Rivista mensile di Ornitologia Scientifica - Tecnica - Pratica Organo Ufficiale della F.O.I.-Onlus
ANNO XLVI numero 8/9 2020
Estrildidi Fringillidi Ibridi
Cronaca
Canarini da Canto
Canarini di Forma e Posizione Arricciati
Diamante guttato x Diamante mandarino
Il volo libero
Il “borbottio� estivo degli Harzer Roller
Parigino e AGI a confronto: la coda
ANNO XLVI NUMERO 8 9 2020
sommario 3
Pandemia e mostre Giovanni Canali
Diamante guttato x Diamante mandarino (1 ª parte)
5 11 15
Francesco Formisano
L’Italia si rinnova Angelo Ceccarelli e Federico Vinattieri
Il volo libero Maurizio Bavaresco
Parigino e AGI a confronto: la coda (3ª parte) Giuseppe Corsa e Luigi Mollo
Il Crociere: un becco asimmetrico Bruno Novelli
La fauna alloctona indesiderata Roberto Basso e A. Bolzonetti
La conoscenza non può farci dimenticare chi non sa Sergio Palma
Il Pastone per l’Usignolo Riccardo Ricci Curbastro
Orni-flash News al volo dal web e non solo
Una bellissima scoperta Luca Bonardi
Estrildidi Fringillidi Ibridi
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Il “borbottio” estivo degli Harzer Roller Michele Mariella
Il collezionismo ornitologico (1ª parte) Photo Show Le foto scattate dagli allevatori
Le giuggiole (Ziziphus jujuba) Pierluigi Mengacci
Il Presidente con la S maiuscola Alberto De Vita
AMMINISTRAZIONE E PUBBLICITÀ: Segreteria F.O.I.-Onlus Via Caorsana, 94 - Località Le Mose 29122 Piacenza Tel. 0523.593403 - Fax 0523.571613 Web: www.foi.it - E-mail: redazione@foi.it
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Photo Show
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Canarini di Forma e Posizione Arricciati
Mario e Maria Campioni Italiani Ignazio Sciacca
Compio 50 anni di F.O.I. Giovanni Canali
Lettere in Redazione
Associato all’Unione Stampa Periodica Italiana ISSN 0391-254X (International Standard Serial Number) Autorizzazione del Tribunale di Bologna n. 4396 del 12-3-1975
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Coadiutore Editoriale: Lorenza Cattalani
48 51 54 56
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Cronaca
Francesco Badalamenti
37 41 43
Inoltro postale in Italia: Effezeta srl Via Amilcare Mazzocchi, 36 - 29122 Piacenza
58 60 64
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Italia Ornitologica è la rivista ufficiale della F.O.I. - Federazione Ornicoltori Italiani, pubblicata in 10 (dieci) numeri annuali a cadenza mensile, 2 (due) dei quali in versione bimestrale nel periodo estivo (Giugno/Luglio e Agosto/Settembre). Il numero 8/9 - 2020 è stato licenziato per la stampa il 24/08/2020
Editoriale
Pandemia e mostre di G IOVANNI CANALI
L
a pandemia da coronavirus ha aspetti terribili, tutti noi ricordiamo con una stretta al cuore la fila di camion dell’esercito portare via i morti che non potevano avere un diverso commiato, dato il loro numero. Come ricordiamo le notizie sui ricoveri in terapia intensiva e l’abnegazione di medici ed infermieri che, rischiando la vita, curavano i malati anche quando non c’erano ancora tutti i mezzi necessari. Pure il nostro ambiente è stato colpito e contiamo malati e lutti, che ci addolorano. Siamo pure consapevoli della grave situazione economica, che deriva dalle chiusure e dalle ulteriori misure di sicurezza. Ugualmente siamo consapevoli delle imprudenze che non pochi hanno, nonostante i richiami. E tanto altro ancora, come le scuole messe in difficoltà o la riduzione dei rapporti umani. Non volendo travalicare i limiti della nostra rivista, do per scontati questi gravissimi e preoccupanti aspetti, semmai ricordando che non è affatto finita. Prendo quindi in considerazione una piccola cosa se vista in generale, ma grande per il nostro ambiente, e cioè la possibilità o meno di fare le mostre. Molto recentemente c’è stata un’apertura verso gli eventi fieristici che ci fa sperare almeno in parte. Peraltro non sappiamo ancora le modalità ed i limiti. Si sa che le mostre sono interessanti sotto vari aspetti, come il fatto di poter mostrare opere d’arte o presentare articoli commerciali di recente acquisizione ecc. Le nostre mostre, che sono competitive, costituiscono un insostituibile momento di aggregazione e confronto, consentendo di mostrare i risultati ottenuti. La natura umana non può prescindere dalla competizione. Se non vi fossero mai state le gare automobilistiche o motociclistiche, oggi viaggeremmo su veicoli molto meno evoluti e tecnologici. Lo stimolo della competizione comporta sforzi e impegni in tempi rapidi, altrimenti non ottenibili. Senza le nostre mostre oggi non avremmo certo tutte le razze domestiche che abbiamo, con le loro diversificazioni, e non potremmo aver fatto tutti gli studi che ci sono stati. Appare quindi evidente che vi sia molta preoccupazione sulla possibilità o meno di poter fare le mostre e, se si, come. Anche in considerazione del fatto che saltare un anno, potrebbe far perdere un certo ritmo ed una certa consolidata prassi, che sono importantissimi. C’è anche il problema di come smaltire l’eccesso di produzione, senza l’appuntamento delle mostre scambio.
