggetto era stato ampiamente trattato, e l’iconografia del santo alle prese con diavoli e seduttrici gettonatissima nelle committenze; la rivoluzione di Bosch, però, è il doppio registro di lettura dell’opera: moralistico, secondo i dettami dell’arte sacra del tempo, e allegorico. Come dire, l’allegoria e il ridicolo alla fine sono rafforzativi del messaggio morale che si vuole veicolare: la forza nel resistere alle lusinghe del male o la riflessione sulla vita ultraterrena.
Come le tentazioni di san’Antonio, anche il giudizio finale era un tema ricorrente nell’arte del XVI secolo: la tensione escatologica era forte e la preoccupazione per il destino ultraterreno dell’anima si esprimeva nella grande produzione di immagini di questo tipo. Il Giudizio finale (1500 circa) esposto in mostra apparteneva alla collezione di Marino Grimani; Bosch crea un ponte ideale tra le suggestio-
ni dell’iconografia fiamminga a cui si ispira – Hans Memlig, Jan Van Eyck – e le successive interpretazioni del tema, in Europa e fuori, che si rifaranno al suo Giudizio. Le creature mostruose che lo popolano, gli ibridi, i dettagli inquietanti sono lì a ricordarci che la fine dei tempi non è cosa da poco e che un conto ci verrà presentato. Il suo modo di dipingere ha avuto grande fortuna; la moda delle «immagini alla Bosch» si diffonde in Europa utilizzando tecniche come l’arazzo o l’incisione, che diventerà il mezzo principale della circolazione del suo linguaggio. Bosch dà forma a una narrazione di episodi religiosi e credenze popolari attingendo a una cultura fatta anche di magia e di alchimia. Egli utilizza un linguaggio onirico e fantastico per ricordarci che la complessità e la contraddizione sono la cifra dell’uomo, lui figlio di un tempo inquieto che sfocerà nella temperie religiosa della Riforma prima e della Controriforma poi.
La sua opera è anche fortemente legata alla moda del collezionismo enciclopedico che comincia a diffondersi nelle corti europee del tempo. Collezionismo con intenti tassonomici certamente, ma più spesso cele-
brativi dello status sociale del proprietario, in ogni caso destinati a suscitare la curiosità nel pubblico. Nella sala finale del percorso è ricostruita un’ideale Wunderkammer ; al centro campeggia una copia cinquecentesca del pannello centrale del Giardino delle delizie a ricordare le categorie con cui erano organizzate le collezioni: i naturalia, gli artificialia, ciò che l’uomo crea, e infine i mirabilia, la categoria dello straordinario, esemplificata dal Vertumnus di Giuseppe Arcimboldo.
Che poi, se ci pensiamo, sono le stesse categorie che perimetrano le nostre esistenze. Bosch è un grande anticipatore di movimenti che, come l’Espressionismo e il Surrealismo, guarderanno alla realtà con occhi nuovi. A lui siamo debitori di come la moltiplicazione dei punti di vista e delle chiavi di lettura di ciò che ci circonda non vada a detrimento del significato, ma restituisca complessità e ricchezza conoscitiva.
Dove e quando Bosch e un altro Rinascimento, Palazzo Reale, Milano, fino al 12 marzo. Ma-me-ve-sa e do 10.00-19.30, gio 10.00-22.30. www.palazzorealemilano.it
CULTURA ● ◆ Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVI 20 febbraio 2023 azione – Cooperativa Migros Ticino 25 © DGPC/Luísa Oliveira
Alessandra Matti
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Un Werner Bischof inedito protagonista al MASI
Mostra ◆ Per la prima volta un’esposizione racconta l’utilizzo del colore del fotografo svizzero che raggiunge risultati quasi pittorici Gianfranco Ragno
È estremamente suggestivo scoprire nuovi aspetti di uno dei fotografi svizzeri più famosi come Werner Bischof (1916-1954). Per la prima volta l’esposizione al MASI di Lugano mette in luce il lato più inedito dell’artista zurighese e cioè quello riguardante l’utilizzo del colore.
Fino a oggi si conoscevano alcune delle sue immagini realizzate con queste speciali pellicole, come, ad esempio, il volto del ragazzo olandese graffiato di schegge e con l’occhio di vetro, discussa copertina della rivista «DU» del maggio del 1946. Oppure altre contenute nel fortunato libro illustrato Japan, edito per Manesse del 1954, tra cui la magnifica copertina.
Ma mai fino ad ora si era indagato approfonditamente ed in maniera esaustiva l’utilizzo del colore, ovvero analizzando, in modo congiunto, sia l’attività pubblicitaria sia quella di reportage. Tutto ciò è stato reso possibile grazie ad un lavoro d’archivio finalizzato a proporre al pubblico immagini inedite e altre stampe digitali da negativi recentemente restaurati, per un totale di un centinaio di fotografie in mostra.
Nato a Zurigo nel 1916, Werner Bischof frequentò la nota scuola di arte applicate (Kunstgewerbeschule) di Zurigo (1933-1936), dove insegnava Hans Finsler, docente tedesco attento alle nuove tendenze insieme ad altri maestri della grafica e della composizione. Subito dopo il periodo formativo, Bischof aprì il suo studio fotografico pubblicitario e a causa della guerra si trovò ad operare forzatamente entro i confini svizzeri.
La prima sezione dell’esposizione corrisponde proprio alla fotografia di studio. Già dalle prime prove si nota il suo virtuosismo tecnico, il preciso equilibrio della composizione – si tratti di oggetti, di fiori o di persone. Bischof può utilizzare un banco ottico di grande formato, il Devin Tri Color, che produce dei triplici negativi a colori di altissima qualità; il giovane fotografo ne esplora le possibilità creative, con esperimenti formali, fi-
no a toccare risultati di un innegabile lirismo. Si tratta di immagini per la pubblicità e, in seconda battuta, per quell’industria tipografica svizzera allora all’avanguardia nella produzione di stampati a colori.
La seconda sezione si sviluppa nel secondo dopoguerra – Bischof esce dallo studio per entrare nel mondo profondamente ferito, e nel suo sguardo si inizia a cogliere quella profonda umanità e partecipazione che tanto lo ha contraddistinto. Sul piano tecnico, utilizza soprattutto una Rolleiflex 6x6, quindi dal formato quadrato.
Con il collega Emil Schulthess parte per una sorta di viaggio dantesco nell’Europa postbellica, diventando testimone delle macerie di un continente distrutto. Attraversa le città più colpite dai bombardamenti – Colonia, Dresda e infine Berlino. Qui fotografa, a colori, un Reichstag spettrale, crivellato, scavato dalle schegge delle bombe, che sembra sbriciolarsi agli occhi di chi guarda l’immagine. Da qui in avanti il suo viaggio non si ferma più: si sposta da un continente all’altro, dall’India all’Asia e al Giappone, e ancora tutta Europa.
Entra in Magnum nel 1949 – la celebre cooperativa indipendente di fotogiornalisti – e pubblica sui principali magazine mondiali, come «Life». A volte si sofferma sulle giovani vittime dei conflitti, con particolare empatia, senza pietismo o spettacolarizzazione del dolore. Una sensibilità che riporta anche nelle produzioni a colori dove la sfida aggiuntiva è quella di trovare un bilanciamento tra le aree di colore intorno al soggetto, giungendo a esiti modernissimi, quasi pittorici. Una terza sezione indaga le immagini prodotte sull’utilizzo della più agevole e leggera Leica – una reflex che usa una pellicola 35 mm, lo stesso apparecchio reso celebre da Henri Cartier-Bresson. Nel 1953 è negli Stati Uniti, dove il nuovo mondo si presenta in tutta la sua modernità, con il suo panorama urbano fatto di linee e geometrie spinte verso l’alto – Bischof coglie gli aspetti grafici con abilità, come d’altra parte fece in tutta la sua carriera, grazie alla padronanza del mezzo fotografico. Come è proprio del suo stile, con l’agile strumento produce composizioni pressoché perfette, caratterizzate dall’equilibrio e dalla purezza delle linee.
