L'Espresso 41

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Settimanale di politica cultura economia N. 41 • anno LXVIII • 16 OTTOBRE 2022 Domenica 3 euro L’Espresso + La Repubblica In Italia abbinamento obbligatorio alla domenica. Gli altri giorni solo L’Espresso 4 euro GUERRA Il potere di Putin comincia a vacillare IDEE Andò, Servillo, Ficarra e Picone: dialogo su Pirandello Prezzo del gas, Pnrr, conti pubblici. Dalla Commissione europea guidata da Ursula von der Leyen dipende il futuro dell’Italia. E Giorgia Meloni dovrà scegliere se stare dalla parte di Bruxelles o dei sovranisti come Orbán Nelle sue mani Poste Italiane s.p.a.sped.in A.P.-D.L.353/03 (conv.in legge 27 /02/04 n.46) art.1comma 1-DCB RomaAustriaBelgioFranciaGerm aniaGreciaLussemburgoPortogalloPrincipato di MonacoSloveniaSpagna € 5,50C.T. Sfr. 6,60Svizzera Sfr. 6,80Olanda € 5, 90Inghilterra £ 4,70
Altan 16 ottobre 2022 3

Rubriche

Prima Pagina

Se decide Ursula Federica Bianchi

Delusi ma europeisti Thomas Petersen

Putin accerchiato dalle élite Federico Varese 20

Il Nobel per i diritti umani servirà ad aiutare le vittime colloquio con Alexander Cherkasov 22 Furia russa Sabato Angieri 24

Un price cap sul gas? Facile a dirsi Eugenio Occorsio 28

Le sfide di Giorgia Vittorio Malagutti e Carlo Tecce 32

Il braccio destro Susanna Turco 38

Genesi di una dittatura, il libro di Ezio Mauro Wlodek Goldkorn 41

Ci aiutiamo da soli Gloria Riva 42 Uniamoci al grido delle nostre figlie Kader Abdolah 46 Il fallito golpe d’America Luciana Grosso 48 Gioco di spettri sulla Bosnia Elena Kaniadakis 52

Se la comunità internazionale soffia sul fuoco acceso Zlatko Dizdarević 55 Armano gli eserciti e blindano la Ue Giulia Bosetti 56 Resistere agli algoritmi Fabio Chiusi 60 Mondiali in Qatar, la Francia vacilla Camille Vigogne Le Coat 62 Roma gioca la carta Expo Gianfrancesco Turano 64 Coming out, solo il mio inizio Marco Grieco 68 “Nel ricordo di mia figlia parlo a chi non li ascolta”

Simone Alliva 70 Manicaretti al bioreattore Antonia Matarrese 74 Diversificare: il menu della piccola pesca Angiola Codacci-Pisanelli 76 I nati carcerati del Malaspina Sabrina Pisu 78

Idee

La stranezza di stare in bilico colloquio con R. Andò, S. Ficarra, V. Picone, T. Servillo di F. De Sanctis 84 Spettacolo d’acqua al Colosseo Marisa Ranieri Panetta 90 Il miele, le rose e il Metaverso colloquio con Alfonsina Russo di Sabina Minardi 92 La Recherche in dieci atti Giorgio Fontana 96 Diario di famiglia colloquio con Ernesto Ferrero di Chiara Valerio 100 Quanto è jazz il mio violino colloquio con Anaïs Drago di Emanuele Coen

Storie

Omicida si finge morto, l’innocente confessa un delitto inesistente

Baglivo 106 Tutto su Canova, e l’archivio va online Salvatore Di Mauro 110 Il trap-robot licenziato per le proteste degli afroamericani

Verbaro

Sommario numero 41 - 16 ottobre 2022 Abbonati a SCOPRI L’OFFERTA SU ILMIOABBONAMENTO.IT L’Espresso fa parte in esclusiva per l’Italia del Consorzio internazionale dei giornalisti investigativi Ricevi la rivista a casa tua per un anno a poco meno di €6,00 al mese (spese di spedizione incluse) Le inchieste e i dibattiti proseguono ogni giorno sul sito e sulle pagine social de L’Espresso. UNISCITI ALLA NOSTRA COMMUNITY lespresso.it @espressonline @espressonline @espressosettimanale
Altan 3 Makkox 8 Manfellotto 17 Serra 31 Corleone 45 Cacciari 122 Opinioni COPERTINA Foto di Michael Kappeler/ Picture Alliance/ Getty Images Editoriale La parola 7 Taglio alto 16 Bookmarks 105 Ho visto cose 118 #musica 118 Scritti al buio 119 Noi e voi 120 L’Europa per esistere deve essere solidale Lirio Abbate 11
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18
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Simone
Valeria
114 84 48 62 74 24

corpi

«Il diavolo tentatore dice: “Tagliati i capelli, solo un po’, e noi ti lasciamo suona re”. Poi il diavolo tentatore dice: “Cambia solo il nome della band e puoi suonare”. E dopo: “Togli solo questa canzone, una soltanto...” Meglio non cominciare, meglio non tagliarseli i capelli, anzi è indispen sabile non farlo». Questo fa dire il dram maturgo Tom Stoppard in Rock ’n roll al manager in galera dei Plastic People cui nella Cecoslovacchia della post invasione sovietica viene vietato di fare concer ti perché i loro costumi sono considerati nocivi. Così è accaduto al contrario con il velo in Iran, prima indossato liberamente come segno di lotta all’occidentalizzazio ne dello Scià, e, dopo la rivoluzione, impo sto da Khomeyni come segno dell’adesione indiscussa al regime teocratico con tut to quel che ne è conseguito in termini di sottomissione e privazione di libertà, delle donne e dell’intera società. Così la rivolu zione dei veli, che è rivoluzione delle nuo ve generazioni soprattutto, la rivoluzione

dei capelli al vento, dei capelli tagliati in un gesto di inaspettata autodeterminazio ne mette al centro il corpo, e il corpo delle donne in particolare, come luogo in cui si esercita, si accanisce il potere e da cui pas sa l’emancipazione. E il corpo che inaspet tatamente si autodetermina fa paura... Da qui la repressione. Se il corpo si ribella, il corpo va punito, torturato, ucciso. Ma tutto ciò va fatto fuo ri dal controllo sociale, fuori dagli occhi del mondo, nelle carceri, oscurando Inter net. Perché il corpo indifeso violato è po tente nel suscitare indignazione e rivolta. L’autodeterminazione dei corpi è forse il più immediato strumento politico che ab biamo e per questo il più colpito dai regi mi che torturano, uccidono, fanno scomparire i corpi. Non diversamente da quan to sta accadendo in Egitto dove l’attivista e scrittore Alaa nascosto nei recessi di una prigione digiuna da sei mesi, sottraendo il proprio corpo ai suoi aguzzini in un gesto estremo di ribellione che va ascoltato.

16 ottobre 2022 7 La parola
© RIPRODUZIONE RISEVATA EVELINA SANTANGELO
Cronache da fuori 8 16 ottobre 2022
Makkox 16 ottobre 2022 9

L’Europa per esistere deve essere solidale

È

L’aumento senza precedenti dei prezzi dell’energia non è dovuto solo alla guerra, ma anche a speculazioni “intollerabili”.

Lo dice il Presidente della Repubblica che chiama i Paesi della Ue a mostrarsi uniti

l’ora delle decisioni e non più della perdita di tempo. Occorre scegliere in fretta su diversi punti di notevole importanza non solo per gli interessi del nostro Paese, ma per tutta l’Unione Europea, a cominciare dal la frammentazione del mercato dell’ener gia, un fronte sul quale la Ue è chiamata a dare una risposta forte e comune. Che non può solo materializzarsi nel price cap al gas che concorre alla formazione del prezzo dell’elettricità, che avvantaggia al cuni Paesi a dispetto di molti altri.

La presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen deve formulare una proposta che accontenti tutti i 27. Perché in Italia, nel frattempo, le «Speculazioni intollerabili» come le ha definite il Presi dente Sergio Mattarella, sull’energia mi nano la coesione sociale, e vanno fermate subito. È un monito forte e vuole scuotere l’Europa che sembra non trovare l’accor do sulle misure per frenare il caro-bollet te. Per questo il Capo dello Stato sferza la Ue a ritrovare lo spirito di solidarietà cre atosi nella reazione alla pandemia.

E lo dice spazzando via l’alibi della guerra in Ucraina che, certo, ha avuto for ti ripercussioni sull’aumento dei prezzi di varie materie, ma il Presidente della Re pubblica dice chiaramente che si tratta di speculazioni: «Vediamo che la nostra Eu ropa fatica a esprimere una politica di so lidarietà e di coesione sulle conseguenze economiche e sociali di questa guerra. As sistiamo a un’impennata dei prezzi dell’e nergia che è attribuibile solo in parte a scarsità di approvvigionamenti, ma trova radice in azioni speculative che minaccia

no la vita di migliaia di aziende e mettono in allarme tantissime famiglie. A questo va posto rimedio». Ancora una volta il Ca po dello Stato deve entrare in campo e far sentire la sua autorevole voce. Lo fa men tre Mario Draghi si prepara a partecipare al suo ultimo Consiglio europeo, e a Roma la premier in pectore, Giorgia Meloni, è impegnata alla formazione della squadra dei ministri che potrebbero scendere in campo entro la fine di ottobre.

La preoccupazione della presidente di Fratelli d’Italia è quella di affrontare una crisi multiforme che spaventerebbe an che un leader di governo più esperto: una miscela tossica di energia e crisi del co sto della vita in un contesto di guerra e minaccia di recessione. La stima ufficia le preliminare dell’inflazione annua a settembre era appena sotto il nove per cento. Le bollette sono triplicate. Molte attività commerciali e imprenditoriali per questi costi sono state chiuse e i sin dacati spingono per un salario più alto ai lavoratori.

Il futuro a medio e lungo termine dell’Italia dipenderà dalla squadra di go verno, soprattutto per rassicurare i mer cati e i partner del nostro Paese nella Ue. Però gli alleati di Meloni, Salvini e Berlu sconi, sembrano non guardare ai conti pubblici e alla situazione sociale attuale, perché se rispettano le promesse che hanno fatto in campagna elettorale, co me la flat tax, si andrebbe in contrasto con i numeri negativi del bilancio dello Stato. Ma forse a loro interessa solo il nu mero dei posti a tavola.

EditorialeLirio Abbate 16 ottobre 2022 11
12 16 ottobre 2022 L’Unione e noi SE DECIDE VON DER LEYEN DI FEDERICA BIANCHI LA COMMISSIONE UE HA ACQUISITO POTERE GRAZIE ALLE EMERGENZE. ORA HA DAVANTI SCELTE DECISIVE PER IL FUTURO DELL’EUROPA. E DELL’ITALIA
Prima Pagina
La presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen a Bruxelles

e noi

gni volta che l’Unione euro pea è sul punto di collassare in seguito alle divisioni degli Stati membri, ricircola a Bru xelles la domanda attribuita a Henry Kissinger quando era segretario di Stato degli Usa: «Quale numero devo fare per parlare con l’Europa?». Che poi Kissinger quella domanda dica di non averla mai fatta e, anzi, a suo tempo cercasse di dividere l’U nione per influenzarla meglio, è irrilevante. A mezzo secolo di distanza, ancora in vita sulla soglia dei cento anni, finalmente ha un numero da chiamare: quello di Ursula von der Leyen, la presidente della Commissione Europea, la figura più vicina a una premier comune che abbia oggi l’Europa.

Prima donna ad assumere il timone della complessa macchina di Bruxelles, frutto di un inglorioso compromesso tra capi di Sta to che nel 2019 hanno ignorato le richieste di rappresentanza del Parlamento Europeo e da questo approvata per soli 9 voti, nel gi

SI È VISTO CON IL PNRR, AL NOSTRO PAESE CONVIENE QUANDO

ro di poco più di mezzo mandato è diventa ta il volto iconico dell’Unione. Una crisi epocale alla volta.

«Le due grandi crisi precedenti, quella dell’Euro del 2011 e poi quella migratoria del 2014 avevano indebolito il ruolo della Com missione e riaperto l’involuzione verso un’Eu ropa intergovernativa», dice Nathalie Tocci, direttrice dell’Istituto di Affari Internazionali e autrice di “A green and global Europe”: «Que ste ultime due, pandemia e guerra, invece stanno raffor zando i poteri della Commis sione e ridando slancio a un’Europa interdipendente». Grazie a due fattori: la porta ta epocale degli eventi ester ni, che nemmeno la Germa nia è riuscita a gestire in soli taria in un mondo sempre più

basato sul potere e sempre meno sulle regole, e la capacità della Commissione di trasfor marli in uno strumento con cui rafforzare le sue prerogative e incrementare il suo bilancio. Ma, elemento spesso sottovalutato, un budget comune più grande non è solo d’interesse per Bruxelles: lo è anche per l’Italia. I destini di Bruxelles e di Roma viaggiano sugli stessi bi nari, indipendentemente da chi guidi le rispet tive locomotive. Quando la Commissione era in difficoltà, come durante la crisi dell’Euro, anni in cui la famigerata Troika mise piede sul Vecchio Continente e ogni Stato decise di an dare per conto suo senza offrire sostegno co mune, l’Italia fu ad un passo dall’andare a gam be all’aria. Oggi che la presidente dorme addi rittura in un mini appartamento costruito per lei all’interno del Berlaymont (il palazzo della Commissione) così da essere presente ad ogni accadimento, e la Commissione gestisce un budget sempre più ampio e ambisce ad una visione strategica e geopolitica del suo man dato, l’Italia ne beneficia ampiamente. Tanto che le proposte economiche italiane, seppure in ritardo, sono attentamente considerate.

Con i nostri giganteschi vincoli di bilancio, «abbiamo bisogno dei soldi tedeschi», sottoli nea Tocci: «L’unica via di accesso è quella che passa per la Commissione europea e per la sua capacità di spesa».

14 16 ottobre 2022 L’Unione
O Federica Bianchi Giornalista COME
I SOLDI EUROPEI SONO GESTITI DIRETTAMENTE DA BRUXELLES PIUTTOSTO CHE DAGLI STATI MEMBRI

Scoppiata a soli 100 giorni dall’inizio del suo mandato, la pandemia è stata il primo, inaspettato banco di prova di Von der Leyen. Dopo un primo momento di incertezza, quando sembrava che gli interessi economi ci tedeschi avrebbero spezzato l’Europa, ini ziando da un’Italia già in ginocchio, Von der Leyen ha rilanciato sull’iniziativa franco-te desca a favore di un inedito indebitamento comune con cui finanziare la ripresa delle economie più colpite dal virus aggiungendo altri 250 miliardi di euro ai 500 messi sul ta volo da Angela Merkel e Emmanuel Macron. Poi ha gestito in semiautonomia sia l’acqui sto e la distribuzione dei vaccini, coadiuvata dalla responsabile della direzione generale sanità, l’italiana Alessandra Gallina, sia l’im plementazione del Green pass, il cui algorit mo è stato sviluppato da un altro italiano, Roberto Viola, direttore generale della dire zione generale Connect. Il tutto sebbene i Trattati non dessero deleghe a Berlaymont in materia di sanità. Ma l’emergenza (e il successo nel risolverla) ha creato de facto la funzione e stabilito un precedente.

Non ancora chiusa quella che fino all’an no scorso era considerata la crisi peggiore dell’Europa contemporanea, la Russia ha invaso l’Ucraina, provocando il più grande sconvolgimento all’architettura della sicu

INFLUENZA

Il presidente del Consiglio Mario Draghi. La sua influenza si è fatta sentire spesso nelle decisioni della Commissione di Bruxelles

rezza europea dalla Seconda guerra mon diale. Ancora una volta la Commissione si è incaricata di gestire la situazione, median do e coordinando otto pacchetti di sanzioni economiche contro la Russia e l’assistenza militare all’Ucraina, mentre gli Stati mem bri organizzavano un riarmo concordato. Ursula von der Leyen, ex ministra tedesca della Difesa, con il suo caschetto biondo pulcino e le giacchette monocolore strette intorno alla figura minuta, è così diventata non tanto il volto della Vecchia Europa ma addirittura quello della “Zeitenwende”, del la “Svolta epocale” dell’Europa. Una svolta di proporzioni ben maggiori di quella già enorme che lei si era imposta a inizio man dato con gli obiettivi della transizione eco sostenibile e digitale.

Quando nelle ultime settimane, con lo scoppio del caos sul mercato dell’approvvi gionamento energetico e con la fiammata dell’inflazione, l’attivismo della Commissio ne è sembrato venire meno, anche le sorti dell’Italia hanno preso una piega poco felice. Il tanto atteso tetto al prezzo del gas propo sto in primavera dal premier Mario Draghi è stato prima snobbato, poi deriso, infine ral lentato. E nonostante le riserve di gas al 90 per cento, l’Italia soffre. Troppo alti i prezzi del gas, insopportabile l’inflazione, solo par zialmente compensata dagli interventi con sentiti da un debito pubblico che ha superato il 150 per cento della ricchezza nazionale.

Il coordinamento comune europeo a Ro ma sembrava l’unica, indispensabile solu zione. Ma Bruxelles nicchiava mentre que sta volta la Spagna, scollegata energetica mente dal resto d’Europa e campione delle rinnovabili, seguiva regole e modalità a noi lontane. Con il volgere dell’estate, il cancel liere tedesco Olaf Scholz si era messo di tra verso: lui il tetto al gas proprio non lo vole va, in nessuna sua forma. Avrebbe messo a rischio il rifornimento certo di una Germa nia gas-dipendente che ad agosto era stata disposta ad acquistarlo anche a 300 euro al megawattora (un prezzo che probabilmente non rivedremo più) e magari l’avrebbe anco ra una volta costretta a sussidiare le esigen ze dei suoi vicini. Forte di un’economia-formica, Scholz ha invece varato all’inizio di ottobre, tra lo sconcerto generale, un piano di sussidi domestici da 200 miliardi di euro, lo stesso valore del Pnrr italiano: un’impre sa finanziariamente impossibile per il

16 ottobre 2022 15 Prima Pagina Foto pagine 12-13: K. Kuleshova –The New York Times –Redux / Contrasto, pagine 14-15: A. Serranò –Agf

Prima Pagina

resto d’Europa. Von der Leyen, che or mai guarda con fiducia ad un secondo man dato nel 2024, a contrariare uno Scholz alle prese con due alleati di governo, i verdi e i liberali, in perenne scontro su tutto, e con le elezioni regionali alla porte, non ci pensava proprio. Ha bisogno di lui per una rielezione che non è scontata, visto che lei è di credo popolare e lui socialista, e non di un Mario Draghi che, pur essendo stato fin qui crucia le nelle decisioni europee, sta imboccando la porta d’uscita dalla politica.

Le critiche non si sono fatte attendere: se durante la gestione del Covid erano dirette alla sua mancanza di trasparenza nelle deci sioni, prese dentro la cerchia dei suoi colla boratori capeggiati dall’analista politico te desco Bjorn Seibert, e alla scarsa condivisio ne istituzionale, adesso sono dirette all’ec cessiva “germanofilia” di una presidente che dovrebbe essere di tutti, e non solo del Paese più grande ed economicamente più forte. «Lei ha subito Scholz, più che esserne la lun ga mano, e ha dovuto congelare le sue politi

CANCELLIERE

Il cancelliere tedesco

Olaf Scholz. Non sempre le sue scelte politiche sono risultate in armonia con quelle della Commissione guidata dalla sua connazionale von der Leyen

LA DECISIONE DI SCHOLZ DI VARARE UN PIANO DI 200 MILIARDI PER LA CRISI DEL GAS DIMOSTRA CHE NON SEMPRE C’È SINTONIA CON LE SCELTE DELLA PRESIDENTE SUA CONNAZIONALE

L’Unione e noi

che attive», smorza i toni una fonte del Con siglio europeo.

In ogni caso, alla fine perfino la Germania non può permettersi di decidere in completa autonomia. «Per un Paese europeo è cruciale sapere gestire le interdipendenze», sottoli nea Carlo Altomonte, professore di econo mia all’Università Bocconi. E infatti il giorno dopo le elezioni regionali, il cancelliere ha aperto alla costruzione comune di un tetto al prezzo del gas. Von der Leyen ha immediata mente fatto sapere che nei prossimi giorni presenterà le proposte (già pronte) della Commissione su come ottenere quel tetto te nendo conto delle differenze enormi tra i mercati energetici europei, senza mettere in pericolo i rifornimenti e disincentivando al contempo il consumo, così che i capi di Stato possano riuscire a concretizzare almeno una parte della soluzione nel Consiglio europeo del 20-21 ottobre.

«L’Unione e i suoi Stati membri devono fa re una scelta: scegliere un futuro comune o osservare il continente mentre scivola nell’ir rilevanza e nella frammentazione, perdendo la capacità di difendere i propri interessi», scrivevano in giugno gli analisti dello “Euro pean Policy Center” a proposito della prima metà del mandato della Commissione von der Leyen: «Ma andare avanti sarà possibile solo se la Commissione avrà il coraggio di mettere sul tavolo proposte che fino al giorno prima erano tabù». Per la gioia dell’Italia.

TAGLIO ALTOMAURO BIANI
16 16 ottobre 2022 Foto: A. Serranò –Agf

Ora Meloni deve scegliere tra Bruxelles e i sovranisti

Ese la pacchia fosse davvero finita? Non per Bruxelles, ma per colei che ha lanciato la minaccia: Giorgia Melo ni. Perché il paradosso vuole che per difendere fino in fondo l’“interesse nazionale”, il suo mantra politico, la prima donna premier della storia d’I talia dovrà dimenticare demagogie e sovranismi diffusi a piene mani in an ni di opposizione facile e nel mese di una rutilante campagna elettorale. È questa la sfida.

Finora la politica e i mercati sono ri masti in surplace. E non solo perché Giorgia è stata accorta a sopire e che tare, ma anche perché giudicheranno dai fatti: aspettano che il nuovo gover no squaderni la sua agenda, già densa di impegni da far tremare le vene e i polsi. Un ostacolo dopo l’altro: guerra, gas, inflazione, recessione. E le prime avvisaglie. Il cancelliere tedesco Olaf Scholz, dopo aver sistemato zitto zitto le cose a casa sua con 200 miliardi (ha poco debito, se lo può permettere), ha ora accettato di partecipare a un piano europeo contro la crisi energetica fi nanziato, come quello anti Covid, con un impegno comune europeo. La Ger mania ci sarà, ma a una condizione: che Meloni non chieda di rinegoziare il Pnrr, come improvvidamente annun ciato in campagna elettorale, richiesta che arresterebbe il flusso di finanzia menti e le riforme - utili a far sì che i soldi siano spesi presto e bene - a fron te delle quali sono stati concessi i fondi europei. Chiaro, no?

Insomma, Giorgia deve scegliere do ve stare: o in uno splendido isolamen to nazionalistico, o con l’Ue che ha da to all’Italia più soldi che agli altri, ha chiuso un occhio su un debito mon

stre, congelato i vincoli di bilancio e, via Bce, acquistato titoli del debito per 300 miliardi. Che pacchia, finora! Cer to, la leader di un ex partito minorita rio che conquista Palazzo Chigi è co stretta a fare i conti con la realtà; e il documento base della politica econo mica per il 2023, il Def, porta la firma di Mario Draghi: dunque è più che proba bile una certa continuità. Ma al condo minio europeo, che mette i soldi anche per noi, e ai mercati cinici e concreti, le ipotesi non bastano.

Meloni, per esempio, promette rigo re nei conti pubblici, ma le promesse fiscali sue e dei suoi alleati o, che so?, il no alla vendita dell’ex Alitalia vanno in direzione opposta; dice di difendere l’interesse nazionale, ma il fatto che le imprese italiane macinino metà del lo ro fatturato all’estero e siano legate a filo doppio a quelle tedesche, mal si concilia con certi slogan autarchici che ogni tanto affiorano; dialoga con Polonia e Ungheria (fino a non votare la reprimenda europea contro l’auto

crate Orban), ma si accorgerà che i loro interessi sono molto lontani dai nostri e che se vorrà ottenere qualcosa - su energia, immigrazione, revisione dei vincoli di bilancio su cui si tratterà pre sto - Meloni avrà piuttosto bisogno di Macron e Scholz. Realpolitik.

Per una singolare coincidenza i de stini d’Italia e d’Europa sono oggi nelle mani di due donne: a Roma Giorgia, a Bruxelles Ursula. Che poi - ah, forza dei paradossi! - sono politicamente molto legate: la presidente della Commissio ne europea Von der Leyen, come quel la del Parlamento Roberta Metsola, sono infatti state elette da una maggio ranza larga e insolita alla quale aderi sce anche il “Partito dei conservatori e riformisti europei” di cui è presidente proprio Meloni, ma non quello dei filo russi di “Europa delle nazioni e delle libertà” dell’amica Le Pen e del socio di governo Salvini. E dunque, Giorgia: da che parte stare, con Ursula e Roberta, o con Marine, Viktor e Matteo?

16 ottobre 2022 17 Prima Pagina Foto: V. Nuzzolese –SOPa Images –LightRocket / GettyImages
di BRUNO MANFELLOTTO Il commento
Giorgia Meloni con il primo ministro ungherese Viktor Orbán

Se si osservano i resoconti sull’U nione Europea degli ultimi due decenni, si ha l’impressione che la comunità di Stati stia inciampan do in una crisi dopo l’altra e sia costantemente sull’orlo del bara tro. Eppure la discussione pubblica sembra seguire sempre la stessa drammaturgia: si enfatizzano i conflitti interni all’Europa, si afferma che gli egoismi nazionali mettereb bero a repentaglio la coesione dell’Unione, si evoca addirittura la sua disgregazione e si dichiarapraticamenteimpossibileunaccor do. Quando i capi di governo trovano final mente un compromesso nel corso di lunghe trattative, si dice che la comunità l’ha scam pata per un pelo - finché il gioco non rico mincia con la grande sfida successiva, uno o due anni dopo.

Se invece si osservano i risultati dei son daggi condotti nei vari Paesi dell’Ue sul tema dell’unificazione europea, emerge un qua dro diverso. C’è molta insoddisfazione per le politiche delle istituzioni europee, in parti colare della Commissione, e dubbi diffusi sul fatto che l’appartenenza all’Ue sia effettiva mente vantaggiosa per il proprio Paese. Tut tavia il regolare ripetersi di crisi che presu mibilmente minacciano l’esistenza dell’U nione Europea non causa una perdita di fi ducia nel processo di unificazione, ma piuttosto fa sì che la sua approvazione da parte dei cittadini degli Stati membri venga nuovamente mobilitata. Al culmine della cosiddetta crisi dell’euro, ad esempio, l’ac cettazione della moneta comune è cresciuta in modo significativo proprio in Germania, la cui popolazione aveva a lungo rimpianto il marco tedesco. La decisione della Gran Bretagna di lasciare l’Unione Europea non ha portato a una completa rottura della co munità, come avevano affermato i sosteni tori della separazione nel periodo preceden te la crisi, ma piuttosto a un aumento del gradimento della comunità da parte dei cit tadini dei Paesi membri.

La pandemia ha anche reso più forte, an ziché più silenziosa, la richiesta di una mag giore integrazione europea. In questo conte sto i risultati di un sondaggio multinaziona le condotto dall’European Council on Forei gn Relations nell’aprile-maggio 2020 sono rivelatori e mostrano che, almeno in questa fase relativamente iniziale della pandemia, i

DELUSI MA EUROPEISTI

I sondaggi mostrano che i cittadini dell’Unione sono insoddisfatti delle soluzioni adottate per le crisi. Eppure chiedono sempre più integrazione

L’AUTORE

Thomas Petersen insegna presso l’Università tecnica di Dresda e lavora come project manager dell’Istituto Allensbach per la ricerca sull’opinione pubblica. Le sue pubblicazioni includono la comunicazione visiva, la ricerca elettorale e la teoria dell’opinione pubblica.

cittadini di nove diversi Paesi dell’Ue erano prevalentemente scettici nei confronti della comunità. Alla domanda se la loro immagi ne dell’Ue fosse migliorata o peggiorata du rante la crisi da Covid-19, almeno la maggio ranza relativa degli intervistati, e persino la maggioranza assoluta in Spagna e Italia, ha risposto che la loro immagine dell’Ue era peggiorata sotto l’impatto della crisi. Ma questo non ha portato i rispondenti a di chiarare superflua l’Unione, anzi. Nello stes so sondaggio un numero significativamente maggiore di intervistati in tutti i Paesi parte cipanti si è detto d’accordo con l’affermazio ne «La crisi da Covid-19 ha dimostrato che abbiamo bisogno di una maggiore coopera zione a livello di Ue» rispetto alla posizione opposta «La crisi da Covid-19 ha dimostrato che l’integrazione europea si è spinta troppo oltre».

In passato, quando si discuteva pubblica mente dell’unificazione europea, l’attenzio ne era solitamente rivolta agli aspetti econo mici di questo processo. Ma l’attacco della Russia all’Ucraina ha portato a un cambia mento nella visione del ruolo geopolitico dell’Unione Europea, almeno in alcuni Paesi europei. Una forza trainante sembra essere

18 16 ottobre 2022
Europa Oggi A CURA DI AMÉLIE BAASNER

l’impressione che l’Europa unita non sia ab bastanza forte nell’attuale situazione di crisi. Probabilmente questo è particolarmente sentito come un deficit nella situazione at tuale, perché anche negli Stati membri più grandi dell’Ue i cittadini non si fanno grandi illusioni sul peso internazionale dei loro Pa esi. In Francia, il 62% degli intervistati in un sondaggio rappresentativo dell’Istituto Ifop nel marzo 2022 si è detto d’accordo con l’af fermazione «La Francia può fare davvero la differenza solo nel quadro dell’Unione euro pea». Solo il 38% ha optato per la posizione opposta: «La Francia non ha bisogno di strutture come l’Unione Europea per eserci tare influenza a livello internazionale». Nel giugno 2022 l’Istituto Allensbach per la ri cerca sull’opinione pubblica ha presentato ai suoi intervistati le stesse affermazioni in Germania, con risultati dalle percentuali quasi identiche.

Sembra quindi logico che, in reazione alla guerra in Ucraina, sia aumentato sensibil mente anche il sostegno alla creazione di un esercito comune europeo. Nel 2017, in un sondaggio dell’Istituto Allensbach per la ri cerca sull’opinione pubblica in Germania, il 34% era ancora favorevole a tale passo, men

Prima Pagina

IL TEMA

Contrariamente al dibattito pubblico che per anni ha propagandato la scomparsa dell’Ue, i risultati del sondaggio nei vari Paesi europei dipingono un quadro differenziato. Il numero crescente di crisi ha portato a un aumento dell’approvazione dell’Ue da parte dei cittadini degli Stati membri. La richiesta di una maggiore integrazione europea si fa sempre più forte tra la popolazione

tre praticamente lo stesso numero, il 35%, era contrario. Nel giugno 2022, invece, i favo revoli hanno superato nettamente i contrari, 43 contro 29 per cento. I risultati di un son daggio online progettato dall’Istituto uni versitario europeo e gestito da YouGov, con dotto nell’aprile 2022 in 16 dei 27 Stati mem bri dell’UE, sono stati ancora più chiari. In tutti i 16 Paesi il numero di intervistati favo revoli alla costruzione di un esercito euro peo unificato ha superato quello dei contra ri, e in 13 di questi Paesi il divario tra i favore voli e i contrari a una forza armata europea è stato di 20 punti percentuali o più. Solo in Bulgaria, Slovacchia e Danimarca il divario era minore.

In sintesi, i sondaggi mostrano la stessa cosa: le ricorrenti e intense discussioni sulle crisi dell’Unione europea non sono un segno della sua prossima scomparsa, ma anzi raf forzano il senso di comunità in Europa. L’im pressione che la coesione dell’Unione euro pea possa essere messa in pericolo rende ovviamente molti cittadini davvero consa pevoli del suo valore.

16 ottobre 2022 19 Foto: Getty Images
La sede della Bce a Francoforte

PUTIN ACCERCHIA

L’ESCALATION DEL CONFLITTO DECISA CON I FALCHI. MA TANTO I FAUTORI DI UNA LINEA ANCORA PIÙ DURA QUANTO LA NOMENKLATURA TEMONO DI PAGARE UN PREZZO TROPPO ALTO PER L’UCRAINA. E LO ZAR PERDE CONSENSI

DI FEDERICO VARESE

Q

ualcosa di significativo sta avvenendo nelle stanze del potere di Mosca. Mentre fi no ad oggi era quasi impos sibile comunicare con fun zionari di Stato e imprendi tori russi legati a doppio fi lo col regime, ora cominciano a rispondere al telefono, mandare messaggi su Telegram e rilasciare interviste in forma anonima ai giornali occidentali. La cautela non è venu ta meno, ma la cortina sta cominciando ad infrangersi. Cosa ci raccontano queste vo ci? Che Putin è screditato, debole eppure è ancora molto pericoloso.

La “verticale del potere” – ovvero il siste ma di coordinamento tra apparati – sembra essere in crisi. Molti governatori hanno apertamente dichiarato di non avere il de naro per realizzare le promesse fatte dal go verno, per aiutare, per esempio, le famiglie dei mobilitati durante questa crisi (il sinda co di Mosca è stato partico larmente critico). L’erosione dell’autorità di Putin passa anche dagli strali lanciati dal fondatore del gruppo Wagner, Evgeny Prigozhin, e dal capo della Repubblica Cecena, Ramzan Kadyrov, contro il ministro della Dife sa Sergei Shoigu, politico fe delissimo di Putin, e contro i

generali corrotti e il loro “nepotismo”. Pri gozhin e Kadyrov cercano di dettare la poli tica militare del Paese. Putin ha permesso che il potere dei due signori della guerra cre scesse a dismisura e ha reso ufficiale il loro ruolo nell’invasione dell’Ucraina, ma ora pa ga un prezzo salato. Machiavelli insegna che quando i mercenari vincono le guerre per conto del Principe, presto si sostituiscono a lui. Anche i protagonisti dei talk show come Margarita Simonyan e Vladimir Soloviev at taccano regolarmente il modo in cui viene condotta la guerra. È la prima volta che lo scontro tra elementi chiave dell’élite è così cruento e sotto gli occhi di tutti. In passato, la gestione del potere da parte di Putin con sisteva nel fare da arbitro e nell’elargire ri sorse. Oggi questo ruolo gli riesce sempre più difficile poiché le risorse scarseggiano e le opzioni si riducono ogni giorno. Un rap porto confidenziale dell’intelligence Usa (ci tato dal Washington Post) riferisce che negli ultimi giorni un membro del cerchio magico ha apertamente criticato il presidente di fronte ad altri interlocutori senza avere, per ora, subito alcuna conseguenza.

L’amministrazione del Paese funziona sempre peggio. Il direttore di una banca statale (intervistato da Moscow Times), ha detto che al governo c’è una «totale man canza di coordinamento, è un casino», mentre un alto funzionario ministeriale ha riferito al sito Meduza: «Nessuno spiega più

20 16 ottobre 2022 Guerra / Fronte Cremlino
Federico Varese Docente a Oxford

Prima

ACCERCHIATO DALLE ÉLITE

nulla a nessuno». Fino almeno al 2018 il presidente si consultava con l’amministra zione statale sulle politiche da perseguire e riceveva consigli e avvertimenti sui costi relativi di ogni proposta. Oggi si circonda di un gruppo ristretto (i capi dei servizi segreti e della polizia, alcuni membri del Consiglio di sicurezza e consiglieri fidati come Dyu min e Mironov), prendendo decisioni che spettano poi ai funzionari implementare, senza copertura finanziaria e programma zione logistica. Dall’inizio della guerra, Pu tin ha perso ogni interesse verso i temi non militari e il cerchio magico è sempre più ristretto. Ad esempio, la decisione della mo bilitazione parziale è stata presa senza al cuna preparazione, lasciando di stucco co loro che dovevano metterla in pratica.

Il dissenso all’interno del regime e del Pa ese cresce. Un imprenditore ha detto a L’E spresso: «Ho subito perdite ingenti per la contrazione dell’economia e non credo più alle promesse del presidente. Putin non ha una visione del futuro». Secondo Yevgenia Albats, la direttrice della rivista Novoe Vremya che è da poco fuggita all’estero, «al meno il 70 per cento della nomenklatura è contrario alla guerra». L’approvazione del presidente tra la popolazione è scesa nelle ultime settimane del 6 per cento (dati uffi ciali). Sempre in base a sondaggi ufficiali, il 70 per cento dei russi si dichiara «ansioso» rispetto al futuro. Dopo la mobilitazione parziale, si sono diffuse le proteste nelle re gioni della Russia. Ma è soprattutto la clas se media delle grandi città che teme che i propri figli vengano mandati al fronte e fa di tutto per evitare questa prospettiva. Mol ti si sono attivati offrendo tangenti agli uffi ci di reclutamento. Le principali imprese del Paese stanno compilando liste di dipen denti da esentare dal servizio militare (lo stesso stanno facendo gli uffici pubblici): è nato quindi un piccolo mercato di favori e tangenti. Il Guardian ha citato il caso di

16 ottobre 2022 21
Pagina Foto: GettyImages
Il presidente russo Vladimir Putin e il ministro della Difesa Sergei Shoigu

Guerra / Fronte Cremlino

IL NOBEL PER I DIRITTI UMANI SERVIRÀ AD AIUTARE LE VITTIME

Abbiamo parlato al telefono con Alexander Cherkasov, presidente del consiglio di Memorial human rights center. In questo momento si trova in Georgia, costretto a scappare dalla Russia poiché ricercato («Ho lasciato la Russia il 2 giugno e l’Fsb ha iniziato a cercarmi il 5 luglio. Ora me ne pento, avrei potuto passare un altro mese a casa»). Memorial, insieme al Center for civil liberties di Kiev e all’attivista bielorusso Ales’ V. Bjaljacki, è stato insignito del premio Nobel per la pace 2022.

Qual è stata la sua prima reazione alla notizia del premio?

«Ero felice che fosse stata premiata un’organizzazione umanitaria ucraina. Dimostra che la guerra e la mobilitazione per i diritti umani non conoscono confini. Tutte e tre le organizzazioni vincitrici del premio fanno parte della Federazione internazionale dei diritti umani».

Quale è stata la reazione dei funzionari del governo russo?

«Le organizzazioni statali per i diritti umani hanno parlato a nome dello Stato. Valery Fadeev (dal 2019 presidente del Consiglio per lo sviluppo della società civile e dei diritti umani) ha dichiarato che il premio è screditato, che Ales’ è un nemico dello Stato bielorusso, che il Center for civil liberties sta documentando in modo errato i crimini di guerra e che Memorial dovrebbe rifiutare il premio. Non c’è stata altra reazione. Il governo aveva altro a cui pensare».

Cosa sta succedendo a Memorial?

«Qualche giorno fa abbiamo perso un processo per l’uso dei nostri locali. Stiamo cercando di proteggere l’archivio. A livello federale, l’organizzazione è stata chiusa e ora, su richiesta dell’ufficio del pubblico ministero, lo Stato ha iniziato a perseguire le nostre succursali. La macchina burocratica, lenta ma inesorabile, scricchiolante ma sicura di sé, inghiottirà l’intera organizzazione e i suoi membri».

Il premio Nobel potrebbe aiutare?

«Non capisco come possa influire. Non ha avuto alcun effetto sulla sentenza. Nel bel mezzo dell’udienza, il giudice e il cancelliere sono scomparsi, apparentemente per discutere del Premio, c’è stato un po’ di subbuglio, ma poi sono tornati e ci hanno condannati. Il Nobel di Solzhenitsyn nel 1970 non ha impedito alle autorità sovietiche di espellerlo dal Paese nel 1974. Il Nobel a Novaya Gazeta nell’autunno del 2021 non ha impedito la liquidazione del giornale nella primavera del 2022. Solzhenitsyn ha però usato il denaro per aiutare i prigionieri politici».

Avete pensato come impiegare il denaro?

«Dobbiamo discuterne tutti insieme ma con una guerra in corso e migliaia di vittime, le scelte da fare sono chiare. Questo premio è principalmente per il Centro per le libertà civili, che lavora in Ucraina, la vittima dell’aggressore». Cosa sta facendo Memorial in questo momento?