La F.O.I. ha fatto e sta facendo il suo dovere, predisponendo il calendario mostre e monitorando la situazione. Parallelamente, la Federazione sta promuovendo l'organizzazione di alcune mostre scambio gratuite per i tesserati, con la finalità di favorire la cessione del surplus degli allevamenti. Certo non dipende solo da noi la possibilità di fare le nostre manifestazioni, ma dipende principalmente dalle decisioni dello Stato e delle Regioni, che in base alla situazione della pandemia, consentono o vietano le varie manifestazioni. Inoltre, anche se consentite, le manifestazioni vengono sottoposte a precauzioni e limiti vari. Fra questi ve ne sono di molto costosi, come le sanificazioni, o problematici, come gli ingressi contingentati. C’è pure l’aspetto delle spese che sono elevate e che senza pubblico potrebbero essere irrecuperabili. Le difficoltà sono oggettive ed il rischio di prenotare gli ambienti per poi non poterli usare è alto, oltre che comportare la perdita di somme cospicue, necessarie anche per altri aspetti, come i cataloghi. Non c’è quindi da stupirsi se molte associazioni preferiscono rinunciare, anche all’estero è così, anche i mondiali sono a rischio. Altre pensano a soluzioni diverse, come rinunciare alla mostra scambio, rinunciare al pubblico e consentire l’ingresso ai soli convogliatori. Allo stato attuale ritengo che nessuno sia in grado di dire con sicurezza cosa sia meglio fare; anche in considerazione del fatto che non sappiamo se avremo un miglioramento o una seconda ondata di contagio virale. Inoltre ci potrebbe essere anche una diversità fra le varie Regioni, visto che non tutte sono colpite allo stesso modo. Per le associazioni che non facessero la mostra, anche se nessuna potesse farla, penso che sarà necessario pensare a qualche aiuto, come contattare commercianti per il ritiro di soggetti o creare centri di informazione per offrire soggetti a chi fosse interessato. Per quanto mi riguarda, sono sempre stato a disposizione dei soci della mia associazione, e non solo, per le selezioni, pertanto a maggior ragione mi metto a disposizione anche quest’anno; cambia il fatto che mi recherò negli allevamenti solo se consentito e con mascherina. Spero che anche altri tecnici si rendano disponibili. E speriamo nelle migliori ipotesi. Insomma ci sono da valutare tanti aspetti, ascoltando diversi pareri, prestando sempre attenzione a leggi e regolamenti.
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ESTRILDIDI FRINGILLIDI IBRIDI
Diamante guttato x Diamante mandarino (Stagonopleura guttata x Taeniopygia guttata castanotis) testo e foto di FRANCESCO FORMISANO
Premessa L’esperienza riproduttiva che vado a raccontare è frutto di una serie di circostanze del tutto casuali e fortuite; personalmente, non ho alcun merito, direi solo che ho profuso il massimo impegno nel fornire quotidiana “assistenza” ai protagonisti dell’evento, tutto qui. L’imponderabile e il caso, infatti, hanno fatto in modo che, tassello dopo tassello, tutti i componenti del puzzle, perfettamente incastrati tra loro, dessero corso a questo “imprevisto”... Ibridi a 3-4 gg. dalla schiusa
Prima parte
Diamante guttato (Loxia guttata – Shaw, 1796) Taglia 12 cm; assenza di dicromismo tra i sessi. Descrizione e biologia generale omessa (vedi art. Diamante guttato x Padda, Italia Ornitologica - n° 5 maggio 2020).
Diamante mandarino (Fringilla guttata – Vieillot, 1817) Taglia 10 cm; netto il dicromismo sessuale. Piccolo estrildide di origine australiana, per anni è stato ascritto al Genus Taeniopygia, con il nome scientifico di Taeniopygia guttata castanotis differenziandosi dal cugino Diamante mandarino di Timor (Taeniopygia guttata guttata), dal nome di una delle isole indonesiane sulle quali alligna, per la presenza della sottile zebratura del petto,
Ibridi a 8-9 gg. dalla schiusa
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a conforto della tesi che la specie australiana sia di più recente evoluzione. In seguito, entrambi inseriti nel Genere Poephila assieme al Diamante di Bichenow, quello, per intenderci, comprendente già altri tre diamanti australiani: coda lunga, bavetta e mascherato, fenotipicamente molto simili tra loro ma che ben poco hanno in comune con gli altri due “congeneri”. Recentemente è stato rispolverato il vecchio taxon Taeniopygia nel quale è confluito anche il Diamante di Bichenow (Taeniopygia bichenovii); dagli studiosi Taeniopygia g. guttata viene considerata la specie nominale. Senz’altro uno dei più conosciuti tra gli uccelli esotici, il Diamante mandarino - comunemente chiamato dai non addetti ai lavori “bengalino” oppure “diamantino” - è stato massicciamente importato dal suo paese di origine fino alla fine degli anni ‘50 del secolo scorso, quando il governo australiano varò una legge, tutt’ora in vigore, che vieta l’esportazione di flora e fauna endemica del Paese dei Canguri. Oggi, tutte le specie di volatili australiani presenti in Europa, come nei restanti continenti, sono esemplari nati in ambiente controllato. Diffuso in gran parte dell’Australia Taeniopygia g. castanotis predilige le zone temperate, fatta eccezione per le aree costiere a sud di Perth e di Adelaide, dove lo si rinviene solo al termine di lunghi periodi di siccità; nel nord (Kimberley fino a York Cape) e nelle zone interessate da foresta pluviale è completamente assente. Isole Flores, Sumba, South West Islands e Timor sono invece i Paesi dove vive Taeniopygia g. guttata. Da quanto sopra, si evince come la specie prediliga zone asciutte, come lo sono le grandi pianure erbose, con presenza di bassi cespugli, ma si trova a proprio agio anche nelle zone coltivate, in parchi e giardini cittadini, rivelan-
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Ibridi a 12-13 gg. dalla schiusa
Ibridi seconda covata a 2-3 gg. dalla schiusa