Proprio durante questo viaggio nelle Americhe, Bischof decide
di spostarsi verso il Sud del Nuovo Continente dove si offrono all’obiettivo le geometrie delle civiltà precolombiane. Purtroppo, il 16 maggio del 1954, durante un trasferimento Bischof muore a trentotto anni in un incidente automobilistico sulle Ande peruviane. Nove giorni dopo in Indocina se ne va anche il suo collega e fondatore della Magnum, Robert Capa.
L’esposizione luganese – progettata dal MASI Lugano, la Fotostiftung Schweiz (Fondazione svizzera per la Fotografia) e Werner Bischof Estate – offre, senza dubbio, una nuova prospettiva ed un suggestivo aggiornamento riguardo questo autore molto amato. Al contempo conferma quelle che sono state le sue capacità di coniugare le qualità estetiche – assorbite durante il periodo zurighese – all’impegno sociale attraverso il quale ha dato testimonianza di ciò che accadeva nel mondo. Ed è questo che ancora oggi fa di Werner Bischof un vero artista.
Dove e quando Werner Bischof. Unseen Color, Lugano, Museo d’arte della Svizzera Italiana, LAC. Fino al 2 luglio 2023. www.masilugano.ch
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Werner Bischof, Modella con rosa, Zurigo, Svizzera, 1939. (© Werner Bischof Estate / Magnum Photos). Werner Bischof, Il Reichstag, Berlino, 1946. (© Werner Bischof Estate / Magnum Photos)
Un libro necessario tra quadernetti e ritrosie
Pubblicazione ◆ Giovanna Cordibella sulla pratica dello scrivere e del comporre letteratura degli scrittori svizzeri di lingua italiana
Stefano Vassere
Il consiglio di mettere il meno possibile il naso nella vita degli scrittori, che era, e non senza qualche ragione, delle avanguardie strutturaliste di qualche decennio fa, era spesso accompagnato da un corollario di peso: non chiedete allo scrittore della sua esistenza ma tanto meno chiedetegli conto della sua attività di scrittore. Secondo le posizioni più estreme, chi scriveva era considerato persona poco o nulla adatta a dirci qualcosa sulla sua produzione letteraria e da talune cattedre di quei tempi (soprattutto, ça va sans dire, quelle di letteratura francese) capitava nelle esercitazioni di ricevere fogli con testi privati dell’indicazione dell’autore.
Abbondano i taccuini da annotare sul tram o al bar o «dove capita», ma ci sono anche saggi di stampa digitale con annotazioni a margine o in calce
Il bel libro di Giovanna Cordibella I retroscena della scrittura. Come lavorano le scrittrici e gli scrittori in lingua italiana della Svizzera rappresenta quindi tra l’altro anche il superamento di quelle ormai antiche prospettive, perché ai quarantatré autori è chiesto conto di praticamente tutti gli aspetti legati alla loro attività: se hanno un metodo quando scrivono, quando e dove concretamente compongono le loro opere, se ancora ricorrono alla carta o se sono definitivamente sbarcati sul digitale, come governano il procedere dei vari progetti accostati, come trattano i libri della loro biblioteca privata, i rapporti con gli editori, che cosa contano di fare del proprio materiale di lavoro quando questo abbia costituito un corpus significativo degno di essere conservato e studiato, se siano o non
siano stati sostenuti da enti pubblici nella loro attività.
Le risposte degli autori (non se ne citerà qui nemmeno uno, perché il timore della presentazione di queste rassegne è quello, classico, di essere rimproverati di avere lasciato fuori questo, promosso quell’altro ecc.) sono un po’ originali e discordanti e personali e leggermente in linea con
ruoli e statuti: in quest’ultima compagine stanno quelli che a fronte della richiesta di descrivere il proprio metodo scrittorio rispondono che non hanno un vero e proprio sistema e che spesso la scrittura viene come viene, sgorgando da chissà dove, in una sorta di consapevole understatement che fa dire che si invidia chi abbia un metodo, un rigore e un certo ordine. E
ancora alcuni non resistono alla tentazione di fornire un esempio di prosa letteraria, di essere in un qualche modo «creativi», anche in questa stessa occasione, descrivendo la propria attività di scrittura come una sorta di avventura o epopea eroica, collocandosi all’interno di un quadro in un qualche modo letterario. Agli scrittori sembra piacere, insomma, raccontare sé stes-
si e cercano di farlo nel modo più abbondante ed elegante possibile. In barba alla tradizione semiotica di cui qui in apertura, questo libro è molto interessante, utile e in un certo senso anche necessario. E lo è anche nelle parti a un primo approccio meno probabili: ogni «scheda» dedicata a uno scrittore si apre per esempio con la riproduzione di un materiale di preparazione, un brogliaccio, bozze, appunti, schemi manoscritti; un frammento di progetto ma anche una sorta di dichiarazione di un costume, che in molti casi ci annuncia già un po’ quello che troveremo nella susseguente parte più concretamente testuale: abbondano i quadernetti tipo Moleskine, da annotare sul tram o al bar o «dove capita», ma ci sono anche saggi di stampa digitale con annotazioni a margine o in calce, più creativi mosaici di post-it sulla parete, altre espressioni. Talora, l’esercizio di lettura e commento di operazioni come questa rileva anche le assenze eccellenti, in questo caso rappresentate dagli scrittori che non ci sono più. I quali però vivono qua e là nelle testimonianze di loro eredi. E proprio di uno di loro, più e più volte ricordato in questo libro, ci è lasciata la nota osservazione sull’eterno dilemma delle annotazioni a margine sui libri delle nostre biblioteche di casa. «Devo aver preso fin troppo sul serio», dice un intervistato, «l’invito che tanti anni fa, quando ero uno studente liceale, ci rivolgeva Giovanni Orelli a scuola: diceva di pasticciarli, i libri, per lasciare una traccia del nostro passaggio».
Bibliografia
Giovanna Cordibella, I retroscena della scrittura. Come lavorano le scrittrici e gli scrittori in lingua italiana della Svizzera, Locarno, Armando Dadò editore, 2022.
I sogni, i cani e il femminismo di Ursula K. Le Guin
Pubblicazione/2 ◆ Sur pubblica una preziosa raccolta di testi dell’autrice statunitense scomparsa nel 2018
Gli incontri eccezionali sono rari, lo sono nella vita, nell’amore e la regola vale anche coi libri, le autrici e gli autori: I sogni si spiegano da soli di Ursula K. Le Guin edito da Sur, è una gemma preziosa, un testo unico. Raccoglie discorsi, interventi, articoli che la scrittrice statunitense (nell’immagine) insignita del National Book Award alla carriera nel 2014 e di molti altri riconoscimenti ha tenuto e scritto nel corso di vari anni.