«Il compito più importante per noi ora è aiutare gli sfollati ucraini in Russia».

un deputato virulentemente antiocci dentale che ha accompagnato il figlio all’a eroporto, per assicurarsi che lo facessero salire su un volo per Istanbul. Ovviamente, più i russi vanno al fronte, più le loro fami glie verranno informate delle condizioni in cui sono costretti i figli, della corruzione e incompetenza criminale degli ufficiali, del le violenze subite dagli ucraini e dell’odio per gli invasori. Anche la profonda Russia si renderà conto che non vi è nessun «nazi sta» da sconfiggere. Chi ritorna avrà anche esperienza militare e può ben andare ad in grossare le file delle organizzazioni mafiose oppure ribellarsi al regime. Ma non è detto che le difficoltà di Putin spingano il presi dente a fare concessioni e ritrarsi, ammet tendo la sconfitta. Un funzionario governa tivo intervistato da Moscow Times pensa che «la mobilitazione adesso è parziale, ma presto diventerà totale e verrà usata l’ato mica». Fonti dell’intelligence inglese senti te da L’Espresso suggeriscono che i russi stanno pianificando una offensiva per la fi ne di ottobre e il governo di sua maestà sta contemplando di consigliare ai propri cit tadini di lasciare il Paese nelle prossime settimane. Kadyrov ha chiesto a Putin di usare l’atomica in Ucraina. D’altra parte, molti militari di carriera stanno facendo trapelare che sono preoccupati per lo stra potere di Wagner e di Kadyrov, per la nomi na di Sergei Surovikin (vicino ai mercenari della Wagner) a comandante in capo delle operazioni in Ucraina, e soprattutto per l’i potesi di un uso della bomba atomica. L’E spresso ha parlato con un alto funzionario del ministero degli Esteri, il quale è in stret to contatto con esponenti dell’esercito. «I militari sono quasi tutti contrari all’uso dell’atomica. È l’ultima carta che il boss può giocare ed è quindi irrazionale suggerire questa opzione». Se un tale ordigno fosse impiegato, ci sarebbe una risposta della Na to che umilierebbe l’esercito e farebbe mi gliaia di vittime tra gli ufficiali.

F. V.

Cosa ci possiamo aspettare da questa si tuazioneincontinuaevoluzione?Loscontro all’interno dell’élite è aperto e coinvolge da una parte i vertici dei servizi, la guardia pre sidenziale Rosgvardia e i signori della guer ra, e dall’altra l’esercito e pezzi della società civile. Non sappiamo chi vincerà, ma senza dubbio il regime ha i piedi d’argilla.

22 16 ottobre 2022 Prima Pagina Foto: D. Dilkoff –Afp / GettyImages
colloquio con Alexander Cherkasov design Ivana Ortelli
emarinella.com
PHOTO OLIVIERO TOSCANI

Ucraina / Lo scenario

FURIA RUSSA

l ministro degli esteri ucraino Dmytro Kuleba ha dichiarato dopo gli attacchi di lunedì che «bisogna smetterla di spostare le responsabili tà, le esplosioni sul ponte di Crimea non hanno nulla a che vedere con i bombardamenti mas sicci alle principali città ucraine». Tuttavia, al netto del fatto che la guerra continua già da sette mesi e che il Cremlino non aveva certo bisogno di un pretesto per bombardare Kiev o Leopoli, è impos sibile non considerare determinati eventi come una rottura netta con il periodo precedente.

BOMBA SUL PONTE IN CRIMEA

LA REAZIONE ALLA DISTRUZIONE

Questi eventi, in molti casi, si caricano di quello che viene definito “valore simbo lico” e diventano forieri di un cambia mento radicale. D’altronde, cos’è un sim bolo? Difficile stabilirlo a priori, spesso ci si stupisce di quanto oggetti insignifican ti assumano enorme importanza anche per gli individui più ordinari e di come questi portino avanti le azioni più insospettabili in nome di quell’osses sione. Altre volte, invece, l’ossessione di un singolo o di un gruppo si trasforma nella convinzione di interi popoli e si rientra nell’alveo della storia o della religione. Molte guerre sono state combattute per rubare o distruggere i simboli dei nemici, altre sono scoppiate solo per il desi derio di vendetta. Quando i nazisti occuparono Parigi nel 1940 obbligarono i francesi a firmare la resa nello stesso

vagone ferroviario che era stato usato 22 anni prima per umiliare la Germania sconfitta nella Prima Guerra Mon diale. Quando l’Isis ha conquistato alcune regioni della Siria e dell’Iraq nel 2014, i suoi miliziani hanno distrutto monumenti antichissimi dichiarando che erano il sim bolo della corruzione sulla Terra. In altri termini, quan do il simbolo diventa il feticcio del capo, soprattutto nel caso dei regimi totalitari (o fortemente autoritari) è solo questione di tempo: non appena questi lo sentirà minac

24 16 ottobre 2022
DI SABATO ANGIERI DA MYKOLAYIV
I LA
E
DI UN SIMBOLO DELL’IMPERO DELLO ZAR. SI È APERTO UN NUOVO CAPITOLO DEL CONFLITTO. E I TEMPI SI ALLUNGANO

La ricerca dei superstiti dopo l’attacco russo a Zaporizhzhia del 10 ottobre

ciato reagirà con tutta la violenza di cui è capace. Proba bilmente allo stesso modo, quando le immagini del ponte di Crimea in fiamme sono apparse su Internet e hanno fatto in breve tempo il giro del mondo, per il presidente russo Vladimir Putin si è passato un segno. Le ragioni sono molteplici ma due aspetti in particolare vanno ana lizzati: il valore simbolico dell’infrastruttura e le conse guenze militari del suo danneggiamento.

La Crimea è la “terra santa” della Russia, uno dei sim boli dell’espansione a Occidente dell’im pero zarista (insieme a Odessa) e, dopo la dissoluzione dell’Urss, era diventata il grande rimpianto di molti nazionalisti russi. Approfittando della situazione in Ucraina nel 2014, delle proteste contro il presidente Yanukovich, di fatti di cronaca come la cosiddetta “strage di Odessa” e della paura in alcune fette della popola zione russofona per i provvedimenti del

nuovo governo ucraino, le forze speciali russe compirono un blitz nella penisola e in brevissimo tempo indissero un referendum (anche quello supervisionato dai milita ri). La conseguenza di tutto ciò fu la quasi immediata an nessione della Crimea al territorio russo. Si badi bene la netta differenza con le sorti delle due repubbliche sepa ratiste del Donbass, lasciate dal Cremlino nel limbo per 8 anni. Ciò la dice lunga anche sull’opportunismo di certa retorica che vuole le azioni di Mosca come volte a «difen dere» le cosiddette «minoranze filorusse d’Ucraina». A ogni modo, Putin dichiarò che quello che secondo lui era un torto storico, ovvero l’assegnazione della penisola al la Repubblica socialista sovietica d’Ucraina nel 1954 da parte di Krusciov, aveva finalmente trovato rimedio. Da quel momento gli investimenti sono stati massicci, la ba se di Sebastopoli (che per essere precisi era già in conces sione ai russi prima del 2014) è stata ampliata ed è diven tata il centro nevralgico della flotta del Mar Nero della marina russa. Si incoraggiavano i russi ad andare in

16 ottobre 2022 25 Prima Pagina Foto: J. Colon –Anadaolu Agency / GettyImages
Sabato Angieri Giornalista

Prima Pagina

villeggiatura sulle spiagge della peni sola e gli esponenti più ricchi della classe media vi compravano case vacanza. Poi, nel 2015, Putin varò un piano colossale per la costruzione del più grande viadotto sospeso d’Europa: 19 km tra la provincia di Krasnodar nella Russia continentale e Kerch, in Crimea, passando per l’isola di Tuzla in mezzo allo stretto. Per realizzare l’infrastruttura furono spesi 228 miliardi di rubli (circa 3,8 mld di euro) e ci vollero solo tre anni. A inaugurare il ponte fu lo stesso Putin.

C’è da aggiungere che l’Ucraina prima del 24 febbraio di quest’anno, aveva sem pre tenuto un po’ in sordina le rivendica zioni sulla Crimea, (anche qui) a differen za di quanto si verificava con il Donbass. È vero che nel 2021 Zelensky aveva lancia to la “piattaforma Crimea” per tentare di risolvere diplomaticamente la questione e far convergere l’opinione pubblica inter nazionale a favore del suo Paese, ma il for mat non era sembrato portatore di chissà quale soluzione. Inoltre, prima dell’inva sione russa e anche a guerra già iniziata, spesso si sentiva parlare di «ritorno ai confini precedenti al 24 febbraio», quindi con la Crimea sotto il controllo di Mosca. Dall’altro lato, quando il con testo militare si è rovesciato e Kiev ha lanciato la massic cia controffensiva nell’est, Putin ha ribadito più volte che lo status della penisola «non è e non sarà mai in discus sione, la Crimea è russa per sempre». È evidente che alla luce delle dichiarazioni di Putin nel discorso del 21 set tembre, in particolare riguardo alla «minaccia atomica», l’attacco al ponte della Crimea costitui sce uno spartiacque. Tutti si chiedevano come avrebbe reagito il presidente russo a quello che senz’altro aveva percepito co me un affronto personale, realizzato, per giunta, nel giorno del suo settantesimo compleanno.

Il colonnello generale Sergej Surovikin, che in precedenza ha guidato il raggruppamento delle truppe russe in Siria, nominato comandante delle forze aerospaziali russe

Ucraina / Lo scenario

ra a un livello circoscritto di impegno mi litare. Ma nelle ultime due settimane quest’impostazione che ha influenzato il conflitto fino all’autunno è stata abban donata. Presto arriveranno truppe fre sche, secondo molti analisti poco prepa rate e male armate, ma comunque si do vrebbe trattare di almeno 120 mila uomi ni. Inoltre, continua il repulisti in seno ai vertici dell’esercito, sia per quanto ri guarda il comando sul campo, sia nelle posizioni apicali in patria. Il che, ancora una volta, si può interpretare come segno di debolezza ma anche come prova del fatto che siamo ben lungi dalla fine. Il nuovo comandante in capo del gruppo congiunto delle forze armate russe impe gnate in Ucraina, il generale Sergej Suro vikin, è conosciuto con il soprannome di «cannibale» e si è distinto per la totale assenza di scrupoli nelle operazioni mili tari in Siria.

Così gli attacchi che a inizio settimana hanno danneggiato seriamente le infra strutture energetiche ucraine vanno in terpretati in questo senso. Putin ha mi nacciato nuovamente Kiev, affermando apertamente che se quest’ultima «continuerà ad attac care il territorio russo» la risposta di Mosca sarà «bruta le». Ma non bisogna attendere per trovare i segni di que sta brutalità: Leopoli, Kharkiv, Kryvyi Rih, Sumy, Odessa sono rimaste per ore senza corrente elettrica e interi quartieri non l’avranno nelle prossime settimane. Diver si centri strategici e logistici dell’esercito e dell’intelli gence sono stati colpiti e molti civili sono rimasti uccisi.

AL VERTICE DELLE OPERAZIONI ARRIVA SUROVIKIN DETTO IL CANNIBALE PER LA CRUDELTÀ IN SIRIA. A LUI TOCCHERÀ COORDINARE L’ARRIVO DI ALTRI 120 MILA UOMINI MANDATI AL FRONTE

Il secondo piano è quello militare. Dal ponte sullo stretto di Kerch passavano i rifornimenti diretti ai fronti di Kherson e di Zaporizhzhia. In virtù degli sviluppi degli ultimi giorni sappiamo quanto questi rifornimenti siano essenziali per le truppe di Mosca impegnate nel sud dell’Ucraina. Sia per mantenere il controllo delle zo ne già occupate, sia per opporsi alla significativa avanza ta delle truppe di Kiev che nell’ultima settimana si sono avvicinate di almeno 35 km a Kherson riuscendo a libe rare posizioni importanti sulla riva ovest del fiume Dni pro. Tra l’altro, finora i soldati russi hanno pagato con la vita e la fatica la decisione del Cremlino di tenere la guer

Gli analisti imputano questo cambio di strategia russo alla necessità di bilanciare le sconfitte sul campo, ma al di là delle previsioni sulle mosse future del Cremlino, ciò che tutti sperano è che si tratti solo di una risposta circo scritta, per quanto omicida, e che le distruzioni alle qua li abbiamo assistito in questi giorni non diventino il mo dus operandi di una nuova fase della guerra, ancora più tragica della precedente.

26 16 ottobre 2022

Guerra ed

UN PRICE CAP SUL GAS?

DI EUGENIO OCCORSIO

Si fa presto a dire “price cap”, il magico “autoscon to” che dovrebbe risolvere come d’incanto il pro blema del caro-energia, delle bollette folli, della carenza di gas. Se ne parla da otto mesi, è stato al centro di un’infinità di vertici, negoziati, incontri, ma non se ne è fatto nulla. Il prossimo appello è per il consiglio dei capi di governo di Bruxelles del 20 e 21 otto bre, l’ultimo al quale parteciperà Mario Draghi che per primo l’aveva proposto all’indomani dell’invasione dell’Ucraina. Ma l’esito è quantomai incerto, mentre dal fronte arrivano notizie sempre più inquietanti e i riflessi finanziari sono inevitabili. Con il tempo, le proposte si sono moltiplicate, e oggi i price cap ipotizzati sono almeno una dozzina: si va dal tetto solo per il gas russo che però espone alla prevedibile ritorsione (già ampiamente sperimentata) della chiusura dei rubinetti da parte di Mosca, fino a quello “erga omnes”: «Allora però si por rebbe il non secondario problema di andare a spiegare ad al gerini, azeri, libici e quant’altri, tutti Paesi dove siamo andati a chiedere con il cappello in mano più gas, che da domani vo gliamo maggiori forniture ma le paghiamo meno», obietta Massimo Nicolazzi, docente di Economia delle fonti di ener gia all’università di Torino. «La presidente della commissione Ue ha ammesso che un intervento sul prezzo dovrebbe essere concordato con gli altri fornitori affidabili, a parte la Russia insomma». Per quanto riguarda il gas liquefatto, per le navi che lo portano in Europa niente di più facile che fare rotta al trove dove le porta la convenienza. «Parliamoci chiaro», av verte Giampaolo Galli, responsabile dell’Osservatorio sui con ti pubblici fondato da Carlo Cottarelli. «Il price cap è qualcosa di più di una sanzione aggiuntiva, è quasi un atto di guerra che implica il venir meno agli obblighi contrattuali». Molti con tratti delle aziende occidentali con Gazprom hanno scadenze lunghe (fino al 2036) e contengono clausole di adeguamento dei prezzi sulla base delle quotazioni.

C’è un nutrito pacchetto di proposte intermedie. Alcune puramente fantasiose come l’idea di interve nire informaticamente sulle piattaforme di scambio «che avrebbe l’unico effetto di creare un mercato parallelo», dice Nicolazzi. Altre più concrete: la via spagnola, dove il governo di tasca propria salda la differenza fra il prez zo ottimale e quello spot (percorso seguito ora dalla Germania che ha messo al servizio di consumatori e imprese 200 miliardi), o il progetto abbozzato da Ursula von der Leyen

al vertice di Praga dell’inizio di ottobre, quello del “corridoio”. Se il mercato spot indica un prezzo accettabile, al centro del “corridoio”, si compra il gas. Se si discosta mettiamo del 5% al rialzo si ferma tutto e si ricorre al salvagente europeo, che però è tutto da studiare ed è argomento che più divisivo non si può. L’idea è di utilizzare per le compensazioni il neonato fondo RePowerEu, un abbozzo del “nuovo recovery” alimentato sia con i 170 miliardi non utilizzati del NextGen (perché c’è chi non li ha voluti al momento di elaborare i Pnrr nazionali) che con le tassazioni sugli extra-profitti (quelli di chi produce energia con altre fonti ma la vende ai prezzi di quella del gas). Le polemiche fioccano: chi sostiene che con quei soldi si devo no invece pagare le sovraspese per gli appalti del Pnrr, chi si oppone a dare altri fondi a chi già ne ha avuti a valanga (legga si Italia), chi dice che basterebbero solo per pochi mesi visto l’andazzo della guerra e quindi andrebbero emessi nuovi euro bond con tutte le complicazioni del caso.

28 16 ottobre 2022
economia

Prima

GAS? FACILE A DIRSI

Al price cap si attribuiscono poteri taumaturgici perfino nei confronti della borsa merci Ttf di Amsterdam dove si formano i prezzi del gas, e della speculazione che vi si annida. La realtà è più complessa. «La situazione è talmente tesa e l’andamento delle quotazioni così imprevedibile - spiega Andrea Boitani, economista della Cattolica - che perfino gli speculatori ormai si tengono alla larga dal mercato di Amsterdam». È cruciale il ruolo delle “clearing house”, sorta di banche che operano sulla borsa olandese con la funzione di intermediarie fra comprato ri e venditori di gas. Sono 15 in tutta Europa: l’unica italiana autorizzata dalla Banca d’Italia è la Cassa di Compensazione e Garanzia, ora ribattezzata Euronext Clearing. La commis sione Ue da tempo sta cercando di creare una clearing house europea nell’ambito del tortuoso cammino verso l’unione del mercato dei capitali. Senonché il Covid prima e lo sconquasso bellico dopo (quello dell’energia è uno dei mercati-campione su cui sta concentrandosi il lavoro di Bruxelles) hanno fatto rinviare qualsiasi piano. Se ce ne fosse bisogno, c’è ancora una complicazione: la clearing house di riferimento, di gran lun ga la maggiore, è da sempre quella di Londra, che svolge tut tora compiti di supervisione su tutte le “consorelle” europee. Ma dopo la Brexit è saltato il progetto comune e ci si è accor dati per un definitivo divorzio nel 2025, dopodiché le casse di compensazione europee se la dovranno cavare da sole men tre la tempesta infuria sul mercato: «Il Ttf è un ganglio im portante e integrato del sistema finanziario mondiale», ri prende Boitani. «Come tutti i mercati, che utilizzano stru menti quali future e option, ha una funzione importante di stabilizzazione in tempi normali. Viceversa, i mercati posso

Non è finita. Una forma di price cap, ovvero di ridimensionamento e controllo sul prezzo finale, è il “decoupling”, lo spacchettamento fra l’energia prodotta con il gas e quella in modo diverso: Giorgia Meloni ne ha fatto un argomento elettorale invocandolo a gran vo ce come se fosse una sua scoperta. Il proble ma è che non è facile identificare presso un venditore di energia la fonte da cui questa è creata. Un abbozzo di decoupling peraltro inizia ad esserci in Europa: è stata appena varata una norma tiva Ue che impone agli operatori una dichiarazione delle fon ti di generazione con le quote relative. Il successivo passo sarà l’attribuzione di valori di riferimento diversi. L’obiettivo di fon do resta comunque spingere i consumatori a scegliere fonti alternative a quelle fossili, quale appunto il gas, prospettando forme di razionamento energetico.

COSTI DELL’ENERGIA STANNO

IN GINOCCHIO IMPRESE

FAMIGLIE IN

ECCO

no diventare essi stessi destabilizzanti quando gli shock so no massicci e frequenti come oggi. Però serve attenzione al momento di congelare o superare il Ttf: l’esperienza della Lehman insegna che quando tocchi un tassello del sensibilis simo mosaico finanziario mondiale, diventa assai probabile che crolli tutto il sistema».

16 ottobre 2022 29
Pagina Foto: A. Rudakov –Bloomberg / GettyImages
Un gasdotto russo gestito da Gazprom I
METTENDO
E
EUROPA.
TUTTE LE DIFFICOLTÀ POLITICHE E TECNICHE CHE OSTACOLANO I TENTATIVI DI LIMITARLI

Meloni allarga il “Cerchio Maggico”

Giorgia Meloni ha cambiato numero di telefono per non ri spondere più a Berlusconi, e ha fatto annullare da Wind il contratto telefonico di Salvini per impedirgli di telefona re. Irrintracciabile dai suoi alleati, vede solo Mattarella e Draghi, con i quali sta concordando la formazione di un governo di alto profilo, formula che taglierebbe fuori in partenza i suoi due alleati. Secondo indiscrezioni, Salvini avrebbe insistito sul basso profilo, se non altro per dare ai suoi elettori l’impressione di contare ancora qualcosa.

Berlusconi Viene tenuto costantemente aggiornato dai suoi collabora tori: lo hanno già informato, con delicatezza, che ci sono state le elezio ni, che lui ha perso una montagna di voti e che ha vinto la Meloni. Per ammortizzare la brutta notizia gli è sta to fatto credere che Giorgia sia una sua creatura, una ex valletta di Gerry Scotti. È dunque convinto di essere lui l’artefice del nuovo governo, e passa le giornate as segnando ministeri ad amici e parenti, con un plaid sulle ginocchia. Dicono che punti alla presidenza del Senato ma non per mire politiche: pare che gli piaccia una impiegata di Palazzo Madama e stia cercando un pretesto per avvicinarla.

I tecnici Ecco il vero problema di Meloni: come far convivere, nello stesso Consi glio dei ministri, persone di grande com petenza e ministri di Fratelli d’Italia. Per l’Economia, per esempio, sono in ballo il vicerettore di Harvard, l’italoamerica no Manfredo Stewart Lodi, in corsa per il prossimo Nobel, e Romolo Menicacci, vicesindaco di Frascati, tra i fedelissimi di Giorgia dai tempi di Atreju e del mitico “Cerchio Maggico”. Del Cerchio Maggico fa parte anche Nando Bambacci, presi dente della Comunità Montana del Ter minillo, in ballottaggio per il Ministero degli Esteri con Marcaurelio Origoni, già ambasciatore a Pechino, Tokio e Parigi.

Provincialismo L’accusa di provinciali smo è quella che ferisce di più la futura premier. Negli ultimi mesi delle elezioni aveva allargato la sua cerchia, fino allora

limitata a personalità del circondario di Roma e della provincia di Latina, inclu dendo anche esponenti della destra di Frosinone e Rieti. Anche il sito internet del Cerchio Maggico, su suggerimento dello staff di comunicazione, era stato corretto, finalmente, in “Maggic Circle”. Non è bastato, e Giorgia sa bene di dover uscire dal cliché romanesco che potrebbe svantaggiarla nei summit internazionali, dove ordinare bucatini cacio e pepe da rebbe nell’occhio. Berlusconi, per aiutare l’amica Giorgia a darsi un tono interna zionale, le ha suggerito di presenziare alle partite del Monza, insieme all’amico Galliani con il quale condivide il plaid.

Vox La partecipazione della Meloni alle adunate del partito neofranchista preoc cupa l’Europa, e lei lo sa bene. Nei pros simi comizi, dunque, provvederà a un sensibile ritocco degli argomenti in chia ve moderata. Il famigerato “Dio Patria e Famiglia”, motto fascista ancora visibile, con lettere corrose dal tempo, su fienili e pollai di mezza Italia, diventerà proba bilmente “Dio, Patria e un terzo valore a scelta”, in omaggio al pluralismo. Gli ide ologhi di Giorgia tentano di avvalorare la tesi che la corretta grafia dello slogan sia “Dio! Patria e Famiglia”. Dio non sarebbe dunque una rivendicazione di fede, ma una esclamazione di sorpresa di fronte all’adunata oceanica. Per esteso, lo slo gan andrebbe dunque così interpretato: “Dio, quanta gente! Che bella rimpatriata, sembra di stare in famiglia”. Nessuna indicazione ideolo gica, solo una frase cordiale.

La frase Anche la celebre frase «Sono Giorgia, sono donna, sono madre, sono italiana» è sotto analisi per una revisione che sia più accettabile dall’establishment europeo e da Mario Draghi. Una soluzione è l’uso del condizionale: «Sarei Giorgia, sarei donna, sarei madre, sarei italia na». Un’altra è continuare a dire le stesse identiche cose, ma a bassa vo ce, soluzione che Meloni e il suo entourage vorrebbero adottare anche nell’attività di governo.

Satira PreventivaMichele Serra 16 ottobre 2022 31 Illustrazione: Ivan Canu
Tra i collaboratori non più solo personalità di Roma e Latina, ma anche di Viterbo e Frosinone. E il nome diventa “Maggic Circle”
32 16 ottobre 2022 LE SPINE DI GIORGIA ENERGIA, CONTI PUBBLICI, NOMINE. E NON SOLO. ECCO I PROBLEMI CHE IL NUOVO GOVERNO SI TROVERÀ AD AFFRONTARE. SPESSO SENZA POTER RISPETTARE LE PROMESSE ELETTORALI DI VITTORIO MALAGUTTI E CARLO TECCE

Le cose che vanno male: guerra, prezzi, tassi, debito, crescita, in flazione. Le cose che vanno be ne: nessuna. Non ci sono bran delli di ottimismo e speranza per il governo di Giorgia Meloni, sol tanto scenari apocalittici e però non ci pos sono essere alibi. Ecco otto questioni da ap puntarsi per far in modo che ciò che va male non vada malissimo.

INFLAZIONE

Le previsioni sul futuro prossimo sono in certe, ma pare difficile che la fiammata in flazionistica si spenga nell’arco di pochi me si. In Italia siamo all’8,9 per cento e nell’area dell’Euro il mese scorso la crescita dei prezzi ha già toccato il 10 per cento su base annua. I costi elevati dell’energia, prevedono gli analisti, continueranno a trainare al rialzo i prezzi di gran parte dei beni di consumo e dei servizi. Il nuovo governo si troverà quin di a dover gestire la diminuzione del potere d’acquisto di salari e stipendi causato dall’au mento del costo della vita, mentre migliaia di aziende in difficoltà potrebbero essere co strette a far ricorso alla cassa integrazione. Non è un caso che Confindustria sia tornata alla carica chiedendo un “patto per l’Italia” che preveda nuovi aiuti contro il caro ener gia e anche una riduzione del cuneo fiscale, per ridurre il costo del lavoro a carico degli imprenditori, aumentando allo stesso tem po le retribuzioni dei dipendenti. Entrambe queste misure costano decine di miliardi. Il solo taglio di cinque punti del cuneo fiscale per i redditi sotto il 35 mila euro annui assor birebbe risorse per almeno 16 miliardi, se condo i calcoli resi noti nei mesi scorsi da Fratelli d’Italia. Almeno 40 miliardi dovreb bero invece essere stanziati per le bollette. Per finanziare questi interventi il governo sarà quindi costretto a risparmiare su altre voci di spesa. In caso contrario diventerebbe difficile tenere sotto controllo il deficit.

CONTI PUBBLICI

La buona notizia è che il 2022 si chiude me glio di quanto previsto solo sei mesi fa, nel Documento di economia e finanza (Def) pubblicato in aprile dal governo di Mario Draghi. Giorgia Meloni parte con un debito pubblico al 145,4 per cento sul Pil contro il 147 per cento ipotizzato dal Def in aprile. E anche il deficit per quest’anno dovrebbe fer

Prima

marsi al 5,1 per cento, cinque decimi di pun to in meno rispetto alle previsioni dell’ese cutivo uscente. Questo significa che il nuovo governo potrà spendere una decina di mi liardi in più senza sforare l’obiettivo di disa vanzo al 5,6 per cento fissato in primavera. Il miglioramento si spiega in buona parte con l’aumento delle entrate fiscali, che tra genna io e agosto (ultimo dato disponibile) sono lievitate del 13,4 per cento rispetto allo stes so periodo del 2021. Deficit e debito vengono misurati in rapporto al Pil e se quest’ultimo continua a crescere a buon ritmo (più 3,3 per cento previsto per il 2022) i conti pubblici migliorano di conseguenza. Tutto bene, dunque? Proprio no, purtroppo. A parte il dato del debito misurato in valore assoluto, che non smette di lievitare e ha raggiunto quota 2.770 miliardi, in prospetti va le incognite più pesanti sono due. La pri ma riguarda il rialzo dei tassi d’interesse. Secondo i calcoli dell’Ufficio parlamentare di bilancio ogni punto percentuale in più nel rendimento dei titoli di Stato costa 19 mi liardi al Tesoro. Nel 2022 la spesa per interes si arriverà a 76 miliardi, circa 10 in più del previsto. Una previsione tutto sommato otti mistica, costruita sul presupposto di una fre nata dell’inflazione nei primi mesi del pros simo anno. È quasi certo, invece, che la cre scita del Pil rallenterà notevolmente già a partire da questo autunno. Secondo le previ sioni del governo, il prodotto interno lordo aumenterà solo dello 0,6 per cento nel 2023, con il rischio di avvicinarsi a quota zero se l’instabilità causata dalla guerra dovesse prolungarsi a lungo. Stretta tra interessi in rialzo e possi bile recessione, per Giorgia Meloni diventerebbe molto difficile far quadrare i conti. E a Bruxelles tornerebbe a crescere la preoccupazione per la tenuta dell’Italia, con prevedibile allargamento dello spread. Una spirale da evitare a ogni costo.

FISCO

Meno tasse per tutti. Questo in sintesi il programma elet torale del centrodestra alla voce fisco, un programma da declinare con una serie di misure che vanno dalla

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Pagina Foto: Agf (2), Getty Images, FotoA3
Carlo Tecce Giornalista Vittorio Malagutti Giornalista

Agenda Italia

flat tax incrementale fino a nuovi condo ni, pudicamente descritti come «accordi tra cittadini ed Erario per la risoluzione del pre gresso». Facile a dirsi, ma passare dalla pro paganda agli atti concreti di governo appare più che mai complicato. È questo il caso, per esempio, della riforma bandiera di Fratelli d’Italia, cioè la tassa piatta sui soli incremen ti di reddito da un anno all’altro. Una misura che oltre a essere di complicata applicazio ne, secondo molti specialisti si presterebbe anche a seri rilievi di costituzionalità, visto che all’aumentare del reddito l’aliquota me dia diminuirebbe. Tutto il contrario della progressività delle imposte sancito dall’arti colo 53 della Costituzione. Tra le promesse della campagna elettorale del centrodestra rientra anche la flat tax per i lavoratori autonomi con entrate fino a 100 mila euro, versione riveduta e corretta di quella già in vigore sui ricavi inferiori a 65 mila euro. L’ipotesi potrebbe essere quella di far pagare un’aliquota unica del 20 per cento agli autonomi con introiti compresi tra 65 mila e 100 mila euro. Come a suo tempo è stato calcolato dall’Ufficio parla mentare di bilancio, la riforma proposta dal partito di Giorgia Meloni favorirebbe i titolari di partita Iva rispetto ai dipendenti, creando anche in questo caso un problema di costituzionalità poiché soggetti di pari capacità contributiva verrebbero tassati in modo diverso. Quanto ai condoni, i dati confermano che i proventi della cosiddetta pace fiscale sono quanto meno aleatori, perché chi non ha pagato a suo tempo quanto dovuto si sente garantito dal fatto che prima o poi ci sarà un’altra amnistia fi scale e quindi preferisce aspettare il prossi mo giro.

NOMINE

I cosiddetti boiardi già scalpitano per le no mine nelle aziende a controllo statale che si terranno in primavera. Questa tornata offre, tra le altre, Eni, Enel, Enav, Poste, Terna e Le onardo. Però il governo di Giorgia Meloni è chiamato a una prova di livello internaziona le che può certificare anche il suo vero tasso di patriottismo. Dopo una proroga e ben otto anni di mandato, il norvegese Jens Stolten berg sta per lasciare la guida della Nato. In un semestre la Nato è passata dal disastro af ghano al ruolo centrale nella guerra in Ucrai na. Il candidato italiano che può riscuotere

CAROVITA

Un pensionato davanti a un Caf a Roma, nella zona di casal Bruciato. A destra: un supermercato. Il costo della vita sta diventando un problema soprattutto per le persone con redditi bassi

più consensi - se Mario Draghi conferma la sua indisponibilità - è Paolo Gentiloni, attua le commissario europeo, già presidente del Consiglio e ministro degli Esteri. Il suo profi lo è perfetto per la Nato, ma il governo di cen trodestra dovrebbe supportare un protago nista del centrosinistra. Complicato, però istituzionale. Invece è scontata la conferma per la quarta volta di Claudio Descalzi in Eni che, durante l’ultimo periodo, ha gestito le strategie energetiche del Paese. Per Poste e le altre il governo farà degli innesti, in partico lare in Leonardo, ma la linea sarà quella di non stravolgere le aziende e di scegliere con la piena sintonia del Quirinale.

ITA

Il 31 ottobre scade la proroga per la trattati va in esclusiva di Ita Airways (la ex Alitalia) con il fondo americano Certares per la ven dita del suo 50 per cento più un’azione oggi in mano al ministero dell’Economia. È asso dato che l’azienda aspetti il nullaosta del go verno di Giorgia Meloni per ratificare il ne goziato. Ita Airways fu fondata nel novem bre 2020 dalle spoglie di Alitalia con uno stanziamento di 1,35 miliardi di euro pubbli ci e al costo sociale di 7.800 esuberi. Al mo mento il ministero ha versato 750 milioni, altri 400 vanno bonificati entro il 2022 e sono necessari per compensare le perdite e infine

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Prima Pagina

250 milioni sono disponibili nel primo tri mestre del prossimo anno. A complicare ancora di più il percorso verso la privatizzazione nei giorni scorsi è esploso anche il conflitto tutto interno al consiglio della compagnia. Un conflitto che vede schierati da una parte gli amministratori con l’ad Fabio Lazzerini, espressione del go verno 5s-Pd, e dall’altra il presidente Alfredo Altavilla indicato da Draghi. Mercoledì 12 ottobre il cda ha tolto le deleghe operative al presidente aprendo una nuova crisi. Questo fa intendere quanto sia complesso definire il futuro della giovane Ita Airways. Il fondo americano Certares, che potrebbe stringere sinergie con la compagnia connazionale Delta e con la francese Air France assieme a Klm, ha ottenuto la trattativa in esclusiva, ma non è detto che il governo Meloni prose gua nella stessa direzione. Potrebbe rallen tare o esplorare altre ipotesi. La vendita è un obbligo perché lo Stato si è già impegnato con Bruxelles per la privatizzazione.

PENSIONI

Se non dovesse accadere nulla, a Capodan no potrebbe tornare in vigore la legge pen sionistica che porta il nome dell’ex ministra Elsa Fornero. Un danno politico enorme per il centrodestra e soprattutto per la Lega di Matteo Salvini che in passato, dopo gli scan

dali e le inchieste sui finanziamenti pubblici, con le feroci critiche alla legge (e all’ex mini stra) ha drenato parecchi consensi. Il gover no gialloverde di Giuseppe Conte (prima versione) ha introdotto quota 100 (somma tra anni di contribuzione e di impiego) poi diventata quota 102, una misura che scade il 31 dicembre.

Non ci sono tesoretti segreti per replicare. Al massimo si potrebbe varare, lo propon gono i leghisti, una quota 41 (anni di contri buzione) e sfangare il 2023 in attesa di tem pi migliori. E per gli altri lavoratori il gover no potrebbe prorogare l’Ape sociale che apre una finestra a 63 anni e l’opzione don na con i suoi 58/59 anni: entrambe le for mule sono due tipologie di pensione antici pata con assegni notevolmente ridotti ri spetto ai 67 anni fissati dalla Fornero. Que sti tre piccoli interventi potrebbero costare circa 5 miliardi di euro. Il conto più grosso, però, dipende dall’inflazione che nel trien nio farà aumentare di 46 miliardi euro - di

IL CANDIDATO CON IL CURRICULUM GIUSTO PER LA NATO È PAOLO GENTILONI.

MA LA MAGGIORANZA DI CENTRODESTRA SI TROVEREBBE A DOVER APPOGGIARE

UN UOMO DEL CENTROSINISTRA

cui 23,5 miliardi nel 2023 - la spesa per il sistema previdenziale.

ENERGIA

Il tormento è l’energia. Anzi è un doppio tor mento: le bollette e le risorse. Ormai da un anno, i costi per le famiglie e le imprese sono ingestibili. L’ultimo rialzo è del 54 per cento per l’elettricità, il 74 per il gas e l’inverno sta per portare inevitabili maggiori consumi. Il governo uscente di Mario Draghi ha tentato di contenere l’impatto sui cittadini con una serie di decreti per un totale di 66 miliardi di euro. Il governo entrante di Giorgia Meloni dovrà adottare provvedimenti simili e però si trova in una situazione economica ancora peggiore: i nuovi aiuti andranno finanziati con uno scostamento di bilancio, cioè crean do altro debito in un contesto di tassi assai più alti del passato. Nel frattempo resterà in cima all’agenda anche la questione degli

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Foto: F. Fotia / Agf, Alamy / Ipa

Agenda Italia

approvvigionamenti, conseguenza diret ta dell’invasione russa dell’Ucraina e delle sanzioni al regime di Vladimir Putin. Per sostituire le forniture in arrivo dalla Rus sia, il governo di Draghi ha firmato accordi per l’import via mare da Stati Uniti, Egitto, Congo e via tubo da Azerbaijan, Algeria e Qatar. Il gas che arriva per nave è allo stato liquido e dun que va rigassificato. Snam, un’azienda di Stato, ha quindi acquistato due piattaforme mobili per lavorare circa 7,5 miliardi di metri cubi all’anno (il fabbisogno italiano è di oltre 76 mi liardi): nessun ostacolo per le operazioni al largo di Ravenna, mentre a Piombino i politici locali fanno le barricate. Intanto, gli stoccaggi sono arrivati al 90 per cento della capienza to tale. Quanto basta per arrivare a primavera, ma il futuro è più che incerto. Tant’è che Clau dio Descalzi, amministratore delegato di Eni, ha dichiarato che l’inverno più difficile sarà l’anno prossimo. Di certo questo sarà il più co stoso per gli italiani. Per ora.

PNRR

Giorgia Meloni lo ha ripetuto più volte du rante la campagna elettorale: il Piano na zionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr) va aggiornato, perché la guerra in Ucraina, il boom delle quotazioni dell’energia e in ge nerale l’impennata dell’inflazione hanno cambiato il contesto economico in cui an dranno realizzati gli investimenti concor dati con la Commissione europea. Sui costi

CONFERMA

Il presidente dell’Eni Claudio Descalzi è tra i pochi manager pubblici a poter contare su una riconferma da parte del nuovo governo

finali ha un forte impatto, per esempio, l’au mento dei prezzi dei materiali da costru zione. Per modificare il programma delle opere, Meloni dovrà bussare a Bruxelles che, in teoria, potrebbe dare via libera sulla base del regolamento Ue del 2021 che inclu de l’aumento dei prezzi come «circostanza oggettiva» tale da giustificare un aggiorna mento del Piano.

Cambi in corsa a parte, il nuovo governo sarà chiamato a rispettare la tabella di mar cia degli investimenti, su cui l’esecutivo uscente ha accumulato qualche ritardo. È vero, infatti, che nel 2021 e nel primo seme stre del 2022 sono stati raggiunti traguardi e obiettivi, sotto forma di riforme, previsti da gli accordi con la Commissione. E infatti l’I talia ha già ricevuto, in due tranche, i primi 45,9 miliardi dei 191 miliardi che spettano al nostro Paese fino al 2026. Il fatto è, però, che entro la fine dell’anno verrano spesi non più di 15 miliardi rispetto ai 24,9 miliardi previ sti. Numeri, questi ultimi, che emergono dal la Nota di aggiornamento al Def (Nadef) pubblicata dal governo a fine settembre. «I ritardi sono evidenti e difficili da recupera re», ha messo le mani avanti la premier in pectore nei giorni scorsi attaccando il suo predecessore Draghi. Adesso però il tempo delle polemiche è scaduto. Meloni è attesa alla prova dei fatti, sul Pnrr come sul resto del programma di governo.

L’INIZIATIVA

Stefano Disegni firma sei vignette da completare a tema disuguaglianze a sostegno della campagna di raccolta fondi “Insieme per la giustizia sociale e ambientale” del Forum Disuguaglianze e Diversità su Produzioni dal Basso. La quarta battuta vincitrice è di Letizia Aprile nella vignetta che pubblichiamo qui. Ogni settimana, per le prossime due settimane, una nuova vignetta di Stefano Disegni da riempire verrà pubblicata sul sito e sui canali social del ForumDD. Per partecipare con la propria battuta, bisognerà essere già sostenitori e sostenitrici della campagna del ForumDD o decidere di diventarlo senza nessuna soglia minima o massima (la donazione alla campagna è assolutamente libera). Tutte le informazioni sull’iniziativa e le modalità per partecipare su www.forumdisuguaglianzediversita.org

Prima Pagina 36 16 ottobre 2022 Foto: FotoA3

SUSANNA TURCO

IL BRACCIO DESTRO

N

ello spazio di un mattino, de finirlo novello Gianni Letta è diventato persino troppo po co. Il Foglio l’ha battezzato così un mese fa in omaggio al più raffinato tra i consiglieri del Cavaliere Berlusconi, il grande pubblico tuttora a malapena sa chi sia, ma Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia e premier in pectore, si fida di lui più di chiunque al tro. È Giovanbattista Fazzolari, cin quant’anni, appena rieletto senatore, l’uo mo che ha scritto il programma di FdI, il parlamentare che al momento, per quanto possa sembrare sorprendente, è tra i più potenti d’Italia – o meglio: dell’Italia politi ca. Giorgia Meloni ha scelto lui per farne una specie di alter ego per fase di formazio ne del governo. Al tavolo ristretto fino al giorno in cui si stilerà la lista dei ministri si siedono soltanto loro due, tutti gli altri un passo indietro. E la cosa è destinata a ripe

tersi. Diciamo per iperbole: tiene così tanto alla sua opinione che, se potesse, la leader dei Fratelli d’Italia gradirebbe fare predi sporre per Fazzolari una seconda scrivania accanto alla sua da presidente del Consi glio, nella medesima stanza, per garantirsi la collaborazione ventiquattr’ore su venti quattro. Lo vorrebbe ad esempio consiglie re a Palazzo Chigi: già immaginarlo sottose gretario alla Presidenza, come pure si è ipotizzato, o ministro all’attuazione del Pn rr, significherebbe poterci contare poco, ri trovarselo troppo gravato di altre incombenze. E Me loni, su di lui, conta tutto. Così, dunque, anche se è ancora presto per dirlo, vo lendo così su due piedi tro vare un volto chiave, un personaggio simbolo del governo prossimo venturo, la nuova destra che coman

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Poltronissime
DI
GIOVANBATTISTA FAZZOLARI È L’UOMO CHIAVE DEL PROGRAMMA, IL CONFIDENTE, QUELLO DI CUI MELONI SI FIDA DI PIÙ. NELL’OMBRA FINO A SEI MESI FA. ADESSO È LA QUINTESSENZA DEL NUOVO POTERE

da, ecco ce l’abbiamo: la faccia di Fazzolari, bene o male.