dosi piuttosto indifferente alla forte antropizzazione. Si nutre dei semi di graminacee ed erbe selvatiche, sia secchi sia allo stato immaturo o ceroso, di essenze vegetali come possono essere i germogli e la verdura coltivata; inoltre, caccia con tenacia piccoli insetti e le loro larve durante il periodo riproduttivo. Similmente ad alcuni Ploceidi africani, questo piccolo esotico si adatta a lunghe assenze di acqua, anche per settimane, riducendo la perdita dei liquidi dell’organismo grazie al loro riassorbimento attraverso le reni, espellendo feci completamente secche; si riporta che possa bere addirittura soluzioni di cloruro di sodio, come l’acqua del mare e, similmente ad altri estrildidi australiani, “succhia” l’acqua alla maniera dei colombi. Specie gregaria e altamente sociale, vive a coppie o piccoli gruppi familiari ma, principalmente fuori dal periodo riproduttivo, riunito in grossi stormi vivaci e rumorosi, crea eleganti coreografie aeree similmente a quelle che siamo abituati ad ammirare in Europa ad opera dello storno comune (Sturnus vulgaris). Il verso di richiamo è un noioso (parere personale) suono nasale, poco gradevole, simile al suono di una trombetta giocattolo, emesso di continuo. Durante il periodo riproduttivo si formano le coppie e, dato il forte spirito di aggregazione di cui è dotato, non è raro trovare più nidi assemblati sullo stesso albero o cespuglio; utilizza anche le cavità naturali nei tronchi degli alberi o anfratti rocciosi, oppure vecchi termitai abbandonati. Il nido ha forma sferica, costruito con steli e fogliame di graminacea, foro centrale di accesso, camera di incubazione ben rifinita con materiale soffice come peluria animale o piume; deposizione media composta da 6 uova, 2-8 gli estremi. Incubate a turno da entrambi i sessi, si schiudono dopo 12/13 giorni di
cova e il maschio è parte attiva dalla costruzione del nido al sostentamento della prole, fino alla sua totale indipendenza. I novelli, una volta indipendenti, riuniti in bande miste composte anche da coetanei di altre specie, vagano erranti in cerca di cibo e pozzanghere per l’abbeverata. Questo è quanto accade, più o meno, allo stato brado. Allevamento Entrambi i due esotici di cui trattasi, in ambiente controllato, hanno assunto nell’ultimo ventennio, grazie ai progressi fatti dalla mangimistica e ai vari “integratori” alimentari, ma anche e soprattutto alla selezione operata dagli allevatori specializzati, una struttura corporea talmente protesa verso il gigantismo da sembrare lontani parenti di quelli presenti in natura, in particolar modo il D. mandarino. Inoltre, hanno palesato diverse mutazioni del colore del piumaggio, tali da differenziarsi ancora di più dai soggetti selvatici. Anche in questo campo il Taeniopygia g. castanotis si è dimostrato particolarmente “versatile” e più “generoso” rispetto al D. guttato. Pionieri in questo campo sono stati gli allevatori del Nord Europa (Regno Unito e Paesi Bassi), dove fino a qualche decennio fa gli appassionati italiani si rivolgevano. Oggi nel nostro Paese vi sono allevatori che nulla hanno da invidiare ai colleghi “nordici”, anzi, tecnicamente sono senz’altro i più preparati. Anche per quanto concerne la riproduzione, il D. mandarino si è rivelato più “portato” rispetto al D. guttato; infatti, una volta acclimatatosi, ha nidificato e allevato senza eccessivi turbamenti la propria prole, al contrario del Guttato che ha rivelato diverse difficoltà - a parte il sessaggio - già nella formazione della coppia, preferendo spesso la scelta spon-
Ibridi seconda covata a 9-10 gg. dalla schiusa
Ibridi seconda covata a 15-16 gg. di vita
tanea del partner e rendendo così vano ogni assortimento operato dall’allevatore. Il maschio, poi, non è certamente un esempio di bon ton, anzi spesso è aggressivo verso la compagna, non sempre collabora nella cova e a volte tende a trasportare nella cassetta nido ogni sorta di materiale raccattato sul fondo della gabbia, coprendo le uova e vanificando la covata (comportamento questo, in verità, condiviso anche dal maschio mandarino). In spazi ristretti la specie non eccelle nelle cure parentali, quasi sempre si ha la mancata incubazione oppure non accudisce la prole, tanto da “costringere” chi desidera riprodurlo a ricorrere all’ausilio della balia per eccellenza: il Passero del Giappone, con tutti gli aggravi che questo tipo di allevamento comporta, sia a livello economico che gestionale. Questa serie di contrattempi fa sì che questa bella e interessante specie sia poco presente negli aviari amatoriali. In natura si alimentano con i semi delle graminacee selvatiche e dei cereali, anche coltivati, pertanto il misto fornito in ambiente controllato non risulta essere un surrogato, come a volte può essere per altre specie, ma soddisfa appieno il loro fabbisogno nutrizionale, conservandoli in buona salute e longevi. Osservazioni personali sul Diamante mandarino alloggiato in voliera, sia alberata che non, hanno evidenziato che la specie, ama “marcare” il nido ancorando penzoloni al foro d’ingresso un lungo stelo, oppure un ramoscello secco raccattato al suolo; credo che questo singolare behaviour sia direttamente correlato all’abitudine della specie di riprodursi anche in colonia. L’alimentazione fornita ai miei Diamanti (Gould, guttato e mandarino) è un misto composto prevalentemente dalla scagliola, con piccole percentuali di miglio bianco e niger; fettina di mela, fogliolina di lattuga o altra verdura
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coltivata, qualche larva di Tenebrione di tanto in tanto, al di fuori del periodo riproduttivo, li tiene in ottima forma. Ad evitare facili pinguedini cui il D. guttato va facilmente incontro, ma anche l’attuale D. mandarino ha lo stesso problema, l’alloggio è composto da volieretta esterna con fondo in terra naturale; durante la riproduzione, quando ci sono i piccoli nel nido, la somministrazione di pastone morbido all’uovo del commercio, mela e larve di Tenebrione e, a partire dal 5°/6° giorno di vita dei nidiacei, anche la verdura è fornita quotidianamente. Da qualche anno a questa parte, mi son lasciato “conquistare” dal “nuovo che avanza”: le perle morbide, fornite in contenitore dedicato e asciugate con semolino; devo dire che ne vanno matti! Per quanto concerne il guttato, in un recente passato, maschietti ibridati con il Padda, durante la riproduzione hanno “assaggiato” i semi di girasole nero medio, imitando il partner asiatico, e una volta alloggiati con conspecifici hanno stimolato questi ultimi a fare altrettanto; inoltre, sono ghiotti del niger e ne fornisco regolarmente, in contenitore a parte, quando allevano. L’ibrido Avevo osservato sporadicamente e solo in foto su riviste e libri specifici l’ibrido tra le due specie e in verità non mi aveva entusiasmato granché; tutt’altra cosa però visto dal vivo: stupendi quelli realizzati dall’amico