In questa collettanea si spazia da riflessioni sulla politica a divagazioni sulla bellezza, da analisi del blocco dello scrittore o della scrittrice a pagine dedicate alla vecchiaia e al rapporto tra le autrici e la maternità. Ogni singolo contributo nel libro è caratterizzato dalla presenza di idee originali e riferimenti culturali puntuali, nonché alla vita quotidiana. Scopriamo allora, attraverso la lettura dei testi di Le Guin, che i cani, a differenza dei gatti, non hanno nessuna coscienza di dove cominci e finisca il proprio corpo, come dimostra il fatto che un chiwawa è capace di abbaiare a un alano, senza rendersi minimamente conto che l’altro potrebbe mangiarselo in un sol boc-
cone. A causa di questa grave forma di incoscienza i cani non hanno nessun tipo di consapevolezza estetica. I gatti, invece, che conoscono bene le loro dimensioni, sanno come evitare di schiacciarsi la coda in una porta e anche come apparire più belli, in ogni momento e contesto. A partire da questa divagazione di etologia, Le Guin definisce la bellezza «un gioco» che ha sempre delle regole e prosegue condensando in una frase la condanna che in tanti altri saggi femministi abbiamo letto diluita in pagine e pagine, senza la stessa efficacia, sulla sofferenza che deriva dal dover aderire a dei canoni di bellezza
imposti: «Ci sono tanti modi di essere perfette, e nessuno di questi passa attraverso la punizione». In questo stesso brano intitolato Cani, gatti e danzatori: riflessioni sulla bellezza Le Guin dice del suo spaesamento e della sofferenza per l’invecchiamento, dei cambiamenti che subiscono i capelli col passare degli anni, della scomparsa del punto vita e del fiorire di nei e lo fa con grande ironia e sapienza, per poi riflettere sul legame inscindibile tra anima e corpo e quindi sulla morte.
In La vecchietta spaziale ragiona sul fatto che se si dovesse scegliere chi inviare su un altro pianeta come miglior rappresentante della specie umana, senza dubbio dovrebbe essere una vecchietta. Consapevole che una donna anziana sarebbe la prima, invece, a essere sacrificata dal sistema patriarcale perché «la menopausa è probabilmente l’argomento meno seducente al mondo, ed è interessante, perché è uno dei pochissimi argomenti a cui restano attaccati brandelli e rimasugli di tabù», Le Guin non avrebbe dubbi sulla sua scelta. Per lei, infatti, una donna anziana è sicuramente il tipo umano che più di tutti ha «sperimentato, accettato e agito l’intera condizione umana – la cui qualità essenziale è il “Cambiamento” – e la vecchietta alla fine accetterebbe perché sa benissimo […] che Kissinger non è mai stato, né mai potrà andare dove è stata lei».
In vari testi contenuti in questa raccolta Le Guin parla del femminismo, con la stessa profondità e genialità con cui scrive del senso estetico dei gatti, a partire da punti di vista del tutto originali, innovativi, possibili solo a chi, come lei, sa che «la
verità è una questione di immaginazione». In primo luogo chiarisce che la struttura intera su cui si fonda la società contemporanea è forgiata sul maschile e che la lingua del potere, intesa come strumento di veicolazione di valori e leggi è «una lingua degli uomini». Si tratta di un concetto che era molto dibattuto nel femminismo della differenza negli anni ’80 in Italia, in Francia e anche negli Stati Uniti, secondo il quale la lingua della
relazione, si potrebbe dire dell’umanità, si oppone a quella maschile che racconta e ambisce solo alla competizione, secondo la legge arcaica del mors tua vita mea. Per questo, in un discorso che tiene nel 1983 al Mills College per la consegna dei diplomi, dice alle giovanissime che le siedono di fronte: «Il successo equivale al fallimento di qualcun’altra». Le Guin insiste sull’evidenza che il sistema patriarcale è responsabile delle ingiustizie perpetrate nel mondo: dalla povertà di molti per la ricchezza di pochissimi alla distruzione del pianeta. Questo perché i valori veicolati attraverso «la lingua degli uomini» sono la competitività senza limiti, l’avidità, lo sfruttamento delle risorse… Il suo femminismo è quindi rivoluzionario sia dal punto di vista politico che etico e si fonda sulla necessità che le donne imparino a non avere paura l’una dell’altra: «Ascoltate le altre donne […]: se non le ascoltate come potrete mai capire quello che vi dice vostra figlia?».
Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVI 20 febbraio 2023 azione – Cooperativa Migros Ticino CULTURA 27
Bibliografia Ursula K. Le Guin, I sogni si spiegano da soli, Sur, Roma, 2022.
Keystone
Wikipedia
Laura Marzi
DA BOTTIGLIA A COMPAGNA DI VIAGGIO
Il viaggio sostenibile comincia dal bagaglio. Migros propone borse e valigie in R-PET della misura e del colore più adatti a ciascun membro della famiglia
SUGGERIMENTO
Quali sono i vantaggi dell’R-PET?
Rispetto alla produzione di PET vergine, quella di R-PET richiede solo metà dell’energia e genera emissioni di CO2 cinque volte inferiori. Secondo la Fondazione Svizzera per il Clima, il PET riciclato è al 75% più ecologico in confronto al PET di nuova produzione.
Quante volte si può riciclare il PET?
Il PET può essere riciclato al 100% senza che perda, in pratica, le sue proprietà. Può quindi essere riutilizzato a oltranza per la realizzazione di nuovi prodotti di pregio. Come viene prodotto l’R-PET?
Gli imballaggi in PET ricavati dalla raccolta differenziata vengono per prima cosa triturati e puliti. Dai cosiddetti fiocchi così ottenuti si ottengono poi, attraverso vari processi di lavorazione, i prodotti più diversi, fra cui borse e valigie.
1 Trolley a guscio rigido in R-PET, taglia M (disponibile anche in S), colore nero o beige Fr. 89.95
2 Valigia morbida in R-PET, taglia S (disponibile anche in L) Fr. 69.95
3 Trolley morbido in R-PET, taglia M (disponibile anche in S), in quattro colori diversi Fr. 79.95
4 Borsa per bambini in R-PET con rotelle, disponibile in due colori Fr. 59.95
Acquista valigie di diverse misure, così puoi infilarle l’una nell’altra e risparmiare spazio quando le riponi 1 2 3 4
Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVI 20 febbraio 2023 azione – Cooperativa Migros Ticino MONDO MIGROS 28
Foto: Getty Images
Altri prodotti in R-PET migros.ch/prodotti-r-pet
La banana con il cinnamomo
Musica ◆ La violoncellista Julia Hagen si svela tra vezzi, ricordi e passioni Enrico Parola
«Quando ho iniziato a rendermi conto che mio padre era un importante violoncellista? Quando la gente ha iniziato a chiedermi come fosse vivere in casa con un grande violoncellista… Per me Clemens è sempre stato un bravo papà; certo, lo sentivo esercitarsi, si assentava anche a lungo per le tournée, ma poi, quando era con noi, faceva quello che fanno i padri di tutto il mondo».
Eppure, alla fine, Julia ha seguito le orme di Clemens Hagen, fondatore e anima di uno dei quartetti più celebrati nel firmamento concertistico internazionale, e che tra l’altro porta il nome di famiglia: Quartetto Hagen. Nata a Salisburgo, la città di Mozart, 28 anni fa, perfezionatasi al Conservatorio di Kronberg (fortuita coincidenza, lo stesso di Anastasia Kobekina, la violoncellista che l’ha preceduta sul palco del LAC nella stagione della Osi), la talentuosa violoncellista austriaca è solista in uno dei più bei concerti mai scritti per il suo strumento, quello di Dvorak. «Come scrisse Victor Hugo, la musica esprime quello che le parole non possono dire; io non sono brava a parlare, le note mi aiutano a comunicare agli altri quello che ho dentro. Non parlo solo di classica: credo che ogni genere musicale, dal jazz al blues, dal pop al rock, abbia fondamentalmente questa funzione».