Lui, per Giorgia, c’è da sempre. Passò con lei, ad esempio, la serata prima del giuramento al Quirinale come ministra della Gioventù, nel 2008, governo guidato da Silvio Berlusconi, come ha raccontato lei stessa nell’autobiografia “Io sono Gior gia” nel 2021, riempiendo di elogi il suo consigliere: «Giovanbattista, per gli amici antichi Spugna, per me Fazzo, è la persona più intelligente e giusta che abbia avuto la fortuna di conoscere. Oggi è senatore di Fratelli d’Italia, ma per me è molto di più. Non ricordo un solo giorno della mia vita in cui non ci fosse lui al mio fianco». Si so no conosciuti nel periodo dell’impegno universitario, quando lui – infanzia itine rante appresso al padre diplomatico, poi liceo francese a Roma allo Chateaubriand - era responsabile romano di Fare fron te-Azione universitaria, spola tra La Sa

Manifestazione di Fratelli d’Italia in Piazza del Popolo, a Roma, in occasione della campagna elettorale per il candidato sindaco Enrico Michetti nel 2021

pienza e la sezione di via Sommacampa gna. Fazzolari è sempre stato un melonia no, come praticamente tutti gli altri suoi fedelissimi, sin dal congresso di Viterbo del 2004 in cui Meloni con soli 16 voti di scarto su Carlo Fidanza fu eletta capo dei giovani di An. Per quella occasione, infatti, la oggi quasi premier dovette scegliersi due referenti nazionali: uno era lui, l’altro era Francesco Lollobrigida, capogruppo alla Camera destinato a quanto pare alla riconferma. Insomma vent’anni fa era pra ticamente tutto uguale ad adesso, come ha raccontato lo stesso Fazzolari a France sco Boezi due anni fa in “Fenomeno Melo ni”: «Anche in quella occasione, a Viterbo, Lollobrigida si era occupato soprattutto di organizzazione e dinamiche politiche. Io, invece, mi ero concentrato sugli aspetti programmatici e su quelli contenutistici». E da allora non ha più fatto altro, almeno per il partito e per la sua leader.

16 ottobre 2022 39 Prima Pagina Foto: M. Di Vita –Mondadori Portfolio

Poltronissime

Meloni però Fazzolari non l’ha lascia to indietro: se lo è portato anche alla Came ra dei deputati, nel 2006, quando, da vice presidente di Montecitorio, lo ha voluto suo consulente giuridico. E, due anni dopo, l’ha trasferito al governo: capo della segre teria tecnica della ministra della Gioventù, fino al 2013. In tutto questo tempo, l’idillio è diventato totale, come ha raccontato lei, sempre tenendola bassa: «Con quell’e spressione sempre tranquilla, la battuta pronta per sdrammatizzare e una risposta a qualsiasi domanda, ha accompagnato tutto il mio percorso. Ormai ci capiamo al volo, e tra noi c’è una tale alchimia che a volte non ricordiamo più chi sia stato, dei due, a elaborare un determinato pensiero. Ci siamo completati a vicenda, e scherzan do diciamo che ognuno ha salvato l’altro da se stesso». Nientemeno.

Ecco se le cose stavano così in partenza, il suo ruolo nelle ultime settimane è addi

AMANTE DEL TIRO SPORTIVO, È UNA SPECIE DI EROE PER GLI APPASSIONATI. È RIUSCITO A LIBERALIZZARE L’USO DEL 9X19, IL PARABELLUM. “SIAMO UNA CATEGORIA TROPPO POCO TUTELATA”

rittura cresciuto. A tutto vantaggio di un altro personaggio assai vicino a Meloni e che pure è legato a Fazzolari, sin dai tempi dell’impegno politico all’università e della sezione di via Sommacampagna: Giampao lo Rossi, filo no vax e filo-putiniano, ora di rettore scientifico della fondazione An e presente in tutti i toto-potere di Fratelli d’I talia a partire da quello della Rai (lui in ve rità vorrebbe fare il ministro, ma la valanga di suoi post giudicati inopportuni, anche su Sergio Mattarella, rendono questo deside rio particolarmente complesso da realizza re). Per dire quanto sono molteplici e forti i legami di questo mondo che ora si affaccia alle stanze del potere: a inventare il nome di Azione universitaria, che era guidata da Fazzolari, fu Alessandro Vicinanza detto “Il macedone”. Ed è a lui, scomparso giovane, che Giampaolo Rossi ha dedicato la vittoria di Fratelli d’Italia, con un post su Facebook, il 25 settembre.

PROTAGONISTI

Giovanbattista

Fazzolari, è alla sua seconda legislatura da senatore. A destra, Francesco Lollobrigida, capogruppo alla Camera di FdI

Certo è, per tornare all’oggi, che il pre sunto Gianni Letta di Giorgia Meloni si tro va abbastanza fuori linea, rispetto al riser vatissimo dottor Letta originale. Mentre Fazzolari ha cominciato ad essere insegui to da richieste, amici di vecchia data spun tati dal nulla, affamati di poltrone, è saltato fuori che Fazzolari è una specie di idolo per gli appassionati di armi. Un Che Guevara della doppietta libera. Gira sul web una sua intervista, rilasciata in Lacoste nera alla Fiera Eos 2022 di Verona in cui, è trattato come un personaggio davvero importante già nella primavera scorsa, quando i più non ne conoscevano neanche il nome.

«Sì, mi diverto e mi diletto nel mondo del tiro», gongola, Fazzolari in quell’occasione, mentre l’intervistatore lo magnifica e lo porta in trionfo come «motore trainante per la liberalizzazione del 9x19 », volgar mente detto Parabellum, grazie al «merito rio» emendamento con cui senza partico lari clamori ha «fatto uscire l'Italia dal Me dioevo» facilitando l'uso dell’arma. Un’azio ne definita «quasi eroica», ma nata da un preciso afflato: «Reputo che i possessori di armi abbiano diritto a maggiore tutela e maggiore attenzione di quella che di solito hanno», spiegava Fazzolari. Ecco, uno pen sava le donne, i poveri, gli emarginati: inve ce no, l’orizzonte naturale è la lobby del tiro sportivo, che ha bisogno di più tutela. Faz

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zolari fino a quattro mesi fa era assai vigile.

Raccontava infatti: «Ci sono attualmente delle proposte di legge molto preoccupanti che di fatto annullerebbero la possibilità di fare tiro sportivo. Alcune prevedono l’im possibilità di detenere munizioni a casa, ma solo al poligono, il che è irrealizzabile. Oppure l’obbligo di tenere le armi ai poligo ni, creando delle sorte dei fortini nei poli goni». Un vero scandalo. «Fino alle assurdi tà che per poter richiedere un porto d’armi si debba avere l’assenso di tutte le prece denti relazioni anche affettive, il che rende la questione grottesca, irrealizzabile, oltre a dare la possibilità a ex mogli o ex mariti di rifarsi col vecchio partner non concedendo la possibilità di avere le armi», raccontava indignato Fazzolari.

È una vera fortuna che la legislatura sia ca duta in anticipo, prima che queste terrifican ti proposte di legge potessero minare la liber tà di tutti. Ma adesso si pone un ulteriore problema: alla scarsa attenzione per la tutela degli appassionati di armi ha sin qui posto rimedio Fazzolari stesso, in persona, argine all’ingiustizia. Non sappiamo dire chi d’ora in poi si occuperà dei diritti di chi fa tiro sporti vo. In Fratelli d’Italia e nella maggioranza in genere si usa dire in questi giorni, per qualsi asi cosa: «Chiedetelo a Fazzolari». Si potreb be domandargli anche questo.

Prima

GENESI DI UNA DITTATURA IL LIBRO DI EZIO MAURO

DI WLODEK GOLDKORN

“L’ANNO

DEL FASCISMO”

Ezio Mauro

Feltrinelli, pp. 240, € 20

Era febbraio dell’anno 1922. Mancavano otto mesi alla marcia su Roma e all’incarico ricevuto dal re di presiedere il governo, quando Benito Mussolini per l’ultima volta trascorreva qualche ora con il suo ex compagno di lotte e galera Pietro Nenni. Ambedue si trovavano a Cannes, in occasione della conferenza dei capi dell’esecutivo delle potenze vincitrici della prima guerra mondiale. E il leader socialista lo descriveva così: «Ha un profondo disprezzo per coloro che lo sostengono e sa di essere, a sua volta, disprezzato». Lo cita Ezio Mauro nel suo (bellissimo) libro “L’anno del fascismo. 1922. Cronache della marcia su Roma”, pubblicato da Feltrinelli. Quella frase spiega molto sul meccanismo dell’ascesa di un ex agitatore del popolo al ruolo di capo assoluto degli italiani e inventore di un nuovo modo di concepire la vita politica e sociale, chiamato appunto, in tutte le lingue, Fascismo. In quella frase c’è un’intuizione: oltre a tutte le altre questioni (ci torneremo), il regime nasce da una forte dose di nichilismo. Per Mussolini conta solo la volontà di potenza.

Il testo di Mauro è un reportage, specie di cronaca con molti dettagli sulla vita quotidiana degli italiani all’epoca, sui dieci mesi dell’anno che cambiò l’Italia (ma anche l’Europa e il mondo). Al centro: Milano, città laboratorio del fascismo ma pure il Quirinale, sede e cuore della monarchia che finirà per assecondare i voleri del Duce. Lo sguardo del cronista è dall’alto: dai due balconi. No, non da quello totemico di piazza Venezia ma dal balcone di palazzo Marino e da quello romano dell’edificio adibito alla dimora del monarca. Da quei due balconi si ha la prospettiva non solo sul movimento fascista ma sull’insieme della società italiana e della sua classe politica. Il pregio, uno dei pregi, della narrazione di Mauro è la consapevolezza della casualità della storia e della contingenza che detta le scelte degli attori degli eventi. E su questo sfondo ideale l’autore fa la cronaca dell’impotenza e della resa dei liberali, della incapacità dei socialisti di pensare ad altro che a se stessi, con il corollario di scissioni ed espulsioni, della stoltezza del re preoccupato in primis delle mire del Duca d’Aosta al trono.

Impressionante il racconto sulla violenza esercitata dai seguaci di Mussolini durante quei mesi cruciali. Ecco, l’impressione è che non si trattava solo di uno strumento della presa di potere ma di un tentativo di cambiare i tratti antropologici del popolo. La violenza era pedagogia e valore in sé.

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Pagina Foto: S. Carofei –Fotogramma, F. Fotia –Agf

La società che resiste

CI AIUTIAMO DA SOLI

a lettera dell’A2a è stata aperta e appesa all’anta del frigorifero. Presto o tardi Luca Federici do vrà decidersi a pagarla, quella bolletta del gas «aumentata del mille per cento» dice. Non è ti po da farsi intimidire da una fattura esponen zialmente più cara del solito: ha affrontato ben altro negli ultimi nove anni. «La mia forza, la nostra forza so no le persone che entrano in fabbrica per studiare il modello dell’autogestione, per conoscerci, per parlare con noi, per co struire insieme un mondo diverso. La nostra forza sono quei giovani che se non fossero approdati qui, sarebbero finiti al soldo della criminalità organizzata; sono quei cinquantenni disoccupati da tanto, troppo tempo, che qui hanno trovato gli strumenti per rimettersi in discussione». No, Luca non è un pazzo visionario, è il presidente di Ri-Maflow, società ope raia di mutuo soccorso nata dall’occupazione della fabbrica metalmeccanica Maflow di Trezzano sul Naviglio, sud ovest di Milano. Producevano i condizionatori delle Bmw, mentre oggi sono artigiani, fabbri, carpentieri, falegnami, idraulici, elettricisti, esperti di logistica, produttori di alcolici e distri butori di prodotti ortofrutticoli. Quando nel 2009 si scatenò la crisi finanziaria, il proprietario impose la chiusura della Maflow a cui le tute blu si opposero occupando i capannoni. Si opposero allo sfollamento e preservarono i macchinari dal degrado. Diedero così vita alla Ri-Maflow a una cooperativa che, oltre a dare lavoro a cinquanta operai, oggi è un movi mento di contrasto all’abbandono scolastico, un luogo ospi

tale verso quei minori che hanno già avuto qualche guaio con la legge, un presidio antifascista e contro la ’ndrangheta, che in questo territorio ha tentacoli micidiali: «Perché l’antimafia non si fa solo con le leggi, ma anche sviluppando progetti sa ni e dando lavoro dignitoso laddove le mafie insistono di più», racconta il presidente Luca Federici.

Realtà come la sua rappresentano oggi l’unico argine al tra collo sociale di fragili e poveri, dimenticati dalle istituzioni e dalla politica che, al più, ha saputo lanciare agli ultimi gli spiccioli del Reddito di cittadinanza, minacciando però di ri prenderseli. «E quindi sì, la bolletta del gas fa paura a me e agli altri colleghi della Ri-Maflow, ma finché ci sarà una rete sociale su cui contare, noi resistiamo, come i partigiani», il messaggio di Luca viene riassunto nel titolo del rapporto “La Pienezza del Vuoto” realizzato dalla Scuola Superiore Univer sitaria Gran Sasso Science Institute dell’Aquila partendo dall’analisi di 91 esperienze di presidi antimafia, cooperative, associazioni, movimenti e gruppi di base che intrecciano re lazioni con la Rete dei Numeri Pari e il Forum Disuguaglianze e Diversità, co-autori dell’indagine e che esprimono il punto

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L
ASSOCIAZIONI DI MUTUO SOCCORSO. NATE DAL BASSO. PER AFFRONTARE UNA CRISI DURISSIMA. NELL’INDIFFERENZA DI PARTITI E ISTITUZIONI DI GLORIA RIVA

di vista di oltre seicento realtà a diretto contatto con i territo ri. Una miriade di associazioni che galleggia nell’indifferenza: «Qui le istituzioni non vengono, non ci vengono i politici, ma neppure i sindacati. Eppure noi lo vorremmo un rapporto con i sindacati, perché ci sentiamo ancora operai e siamo una forma di resistenza all’impoverimento e alla precarizzazio ne», spiega Luca Federici.

Il report dimostra che queste associazioni riempiono il “vuoto” lasciato dalle istituzioni, dalla politica, dall’imprendi tore di turno fuggito con i profitti all’estero, evitando che a colmarlo sia la mafia o il degrado, special mente al Sud. Lo fanno offrendo alla popola zione gli strumenti per trovare lavoro, ma anche dando cultura ed educazione, servizi essenziali e informazioni. Per il 78 per cento delle realtà intervistate il nodo cruciale è la partecipazione, l’essere coinvolti in progetti di giustizia sociale e ambientale, perché «la partecipazione dal basso colma la latenza, se non l’assenza delle istituzioni», dice il report.

Prima

Tangibile lo scollamento con la politica, specialmente con la sinistra, che ha sempre dato per scontato il loro sostegno nell’urna. Lo spiega bene Giuseppe De Marzo, coordinatore della Rete dei Numeri Pari: «La politica e i gruppi dirigenti at tuali, in particolar modo del centro sinistra, da cui ci aspetta vamo un atteggiamento diverso se non altro per la loro storia, non si sono nemmeno accorti di quanto grave è la situazione. La recessione cominciata nel 2009, la pandemia e la crisi energetica stanno impoverendo la maggioranza del paese e, in assenza di politiche redistributive e di un cambiamento nelle politiche economiche e fiscali, imbocca l’unica strada percorribile: collaborare, essere solidali e praticare il mutuo aiuto. Sono moltissime le persone che gravitano attorno a questo mondo, eppure in questa campagna elettorale il cen tro sinistra non ha neppure voluto parlare con noi. Per essere chiari, siamo stati contattati da Giuseppe Conte, mentre En rico Letta e Nicola Fratoianni non hanno neppure risposto ai nostri messaggi. Parlano di voler salvare le periferie, ma poi non escono mai dal centro: forse è per questo che il 56 per cento dei poveri non è andato a votare? Sarà per questo

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Pagina Foto: Maskot –GettyImages, D. Piaggesi –Fotogramma, F. Lo Scalzo –Agf
Gloria Riva Giornalista Qui sopra e sotto: la cooperativa Ri-Maflow a Trezzano sul Naviglio. A sinistra: un’associazione per la distribuzione di cibo

La società che resiste

Prima Pagina

che l’altra metà dei poveri, quella che a votare c’è andata, si è schierata contro l’agenda Draghi? Il rischio, ora, è che la rabbia sociale venga canalizzata dalle destre». A impedirlo c’è appunto l’argine del mutualismo e la speranza che «queste nostre esperienze si trasformino al più presto in politica sul campo. Del resto le casse di mutuo soccorso dell’Ottocento hanno dato vita al sindacato e al partito socialista, una storia che potrebbe ripetersi», preannuncia De Marzo.

La pandemia e la recente crisi energetica hanno fatto emergere nuove disuguaglianze che le istituzioni non sanno combattere e spesso, quando ci si mettono, «ostacolano per sino i tentativi di salvataggio messi in atto dal territorio. C’è una diffusa percezione di negligenza e lentezza da parte del le istituzioni nel rispondere ai bisogni fon damentali, e più in generale una mancanza di risorse adeguate, sia in termini di politi che di welfare che dal punto di vista dell’a scolto», si legge nel report. Anche il modo in cui è stato impostato il Pnrr, il piano di ripre sa e resilienza che entro il 2026 stanzierà 220 miliardi per rimettere sui giusti binari il pae se, è stato accolto con amarezza da parte di chi lavora sui territori: «È stato calato dall’al to. E con un modello siffatto contano soprat tutto le potenti lobby romane, mentre il nostro punto di vista non è stato nemmeno preso in considerazione», argomenta Salvatore Cacciola, presidente delle Fattorie Sociali siciliane e nazionali, un variegato gruppo di 120 cooperative legate al la terra che si estende da Bergamo a Palermo e che ha fatto della resilienza il proprio punto di forza: «In un territorio co me la Sicilia, dove in media muore un’azienda ogni cinque, noi abbiamo un tasso di mortalità del due per cento. E allo ra, se siamo più resilienti degli altri, perché i politici non stu diano il nostro modello? Perché quando hanno scritto il Pn

rr non ci hanno interpellato? Siamo profon damente insoddisfatti dalle politiche sociali dell’agenda Draghi, che ha messo il dialogo con i soggetti del terzo settore in ultima fi la». Le Fattorie Sociali nascono per combat tere la mafia, lo sfruttamento, il caporalato e si ispirano ai principi della sostenibilità am bientale e sociale: «Applichiamo un’agricol tura biologica e solidale per il reinserimento lavorativo, l’inclusione sociale e la riabilita zione, per lo sviluppo territoriale e il benes sere della comunità», racconta Cacciola. Le Fattorie Sociali, così come gran parte delle realtà analizzate dal report, sperimentano nuovi modelli sostenibili di welfare, dove l’investimento pubblico si sposa con il priva to sociale per offrire lavori dignitosi e servizi, ma anche cultura e informazioni per affron tare il degrado. Come sa fare l’associazione culturale romana Colibrì che al quartiere Garbatella porta un laboratorio di teatro so ciale gratuito per ragazzi: «La Garbatella è a due passi dal centro, ma continua ad essere un quartiere popolare, con tassi di dispersione scolastica molto alti e un ritorno di feno meni che sembravano scomparsi, come lo spaccio e la delin quenza», racconta Federica Novelli, fondatrice dell’associa zione, nata nel 2014. I ragazzi dell’associazione scrivono e mettono in scena spettacoli sulla storia di Peppino Impasta to, sull’attivista brasiliana Marielle Franco, su Stefano Cuc chi, e poi ancora sul tema della violenza sulle donne, l’identi tà di genere, la non violenza, il bullismo, l’accoglienza. «Cer chiamo un approccio creativo alla vita adolescenziale e sce gliamo con i ragazzi tematiche che possano farli crescere a livello di coscienza civile e assumere maggiore fiducia in se

stessi». Nonostante i buoni risultati, la sopravvivenza dell’as sociazione è legata alla buona volontà dei fondatori: «Per noi è puro impegno sociale, anche se diventa sempre più complicato portare avanti questa attività perché siamo sem pre più esclusi dalle istituzioni. Ma resistiamo, lo dobbiamo fare per i ragazzi, perché continuino ad avere uno spazio do ve confrontarsi, ragionare, mettersi alla prova», dice Novelli. Resistono, come lo facevano i partigiani, offrendo una rispo sta alternativa alla dinamica autoritaria in atto.

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Foto: F. Fotia –Agf
“I POLITICI DEL CENTROSINISTRA NON RISPONDONO ALLE NOSTRE CHIAMATE. FORSE NON È UN CASO SE IL 56 PER CENTO DI CHI È IN DIFFICOLTÀ NON È ANDATO A VOTARE” Manifestazione a Roma organizzata dall’associazione dei Numeri Pari

L’opposizione si impara

Ripartiamo dai referendum

La crisi dei partiti viene da lon tano e coinvolge tutte le forze esistenti a destra e sinistra, non solo il Partito Demo cratico che deve fare i conti con una sconfitta epocale e ricercare un mo dello che si fondi su regole e garanzie per gli iscritti e favorisca la partecipa zione a partire dal territorio. L’obiet tivo essenziale deve consistere nella formazione di una classe dirigente caratterizzata da cultura e passione. Dopo la Resistenza i quadri emerge vano dalle associazioni universitarie (basti pensare all’esperienza dell’U gi), dalle riviste come Il Mulino, Nord e Sud, Il Ponte e Comunità, dai setti manali come Il Mondo, L’Espresso e Rinascita; un luogo di preparazione risiedeva nelle strutture dei partiti stessi e delle organizzazioni collate rali, cooperative e sindacati, un ruo lo forte era rappresentato dai circoli culturali come la Casa della Cultura e il Club Turati a Milano.

Ora la società è cambiata profon damente con la crisi della grande fabbrica e la scomparsa della bor ghesia illuminata. Vi è però una pre senza nuova, quella dell’associazio nismo, grandi realtà del volontaria to e dell’ambientalismo, movimenti dei diritti civili e reti sociali. Sarebbe ora di colmare lo iato tra il vuoto di idee e di dirigenti dei partiti e le energie diffuse ma senza riferimenti e sbocchi istituzionali.

Il compito richiede grande ambi zione ricordando che il programma del centro sinistra fu elaborato nei convegni degli Amici del Mondo or ganizzati da Ernesto Rossi i cui atti - pubblicati da Laterza – conserva no ancora attualità.

È un lavoro di costruzione di lunga lena. Senza fretta, sapendo che ci aspettano cinque anni di opposizio ne all’insegna dell’intransigenza go bettiana, evitando estremismi, sem plificazioni, demagogia e propagan da. Un lavoro fondato sulla serietà e sul rigore per ricucire, riparare, rico struire, senza ricorrere e dare spazio agli sfasciacarrozze. Il mestiere dell’opposizione va riappreso a co minciare dal fatto che bisogna esse re presenti in Aula sempre, dall’ini zio alla fine, a tutte le sedute e chi non se la sente o non è capace è me glio che lasci il campo.

Va ricordato che questo Parla mento, frutto di una legge truffa è illegittimo, ma questa consapevo lezza non deve spingere all’Aventino ma a costruire la rivoluzione della Pallacorda.

Conquistare una nuova legge elettorale per le prossime elezioni è il primo compito. Pd, Verdi-Sinistra e +Europa devono essere protagoni

sti della costruzione di un inter gruppo in Parlamento e di una Lega nel Paese per difendere la Costitu zione dall’assalto della Meloni che nella legislatura appena terminata presentò ben 19 proposte di modifi ca costituzionale con l’attacco ai principi fondamentali; la più osce na era quella relativa alla manomis sione dell’art. 27 sulla funzione rie ducativa della pena.

Un terreno che deve vedere assie me le diverse anime del partito della democrazia e la società civile è quel lo di preparare una campagna di rac colta di firme per referendum sui te mi scottanti di sfida della destra e per leggi di iniziativa popolare su di ritti civili e sociali. Lo strumento del la piattaforma per l’adesione con fir ma digitale ora è legge e i cittadini possono utilizzare uno strumento di democrazia partecipativa. La prima vera è vicina e un partito nuovo si crea nel fuoco della lotta politica.

16 ottobre 2022 45 Prima Pagina Foto: Matteo Minnella/A3/Contrasto L’opinione di FRANCO CORLEONE
Supporter del Pd al sit-in contro le politiche del primo governo Conte, nel 2018

Rivolte in Iran / La testimonianza

UNIAMOCI AL GRIDO DELLE

DI KADER ABDOLAH

Econtro ogni nostro desiderio, contro ogni nostra volontà, siamo arrivati al punto di mandare le nostre figlie nelle strade a com battere contro gli ayatollah.

È uno degli eventi più dolorosi che siano mai accaduti nell’antica storia dei persiani.

È stato tutto invano, non è servito a niente e la lotta dei nostri uomini non ha portato a nulla. Dovevano quindi compiere un altro grande sacrificio per salvare il nostro Paese, la nostra cultura e il nostro onore; e questo sacrifi cio era il bene più prezioso delle nostre famiglie: le nostre

giovani figlie.

Gli ayatollah hanno mirato a loro fin dall’inizio, per far ne delle serve di Allah.

Ma non ci sono riusciti e non ci riusciranno mai.

Quando i religiosi sono saliti al potere, hanno subito in chiodato le porte del cinema.

Trovavano che il cinema fosse un’invenzione peccami nosa, sporca dell’umanità, soprattutto perché le attrici re citavano a capo scoperto e mostravano spudoratamente la loro bellezza.

C’è voluta una battaglia ventennale perché finalmente gli ayatollah capissero che il cinema era un miracolo divino, e che poteva essere addirittura un miracolo divino islamico.

Dopo un po’ fu di nuovo permessa perfino la proiezione di film stranieri, ma, ruolo dopo ruolo, i giovani imam disegna rono con un pennarello nero un velo sulla testa di Meryl Stre ep, di Angelina Jolie, di Jane Fonda e di Nicole Kidman, e, ad esempio, coprirono con un tratto di pennarello nero tutte le belle parti femminili di Elizabeth Taylor.

I registi iraniani hanno inventato tutte le sceneggiature possibili perché le donne potessero continuare ad apparire a capo scoperto nei cinema iraniani.

Nel film “Ten”, il grande regista Abbas Kiarostami mostrò improvvisamente una donna senza il velo: l’attrice si era rasata i capelli a zero. Un’im magine scioccante, ma un forte grido delle donne iraniane in difesa della loro libertà.

cosa che secondo gli ayatollah non deve succedere: l’uomo chiede con trepidazione alla sua amata: «Posso vedere una ciocca dei tuoi capelli?».

Sullo schermo non si vedono i capelli della donna, ma si vede lei che con le sue mani scioglie il nodo del foulard.

E altre centinaia di scene simili.

Ci volle parecchio, ma a poco a poco gli ayatollah capirono che neanche Allah era in grado di impedire a una donna di mostrare la propria bellezza. È l’essenza della vita: una don na deve potersi mostrare.

Gli ayatollah lo sapevano, ma questo era in contrasto con il diritto di esistenza della Repubblica popolare islamica. Le due cose non potevano andare d’accordo.

Comunque, per tenere insieme il regime, hanno pensato a un comitato denominato: Comitato dei guardiani dello hijab per vegliare sull’onore femminile.

In un altro film, in una bella scena d’amo re, si vedono un giovane uomo e una giovane che, a bordo di un’auto, si fermano, con una certa angoscia nel cuore, sotto un albero lungo da strada. Come spettatore pensi: wow, cosa succede adesso qui? Succede una

E hanno radunato centinaia di donne malate, psicologica mente traumatizzate, le hanno istruite, coperte di nero dalla testa ai piedi e mandate per le strade armate di bastoni come polizia del buon costume. Non erano donne normali, ma be stioni di donne. Afferravano per i capelli le ragazze che por tavano il foulard un po’ allentato e le trascinavano verso dei pulmini per poi portarle in carcere. Se loro si ribellavano le

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Manifestazione di protesta contro il regime islamico a Colonia in Germania

Prima

DELLE NOSTRE FIGLIE

rivolta. In tutte le case italiane si parla di loro.

Ma devo anche riconoscere un’altra dolorosa realtà: le no stre figlie hanno iniziato una grande guerra contro il regime. Ma non hanno gli strumenti necessari per vincere questa battaglia di strada. Non c’è un partito politico, un’opposizio ne, un leader che incarni la loro rivolta.

prendevano a bastonate in testa. E così è sta ta uccisa Masha Amini, e così sono state uc cise centinaia di altre donne.

E poi è arrivata la fine per la violenza di stato: le ragazze sono scese nelle strade e hanno dato fuoco allo hijab.

La loro protesta è uno dei più grandi mo vimenti femministi del mondo. Una pura ri volta di donne basata sui loro storici bisogni.

Kader

Abdolah è tra i più grandi scrittori iraniani. Rifugiato politico in Olanda, È pubblicato da Iperborea. Sopra:“Il faraone d’Olanda”

Il regime iraniano è in completa bancarotta. Vive solo dei proventi della vendita di petrolio e gas, che spartisce tra i propri fanatici sostenitori. Non c’è traccia dell’umanità, della misericordia e della giustizia dell’islam in questo regime. Ma gli ayatollah resteranno attaccati con tutta la violenza possi bile a due aspetti, alla loro barba e al velo per le donne. Per loro il velo delle donne è come il Muro di Berlino per l’ex Ger mania dell’Est. Se cedono e abbattono il muro, dovranno ce dere su tutto e di loro non resterà più niente. Non lo faranno e per questo saranno disposti a scatenare una guerra civile.

Ma Kader Abdolah crede anche in un miracolo. Può avve nire un miracolo e le nostre figlie potranno entrare per sem pre nella storia come una generazione potente, che senza usare la violenza ha rimosso e abbattuto una brutta dittatura confessionale.

Kader Abdolah è triste, ma anche se non si può, anche se è

LA MIA GENERAZIONE HA CERCATO DI ROVESCIARE IL REGIME CON LE ARMI. NON C’È RIUSCITA. QUESTE DONNE SONO ANDATE ALLA BATTAGLIA A MANI NUDE.

E POSSONO CAMBIARE LA STORIA

Questa generazione di giovani donne combatte a mani nude e con la consapevolezza di poter esse re ammazzate.

Questo puro movimento di donne lascerà un’impronta profonda sul mondo femminile del Medio Oriente.

La mia generazione ha cercato di rovesciare il regime con le armi. Migliaia di noi sono stati uccisi, migliaia sono stati rinchiusi in prigione per anni, milioni sono fuggiti, ma la no stra voce non è quasi arrivata al mondo, ed è stata soffocata dal regime con ogni forma di violenza.

Ma questa giovane generazione di donne è andata alla battaglia contro gli ayatollah a mani nude e il mondo intero ha sentito la loro voce.

Di fatto è avvenuto un miracolo: tutti parlano della loro

fuori luogo, è segretamente contento per quello che sta suc cedendo. Il regime dell’Iran vuole vederci addolorati e in lut to. Noi piangiamo le nostre figlie che sono state uccise, i no stri ragazzi che sono stati uccisi. Ma piangiamo ridendo per il loro coraggio, per il colpo storico che hanno inferto a una pericolosa istituzione che voleva governare in nome di Allah. Le donne hanno compiuto il primo, grande, giusto passo ver so l’abbattimento dell’impero degli ayatollah.

Segretamente è in corso una grande festa di gioia in patria, anche se tra le lacrime e il dolore.

Salam.

Traduzione di Elisabetta Svaluto Moreolo

16 ottobre 2022 47
Pagina Foto: Getty Images

Assalto al Campidoglio

GOLPE

DI LUCIANA GROSSO

ochi giorni fa, a Washington, si è aperto il processo a cinque esponenti del gruppo di estre ma destra americana Oath Ke epers: Stewart Rhodes (fonda tore del gruppo nel 2009 e suo leader indiscusso), Kelly Meggs e Kenneth Harrelson (responsabili del “capitolo” della Florida), Jessica Watkins (responsabile del “capitolo” dell’Ohio) e Thomas Caldwell (re sponsabile di aver pianificato la «forza di reazione rapida», del gruppo). Tutti loro so no coinvolti (a vario titolo) nella rivolta del 6 gennaio 2021. L’accusa per loro è pesantissi ma «cospirazione sediziosa». In buona so stanza li si accusa di aver pianificato e pro gettato il sovvertimento violento delle leggi del Paese e del governo. Se verranno ritenuti colpevoli la condanna potrebbe essere a vent’anni. Ma oltre al loro destino i giurati del tribunale di Washington dovranno decidere un’altra cosa: il modo in cui i libri di storia do vranno considerare i fatti del 6 gennaio 2021.

A quasi due anni da quelle ore surreali e drammatiche (morirono 5 persone), infatti, nessuno ha ancora capito con precisione co sa sia successo. I fatti sono noti, trasmessi in diretta in tutto il mondo: tutti abbiamo visto i rivoltosi scalare le pareti del Parlamento, sfondare porte e finestre, invadere, saccheg giare e vandalizzare i corridoi, gli uffici e l’au la del Campidoglio, tutti abbiamo visto le

bandiere confederate entrare lì dove non era no mai entrate. Quello che è successo si sa. Quello che non si sa, però, è come maneggia re questa informazione. Cosa sono state quelle ore di delirio? La mattana di una folla che si era lasciata prendere la mano? Un’or dalia di esaltati? Oppure un vero tentativo di colpo di stato, organizzato, preparato, pianificato?

La risposta a questa domanda passa an che dal processo ai cinque Oath Keepers (letteralmente i «custodi del giuramento», dove per «giuramento» si intende quello di difendere la Costituzione).

Se i cinque saranno condannati per «co spirazione sediziosa», allora, automatica mente, vorrà dire che una pianificazione c’è stata e che quello era, nei fatti, un tentato golpe, fallito solo per ragioni di scarsa orga

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IL FALLITO
CINQUE MILITANTI DELL’ULTRADESTRA DI OATH KEEPERS A PROCESSO PER COSPIRAZIONE. SECONDO L’ACCUSA, IL 6 GENNAIO 2021 SI SFIORÒ UN COLPO DI STATO PIANIFICATO DA DUE MESI P

Prima

GOLPE D’AMERICA

A dimostrarlo ci sono svariati messaggi chat inviati dal leader e fondatore Rhodes ai suoi collaboratori con parole esplicite come «Non ce la faremo senza una guerra civile». Il 7 novembre, il giorno nel quale i conteggi sono finiti e Cnn ha proclamato Biden vincitore, Rhodes ha inivato un mes saggio a Roger Stone, amico e confidente di Donald Trump, col quale gli chiede: «Qual è il piano? Dobbiamo partire al più presto». A quel messaggio non è chiaro (ma è ogget to di indagine) se Stone abbia mai risposto e come, ma sta di fatto che da quel momen to in poi un piano ha iniziato a esistere. Se Trump e altri della sua cerchia ristretta ne fossero a conoscenza o in qualche modo coinvolti, ancora, è cosa che non si sa e, se mai dovesse sapersi, sarà questione da di battere in altri processi e altre aule.

Per ora si dibatte di quel che si sa (e che la stessa difesa degli imputati non ha cer cato nè di negare nè di ritrattare) cioè cosa hanno fatto Rhodes e i suoi dal 7 novem bre al 6 gennaio.

nizzazione. Se, invece, i cinque saranno mandati assolti, di fatto, a essere assolta sarà l’intera rivolta, che automaticamente sarà derubricata a colossale incidente.

In questi primi giorni di processo (la cui fine è prevista per dicembre/gennaio prossi mi) l’accusa, guidata dal sostituto procura tore Jeffrey S. Nestler, ha portato alcune pri me prove del fatto che da almeno due mesi, cioè praticamente dal gior no dopo le elezioni, quando si stava ancora contando ma la direzione del vento a favore di Joe Biden era chia ra, il gruppo degli Oath Kee pers aveva iniziato a dise gnare strade armate per im pedire l’insediamento del nuovo Presidente.

I manifestanti proTrump davanti al Campidoglio degli Stati Uniti il 6 gennaio 2021 a Washington, DC. I sostenitori di Trump si sono radunati nella capitale per protestare contro la ratifica della vittoria del collegio elettorale del presidente eletto Joe Biden sul presidente Trump nelle elezioni del 2020

Decine di messaggi chat sono stati tra smessi sui loro canali, con toni e temi uguali al primo. Messaggi che parlavano esplicita mente della necessità e della inevitabilità di una rivolta armata. Altri che parlavano del fatto che Trump avrebbe di certo invocato l’Insurrection Act, una legge speciale che il Presidente può attivare per dispiegare l’eser cito nel caso in cui ritenga che la Costituzio ne sia in pericolo. Solo che, è agli atti, Trump non ha mai invocato nessun Insurrection Act, e man mano che i giorni passavano e i suoi sostenitori-adepti vedevano che il loro presidente-beniamino non agiva, l’idea di venne di comportarsi come se il Presidente lo avesse fatto o stesse per farlo. Da qui la ne cessità di avere un piano. Un piano che è ef fettivamente esistito e le cui prime fasi sono consistite in numerosi viaggi dei leader dei “Custodi” a Washington, per studiare il peri metro del Parlamento, le possibili vie di ac cesso e fuga dal “mall” (il lunghissimo

16 ottobre 2022 49
Pagina Foto: Brent
Stirton
/ Getty Images

Assalto al Campidoglio

Il presidente Joe Biden parla ai media mentre lascia la Casa Bianca per un viaggio nel New Jersey e New York lo scorso 6 ottobre

corridoio alberato che conduce al Cam pidoglio), per appuntarsene possibili fragili tà e vulnerabilità. Non solo, sempre in quelle prime settimane sembra che un ingente quantitativo di armi sia stato portato via ac qua, attraverso il fiume Potomac, così da evi tare controlli, nei pressi della capitale e de positato nella camera di un Comfort Inn in Virginia, Stato che ha leggi più favorevoli al possesso delle armi, di quelle di Washin gton, ma il cui confine è a pochi minuti di macchina dal centro della Capitale. Mentre tutto questo veniva pianificato, secondo l’ac cusa, Rhodes e i suoi organizzavano incontri e riunioni con le quali incoraggiare il gruppo alla rivolta e esortarlo a tenersi pronto. A una di queste riunioni era presente anche un sincero sostenitore del gruppo, Abdullah Ra sheed, un veterano del Corpo dei Marines che da tempo aveva aderito al “capitolo” del West Virginia. Rasheed ha lasciato gli Oath Keepers dopo quella riunione ed è ricom parso in aula in veste di testimone dell’accu sa. Nel suo racconto, Rasheed ha detto di aver preso parte alla riunione in video con vocata per il 9 novembre e che, circa un quarto d’ora dopo l’inizio dell’incontro, quello che stava sentendo lo ha così turbato da pensare di registrarlo di nascosto e di av vertire le autorità (che però hanno ignorato per mesi la sua segnalazione, ricontattando lo solo nella primavera del 2021). «Quello che dicevano era quello che mi aspettavo di sentire», ha raccontato Rasheed in aula: «Le

solite cose: Biden cattivo, Trump buono. Ok. Ma più ascoltavo più sembrava che stessimo andando in guerra contro il governo degli Stati Uniti. Cose come “Prenderemo la Casa Bianca”, “Portate le armi”, “Usate tubi di piombo come bastoni reggi bandiera”». Una testimonianza dello stesso tenore è arrivata da John Zimmerman, del “capitolo” della Ca rolina del Nord che, come Rasheed, dopo quelle riunioni di pianificazione, ha lasciato il gruppo, ritenendolo troppo (e troppo inu tilmente) violento, intenzionato com’era a provocare i sostenitori di Biden così da esse re legittimati a reagire.