Ibridi separati dai genitori D. guttato x D. mandarino 2ª covata
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Sabatino Della Corte di Giugliano, in Campania, esposti in diverse occasioni e saliti sempre sul podio. Tutto ha inizio nel 2017, quando un attempato guttato “maschio” (becco e codione giallo) acquisito per rinsanguare il mio piccolo ceppo e regalo dell’amico Franco Mingione, nonostante la notevole struttura, una volta nel mio allevamento, si rivela essere femmina a seguito di una inaspettata e sorprendente deposizione di diverse uova, sul fondo del gabbione. La conseguente - e necessaria - acquisizione presso l’amico Luigi Romano - casertano come Franco - di un maschio ancestrale che potrebbe essere anche portatore di bruno, perché tale mutazione è presente nell’allevamento di Luigi, chissà perché, mi porta a pensare che possa riservarmi qualche sorpresa... Alloggiata in un modulo dei tre di una voliera esterna con fondo in terra naturale, la coppia in breve si ambienta e il maschio inizia a far sentire il suo canto sebbene si sia a gennaio, annunciando di essere in estro. Fisso allora alla rete della voliera, a circa 180 cm, da terra, una cassetta nido di legno modello per cocorite, costruita artigianalmente dallo scrivente e già imbottita a metà con del fieno, Poa comune e materiale soffice come piume di gallina - sbollentate e asciugate al sole (a scongiurare eventuali infestazioni di acari). Con l’ausilio
di una palla da tennis, modello la coppa dove verranno deposte le uova; ritengo necessario questo intervento, perché molte volte il materiale fornito viene lasciato piatto sul fondo della cassetta nido dai volatili, senza “arrotare” la coppa, con la conseguenza che le uova formino la camera d’aria lateralmente anziché, come normalmente avviene, sul polo ottuso, con la relativa mancata schiusa. Spargo sul fondo della voliera altro materiale vegetale essiccato, dando così al maschio l’occasione di sciorinare quel suo particolare display nuziale, rito del filo di paglia tenuto per una estremità nel becco compreso. Inoltre, la possibilità da parte del maschio di poter completare il nido, con marginale ausilio della femmina, serve a cementare quel rapporto di coppia tanto necessario per la buona riuscita della riproduzione. In due covate (2018) ottengo cinque novelli svezzati su una decina di uova gallate e schiuse regolarmente, ma purtroppo in ognuna si è verificata la perdita di uno, due soggetti, chiari di pelle, bulbo oculare rossiccio (tanto basta a rafforzare le mie supposizioni riguardo al fatto che il maschio fosse portatore di “bruno”) al secondo, terzo giorno dalla nascita. A muta ultimata, risultano essere quattro maschi e una femmina; nel frattempo, mando in “quiescenza” la vecchia riproduttrice per raggiunti “limiti di età” e vado a formare una nuova coppia composta - non avendo alternative - da padre x figlia, l’unica femminuccia ottenuta l’anno precedente. Contestualmente mi procuro una Diamante mandarino bruno, di buona taglia, regalo dell’amico e concittadino Carmine Maddaloni; convinto come sono che il guttato di acquisto sia portatore per tale mutazione, reputo lo sia anche qualche figlio e, fidando nella buona sorte, programmo quindi la realizzazione di un ibrido mutato. Per mettere nelle migliori condizioni riproduttive la coppia mista, la sistemo nel modulo precedentemente utilizzato per i guttati in purezza, mentre quella formata da padre x figlia viene alloggiata in una volieretta del commercio tipo quelle d’appartamento per psittacidi di grossa taglia, modificata e riadattata
anni fa dallo scrivente allo scopo di ospitare una coppia di Fringillidi o di Estrildidi e posta all’esterno, sotto il balcone di casa. Dopo una lunga “fase di studio”, la coppia mista inizia a comportarsi come tale e finalmente si verifica la prima deposizione; in principio non ho grosse aspettative e non rimango particolarmente deluso quando, la prima e la seconda deposizione si compongono entrambe di sei uova ineluttabilmente chiare. Intanto il tempo passa, siamo alla fine di maggio, neppure la coppia pura nella volieretta mi dà grosse soddisfazioni, finora anche da loro solo e sempre uova chiare. Considerando che si avvicina il periodo della muta, decido di togliere la cassetta nido ad entrambi le coppie, rimandando il tutto a tempi migliori; è una piacevole sorpresa, mentre mi accingo a mettere in pratica il mio proposito, iniziando dalla coppia in purezza, constatare la presenza di due pulli, presumibilmente nati da 4/5 giorni, pelle chiara e occhio rossiccio: “Cavolo!” sussurro “avevo visto giusto, ecco finalmente dei bruno...”. Mi accingo a fare la stessa cosa con la coppia mista e… sorpresa! ben tre uova fecondate su cinque deposte, stavolta giacciono nel nido. Di lì a pochi giorni avviene la schiusa e, sorpresa nella sorpresa, uno è chiaro; “Wow! Maggio è davvero un mese meraviglioso!” mi vien da dire. Preso dall’entusiasmo, addirittura pubblicizzo l’evento con un post sui social; si dice così, no? Però, man mano che passano i giorni, la mia certezza che si tratti di bruno per quanto riguarda i mutati inizia a vacillare, fino a sparire del tutto quando il dorso, prima dei due soggetti puri e qualche giorno più tardi anche dell’ibrido mutato, impiumando, anziché confermarsi di un caldo color “nocciola”, diviene bianco. All’involo, i dubbi sono ormai certezza, i due guttati sono interessati dalla mutazione definita Opale fino a qualche anno fa, ma in seguito ad alcuni test di complementazione con esemplari di altre specie, anch’essi mutati Opale (Padda), ha dato ibridi ancestrali e pertanto si è deciso di riqualificare il guttato Opale, poiché fenotipicamente tale è – più o meno – come: “falso