L’incontro con il violoncello è avvenuto per gioco: «Avendo entrambi i genitori musicisti potrei dire, poeticamente, che il mio incontro è avvenuto quando ero ancora nella pancia di mia madre, che sono nata e cresciuta immersa nella musica, quasi che il mondo dei suoni fosse un liquido amniotico spirituale. Può essere, però se devo rispondere citando ricordi e avvenimenti concreti, allora forse è meglio raccontare un’altra storia. Mi piaceva giocare a nascondino, uno dei miei rifugi preferiti era la custodia del violoncello di mio padre, molto più efficace della coperta che mi mettevo in
Gli insegnamenti della Commedia delle maschere
Teatro ◆ La rappresentazione de l’Arlecchino muto per spavento ha conquistato il pubblico di Locarno
Giorgio Thoeni
testa quando ero piccolissima pensando che nessuno mi vedesse più: fu lì che quello strumento – all’epoca mi sembrava davvero enorme – iniziò a interessarmi, seppur per motivi ludici. Poi avevo due fratelli maggiori che suonavano e mi piaceva l’idea di condividere qualcosa con loro, e la cosa più semplice si rivelò essere la musica». A undici anni la crisi: «Non volevo più suonare, mi annoiavo terribilmente; lo confessai ai miei genitori, che non si opposero; mi dissero solo che avrei dovuto dirlo io al mio insegnante; non ebbi il coraggio e continuai… Dopo poco però mi trovarono un nuovo maestro al Mozarteum della mia città, Enrico Bronzi (solista e fondatore del Trio di Parma, ndr.): fu la svolta, rimasi travolta dalla sua passione per il violoncello e per la musica in generale, oltre che rapita dalla sua perizia nel farmi capire tanto gli aspetti tecnici quanto le questioni più squisitamente interpretative. Con lui decisi che non mi sarei più allontanata dal violoncello, e così è stato, fortunatamente».
Accanto a lui un altro maestro è stato Heinrich Schiff: «Lo ammiravo come solista, veniva anche a casa nostra a trovare papà; è stato straordinario potermi perfezionare con lui per due anni». Dopo quelle sui ricor-
Con «Azione» al LAC
«Azione» mette in palio alcuni biglietti per il concerto diretto da Krzysztof Urba´nski con la violoncellista Julia Hagen giovedì 2 marzo alle 20.30 al LAC. Per partecipare al concorso inviate una mail a giochi@azione.ch, oggetto «Dvorak» con i vostri dati (nome, cognome, indirizzo, no. di telefono) entro domenica 26 febbraio alle 24.00.
di d’infanzia e sul percorso di studi, Hagen concede un’altra confidenza: «Quando ho iniziato a suonare in pubblico, tra i miei vezzi c’era quello di mangiare una banana col cinnamomo prima di salire sul palco; ero a Vienna, dovevo debuttare al Konzerthaus, avevo con me la banana, ma non il cinnamomo; ero nervosissima, mio fratello dovette girare non so quanti supermercati per trovarmelo; da allora ho deciso di ricorrere a strategie più comode da reperire; ora per rilassarmi, concentrarmi e darmi energia preferisco praticare yoga».
Nel frattempo, dopo il Konzerthaus, sono seguiti altri debutti fondamentali: all’altra sala mitica di Vienna, il Musikverein, sede del Concerto di Capodanno dei Wiener Philharmoniker con i valzer degli Strauss, la Suntory Hall di Tokyo e la Tonhalle di Zurigo. Imbraccia un prezioso Ruggieri del 1684, datole da un privato austriaco: «L’hanno dovuto letteralmente ricostruire, l’avevano anche immerso nella malta; ora ha un suono scintillante, un timbro caldo, una grande generosa cantabilità». La cantabilità probabilmente non sarebbe la prima caratteristica con cui descrivere la quinta sinfonia di Beethoven, che il nuovo Direttore Ospite Principale dell’OSI Krzysztof Urbański affronterà nella seconda parte del concerto; eppure è curioso ricordare come l’ispirazione per «le quattro note più famose della storia musicale» (copyright Leonard Bernstein) da cui scaturisce un vero big bang orchestrale fatto di ritmi e sonorità rapinose – emblema sonoro dello spirito prometeico beethoveniano e della sua titanica lotta contro «il destino che bussa alla porta» – fu il canto dello Zigulo giallo, un uccellino che Beethoven udì in un parco viennese; il compositore trascrisse il suo richiamo ricorrendo ai tre sol seguiti dal mi bemolle e scandì le quattro note con un ritmo che ancor oggi stupisce e folgora per forza e modernità.
Quando approdano spettacoli di un certo tipo, ogni scuola di teatro che si rispetti dovrebbe avvertire una sorta di urgenza propedeutica nel suggerirne la visione ai propri allievi. La considerazione ci è scaturita con la visione di Arlecchino muto per spavento visto recentemente al Teatro di Locarno. Raramente, infatti, i più giovani hanno la possibilità di assistere a esempi di Commedia dell’Arte realizzati con un artigianato esemplare e fedele alla tradizione. È un esercizio che la compagnia Stivalaccio di Vicenza persegue con una ricerca nell’ambito del teatro popolare realizzando spettacoli come, appunto, questo Arlecchino, testimone di un’eredità alla base del repertorio moderno. Produzioni così sono difficili da incontrare ma sono la dimostrazione che si può vedere un teatro professionale che esprime un’attorialità costruita su una disciplina fisica e vocale di grande impatto e condivisione con il pubblico. Un gioco teatrale basilare, rigoroso e impegnativo che a prima vista può apparire improvvisato ma che in realtà racchiude tutti i meravigliosi insegnamenti della Commedia.
Ispirato a Arlequin muet par crainte di Luigi Riccoboni, lo spettacolo riprende uno dei suoi canovacci più rappresentati nella Parigi del primo Settecento
Lo spettacolo proposto dalla compagnia vicentina ha debuttato nel maggio dello scorso anno, pochi giorni dopo la prematura scomparsa di Eugenio Allegri, attore e regista dal riconosciuto talento e impegno sociale. Questo Arlecchino gli è dedicato proprio in quanto attinge a un cano-
vaccio che, come lui stesso amava ricordare, va alla ricerca delle proprie origini, della propria storia, per ritrovare una memoria attiva di un discorso sul teatro rivolto alla società. Ispirato a Arlequin muet par crainte di Luigi Riccoboni (1676-1753), autore e attore modenese naturalizzato francese, lo spettacolo riprende uno dei suoi canovacci più rappresentati nella Parigi del primo Settecento.
La trama è di quelle classiche. Il servitore bergamasco, maldestro chiacchierone, deve fingersi muto per non complicare l’intreccio amoroso fra il suo padrone Lelio e la bella Flamminia in contrasto con le mire del mercante Pantalon de’ Bisognosi sul figlio Mario, timido innamorato di Silvia, mentre il cuore di Arlecchino palpita per Violetta. Insomma, un garbuglio drammaturgico necessario per mettere in moto la macchina teatrale di un intreccio che, due secoli dopo, la storia del teatro vedrà nel Théâtre de Boulverd di Labiche e Feydeau. Se l’arguzia di Arlecchino è al centro dell’intricata matassa, non è da meno l’ironia in falsariga espressa in un vivace affresco di personaggi classici della Commedia in maschera e gli Innamorati. Un grande lavoro sull’allestimento che non risparmia lazzi, canti, duelli e schermaglie verbali per un teatro puro e filologico, popolato di trovate a presa rapida e dal solido impianto scenico con una struttura modulare a scale. Diretti con mano felice da Marco Zoppello, un formidabile Arlecchino, tutti i giovani attori sono da citare: Sara Allevi, Marie Coutance, Matteo Cremon, Anna De Franceschi, Francesca Botti, Michele Mori, Stefano Rota e Pierdomenico Simone.
Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVI 20 febbraio 2023 azione – Cooperativa Migros Ticino CULTURA 29
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© Julia Wesely
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In fin della fiera
Da sessanta anni a questa parte i Papi viaggiano. Gennaio 1964. Il primo papa a viaggiare in aereo fuori dai confini dell’Italia è Paolo VI. Faccio parte della squadra Rai incaricata delle riprese. Il 26 dicembre 1963 sbarchiamo in Giordania. La città di Gerusalemme era ancora divisa e i luoghi santi erano in gran parte nel lato giordano. La nostra non sarebbe stata una diretta ma una «diretta differita»: non giravano ancora i satelliti. Un’auto della polizia portava di corsa le bobine di nastro magnetico con la registrazione delle riprese all’aeroporto di Amman. Imbarcate su un jet dell’aeronautica italiana andavano a Ciampino. Un’ultima tappa portava le bobine alla sede Rai di via Teulada. E da lì finalmente erano mandate in onda. Come ultimo arrivato ero assegnato ai compiti meno impegnativi. Stando in cima ad un’altissima torre di tubi Innocenti, dovevo riprendere dall’alto l’arrivo di Paolo VI alla porta di Damasco;
Voti d’aria
sceso dall’auto il papa avrebbe dovuto iniziare a piedi il percorso della Via Crucis. Ai primi segnali dell’arrivo del papa, una gran massa di giovani si arrampicò sulla mia torre, grappoli umani sbilanciati in avanti. L’auto di Sua Santità all’ingresso della Porta era così pressata dalla folla che Paolo VI non riusciva a uscirne. C’era gente sdraiata sul cofano. Dopo molti sforzi gli addetti alla sicurezza riuscirono ad aprire lo sportello e a farne uscire il papa che si incamminò mentre dietro di lui il cardinale armeno Grigorij -Peter Aghajanyan, piccolo di statura, veniva gettato a terra. Rientrato a Torino ho letto i servizi su «Stampa» e «Corriere della Sera». Non raccontavano il caos, la confusione, gli ordini dati e subito revocati. I nostri grandi inviati erano partiti dall’Italia con i compiti fatti e trattandosi di un evento che non aveva precedenti, avevano impostato le loro sviolinate sui racconti dei Vangeli. Il primo servizio di Dino
I tre talismani di Calvino
Lezioni per il prossimo millennio. Sì, lezioni per gli anni Tremila. Potrebbe essere un nuovo libro di Italo Calvino a cent’anni dalla sua nascita. Provate ad andare su YouTube, digitate «Calvino Sinigaglia intervista» e troverete una sorpresa (6+++). Siamo nel maggio 1981, immagino nel salotto della casa romana di Calvino. A intervistarlo per la Rai è il giornalista Alberto Sinigaglia: Calvino lo vediamo tentennante, bofonchiante, è un uomo dalle lunghe pause, anti-televisivo, persino un po’ imbarazzante nei suoi impacciati silenzi (6), risponde sbattendo le ciglia di continuo, con tono incerto e però pacato. Immaginarlo oggi in un talk show sarebbe impossibile. Fatto sta che all’ultima domanda di Sinigaglia su quali sono i tre talismani per il Duemila, sapete cosa risponde Calvino? Sbattendo le ciglia, muovendo gli occhi per qualche interminabile secon-
do, facendosi molto serio dopo aver accennato a un sorriso, risponde: «Mah! Imparare delle poesie a memoria, molte poesie a memoria, da bambini, da giovani, anche… anche da vecchi, perché le poesie fanno compagnia e uno se le ripete mentalmente, e poi lo sviluppo della memoria è molto importante». E qui il 6+++ si innalza fino al cielo di un 10 memorabile. Perché se la memoria è importante, bisognerà memorizzare anche questo primo consiglio di Calvino per affrontare il futuro: imparare molte poesie a memoria. E poi? «Anche fare dei calcoli a mano, delle divisioni, delle estrazioni di radice quadrata, fare delle cose anche molto complicate». Terzo? Terzo: combattere l’astrattezza del linguaggio che ci viene imposta ormai da tutte le parti. Infine, dopo tanti «ehm…» e tentennamenti, c’è un quarto punto: «Sapere che tutto quello che abbiamo ci può
A video spento
Buzzati è dedicato all’affannosa ricerca di una cabina telefonica dalla quale dettare l’articolo. Non c’erano né satelliti né cellulari: il primo impegno di un inviato consisteva nel trovare un telefono.
Il 5 gennaio era in programma l’incontro fra il papa e Atenagora I, patriarca di Costantinopoli, presso la Legazione apostolica situata accanto all’orto del Getsemani. L’accumulo dei ritardi nel corso della giornata fa slittare l’evento di tre ore, creando un grande nervosismo nei nostri capi. Terminate le riprese dobbiamo smontare l’impianto, spostarci di trenta chilometri per andarlo a montare a Betlemme dove, all’alba del 6 gennaio, il papa deve officiare la Santa Messa nel santuario della Natività prima di rientrare a Roma. Mi piazzano su un piccolo trabattello eretto sulla porta esterna della Legazione per riprendere l’arrivo dei due protagonisti. All’interno, in una sala affol-
di Bruno Gambarotta
lata all’inverosimile di inviati e di fotografi, si svolge l’incontro pubblico. Poi fuori tutti: l’incontro deve proseguire senza testimoni. Senonché, nella generale concitazione, il microfono servito a diffondere i reciproci saluti è rimasto aperto. Così io, l’ultimo in ordine gerarchico della squadra, avendo ancora le cuffie in testa, ho modo di sentire le frasi scambiate in un francese scolastico dai due santi uomini. È impensabile che qualcuno entri nella sala a spegnere il microfono. L’ingegnere a capo della nostra spedizione non solo mi ordina di togliermi le cuffie, mi fa giurare che non avrei mai rivelato cosa si erano detti i due. Ma il destino aveva in serbo per me ancora un incontro con il Santo Padre. Terminata la registrazione dell’evento abbiamo dimenticato nella sala dell’incontro un piccolo baule contenente l’obbiettivo zoom di una telecamera. Tocca a me recuperarlo. Entro e sto per scostare
una tenda quando intravvedo che in quella stessa sala le suore hanno allestito un tavolo da pranzo e stanno servendo a Sua Santità un risotto alla milanese. Da fuori arriva concitata la voce del caposquadra: «Dove si è cacciato Gambarotta? Se fra dieci minuti non si fa vivo noi andiamo». Vogliamo scherzare? Mi faccio coraggio, scosto la tenda ed entro. Il papa è lì, a tre metri, alza il viso e smette di mangiare. Gli dico, indicando la scatola rettangolare posata sul pavimento: «Santità, lo zoom!». Lui non replica, in quella missione deve averne viste di tutti i colori, c’è mancato poco che la folla si spingesse fin dentro le acque del Giordano. Mi chino, afferro per il manico la cassetta, tento una sorta di genuflessione ed esco camminando all’indietro per non voltargli le spalle. Ancora adesso, dopo tanti anni, mi domando cosa avrei fatto se sua Santità mi avesse rivolto la domanda: «Vuol favorire?».
essere tolto da un momento all’altro… naturalmente goderlo, non dico mica di rinunciare a niente… anzi… però sapendo che da un momento all’altro tutto quello che abbiamo può sparire in una nuvola di fumo».
In un documentario girato a Parigi nel febbraio 1974, Calvino diceva di aver sempre sognato l’anonimato di chi scompare nella folla della metropolitana parigina. E anzi aggiungeva che l’invisibilità era il suo ideale: «Io quando mi trovo in un ambiente in cui mi posso illudere di essere invisibile mi trovo bene, proprio tutto il contrario di come mi sento in questo momento con la telepresa che mi inquadra, inchiodato alla mia fisicità, alla mia faccia. Credo che agli scrittori essere visti di persona non giova affatto (…). Del resto, di Shakespeare non abbiamo neanche un ritratto che ci faccia capire bene che faccia avesse e anche
L’atomica e il compito dello scrittore
La paura di un’escalation della guerra in Ucraina, la dichiarazione di Putin di aver messo in stato di allerta l’arsenale nucleare e l’attacco alla centrale di Zaporizhzhia sono tutti eventi che hanno riportato in Occidente la paura di un conflitto nucleare. Ed è probabilmente dalla crisi di Cuba che non si respirava un clima così teso a livello mondiale.