E proprio sulla parola «reagire» si regge, almeno fin qui, l’intero impianto della dife sa degli Oath Keepers. Secondo i difensori, quel giorno, gli imputati non hanno avuto un ruolo diverso da quello delle altre mi gliaia di persone che hanno fatto irruzione al Campidoglio e, dunque, non possono es sere accusati di altro che di distruzione di beni federali o di generici disordini. Niente altro. E a dimostrarlo, secondo gli avvocati, ci sarebbe il fatto che, alla fine dei conti, niente altro è successo. Secondo il collegio di difesa il fatto che una delle imputate avesse scritto poco prima di entrare nei corridoi del Parlamento «Pelosi sarà la pri ma» o che un altro imputato avesse man dato un messaggio nel quale diceva «se avessi avuto un fucile avrei ucciso almeno 100 deputati», non siano altro che parole al vento, dal momento che niente di tutto questo si è effettivamente verificato. E quanto alle armi, anche la loro rilevanza sarebbe minima, dal momento che non so no mai uscite dalla camera d’hotel dove erano state stipate. Gli Oath Keepers, in buona sostanza, secondo la difesa, non avevano nessuna intenzione di agire e at taccare, ma solo di rispondere e reagire se le cose si fossero messe male (o se Trump si fosse deciso a dargli retta e a promulgare l’Insurrection Act). A dimostrarlo ci sareb be l’acronimo stesso della loro operazione a Washington Qrf “Quick reaction force”: «Reazione, non azione», ha tuonato in aula uno dei loro avvocati. Così da quello che i giurati risponderanno alla domanda «si preparavano alla reazione o all’azione?» passa anche la risposta all’altra e più im portante domanda: «Scampagnata finita male o tentato golpe?».

Prima Pagina 50 16 ottobre 2022 Foto: Doug Mills / The New York Times / Contrasto
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B

GIOCO DI SPETTRI SULLA BOSNIA

asta allontanarsi di pochi passi dagli edifici del governo della Republika Srpska, una delle due entità in cui è divisa la Bo snia Erzegovina, nella città di Banja Luka, per imbattersi nel murales di Ratko Mladić. Accanto al dise gno del generale condannato per crimini di guerra una scritta recita: «L’unificazione è iniziata e non può essere fermata». Tre mi lioni di cittadini sono stati chiamati alle ur ne per rinnovare le istituzioni della Bosnia Erzegovina a inizio ottobre. Nonostante il Paese, candidato ufficialmente a entrare nella Ue, abbia lanciato dei segnali di cam biamento premiando alcune forze civiche, più di un episodio ha contribuito a offuscare la festa democratica della popolazione, ostaggio della peggiore crisi politica dalla fi ne della guerra del 1992-95. Nella Republika Srpska è stato annunciato il riconteggio dei voti per il sospetto di brogli elettorali che avrebbero favorito al governo il nazionalista Milorad Dodik, contro la rivale Jelena Trivić del Partito del progresso democratico. So stenitore di una Republika Srpska indipen dente dalla Bosnia, Dodik è il punto di riferi mento di Putin e Orbán in quella che, a di stanza di quasi 110 anni dal fatidico sparo a Sarajevo, rimane l’area geopolitica più insta bile d’Europa. Una firma apposta nella base militare americana di Dayton, in Ohio, nel 1995, aveva messo la parola fine a una guer ra civile costata oltre 100mila vittime, com battuta tra la popolazione di etnia serba, croata e bosgnacca. Un accordo necessario per interrompere i combattimenti, ma ina datto a favorire lo sviluppo del Paese in tem po di pace. L’amministrazione dello Stato della Bosnia Erzegovina, suddiviso in due entità, la Republika Srpska, abitata in prevalenza da cittadini di etnia serba, e la Federazio ne di Bosnia ed Erzegovina, popolata da croati e bo sgnacchi (bosniaci musul mani), si basa su un sistema fortemente decentrato, la

ACCUSE DI BROGLI NEL PAESE CANDIDATO ALL’INGRESSO NELLA UE CHE SI DIBATTE TRA SPINTE ETNICHE E MINACCE SECESSIONISTE SERBE. CON UN CALO DEMOGRAFICO DA RECORD

cui presidenza è composta da tre membri, a rappresentanza dei tre popoli costitutivi del Paese; ognuna delle due entità ha poi un proprio governo.

Per la prima volta, due su tre dei presi denti eletti appartengono a partiti progres sisti di stampo civico e non etno-nazionali sta, ma a livello parlamentare si sono im posti i tre partiti tradizionali che da tempo monopolizzano l’agenda del Paese propo nendosi come gli unici garanti degli inte ressi etnici.

IL PRESIDENTE

Aleksandar Vućić, presidente della Serbia parla ai media in una conferenza stampa dopo il vertice della Comunità politica europea a Praga del 6 ottobre

Con le sue bandiere serbe a ornamento dei palazzi e la monumentale chiesa orto dossa in costruzione dedicata alla dinastia Romanov, in omaggio all’amicizia con il po polo russo, Banja Luka è considerata il cuore del nazionalismo serbo nella Bosnia Erzego vina. Il suo leader, Milorad Dodik, cresciuto a nord della città, iniziato alla politica durante il tramonto della Repubblica socialista jugo slava, e conosciuto oggi per affermazioni co me «sono un serbo, la Bosnia è solo il posto dove ho il mio impiego di lavoro» domina da più di dieci anni la scena politica. Nel genna

52 16 ottobre 2022 Polveriera Balcani

io scorso il suo annuncio di voler dare vita a istituzioni indipendenti dalla Bosnia, come un esercito e un’Autorità del farmaco, in pre parazione di una possibile secessione, ha de stato l’allarme dell’Alto rappresentante inter nazionale Christian Schmidt, incaricato di vigilare da Sarajevo sull’osservanza degli ac cordi di Dayton. Poi, dopo lo scoppio della guerra in Ucraina, il Parlamento della Repu blika Srpska ha approvato la sospensione del progetto, per evitare di complicare la «posi zione geopolitica».

«Negli ultimi mesi Dodik è stato più cauto nell’evocare la secessione», spiega l’analista politico Srecko Latal, convinto di come lo stop al processo sia stato favorito dal gover no dello Stato serbo, impegnato a non scon tentare Mosca e l’Unione europea allo stesso tempo. Le sorti di Banja Luka sono infatti legate a doppio filo con quelle di Belgrado: ad unire Dodik al presidente dello Stato ser bo Aleksandar Vučić, oltre all’ideale di un popolo serbo riunito sotto un’unica bandie ra, è la storica amicizia con la Russia. Nel suo ultimo incontro con Putin a Mosca, il 20 set

LEADER SERBO

Il leader serbo-bosniaco Milorad Dodik partecipa a una manifestazione politica del partito nazionalista serbo al governo

tembre scorso, Dodik ha espresso il proprio sostegno ai referendum separatisti in Ucrai na e ha ottenuto il gas a prezzi di favore, ma si è anche speso per avere l’appoggio russo, nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Uni te, al prolungamento in Bosnia della missio ne di peacekeeping Eufor, guidata dall’Unio ne europea. «L’ipotesi di una secessione ri mane valida, ma non è l’unico problema della Bosnia. I blocchi etnici nel loro insieme hanno rispolverato la retorica guerrafonda ia e alimentano la crisi politica», sostiene Latal. L’estate scorsa, nella città di Mostar, capitale de facto dei croati bosniaci, il cimi tero dedicato ai partigiani jugoslavi della Seconda guerra mondiale è stato devastato. In una notte le 600 steli a guardia di una na zione fondata sul multiculturalismo sono state ridotte in frantumi da ignoti nostalgici degli Ustascia, il movimento fascista croato.

Poi, nella notte elettorale del 2 ottobre, i seggi erano stati appena chiusi quando l’Al to rappresentante Schmidt ha imposto una modifica della legge elettorale. Una misura invocata per garantire maggiore stabili

16 ottobre 2022 53 Prima Pagina Foto: T. Tkacik –Sopa –LightRocket / GettyImages, P. Crom –GettyImages

tà al Paese, ma criticata da ampia parte della società bosniaca, che accusa Schmidt di avere ceduto alle pressioni dei nazionali sti per garantire ai bosniaci croati (numeri camente inferiori ai bosgnacchi) maggiore rappresentanza. Il governo della Republika Srpska invece non riconosce la figura dell’Alto rappresentante, previsto dagli ac cordi di Dayton e, secondo Dodik, espres sione di un’ingerenza che ha fatto della Bo snia «l’ultima colonia d’Europa».

Al termine della guerra civile, molti nomi delle strade di Banja Luka sono stati modifi cati per affermare l’identità serba. I minareti delle sedici moschee, distrutte durante il conflitto, sono tornati invece a puntellare il cielo sopra la città. «I politici evocano lo spettro della secessione per fare propagan da, ma qui serbi e bosgnacchi vivono in pa ce», racconta Muamer Okanović, imam del la moschea Ferhadija, risalente al sedicesi mo secolo, fatta saltare in aria con l’esplosi vo e rinata oggi grazie ai finanziamenti della Turchia. Okanović, nato nel ’92, appartiene alla generazione di bosniaci che della guerra non ha ricordi, pur avendone ereditato i

IL LEADER NAZIONALISTA MILORAD DODIK È PUNTO DI RIFERIMENTO DEL PRESIDENTE UNGHERESE ORBÁN NELL’AREA GEOPOLITICA PIÙ INSTABILE D’EUROPA.

E HA UN CANALE PRIVILEGIATO CON PUTIN

traumi. «I miei coetanei si sentono imprigio nati in uno Stato immobile, e sono i più incli ni a subire il fascino dei nazionalismi, perché non ne hanno vissuto gli orrori». Ciò che in vece sembra immune dalle divisioni etniche è la corruzione che stritola il Paese. «Molti partiti considerano le casse statali come un salvadanaio privato», racconta Ivana Ko rajlić della Ong Transparency International, con sede a Banja Luka. «Per Dodik creare delle istituzioni indipendenti significa avere un controllo più diretto su quelle risorse». Piazza Krajina, la più importante di Banja Luka, nel 2018 ospitò l’ultima grande onda ta di proteste contro il governo giudicato corrotto e colluso con le mafie locali: da al lora tanti manifestanti sono emigrati, in fuga da un Paese «in perenne shock

Polveriera Balcani

IN PIAZZA

Manifestazione di

piazza a sostegno dei partiti di opposizione nella Republika Srpska dopo il primo esito del voto del 2 ottobre

post-traumatico», come lo definisce Vesna Malesević, attivista che con i membri del centro culturale Unsa Geto, in una ex fab brica di carta a Banja Luka, ha organizzato eventi per esortare i giovani al voto. «La narrazione del governo è che siamo protetti dall’amicizia con la Russia, ma la realtà è molto diversa: l’inflazione ha toccato il 17 per cento e la disoccupazione giovanile è tra le più alte d’Europa».

Il saccheggio delle risorse pubbliche e l’immobilismo politico rischiano di trasfor mare il Paese in un luogo senza futuro. Se condo un rapporto delle Nazioni Unite, la Bosnia Erzegovina è il Paese con il calo de mografico più netto al mondo: dal 2013 a oggi, mezzo milione di cittadini ha compra to un biglietto di sola andata per mete co me la Germania e la Slovenia. Il dibattito degli ultimi mesi è stato incentrato sul ri schio di un nuovo conflitto e non sembra destinato a cambiare, anche se Dodik ve nisse sconfitto. La sua rivale Jelena Trivić si è distinta per posizioni altrettanto nazio naliste e il murales che a Banja Luka inneg gia alla secessione, per ora, rimane nitido sotto alla pioggia.

Prima Pagina 54 16 ottobre 2022 Foto: G. Jakovljevic –Anadolu Agency / GettyImages

Se la comunità internazionale soffia sul fuoco ancora acceso

Le elezioni politiche in Bosnia Erzegovina - definite “ingiu ste” da alcuni qualora si fos sero svolte secondo la vec chia legge elettorale, e “inaccettabili” da altri se la stessa legge fosse stata cambiata sotto pressioni politichesi sono tenute, seguendo la vecchia legge elettorale, domenica 2. ottobre. I risultati sono ancora incompleti, molte cose però vengono già messe in discussione. Nella sola Repubbli ca serba di Bosnia (Rs), la più piccola delle due entità della BiH, sono state presentate diverse denunce di mani polazioni nella costituzione di seggi elettorali, centinaia di irregolarità, addirittura 65 mila voti non validi o falsi, ecc. Dei 3.368.666 elettori iscritti nei registri (molti di più di quanti re almente siano oggi gli abitanti della BiH) ha votato il 50 per cento degli aventi diritto. Una coalizione di parti ti perdenti in questa entità ha chiesto che i voti siano riconteggiati a causa delle provate irregolarità e frodi, so prattutto a favore del de-facto leader politico dell’entità, Milorad Dodik, il vincitore formale per la carica di Pre sidente della Rs.

La novità più importante è, tuttavia, la “caduta” del leader del partito dei bosgnacchi Sda, il bosniaco musul mano Bakir Izetbegović e figlio del “padre della nazione” Alija, che non è riuscito ad entrare nella tripartita presidenza BiH. La carica spettante ai bosgnacchi è stata conquistata da Denis Bećirović, membro del partito socialdemocratico e candidato della coalizione di 11 partiti “di sinistra”. Secondo i commenti di molti elettori, in questo caso «si è votato meno per Bećirević e molto di più contro Izet

begović». Evidentemente Izetbegović non è più amato tra i bosgnacchi, per tanti motivi. Il risultato elettorale del suo partito è rimasto stabile, ma que sto difficilmente gli consentirà di in fluenzare la creazione di un governo. Infatti la capacità del Sda di entrare in coalizione è, a causa del suo leader, inferiore a quella dei partiti che sup portano Bećirović. A parte queste cu riosità elettorali e il grande dubbio sui consensi ottenuti da Dodik, si rinnova tra i croati del partito Hdz BiH la fru strazione per l’entrata nella Presiden za della BiH dell’“illegittimo” e odiato Željko Komšić, invece della loro can didata. A Zagabria questa frustrazio

ne si è tradotta addirittura in una mo zione affinché il Parlamento croato dichiari Komšić persona non grata in Croazia.

Nella notte dopo le elezioni, l’opi nione pubblica è rimasta sorpresa dal la decisione dell’Alto Rappresentante della comunità internazionale in BiH, Christian Schmidt, di apportare modi fiche alla legge elettorale e alla Costi tuzione dell’entità Federazione BiH. Già oggi possiamo constatare: i risul tati delle elezioni sono più o meno no ti, pochi sanno dove porteranno. Ov vero: non è importante sapere chi an drà al governo, lo è invece il fatto di non poter sapere su quali basi.

Le decisioni di Schmidt, nell’inten zione di contrastare le manipolazioni e l’ostruzionismo alla formazione del governo, rafforzano però il peso della componente etnica nell’organizzazio ne dell’intero Stato. Il che significa che favoriscono i conflitti all’interno del Paese che già tempo addietro han no portato alla guerra. La Comunità internazionale - nonostante la dichia rata riserva da parte dell’Ue a queste acrobazie teoriche e giuridiche di Schmidt - rinuncia al concetto della convivenza storica delle popolazioni della BiH, fondata sulla imprescindi bile uguaglianza dell’individuo e non dell’etnia nell’ambito dello stato e del la società. Oggi è stata rafforzata l’im postazione pro-etnica della BiH, con la soddisfazione del partito Hdz in Bosnia e in Croazia, nonché del presi dente Vučić di Belgrado. I vincitori in questo “concetto” di organizzazione della BiH sono le oligarchie cui ri spondono i tre partiti nazionalisti, così come i loro mentori dei due di versi mondi fuori dai confini bosniaci. Tutto ciò a riprova che l’accordo di Dayton è ormai superato e che è ne cessaria la costruzione di una BiH co munitaria basata sull’uguaglianza e la cooperazione e non sulla distruttiva logica etnico-nazionalista. Schmidt ha stabilito da solo, senza nemmeno una consultazione formale, che le nuove regole sono definitive. La cosa va a vantaggio del Hdz, inevitabile nel potere dei collettivi etnico-nazionali, e in sostanza a discapito degli indivi dui e dei cittadini. Ecco perché il futu ro della BiH, visti gli amari precedenti storici, oggi rimane incerto.

Traduzione di Nadira Sehovic

Prima Pagina 16 ottobre 2022 55 Il commento
di ZLATKO DIZDAREVIC ´
Le scelte dell’Alto commissario alimentano la divisione dello Stato su base etnica
56 16 ottobre 2022 Fortezza Europa DI GIULIA BOSETTI ARMANO ESERCITI E BLINDANO LA UE LA LOBBY DEI PRODUTTORI DI MATERIALI BELLICI DIETRO LA CRESCITA ESPONENZIALE DEGLI INVESTIMENTI TECNOLOGICI PER LA SORVEGLIANZA DELLE FRONTIERE

Una crescita annua tra il 7 e il 9 per cento, un fat turato che oscilla tra i 65 e i 68 miliardi di euro all’anno. Sono i numeri di un settore che non conosce crisi: il gigantesco complesso indu striale del controllo delle frontiere. Una gam ma sconfinata di tecnologie impiegate per di fendere i confini dell’Occidente, un esercito di droni, sensori, robot intelligenti, sistemi di videosorveglianza e intelligenza artificiale, prodotti da quegli stessi colossi su cui oggi più che mai puntano gli occhi e investono soldi i governi di tutto il mondo: le società produttrici di armi.

Proteggere le frontiere è diventato il grande mantra degli Stati occidentali e in particolare dell’Europa, dove la crescita di mercato doppia quella degli altri Paesi: 15 per cento l’anno. Più la guerra minaccia il cuore del vecchio continente, più au mentano i rifugiati e i migranti e più si attrezza l’industria mi litare: «Le aziende fanno profitti grazie ai muri fisici e virtuali

Prima

che sono diventati parte integrante delle politiche dell’Unione europea a causa delle pressioni delle aziende, che hanno tra sformato la migrazione da un problema umanitario a un pro blema di sicurezza». Mark Akkerman, ricercatore di Stop Wa penhandel, organizzazione indipendente olandese che moni tora il business degli armamenti, ha indagato il ruolo dell’in dustria nella militarizzazione delle politiche di frontiera. Nel suo piccolo ufficio di Amsterdam, circondato di report e dos sier, parla senza mezzi termini: «I produttori di armi hanno influenzato il dibattito pubblico facendo passare l’idea che i migranti siano una minaccia, per poi proporre come soluzio ne le loro tecnologie e i loro servizi. L’Europa e gli Stati mem bri sono molto sensibili alle richieste della lobby delle armi». A giudicare dalle somme che l’Ue ha deciso di investirci, Akker man non sbaglia. Nel report “A quale costo”, le organizzazioni Statewatch e Transnational Institute analizzano le spese dell’Unione europea: tra il 2021 e il 2027 gli investimenti per i settori sicurezza e difesa ammontano a 43,9 miliardi di euro, un aumento di budget del 123 per cento. Il Fondo per la gestio ne del controllo delle frontiere cresce del 131 per cento, pas sando a 6,2 miliardi di euro e i finanziamenti di Europol e di Frontex, l’agenzia per la sicurezza dei confini, sfiorano i 10 mi liardi di euro: un aumento del 129 per cento.

Grazie a una lunga serie di richieste di accesso agli atti, l’os servatorio Corporate Europe di Bruxelles ha scoperto come l’industria privata e i suoi gruppi di pressione hanno influenzato le de cisioni politiche dell’Unione europea: «Il bud get di Frontex è cresciuto a dismisura e l’agen zia ha ottenuto maggiori poteri nella gestione degli appalti per le frontiere, senza un ade guato sistema di trasparenza e controllo dell’attività di lobby», spiega la ricercatrice Margarida Silva. In tre anni, Frontex è stata in contatto con 108 società private, con cui ha organizzato di ciassette meeting. Hanno partecipato le principali compagnie di armi in Europa: la francese Airbus, le spagnole Indra e Gmv, l’italiana Leonardo. «Le aziende hanno cercato di convincere Frontex e gli Stati membri a spendere più soldi in tecnologie di sorveglianza e controllo delle frontiere», conclude Silva. E ci sono riuscite. Per Hannah Neumann, eurodeputata tedesca dei Verdi relatrice della Risoluzione sull’export di armi del Parlamento europeo del 2020, è un circolo vizioso: «Le azien de vendono armamenti a Paesi terzi che li utilizzano per fare la guerra, costringendo le persone a fuggire dalla loro patria. Poi le stesse società vendono ai governi europei tecnologie e attrezzature per impedire a quelle persone di entrare in Euro pa». L’industria militare vanta un accesso privilegiato alla Commissione e ai governi europei, che in alcuni casi ne sono anche azionisti. Vedi Leonardo, partecipata al 30 per cento dal ministero dell’Economia italiano, o Thales, dello Stato

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Pagina Foto: Getty Images
Una giovane all'interno del nuovo campo profughi nell'isola di Samos creato in Grecia con il sostegno della Ue

Prima

Fortezza Europa

francese per il 25 per cento. «Recentemente la Commissio ne europea ha creato lo Strumento per la stabilità e la pace e c’è stata una fortissima pressione dell’industria delle armi per includere nei suoi finanziamenti la fornitura di attrezzature per la sicurezza delle frontiere come telecamere nascoste o recinzioni di filo spinato», rivela Neumann.

La partita cruciale si gioca sui confini esterni dell’Ue. Dal 2015 ad oggi, la Croazia ha ricevuto dall’Ue 163 milioni di euro per acquistare dispositivi di imaging termico, telecamere a infrarossi, apparecchiature che rilevano i battiti cardiaci, dro ni a lungo e medio raggio che trasmettono dati in tempo reale, fuoristrada con termocamere mobili su ri morchio ed elicotteri tra i più avanzati al mondo: due Eurocopter francesi prodotti da Airbus e due AW139 dell’italiana Leonardo, con tanto di termocamere che possono ri prendere fino a 10 chilometri di distanza. Tec nologie che hanno portato a un’escalation di violenza nei respingimenti illegali della poli zia croata. Lo attesta un rapporto di Border violence monitoring network del 2021. E lo vivono sulla propria pelle i rifugiati afghani che ogni giorno tentano il “game” sulla rotta balcanica, gio cando a nascondino con la polizia di frontiera croata per poi essere respinti. Picchiati, derubati, denudati. A Velika Kladu sa, piccolo comune della Bosnia nord-orientale, ne ho incon trati a decine. Con i piedi fasciati, le dita spezzate, le schiene sfregiate. Famiglie con bambini, ragazzini strappati ai genito ri. Come Hadi e Nabi, 17 e 14 anni. Spuntati dal bosco con lo zaino in spalla e la paura negli occhi. «La polizia croata ci ha catturato grazie alle telecamere nascoste sugli alberi. Ma dob biamo riprovarci, per arrivare ad Amburgo dalla mamma e chiedere la protezione umanitaria». Il difensore civico dell’Ue ha avviato un’indagine ufficiale sulle responsabilità della Commissione nell’utilizzo di fondi pubblici per operazioni della polizia di frontiera che violano i diritti dei rifugiati: «Quando i poliziotti mi hanno arrestato, indossavano visori a infrarossi, avevano droni e geolocalizzatori. A qualcuno han

no rotto le braccia, a qualcun altro le gambe. Questo ci sta facendo l’Europa», si sfoga un giovane afghano.

Dai boschi della Croazia alle isolette gre che nel Mar Egeo, la parola «accoglienza» fa sempre rima con «sorveglianza». Isola di Sa mos, 1.200 metri dalle coste della Turchia. Spiagge candide, acque cristalline e un cam po rifugiati videosorvegliato h24, con sistema di sicurezza a raggi X e autenticazione in due fasi: tesserino di riconoscimento e impronte digitali. Doppia recinzione militare in stile Nato, una società privata incaricata della si curezza, Samos è il primo dei cinque campi profughi altamente tecnologici che la Grecia sta allestendo sulle isole del Dodecaneso con i soldi dell’Unione europea. Tutto viene moni torato dal centro di massima sicurezza di Atene grazie a Cen taur, un sistema di sorveglianza elettronica futuristico dotato di algoritmi di analisi del movimento: «Stila anche il report delle emergenze. Comunichiamo al campo quello che sta suc cedendo e facciamo intervenire la polizia o la Guardia Costie ra», racconta Manos Logothestis, Segretario generale per l’ac coglienza dei richiedenti asilo, di fronte a decine di telecamere puntate sui rifugiati: «Avremo droni e visori a lungo raggio e tutti gli operatori possono mandarci in tempo reale immagini girate con i loro smartphone». La Commissione europea ha definito il campo di Samos una pietra miliare nella gestione

della migrazione, ma in una lettera aperta i rifugiati siriani che ci vivono lo paragonano alla prigione di Guantanamo: «Stia mo impazzendo. Ci sono atti di autolesionismo, persone che si tagliano con il coltello e sbattono la testa contro il muro». Gabriel Feldman dell’Png Still I Rise, è seriamente preoccupa to per le loro condizioni psicologiche: «Ci sono stati raid not turni della polizia, molti abitanti del campo sono sotto shock e tutti vivono nel terrore». Europe Must Act e il Samos Advo cacy Collective, una rete di attivisti e organizzazioni che lavo rano sull’isola, hanno denunciato le detenzioni illegali dei ri fugiati e la violazione dei diritti umani fondamentali e hanno scritto una lettera alla Commissione europea. «La Commis sione sta monitorando da vicino la situazione e continuerà ad affrontare la questione con le autorità greche competenti», è stata la risposta. L’Europa continua a sorvegliare.

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LE EMERGENZE UMANITARIE TRASFORMATE IN ALLARMI SULLA SICUREZZA. E IL VECCHIO CONTINENTE IN SEI ANNI HA SPESO IL 130 PER CENTO IN PIÙ PER PROTEGGERE I CONFINI
Lunedì 17 ottobre alle 21.20 Presadiretta su Rai Tre con l’inchiesta “Armi di controllo di massa”, realizzata da Giulia Bosetti e Eleonora Tundo. In alto, la sala controllo del Centro di coordinamento di Atene per i migranti e i rifugiati

Tecnologia e potere

RESISTERE AGLI ALGORITMI

DI FABIO CHIUSI

S

erve «un approccio antifascista all’intelligenza artificiale», scrive Dan McQuillan nel suo re cente volume intitolato “Resisting Ai” (Bristol University Press). Non perché l’Ia sia di per sé fascista, ragiona il docente di Computing socia le e creativo al Goldsmiths College dell’universi tà di Londra, ma in quanto motore di dinamiche congruen ti, e in modo strutturale, con politiche fasciste. Lungi dall’essere una mera tecnologia, l’Ia è infatti un “apparato” che somma tecnica, istituzioni e ideologia. E se ne com prendiamo le “operazioni di base”, e le situiamo nell’attuale momento storico, è impossibile ignorare che il cambia mento di paradigma sociale portato dall’Ia «non farà che amplificare politiche di austerity e sviluppi autoritari», si legge nel testo, agile ma durissimo di McQuillan. La critica non parte, come in molti altri casi, dalle distorsioni degli algoritmi social. Per l’autore, che vanta un dottorato in fisi ca delle particelle e un passato come direttore delle comu nicazioni digitali di Amnesty, il legame tra fascismi e Ia si salda prima, all’incrocio tra le crescenti richieste di effi cienza e risparmi nella gestione della cosa pubblica e l’ide ologia che fa dell’intelligenza artificiale la panacea, infalli bile e oggettiva, di ogni male. È il cosiddetto “soluzionismo”, che riduce problemi sociali complessi - la pandemia, l’e mergenza climatica, la questione energetica - a questioni tecnologiche, risolvibili tramite Ia. Tutto diventa materia di “ottimizzazione” statistica. E, in fondo, questo è l’Ia se condo McQuillan: non “intelligenza” - l’au tore sembra fare sua la fortunata espressio ne della ricercatrice Kate Crawford, per cui l’Ia «non è né intelligente né artificiale»ma «elaborate congetture statistiche», in formate da una visione «astrattamente uti litarista» che finisce per insieme nasconde re, riprodurre e amplificare ingiustizie e storture sociali, automatizzandole. Le stes se premesse di quei metodi statistici a base

dell’Ia, si legge, si sono accompagnate storicamente a pro getti discriminatori, congruenti - come già rilevava lo stu dioso Yarden Katz nel suo testo del 2020, “Artificial White ness” - con i desideri di reazione e mantenimento di uno status quo imbevuto di razzismo e supremazia bianca del ceto dominante. Così, applicando le più avanzate forme di apprendimento automatico a ogni cosa, le persone diven tano numeri da gestire come variabili in una lunga equa zione contenente i loro diritti sociali, la loro affidabilità creditizia, il rischio che le espressioni del loro volto celino intenzioni criminali, e via predicendo. Questo impasto di cattive premesse e potenza di calcolo, come ci dice una let teratura sempre più vasta, finisce per colpire di più chi ha già di meno, gli emarginati, le minoranze. Perché l’Ia non si limita a “rappresentare” il mondo, aggiunge McQuillan: “produce” un nuovo ordine materiale e sociale, anche. E il nuovo ordine algoritmico è in realtà una nuova forma di “apartheid”, scrive, solo più inesorabile, fredda, disumana. Perché? «L’Ia crea stati di eccezione», dice McQuillan a L’E spresso in una conversazione via Zoom, perché nella sua smania di categorizzare, separare, dividere, «produce ridu zioni semplicistiche», e crea «proprio le categorie che sono

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Prima

certe categorie di persone), così come dei software “intelligenti” per distribui re sussidi sociali utilizzati in diversi Pa esi anche in Europa (e che troppo spes so assumono fattori discriminatori tra i criteri di assegnazione, con esiti cata strofici per migliaia di famiglie). Che fare? McQuillan, sol lecitato da L’Espresso, si dice “abolizionista”, ovvero pron to a considerare l’idea che “resistere” all’Ia significhi ri muoverla dall’esistenza. Ma il punto, si affretta a precisa re, non è abolire l’Ia tutta, ma mettere in questione le fondamenta ideologiche e pratiche che ne informano l’attuale configurazione. Se l’Ia è riduzionista, individuali sta, razzista, pronta a servire qualunque progetto autori tario, ecco l’autore proporre una rivoluzione in cui le pa role d’ordine diventano “solidarietà”, “mutualità”, “rela zione”; un approccio antifascista, e dunque insieme fem minista e anti-colonialista, che vada oltre perfino i tentativi di governare l’Ia tramite la legge (strutturalmen te insufficienti, secondo McQuillan) e porti la contesta zione e la resistenza al livello più elementare: quello in cui ci si domanda «quale sia il ruolo della computazione avanzata» in una società democratica contemporanea. Insomma, per l’autore «resistere all’Ia» significa prima di tutto «riposizionare quella resistenza, mettendone in lu ce il lato positivo; perché abolire non significa solamente liberarsi di qualcosa», ci dice, «ma soprattutto rimpiazza re l’esistente con strutture alternative». Ed è un’altra ri bellione essenziale allo status quo: sottrarsi all’incanto di

utili alla segregazione sociale». Noi, imbe vuti del pregiudizio di neutralità della mac china, pensiamo siano discriminazioni in nocue, astratte e imparziali; anzi, credia mo lo siano necessariamente più di quelle umane. E invece McQuillan, seguendo un filone sempre più nutrito di eredi di Lang don Winner e dell’idea secondo cui anche gli artefatti sono politica, ribadisce che l’Ia è inseparabile dal contesto storico e materiale in cui viene utilizzata. E se il contesto parla di un ritorno dell’estremismo di destra e dei nazionalismi sulla scena internazionale, ecco il potenziale dell’Ia di spiegarsi al servizio di progetti estremisti e nazionalisti. Quel migrante mente o dice la verità, quando sostiene di scappare da un Paese in guerra? Un progetto finanziato dall’Unione Europea voleva fosse una macchina “intelli gente” a stabilirlo. Ma lo stesso si può dire del riconosci mento facciale usato dalle forze di polizia (sbaglia in mo do sproporzionato con le persone di colore), degli stru menti di polizia predittiva (si concentrano proprio nelle aree più povere, dove certi reati vengono commessi da

quello che, parafrasando Mark Fisher, McQuillan chiama «realismo dell’Ai», ossia l’incapacità di immaginare ar rangiamenti sociali radicalmente diversi da quelli esi stenti. E per quanto la prospettiva abolizionista dell’auto re sia radicale, estrema (alcune applicazioni dell’Ia, per esempio alla scoperta scientifica, non sembrano risentire dei problemi qui esposti), il provocatorio testo di McQuil lan ha il pregio di solleticare la fantasia, rimetterla al servi zio di domande più radicali rispetto a quelle che troppo spesso si leggono nel campo dell’Ia. Non si tratta di innova zione, dice a ragione McQuillan, ma di democrazia.

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Pagina Foto: Getty Images
Il libro di Dan McQuillan “Resisting AI”.
A
sinistra: controllo facciale su
una
folla
L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE È SPESSO AL SERVIZIO DI PROGETTI AUTORITARI CHE ACCRESCONO LE DISUGUAGLIANZE E METTONO A RISCHIO LA DEMOCRAZIA. PARLA LO STUDIOSO DAN MCQUILLAN

Calcio e politica

MONDIALI IN QATAR

LA FRANCIA VACILLA

DI CAMILLE VIGOGNE LE COAT

In generale, la prospettiva dei mondiali di calcio rappresenta, in Francia, una parentesi serena per l’opinione pubblica. Per un po’ più di un mese, una parte importante del nostro Paese si focalizza sulle partite e sui risultati nazionali, e parla meno di potere d’acquisto, crisi energe tica, e riforma delle pensioni. Nel 2018, la vittoria del mondiale in Russia ha anche dato l’occasione a Emma nuel Macron - allora giovane presidente della Repubbli ca francese, eletto un anno prima - di guadagnare qual che giorno di tranquillità, celebrando l’unità nazionale e

la grandezza dell’Esagono.

Cinque anni sono passati. Oggi, il mon diale 2022 in Qatar - il cui fischio d’inizio è previsto per il 20 novembre - non pro mette giornate spensierate, e provoca in vece smorfie imbarazzate da parte dei ministri e dei responsabili della maggio ranza. Il mondiale più anomalo di sem pre non fa più ridere nessuno a Parigi.

Come potrebbe essere altrimenti? In effetti, la competizione mondiale ha tutti gli attributi del disastro ecologico. Con delle partite che si svolgeranno in enormi stadi effimeri, climatizzati in pieno deserto. Il mondiale produrrebbe 3,6 milioni di tonnellate di CO2 secondo la FIFA (come termine di pa ragone, basti pensare che si tratta del montante globale di produzione dell’Islanda per un anno).

sfruttati, pagati male (certe volte non pagati affatto), e che soffrono di problemi di salute. Una cifra che sarebbe molto sopravvalutata, secondo le Ong specializzate.

Le proteste sono partite inizialmente dalla società ci vile. L’ex calciatore Eric Cantona ha incitato al boicot taggio (parlando di «grande farsa»). Il popolare attore francese Vincent Lindon, a inizio settembre, ha anche lui dichiarato in televisione : «Non guarderò il mondiale. È pura follia!». La sequenza, evidenziata sui social, è di ventata virale in poche ore. E i responsabili politici, so prattutto di sinistra, hanno reagito. L’intera coalizione

INQUINAMENTO, DIRITTI UMANI, SFRUTTAMENTO. ABBASTANZA PER IMBARAZZARE L’ELISEO E FOMENTARE IL BOICOTTAGGIO. MA C’È L’ATTRATTIVA DEL GAS E L’EFFETTO SARKOZY

rosso-verde - il partito socialista, gli ecologisti, ma an che i sostenitori di Jean-Luc Mélenchon - hanno tutti di chiarato di essere indignati davanti a «uno spettacolo intollerabile».

A questa cifra bisogna aggiungere i viag gi per i tifosi : almeno 160 voli quotidiani sono previsti, ossia un volo ogni dieci mi nuti. Per finire, c’è anche il tema dei dirit ti umani. Secondo l’inchiesta del Guar dian, ci sarebbero stati 6.500 morti, di rettamente legati ai lavori sui cantieri. Dei migranti, reclutati soprattutto in Bangladesh, Nepal e India, che vengono

Una petizione è anche stata lanciata dall’eurodeputa to Raphaël Glucksmann: «Gentile presidente, non parte cipate alla coppa del mondo in Qatar». Il testo spiega: «Non andate in Qatar, non mandate nessun responsabi le del governo e spiegate perché: bisogna dire che ci sono conseguenze a disprezzare i diritti e la dignità umana. Dite no». L’iniziativa ha raccolto 65.000 firme in una set timana: un risultato modesto, ma che mostra una preoc cupazione crescente nell’opinione pubblica, e che si farà sentire di più mano a mano che l’inizio della competi zione sportiva si avvicina. In un recente sondaggio, il 65

62 16 ottobre 2022
Camille Vigogne Le Coat Giornalista

per cento dei francesi si è dichiarato pronto a boicottare la competizione.

Le conseguenze politiche sono già visibili. Molti sin daci francesi hanno deciso recentemente di annullare gli eventi pubblici organizzati per trasmettere le partite della World Cup. A Lille, Bordeaux, Reims, Nancy, Marsi glia e anche Parigi, le autorità hanno spiegato la loro vo lontà di non installare maxischermi (una misura anche più facile da fare accettare in pieno inverno).

Dall’Eliseo, sull’organizzazione del mondiale di cal cio, è calato un silenzio imbarazzato. Si preferisce non parlare dell’argomento. Emmanuel Macron è sempre stato un grande appassionato di calcio. Per la scorsa coppa del mondo era partito in Russia, per la finale con tro i croati. Ma anche per la semifinale, che opponeva Francia e Belgio.

Il dilemma sembra irrisolvibile per il potere francese. Da un lato, Emmanuel Macron ha promesso di fare della lotta contro il riscaldamento climatico una priorità (qualche settimana prima l’elezione del 2022, in un gran de comizio a Marsiglia, ha promesso che il suo quin quennio «sarà ecologico o non sarà affatto»). Ma dall’al tro, il boicottaggio ufficiale, con una presa di posizione del presidente della Repubblica, sembra impossibile in un contesto di guerra in Ucraina, e nel bel mezzo di una

crisi energetica che coinvolge tutta l’Europa. Il Qatar possiede la terza più grande riserva di gas del pianeta. L’impresa energetica francese Total ha annunciato, quest’estate, la sua partecipazione allo sviluppo del più grande giacimento di gas al mondo nell’Emirato. Una sfida strategica: si tratta per gli europei di limitare la di pendenza dalla Russia.

Rimane una domanda complicata: come far accettare alla popolazione stadi giganteschi con l’aria condiziona ta mentre il governo francese ha chiesto ai cittadini di indossare «il dolcevita» e di abbassare la temperatura per evitare interruzioni di corrente elettrica? «Dobbia mo prestare attenzione ai simboli, e limitare i viaggi di deputati o senatori a Doha», ha confidato all’Express un ministro, imbarazzato.

Per il resto della classe politica, il disagio è notevole. Il presidente del Senato, Gérard Larcher (membro del par tito di destra Les Républicains), si è lamentato della si tuazione, ma senza invitare al boicottaggio. Sulla destra francese, plana ancora l’ombra di Nicolas Sarkozy, l’ex presidente che ha contribuito ad affidare il mondiale al Qatar, dodici anni fa. Un accordo sul quale gravano ac cuse di corruzione (i processi sono ancora in corso). Inoltre, il giovane pensionato della vita politica è stato colui il quale ha permesso al Qatar di costruirsi un’im magine rispettabile sulla scena internazionale. Ha an che giocato un ruolo di facilitatore per l’acquisto del Pa ris Saint Germain (Psg), ormai proprietà dei qatari.

Un’altro “ex” è uscito della sua (relativa) riserva. François Hollande ha dichiarato: «Se fossi ancora capo di Stato, non parteciperei». I suoi consigli, normalmen te, non sono ben accolti dall’attuale capo di Stato. Ma tra la partecipazione o l’astensione, rimane una terza via per Emmanuel Macron. Che la Francia si faccia elimina re dalla competizione prima dei quarti di finale. Una buonissima ragione per non prendere l’aereo.