Opale” (cit. Piercarlo Rossi e Francesco Faggiano, ex CTN IEI, vedi Italia Ornitologica n° 8/9 agosto/settembre 2016). I due bravi tecnici, nel ribadire che non si tratti di Opale, chiariscono che non si tratta nemmeno di Feomelanico, in quanto ha complementato anche con il Passero del Giappone rosso bruno, dando origine, anche in questo caso, solo a dei soggetti ancestrali. Mentre la coppia pura si ferma per l’incipiente muta, nel modulo con fondo in terra naturale, il guttato esercita un continuo pressing sulla mandarino; in breve, si verifica una nuova deposizione, ancora cinque le uova deposte, ancora tre quelle gallate e regolarmente giunte a buon fine. Come in fotocopia, di nuovo un soggetto mutato, similmente alla prima nidiata. Così come in precedenza, il guttato è instancabile, al pari della mandarino, nelle cure parentali sicché anche questi pulli hanno un rapido sviluppo; inanellati al 6° giorno di vita con anellino tipo “B” dell’anno precedente (2018), non avendone ordinati di quelli per l’anno in corso, si involano verso il 18° giorno e, imbeccati ancora da entrambi i genitori, un paio di settimane più tardi si emancipano. Quando separo i novelli dai genitori, tolgo la cassetta nido, ormai siamo in agosto e anche per loro è tempo di mutare e... riposare. Verso la metà di ottobre, constatato quanto la coppia sia “friccicarella”, pongo di nuovo la cassetta nido già parzialmente imbottita di steli e radichette essiccate di graminacea e Poa comune e, come fatto in precedenza, altre ne spargo sul fondo. In breve, il guttato completa il talamo nuziale e la mandarino di lì a poco inizia a deporre. Delle sei uova deposte, alla speratura solo due risultano gallate, covate assiduamente a turno dai due partners, si schiudono però in modo sfalsato; entrambi sono mutati. Come in precedenza, l’alimentazione in questa fase è ricca di proteine, così oltre al pastone morbido all’uovo (del commercio), le tarme della farina (vive), il niger e la perilla (tal quale), fornisco semi di girasole immaturi (coltivazione propria) e abbondanti razioni di perle morbide, messe in ammollo per 5/6 ore e asciugate con
Ibrido ancestrale 2ª covata
semolino. Vegetali freschi come mela, cetriolo e verdura varia (questi ultimi due provenienti dal mio orto) sono forniti regolarmente. Al termine di questa covata, decido di “scoppiare” la coppia, se non altro per capire quale mutazione porti nel genotipo la D. mandarino oltre alla palese Bruno, programmando a tal fine degli accoppiamenti mirati in purezza. Intanto sul web la notizia inerente questa ibridazione ha suscitato dei rumors; la realizzazione - inaspettata - di ibridi mutati intriga e impegna la mente... Conclusioni Chiaramente siamo in presenza di un fattore mutato che potrebbe chiarire molti dubbi sulla reale natura della mutazione del D. guttato conosciuta come “falso” Opale. Al momento in cui scrivo, ho qualche dubbio in meno e qualche certezza in più riguardo il genotipo comune ai due esotici australiani oggetto di questa nota. A quei pochi, autentici stacanovisti della lettura, che hanno avuto il coraggio di arrivare fino in fondo a questo mio scritto, non limitandosi alla sola lettura del titolo e delle didascalie delle foto, chiedo però di pazientare un po’ e attendere ancora qualche numero della rivista per conoscere l’epilogo...
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CANARINI DI FORMA E POSIZIONE ARRICCIATI
L’Italia si rinnova testo e foto di ANGELO CECCARELLI e FEDERICO VINATTIERI
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uesto strano, anzi stranissimo 2020, ci ha portato via tante cose: ad alcuni la libertà, ad altri la tranquillità economica e purtroppo, a chi è andata peggio, anche degli affetti. Ma un anno, pur funesto che sia, non può mai essere del tutto negativo... chi, come noi, ha la passione per la canaricoltura, è stato spettatore e artefice di un’altra stagione riproduttiva, ricolma di vita, di piccole gioie che fanno bene all’anima. Noi che viviamo anche di passioni siamo quindi più fortunati di altri, poiché
Disegno Standard del TorZuino
abbiamo affrontato il “lockdown” con più spensieratezza, dedicandoci in modo più assiduo ai nostri beniamini pennuti, che soprattutto nel periodo delle cove ci concedono tante soddisfazioni. Tempo ne abbiamo avuto, non solo per la pratica, ma anche per leggere ed informarci di più, che per noi Giudici non è solo un beneficio, ma anche un dovere. Anche se il futuro è per adesso ancora incerto, vista l’emergenza sanitaria non del tutto terminata, le nostre attenzioni
L’Italia, come sappiamo, detiene il primato di razze di forma e posizione arricciate
devono necessariamente guardare avanti, verso ciò che verrà, studiando e ripassando non solo il materiale già di nostra conoscenza, ma anche quel che dovremo affrontare di qui a breve, si spera. Ed ecco che abbiamo preso in mano l’individuazione e lo studio dei particolari di una nuova aspirante razza, scomponendone e analizzandone ogni sfaccettatura, tramite un commento allo standard. L’Italia, come sappiamo, detiene il primato di razze di forma e posizione arricciate e questo per noi allevatori e Giudici F.O.I. è sempre un grande orgoglio. Dopo aver visto diventar razza alcune nuove creazioni, come il recente Rogetto, già riconosciuto a livello internazionale, o il Benacus, già presente nelle nostre mostre nazionali da almeno 3 anni, adesso l’Italia torna in prima linea e propone sul tavolo dell’ornitofilia una nuova “carta da giocare” che, si spera, con i dovuti tempi, prenderà il suo posto nel piccolo universo dei canarini arricciati ufficialmente riconosciuti. Stiamo parlando del TorZuino, ovviamente, quel piccolo grazioso arricciato che si distingue da ogni altro per numerose peculiarità che andremo ad esaminare in questo testo.