Per la prima volta, dalla fine della guerra fredda, le persone si stanno confrontando con una delle minacce più angoscianti e terribili. Anche le giovani generazioni si trovano a far fronte, dopo la pandemia, a un nuovo problema globale. Questo spiega anche il numero alto di serie televisive che raccontano un mondo distopico, un mondo di sopravvivenza successivo a un’immane catastrofe: un conflitto nucleare su larga scala rappresenterebbe la fine completa della civiltà e l’assenza di una continuità verso il futuro.
Si ricomincia a parlare di paura della «bomba atomica», un argomento su cui in passato esisteva una ricca bibliografia, a partire da Elsa Morante: il saggio Pro o contro la bomba atomica risale a un ciclo di conferenze che Morante tenne nel 1965, edite da Adelphi nel 1987 con una prefazione a cura di Cesare Garboli.
Partiamo dall’incipit: «Allora non c’è dubbio che il fatto più importante che oggi accade, e che nessuno può ignorare, è questo: noi, abitanti delle nazioni civili nel Secolo Ventesimo, viviamo nell’èra atomica. E veramente, nessuno lo ignora: tanto che l’aggettivo atomico viene ripetuto in ogni occasione, perfino nelle barzellette e sui rotocalchi. Ma, riguardo al significato pieno e sostanziale dell’aggettivo, la gente, come succede, se ne difende, per lo più, con una (del resto, perdonabile) rimozione. E anche quei pochi che riconoscono
l’effettiva minaccia che esso significa, e se ne angosciano (e per questo, magari, vengono considerati dagli altri dei nevrotici, se non dei matti) anche quei pochi, però si preoccupano piuttosto delle conseguenze del fenomeno, che non delle sue origini, diciamo biografiche, e dei suoi riposti motivi».
Il punto nevralgico, ieri come oggi, è la coscienza. È necessario interrogarla di continuo, è necessario che la seduzione immaginativa non sia sopraffatta da quella scientifica, considerando inevitabile il concetto di «disgregazione». Alla forza distruttiva della bomba la scrittrice oppone la potenza creatrice dell’arte e quindi si vanta, con una consapevolezza tenace, di appartenere alla categoria degli «scrittori».
Fa una netta distinzione tra scrittori e scriventi, rivendicando la categoria dei primi come degli unici che davvero si occupino della realtà.Gli scritto-
i dati biografici che abbiamo su di lui dicono ben poco. Invece ora lo scrittore ha occupato il campo e il mondo rappresentato si svuota». Ho ascoltato più volte, Calvino dice proprio «telepresa», una parola che non avevo mai sentito per «cinepresa». E rinuncia a usare il congiuntivo con il verbo credere («credo che… non giova affatto»).
L’incertezza apparente del suo parlare contrasta con la limpidezza delle sue idee esattamente come l’assertività di tanti ospiti dei talk show nasconde la mancanza di idee.
«Tutto può sparire in una nuvola di fumo»… Pensate che prezioso talismano da portarsi nel prossimo millennio: «Tutto può sparire…». Chissà se un genio come Elon Musk (1 di stima) conosce questa semplice e abbagliante verità. La Tesla può sparire in una nuvola di fumo. Twitter può sparire in una nuvola di fumo. Persino un patri-
monio, come il suo, di 184,9 miliardi di dollari, può sparire in una nuvola di fumo. Anche i 122,7 miliardi di Jeff Bezos, i 106,6 di Bill Gates, i 64,4 di Mark Zuckerberg possono sparire in una nuvola di fumo. E anche questi miliardari in t-shirt possono sparire in una nuvola di fumo, anzi spariranno di sicuro in una nuvola di fumo del valore finanziario equivalente ai loro stratosferici patrimoni. Sempre che il genio di Elon Musk non inventi un marchingegno tecnologico che garantisca ai suoi compagni di classe (sociale) l’immortalità (4– all’immortalità), anche i tycoon pufff… spariranno in una nuvola di fumo (6+++ al pufff… e anche alle nuvole di fumo). Più difficile che sparisca un famoso verso di Eugenio Montale che dice: «Svanire è dunque la ventura delle venture». Da mandare a memoria per il prossimo millennio.
ri, ribadisce Morante, sono gli unici che possono impedire la disintegrazione della coscienza umana. Nella confusione frammentaria, sempre più alienata del presente, la scrittrice sostiene che è compito degli intellettuali e degli artisti restituire l’integrità del reale attraverso «quell’integrità unica e segreta di tutte le cose», che è rappresentata dall’arte. Curiosamente, anche Alberto Moravia si è occupato di «bomba atomica». Su invito della Japan Foundation nell’ottobre 1982 Moravia compie con Dacia Maraini un viaggio in Giappone. La visita a Hiroshima, dove peraltro era già stato, lascia su di lui una traccia profonda. La lapide dei martiri della bomba, che reca la scritta «Riposate in pace perché non ripeteremo l’errore», gli fa prendere coscienza del nesso, fino ad allora ignorato, tra la propria opera letteraria e «la tentazione del suicidio della specie».
La questione nucleare diventa così l’epicentro del suo impegno politico e civile degli ultimi anni. Scrive contro la guerra e contro la bomba atomica in una serie di interviste, articoli e inchieste, apparsi, tra il novembre 1982 e il dicembre 1985, sui maggiori quotidiani e settimanali italiani. Scritti raccolti nel volume postumo, curato da Renzo Paris, L’inverno nucleare (1986): «Sono uno scrittore e mi è sembrato naturale servirmi della scrittura per combattere una guerra di liberazione dalla guerra».
Moravia considerava il problema nucleare una questione di carattere metafisico perché comporta l’idea di convivenza con il suicidio dell’umanità. Per questo c’è un solo modo per frenare la «disgregazione»: considerare l’atomica come un tabù, al pari dell’incesto. Purtroppo, non era e non è un tabù.
Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVI 20 febbraio 2023 azione – Cooperativa Migros Ticino 31 CULTURA / RUBRICHE ◆ ●
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«Santità, lo zoom!»
di Paolo Di Stefano
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di Aldo Grasso
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delle risorse naturali, preservazione della biodiversità, rispetto degli animali. 3.50 invece di 4.45 Fettine di lonza di maiale bio Svizzera, in conf. speciale, per 100 g 21% 9.55 invece di 13.65 Fettine di pollo impanate Don Pollo prodotte in Svizzera con carne del Brasile, in conf. speciale, 650 g 30% 3.10 invece di 3.65 Mini filetti di pollo Optigal Svizzera, in conf. speciale, per 100 g 15% 10.50 invece di 13.20 Carne macinata di manzo, IP-SUISSE 2 x 300 g conf. da 2 20% 2.50 invece di 3.60 Aletta di manzo, IP-SUISSE per 100 g, in self-service 30%
sostenibile: tutela
Offerte valide solo dal 21.2 al 27.2.2023, fino a esaurimento dello stock. Migros Ticino Carne di manzo allevato all'aperto 6.35 invece di 7.95 Carne secca di manzo bio Svizzera, in conf. speciale, per 100 g 20% 1.20 invece di 2.–Prosciutto di spalla arrotolato affumicato M-Classic Svizzera, per 100 g, in self-service 40% 1.50 invece di 1.95 Cervelas M-Classic Svizzera, 2 pezzi, 200 g, in self-service 23% 5.95 invece di 7.65 Prosciutto affettato finemente, IP-SUISSE 2 x 124 g conf. da 2 22% 3.05 invece di 4.20 Salametti a pasta grossa prodotti in Ticino, in conf. da 2 pezzi, per 100 g 25% 2.45 invece di 3.55 Prosciutto cotto Puccini prodotto in Ticino, per 100 g, in self-service 30%
Pesce e frutti di mare
Delizie dall’acqua nel pieno rispetto della specie
CONSIGLIO DEGLI ESPERTI
Per cuocere l'orata in modo uniforme ed evitare che la pelle si strappi in modo incontrollato, fare tre incisioni per lato leggermente in obliquo in direzione della coda. Il marchio bio per il pesce è sinonimo di allevamento conforme alla specie nel pieno rispetto degli aspetti etici ed ecologici.