16 ottobre 2022 63 Prima Pagina Foto: Getty Images
Il presidente della Repubblica francese Emmanuel Macron tifoso scatenato durante i Mondiali del 2018

ROMA GIOCA LA CARTA EXPO

DI GIANFRANCESCO TURANO

L

a corsa per l’Expo 2030 è partita da un mese. L’Italia c’è di nuovo, sette anni dopo la chiusura di Milano 2015. Stavolta ci giochiamo la carta della capitale, e non è detto sia un vantaggio dopo che la candidatura ai Giochi olimpici del 2024 è sprofondata in un caos di divergenze po litiche interne quando era sindaca di Roma Virginia Raggi, contraria alle olimpiadi come il suo successore Roberto Gualtieri che, pochi giorni fa, ha detto no alla corsa per l’e dizione 2036.

Per ora il fronte sembra compatto. Gualtieri ha chiesto il sostegno delle vincitrice delle elezioni Giorgia Meloni dopo avere ottenuto l’investitura del greco Dimitri Kerkentzes, numero uno del Bie (Bureau International des Exposi tions), a Parigi lo scorso 7 settembre. A giugno del 2021 Ma rio Draghi aveva dato il suo nulla osta al compattissimo schieramento dei quattro candidati al Campidoglio: oltre a Gualtieri del Pd, risul tato vincitore, l’uscente Raggi per il M5S, Carlo Calenda di Azione e Enrico Michetti per il centrodestra. L’appello di Gualtieri non dovrebbe rimanere inascoltato dal prossimo esecutivo. Non si vede motivo perché proprio Meloni, nata e cresciuta alla Garbatella, dovrebbe opporsi a Roma 2030.

Sul piano della concorrenza la delegazio ne italiana guidata dall’ambasciatore Giampiero Massolo deve battere altre tre proposte. Quella di Busan in Corea del Sud sembra la più debole perché sa rebbe la terza città asiatica in fila dopo Dubai 2020 e Osaka 2025. Quella di Odessa è suggestiva perché sarebbe un con tributo alla ricostruzione. Purtroppo è improbabile, a me no che il conflitto russo-ucraino non si concluda da qui al momento dell’assegnazione dell’expo, fissata nel mese di novembre del 2023. Al momento il rischio maggiore si chia ma Riad. Per la capitale del regno saudita dovrebbe valere

la stessa pregiudiziale asiatica applicata a Busan ma il prin cipe Mohammed bin Salman detto Mbs vanta l’appoggio di Emmanuel Macron, non proprio un ammiratore della lea der di Fdi, a dispetto del caso Khashoggi, della guerra in Yemen e della faida dinastica senza esclusione di colpi in corso in Arabia Saudita.

La squadra messa in campo dall’Italia per superare le tre concorrenti ha la sua punta di diamante in Massolo, che ha declinato l’invito dell’Espresso a commentare. Amba

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LA CAPITALE IN GARA PER IL 2030, RIVALI RIAD E ODESSA. OCCASIONE ESTREMA PER RILANCIARE L’ECONOMIA DELLA CITTÀ. MA BASATA TUTTA SU UN SOLO SETTORE: L’EDILIZIA

Prima Pagina

sciatore e figlio d’arte, Massolo ha 68 anni. I primi ventuno anni li ha trascorsi a Varsavia, oltre la cortina di ferro. Nel 1994 è stato il capo della segreteria politica del neopremier Silvio Berlusconi. Con perfetto equilibrio diplomatico nel 2007 è diventato segretario generale al ministero degli Af fari Esteri, presidente del consiglio Romano Prodi. Cinque anni dopo ha sostituito Gianni De Gennaro alla guida del Dis (dipartimento informazione per la sicurezza) e nel 2017 è diventato presidente dell’Ispi (istituto studi di poli ta internazionale) e di Fincantieri. È mem bro delle sezioni italiane della Trilaterale e dell’Aspen institute. Il suo nome è stato nella lista dei papabili alla guida di palazzo Chigi all’indomani della vittoria grillina al le politiche del 2018 ed è stato citato fra i possibili successori di Sergio Mattarella al Quirinale prima che il presidente si con vincesse a fare il bis.

Con Massolo c’è il direttore della Menari

ni, Massimo Scaccabarozzi, ex numero uno di Farmindustria che presiede la Fondazio ne Expo 2030. Il coordinatore della campa gna per la candidatura romana è Sebastia no Cardi, che è stato nella rappresentanza permanente dell’Italia all’Onu e, da maggio 2021, capo di gabinetto alla Farnesina con Luigi Di Maio ministro. Gaetano Castellini Curiel, consulente culturale ed ex del comi tato per Milano 2015 con Letizia Brichetto Moratti sindaca, guida la task force per Ro ma 2030. La comunicazione è affidata a Li vio Vanghetti, con un passato in Adn Kro nos e Philip Morris e un presente da Vice president for Global Partnership and Coo peration del think-tank Concordia, di base a New York.

Come ambasciatore speciale e fiore all’occhiello della candidatura è stato mo bilitato Muhammed Yunus, economista bengalese profeta del microcredito e vinci tore del Nobel per la pace nel 2006.

Si spera che basti a ottenere la nomina da qui a poco più di un anno. Per una Roma che sembra capace soltanto di organizzare giubilei pontifici, e quello del 2025 sarà il terzo del millennio, l’esposizione del 2030 potrebbe essere davvero l’ultima spiaggia per recuperare almeno in parte il divario infrastrutturale e amministrativo nei con fronti delle altre metropoli.

Come sempre per le grandi manifestazio ni internazionali, sportive o commerciali, si prospettano benefici irrinunciabili. Nei sei mesi sono previsti 30 milioni di visitatori ai padiglioni, 8 milioni in più rispetto a Mila no 2015. L’università Luiss ha calcolato che a fronte di 2 miliardi di denaro pubblico investito ci sarebbero 45 mi liardi di euro di ritorno economico nel quinquennio suc cessivo all’evento. Di questa cifra, oltre 24 miliardi sarebbe ro fatturati dalle attività di ristorazione e oltre 11 miliardi finirebbero a incrementare il patrimonio immobiliare.

Va detto che la cifra da investire sembra stimata con il beneficio dell’ottimismo. I parametri delle expo più recenti dicono che a Milano sono stati spesi 2,4 miliardi di euro in un periodo che non doveva fare i conti con inflazione, crisi pandemica ed energetica, materie prime in eccesso di rial zo e una probabile stagflazione. L’esposizione di Dubai è costata 7 miliardi di dollari, nonostante i costi bassissimi della manodopera e in Giappone, dove si è voluta realizzare un’isola artificiale per accogliere i padiglioni, i budget sono fuori controllo più di quelli delle Olimpiadi disputate nel 2021 dopo il rinvio per il Covid.

Ma per i conti veri ci sarà tempo. L’attrattiva principale resta quella dello sviluppo immobiliare. Roma 2030, al

16 ottobre 2022 65
Gianfrancesco Turano Giornalista Un rendering parte della presentazione della candidatura di Roma all’Expo 2030

Economia e affari

Prima Pagina

Una “Vela” di Calatrava nell’incompiuta Città dello Sport di Roma. A destra: il sindaco di Roma Roberto Gualtieri (sopra) e l’ambasciatore Giampiero Massolo

di là degli aspetti ideologici su sostenibilità e dintorni, è vista come un’opportunità di creare valore molto diversa da Dubai 2020, visto che l’esposizione emiratina è stata quasi del tutto rasa al suolo, e abbastanza differente anche da Milano 2015 dove la riconversione dell’area di Rho nel progetto Mind (Milan Innovation District), realizzato da Lendlease, è stata avviata in modo farraginoso e da poco, come sa Carlo Ratti, l’architetto che ha lavorato per l’avven tura del 2015 e ora lavora per il progetto 2030.

«Abbiamo seguito un approccio radicale», dicono Ratti e il socio Italo Rota. «No brick will go to waste. Tutti gli edifici e le strutture dovranno essere realizzati avendo già definito il loro uso dopo la fine di Expo: dal riciclo dei materiali per nuove costruzioni in altre parti di Roma, fino alla conversio ne dei padiglioni per servizi e attività di quartiere».

I padiglioni tematici hanno nomi più consoni a un’esposizione di arte contempo ranea che a un’iniziativa essenzialmente commerciale. Ai Fori Imperiali sorgerà il Teaser, la base di partenza per le visite con un percorso verde fino a Tor Vergata dove i visitatori troveranno il padiglione Ecosistema 0.0, il Pale Blue Dot dedicato alla sostenibilità, il Roomscape con cen to sale a tema sulla storia dell’umanità e, alle Vele di Cala trava, il polo All Together/Alt Together. Altre idee sono in fase di elaborazione. Fra queste, si distingue la ricostruzio ne del colosso dal quale l’Anfiteatro Flavio ha preso il nome un po’ meno di duemila anni fa. L’idea è dell’architetto sa lentino Antonio Romano, fondatore di Inarea, e di Luca Jo si, consigliere della Fondazione Tim.

logie e la mobilità leggera. Per la scelta dell’area espositiva la sindaca Raggi aveva indicato il quadrante Pietralata-Ti burtina, più centrale e meglio collegato. Poi Pietralata è di ventata la culla del sempre nuovo stadio dell’As Roma. Tor Vergata, sede di uno dei tre atenei pubblici romani, è una delle ferite urbanistiche della capitale. Il suo simbolo sono le Vele dell’archistar Santiago Calatrava, l’incompiuta pro gettata dalla giunta di Walter Veltroni come elemento della Città dello sport, affidata alla Vianini Lavori di Francesco Gaetano Caltagirone.

Sarebbe Vianini, che guida il consorzio Metro C, con We Build, a realizzare il cosiddetto sfioccamento, ossia lo sno

TUTTE LE INFRASTRUTTURE DI TRASPORTO PREVISTE NEL PROGETTO SONO DESTINATE A FINIRE NEL NULLA NEL CASO IN CUI LA CANDIDATURA ITALIANA FOSSE BOCCIATA

do ferroviario di 3,5 chilometri che andrebbe a collegare la fermata di Torre Angela con Tor Vergata. L’approssimazio ne delle stime di spesa, fra 400 e 800 milioni di euro, già in dica un’incertezza notevole. È invece certa la bocciatura del progetto alternativo, un collegamento con la linea Me tro A da Anagnina, valutato oltre 1 miliardo di euro.

A chiusura dell’evento, il quartiere dei padiglioni dovreb be essere trasformato in un centro ricerca sulle nanotecno

Ovviamente, le infrastrutture si faranno a condizione di vincere la corsa fra un anno. Lo ha spiegato l’assessore ai trasporti della giunta Gualtieri, Eugenio Patanè: la zona è quasi deserta. Senza expo resterà così.

66 16 ottobre 2022 Foto: Agf (3)

COMING OUT

SOLO IL MIO INIZIO

EMILIANO PONZI

Non è fare pace con sé stessi né col mondo circostante. Fare coming out è la tappa finale di un lungo percorso di con sapevolezza che non dovreb be mai diventare un compro messo al ribasso. Eppure, ancora oggi in Ita lia dichiarare il proprio orientamento ses suale equivale a tracciare una linea su una spiaggia soggetta alle mareggiate della poli tica e della società. A ricordarlo non sono soltanto i disegni di legge contro l’omolesbo bitransfobia e le terapie di conversione, ac cantonanti rispettivamente in Senato e in Parlamento nel 2020 e 2016. A due anni dalla presentazione della Strategia europea per l’uguaglianza Lgbt, soltanto lo scorso 6 otto bre il ministero delle Pari Opportunità ha comunicato l’adozione di una strategia na zionale di prevenzione per «rafforzare la tu tela dei diritti delle persone Lgbt» e «pro muovere la parità di trattamento e la non discriminazione». Un testo che non fornisce l’entità delle risorse da utilizzare né una fi nestra temporale: un’occasione mancata in un Paese dove chi fa coming out ne paga spesso il prezzo con l’espulsione dalla fami

glia o l’ostracismo sociale.

Alessandro Commisso ricorda con sereni tà il suo coming out : «Mi rendo conto di es sere stato fortunato», ammette oggi a 35 an ni. Qualche anno fa ha scelto di prendere posizione pubblicamente, dichiarandosi gay, in un contesto lavorativo aperto come quello anglosassone: «Parlare di questo in una società che ti accetta è un sollievo. Spes so le aziende non sono consapevoli di quan to un ambiente che non discrimina vada a beneficio dell’azienda stessa: chi vuole la sciare sé stesso a casa ed essere un perso naggio diverso sul luogo di lavoro?». Per il suo impegno oltremanica con campagne aziendali a sostegno di attivisti come Gay is ok, nel 2015 è stato annoverato fra i futuri le ader Lgbt dal Financial Times: «Per me fare coming out ha significato poter parlare libe ramente, perché ho avuto il supporto dei miei cari. Ammetto, però, che, quando ero giovane, il panorama era molto diverso. Oggi i social media aiutano ad abbattere il sospet to per ciò che non si conosce. E ciò, unito alla fluidità della GenZ, ha cambiato la percezio ne delle persone».

In Italia, però, per una persona su tre fare coming out può voler dire essere discriminata sul luo go di lavoro. Lo certifica l’ul tima indagine Istat-Unar sulle discriminazioni lavora tive che ha stimato come, negli anni 2020-2021, una persona Lgbt su cinque ab bia dichiarato di aver subito un’aggressione o di aver

Fronte dei diritti
DI MARCO GRIECO ILLUSTRAZIONE DI
DICHIARARE L’ORIENTAMENTO SESSUALE COSTITUISCE ANCORA UNA BARRIERA. INNESCA DISCRIMINAZIONI, PAURE E TRAUMI. EPPURE NON È SOLO DARSI UN NOME MA VIVERE LA PROPRIA VITA 68 16 ottobre 2022
16 ottobre 2022 69 Prima Pagina

Fronte dei diritti

respirato un clima ostile al lavoro. Le più penalizzate sono le donne (21,5 per cento) rispetto agli uomini (20,5 per cento), ma a pa garne le conseguenze maggiori, anche fuori dall’ambito professionale, è chi non si ricono sce nella dicotomia dei generi maschile e femminile. Quantificare l’impatto delle di scriminazioni in termini percentuali è ridut tivo quanto circoscrivere le calunnie (46 per cento dei casi) o le umiliazioni verbali (43,9 per cento) a semplici epifenomeni, se poi in ducono chi ne è vittima ad agire in conso nanza con le aspettative di una società etero normata: oltre il 68 per cento degli intervista ti ha, infatti, dichiarato che ha evitato di te nersi per mano in pubblico con il proprio partner per paura di un’aggressione o una molestia, e più di una persona su due ha avu to il timore di esprimere il proprio orienta mento sessuale.

In contesti come quello sportivo, fare co ming out è ancora un’eccezione. Spesso man ca il rispetto, come ha dimostrato di recente l’ex numero uno del Real Madrid, Iker Casil las, con il tweet canzonatorio «spero che mi rispettiate: sono gay», salvo poi cancellarlo e bollarlo come scherzo. Chi ha, invece, abbat tuto muri, è l’azzurra Irma Testa, bronzo alle Olimpiadi di Tokyo 2020, prima medaglia nel pugilato femminile italiano. Ha stracciato il velo del silenzio, facendo coming out come lesbica: «Stiamo andando verso una direzio ne giusta, grazie anche a chi ha il coraggio di esporsi e raccontarsi. Lo sport, come ogni al tro ambiente non è privo di diversità. E la di versità va mostrata. Soprattutto ai giovani». Oggi Irma riconosce allo sport questo merito: «Il bello dello sport è che tutti, dagli allenato ri alle compagne di squadra, hanno sempre appoggiato ogni mia scelta, senza giudizio né diffidenze. Anche in casa è stato semplice. Mia madre è stata esemplare: mi ha detto che era una mia scelta e che avrebbe continuato ad amarmi allo stesso modo. Per me è stato molto importante».

Ma spesso la realtà può picchiare forte co me in un incontro di boxe. Almeno così è sta to per Francesco Cicconetti, sui social “mehths”, noto attivista e divulgatore tran sgender: «Vorrei essere d’aiuto per chi vuole fare coming out con la propria famiglia, ri spettando i propri tempi ». Anche se France sco ha ottenuto il privilegio del passing – cioè la capacità di essere percepito dall’esterno come conforme al proprio genere d’ele

“NEL RICORDO DI MIA FIGLIA PARLO A CHI NON LI ASCOLTA”

di Simone Alliva

Quanto pesa il silenzio nel suicidio di un figlio? Come si sopravvive all’assenza della persona che si ama più di ogni altro al mondo?

Siamo nel nord Italia, Elios era una persona di 15 anni non binaria. Una persona, specifica il padre Dante che oggi ha deciso di raccontarsi: «Per continuare a darle voce. Per aiutare chi non vuole, non capisce, non vede a mettersi in ascolto».

Lo scorso anno Elios si è buttata dal quarto piano di una palazzina residenziale. Ha perseguitato il progetto di suicidarsi con estrema determinazione. Un volo nel vuoto, quasi a cercare un corrispettivo concreto a quel vuoto di aspettative che l’omofobia ti scava intorno. «Aveva una capacità empatica rara, entrava in relazione con l’altro in un modo che le apparteneva soltanto». Gli occhi di Dante sorridono, elettrizzati e tristi. Liquidi e ombreggiati. «Dava a ogni affetto la sua custodia. Noi avevamo un nostro modo di condivisione: i giochi di parole. Con la sorella più piccola condivideva la musica. A ognuno il suo mondo. Leggeva tanto, amava la mitologia e i grandi classici».

È una storia questa che racconta la barriera del silenzio che spesso i genitori non riescono a varcare. Non sentono, non vedono, non capiscono cosa accade nella cameretta dalla porta chiusa. Qualcuno ci prova ma non è mai semplice. I gesti, i misteri, i dettagli. Dante li racconta e li riporta al cuore: la fragilità, la paura, la rabbia, l’incapacità da adulti di vedere e sentire: «Io e sua madre abbiamo divorziato anni fa. Elios aveva 4 anni». Inizia a scoprirsi intorno ai dieci anni, rifiuta qualsiasi etichetta di ruolo di genere dai vestiti ai giochi. «A tavola faceva sentire la sua voce: quando si parlava di diritti lgbt, migranti, ambiente». La generazione di un tempo acceso, vigile sul futuro.

«Nel raccontare di sé parlava per interposta per persona. Ma io capivo. Un padre lo sa. Un giorno mi ha riferito l’esigenza di procurare un binder (n.d.r un corpetto che si porta sotto i vestiti in modo che il seno risulti piatto) per un suo amico trans. Risposi: se è per il tuo amico bisogna parlare con la famiglia, non posso sostituirmi ai genitori. Se invece è per te non c’è problema, parliamone». «Era un percorso di maturazione. Quello che mi preoccupava era la società intorno a lei. La città, piccola, fortemente cattolica. Un giorno le chiesi: a scuola cosa si dice? A scuola non se ne può parlare, rispose. Lì ho iniziato a preoccuparmi. Pensare a un luogo dove non puoi essere te stesso dalle 8 del mattino alle 13 non regala buone aspettative».

A fine ottobre Elios scappa di casa dalla madre e si rifugia dal padre: abbiamo litigato posso dormire qui? «Succede.

Foto: Getty Images
Simone Alliva Giornalista
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Nelle famiglie normo-costituite non hai alternative. Nelle famiglie allargate puoi scegliere». Dante non aveva idea: delle pianificazioni suicidarie, del rigetto della madre, di un Elios apatica, chiusa, inappetente. Lo scoprirà solo dopo. Quando Elios inizierà un percorso di psicoterapia: «Per Natale mi aveva chiesto un buono da spendere su un sito che aiutava la comunità Lgbt all’estero. Costava troppo. Decisi allora di regalarle delle magliette con le bandiere genderfluid. Era fine dicembre, scartò il pacco e sembrava delusa». La sera uno scambio di messaggi su Whatsapp che Dante ancora conserva e legge con voce rotta: «Mi ha fatto piacere quel regalo. Ma il problema è che la bandiera sbagliata. La mia bandiera è questa sono una persona non binaria». Su Whatsapp l’immagine di una bandiera gialla, bianca, viola, nero. «Vedi papà? È diversa. Questa è la bandiera giusta, mi sento non binary sempre». «Possiamo restituirla». «No problem, le ho già colorate io. Grazie davvero. Il fatto che non sia una ragazza non significa che non sia io. Il mio nome è per adesso è Elios. Ho cercato a lungo nomi tradizionali e non mi facevano impazzire. Poi ho trovato i nomi nei miei libri sulla mitologia greca. Uso la schwa ma anche la a del femminile». «Ricordati che sei sempre una persona bellissima, non dimenticarlo mai». «Sentivo che c’era una fatica nelle sue parole. Chiesi se lo avesse detto alla madre. Rispose che lo sapeva: ma era come se lo avesse dimenticato». Per gli adolescenti Lgbt comunicare la gioia della propria identità apre spesso al rischio di un “conflitto” tra loro e chi gli sta intorno. Un conflitto espresso o sotterraneo, comunque difficilissimo da reggere. Essere giovani e non avere una “casa” nelle parole degli altri apre a un tempo di mortificazione e sopportazione.

«Pochi giorni prima che si buttasse nel vuoto andammo con la madre dalla psicoterapeuta. Ci disse che Elios aveva bisogno di essere accettata. La risposta della madre fu dura: non ho

Prima

nessun problema con quella gente lì».

Dei tre giorni prima del suicidio, del tumulto, del disordine, dello sgomento, della resa di una ragazza di quindici anni nessuno sa. Lei cosa pensava, come stava, cosa voleva? Non si sa, nessuna relazione potrà mai raccontarlo.

«Ho provato a ricostruire quei giorni in cui qualcosa si è rotto definitivamente dentro Elios. Non ci sono mai riuscito. Non c’è un momento unico che torna nei ricordi e va al suo posto. Forse non si raccontava molto perché aveva paura di aprire un conflitto tra me e sua madre. Credo che il suo pensiero fosse “non voglio scappare dalla mamma, voglio che lei mi accetti”».

Non aver visto il pericolo, l’angolo cieco, quello che l’occhio non trova è l’impotenza del padre. Se avessi capito prima, se avessi visto forse avrei potuto.

«E invece non avevo visto. La sera prima mi aveva parlato dei fumetti che leggeva, delle serie tv che avrei dovuto vedere».

Poi è un attimo, tutto cambia. Prima la vita di sempre, dopo più nulla. Non ci sono più le mani di tua figlia né i suoi occhi, non c’è più l’odore dei suoi vestiti nei giorni o la sua voce. Fine. Cosa si fa allora? Quando la tua vita cambia in un istante e ti porta da un’altra parte?

«La voce di Elios era forte anche se finale. Ho capito che tutto quello che posso fare e continuare a dire chi era, per non tacere la sua storia. Sono convinto che la negazione e la cancellazione della sua identità (e della sua persona) abbiano avuto un peso determinante nella sua scelta di lanciarsi dal quarto piano senza minimamente proteggersi dalla caduta. Amo mia figlia ancora di più perché comprendo ancora di più la fatica che l’ha portata a decidere di suicidarsi. Non posso cambiare la sua decisione. Posso conservare intatta la memoria dei momenti ma non perdermi dentro, agisco attraverso»

Un’associazione ha proposto di dare il suo nome a una casa arcobaleno: «Mi piacerebbe che, nel sentire la sua storia, chi si trova nella sua situazione possa pensare che il suicidio non sia l’unica soluzione. Nel mondo esiste un posto per tutti. Ci si può dire, si può dare voce a sé stessi. Nessuna identità è indicibile o proibita. Non sono loro quelli “sbagliati” ma chi li rifiuta, li offende, li esclude».

Oggi Dante sensibilizza attraverso il suo lavoro da formatore gli adulti su tematiche di inclusione: «Perché possano comprendere che i figli si amano e basta, non si giudicano (tanto meno per la loro identità o per il loro orientamento). Perché possano magari interrogarsi su che cosa significa la loro reazione e capire che possono fare la differenza per i loro figli. Se, in tutto questo, anche una sola persona cambia idea, credo che sia già un piccolo dono realizzato da Elios. Una vita in più».

Il Roma Pride per i diritti tenutosi nella Capitale l’11 giugno
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Fronte dei diritti

zione -, da «fiero ragazzo trans» avverte una forma di discriminazione in chi si stupi sce: «Ancora oggi sento di dover fare a volte coming out. Ammettere di essere un ragaz zo transgender mi fa sentire bene, non ho più paura. Ho capito che, oltre all’aspetto, importa mostrare quanto si è credibili». Ep pure, per tante giovani persone transgen der, fare coming out è ancora difficile: «Mi scrivono che hanno paura e, anche se ci stiamo prendendo sempre più spazi ed i mi glioramenti negli ultimi anni sono visibili, la strada è ancora lunga».

Secondo le recenti stime dell’Osservato rio giovani dell’Istituto Toniolo, soltanto il 10 per cento dei giovani italiani ha ammes so di non aver mai sentito l’espressione «identità non binaria». Eppure, malgrado la crescente sensibilità dei giovanissimi al la fluidità di genere, un coming out tran sgender non è recepito sempre in maniera positiva. Secondo un sondaggio YouGov, circa l’82 per cento degli italiani intervista ti dichiara che sosterrebbe un figlio, fratel lo o parente stretto qualora facesse coming out come lesbica, gay o bisessuale, ma scende al 78 per cento chi farebbe lo stesso con un familiare transgender o non-bina rio: «Per molte persone transgender fare coming out significa liberarsi, dichiarando

ORGOGLIO

Da sinistra, in senso orario, Alessandro Commisso, Irma Testa, Marta Pizzigallo e Francesco Cicconetti

qualcosa a noi molto chiaro, eppure condi zionato dalle sovrastrutture all’esterno», spiega l’attrice di teatro Marta Pizzigallo, che ricorda quando, lasciata la provincia di Taranto per gli studi di teatro a Bologna, ha deciso di prendersi cura di sé: «Il primo co ming out è stato come scoperchiare il vaso. Poi ho compreso che dovevo farmi carico della mia sofferenza. Nella transizione si portano su di sé parti così manifeste che è importante farsene carico perché, quando ci si espone, si rischia di essere semplificati dallo sguardo altrui». È il fraintendimento in auge ancora oggi: pensare che dichiarar si equivalga solo a darsi un nome. Ma quasi sempre è essenziale quanto recidere un cordone ombelicale: separarsi da una vita altrui e imparare a vivere la propria, coi propri passi.

Foto: Getty Images
72 16 ottobre 2022

MANICARETTI AL BIOREATTORE

DI ANTONIA MATARRESE

ettine di manzo coltivate in la boratorio. Pesce in provetta che non nuota. Latte di mucca senza mucche. In due parole: cibo sintetico. «L’umanità sta imparando a sostituire alcu ne delle attività naturali che sono state più importanti nel corso della storia con altre sintetiche progettate da noi», scrive Chri stopher J. Preston nell’introduzione al suo libro “L’era sintetica-Evoluzione artificiale, resurrezione di specie estinte, riprogetta zione del mondo” (ed. Einaudi). E oggi que sta rivoluzione niente affatto gentile coin

minali con un processo simile a quello na turale che porta allo sviluppo della mucca. In uno scenario non troppo lontano, si pro spetta una battaglia che vede in campo scienziati alimentari e ingegneri tessutali contro pastori e veterinari. E il grido d’allar me arriva dalle varie associazioni di catego ria che temono la distruzione del legame cibo-produzione agricola-territorio. Con inevitabili ricadute sociali.

di

volge anche ciò che mangiamo. A Singapo re un paio di anni fa è stata autorizzata per la prima volta al mondo la commercializza zione di nuggets di pollo artificiale. In Dani marca si potranno acquistare latticini che probabilmente manderanno le vacche in prepensionamento grazie a un investimen to di 120 milioni di dollari mentre una start-up israeliana, che annovera tra i fi nanziatori l’attore Leonardo Di Caprio, pro duce “vera carne” partendo da cellule sta

«Il primo hamburger artificiale è stato messo a punto nel 2013 dall’Università di Ma astricht con costi da capogiro: circa 290 mila euro. Attualmente il mercato maggiore è quello statunitense dove gli investimenti van no avanti a ritmi serrati», spiega Felice Adi nolfi,docentediEconomiaagrariaall’Univer sità di Bologna e direttore del Centro Studi Divulga. «La carne sintetica è prodotta con strisce di fibra muscolare che crescono attra verso la fusione di cellule staminali embrio

74 16 ottobre 2022 Piatti sintetici
Nella foto alcune pietanze realizzate con proteine vegetali testurizzate nei laboratori
Hi-Food a Langhirano, Parma INVESTIMENTI E LEVATE DI SCUDI. IL CIBO DEL FUTURO DIVIDE. PONE INTERROGATIVI SU SALUTE, AMBIENTE, CONSUMI. E NON RISOLVE IL DILEMMA DI UN ECOSISTEMA EQUILIBRATO F

nali: lo sviluppo avviene in un bioreattore, le cui condizioni di luce e di calore imitano il corpo dell’animale».

È stato calcolato che, da qui al 2030, il mercato della carne sintetica potrebbe vale re circa 25 miliardi di dollari. Un business che vede come player Bill Gates ed Eric Sch midt, co-fondatore di Google, Vinod Khosla di Sun Microsystem e Marc Andreessen, fon datore di Netscape, solo per citarne alcuni. «Tra le verità non dette c’è che questi pro cessi consumano più acqua ed energia rispetto a molti allevamenti tradizionali: se il metano usato nelle stalle rimane nell’atmosfera per circa dodici anni, l’anidride carbonica legata alla produ zione di carne sintetica si accumula per millenni», sottolinea Adinolfi.

Prima Pagina

Delicato anche il tema sicurezza: interpel lati per un’indagine Coldiretti/Ixè sui motivi principali per cui bocciare il cibo fatto in la boratorio, gli italiani sono scettici nei con fronti di quello non naturale (68 per cento) e manifestano consistenti dubbi sul fatto che sia sicuro per la salute (60 per cento). Senza contare che potrebbe non avere lo stesso sa pore di quello vero (42 per cento). Infine, c’è chi teme per il suo impatto sulla natura (18 per cento).

«Da un lato ci preoccupa il tentativo di cancellare secoli di storia legati al sistema agroalimentare che, in Italia, vale 575 mi liardi di euro con 4 milioni di occupati (quasi un quarto del Pil nazionale, ndr), dall’altro la concentrazione del business in mano a pochi grandi gruppi», sottolinea Et tore Prandini, presidente Coldiretti. «Inol tre questo tipo di produzione azzererebbe la manodopera bypassando la grande

CARNE DA LABORATORIO

LE FAKE NEWS

SALVA GLI ANIMALI

NO, viene fabbricata sfruttando i feti delle mucche

SALVA L’AMBIENTE

NO, consuma più acqua ed energia di molti allevamenti tradizionali

AIUTA LA SALUTE

NO, perché non c’è garanzia che i prodotti chimici usati siano sicuri per il consumo alimentare

È ACCESSIBILE

A TUTTI

NO, poiché per farla serve un bioreattore

16 ottobre 2022 75 Fonte
dati Coldiretti

Piatti sintetici

distribuzione. E questo vale per la carne come per il latte. Non ultimi, il danno per la biodiversità che coinvolge Paesi ricchi o in via di sviluppo e la tutela della sicurezza per i consumatori: ad oggi non abbiamo da ti in proposito e va ricordato che si tratta di cibo sintetizzato in laboratorio quindi pa ragonabile a un farmaco».

«La prima considerazione da fare è che la scienza dimostra l’eccellenza della dieta me diterranea con conseguente longevità della popolazione che la segue: perché proporre qualcosa di diverso da ciò che è ottimale?», affermaAlbertoVillani,direttoredipartimen to emergenze, accettazioni e pediatria gene rale dell’ospedale Bambino Gesù. «Dal punto divistaeticodobbiamopoichiedercicos’èun pasto ovvero la somma di tanti alimenti che favoriscono la nascita di germi buoni e catti vi. Come medico dico che mangiare significa anche godere dei sapori, degli odori, dei colo ri. Sarà possibile tutto questo con l’avvento del cibo sintetico? Occorrerà sicuramente una documentazione scientifica».

Dello stesso parere lo chef tre stelle Miche lin, Heinz Beck, del ristorante La Pergola di Roma: «Difficilmente i cibi sintetici riusci

ranno a mettere in discussione la storia e so prattutto la tradizione gastronomica italiana. Abbiamo il dovere di sensibilizzare le nuove generazioni a un utilizzo consapevole di ma terie prime naturali e coltivate in maniera so stenibile. Comunque, non credo utilizzerò mai cibi allevati in laboratorio».

Impossibile paragonare un taglio di carne che non ha mai fatto parte di un animale vivo con uno tradizionale. E, forse, non lo preten dono neppure gli “agricoltori del futuro” che stanno nei laboratori. Semmai cercano di so stituire il termine “sintetica” con i più rassicu ranti “coltivata” o “pulita”. «Il mercato della carne sintetica così come l’utilizzo della stampa 3D alimentare per replicare forma e gusto di una bistecca, porteranno a profonde trasformazioni che vanno ben oltre l’aspetto ambientale»,sostieneSaraRoversi,presiden te e co-fondatrice del Future food institute, organizzazione che si occupa di innovazione dellefilierealimentariconsediinItalia(aPol lica, nel Cilento, Comunità emblematica Unesco della dieta mediterranea), Giappone e Stati Uniti. «L’approccio corretto all’ecolo gia integrale deve considerare tutte le dimen sioni di impatto: politica, economica, umana,

DIVERSIFICARE: IL MENU DELLA PICCOLA PESCA

Il fishburger di tombarello è facile da preparare. Frulli la polpa a pezzetti con un uovo, prezzemolo, pangrattato e condimenti, compatti il composto con un coppapasta, scotti in padella e monti in un panino caldo con lattuga e pomodoro. E poi gusti senza sensi di colpa questa versione sostenibile del panino più famoso al mondo consigliata da Hellofish.it, uno dei siti che sostengono la piccola pesca artigianale. Quella che si pratica con barche non più lunghe di undici metri, quella che da secoli forma la spina dorsale sociale ed economica delle coste italiane. E che sta richiamando sempre più l’attenzione delle grandi organizzazioni mondiali e delle Ong impegnate per il rispetto dell’ambiente. C’erano rappresentanti di quaranta Paesi al recente “Vertice sulla piccola pesca” organizzato a settembre dalla Fao a Roma. «La piccola pesca è quella che può essere più facilmente gestita in modo rispettoso dell’ambiente», spiega Giulia Prato, responsabile mare del Wwf Italia. «Ma servono regole precise: nel convegno ci

siamo concentrati su come mettere in pratica le linee guida messe a punto negli ultimi anni. Sono indicazioni che non riguardano solo l’impatto ambientale ma anche le condizioni di lavoro, i supporti sociali, il ruolo delle donne. Il nostro focus “Pescare oggi per domani” rientra in questo quadro. Ci lavoriamo da cinque anni in venti paesi del Mediterraneo, con diversi progetti anche in Italia, tra Sardegna, Puglia e Sicilia. Sono nati in cogestione con i pescatori: affrontare problemi concreti porta a regole condivise, che sono più facili da rispettare».

I problemi concreti ci riportano al tombarello. E al lonzardo, la corifena, l’alaccia, e i tanti tipi di pesce ignorati dai consumatori, viziati da un’offerta monopolizzata da merluzzo e gamberetti, salmone e pescespada. «Oggi il consumo di pesce in Italia si concentra su circa dieci specie di pesce, mentre nel secondo dopoguerra erano centocinquanta», calcola Danilo Zagaria, che nel volume “In alto mare” (Add) ha raccolto un’enciclopedia di pericoli e potenzialità del

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di Angiola Codacci-Pisanelli

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sociale, ambientale, culturale. La realtà è che sostenibilità e sicurezza alimentare non do vrebbero essere una dicotomia. Creare ecosi stemi in equilibrio, capaci di generare vera prosperità inclusiva, di garantire un accesso democratico alle risorse, con nuove forme di governance decentralizzate e rispettose dell’ambiente, è oggi la vera sfida. Da cui di pendono anche gli scenari, pacifici o conflit tuali, perché clima, ambiente, cibo, nutri mento, energia se ben amministrati e gestiti sono incredibili veicoli di pace», conclude Roversi.

Un discorso altro riguarda l’aspetto norma tivo legato alla commercializzazione dei pro dotti. «I cosiddetti novel food, regolati da una normativa europea, comprendono sia ali menti ricavati da fonti innovative, sia da nuo ve modalità e tecnologie. La Commissione Europea autorizza la vendita di un novel food e ne stabilisce le condizioni d’uso», spiega Elio Palumbieri, avvocato esperto di diritto agroalimentare e partner del progetto Icc Agri-Food Hub Italia. «Per quanto riguarda i cibi coltivati, resta il problema di come chia marli: se scegliamo il termine carne creiamo concorrenza con il prodotto naturale».

pianeta acqua nell’Antropocene. La prima conseguenza di questa “monopesca” è la cattura eccessiva di pochissime specie che rischiano di non riprodursi abbastanza in fretta. Un altro è quello che in inglese si chiama “bycatch”: nelle reti rimangono impigliati pesci di nessun valore economico che vengono ributtati in mare, ma spesso sono feriti o moribondi.

Eppure la piccola pesca è attualmente il sistema più sostenibile per procurarsi proteine animali: è molto meno dannosa per l’ambiente degli allevamenti e della pesca industriale, ma anche degli allevamenti di polli, bovini o suini. E molto si può fare per allargare il mercato, per spingere i consumatori ad apprezzare la biodiversità. Prato racconta due esperimenti in corso in Italia: «A Porto Cesareo i pescatori avevano il problema di commercializzare un pesce poco conosciuto, lo zerro, una specie povera che vendevano a un prezzo bassissimo. Li abbiamo aiutati ad avviare una collaborazione con un'azienda locale che ora produce anche polpette di pesce. In Sicilia invece per aiutare i pescatori a vendere il pescato direttamente ai ristoranti abbiamo promosso un'app su cui viene segnalato il tipo di pesce del giorno: in questo modo la filiera si accorcia e i pescatori guadagnano di più». Un altro fronte che rende importanti i piccoli pescatori è la lotta

Partendo dal presupposto che il mondo dell’alimentare è tutt’altro che statico, sugli ingredienti del futuro si apre uno scenario in teressante. Che vede protagonista anche il nostro Paese. Un esempio? La Hi-Food di Langhirano, azienda impegnata in ricerca, sviluppo e produzione di materie prime inno vative che fa parte del Gruppo Csm Ingre dients (multinazionale con un giro d’affari da 640 milioni di euro rilevata recentemente da Investindustrial di Andrea Bonomi). «La no stra è una catena creativa, basata sull’applica zione in stabilimento piuttosto che sulla tec nologia: prendiamo fibre tipo la crusca e le trasformiamo in ingredienti funzionali che permettono a chi li adopera di inventare pro dotti nuovi», racconta Massimo Ambanelli, Ceo di Hi-Food, che ha fondato con due soci una decina di anni fa nel Campus dell’Univer sità di Parma. La cifra destinata a ricerca e sviluppo è consistente: «Stiamo per lanciare sul mercato il ragù all’italiana cento per cento vegetale ottenuto da proteine di piselli gialli testurizzateinmododareplicareconsistenza e succosità della carne». Con buona pace del la dieta mediterranea.

all’inquinamento da plastica. La startup Ogyre per esempio finanzia il “fishing for litter” in tutto il mondo vendendo vestiti prodotti con plastica riciclata. Sono progetti di nicchia rispetto al mercato mondiale del pesce: gocce nel mare, verrebbe da dire. Ma sono nicchie che stanno prendendo piede in tutto il mondo. Anche perché informarsi non è difficile. «Fino a dieci anni fa sulle scatolette di tonno non era indicata la specie», ricorda Zagaria. «Oggi le etichette sono migliorate e sapere da dove viene il pesce che mangi è più facile. Basta ricordarsi di girare la scatoletta di tonno, o di guardare il retro di quella busta di salmone decorata con le onde di un bellissimo mare ma che in realtà contiene pesce d’allevamento». Ha fatto scalpore, in questo senso, un servizio de La7 che mostra una busta di “Caciucco alla livornese” surgelato: neanche uno dei pesci proviene dal Tirreno, ma da Indonesia, Filippine, Cile… Per scoprirlo però basta appunto girare la busta. Per questo la più famosa degli oceanologi, Sylvia Earle, è fiduciosa del fatto che una maggior consapevolezza dei consumatori possa portare a una “blue economy” che incoraggi la sostenibilità marina. Intervistata da Kerstin Forsberg per il volume “Oceano” della collana The Passenger di Iperborea, si è rivolta direttamente al lettore: «Anche tu puoi essere parte della soluzione, un pesce alla volta».