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“Ma questo è un Fiorino di posizione!” esclamarono spontaneamente alcuni amici “fiorinisti” osservando i TorZuini esposti fuori concorso al 49° Campionato Italiano di Cesena 2014. In un certo senso non è un’affermazione totalmente errata, visto e considerato che il Fiorino è sicuramente la razza determinante per la creazione di questo nuovo arricciato... ma, come vedremo, è troppo semplicistico sintetizzare con questa frase così tante differenze tra la piccola “scultura vivente” fiorentina e questa nuova ambiziosa piccola opera, da cui si evince una miscellanea di elementi anatomici tutt’altro che facile da saldare insieme. Tralasciando tutto ciò che riguarda la sua storia e la sua origine, nozioni seppur molto interessanti, ma già note a tutti grazie all’articolo di presentazione (pubblicato qualche anno fa sulla rivista Italia Ornitologica e facilmente rintracciabile anche in rete) dell’allevatore Valter Pittini, il quale, insieme ad altri colleghi allevatori d’esperienza, si è cimentato nella selezione del TorZuino, ci concentreremo invece su ciò che è più importante per noi “puri esteti”, ossia il fenotipo da ricercare,
TorZuino testa liscia melanico pezzato
l’espressione visiva del genotipo, le caratteristiche di tipicità che contraddistinguono questa inedita tipologia di arricciato, quei connotati che fanno del TorZuino una vera nuova razza e non un’insulsa fotocopia di altre già esistenti. Cerchiamo di stilare un’analisi della sua identità, commentando il suo standard, presentato ufficialmente nel 2018. Qual è la principale novità di questa razza? Innanzitutto, possiamo affermare che si tratta del più piccolo arricciato di posizione: con i suoi 13 cm di lunghezza ha soppiantato il Gibber, che fino ad oggi, tra le razze di posizione, era di gran lunga quello di dimensioni più ridotte. Il TorZuino, quindi, si inserisce tra gli arricciati di taglia leggera, alla pari del Fiorino e del Mehringer come lunghezza, con la differenza che questi ultimi sono arricciati di forma e non di posizione. Lo stesso Benacus, recentemente divenuto razza nazionale a tutti gli effetti, presenta 16 cm di taglia, quindi lo supera di 3 cm. Quando la taglia è così ridotta, deve inevitabilmente essere considerata una voce fondamentale nella scala valori, pertanto sono stati giustamente assegnati a questo connotato ben 15 punti. Quando si parla di arricciati di posizione, l’altra voce fondamentale è certamente il portamento, ossia la posizione che il soggetto deve assumere nella gabbia da esposizione. Come la maggioranza dei canarini di posizione, anche il TorZuino deve essere esposto nella gabbia “a cupola”, quella da York per intenderci, con un solo posatoio al centro in alto, di forma ovale e del diametro di 10 mm, e un altro posatoio posto in basso a lato. La gabbia è determinante per far sì che il portamento sia corretto e che il canarino possa esprimersi al meglio. Come deve essere questo portamento? Questa è un’altra peculiarità inderogabile che rende unica la razza. Deve presentarsi eretto, con il tronco in linea all’asse delle spalle; il profilo del corpo leggermente curvato per effetto del
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collo che si estende e si curva in avanti e verso l’alto, mantenendo così assoluta assenza di angolatura tra collo e spalle. Questa postura è la conseguenza della lunghezza del corpo ridotta ed in parte della predisposizione ereditata da alcune razze da cui questa è derivata. Un TorZuino che non presenta questo tipico portamento non è un TorZuino. Proprio per questo motivo, anche a questa voce è stato assegnato un valore di 15 punti, ad indicare l’elevata importanza di questo attributo. Passiamo all’ultima voce da 15 punti, la terza voce più importante per questa razza, ossia quella che riguarda la testa ed il collo. Per un neofita, di primo acchito, la testa del TorZuino può sembrare simile a quella di un Fiorino, ma diverge da essa per alcune caratteristiche strutturali, di forma. Premesso che anche in questa razza vi sono entrambe le varietà, ossia testa ciuffata e testa liscia, in quest’ultima la testa si presenta piccola e serpentina, di forma ovale, lievemente piatta, non spigolosa, con sopraccigli visibili; il becco proporzionato alla testa. Nella varietà T.C. si presenta simmetrica, compatta, che lascia intravedere l’occhio, leggermente a forma di ferro di cavallo, e che termina subito dietro l’occhio. Sulla nuca le piume del ciuffo si fondono armonicamente con le piume del collo. Quest’ultimo deve essere ben lungo e sottile, prosegue la linea del corpo. Quindi, ricapitolando: taglia, portamento, testa/collo... queste le tre voci più importanti. Già tre connotati diversi da ogni altra razza di posizione arricciata. Ci potremmo anche fermare qui per dire che ci troviamo di fronte a qualcosa di innovativo, ma le sorprese sono tutt’altro che terminate. Riprendiamo questo nostro commento dal piumaggio. Si sa che con questa voce si vanno ad analizzare le zone del corpo che non siano legate alle arricciature principali, quindi si valuterà in particolar modo l’addome, che deve essere sempre liscio, esattamente come nel Fiorino. Se un soggetto presenta arricciature nella zona addominale, quindi, come il proverbiale “colpo di vento”, dovrà essere sicuramente penalizzato.