20%
12.75 invece di 16.05
Gamberetti tail-on cotti bio d'allevamento, Ecuador, in conf. speciale, 240 g
20%
4.95
invece di 6.20
25%
Filetti di sogliola limanda selvatico, Oceano Atlantico nord-orientale, per 100 g, al banco a servizio e in self-service
In vendita ora al bancone
11.50
invece di 15.50
Filetti di trota salmonata con pelle, ASC d'allevamento, Norvegia, in conf. speciale, 2 pezzi, 380 g
20%
Tutte le orate e i branzini bio al banco per es. orata reale intera, d'allevamento, Grecia, per 100 g, 2.70 invece di 3.40
conf. da 2
40%
9.50
invece di 15.90
Filetti di salmone Pelican, ASC prodotto surgelato, 2 x 250 g
Prodotti da forno Il classico con spelta bio
20%
5.75
invece di 7.20
crostate, 270 g, 1.95
20% invece di 2.40
conf. da 2 Hit
3.80 Tutte le
invece di 3.30
Qui si sforna alla grande Offerte valide solo dal 21.2 al 27.2.2023, fino a esaurimento dello stock. Migros Ticino
Biscotti prussiani alla spelta bio 300 g, prodotto confezionato
sfogliatine M-Classic
2 x 4 pezzi, 264 g
2.60
Frittelle di Carnevale grandi (chiacchiere escluse), 6 pezzi, 216 g, prodotto confezionato es. Pasta per
Tutte a partire da 2 pezzi 20%
le paste pronte bio per
Formaggi, latticini e uova
Dal liquido al solido: tutti gli stati della bontà
20x
Novità
15%
Tutti gli yogurt e i drink Bifidus per es. drink alla fragola, 500 ml, 1.65 invece di 1.95
20x
Novità
–.90 Yogurt al naturale Elsa, IP-SUISSE 180 g
33%
invece
di
6.70 Pik
20x CUMULUS Novità
2.95 Grana Padano grattugiato Galbani bio, 80 g
Migros Ticino
invece di 8.10 Uova svizzere
allevamento
IP-SUISSE 15 x 53 g+ 20% Tutti i tipi di Caffè Latte Emmi per es. macchiato, 230 ml, 1.75 invece di 2.15 a partire da 2 pezzi 20%
conf. da 2
invece di 5.85 Yogurt ai
it 3 x
conf. da
6.45
da
all'aperto,
Raclette Raccard al naturale, a fette e in blocco maxi in conf. multipla o speciale, per es. a fette, 2 x 400 g, 16.– invece di 20.–
20% 4.65
frutti di bosco Emmi Mix
250 g
3 20%
CUMULUS
1.10 Yogurt alla frutta svizzera Elsa, IP-SUISSE alla mela della Turgovia e al rabarbaro di Lucerna, per es. alla mela della Turgovia, 180 g CUMULUS
4.45
& Croq’ in confezione speciale, 280 g
CONSIGLIO FRESCHEZZA
La sostenibilità della produzione del formaggio fresco bio è controllata. Contiene meno carboidrati ma tante proteine e quindi si digerisce facilmente. Col suo sapore delicato e i suoi aromi di panna, in cucina è un vero tuttofare: da spalmare sul pane, come ingrediente di salse o come dip per verdure e tacos.
Formaggio fresco da spalmare bio al naturale, formaggio fresco di capra francese o formaggio fresco alle erbe Züger, per es. al naturale, 150 g, 1.90 invece di 2.35
Offerte valide solo dal 21.2 al 27.2.2023, fino a esaurimento dello stock. Migros
saporito 2.20 invece di 2.80 Formaggio di montagna dei Grigioni piccante
circa 250 g, per 100 g,
confezionato 20% 7.–invece
20%
Ticino
bio
prodotto
di 8.85 Parmigiano
Reggiano
bio grattugiato 3 x 75 g conf. da 3
a partire da 2 pezzi 20% 2.20 invece di 2.60 Caseificio Leventina per 100 g, confezionato 15% 2.05 invece di 2.60 Fontal Italiano per 100 g, confezionato
21%
Scorta
Sostenibilità in dispensa
Prodotto in modo sostenibile
20%
Tutti i tipi di olio e aceto bio (prodotti Alnatura, Demeter, Monini e Sapigni esclusi), per es. olio d'oliva greco, 500 ml, 5.90 invece di 7.40
In qualità bio
20x CUMULUS Novità
2.50 Crema spalmabile al pomodoro Alnatura bio, 180 g, in vendita nelle maggiori filiali
Pasta bio refrigerata
Fiori ricotta e spinaci o gnocchi rigati, in confezioni multiple, per es. Fiori, 3 x 250 g, 12.95 invece di 16.20
20%
Tutte la quinoa, le lenticchie, i ceci e il couscous bio (prodotti Alnatura esclusi), per es. quinoa bianca aha!, Fairtrade, 400 g, 3.95 invece di 4.95
20x CUMULUS Novità
1.90
Piselli extra fini Alnatura bio, 230 g
20x CUMULUS Novità
2.95 Funghi prataioli tagliati bio 230 g
conf.
3
da
20%
20%
Tutti i ketchup, le maionesi e le salse BBQ Heinz nonché le salse per grigliate Bull's Eye per es. Tomato Ketchup Heinz, 800 ml, 3.95 invece di 4.95
Deliziosa fonte di fibre e proteine
conf. da 2 20%
Scaloppina al limone e pepe o macinato Cornatur per es. scaloppina, 2 x 220 g, 7.90 invece di 9.90
conf. da 3
33%
Rösti
Berner o Original M-Classic, 3 x 500 g, per es. Berner M-Classic, 5.90 invece di 8.85
28%
Tortine di spinaci o strudel al prosciutto M-Classic prodotti surgelati, in conf. speciali, per es. tortine di spinaci, 2 x 280 g, 5.30 invece di 7.40
a partire da 2 pezzi
20%
Tutte le minestre Bon Chef per es. zuppa di vermicelli con pollo, in busta da 65 g, 1.30 invece di 1.60
conf. da 2
15%
Tarte flambée originale dell'Alsazia 2 x 350 g o 2 x 240 g, per es. 2 x 350 g, 5.40 invece di 6.40
30%
Tutto l'assortimento La Trattoria prodotti surgelati, per es. lasagne alla bolognese, 360 g, 2.35 invece di 3.40
Deliziosi stuzzichini per l'aperitivo
conf. da 6
22%
7.–invece di 9.–
Fleischkäse Malbuner disponibile in diverse varietà, per es. delicatezza, 6 x 115 g
conf. da 3
20%
Funghi prataioli o funghi misti M-Classic per es. funghi prataioli, 3 x 200 g, 6.70 invece di 8.40
20%
Tutti gli antipasti, le olive e gli hummus Anna's Best per es. hummus al naturale, 200 g, 2.80 invece di 3.50
conf. da 2 20%
Sun Queen spicchi di mango, mandorle o miscela di noci, per es. spicchi di mango, 2 x 200 g, 7.– invece di 8.80
12%
5.35 invece di 6.10
Nutella in conf. speciale, 900 g
Offerte valide solo dal 21.2 al 27.2.2023, fino a esaurimento dello stock.