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Preparazione degli alimenti in un laboratorio
78 16 ottobre 2022 Oltre le sbarre DI SABRINA PISU FOTO DI SHOBHA BATTAGLIA I NATI CARCERATI Uno dei ragazzi del Malaspina indossa una maschera realizzata durante un corso. A destra, l’ora d’aria in cortile IL DESTINO SEGNATO, IL TEMPO SOSPESO, LA VOGLIA DI RISCATTO, GLI ERRORI COMMESSI E LA PAURA DI TORNARE ALLA VITA DI SEMPRE. VIAGGIO NELL’ISTITUTO MINORILE DI PALERMO CHE VORREBBE NON ESSERE SOLO PRIGIONE

DEL MALASPINA

L’

eco di pugni che battono su porte di me tallo e grida spezza il canto monotono del le cicale: è il suono dei giovani detenuti che raggiunge il giardino nel complesso che ospita il carcere minorile Malaspina di Palermo. E l’immagine racconta la frattura che divide, come una ferita, il dentro e il fuori. A fare strada è Clara Pangaro, da trent’anni al Malaspina, da educatrice e negli ultimi quattro da direttrice dell’Istituto penale minori le che è solo maschile e ospita ventisei ragazzi dai 14 ai 25 anni. Hanno commesso soprattutto reati contro il patrimo nio, (furti, rapine, spaccio di droga) e qualcuno anche omici di. Nel lungo corridoio, i colori di disegni e murales non na scondono muffa e pareti scrostate. «Cerchiamo di organiz zare tante attività affinché il tempo in carcere non sia sospe so, ma di lavoro e formazione, e revisione delle scelte, fatte a volte senza consapevolezza», spiega la direttrice.

Dopo minuziosi controlli, chiavi grandi quanto mani

aprono l’enorme cancello di sicurezza. A varcarlo doveva esserci anche la celebre fotoreporter Letizia Battaglia, scomparsa il 13 aprile scorso. La figlia, e fotografa, Shobha stringe tra le mani, come un testimone, la macchina foto grafica della madre: è la sua presenza qui.

Quando si entra nell’area detentiva, la libertà è a un passo, ma inarrivabile. Quando la porta con sbarre di acciaio si apre, quelle mani strette nei pugni rivelano un volto. I ragaz zi cercano i nostri occhi, si avvicinano, rido no e poi si allontanano restando uniti come uno sciame di api, hanno magliette firmate e tatuaggi che sono manifesti su carne di co se vissute o del credo con cui viverle. Alcuni hanno accettato l’incontro con L’Espresso e scelgono nomi di fantasia .

«La mia testa se resto qui se la mangia il carcere»: Gabriele è seduto sulla finestra e guarda oltre le grate che miniaturizza

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Oltre le sbarre

L’opera dei pupi antimafia, il progetto di Angelo Sicilia. Al centro, un detenuto alla finestra. A destra, la realizzazione dei pupi

no l’orizzonte, negli occhi si leggono le ombre e le luci che lo abitano. Ha 18 anni, viene dalla Sicilia nord-orienta le, ed è da un anno al Malaspina per rapina aggravata: «Ero diventato una vittima del sistema di spaccio che dove vivo è gestito da alcune famiglie, io prendevo 50 euro, chi gesti va lo spaccio, e non era neanche il più grande, anche tremi la al giorno. Facevo lo “scopino”, spacciavo e mi lasciavano fumare il crack tutto il giorno in una casa chiusa». La dro ga all’inizio era un gioco: «Non conoscevo i rischi, sentivo di avere potere, volevo essere come gli altri che grazie allo spaccio potevano comprarsi bei vestiti e tutto quello che desideravano. Chi aveva un lavoro onesto era visto male. Un’idea distorta, l’ho compreso qui». La dipendenza psi chica era dietro l’angolo: «Fermavo la gente per strada con un coltello per rapinarla, i soldi non mi bastavano mai, la droga mi ha fatto perdere le staffe». Gabriele è cresciuto con sua madre e i nonni, il padre non c’è mai stato: «La mia infanzia è diventata brutta a sette anni, quando i nonni so

no morti per un tumore». A casa, quando uscirà, lo aspetta un figlio che è appena nato. Dovrà cercare, lui che è poco più che un bambino, di essere il padre che non ha avuto: «Sono cresciuto in mezzo alla strada senza una figura pa terna che ti insegna a essere un uomo giorno dopo giorno. Ho spacciato perché non sapevo come guadagnare i soldi e nessuno mi dava un lavoro. Lo Stato ci lascia commette re reati, fino a quando arriva quello grave, perché non ci fermano e aiutano prima? Se mi ributtano per strada a 22 anni, senza aiuto, cosa farò? Chiedo la libertà vigilata, e, con un supporto psicologico fuori, la possibilità di dimo strare che sono cambiato, altrimenti impazzisco».

Quando don Carlo Cianciabella, parroco al Malaspina da un anno e per sua richiesta, arriva e apre la piccola cap pella, Gabriele lo segue, lo abbraccia e, seduto, tiene a lun go la testa appoggiata sul suo braccio. Si stringono al cap pellano anche molti altri, dopo essersi fatti il segno della croce e aver baciato la statua della Madonna all’ingresso.

Li segue l’educatrice Maria Mercadante: «Avere la loro fiducia è la cosa più difficile. In passato sono stati traditi e cercano relazioni autentiche, coerenza e regole mai avute, anche se poi le rigettano, per provocare».

Qui dentro giudizi e certezze si azzerano ogni istante. «Non sono mostri, è la società che a volte è un mostro e crea ghetti senza Stato e istituzioni», dice don Carlo Cian ciabella. «Sono solo ragazzi, spesso più maturi di quelli della loro età perché arrivano da contesti disagiati in cui hanno imparato a difendersi, meritano attenzione perché se sono qui, non è solo colpa loro. È come se fossero nati

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STATO CI LASCIA COMMETTERE REATI, FINO A QUANDO ARRIVA QUELLO GRAVE, PERCHÉ NON CI AIUTANO

Prima Pagina

carcerati e la parte sana della società ha un debito nei loro confronti».

«Nati carcerati», sono in molti ad aver conosciuto il pa dre in prigione. Un destino che si ripete anche per Carlo, che scrive il nome di suo figlio, che ha appena sei mesi, su un foglio di carta e lo scarabocchia con dei cuori. Ha 23 anni, viene dal quartiere Zen di Palermo dove «i bambini devono saper sopravvivere nella strada». Nel futuro si vede un buon padre, lui che il suo lo ha visto solo dietro le sbar re: «Ora mia moglie mi porta mio figlio ma non voglio che lui faccia la stessa fine». Ha sei anni e otto mesi davanti per una rapina commessa a 14 anni: «Del reato sono solamen te io il responsabile, ho fatto quello che ho visto fare in al cuni film. Non ho avuto paura perché chi rapina è visto come uno tosto e volevo esserlo anche io e fare molti soldi, come gli altri». È stato facile reperire l’arma: «Dove vivo basta pagare. Al massimo 400 euro».

A chiudere e aprire i cancelli, della «gabbia», come i ra gazzi chiamano questo posto , ci sono gli agenti di Polizia

penitenziaria. «Cerchiamo di far compren dere il valore delle regole a ragazzi cresciuti in contesti senza legalità e spesso di abban dono familiare», spiega Francesco Cerami, dirigente della Penitenziaria. La maggior parte di questi giovani, alcuni a 17 anni, ri ceve in carcere, per la prima volta cure me diche e dentistiche. «Non possiamo fare miracoli, i ragazzi quando escono ritorna no in zone in cui lo Stato manca ed è sosti tuito dal potere criminale. È anche una scelta politica».

Le giornate sono descritte senza fine, con due ore d’aria la mattina e due il pomeriggio, e il diritto a sei colloqui al mese con la famiglia: «Sono grato delle attività che ci fan no fare, ma alcuni giorni nella stanza restiamo anche venti ore, giochiamo a calcio solamente una volta a settimana», racconta Messak, 19 anni, che sogna, o sognava, di fare il calciatore, e dice di essere bravo: «Ma quando uscirò avrò trent’anni, non sarà più possibile». Anche lui ha conosciu to suo padre in galera: «Sono cresciuto nei colloqui del carcere. Lo vedevo come un idolo, mi vantavo con gli altri amici che avevano anche loro i padri in prigione. Non do la colpa a lui per i reati che ho commesso, però se uno ti dice di non fare una cosa e poi la fa, non è un esempio». Messak viene da Pesaro dov’è nato da una famiglia di origine ma rocchina e spera di diventare cittadino italiano. È passato in nove istituti prima di arrivare a Palermo, alle spalle ha 49 reati commessi da minorenne: «L’ho fatto per rabbia, sofferenza, per necessità di soldi per me e la mia fami

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“LO
PRIMA?”.
“HO
CONOSCIUTO
MIO
PADRE DIETRO
LE SBARRE. NON È UN ESEMPIO”

Oltre le sbarre Prima Pagina

glia». La violenza come abitudine: «Pic chiavo qualcuno e non avevo più emozioni, paura. Ora ho capito, mi addormento con il senso di colpa». Qui ha la possibilità di studiare: «Prima nelle scuole ci andavo so lo per spacciare».

La scuola dentro il Malaspina cerca di farsi inchiostro per storie nuove. «Le classi sono miste, i ragazzi hanno un diverso li vello, alcuni imparano qui, a 14 anni, a leg gere e scrivere. Si vergognano per questo», racconta l’insegnante d’italiano Valeria Pirrone, arrivata nel 2012. «La didattica tradizionale resta fuori, qui serve amore. Quando i ragazzi non venivano in aula li andavo a prendere nelle stanze», aggiunge Tiziana Basile, per tutti la “maestra Tizia na” che al Malaspina ha insegnato per trent’anni: «Sono ragazzi con una sensibili tà incredibile, nessuno crede al bello che hanno dentro». È lei che ha dipinto con i giovani tutto il carcere, rifatto il murale di Banksy con la bambina e il palloncino ros so a cuore, trasformato le pareti in lavagne permanenti per parlare di educazione civi ca, Europa e legalità, e che nell’aula ricrea tiva ha fatto scrivere sui muri quali sono i doveri e i diritti.

I diritti, come quello all’infanzia negato a molti di loro. Ora vorrebbero muovere con una diversa consapevolezza i fili della loro esistenza, come muovono quelli dei pupi si ciliani, le marionette antimafia del labora torio iniziato nel 2018. «Sono fragili e con una voglia di fare e un talento incredibile», dice l’ideatore Angelo Sicilia. «Il progetto prevede che alcuni ragazzi, una volta usciti lavori no con noi, purtroppo qualcuno è tornato qui, non riuscia mo a fare concorrenza economica al welfare mafioso».

IL PARROCO: “ARRIVANO DA CONTESTI IN CUI HANNO IMPARATO A DIFENDERSI, SE SONO QUI, NON È SOLO COLPA LORO. E LA PARTE SANA DELLA SOCIETÀ HA UN DEBITO CON LORO”

Ragazzi con un’energia difficile da contenere, che vorreb bero fare più sport, nuotare o imparare a farlo nella piscina del Malaspina, che però non è agibile. «Non riusciamo da alcuni anni ad avviare i lavori a causa della pandemia e della difficile e costosa manutenzione che richiede una piscina di questo tipo», dice la direttrice Clara Pangaro. Messak indica la vasca: «È abbandonata. Sono disponibile come volonta rio per rimetterla a posto». «Anche io», dice Silver, 22 anni, di Mazara del Vallo. Lui ha già scontato una condanna di dieci anni: «Una bravata a 15 anni, un incidente con l’auto in cui è morta una persona», racconta. «Bisogna togliere la droga dalla strada. Quella sintetica è ovunque, con cinque euro un bambino compra una dose di crack. Noi abbiamo sbagliato ma questo non si può accettare».

Per don Carlo Cianciabella è necessario «rompere i mu ri» e concepire un carcere con le porte aperte: «Serve uno scambio maggiore tra dentro e fuori. Il muro alto fa sentire

al sicuro chi non si sente responsabile, chi guarda dall’alto in basso questi ragazzi che si incattiviscono perché si sen tono messi ancora ai margini. Ci sono percentuali alte di suicidi o tentati suicidi negli istituti minorili. Il sistema giudiziario si dovrebbe interrogare molto a livello nazio nale». «Serve una trasformazione del sistema e della so cietà, e questo richiede un cambio culturale», sottolinea il vicedirettore del Malaspina, Salvatore Pennino. «Servono ingenti investimenti nel sociale per toglierli dalla strada e più risorse per offrire opportunità adeguate una volta usciti», aggiunge Clara Pangaro, «qui piantiamo semi, spe rando che nascano fiori».

«Fiori dal nulla», «diamanti chiusi in una vetrina»: sono stati i giovani detenuti a definirsi così in una canzone scritta in un progetto per mettere in musica le loro urla.

Messak appoggia la testa al cancello, guarda degli adole scenti in cortile nell’ora d’aria: «Le carceri minorili devono esistere?», si chiede. «I minorenni non devono arrivare a fare reati, ci sono tanti bambini abbandonati là fuori, co me lo ero io. Noi siamo considerati gli ultimi, siamo invisi bili. Ma noi vogliamo essere visti, vogliamo esistere».

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Don Carlo Cianciabella con uno dei ragazzi del Malaspina
RAFFO ART COMMUNICATION ROMA

Sottrarre il gigante alla sua monumentalità. E raccontarne l’intreccio di vita e arte, dramma e comicità, finzione e realtà. La sfida di Andò di riportare Pirandello sul grande schermo

La stranezza colloquio con Roberto Andò, Salvo Ficarra, Valentino Picone e Toni Servillo di Francesca De Sanctis

di stare in bilico

illustrazione di Ivan Canu

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Idee

Luigi Pirandello, seminascosto, osserva gli attori di una compagnia amatoriale duran te le prove di uno spettacolo. Spia gesti, pa role, la vita che scorre davanti ai suoi oc chi. E da quel meraviglioso caos trova l'i spirazione per scrivere “Sei personaggi in cerca di autore”. Quegli attimi di spaesa mento e nello stesso tempo di illuminazio ne sono momenti centrali del film dedicato allo scrittore siciliano: “La stranezza”, regia di Roberto Andò, con Toni Servillo nel ruo lo di Luigi Pirandello, Salvo Ficarra e Va lentino Picone nei panni di Onofrio e Seba stiano (due becchini che per diletto fanno teatro), e con tanti altri attori di spessore anche nei piccoli ruoli (da Renato Carpen tieri a Luigi Lo Cascio, da Galatea Ranzi a Donatella Finocchiaro e Fausto Russo Ale

si).

Il film è riuscito a mettere d'accordo – pen sate! - Medusa e Rai e arriverà nelle sale il prossimo 27 ottobre dopo l'anteprima alla Festa del Cinema di Roma il 20 ottobre. Ci immergiamo anche noi nella fantasia crea tiva di Pirandello dialogando con Roberto Andò, Toni Servillo, Salvo Ficarra e Valenti no Picone.

“La stranezza” è un film che nasce da un desiderio antico, ma come si può rac contare un gigante del teatro?

Roberto Andò: «Era un desiderio che ci eravamo promessi di esaudire da tempo con Valentino e Salvo. A questa avventura si è aggiunto un amico, Toni Servillo, con cui tante volte avevamo parlato di Piran dello. E poi c'è un episodio della mia gio ventù che mi piace ricordare. Un giorno, a Palermo, ero in macchina con Leonardo Sciascia che ad un certo punto mi disse: “Ferma, ferma la macchina”. Ci fermammo davanti alla libreria Utet. Lui entrò. Poi uscì e mi diede la biografia di Pirandello scritta da Gaspare Giudici. Quindi per me è un cerchio che si chiude. Volevo sottrarre Pirandello alla monumentalità. Ecco, con

Massimo Gaudioso e Ugo Chiti abbiamo cercato di costruire una storia che raccon tasse l'universo pirandelliano nel suo in treccio di vita e di arte, nel suo mescolare persona e personaggio, fra comicità e dramma».

Salvo, Valentino, che rapporto avete voi con Pirandello?

Salvo Ficarra: «Io non lo sento da anni, ho perso il numero, cambiando i telefoni suc cede… Forse lui, Valentino, lo sente anco ra. Vi messaggiate, vero?».

Valentino Picone: «Il rapporto con Piran dello è quello che comincia a scuola quan do si studia. In quegli anni ho avuto la for tuna di assistere a “Sei personaggi in cerca di autore” al Teatro Biondo. La regia era di Zeffirelli, con la compagnia di Enrico Ma ria Salerno. Quell'opera è stata una rivolu zione nel mondo teatrale».

Tutti i personaggi sono immersi nella sicilianità, a partire dal dialetto. Piran dello però – interpretato da Toni Servil lo, unico non siciliano fra voi - si espri me per lo più in italiano.

Toni Servillo: «Il film racconta il momen to in cui Pirandello, per varie ragioni, è ri

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Una cosa unisce Napoli alla Sicilia: la capacità di costruire identità alternative a quelle reali. I napoletani la declinano in commedia, i siciliani in tragedia

A sinistra: una foto dal set del film “La Stranezza” con Toni Servillo, Valentino Picone e Salvo Ficarra. Sotto: il regista Roberto Andò

RITORNO

A GIRGENTI

masto lontano dalla Sicilia, ma racconta anche la messa a fuoco della “stranezza”, come lui chiamava i “Sei personaggi in cer ca di autore” quando non erano ancora de finiti. Questa “stranezza” contribuisce an che al ritorno nella sua terra, nella sua lin gua. Pirandello torna a bagnarsi nella sua sicilianità, accenna qualche battuta in sici liano per mettere a fuoco il meccanismo che ancora era confuso nella sua testa». Dopo Eduardo Scarpetta (nel film “Qui rido io” di Martone”), Pirandello: è una bella responsabilità rendere omaggio a due maestri del teatro. Servillo: «Devo dire che non avrei mai im maginato di rendere omaggio a due uomi ni di teatro così importanti, ma anche dif ferenti. È un caso. Però una scena fonda mentale del film “La stranezza” è girata al Teatro Valle di Roma, dove si svolse sia la prima di “Miseria e nobiltà” di Scarpetta, sia dei “Sei personaggi in cerca di autore” di Pirandello. Io, Martone e Andò siamo tre teatranti militanti, che abbiamo sempre alternato cinema e teatro con passione e determinazione. Soprattutto ora, rendere omaggio al rito del teatro è importante».

Al cinema dal 27 ottobre

“La Stranezza” di Roberto Andò con Toni Servillo, Salvo Ficarra e Valentino Picone per protagonisti. Un ritorno a Girgenti del grande scrittore, tra becchini, spettri, personaggi in cerca d’autore e l’inquieta scrittura di una nuova commedia. Una produzione Bibi Film e Tramp Limited con Medusa Cinema e Rai Cinema, in collaborazione con Prime Video. Anteprima alla Festa del Cinema di Roma il 20 ottobre.

Valentino e Salvo, voi siete partiti dal cabaret ma avete recitato anche nelle “Rane” con la regia di Barberio Corset ti. Il teatro è una scoperta avvenuta con gli anni o c'è sempre stato?

Ficarra: «La nostra passione nasce dal te atro, come per la compagnia nel film. Quell'esperienza è anche la nostra».

Picone: «Abbiamo iniziato con molta in coscienza e ancora oggi ci piace divertirci, che significa anche fare cose diverse. C'è una frase che dice il mio personaggio: “Sia mo dilettanti professionisti”. Forse c'è più serietà e passione nelle compagnie amato riali, che in tanti professionisti».

Toni Servillo: «Questo è ciò che incuriosi sce Pirandello. Si mette in ascolto, sente e vede la vita nel teatro, scopre il teatro nel dipanarsi della vita, tra il comico e il tragi co in quei due strani personaggi che lo atti rano anche perché sono dei becchini. E sappiamo quanto Pirandello fosse inte

16 ottobre 2022 87 Idee Foto per gentile concessione di: Lia Pasqualino, M.L. Antonelli –Agf

Pirandello ha riportato il caos in una dimensione catartica, senza mitigare le asprezze. E vita e morte creano di continuo situazioni paradossali

ressato all'aldilà, ai fantasmi». D'altra parte vi “frequentate” da tempo con Pirandello...

Toni Servillo: «Ho sempre frequentato la sua “officina teatrale”. Ho assistito a “Sei personaggi in cerca di autore” messo in scena da Ronconi, Cecchi, Vasil'ev. È sem pre stato un punto di riferimento. E poi si sa quanto Eduardo deve a Pirandello. C'è un aneddoto da raccontare. Dopo la messa in scena di “Liolà” con i De Filippo, Marta Abba andò dopo la recita nei camerini e fe ce notare a Pirandello che Peppino im provvisava. Pirandello disse: “Lascialo fa re...”. La testa di Pirandello era un'officina ambulante. I “Sei personaggi” cambiano lo sguardo del pubblico rispetto al linguaggio con cui certe arti si manifestano». “La stranezza” è in bilico fra realtà e finzione, proprio come il mondo di Piran dello. Cosa c'è di vero in questo film? Andò: «Molte cose: l'incontro con Giovan ni Verga per il suo ottantesimo complean no nel 1920, per esempio. Verga disertò la cerimonia in suo onore per protestare con la città che lo aveva dimenticato. Pirandel lo lo celebrò con un discorso memorabile.

In alto, da sinistra: Toni Servillo nel suo studio, in una scena del film; la Compagnia Teatrale De Filippo con Luigi Pirandello, Titina, Edoardo, Peppino De Filippo e Tina Pica nella commedia “Liolà”, 1935

Di vero c'è anche il rapporto con la moglie, che nel 1919 fu rinchiusa in una clinica per malattie nervose. Pirandello ci è servito per due cose: è un grande padre che ha rac contato come sia complesso il rapporto con la realtà, da negoziare con vari disposi tivi; e poi ha riportato il caos in una dimen sione catartica, costruendo senza mitigare le asprezze: per questo si parla di vita e di morte e ci si trova spesso in una situazione paradossale, perché si è sempre al confine fra finzione e realtà. Questo stare in bilico è il luogo pirandelliano per eccellenza». E poi c'è la balia, Maria Stella. Andò: «Lei fu centrale nel nutrire l'imma ginazione di Pirandello, perché portava a casa i racconti popolari. “La favola del fi glio cambiato” prende spunto proprio da un racconto della balia. Noi immaginiamo che lei muoia in quell'anno, il 1920, e che da lì Pirandello incontri questi due personag gi. La loro rottura a causa di un equivoco scatena la platea. Questo è importante perché in Sicilia fino agli anni Cinquanta c'erano i pupari e se morivano i soldati di Carlo Magno il pubblico si incavolava a tal punto da distruggere fisicamente il pupo».

88 16 ottobre 2022 Cinema

Servillo: «C'è un tratto che accomuna Na poli e la Sicilia. Negli anni Settanta, a Na poli ci imbattiamo nel fenomeno della sce neggiata, dove pubblico e platea si mesco lavano. Ma un'altra cosa unisce Napoli con la Sicilia: la capacità di costruirsi un'identi tà alternativa a quella reale. I napoletani la costruiscono declinandola più sul versan te di armonia da commedia, i siciliani sul versante più tragico, ma tutte e due colti vano un senso del comportamento sociale recitato, che vuol dire sperimentare una vita alternativa per sopportarla la vita». Quando Onofrio e Sebastiano vogliono invitare Pirandello alla prima del loro spettacolo, Onofrio (Valentino) pro nuncia questa frase: “Non è paura, è di gnità”. Vi appartengono queste parole? Ficarra: «Paura, specie all'inizio, no». Picone: «Variare è il divertimento». Ficarra: «La consapevolezza che recitare potesse diventare un lavoro è arrivata solo quando abbiamo superato l'età per il con corso pubblico. Perché il nostro sogno era avere un posto fisso alla Regione. Alla fine ci siamo dovuti accontentare». Recitare è un ripiego, insomma?

Ficarra: «Eh sì, purtroppo non tutti riesco no a realizzare i propri sogni». Picone: «La paura invece ti prende quan do un maestro come Andò ti propone un film con Toni Servillo».

Andò: «Io posso dire che per loro, come per Toni, vale la parola dignità. Nel senso che sono tre attori che hanno la capacità di tenere alta l'asticella, la dignità di dire no, difendendo il territorio che nobilita l'arte dell'attore».

Toni Servillo: «A proposito della paura, mi viene in mente una frase che Louis Jouveta cui ho dedicato uno spettacolo teatrale, “Elvira” - rivolge a un ragazzo della scuola prima del saggio. Gli chiede: “Hai paura di affrontare il pubblico?” E il ragazzo rispon de: “No”. Jouvet replica: “Arriverà con il ta lento”. Questo è un insegnamento di vita». “La stranezza” è un film sul senso della vita?

Andò: «Io penso di si. Da una parte c'è l'i spirazione: il viaggio fantastico di uno scrittore che sta covando un grande capo lavoro. Dall'altra però Pirandello ci forni sce anche una chiave proprio sul senso del la vita, l'ossessione di essere persona ma anche personaggio. Quando una platea di un teatrino di provincia diventa un unico personaggio, protagonista di un atto tea trale, quello è un momento vitale, in cui Pirandello mette a fuoco la visione che ha del teatro, anche contestandolo». Come dimostra la scena al Teatro Valle dopo la prima dei “Sei personaggi” in cui lui viene definito un “buffone”...

Andò: «Il pubblico lo mortifica, lo chiama impostore. Queste cose sono vere. Ci furo no risse alla prima romana. Pirandello con la figlia Lietta uscì dal teatro e passò fra la folla, contrariamente alle sue abitudini. Io l'ho immaginato con quella smorfia beffar da di un uomo toccato da quello che stava accadendo, ma che nello stesso tempo non poteva rimproverarsi nulla». Salvo Ficarra: «Una cosa che mi ha affa scinato di questo film è riscoprire l'anima popolare di Pirandello».

Roberto Andò: «Questo è importantissi mo perché vederlo sollecitare dal popolo è l'aspetto che restituisce nella sua unità Pi randello. L'atto creativo ha a che fare con la redenzione. Per questo mi auguro che que sto film possa essere una festa».

16 ottobre 2022 89 Idee Foto per gentile concessione di: Lia Pasqualino, Archivio Angelo Palma –A3

Spettacolo d’acqua al Colosseo

Sintesi di romanità, simbolo del Paese, oggetto di studi continui, sembrava non avere più segreti. Nuove scoperte, invece, sono appena emerse. Dal sottosuolo

90 16 ottobre 2022 di Marisa Ranieri Panetta Archeologia

Verso sera ci recammo al Co losseo… Quando si contem pla una cosa simile, tutto il resto sembra un’inezia». Così annotava Goethe l’11 no vembre del 1786 durante la sua permanenza romana; ma già nel Quat trocento l’Anfiteatro aveva iniziato a ispira re poeti, scrittori e artisti con la sua impo nente monumentalità.

Una storia lunghissima, la sua: iniziata nell’80 d.C., quando fu inaugurato dall’im peratore Tito (ma terminato dal fratello Domiziano), con la fine degli spettacoli all’inizio del VI sec. d.C., e proseguita ospi tando all’interno edifici, orti, cappelline, magazzini, cadendo poi nell’abbandono,

fino a risorgere e diventare simbolo per antonomasia della romanità, se non dell’intero Paese.

Indagato con sistematicità dal secolo scorso, oggetto di continui restauri, sem brava non avere più segreti; invece, recenti indagini nel sottosuolo aggiungono tasselli alla sua conoscenza, mentre ulteriori ricer che che L’Espresso può anticipare consen tiranno di comprenderlo ancora di più.

Un’importante documentazione sul si stema idraulico arriva dalle esplorazioni appena concluse nella canalizzazione sot terranea, antica e moderna. Ora sappiamo come si faceva arrivare l’acqua nel Colosseo e quali fossero le fognature impiegate per regimentarne il deflusso.

Nell’edificio che conteneva oltre 50.000 spettatori, funzionava in modo perfetto una complessa struttura che convogliava le acque meteoriche e quelle utilizzate per la pulizia delle gradinate in un canale dispo sto intorno all’arena. Da qui sotto partivano quattro collettori orientati secondo i punti cardinali, che si collegavano a nord e smal tivano il loro contenuto nel Tevere. L’Anfite atro era servito da un serbatoio del vicino acquedotto Claudio, e durante le recenti esplorazioni si è scoperta un’ulteriore fonte di approvvigionamento: sempre sul Celio, è stato individuato un corso d’acqua sorgiva limpidissima. Era quindi da questo colle che si provvedeva anche ad allagare il Co losseo per particolari spettacoli.

I lavori sono rientrati nel finanziamento Grandi Progetti dei Beni culturali, per la direzione scientifica di Martina Almonte e Federica Rinaldi. È stato un impegno mul tidisciplinare che ha coinvolto gli speleolo gi di Roma Sotterranea, architetti, archeo logi, con strumenti tecnologici d’avanguar dia, a cominciare da robot filoguidati. Re stano punti da chiarire - sarà dedicato loro un convegno - ma i risultati hanno supera to le aspettative: nella sequenza cronologi ca dei canali rivolti a sud si è scoperto che il primo impianto delle fognature precede la costruzione del Colosseo. I bolli laterizi si riferiscono alla dinastia giulio-claudia; quindi, la fognatura su questo lato potreb be in parte riferirsi a quella che girava in torno al lago costruito da Nerone per la sua Domus Aurea.

Di grande interesse si è rivelato pure lo svuotamento per 60 metri del collettore

Piazza del Colosseo, ispezione del collettore ottocentesco sotto via di San Gregorio. Recenti indagini sul sistema idraulico hanno fornito importanti novità, che anticipiamo in queste pagine. A sinistra: una veduta del Colosseo

16 ottobre 2022 91 Foto: A. Ammendolia –Alamy / IPA
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sud, con il recupero di oggetti della vita quotidiana: dadi da gioco, pettini, una bella moneta in oricalco risalente a Marco Aure lio, innumerevoli resti di frutta secca e ossa di animali domestici e selvaggi, ora all’ana lisi di archeobotanici e archeozoologi delle università di Roma e Lecce.

La maggior parte dei materiali si riferisce all’ultima fase degli spettacoli, quando era no prevalenti le cacce (i combattimenti gla diatori furono proibiti dal 438 d. C.), e vi partecipavano leoni, tigri, struzzi e leopar di, come dimostrano i ritrovamenti ossei.

In piena età imperiale lo svolgimento del le esibizioni aveva un ordine prestabilito, raccontato dal poeta Marziale, che assistet te alla prima kermesse finanziata dall’impe ratore Tito – durata cento giorni - negli epi grammi detti “Liber spectaculorum”.

La mattina era dedicata alle cacce, le “ve nationes”. Gli animali costretti a combatte re fra loro o a offrirsi preda di cacciatori erano i più diversi; molto presenti gli orsi, reperibili sulle montagne non lontane da Roma, e belve provenienti dall’Africa e dall’Asia che suscitavano il maggiore inte resse. Marziale menziona, in mezzo a tante lotte, lo scontro fra una tigre e un leone, con la vittoria della prima, tenuta in cattività a lungo e perciò più aggressiva; senza trala sciare episodi curiosi che potevano capita re, provocando ilarità. Così, ad esempio, il caso di un piccolo cinghiale, partorito dalla madre mentre essa veniva colpita a morte, che si metteva subito a correre.

Tutt’altro tenore all’ora di pranzo. Era a metà giornata che persone colpite da con danne capitali venivano date in pasto alle fiere (“damnatio ad bestias”) o andavano incontro a una tragica fine come protago nisti di celebri miti. L’arena diventava un palcoscenico teatrale dove si allestivano scene seguendo la descrizione degli anti chi poeti: non solo alberi e cespugli come nelle cacce, ma grandi impalcature di le gno, tendaggi, costumi. Davanti agli spet tatori, mentre consumavano cibi portati da casa, si svolgevano le torture strazianti dei malcapitati: c’era Orfeo che cantava tra le bestie feroci, ma non le incantava; il brigante Laureolo crocifisso prima, sbra nato poi; Pasifae, la moglie del re cretese Minosse che si era accoppiata con un toro. «Tutto ciò che la Fama canta, l’arena te lo offre», commenta Marziale. Le vittime

Il miele, le rose e il Metaverso

colloquio con Alfonsina Russo di Sabina Minardi

La rosa più giovane degli Orti Farnesiani, l’Augusta Palatina, fucsia acceso e profumo insolente, l’ha dedicata a Greta Thunberg, «che simboleggia la sensibilità delle nuove generazioni verso il pianeta e il coraggio di parlare ai potenti della Terra». L’olio, invece, si produce ormai da quattro anni dalle duecento piante che crescono tra le rovine. E Ambrosia, il cibo degli dei, è il miele ricavato dalle api che hanno le loro arnie sul Colle Palatino. Alfonsina Russo, che dirige il Parco archeologico del Colosseo, mostra barattoli e bottiglie nel suo studio a due passi dall’Arco di Tito, la scrivania sormontata dalla scritta Bibliotheca («di Santa Maria Nova, dedicata al culto della Madonna dopo il terremoto del nono secolo che colpì Santa Maria Antiqua»), e richiami al suo lavoro ovunque: la statua di una vestale, una testa di Agrippina («copie dei primi del Novecento di Giacomo Boni»), la testa di un fauno: «Ci è stata restituita dagli Stati Uniti: era stata trafugata negli anni Sessanta, i Carabinieri per la Tutela del Patrimonio culturale ce l’hanno riportata. La cosa più bella è che abbiamo ritrovato anche il torso, a breve ricomporremo la figura nella Domus Tiberiana». Si accende di entusiasmo, Russo, mentre parla. Nell’aria una fragranza di cannella è l’antiossidante naturale che ben si attaglia al luogo: «Chi arriva qui è travolto da un’idea di tempo sospeso. Io voglio far dialogare questo tempo cristallizzato col tempo che scorre, il nostro, di oggi». Calma, diretta, in sintonia con la bella pietra di luna che indossa alle dita, sorvola sul concorso da centinaia di pretendenti al ruolo che riveste («un onore e un grande onere»), minimizza sul peso di dirigere un luogo dove ogni decisione è sotto lo sguardo dell’archeologia mondiale. E, senza tecnicismi, accantonando un curriculum on line da 51 pagine, si racconta.«Ho sempre avuto il pallino

92 16 ottobre 2022
Guida un luogo da 20 mila visitatori al giorno. Sotto lo sguardo degli esperti di tutto il mondo. Parla la direttrice del Parco Archeologico del Colosseo

dell’archeologia, sin da bambina. Sono salentina. Vengo da una famiglia di medici, che inizialmente mi ha un po’ osteggiata: avrebbero voluto che studiassi anch’io Medicina. Ma sono andata avanti, tenace e testarda». Lettere Classiche indirizzo archeologico a Perugia («con professori bravissimi come Mario Torelli»), dottorato a Milano, scavi archeologici con l’università di Ferrara, specializzazione a Lecce: «Ho fatto la tesi insieme con Massimo Osanna, l’attuale direttore generale dei musei italiani. Ho iniziato la mia carriera in Basilicata, il mio principale ambito di interesse sono stati i rapporti delle popolazioni italiche con i greci e con i romani, mi sono specializzata in mostre internazionali, ho lavorato in Molise, in Etruria, poi ho vinto il concorso da dirigente del Ministero nel 2009. Infine, sono arrivata al Colosseo, dopo un concorso internazionale. Sì, certo, sono una donna fortunata per il luogo in cui opero. Il lusso assoluto è però fare un mestiere di cui sono appassionata». L’archeologia è una passione che un giovane può ancora coltivare? «Sì, a patto di avere la consapevolezza dei sacrifici necessari. Io sono entrata al Ministero a 39 anni, ho fatto tutta la gavetta. È difficile, però se c’è passione e tenacia si può fare. Cosa ho provato quando ho scoperto di aver vinto il concorso, nel 2017? Tanta emozione. E ho dovuto staccare il telefono, travolta dalle chiamate di amici e giornalisti. Ho sentito la responsabilità di dirigere un luogo così complesso: siamo sempre nell’occhio del ciclone, ogni attività deve essere ponderata. Ci vuole equilibrio, buon senso e apertura: qualità fondamentali per questo luogo». Un’area delicata, visitata da migliaia di turisti: «Siamo tornati quasi ai livelli pre-Covid, con 20-22mila visitatori al giorno. Prima ne avevamo 25 mila, con picchi di 30 mila, ma manca ancora il turismo orientale». Lo sforzo è attrarre pubblici diversi, che non si fermino a una visita soltanto: «Oltre al turista

che viene in Italia, al quale offrire una visita confortevole - l’ultima iniziativa è un baby pit stop per le mammeabbiamo individuato tanti itinerari: multimediale, per attrarre i più giovani, o sulla pittura. Abbiamo una passeggiata archeologico-naturalistica del Palatino meridionale. Un biglietto per la visita unificata dei Fori imperiali e il Foro romano...». Tutti i giorni attraversa la bellezza, ci si abitua? «No, credo proprio di no. Questo è un luogo molto articolato, ogni giorno scopri qualcosa che non avevi visto prima. Io noto subito ciò che non va e su cui intervenire. Guardo i turisti, sento l’atmosfera, fortunatamente non ci sono tante file perché funziona il senso unico e non c’è più caos all’ingresso». Il decoro è un tema che le sta davvero a cuore: «Stiamo lavorando bene con Roma Capitale, ma bisogna fare ancora tantissimo, quattro anni non bastano. Di cosa sono più soddisfatta? Della manutenzione del sito costante e programmata. Abbiamo progetti importanti all’interno del Parco, come quello rivolto alle persone fragili, organizziamo laboratori, attraverso associazioni corsi di yoga, campi estivi per i bambini. Abbiamo molti protocolli come quello con Coldiretti per l’olio, con Mura Latine per le api urbane, con altre associazioni per ragazzi con disabilità: vogliamo avere un ruolo etico e sociale. E intrecciamo questi luoghi a forme d’arte: un sito archeologico deve comunicare concetti ed emozioni contemporanei». Se voci del teatro si mescolano a esperienze di videoarte, è il digitale la grande sfida: possiamo immaginare il Colosseo nel Metaverso? «Perché no, stiamo lavorando molto con il ministero della Cultura. Il tempo del Covid ha fatto esplorare possibilità nuove sotto il profilo multimediale. Ora attendiamo linee guida, comuni, sull’universo degli Nft e sulle opportunità per luoghi del sapere come questo». Ma quanto pesa il Colosseo nell’economia della cultura? Secondo lo studio di Deloitte “The value of an iconic asset”, contribuisce per 1,4 miliardi di euro all’anno all’economia italiana come attrazione turistico-culturale e vale, come asset sociale, 77 miliardi di euro. «Il Colosseo è la nostra memoria e identità. Perciò ha un valore inestimabile. Ma è importante sottolineare che il Parco sostiene il sistema museale nazionale e tutti i monumenti di Roma, perché versa metà dei suoi introiti: il 20 per cento al sistema museale, il restante 30 per il restauro e la conservazione dei monumenti di Roma. L’andamento del Colosseo è importante per tutti. Senza contare l’effetto a catena su alberghi, ristoranti, operatori turistici. Tempo libero? Passo la mia giornata qui, ma avendo passione per ciò che faccio non distinguo tra lavoro e tempo libero. Sono sposata con un archeologo, Marcello Tagliente, che mi ha sempre sostenuta». Ma perché usa “direttore”, al maschile? «Non è così. La carica per cui ho concorso è da direttore. Maschile o femminile è indifferente, bado alla sostanza, non alla forma». Ma le parole sono importanti, oggi più che mai… «Ha ragione. Allora mi chiami direttrice!».

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Alfonsina Russo, che dirige il Parco del Colosseo
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Oggetti ritrovati nello svuotamento del collettore sud: un pettine; la mandibola di un orso; un sesterzio in oricalco risalente a Marco Aurelio

erano criminali, ma c’era un voyeuri smo sadico che niente aveva a che fare con la catarsi delle tragedie greche; la compas sione era assente, Seneca è fra i rari autori antichi che mostra orrore di fronte a tali crudeltà.

Durante le ore pomeridiane si svolgeva il clou del programma: le lotte gladiatorie (“munera”) fra mirmilloni, reziari, traci, di stinti dal tipo di armatura indossata. Molte volte si esibivano diverse coppie contem poraneamente, e si può immaginare quan ta acqua fosse necessaria per eliminare il sangue sparso a terra, dopo aver più volte rastrellato la sabbia sporca. Quello che ave vano di fronte gli schiavi addetti alle pulizie durante gli intervalli della giornata erano scene davvero splatter.