Il piumaggio deve essere serico e leggermente meno abbondante rispetto a quello del Fiorino, altra differenza sostanziale tra queste due razze. Al piumaggio è stato abbinato un valore massimo di 10 punti. Andiamo adesso ad analizzare le tre arricciature fondamentali, partendo dallo jabot. Se non bastavano le differenze fin qui elencate, con lo jabot il TorZuino prende ancor più valore di distinzione, in quanto questo diverge in modo sostanziale da quello del Fiorino. Mentre in quest’ultimo lo jabot si presenta chiuso, nel TorZuino le due arricciature che dai lati del collo convergono verso il centro formano un piccolo vuoto che ricorda la forma di un piccolo cestino; assenti le zone nude. Anche qui quindi vi è un connotato inconfondibile. A questa voce si è attribuito un valore di 10 punti. Saltiamo per un momento l’altra voce da 10 punti, che riprenderemo in seguito, per terminare subito l’analisi delle arricciature. Vediamo le spalline/mantello, che devono essere ben proporzionate al corpo, soprattutto simmetriche e ben ripartite, ed estese su tutto il dorso. I fianchi devono presentarsi leggermente folti, sostenuti, simmetrici, ricurvi verso l’alto, quasi a fasciare le ali e fino a raggiungere le arricciature delle spalline. Ad entrambe queste voci è abbinato un valore di 5 punti. Quindi anche in questo caso vi sono delle piccole variazioni rispetto alle altre razze, che arricchiscono l’aspetto proprio del TorZuino. Altro aspetto peculiare è determinato dagli arti inferiori, zampe che devono presentarsi lunghe, tenute parallele e leggermente flesse; visibili coperte di filopiume. Valore abbinato a questa voce 10 punti. Gli ultimi 3 aspetti, ai quali è abbinato un valore di 5 punti, descrivono le ali, la coda e le condizioni generali. Tra i Giudici vi è un po’ la
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sti 3 aspetti, che comunque, se si è deciso di riportarli nello standard, debbono avere un giudizio fondato su di un’accurata osservazione. Le ali sono lunghe, ben aderenti al corpo, e combaciano per tutta la lunghezza del dorso sino a poco oltre la radice della coda. La coda è stretta, unita, proporzionata al corpo, leggermente biforcuta e portata perpendicolarmente rispetto al posatoio. Per “condizioni generali” si tiene presente lo stato di igiene e di benessere dell’animale, che deve presentarsi in ottime condizioni e pulizia, dimostrando salute e vivacità. Come in tutti gli arricciati, anche nel TorZuino sono ammesse tutte le colorazioni.
TorZuino testa ciuffata melanico pezzato
tendenza a minimizzare l’importanza effettiva di questi tre aspetti, che riteniamo essere comunque importanti e ai quali è doverosa un’attenta valutazione. Vero che le voci essenziali che forniscono l’identikit della razza sono altre, ma non bisogna mai sottovalutare que-
Qual è la procedura per il suo giudizio? Sostanzialmente lo si giudica come un qualunque arricciato di posizione, ossia si pone la gabbia in alto su un tavolo o su un piano rialzato; successivamente si cerca di sollecitare il soggetto preso in esame, con piccoli movimenti sul fondo della gabbia, aiutandosi possibilmente con una bacchetta, che permette al giudice di mantenere una certa distanza e visionare il soggetto
TorZuino testa liscia e testa ciuffata, creazione dell'allevatore Walter Pittini
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nella sua totalità e nella sua massima espressione, senza inibirlo. Buona norma è sempre procedere alla valutazione nelle ore più calde, quindi bisogna possibilmente evitare di procedere al giudizio nelle prime ore del mattino, dando così modo ai soggetti di assumere tranquillamente la tipica postura. Si leggono spesso, soprattutto sui social network, opinioni contrastanti riguardo alla creazione di nuove razze. È vero, vi sono stati anche episodi in passato fondati su idee bizzarre di voler creare a tutti i costi una nuova tipologia di canarino, molte volte solo per una futile ricerca di notorietà personale, ma tali tentativi vengono inevitabilmente fermati se alla base di certe selezioni non vi è un obiettivo finalizzato all’ottenimento di una novità e non di un “copia incolla” di tratti morfologici già esistenti e già fissati da decenni. Quando si ha l’aspirazione di tentare l’ardua scalata verso il fissaggio genetico di nuovi tratti anatomici bisogna mettere in conto tre fattori: 1) il tempo: per creare una nuova razza servono anni di dedizione. 2) la distinzione: è fondamentale creare un qualcosa che diverge da ciò che già abbiamo, canoni di riconoscimento dei singoli elementi di tipicità. 3) lo scopo: bisogna aver chiaro il fine ultimo e quindi dove si vuole arrivare con la selezione. Analizzando il TorZuino, la sua storia, la sua morfologia, ed osservando dal vivo i soggetti presentati in passato, possiamo dire senza ombra di dubbio che i suddetti tre fattori sono stati ampiamente rispettati e soddisfatti. Siamo pertanto tutti testimoni della genesi di una nuova razza. L’Italia si rinnova, quindi... e ancora una volta continua a sorprendere. Il TorZuino sarà senza ombra di dubbio un valore aggiunto al panorama delle razze arricciate: un altro motivo d’orgoglio per noi ornitofili italiani. Attendiamo ansiosamente di vedere questo nuovo piccolo canarino friulano, che vien dalla Tor di Zuin, quanto prima sul palcoscenico delle nostre mostre.