Gusto d’Asia a volontà
Scorta Pasta piccante per la cucina coreana 3.25 Gochujang Paste Sempio prodotto vegano, 250 g 20x CUMULUS Novità 3.90 Gochujang Bibimbap & Stir-fry Sauce Sempio 250 ml 20x CUMULUS Novità 4.90 Korean Glass Noodles Sempio 450 g, in vendita nelle maggiori filiali 20x CUMULUS Novità 3.25 Ssamjang Korean Soybean Dipping Paste Sempio prodotto vegano, 250 g 20x CUMULUS Novità 3.80 Tteokbokki Sempio 160 g 20x CUMULUS Novità 1.90 Soba Thai Curry Nissin 109 g 20x CUMULUS Novità 3.50 Korean Dipping Sauce for Chicken Sempio 250 ml 20x CUMULUS Novità 1.90 Korean Japchae Stir-fry Sauce Sempio 60 g, in vendita nelle maggiori filiali 20x CUMULUS Novità 3.50 Korean BBQ Bulgogi Stir-fry Sauce & Marinade Sempio 300 g 20x CUMULUS Novità
Prezzi che rinfrescano Bevande Offerte valide solo dal 21.2 al 27.2.2023, fino a esaurimento dello stock. Snack vegano per amanti dell'Asia 100% di frutta Fatti consegnare le scorte migros.ch 2.95 Seaweed Rice Crisps Kelly Loves prodotto vegano, 20 g 20x CUMULUS Novità Tutti i succhi freschi Anna's Best per es. succo d'arancia, Fairtrade, 75 cl, 2.45 invece di 3.50 a partire da 2 pezzi 30% 2.95 Ramune Original Kelly Loves 200 ml 20x CUMULUS Novità 2.10 Green Ice Tea allo yuzu Kelly Loves 500 ml 20x CUMULUS Novità 4.25 invece di 6.30 Acqua minerale San Pellegrino 6 x 1,25 l conf. da 6 32% 2.95 Ramune ai litchi Kelly Loves 200 ml 20x CUMULUS Novità 2.80 Rice Snacks Brown Rice Kelly Loves prodotto vegano, 50 g 20x CUMULUS Novità 2.95 Ramune allo yuzu Kelly Loves 200 ml, in vendita nelle maggiori filiali 20x CUMULUS Novità 2.60 Aloe Vera Kelly Loves 500 ml 20x CUMULUS Novità Coca-Cola Classic o Zero, per es. Classic, 6 x 1,5 l, 9.65 invece di 13.80 conf. da 6 30%
Un po’ di scioglievolezza e un po’ di croccantezza
Anche come gustosa merenda
a
24%
invece
Jumpy's 2 x 100 g
Tutti i salatini da aperitivo Party per es. cracker salati, 210 g, 1.65 invece di 1.95
Senza aromi artificiali, conservanti né coloranti
33%
Biscotti margherita o biscotti al burro per es. biscotti margherita, 3 x 210 g, 3.80 invece di 5.70
50%
Tavolette di cioccolato Frey al latte finissimo o al latte con nocciole, 12 x 100 g, per es. al latte finissimo, 12.– invece di 24.–
–.60 di riduzione
Tutti i biscotti Tradition per es. Petits Cœurs al limone, 200 g, 3.– invece di 3.60
Cialde finissime Choc Midor Classico, Noir o Black & White, per es. Classico, 3 x 190 g, 5.90 invece di 8.85
40%
Swiss Premium Minis Lindt assortiti, 500 g o 1 kg, per es. 500 g, 11.95 invece di 19.95
Dolce e salato
partire da 2 pezzi –.30 di riduzione
conf. da 12
conf. da 3 33%
conf. da 3
3.95 conf. da 2
di 5.20
Cose pratiche per il bagno
conf. da 2 25%
Igiene orale Candida in confezioni multiple, per es. collutorio Parodin, 2 x 400 ml, 6.75 invece di 9.–
I dentisti raccomandano:
Prodotti in cotone idrofilo Primella o bio per es. dischetti quadrati Primella, 2 x 50 pezzi, 2.70 invece di 3.40
25%
Tutto l'assortimento Nature Box (confezioni multiple escluse), per es. gel doccia energizzante al frutto della passione, 385 ml, 3.70 invece di 4.95
conf. da 2 20%
Prodotti per la doccia pH balance (saponette e salviettine detergenti in conf. multipla escluse), per es. gel doccia, 2 x 250 ml, 5.90 invece di 7.40
conf. da 6
9.80 Spazzolini da denti Soft Candida Sky
a partire da 2 pezzi 20%
Tutto l'assortimento Secure e Tena (confezioni multiple e sacchetti igienici esclusi), per es. Secure Ultra Normal, FSC®, 20 pezzi, 4.80 invece di 6.–
Bellezza e cura del corpo Offerte valide solo dal 21.2 al 27.2.2023, fino a esaurimento dello stock.
conf. da 2
20%
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Quel che serve ogni giorno
LO SAPEVI?
Ecco come staccare delle stoviglie incastrate: immergere le stoviglie fino all'orlo in una scodella piena di acqua calda. Riempire quindi quella superiore con dell'acqua fredda, che farà contrarre il materiale. Dopo qualche secondo le stoviglie si staccheranno senza problemi.
Varie 34.95 invece di 53.85 Cartucce per filtro Classic Brita 3 x 3 pezzi conf. da 3 35% 44.95 invece di 68.85 Cartucce filtranti per acqua Maxtra+ Brita 3 x 3 pezzi conf. da 3 34% 29.95 invece di 44.85 Cartucce filtranti per acqua Duomax Cucina & Tavola 3 x 3 pezzi conf. da 3 33%
9.95 Bicchieri Picardie Duralex 25 cl, 6 pezzi Hit
testato da organismi
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indipendenti 9.95 Padella M-Budget Ø 28 cm, il pezzo Tutte le pappe Nestlé per es. pappa lattea Cerelac, 250 g, 3.50 invece di 4.95 a partire da 2 pezzi 30% Linea di pentole Gastro per es. padella a bordo basso, Ø 28 cm, il pezzo, 27.95 invece di 39.95 30% 24.95 Tovaglia Cucina & Tavola 140 x 260 cm, il pezzo Hit 19.95 invece di 29.85 Carta per
bianca,
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copie A4 Papeteria, FSC®
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Detersivi Elan in conf. di ricarica, per es. Spring Time, 2 x 2 litri
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Tappetino da bagno Ida disponibile in grigio scuro o blu, 50 x 80 cm, il pezzo
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Rimuove le macchie già dopo 30 secondi
Un fiore vale più di mille parole
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Vanish in confezioni multiple o speciali, per es. spray prelavaggio Oxi Action, 2 x 750 ml, 13.70 invece di 19.60
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Sopravvivono anche ai giorni freddi
conf. da 3 33%
Calgon per es. gel, 3 x 750 ml, 19.95 invece di 29.85
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7.95 invece di 9.95
Phalaenopsis, 2 steli disponibile in diversi colori, in vaso, Ø 12 cm, per es. fucsia, il vaso
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Cestino primaverile lunghezza circa 28 cm, il cestino
Fiori e giardino Offerte valide solo dal 21.2 al 27.2.2023, fino a esaurimento dello stock.
Hit
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Tanto bio a prezzi piccoli
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Validi gio. – dom.
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2.20 invece di 3.15
Cordon bleu di maiale, IP-SUISSE in conf. speciale, per 100 g, offerta valida dal 23.2 al 26.2.2023
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Gallette di mais o di riso disponibili in diverse varietà e in confezioni multiple, per es. gallette al granoturco Lilibiggs, 3 x 130 g, 3.40 invece di 5.10, offerta valida dal 23.2 al 26.2.2023
conf. da 4
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Caffè Boncampo Classico, in chicchi o macinato per es. in chicchi, 4 x 500 g, 13.90 invece di 23.20, offerta valida dal 23.2 al 26.2.2023
tutto l’assortimento Demeter Da tutte le offerte sono esclusi gli articoli già ridotti. Offerte valide solo dal 21.2 al 27.2.2023, fino a esaurimento dello stock.
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