L’imperatore Tito era appassionato di giochi gladiatori; non sappiamo se il fratel lo Domiziano fosse altrettanto entusiasta; sapeva però come procurarsi il consenso

dei romani. È il poeta Papinio Stazio nelle

“Silvae” a raccontare la festa celebrata in un dicembre del regno di questo imperatore (81-96 d.C.): dall’alba alla notte seguente. Fu un susseguirsi di sorprese: da cordi celle sospese calavano come grandine su gli spettatori dolciumi e frutta secca; sull’arena, giusto per alleggerire la dige stione, si esibivano ballerine del ventre e nani, che suscitavano comicità per la gof faggine nel maneggiare armi; all’ora della cena, nel pomeriggio, ecco arrivare giovi netti ben abbigliati che distribuivano a tutti i presenti pane, vino, una pietanza e un tovagliolo. All’improvviso, per diradare il buio, un gigantesco anello di fiaccole comparve al centro dell’Anfiteatro mentre un’altra pioggia di cibarie scese sulla ca vea; stavolta si trattava di fenicotteri, fa giani e gru arrostiti.

Quando sarà completato il piano dell’are na gli spettacoli allieteranno diversamente gli spettatori, mentre ulteriori interventi ci faranno leggere il monumento nelle varie fasi della sua esistenza, compresi i cantieri edilizi utilizzati. Si inseriscono nel vasto programma di innovazioni e restauri previ sti entro il 2025 da Alfonsina Russo, diretto re del Parco archeologico del Colosseo, co me il piano di rilievo tridimensionale digi tale integrato, già avviato, che consentirà un riferimento esaustivo per qualsiasi atti vità di studio e manutenzione.

«Le prossime indagini», spiega l’archeo loga Federica Rinaldi, responsabile dell’An fiteatro, «riguardano lo scavo dei due am bulacri mancanti del Colosseo, tra gli spe roni Stern e Valadier sul lato sud, crollati in antico e poi demoliti. Gli interventi saran no così in grado di restituire alla fruizione un settore del monumento percepito erro neamente come spazio esterno».

Molto atteso è il restauro del cosiddetto Passaggio di Commodo, la galleria di circa 250 metri che consentiva agli imperatori di arrivare al loro palco lontani dalla folla. «È decorato con stucchi colorati e marmi», continua Rinaldi, «e grazie anche ai fondi del Pnrr, lo renderemo accessibile a tutti».

Era da qui che entrava nel Colosseo l’impe ratore del film “Il gladiatore”, che dà il no me alla galleria. Si atteggiava a novello Er cole e amava esibirsi sull’arena, senza rite gno, in cacce e combattimenti.

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Durante le feste da cordicelle calavano come grandine dolciumi e frutta secca sugli spettatori. Le ballerine del ventre danzavano. Ardeva un anello di fiaccole

I Gigli di Nola a Procida

La Festa dei Gigli in onore di San Paolino, l’evento folklorico di origine religiosa che si tiene ogni anno, la Domenica successiva al 22 giugno, nel Comune di Nola coniugando storia e leggenda.

La festa dei Gigli, unica nel suo ge nere, fa parte della “Rete Italiana delle Grandi Macchine a Spalla”, iscritta nel Patrimonio Orale e Immateriale dell’Umanita’ dall’UNESCO dal 2013. San Paolino, di ritorno da un lungo perio do di prigionia presso i Vandali, ove si rese schiavo per salvare il figlio di una vedova, fu accolto dai nolani con dei grandi gigli, divenuti simbolo di fede e amore per il San to Patrono.

Quei fiori sono mutati nel tempo in vere e proprie macchine lignee, realizzate e deco rate in cartapesta, dalle botteghe artigia nali locali.

Otto Gigli, alti 25 metri, dal peso di 40 quin tali; dei veri e propri giganti che vengono trasportati a ritmo di musica da 128 uomi ni, cullatori, in una danza scenografica di altissimo impatto.

Oltre ai Gigli, si realizza la Barca in ricordo del leggendario ritorno di San Paolino a Nola.

L‘intera organizzazione della Festa dei Gigli dura un intero anno. Si realizza attraverso un complesso cerimoniale che prevede varie fasi: assegnazione dei Gigli, scambio della Ban diera, Questua, Processione di San Paolino sino a giungere alla domenica più attesa, la grande ballata.

Il percorso lungo il quale si effettua la Proces sione dei Gigli è lo stesso da secoli e prevede varie prove per mettere in risalto le qualità di ogni singola paranza.

Trasportare il giglio in spalla è un onore e quello che avviene alle fondamenta dell’obe lisco è davvero impressionante.

I giglianti esibiscono con fierezza i segni della loro fatica: un’enorme massa di grasso, il callo di San Paolino, che si viene a formare sulla spalla, dovuta al peso che trasportano.

Dal 17 al 23 Ottobre 2022 la Festa dei Gigli di Nola sarà presente a Procida 2022, Ca pitale Italiana della Cultura, per diffondere il patrimonio religioso, culturale, artistico e folkloristico della nostra millenaria festa, come dichiara Carlo Fiumicino promotore dell’evento.

Il progetto di promozione nazionale del la festa eterna, prosegue Carlo Fiumicino, è partito nel 2019 a Brescello (RE) per poi proseguire a Parma 2020, sino a giungere nel prestigioso scenario procidano.

La Festa dei Gigli di Nola si fregia del rico noscimento Patrimonio d’Italia riservato alle eccellenze nazionali.

Nella terra di Giordano Bruno, accoglienza, fede, forza, solidarieta’, coesione e musica animano il popolo nolano in una notte ma gica e fantastica.

www.igiglidinola.it INFORMAZIONE PUBBLICITARIA
Ph. Pacifico Dubbioso

Omaggi

La Recherche

in dieci atti

Dio ci scampi dagli anni versari, pensavo; non scriverò nulla per il centenario della morte di Proust: guarda com’è andata con Dante. E in vece. Ma è stato un caso: a inizio anno ho cominciato a rileggere la Recher che senza secondi fini, per puro gusto. Proust, del resto, è una malattia: chi la contrae è destinato a tornare in eterno su quelle pagine che, come ha scritto Giovanni Raboni, trascendono la let teratura — connotate come sono dalla tensione «verso una salvezza globale, verso un’esperienza spirituale assolu tamente radicale e totalizzante». Mentre rileggevo proprio la versione di Raboni, compilavo un diario di bordo dove registravo brani od osservazioni altrui: e i temi più ricorrenti non erano i grandi classici — gelosia, madeleine, tempo — quanto altri forse meno di scussi. Così ho deciso di trarne un ar ticolo, senza pretese di completezza e con un po’ di autoironia, anche perché nel romanzo è la duchessa di Guer mantes in persona a deridere madame de Cambremer quando invita a “rileg gere” Schopenhauer: «Rileggere è un vero capolavoro! Decisamente, questa ce la poteva risparmiare!». E invece.

La mia prima avventura proustiana si arenò, come spesso capita, sui Guer mantes e le sue sterminate scene mon dane. Stavolta invece il terzo volume mi è parso delizioso, e mi ha colpito più delle amate “Fanciulle in fiore”; altresì, diversamente da prima, ho preferito “La prigioniera“ a “Sodoma e Gomor

Gelosia. Madeleine. Tempo. Ma non solo. Uno scrittore rilegge il capolavoro di Proust per riscoprire temi e personaggi insoliti. Un invito alla lettura, tra ironia e meraviglia

di Giorgio Fontana

ra”. Insomma: rileggere misura anche il nostro mutamento, la vacuità — che Proust più volte denuncia — di un io inalterabile nel tempo. Ma che si legga per la prima o quinta volta occorrono sempre pazienza e attenzione: disco noscere le asperità della Recherche si gnifica chiuderla in un ostensorio sen za prendersi la briga di affrontarla cor po a corpo. Questo non implica visioni punitive dell’arte: a chi vi si accosta con dedizione, la Recherche ripaga ogni sforzo schiudendo le più grandi mera viglie; e come dice il Narratore parlan do della “Sonata di Vinteuil», «l’amere mo più a lungo delle altre, perché avre mo messo più tempo ad amarla».

Minori

Il barone Charlus, coltissimo quan to insolente, generoso ma soggetto a sbalzi d’umore repentini, è uno dei più grandi personaggi della letteratura; le sofferenze di Charles Swann sono memorabili; e Albertine conserva un fascino straordinario. Ma che dire, ad esempio, di Saniette?

Uomo intelligente e maldestro, fre quentatore del salotto Verdurin, «per la

sua timidezza, la sua semplicità e il suo buon cuore aveva finito col perdere ovunque la stima procuratagli dall’eru dizione d’archivista, dall’ingente patri monio e dalla distinzione della sua fa miglia». Dettaglio sintomatico: sono le doti a screditarlo presso i Verdurin, che esercitano su di lui forme di vero bulli smo. Quando nessuno ride a una sua battuta, per paura di incorrere nell’ira dei padroni di casa, Saniette sorride da solo «come assaporandovi per proprio conto il diletto che fingeva di trovare sufficiente e che gli altri non avevano provato»: come non essergli solidali?

Nel cosmo della Recherche non esi stono in realtà personaggi minori, per ché tutti sono tratteggiati con pari cu ra: vi sono soltanto personaggi che ri corrono meno spesso, ed è una gioia osservare come Proust li difenda dai cliché, donando a ciascuno un tratto inconfondibile.

Pettegolezzo

Walter Benjamin: «Si potrebbe dire che Proust si propone di edificare l’intera struttura dell’alta società come fisio logia del pettegolezzo». C’è nella

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letterari
Idee

Omaggi letterari

Recherche una diffusione illimitata delle notizie, un universale parlottio: tutti sanno qualcosa degli altri, tutti cercano l’occasione di saperne di più e godono alquanto nel confidare segreti scabrosi. Ma il risultato di tali chiac chiere è un approfondirsi dell’errore in luogo di un’amplificazione della verità: non c’è personaggio che non si inganni sugli altri e viceversa, e anche il Nar ratore appare tutt’altro che immune a tale malattia. Ciò nonostante, è proprio grazie al pettegolezzo che otterrà le informazioni necessarie per dipingere così bene i suoi personaggi — mostran do di aver fatto buon uso, forse l’unico buon uso, della mondanità.

Stupidità

Del resto i ricevimenti del libro sono dominati per gran parte dalla stupidi tà. Il Narratore, affascinato dai nomi dei commensali al primo ricevimento Guermantes, nota deluso quanto siano banali le persone che vi corrispondo no. Alla fine pare che tutti fingano o si annoino da morire: dove il culmine di nichilismo è madame de Citri, che ap pare di sfuggita in “Sodoma e Gomor ra”: «Aveva, del resto, una tale sete di distruzione che, quand’ebbe pressoché rinunciato alla vita mondana, i piaceri dei quali andò in cerca subirono uno dopo l’altro il suo tremendo potere dis solvente. […] Alla fine, decretò che la vita stessa era una gran scocciatura, senza che si capisse bene quale termi ne di paragone avesse in mente».

Crudeltà

I personaggi della Recherche indulgono spesso nello squallido piacere di umi liare gli altri. Il Narratore si vendica sul la nonna ironizzando sul suo farsi bella prima di essere fotografata, in modo da impedirle di apparire gioiosa nell’im magine; il tipo di meschinità che Proust racconta meglio di chiunque altro. I nobili Guermantes passano dalla pas seggera infatuazione alla più violenta esternazione d’odio: Charlus, con i suoi continui squilibri, è il caso più eclatan te; ma non è affatto l’unico. La duchessa Oriane ad esempio nega la serata libera a un lacchè perché è invidiosa dell’im

provvisa felicità dipinta sul suo volto: del resto, come commenta Swann, «non si hanno impunemente mille anni di potere feudale nel sangue».

Ma non meno salda è la tirannia di madame Verdurin: abbiamo già visto come lei e il marito si comportano con Saniette; ne “La Prigioniera” riesce per sino ad annichilire il volitivo Charlus. Insomma, l’etichetta addomestica ap pena la brutalità delle persone, e basta una piccola crepa nella maschera per farla tralucere: fenomeno certo non li mitato alla mondanità dell’epoca.

Classi

In vacanza con la nonna nella località marina di Balbec, il Narratore osserva gli operai che scrutano gli ospiti attra verso le finestre dell’albergo; e accen na a «una grossa questione sociale: sapere se la parete di vetro proteggerà sempre il festino degli animali mera vigliosi, se l’oscura folla che scruta avidamente nella notte non verrà a coglierli nel loro acquario e a man giarseli». E nei Guermantes, girando alla ricerca di un appartamento, sco pre ingenuamente che quasi tutte le case sono popolate da gente infelice. Di tanto in tanto, dunque, l’apparente uniformità dell’universo benestante si lacera mostrando la varietà di classi che lo nutrono, e con le quali talvolta si sfiora — ad esempio nel bordello di Jupien del “Tempo ritrovato”.

Comicità

Una deliziosa vena comica pervade l’intera Recherche. Qualche esempio: durante un ricevimento il Narratore dà dell’idiota al duca di Guermantes davanti a Charlus, dimenticandosi che sono fratelli («Che graziosa espressio ne», commenta il barone); lo scultore Ski, altro frequentatore dei Verdurin, s’inventa con sicumera una “linea di partimentale” dei treni che non esiste e rischia di mandare a monte un viaggio; il direttore dell’albergo di Balbec infila uno strafalcione via l’altro («s’assorbi va» in luogo di «s’assopiva», «parafrasi» per «paragrafo», l’incredibile «fregole» per «briciole»); e l’irritato Saint-Loup rifila di colpo un ceffone a un giorna

Proust col fratello e un manoscritto in mostra alla Bibliothèque nationale de France

lista. Ridere leggendo Proust: un’espe rienza non meno frequente e non me no piacevole della commozione.

Morti

Ci sono morti superbe nella Recher che, quelle della nonna e dello scrittore Bergotte su tutte; ma la mia preferita è la fine di Saint-Loup, ucciso nella Pri ma guerra mondiale mentre protegge eroicamente la ritirata delle truppe. E forse per un rimorso legato alla scarsa considerazione che ha per l’amicizia, infonde nel Narratore maggior tristez za rispetto a quella di Albertine, ormai dimenticata. L’amico «doveva essere stato bellissimo nelle sue ultime ore», commenta. «Lui che in questa vita ave va sempre dato l’impressione, anche seduto, anche aggirandosi in un salot

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to, di contenere lo slancio d’una carica, dissimulando con un sorriso la volon tà indomabile che c’era nel suo volto triangolare, era andato finalmente alla carica».

Riscrittura

Lo stile della Recherche, noto soprat tutto per la sintassi articolata, è invece capace di repentine trasformazioni: la frase proustiana è assai più flessibile di quanto sembri; ed è sempre, sempre impeccabile. Il che è ancor più sbalor ditivo se pensiamo alla mera quantità di pagine composte.

L’incessante riscrittura — «Da una versione all’altra, da una correzione all’altra», spiega Jean-Yves Tadié in “Vi ta di Marcel Proust”, «la pagina acqui sta una profondità, una trasparenza,

uno smalto che al primo getto manca. Il grande artista si sottopone dunque a degli obblighi che i mediocri, gli scrit tori alla moda e intercambiabili igno rano» — l’incessante riscrittura, dice vo, conferisce a ogni passo colore e pu rezza: basta aprire un volume a caso per restarne abbagliati.

Genitori

Dopo la morte del padre, Gilberte Swann assume il nome del patrigno co me per vendetta postuma; la figlia del musicista Vinteuil sputa sul ritratto del genitore mentre amoreggia con la com pagna; ma il peggio è la storia dell’attri ce Berma nel “Tempo ritrovato” — un atroce romanzo di famiglia in quattro pagine. Nonostante sia anziana e ma lata, la Berma continua a recitare per soddisfare i desideri di lusso della figlia, che in realtà la disprezza. E quando tutti disertano il suo tè per andare dai Guermantes, lei fa servire il rinfresco e si accomoda a tavola, regina morente,

ziani, il Narratore è al culmine della disillusione.

«Ma proprio, a volte, nel momento in cui tutto ci sembra perduto giunge l’av vertimento che può salvarci; abbiamo bussato a tutte le porte che non danno su niente e la sola attraverso la quale si può entrare, e che avremmo cercato in vano per cento anni, l’urtiamo senza sa perlo, e si apre». Uno splendido ma, più fiabesco che romanzesco, memore delle “Mille e una notte” che Proust tanto amava. A esso ne segue tuttavia un altro: «Ma stavolta ero ben deciso a non rasse gnarmi ad ignorare il perché, come ave vo fatto il giorno che avevo assaggiato una madeleine intinta in una tisana».

Solo ora, dopo decenni di procrasti nazione, la ricerca della verità si mette in moto. La madeleine resta appena un inizio: affinché sia feconda occorre im pegno: perciò ridurre Proust al colle zionista di ricordi è cancellare il rivolgi mento necessario per acquisire un sa pere autentico: «Ciò che non abbiamo

«come per un banchetto funebre». So no presenti solo la figlia e il genero che tuttavia, dettaglio spaventoso, a un cer to punto fuggono alla chetichella per recarsi a loro volta dai Guermantes, «approfittando d’un momento in cui la Berma s’era ritirata in camera sua, a sputare un po’ di sangue».

Ma

La Recherche tende verso un cosmo di essenze al riparo dalla corruzione temporale, che l’arte sola permette di contemplare e che si contrappone allo svelarsi — quasi leopardiano — della vanità di ogni valore terreno: il posses so amoroso è impossibile, l’amicizia inutile, il piacere transitorio. Quando sta per recarsi all’ultimo ricevimento del libro, anziano circondato da an

dovuto decifrare, chiarire col nostro sforzo personale, ciò che era già chiaro prima di noi, non ci appartiene».

Ma la visione quasi ascetica del bel lo che traspare dal “Tempo ritrovato” non mortifica affatto la ricchezza sen soriale ed emotiva accumulata nelle pagine precedenti. In un articolo inti tolato proprio “Rileggere Proust”, Gia como Debenedetti osservava: «Certe religioni funebri volevano che si sep pellissero col morto gli oggetti più bel li e familiari ch’egli in vita aveva ama to: ed era per confortarlo nell’al di là. Con la sua offerta amorosa di cose belle, struggentemente vive, Proust sembra ripetere questi riti». E anche per questo, soprattutto per questo, ri leggerlo ci rende felici.

16 ottobre 2022 99 Idee
C’è in quest’opera un universale parlottio: tutti sanno qualcosa degli altri, tutti cercano l’occasione di saperne di più e godono nel confidare segreti scabrosi

Diario di famiglia

Umberto Eco, Elsa Morante, Natalia Ginzburg. Lo sciamano Pasolini.

Autori, editori. In una galleria di ritratti. Da uno scrittore che li ha conosciuti da vicino

colloquio con Ernesto Ferrero di Chiara Valerio

Ernesto Ferrero è all’isola d’Elba e io a Venezia. Ci guardiamo via Skype, alle sue spalle due stampe ot tocentesche, con vascelli in preda a onde gigante sche. È un giorno di libeccio e Ferrero sorride. L’occasione del nostro incon tro è la pubblicazione del suo ultimo libro, “Album di famiglia” (Einaudi), ritratti di grandi scrittori e scrittrici, grandi editori, grandi consulenti visti da vicino. Una grandezza che avrebbe potuto schiacciare chi ha scritto e al lontanare chi legge, invece no, si pas seggia ammirati e divertiti nella galle ria. La malinconia del tempo passato sta insieme alla vividezza del ricordo presente. C’è qualcosa di agrodolce e si sta bene.

L’esergo che ha scelto è una doman da di Claudio Magris che le giro subito. «Perché è più difficile narrare l’amicizia che l’amore».

«L’amore è ossessivo e possessivo, l’a micizia oblativa. Difficile fare racconto con il bene. Tutto sommato l’amicizia è più complessa, più matura. Sull’amore si basa l’80 per cento della letteratura. Mi piacerebbe leggere un bel saggio

sulle amicizie letterarie».

Questo libro è una ricognizione di amicizie letterarie.

«Ho potuto raccontarle perché mi so no sempre trovato benissimo nella parte del testimone secondario. È un po’ l’attitudine di Calvino che, come il Barone, appollaiato su un ramo, si era scelto un posto sopraelevato e lieve mente appartato per vedere meglio, per essere distaccato e insieme parte cipe del proprio tempo. Ho sempre sa puto benissimo quali erano i miei mez zi e i miei limiti. Non ho mai avuto in clinazioni napoleoniche».

Però gli ha dedicato tre libri, a parti re da “N.”, Premio Strega 2000. «Sono affascinato da quello che è lon tanissimo da me. Mi sono occupato di personaggi estremi, Napoleone, Salga ri, San Francesco, cercando di capire come funzionavano. Tutti a loro modo dei folli, degli invasati, dei personaggi eccessivi, ma è proprio nell’eccesso che si può sondare il mistero dell’uo mo».

Anche le persone che ha ritratto. «Ho avuto l’enorme fortuna di fre quentare alcuni dei grandi protagoni sti del Novecento. Da Einaudi a Calas

so, da Calvino e Primo Levi a Eco, Pa solini, Natalia Ginzburg e la Morante erano anche dei personaggi romanze schi già bell’e pronti. Intriganti, fasci nosi quanto più erano originali, impre vedibili, magari sconcertanti». Come Livio Garzanti?

«Era tormentato da un’infelicità co smica, un filosofo che, costretto a fare l’editore per dovere famigliare, come editore si è rivelato geniale. Nell’anno e mezzo che ho lavorato per lui, mi rac contava spesso lo stesso sogno: l’in cendio della casa editrice. Se trovo qualcuno che gli dà fuoco, diceva, gli do dieci milioni. Strano modo di moti vare i collaboratori, e sì che ne ha avuti di bravissimi».

Nel ritratto di Carlo Fruttero lei cita una pagina delle sue memorie in cui al Premio Formenton si ritrova da vanti la migliore intellettualità eu ropea, un po’ ingessata nelle istitu zioni, fasciata dall’ideale doppio

100 16 ottobre 2022 Grande editoria

Dall’alto: Ernesto Ferrero; la copertina del libro “Album di famiglia” (Einaudi, pp. 340, € 19,50). A lato: la scrittrice Elsa Morante

petto degli uomini di potere, e deci de che quello non sarebbe stato il suo destino. Lei come si è trovato con “l’autorevole doppiopetto”?

Penso all’Einaudi o al Salone del Li bro di Torino.

«Non credo di avere mai indossato il doppiopetto. Alla Einaudi eravamo tutti dei monaci trappisti che esibiva no con orgoglio il loro saio. Credo di aver funzionato meglio nelle situazioni difficili, nelle emergenze, in contesti da guerriglia in montagna». Guerriglia in montagna?

«Mi riferisco al periodo del commissa riamento Einaudi, negli anni Ottanta. Salvare la casa editrice è stata vera mente dura. Bisognava tenere gli auto ri, i cui diritti erano stati bloccati per legge e tendevano ad andarsene. Con Agnese Incisa abbiamo inventato un escamotage per reintegrarli nei loro crediti. Dieci anni dopo altre grandi difficoltà con il Salone del libro, che

sembrava praticamente estinto. È sta to un altro salvataggio miracoloso, condotto con Rolando Picchioni. Si ve de che il clima da catastrofe imminen te mi carica a palla». Perché ha scritto che la valutazione dei manoscritti è una pratica onco logica?

«Il dover pronunciare diagnosi infau ste è penoso, ogni volta. È terribile per ché tutti siamo passati nella speranza, nella paura, nell’attesa del giudizio. È logorante. Leggere manoscritti è un la voro usurante, dovrebbe essere rico nosciuto come tale». Quanti manoscritti ha letto nella vita?

«Centinaia, forse migliaia. Adesso per fortuna molto meno, ma c’è sempre qualcuno che ha bisogno di una valu tazione. A titolo gratuito, naturalmen te».

Come se la passa la narrativa italia na, oggi?

«Mi sembra un po’ omologata, ridotta alla lingua basica delle sceneggiature, sul modello inglese, consumata dall’ansia del successo, pronta a salire sul carro vincente all’intrattenimento, visto il successo del giallo e del noir. Sembra che la qualità della scrittura non interessi più a nessuno, e anche la critica militante poco se ne occupa. Quello che si racconta è più importan te del come lo si racconta. Il personag gio autore è diventato più importante del testo. Ma tutto questo, nel suo pic colo, fa parte della crisi di civiltà che stiamo vivendo».

Lei scrive che quando Leone Gin zburg annuncia a Giulio Einaudi il suo matrimonio con Natalia, spiega che la sposa perché scrive bei rac conti. Perché?

«Ci colgo un sorriso ironico nei con fronti di quel curioso dell’editore. E fa parte dell’understatement piemontese che l’ebreo russo aveva introiettato». Poi, morto Leone, Natalia è stata su bito assunta ed è diventata una bra va redattrice.

«Sì, scrupolosa, tenace, instancabile, ma anche battagliera, intransigente, dura all’occorrenza. Impossibile farle cambiare idea. Una roccia».

Ha definito Pasolini uno sciamano. «Come Elsa Morante, aveva una sorta di intuitività preverbale, da primitivo, che poi veniva tradotta in parole attra verso un formidabile armamento let terario che aveva sempre qualcosa di magico. Aveva letto e memorizzato tutto, e questo gli consentiva una lam peggiante varietà di collegamenti, un po’ come accade anche a Claudio Ma gris. E poi sapeva fiutare, captare tutto quello che ad altri sfuggiva. Restava unico e irraggiungibile».

Nel libro scorre una sorta di postura einaudiana che da una parte somiglia alla sobrietà, dall’altra, quando parla di Giulio Einaudi, scrive che ogni giorno voleva ci fosse una sor presa, una scoperta, un incanto. «Era un suo tratto personale, molto ap prezzabile tra l’altro perché trasferiva ai suoi questa curiosità, il fatto di esse re sempre a caccia di qualche cosa. In casa editrice giravano pittori, designer, attori… La compagnia dei Giovani, la celebre De Lullo-Falck-Guarnieri-Valli, o Luigi Vannucchi, che a teatro aveva interpretato Pavese. Ogni giornata per Einaudi doveva essere un’occasione di divertimento. Poteva anche essere la scoperta di una trattoria dove cucina vano una frittata che si faceva solo lì. Ci sentivamo tutti coinvolti in questo gio co, e come è noto il gioco è una cosa serissima, crea una modalità di ricerca, di sperimentazione. Non ti potevi ad dormentare. Diceva sempre muovete vi, andate, vi pago io il viaggio». E dove andavate?

«Di soldi ne giravano pochissimi. Tut tavia, la caccia al talento era una delle attività principali. Un’altra cosa oggi impensabile è che non c’erano conflitti generazionali. I giovani non venivano precarizzati e c’era anche un grande rispetto per i vecchi sapienti, per l’ar mata dei venerabili, da Contini in giù, nessuno avrebbe potuto pensare che rappresentavano il vecchio da abbatte re perché superato dalle provocazioni delle avanguardie. Certo gli innamora menti continui di Einaudi facevano immalinconire le vecchie concubine. Soffrivano un po’».

16 ottobre 2022 101 Idee Foto: Fototeca Gilardi –Agf, A. Ramella –Rosebud2

Protagonisti

Quanto è jazz il mio

Esile e sinuosa, Anaïs Dra go si muove sul palco co me un folletto indemonia to. Con il suo violino im provvisa assoli, disegna eleganti arabeschi, dialo ga con la giovane batterista France sca Remigi e Bruno Chevillon, mae stro francese del contrabbasso. Di re cente i tre musicisti sono stati a Roma per il concerto del premio Siae 2022, all’Auditorium Parco della Musica, in collaborazione con il mensile Musica Jazz, che quest’anno ha proclamato la violinista come miglior nuovo talento a pari merito con Remigi. Una donna alla batteria l’altra al violino, due mo sche bianche nella scena jazz. Bielle se, 29 anni, Drago è la rivelazione dell’anno, in nome dell’eclettismo: ha duettato all’Aquila con il trombetti sta Enrico Rava, mostro sacro del jazz («Ho passato il giorno dopo a piange re, per lo stress positivo», dice lei), ha accompagnato il cantautore Ultimo nel suo tour negli stadi, è intervenuta come relatrice alla conferenza TedX a Novara, ha portato in giro per l’Italia il suo ultimo album, “Solitudo” (Cam Jazz), che reinterpreta le musiche di Erik Satie. «Suonare il violino nel jazz è già una cosa strana. In più, se sei donna, è ancora più strano. Ho sem pre cercato di trarre vantaggio da una situazione di svantaggio, trovare stimoli, non farmi scoraggiare. Nel mondo del jazz c’è un problema evi dente di pari opportunità», esordisce la violinista, capelli corti biondi, cop pola blu e outfit color ruggine, prima di salire sul palco. Anaïs Drago, le donne sono discri minate nel mondo della musica? «Basta guardare i numeri. La percen tuale femminile nei palinsesti dei fe stival jazz sta crescendo ma è ancora del tutto squilibrata a favore degli uo mini. È un tema a me molto caro, vi

violino

colloquio con Anaïs Drago di Emanuele Coen

viamo in un’epoca in cui si creano mo delli a cui ragazze e ragazzi possano aspirare».

È a favore delle quote rosa?

«Non si tratta di fissare percentuali, ma bisogna prestare maggiore at tenzione al tema. Il mio strumento è unisex, soprattutto nella musica classica. La batteria è diversa: quan do dico che suonerò con una batteri sta, avverto nell’interlocutore una sorta di straniamento. Come se chia massi un idraulico e a casa arrivasse una donna. Bisogna desessualizzare la figura del musicista, in un uomo può esserci un approccio femminile e una donna può avere una sensibili tà maschile».

Per la prima volta due musiciste si sono aggiudicate ex-aequo il pre mio come miglior nuovo talento italiano. Che effetto le fa? «Sembrerà strano, ma il fatto di averlo vinto con Francesca (Remigi, ndr) è la cosa migliore del premio. È una bella soddisfazione ma resto un po’ incre dula. Non so quanto ci sia di jazz in

quello che faccio, la mia mu sica è molto trasversale, ma non voglio farmi troppe do mande. Il jazz è il canale attra verso cui sono riuscita a espri mere tante idee che sarebbero rimaste incompiute».

Lei ha cominciato a suona re a tre anni e mezzo. Un de stino ineluttabile?

«Ho iniziato a quell’età per ché la mia scuola, il metodo Suzuki, si basa sull’apprendi mento della musica in età pre scolare».

Se non la musicista cosa avrebbe fatto?

«In realtà dopo le scuole superiori ero molto indecisa, volevo iscrivermi alla facoltà di Lettere antiche o di Fisica, la scienza mi affascina molto». Anche sua sorella è violinista, di musica classica. Come vive la com petizione?

«Non c’è mai stata competizione. Lei ha sempre voluto fare la musicista classica, oggi lavora nell’orchestra

102 16 ottobre 2022
I duetti con Enrico Rava. Il tour con Ultimo. I miti greci, la tesi su Frank Zappa. E un premio che la consacra miglior nuovo talento italiano. “È ora di colmare la disparità tra uomini e donne nella musica”

sinfonica di Rostock, in Germania. Io invece a 15 anni ho iniziato a suo nare folk e altri generi musicali. Fa cevo un sacco di serate nelle bir rerie, mi divertivo da morire. Lì ho capito che poteva essere la mia strada».

Il violino ha almeno due com ponenti, una dionisiaca e una diabolica. Quale prevale nel suo caso?

«L’elemento diabolico comprende an che quello erotico, dionisiaco. Basti pensare al “Trillo del diavolo” di Giu seppe Tartini e a Stravinskij. Questo aspetto lo avverto molto, mi sento un po’ spiritello. L’altro elemento riguar da la spiritualità. Nel mio album “Soli tudo” questa dimensione spirituale, non religiosa, è molto forte».

Lei abita con suo marito in una casa vicino al bosco, in un paesino del Biellese, Graglia. Il contatto con la natura la avvicina al la sfera spirituale?

«Niente affatto. Quando sono a casa, a con tatto con la natura, vi vo la vita di tutti i giorni, tendo a rige nerarmi. Quan do sono in tour née, invece, mi capi ta di riflettere, rielabo rare tutto quello che mi accade, accedo a una di mensione più spirituale».

Si è laureata con una tesi su FrankZappa.Cosapensadilui?

«È un personaggio non abbastan za celebrato. O meglio, non esistono vie di mezzo: c’è chi lo idolatra, ne conosce vita, morte, e miracoli, e chi semplicemente lo ignora. Mi sono avvicinata a lui quando ho pensato all’argomento della tesi del biennio di composizione e arrangiamento. Ero molto attratta dalle sue sonorità progressive rock, non lo conoscevo come personaggio, il suo formidabi le anticonformismo, la sua biogra

fia. Ciò che ammiro di più in lui è la trasversalità assoluta, il coraggio che nel suo caso arriva quasi alla sfrontatezza. Ma quelli erano gli an ni Settanta».

Quest’anno ha affiancato Ultimo nel suo tour negli stadi. Cosa vi lega?

«Nonabbiamounrapportostretto,lui ha una sua dimensione privata che vuole preservare. Come tutti i musici sti della sua band, lo rispettiamo mol to. Lui si fida ciecamente di noi, ci uni sce un legame invisibile: ama gli stru menti ad arco, non ne ha mai fatto mistero».

Nel suo disco “Solitudo” lei è soli sta, anche se grazie all’uso di effetti le corde del violino si moltiplicano fino a raggiungere volumi orche strali. “Solitudo” è un elogio della solitudine?

«Assolutamente no, non mi sento so la. Quel disco è legato alla lettura di alcuni libri di Oliver Sacks sul funzio namento del cervello, in particolare “L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello” e “Musicofilia”. La mia “solitudo” è una sensazione di com pletezza interiore, sia nel raccogli mento intimo, che nel rapporto con gli altri».

La solitudine non è una condizio ne negativa ma non mancano sfu mature più scure del termine, co me nel suo brano “Minotauros”, rilettura del mito del Minotauro narrato dallo scrittore svizzero Friedrich Dürrenmatt. Cosa la at tira del mito?

«Mi ha sempre affascinato, fin dai tempi del liceo. Mentre scrivevo l’al bum “Solitudo” ho trovato su una bancarella “Il minotauro” di Dürr enmatt, l’ho ricomprato e riletto. È stata una folgorazione! Ho un rappor to molto intenso con questo pezzo: mi sono immedesimata nella figura del Minotauro, che è solo e quando arriva la fanciulla la uccide per troppa con tentezza. Ecco, ho temuto di essere diventata un po’ un Minotauro: a for za di suonare sempre da sola, ho avu to paura di stritolare le persone con cui mi trovavo».

16 ottobre 2022 103 Idee
Anaïs Drago, 29 anni
Foto per
gentile
concessionedi: D. Andreotti

Bookmarks/i libri

IL CUORE E LA STORIA

A20 anni Birgit aveva occhi dolci, color castagna, e una selva di ricci scuri in testa. Quella camicia az zurra della Fdj poi, la gioventù comunista della ex Ddr, le donava. Tanto che quando Kaspar, studente dell’o vest, il 17 maggio del 1964 la incontra sulla Bebel Platz, al centro di Berlino-est, è subito amore. Tempo un anno e, dopo una fuga via Praga, Birgit e Kaspar vivono insieme, a Berlino-ovest, e insieme resteranno sino e oltre al crollo del Muro, lo scempio che sino al novembre del 1989 divise in due la Germania.

Si intitola “La nipote” il nuovo romanzo, pubblicato da Neri Pozza (e tradotto da Susanne Kolbe), in cui Bernhard Schlink si rivela ancora una volta maestro di storie d’a more infelici, intossicate dai drammi della storia tedesca. Non sono solo i pregiudizi e le ideologie dei “Wessi” e degli “Ossi”, dei tedeschi dell’est e dell’ovest a minare l’amore fra Birgit e il timido Kaspar. Ma anche il cruento segre to che Birgit gli nasconderà per tutta una vita, e che la spinge ad affogare i suoi sogni nell’alcol. Quella lontana primavera del 1964, in cui conobbe il suo Kaspar, lei in grembo portava già una bambina: Svenja. Amaro frutto

Gente imbacuccata per il freddo, strade spazzate dal vento, pioggia incessante su una Bordeaux invernale. In mezzo due anime destinate a saldarsi, un comandante di polizia esausto di cadaveri, di folli delitti familiari, di disperazione, e Louise, giovane madre alle prese con un ex compagno violento e ossessionato da lei, che la terrorizza. In questo gelo si muove un assassino, e un suicida, e una fiducia nella giustizia che si sgretola piano piano. Con la tensione da maestro del noir.

“ATTRAVERSARE LA NOTTE”

Hervé Le Corre (trad. A. Bracci Testasecca) Edizioni e/o, pp. 297, € 19

d’una relazione, fallita, con un cinico dirigente della Sed, il partito comunista della Germania-est. Come nella tragica storia del suo primo, furioso bestsel ler, “Il lettore”, anche nel nuovo romanzo Schlink affon da i protagonisti, e chi legge, nelle oscure paludi e trame della politica. Dopo la morte di Birgit, infatti, il settan tenne Kaspar si ritrova a fare i conti con le ossessioni in cui nel frattempo si è persa Svenja. Che ha cercato di sal varsi da un passato di droghe entrando in una comunità völkisch, neonazista. È l’intricato rapporto con Sigrun, la nipote 15enne, dai capelli rosso fuoco e tutta lentiggini, cresciuta nei più deleteri culti ariani e miti della superio rità tedesca, a reimmergere Kaspar nel meandri della vi ta. Una storia cupa in cui Schlink, oltre ai fallimenti della Ddr, ci racconta i più neri incubi del razzismo e dell’odio nei gruppi d’estrema destra. Ma anche l’ostinata capacità dell’arte e dell’amore di romperne le catene.

Luisa ha 60 anni, lavora con soddisfazione e stima in una fabbrica di giocattoli, conduce la sua mitezza in una routine consolidata. Ma, come tutti, è affacciata su una voragine. E quando la scoperta di un neo suona l’allarme, la sua esistenza tranquilla e senza colpi di scena diventa parabola di tante vite. Dall’ansia alla paura, dal rifiuto degli altri al silenzio, un’indagine profonda dell’animo di una donna. Il romanzo, ripubblicato oggi, è uscito nel 1997.

“LUISA E IL SILENZIO”

Claudio Piersanti

Bur, pp. 166, € 12

Immaginarsi da occidentale a fare couchsurfing, dormire nei divani delle case private, nell’Iran rovente di questi giorni, è assai improbabile. Ma leggere ora il reportage del giornalista tedesco che la pratica – di per sé già vietata per ragioni di “sicurezza interna” – ha sperimentato per 62 giorni e novemila chilometri, è un’occasione formidabile per dare uno sguardo a una società interessantissima e in gran fermento. Un faccia a faccia tra il potere ottuso e la fame di libertà.

“L’IRAN DIETRO LE PORTE CHIUSE”

Stephan Orth (trad. Melissa Maggioni) Keller Editore, pp. 314, € 18,50

16 ottobre 2022 105
A CURA DI SABINA MINARDI
“LA NIPOTE” Bernhard Schlink Neri Pozza Editore, pp. 336, € 19
L’amore tra due giovani nella Germania unificata. E la rimonta del nazismo. Nel nuovo romanzo di Schlink DI STEFANO VASTANO

Omicida si finge morto E l’innocente confessa un delitto inesistente

Tepexpan è una città nel centro del Messico, a pochi chilome tri della capitale. È famosa soprattutto per la scoperta di uno scheletro di epoca precolombia na. Il 26 maggio 2000, Manuel Ramírez Valdovinos aveva 22 anni, insegnava musica e si era trasferito lì da poco. Stava festeggiando con parenti e amici la nascita di suo figlio. Tramontato il sole, un commando di uomini armati fa irruzione nella sua abitazione. «Do ve è Manuel?», ripete urlando uno di loro. Tutti i presenti sono terrorizzati. Manuel viene picchiato, ammanettato e trascinato via con la forza con la testa coperta su un furgone anonimo. Tor nerà libero solo 21 anni dopo.

L’anno scorso Manuel è stato final mente rilasciato, graziato da un’amni stia, anche se per il Messico rimane ancora un omicida. L’aspetto più scon volgente è che - stando alle numero sissime prove e testimonianze - l’uo mo che, secondo l’accusa, avrebbe uc ciso non solo sarebbe ancora vivo e residente negli Stati Uniti, ma sarebbe anche l’autore di un omicidio. Avrebbe inscenato la sua morte per scappare dalla giustizia e, contemporaneamen te, far incassare alla famiglia l’assicu razione sulla vita.

Quando riusciamo a raggiungerlo telefonicamente, Manuel Ramírez Valdovinos esordisce con un «hola amigo», poi, durante il racconto, dosa

rabbia e voglia di combattere per la verità. «Il mio Paese si è preso gioco di me, fregandosene dei diritti umani. Ora che sono libero non cerco vendet ta ma giustizia. Mi hanno strappato dalla mia famiglia e ho perso tutto. So no stato torturato da innocente e sto ancora soffrendo le conseguenze di questa ingiustizia». Nonostante tutto, crede ancora nella possibilità che il di ritto prevalga. «Ci credo, e continuerò a lottare anche a rischio della mia vita. I diritti umani devono essere univer sali». Questa incredibile storia di ma lagiustizia messicana è stata recente mente raccontata con una lunga in chiesta dell’Economist. Il giornalista Matthew Bremner ha seguito il caso di

106 16 ottobre 2022 Malagiustizia MESSICO
L’assassino è sparito 21 anni fa intascando l’assicurazione. L’insegnante di musica autoaccusatosi sotto tortura ora si batte per i diritti umani di Simone Baglivo illustrazione di Stefano D’Oriano

Ramírez per quasi tre anni. «È l’em blema di come il sistema giudiziario messicano non funzioni per niente», dice Bremner.

Negli ultimi due decenni, insieme al suo avvocato, Ramírez non ha mai smes so di combattere. Ha pre sentato una denuncia contro lo Stato del Messico alla Commissione inte ramericana dei diritti umani (Iachr) che pochi mesi fa l’ha accolta: ora il Tribunale internazionale sta inda gando per violazione dei diritti uma ni. Torniamo alle 20.30 del 26 maggio 2000, l’ora e il giorno dell’arresto. Da lì a poco, Ramírez si ritrova in un posto

«buio e piccolo» dove nota «due enor mi tamburi d’acciaio, batterie per au to, manette e secchielli di ghiaccio». Insieme a lui, vengono presi altri due uomini: suo cognato e un conoscen te. Il primo, Vera, smetterà presto di cercare di provare la sua innocenza, mentre il secondo, Sánchez, morirà in carcere nel 2014. Manuel racconta di essere stato «spogliato, legato, tor turato e minacciato». I rapitori, che poi si scoprono essere poliziotti, gli hanno chiesto più volte di confessa re l’omicidio di Emmanuel Martínez Elizalde, un ragazzo che conosceva appena. Ramírez continua a negare le accuse e volano pugni e schiaffi. Uno degli agenti va a prendere una batte

ria e collega gli elettrodi ai testicoli di Manuel che in poco tempo perde coscienza. Quando si risveglia, viene portato in una caserma di polizia. Ricorda che il comandante, rivolto al padre della presunta vittima, dice: «Ci hai chiesto di trovare un colpe vole e lo abbiamo fatto». Poi finisce in una stanza dove altri agenti conti nuano a ripetergli che deve «confes sare l’omicidio». Altrimenti, gli viene detto, sua moglie e suo figlio «paghe ranno il prezzo della sua testardag gine». A quel punto cede e firma un foglio bianco dove poi gli agenti in venteranno la sua confessione. Non c’è un avvocato presente, i poliziotti hanno mano libera. Un anno do

16 ottobre 2022 107 Storie

Malagiustizia

po viene condannato a 41 anni di carcere. Secondo numerosi esperti e consulenti forensi interpellati dall’E conomist, il rapporto di polizia sul presunto omicidio di Elizalde riporta numerose discrepanze. Gli indizi non corrispondono, le prove presentano irregolarità lampanti e, durante il processo a Ramírez, le testimonian ze dell’accusa si contraddicono tra loro. Diverse ambiguità riguardano proprio il cadavere della presunta vit tima. Nel 2002 la madre di Ramirez riceve una busta anonima contenente foto che ritraevano Elizalde vivo. Nel frattempo, nel processo di appello, emergono elementi sulla responsa bilità di Elizalde per un omicidio. E soprattutto confermano che è vivo. Il quadro va delineandosi e inizia a spie garsi il motivo per cui si è finto morto: farla franca per il delitto che ha com messo e frodare l’assicurazione.

L’

accumularsi di nuove testi monianze costringe le au torità, nell’agosto del 2003, a riesumare il corpo di quello che dovrebbe essere Elizalde. Si sco pre che i resti appartengono a un’altra persona. Con il tempo, grazie alla de terminazione di Ramírez, il suo caso inizia a interessare l’opinione pubbli ca. Intervengono alcuni politici come Pedro Carrizales, poi morto in un in cidente stradale sul quale Ramírez ha più di un dubbio («lo hanno ucciso). Vengono organizzate manifestazio ni e proteste per fare pressione sul governo. Il presidente Andrés López Obrador promette pubblicamente di interessarsi alla vicenda che riserva parecchi profili di imbarazzo: la disin voltura delle indagini, l’ostinata ricer ca di un colpevole per chiudere il caso della finta morte di Elizalde, l’osti nata omissione di qualsiasi indagine sul presunto omicidio, la sistematica manipolazione delle prove. E, su tut to, il sospetto di un giro di corruzio ne. Oltrem naturalmente, alle sevizie denunciate da Ramírez. Si arriva al maggio dell’anno scorso quando viene organizzata un’imponente marcia e uno sciopero della fame. Poco dopo, il

Manuel Ramírez a 22 anni quando fu arrestato e durante una manifestazione musicale poco prima di finire nella rete della polizia messicana. Sopra, Manuel Ramírez oggi

16 luglio 2021, Manuel viene rilascia to. Tornato in città, come prima cosa, compra una torta per il compleanno del padre. «Non ho avuto giustizia, sono libero grazie alla pressione della società. Per questo sono molto arrab biato», spiega Ramírez: «Non cerco né denaro né potere. Vorrei solo che il mio caso di ingiustizia e tortura venis se riconosciuto e arrivasse a costituire un precedente, così che in Messico o in America Latina non possa mai più succedere una cosa del genere. Spero nell’indagine avviata dalla Corte dei di ritti umani. Tutti devono avere diritto a una vita libera dalla violenza e dall’in giustizia». Per cambiare il sistema, spiega, «serve una legge che sanzioni duramente chi viene corrotto mentre ricopre un ruolo pubblico. Devono pa tire il carcere perché capiscano cosa abbiamo passato noi. Quasi tutti i de tenuti che ho conosciuto lamentavano processi farsa frutto di torture come il mio. In Messico la pena non ha alcuna

finalità di rieducare il condannato. Io ho resistito per 21 lunghi anni solo nel la consapevolezza di essere innocente. Anche se vivevo nella morsa dell’ingiu stizia che provoca impotenza. Adesso voglio andare fino in fondo».

Nell’informativa che l’Iachr ha trasmesso al Tribunale internazionale si chiede che «lo Stato messicano sia di chiarato responsabile a livello inter nazionale della violazione dei diritti umani a causa della detenzione, tortu ra, persecuzione e condanna nell’am bito di un procedimento penale che non ha rispettato le adeguate garan zie giudiziarie». Il Messico ha provato a opporsi definendo il ricorso «fuori tempo». I giudici hanno però dato ra gione a Ramírez. «Non cerco di cam biareilmondomavorreichelepersone capiscano. Non dovrebbe succedere a nessuno quel che è accaduto a me».

108 16 ottobre 2022 Storie

Dal prezzario ai calchi Tutto su Canova E l’archivio va online

In occasione del bicentenario della morte di Antonio Canova, avvenuta il 13 Ottobre del 1822, Treviso, Bassano del Grappa e Possagno, zone che rappresentano appieno il triangolo della sua infan zia, celebrano lo scultore supremo del Neoclassicismo con mostre, restauri e innovazioni al passo con i tempi. Nel paesello di Possagno, nello stesso gior no della morte ha aperto i battenti la casa natale dell’artista, restaurata e re sa finalmente accessibile al pubblico. L’edificio è parte integrante del Museo e si articola inoltre in Gypsotheca, ov vero la collezione di calchi e modelli originali, Biblioteca e Archivio in cui è anche possibile ammirare molti dei suoi gioielli artistici all’interno di una

cornice altrettanto preziosa. Il palazzo è infatti una struttura architettonica secentesca, composta da vari vani e ambienti, che nel corso del tempo sono stati protagonisti di numerose ristrutturazioni e accorpamenti, una situazione che ha inciso notevolmente sulla cronistoria artistica dell’edificio. Dopo il restauro, è stata messa soprat tutto in risalto la mano dell’artista che operò autonomamente sull’architet tura alla fine del Settecento, occupan dosi personalmente della costruzione della Torretta e, ai primi dell’Ottocen to, della Sala degli Specchi. Il Museo ha quindi deciso di effettuare uno studio archivistico-monumentale per appro fondire la storia della dimora, prope deutico al suo rinnovamento e rialle

110 16 ottobre 2022 Itinerari d’arte VENETO
Nel bicentenario della morte dello scultore simbolo del Neoclassicismo un museo nella casa di Possagno e la digitalizzazione di scritti e bozzetti di Salvatore Di Mauro Uno dei disegni di Canova tratto da un taccuino con appunti di viaggio. A sinistra, la Gypsotheca di Antonio Canova a Possagno, in provincia di Treviso

stimento, resi possibili dalla vittoria del Fondo cultura ottenuto in partena riato con il Comune di Possagno. «La riqualificazione della Casa dell’artista, porrà questo anniversario in continui tà con quelli precedenti, che ci hanno lasciato in eredità interventi impor tanti e durevoli in omaggio allo sculto re. Nel 2022, onoriamo la sua memoria non solo con importanti esposizioni, pubblicazioni e appuntamenti cul turali, ma anche con il restauro della parte attualmente più in sofferenza dell’intera struttura. La casa che diede i natali a Canova rappresenta un’eredi tà storica e artistica importantissima per il Museo e per tutta la comunità che vi si riconosce», spiega Moira Ma scotto, direttrice Museo Gypsotheca Antonio Canova.

Per queste celebrazioni, inol tre Antonio Canova cambia veste, adeguandosi alla no stra epoca, in cui ci si avvale dell’applicazione di nuove tecnologie, strumentazioni e telematica anche in ambito storico e artistico. La vita e i suoi tesori sono stati adesso comple tamente digitalizzati, porgendo così la bellezza di questi capolavori a un target di pubblico più giovane e infor matizzato. Il corposo Fondo canovia no, raccolto presso la Biblioteca civica di Bassano, si è quindi reso disponibi le gratuitamente sul web con gli oltre seimila manoscritti tra lettere, diari, bozzetti, diplomi e testimonianze di un Canova in erba, intraprendente, scaltro e dotato di un forte carisma. Come tutti i giovani, anche lo scul tore, appena ventiduenne, sognava di spiccare il volo e nel 1779 decise di lasciare Possagno, nel Trevigiano, per dirigersi a Roma e Firenze, me te sconosciute ma grandiose ai suoi occhi di ragazzo. Figlio di un povero scalpellino, Antonio imparò preco cemente a lavorare la pietra, ma fu il nonno a notare il suo enorme talento, offrendogli l’opportunità di studia re arte antica in città culturalmente impegnate. Maniaco di compostezza e armonia, le sue opere diventarono in breve tempo uniche nel loro ge

16 ottobre 2022 111 Storie Foto: Christian Kerber / laif / Contrasto

Itinerari d’arte

nere per l’estrema levigatezza del modellato, un aspetto che influenzò la scultura del primo Ottocento.

Oggi, se conosciamo i dettagli della vita di questo grande maestro, il merito è di un quadernetto foderato in per gamena, uno dei tanti documenti ca noviani custoditi nella Biblioteca civi ca. Questo memoriale di brevi stralci di vita fa parte dello stesso Fondo, co stituito anche dai sonetti che gli esti matori gli facevano pervenire quale segno della loro ammirazione, oltre a un prezzario delle opere e il quaderno su cui l’artista appuntava le sue lezioni di inglese. In vista delle celebrazioni canoviane autunnali, Bassano ha già dato avvio a un ambizioso progetto di metadatazione, cioè il recupero e la successiva trasformazione in formato digitale di ciascun documento. Il pro getto di archiviazione digitale ha visto la nascita di una piattaforma web, de nominata Mlol (Media library online),

raggiungibile gratuitamente al link www.archiviocanova.medialibrary.it. Fino a oggi la consultazione delle ope re dell’artista era possibile soltanto at traverso dei microfilm, e più raramen te con la consultazione degli originali, ma grazie all’opera di digitalizzazione sono stati messi a disposizione tutti i 6.658 manoscritti più ventimila im magini ad alta definizione e nella tex ture cromatica originale.

Durante la sua residenza romana, Canova fu così pieno di commesse da dire scherzando a un amico: «Se avessi parecchie mani, tutte sarebbe ro impiegate», ma con grande umiltà, data la sua estrazione sociale, quel giovane talentuoso preferiva definir si «omo senza lettere», ovvero un uo mo privo di cultura, nonostante pa radossalmente amasse scrivere, co me dimostra il suo ricco epistolario. Si tratta di documenti molto fragili che, proprio per la loro natura, non possono essere esposti direttamente, ma che era un peccato non rendere

pubblici. «È proprio dalle epistole che si può comprendere meglio la personalità del famoso maestro ve neto. Canova era una persona perfet tamente consapevole del proprio va lore e giustamente dotato di una grande autostima. Attento a non di sperdere alcuna testimonianza della sua attività, in ciò aiutato dai segre tari e dal fratello Giovanni Battista, che avevano il compito di conservare e archiviare qualsiasi ‘creazione’ del Maestro o comunicazione a lui invia ta», spiega Stefano Pagliantini, diret tore della Biblioteca di Bassano. Let tere legate all’attività professionale, documenti formali su incarichi pub blici e messaggi più intimi inviati alla famiglia e al suo entourage, costituito da nobili intellettuali, personaggi ec clesiastici di spicco e uomini di go verno. Gli elementi più interessanti dell’archivio digitale bassanese sono proprio gli scritti autobiografici, ric chi di aneddoti sfiziosi e poco cono sciuti sulle sue relazioni interperso

112 16 ottobre 2022
L’interno di una delle sale della casa museo di Antonio Canova, a Possagno, suo paese natale

La statua delle "Tre Grazie" conservata al Museo dell'Ermitage di San Pietroburgo ed esposta nel 2019 al Museo archeologico di Napoli nali: si va dal libriccino in cui lo scul tore, appena diciannovenne, inizia a tenere nota della contabilità relativa alle sue committenze, fino al suo te stamento, dettato poco prima di mo rire. Ciascun testo presenta molti schizzi a matita o a inchiostro, che Canova era solito inserire dappertut to, spinto dalla continua voglia di im parare a conoscere la profondità dell’animo umano da replicare poi nelle sue opere. Nel Fondo sono pre senti anche molti appunti di viaggio, quelli effettuati da Venezia a Roma, poi a Napoli, Parigi e Londra, luoghi di ispirazione da cogliere nei paesag gi o in nuove esperienze di vita, com presi pranzi, giochi, spettacoli teatra li e incontri galanti.

Un rapporto alquanto com plicato, per via delle for ti divergenze politiche, fu quello tra l’artista e Napo leone Bonaparte: Canova, amante della propria patria e protettore delle

arti, non riusciva ad accettare la linea dell’imperatore francese, maturando una forte ostilità nei suoi confronti e rifiutando più volte l’invito a recarsi in Francia. Soltanto dopo molti tenta tivi, Canova cedette e incontrò Napo leone che gli commissionò un primo ritratto.

In seguito fu proprio la schiettezza delle argomentazioni da parte del maestro a far scattare la scintil la di una profonda amicizia tra i due, un legame che provocò l’invidia di molti nobili. Attualmente, nell’archivio digitale sono disponibili proprio i ma noscritti che riportano le conversazio ni tra lo scultore, l’imperatore francese e la neo sposa Maria Luisa d’Austria a Fontainebleau. A completare il tutto c’è anche un volume sulla storia del Tempio di Possagno e alcuni diplomi e vari attestati di merito a lui conferiti, come la nomina a Cavaliere dell’ordi ne equestre di Dio da parte di Pio VII. «Il progetto si allargherà in futuro an

che ai disegni e al resto del patrimonio artistico canoviano di proprietà dei Musei biblioteca archivio di Bassano del Grappa», spiega Barbara Guidi, direttrice dei Musei civici. Un Fondo senza fondo per descrivere la quanti tà infinita di capolavori, non per ulti mi i celebri monocromi, custoditi nel Gabinetto delle stampe e nel Museo civico, più una sessantina di sculture tra cui i preziosi bozzetti preparatori per le Tre Grazie. «La conoscenza de ve essere messa a disposizione di tutti, perché è un dovere e un impegno che noi, come Musei civici, vogliamo por tare avanti, investendo risorse. Questi strumenti non devono sostituire la realtà, ma offrirsi come primo passo di condivisione della conoscenza», continua Barbara Guidi. Un tesoro di grande pregio completamente acces sibile, perché l’arte appartiene a tutti ed è sempre un piacere condividerla, adeguandosi a uno stile moderno e in continua evoluzione.

16 ottobre 2022 113 Storie Foto: Giulio Favotto, Marco cantile / Getty Images
114 16 ottobre 2022 Arte e razzismo

Fn Meka, il trap-robot licenziato per le proteste degli afroamericani “Saccheggiati ma tenuti ai margini”

Il cantante virtuale da 10 milioni di follower e 600 mila ascolti mensili era sotto contratto della Capitol Records.

“Essere neri nello spazio pubblico significa essere usati ma esclusi”: Industry Blackout vince la battaglia

di Valeria Verbaro

Dreadlock verdi, denti d’oro e catena al collo, Fn Meka è l’immagine riconoscibile e stereotipata del rapper di strada.Conoltre10milionidifollower su TikTok e 600 mila ascolti mensili su Spotify ha attirato l’attenzione di una delle etichette discografiche più im portanti di sempre, Capitol Records, nonostante non esista davvero. È il primo di quella che si prospetta una lunga serie di artisti virtuali, realiz zati attraverso la realtà aumentata e l’intelligenza artificiale (Ai). Non solo un fenomeno social, ma un robot rap per in grado di guadagnare milioni di dollari. Nulla a che vedere con mosse di marketing già note, come quella dei Gorillaz, storico gruppo britanni co che dal 1998 appare solo attraver so i fumetti-avatar del co-fondatore Jamie Hewlett: Fn Meka è un progetto che mira a creare una star intangibile, un artista non umano. Oltrepassa l’i dea di anonimato funzionale all’arte, portandone in secondo piano gli au tori, al tempo stesso finalizza un pro cesso già iniziato da celebri cantanti come Travis Scott e Ariana Grande, che nel 2021 sono stati protagonisti di spettacoli in spazi globali e digitali, come la piattaforma di gioco online Fortnite.

Fn Meka rientra nella scia di esperi menti nell’arte il cui esempio più sor prendente nelle ultime settimane è

stato il quadro “Théâtre d’opéra spa tial”, prima opera creata con un software (Midjourney) a ricevere un riconoscimento nel panorama espo sitivo. In entrambi i casi l’intelligenza artificiale rimane ancora uno stru mento in mani umane, programma bile e in attesa di istruzioni. Non è una questione di “morte dell’arte” ma di nuove tecniche. A rendere il robot rapper problematico rispetto ad altre opere digitali è invece il fattore cultu rale dietro la sua creazione, poiché si inserisce nell’abitudine produttiva statunitense che, dal blackface otto centesco in poi, sfrutta l’esperienza afroamericana per trarre ricavi nel

mondo bianco dell’intrattenimento.

Fn Meka è infatti la riproduzione, nell’aspetto e nel linguaggio, di un uo mo afroamericano la cui voce appar tiene al rapper Kyle the Hooligan ma il cui design è stato progettato da An thony Martini e Brandon Le, esclu dendo artisti neri dal processo e pri vando, nel caso specifico, la comunità afroamericana della possibilità di sta bilire i termini della propria rappre sentazione. «Non è il primo né l’ulti mo di tanti episodi simili nel mondo reale: il solo fatto di esistere ed essere neri nello spazio pubblico significa essere costantemente saccheggiati senza adeguata rappresentazione e uguaglianza», afferma il collettivo statunitense Industry Blackout, con tattato da L’Espresso e protagonista delle proteste che hanno portato al licenziamento di Fn Meka da parte di Capitol Records.

Sui suoi profili social Kyle the Hooligan già alla fine d’agosto aveva affermato di non aver ricevuto alcun compenso né alcuna percentuale dell’accordo con Capitol Records e quindi di essere stato derubato di una proprietà in tellettuale da parte di Factory New, la società che possiede Fn Meka. Per Anthony Martini, che nel frattempo è corso ai ripari presentando scuse uffi ciali attraverso il New York Times,

16 ottobre 2022 115 Storie
FENOMENO MUSICALE
Il rapper Kyle the Hooligan, voce di Fn Meka. A sinistra, Fn Meka, tratto da un video su Instagram

Arte e razzismo

usare un personaggio virtuale an che se culturalmente ambiguo era l’unico modo per avvicinarsi a gene razioni molto giovani, che usano già gli stessi codici inconsapevolmente.

Al contrario, Industry Blackout, che si descrive come «un’organizza zione fondata da persone nere per le persone nere, con l’obiettivo della giustizia sociale in tutte le industrie», su Instagram e Twitter descrive il ro bot rapper come «una caricatura of fensiva, un insulto diretto alla comu nità nera e alla nostra cultura, un amalgama di rozzi stereotipi e manie rismi appropriativi».

Sono state sufficienti alcune centinaia di like ai post del collettivo per convincere l’eti chetta a rescindere l’accordo, segnando così un precedente notevo le. «Il nostro scopo non è mai stata la viralità o il numero delle visualizza zioni, soltanto l’impatto e i risultati. Sono stati poi artisti come Kehlani (cantautrice da 14 milioni di follower) e i giornali di tutto il mondo a condi videre il nostro messaggio, che è l’uni ca cosa che ci interessa», rispondono gli attivisti attraverso L’Espresso.

L’organizzazione è una piccola real tà attiva dal 2 giugno 2020, giorno di ventato evento sui social per il cosid detto #blackouttuesday – da cui il nome – in cui si chiedeva agli utenti di non postare ventiquattr’ore niente che non fosse relativo alle proteste di Black Lives Matter. Da due anni e mezzo il collettivo riceve e riporta se gnalazioni di razzismo, discrimina zione e sfruttamento della comunità afroamericana con particolare atten zione allo sport e all’intrattenimento, aree più esposte al rischio di appro priazione culturale. Nel caso di Fn Meka, Industry Blackout afferma che il caso di sfruttamento dell’immagine del robot rapper è un’ulteriore confer ma di come alcune dinamiche di po tere presenti nella società offline ven gano riprodotte senza distinzioni nell’inedito spazio di incontro del Metaverso e del Web3: «È un’opportu nità sprecata anche se la nostra spe

ranza è che sia servita da lezione su cosa non fare». «Ci sono già numerosi artisti neri che si stanno facendo stra da nel Metaverso e questo episodio è stato una macchia, nel complesso, che indica però un bisogno di mag giore diversificazione», continuano i portavoce.

Non esiste una soluzione immedia ta per rimediare a una catena di visio ni e comportamenti radicati nel razzi smo sistemico che invade anche i set tori artistici e produttivi negli Stati Uniti, né è utile pretendere che siano i soggetti razzializzati a dover spiegare perché idee come Fn Meka risultino offensive. Lo spiega bene anche Reni Eddo-Lodge nel suo libro diventato best seller, “Perché non parlo più di razzismo con le persone bianche” (Edizioni e/o, 2021). «Non è compito nostro educare chi non fa parte della

nostra cultura su come parteciparvi senza atteggiamenti predatori. È qual cosa che deve nascere da loro, devono farlo da soli altrimenti sta a noi fare presente che sono soltanto dei visita tori», ribadisce Industry Blackout.

L’obiettivo, anche per chi guarda a questa vicenda dall’altra parte dell’o ceano, è auto-istruirsi, riprendendo l’imperativo dell’educate yourself spesso ripetuto negli ambienti di atti vismo culturale. A questo dovere civi le fa riferimento anche il necessario ripensamento, secondo Industry Blackout, di un linguaggio che come quello della scena musicale nera con tinua a essere sfruttato dietro le quin te dai vertici aziendali, aggiungendo un nuovo capitolo alla cosiddetta tra dizione dei Race Records: musica ne ra, guadagni bianchi.

16 ottobre 2022 117 Storie
Théâtre d'opéra spatial, prima opera creata con un software (Midjourney) a ricevere un riconoscimento nel panorama espositivo. Sotto, il produttore Anthony Martini. A destra, la copertina dell’album di Fn Meka

IN PAROLACCE POVERE

Iva Zanicchi e gli altri: il turpiloquio in tv è di uso comune. Perché l’eufemismo costa fatica e non è da tutti

Non si poteva dire “membro” del parlamento, nell’Italiet ta armata di forbici censorie agli albori del servizio pubblico e di certo non era intesa come colorito intercalare. E quando Cesare Zavat tini nel ‘76 disse la parola “cazzo” in diretta radiofonica causò un brivido

da cui la dirigenza Rai si riprese a fatica. Perché la prima parolaccia non si scorda mai. Da allora la ma nica si è allargata parecchio e l’uso comune del turpiloquio in tv è di ventato una pratica ai limiti della noia. Negli anni Duemila uno studio calcolava che andasse in onda una parolaccia ogni 21 minuti e visto l’andazzo difficile immaginare che la statistica si sia alleggerita. Anzi. Portatori di linguaggi disinvolti, che fanno tanto giovane, ormai se ne trovano in ogni dove, illusi che l’aria scanzonata di chi parla alla te lecamera come se fosse nel tinello avvicini lo spettatore. Così al netto dei tristi scontri via talk show dei soliti noti, che prima di venire al le mani aprono le ugole lasciando

uscire qualsiasi cosa, l’abitudine all’insulto facilone e all’intercalare volgare vengono usati anche nei pa ludati programmi di prima serata. A volte è una caratteristica simpa tica. Altre invece, al di là di qualun que moralismo stantio, diventa solo una povertà di espressione che cer ca la via d’uscita più facile. L’ultimo caso è quello di Iva Zanic chi, cantante nota per la sua intonazio ne ormai tanto quan to per la sua facilità nel lasciarsi andare, quasi fosse un vezzo dato dalla maturità. Le sue esternazioni infelici nei confronti di Selvaggia Lucarelli a “Ballando” (“Tr**o ia ha detto ripetuta mente come ormai sanno anche i sassi) ma anche quel ca** zo ripetuto neanche fosse un tic, cancellano come un colpo di spugna la necessità dell’il lusione, del doppio senso che dice e non dice ma muove il cervello di chi lo scova e soprattutto di chi lo riceve. L’eufemismo non è da tutti e richiede un duro lavoro di arguzia e ironia, costa fatica e porta ric chezza, anche se si parla appunto di membro. Come fece Benigni nel Fantastico del 1991 davanti alla radiosa e sconcertata risata di Raf faella Carrà: pistolino, pipino, ran dello, banana e così via. Insomma, il visconte di Valvert per offendere Cyrano de Bergerac disse solo che aveva un grande naso. Ma la lezione che ne ricevette avrebbe dovuto in segnare qualcosa.

Il rock è vivo e lotta assieme a Manuel Agnelli

La notizia potrebbe essere che il rock non è morto, almeno non del tutto. Come quando molti anni fa mi capitò di suggerire il dubbio a sua maestà Vasco Rossi in persona e lui rispose senza neanche entrare in discussione: «Il rock sono io!». Frase che, come spesso accade con Vasco, nella sua disarmante semplicità nasconde una grande verità. Il rock esiste se c’è qualcuno che lo fa, e gli dà un senso, e allora viva il rock, visto che qualcuno, non molti in verità, lo suona ancora. Lo spunto viene dal fatto che è appena uscito un disco solista di Manuel Agnelli che ovviamente del rock italiano è più che un protagonista, diciamo pure un emblema, una bandiera che ancora sventola con fierezza, e lo ha intitolato evangelicamente “Ama il prossimo tuo come te stesso”, ma nei toni interni è molto più sferzante e duro di quanto il titolo lascerebbe supporre. Intanto finalmente qualcuno registra in una canzone l’aria mefitica che ci ha avvolto, e lui lo fa scegliendo come scenario la sua Milano: «A un Dio non mio, lo chiedo anch’io, un sole in più, un bacio in più, un po’ di me che non sia una bugia, che puoi portarti via, beh, mi manchi e qui a Milano c’è la peste, è per questo che mi gira un po’ la testa, non ti ho mai lasciato andare veramente, non ti ho mai avuto che nella mia mente», dunque a Milano c’era la peste, e proprio intorno a Milano sembra di percepire questa ripresa di acide elettricità, vedi anche il ritorno dei bergamaschi Verdena, con uno splendido e toccante disco intitolato “Volevo magia”. A chi lo dite, verrebbe voglia di rispondere, ma è significativo che un rinnovato senso di opportunità rock venga da chi ha militato nelle file più radicali

Ho visto cose/tv BEATRICE DONDI #musica GINO CASTALDO 118 16 ottobre 2022

e cosiddette alternative, perché poi non è che di rock non ci sia bisogno, è solo che sembrava aver perso tutta la sua divorante energia, gli spasmi, le impennate geniali, e ovviamente il fenomeno Måneskin da solo non giustificava una nuova ondata. Dunque dopo 37 anni di onorata carriera rock, e dopo alcuni anni di presenza televisiva come giudice che potevano scalfire la sua immacolata immagine, Manuel Agnelli ha deciso di prendersi la sua prima pausa solista, frutto della pandemia, come tante delle cose che stanno uscendo ora, e lo fa senza liquidare gli Afterhours che rimangono lì, in attesa di sviluppi, avendo seguito questa volta un filo personale che nei mesi di chiusura aveva cominciato a dipanarsi fino a diventare l’album di oggi. Dentro ci sono rumori, tante chitarre, qualche languido pianoforte e gli archi, quando appaiono, sono sinistri il giusto, perché se il gioco si fa duro, bisogna essere duri, e questo è quello che fanno i rocker di razza. Il disco è sporco, esasperato, acido o struggente, senza inutili mezze vie, esattamente come i tempi che corrono, che non hanno mezze stagioni e se per questo neanche mezze beatitudini.

al buio/cinema FABIO FERZETTI

NINJABABY È INCINTA MA NON SA DI CHI

Rakel è un’aspirante fumettista elettrica e ribelle. Protagonista di un film norvegese tra disegni e realtà

Per qualche strana ragione i ri tratti di donna più vivaci ultima mente vengono dalla Norvegia.

Un anno fa usciva “La persona peggio re del mondo” di Joachim Trier, storia di una “serial lover” irredenta e forse irrisolta. Oggi tocca a “Ninjababy” che di quel film sembra un po’ una versione giovanile e dispettosa mente femminista. Incarnata - è la paroladalla trascinante Kristi ne Kujath Thorp, la 23en ne Rakel ha infatti molti sogni, come tutti alla sua età, e un problema di cui si renderà conto con in credibile ritardo. È incin ta, non sa neanche di chi. E quel che è peggio è or mai al sesto mese. Come avrà fatto a non accorger si di nulla è un mistero, ma a quanto sembra può capitare. E poi, come sap piamo fin dal principio, la sua vita (e la sua stanza) non sono proprio un modello di ordine. Nessun giudizio comunque. La regi sta Yngvild Sve Flikke, classe 1974, sa bene che l’autore deve lasciare i perso naggi liberi di andare dove vogliono. Così l’elettrica Rakel, che sogna an che di diventare una fumettista (altro punto di contatto col film di Joachim Trier), inizia una partita tutta giocata su due piani. Uno reale e uno disegna to, con le animazioni a matita che en trano nei fotogrammi a figurare pen sieri e emozioni. Diventare madre controvoglia? Dare il figlio in adozione? Conformarsi alle aspettative sociali? Tra una disquisi zione sui maschi (Rakel, ragazza libe ra, è avida di vita) e la riapparizione del cortese amante di una notte («non ho resistito, profumava di burro»), salta

fuori che il vero padre è un ragazzone egoista detto Minchia Santa, qui non servono disegni (ma ci sono, Inga Sae tre disegna con grazia ogni cosa, a par tire dal feto con cui Rakel è in dialogo costante, un po’ voce della coscienza, un po’ facile spunto comico, immagi nate cosa succede quando Rakel cede

a un amplesso imprevisto).

Il resto segue questa falsariga brillan te, con qualche sorpresa in meno del necessario. Dialoghi disinibiti fino all’ostentazione (“Fleabag” non è pas sato invano), “provini” ai potenziali genitori adottivi, sentimenti complessi ma sempre presi dal lato più amabile. Il meglio sta sicuramente nel dialogo col “Ninjababy” (e in quell’ex così gen tile). Ma a tratti il film sembra un po’ ostaggio della sua trovata centrale. Vorremmo vedere Rakel crescere più di quanto non faccia. Ma forse il punto sta proprio qui.

“NINJABABY” di Yngvild Sve Flikke Norvegia, 103’ aaacc

Scritti
16 ottobre 2022 119
Manuel Agnelli

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QUELLE DOMANDE SCOMODE PER IL SINDACATO

Cara Rossini, le scrivo subito dopo essere stato alla manifestazione del la Cgil di piazza del Popolo a Roma. Sono un iscritto Fiom sempre un po’ troppo polemico. Andrà pure bene che tutti i partiti siano andati al la ricorrenza dell’assalto della sede nazionale Cgil, sperando che quelli che hanno tra di loro certi odiatori se ne liberino al più presto. Sono certo che il partito a cui mi riferisco affronterà future spaccature, ma questo è un altro discorso. Ritornando al sindacato che si prepara al suo congresso mi sorgono alcune domande. 1) Tutto questo pacifismo non lo avremmo potuto manifestare anche prima della guerra, visto che gli italiani si muovono solo adesso che le bollette crescono, dato che eravamo stati abbondantemente avvisati per tempo dello scoppio del conflitto? 2) Quanto si è coerenti con il pacifismo se poi la signora Re David, della segreteria generale della Cgil, corre a magnificare il la voro svolto dal dottor Alessandro Profumo, amministratore delegato della Leonardo, che è la più grossa azienda europea di armamenti? 3) Se davvero vogliamo il pacifismo non sarebbe ora di riconvertire la nostra industria bellica? Vorrei anche capire perché alla manifestazio ne di Roma si è visto l’onorevole Conte confabulare con Landini? Per cortesia, signor Landini, lei che è saldatore come me, se la Cgil è cosa seria, i leader politici li riceva in un qualche ufficio e dica loro di stare distanti dalle nostre manifestazioni. Così si fanno solo pubblicità e poi quando sono in parlamento nessuno di loro si straccia le vesti per noi, visto che ad esempio di precarietà del lavoro se ne parla da anni, ma nulla cambia. Allora o siamo sbagliati noi lavoratori votanti o voi sin dacalisti, o lor signori politici o i datori di lavoro, oppure tutti. E allora è meglio lasciare perdere!

Chissà come ha votato il signor Anderlucci, che ci scrive spesso e che ogni volta fa risuonare l’eco lontana di una classe operaia combattiva? Lui non lo dice, anzi manifesta una forte diffidenza per la politica e i suoi uomini, con il timore evidente che conta gino il sindacato. E non fa sconti a nessuno, neanche a Landini che, è vero, cominciò a lavorare giovanissimo in fabbrica come saldatore. Non dovrei essere io a spiegargli che purtroppo l’indu stria delle armi è una triste esigenza di ogni nazione ma il punto è l’uso che se ne fa, né che gli imprenditori e i politici si frequentano non per simpatia, ma per necessità, né tantomeno che un politico e un sindacalista che discutono non si devono nascondere: l’im portante è che in quegli incontri si facciano accordi per il bene comune. Da decenni non ci sono più duri schieramenti ideologi ci in società liquide che forse soltanto adesso, nell’impatto con la guerra, scoprono di aver perso compattezza e valori condivi si. Ognuno è solo di fronte a cambiamenti ed emergenze che non hanno precedenti nella vita di tutti i contemporanei. In questo clima il sindacato è tornato a parlare al suo popolo con i modi e il vigore di altre stagioni. È una buona notizia.

stefania.rossini@espressoedit.it RISPONDE STEFANIA ROSSINI Noi e Voi L’ESPRESSO - VIA IN LUCINA, 17 - 00186 ROMA letterealdirettore@espressoedit.it - precisoche@espressoedit.it ALTRE LETTERE E COMMENTI SU LESPRESSO.IT 120 16 ottobre 2022 N. 41 - ANNO LXVII - 16 OTTOBRE 2022 TIRATURA COPIE 197.700 Certificato ADS n. 8855 del 05/05/2021 Codice ISSN online 2499-0833
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Rassegnati davanti all’atomica

Non è certo una novità che da parte delle grandi potenze in conflitto si agiti l’immagine della rappresaglia atomica con conseguente, probabile “soluzione finale”. Un’apocalis se senza Giorno del Signore, senza Giudizio, senza Paradiso né Inferno. L’atomica è già stata usata, bene non dimenti carlo. Il suo “Caso” è già avvenuto e potrebbe perciò ripetersi anche su scala globale. Non si tratta di un impossibile. È un Caso ampiamente contemplato in tutti i contemporanei manuali di strategia. La straordi naria novità è che di fronte a un simile Caso l’opinione pubblica mon diale sembri ormai mitridatizzata. Nessuna reazione di massa, nessuna esplicita, consapevole, razionale volontà di impedirlo. Peggio che un senso di impotenza, una sensazione di inevitabilità - si diffonde qua si una sorta di pulsione “interventista”, quasi il bisogno di giungere a una “resa dei conti”, dalla quale soltanto possa nascere un nuovo e stabile Ordine. In fondo le grandi guerre a questo hanno condotto. Che la guerra nulla risolva è pa cifismo d’accatto. Le guerre risolvono ec come. Solo che forse la vera arte politica dovrebbe prima di tutto cercare di evitar le. Soprattutto quando si tratta di guerra atomica. Forse occorrerebbe pensare che un Ordine su questo maltrattato pianeta può essere ottenuto anche con altri mez zi, che non sia quello di farci ripartire dal deserto. Sembra invece che ci si arrenda piano piano ad assistere a quel Caso sot to la cui minaccia abbiamo sempre vissu to, ma contro cui fin qui abbiamo anche sempre lottato. Di fronte alla sua concre ta possibilità vaste correnti di opinione pubblica ondeggiano tra rassegnata at tesa, inoperosa speranza e la virile spre giudicatezza di chi afferma: ebbene, se il nemico non cede alle mie ragioni venga pure anche l’atomica a distruggerlo.

L’appello alla Pace in nome della salvezza dell’Umanità è un nobile nonsen so. L’Umanità non è un soggetto politico e non vi è alcun potere politico che la ordi ni nel suo insieme. Il Fine della Repubbli ca mondiale è destinato forse a un’eterna attesa. Questo significa che nell’assenza di una Sovranità meta-statuale, di un Diritto internazionale integralmente as

sunto nel diritto positivo dei singoli Stati, dobbiamo arrenderci al fatto che il Caso prima o poi capiti davvero? Poiché man ca ogni Giudice terzo nel conflitto tra grandi potenze e di fronte alla crescen te e evidente impotenza degli organismi internazionali inventati per risolverlo, dobbiamo attendere quel Caso armati solo di timore e tremore? Realisti, certo, occorre essere, e perciò sapere non solo che la guerra rimane l’estremo orizzon te della politica, che sotto l’ombra della guerra atomica noi già ci siamo da ormai quasi un secolo, ma anche che la possi bilità che essa abbia luogo non dipende soltanto, come ogni fatto del mondo, da nostre intenzioni o nostri calcoli, ma dal combinarsi imprevedibile di mosse, di at ti spesso in contraddizione con gli stessi fini che cercavano di perseguire. Dobbia mo sapere tutto questo, ma anche volere la pace, opporre il suo Caso a quello del la Guerra. Esigere da tutti che mostrino nei fatti di volerla. Riconoscere le ragioni dell’uno e i torti dell’altro, certo, ma esi gere anche da chi secondo noi ha ragione di dimostrare la sua volontà di pace e non soltanto il suo, per quanto comprensibile, odio per il nemico.

Doveva essere questo il grande signifi cato etico e politico dell’Unione Europea, come potenza globale, dotata certo an che di una difesa comune, ma al fine di poter svolgere una autonoma politica internazionale. L’Europa pensata dai suoi ultimi, veri leader, quella della Casa Comune, luogo del dialogo, della mediazione, della in defessa ricerca di intesa tra Mediterraneo, Grande Isola atlantica, gran de Terra russa e oltre ancora le potenze imperiali dell’Est. Nient’affatto neutrale, nient’affatto equidistante, vera patria dei diritti (ciò che non è stata e non è per le grandi tragedie medio-orientali, per il dramma dei profughi), ma neppure mai subalterna provincia.

Ora, molto, troppo vicini alla tragedia che fino a ieri ci sembrava in concepibile, comprendiamo quanto potrebbe costare a tutto il nostro genere l’assenza di questa Europa, che enorme peccato si è commesso nel saperla necessaria e nel non aver saputo realizzarla.

Massimo Cacciari Parole nel vuoto 122 16 ottobre 2022 Illustrazione: Ivan Canu
L’apocalisse è possibile. Ma l’opinione pubblica sembra ormai mitridatizzata. Nessuna reazione di massa, nessuna volontà di impedirla
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