CRONACA
Il volo libero
Questo periodo di lockdown mi ha dato tempo di riflettere
di MAURIZIO BAVARESCO, foto FEDERICA SCLIPPA
S
alve a tutti, sono Maurizio Bavaresco, Presidente dell’Associazione Ornitologica della Marca Trevigiana. Nel settore dell’allevamento non si può mai stare fermi a guardare. Questo periodo di lockdown, dettato dalla necessità di sopravvivere al Covid-19, mi ha dato tempo e modo di riflettere su quello che sta accadendo intorno a noi. Il mondo dei pappagalli è in fermento: tante novità stanno nascendo e finalmente si stanno facendo strada anche in Italia. Bisogna essere curiosi per imparare e l’associazione Ornitologica della Marca Trevigiana da sempre spicca per i grandi risultati ottenuti nel settore ornitologico italiano, soprattutto grazie al suo spirito innovativo e intraprendente. È noto che dallo studio dell’etologia di questi
animali si impari moltissimo e sicuramente, una volta portate queste acquisizioni in voliera, esse danno i risultati migliori. Fortemente convinto che creare un ambiente il più possibile affine al loro habitat naturale stimoli la riproduzione e un corretto accrescimento genitoriale, ho iniziato a chiedermi cos’altro avrei potuto fare per migliorarmi. Mi guardavo in giro, annoiato in quei giorni di lockdown, cercando idee, senza accorgermi che in Italia stava nascendo qualcosa di sensazionale: il volo in ambiente naturale dei pappagalli. Questa iniziativa si è concretizzata grazie alla collega Chiara Alessandrini, da sempre associata alla F.O.I. e proprietaria dell’allevamento “PASSIONE PAPPAGALLI” e grazie al mio stimatis-
Alessandra Mauti, socio fondatore e trainer dell'associazione
Luciano de Angelis, Chiara Alessandrini ed Enzo Salvi
Il presidente Chiara Alessandrini e il vice presidente Enzo Salvi con i loro pappagalli Xena (Ara militaris) e Fly (Ara ararauna)
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Fly, Ara ararauna di Enzo Salvi
simo amico, l’attore Enzo Salvi, con la creazione della prima scuola in Italia per vivere l'ambiente naturale (anche in volo). Questa scuola è coadiuvata dalla dott.ssa Sara Mainardi, naturalista e consulente di etologia applicata alla relazione uomo-animale con cui da anni anche l’Associazione Ornitologica Marca Trevigiana e Gran Galà di Pappagalli collaborano, data la sua esperienza e professionalità. Guardando sulle pagine social del team di collaboratori dell’associazione Passione Pappagalli Free Flight, che vantano attestati di formazione sui metodi di training e di free flight con Susan Friedman e Chris Biro, sono rimasto incuriosito e affascinato dai video di stormi di pappagalli che volavano liberi. Non ho visto solo pappagalli che eseguivano un esercizio di volo da e verso un trespolo, ma persone che uscivano
Sono rimasto incuriosito e affascinato dai video di stormi di pappagalli che volavano liberi
con i pappagalli in spalla, senza timore di vederli volare via ma serene di fronte a questa possibilità. La prima domanda che mi sono posto è stata: torneranno? Nelle location più disparate, vallate, boschi o zone urbane, tutti i pappagalli rientravano sulle spalle di queste persone. Poi mi sono chiesto se volassero per ottenere una ricompensa, ma vedendoli tornare era chiaro che non fossero concentrati sul cibo ma che fossero mossi dalla gratificazione sociale. Ho visto pappagalli volteggiare, attaccati da corvi o gab-
Marco De Pascalis, Chiara Alesandrini e Luciano de Angelis con un esemplare di Cacatua delle Molucche, un'Ara militaris e un'Ara ararauna
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biani, sparire per minuti interi e ricomparire da tutt’altra direzione, uscire dalla voliera la mattina e rientrare al crepuscolo, tutti sporchi di frutti rossi di cui si erano cibati. Chiara e la sua collaboratrice Alessandra Mauti, in una splendida giornata trascorsa con i loro pappagalli completamente liberi, mi hanno raccontato il loro mondo e spiegato come fosse possibile tutto ciò. Citando la dott.ssa Sara Mainardi, mi hanno spiegato che il volo libero è un’espressione di personalità e che il pappagallo ha una scelta: stare o andare. Affermare che insegnano ai pappagalli a volare sarebbe la cosa più assurda che si potrebbe dire, e infatti non lo fanno! Il pappagallo invola per istinto, incentivato dai genitori; l’unica cosa che Chiara Alessandrini e il suo team fanno è seguirne la natura, assecondarne la propensione alla vita di stormo e instaurare con loro un vero
Alessandra Mauti, socio fondatore e trainer, con Grace la sua ara libera di volare
e proprio rapporto di fiducia e collaborazione, per diventare qualcuno da cui tornare! Tutto ciò va fatto rispettando le fasi di sviluppo psicofisico del pappagallo e mettendo in atto una serie di percorsi educativi che non trascurino la componente umana ed emotiva della persona, né la soggettività dell’animale. I rischi ci sono nel volo in ambiente naturale, il gruppo lo sa, lo fa presente e cerca la migliore strategia per fornire agli animali capacità decisionali e di adattamento. Di sicuro volare per loro vuol dire vivere fino in fondo le proprie caratteristiche etologiche e ora si ha la possibilità di affrontare il cielo e la foresta italiana più in sicurezza. La scuola di volo ideata da Passione Pappagalli Free Flight è pensata e strutturata sulla base delle esperienze e le competenze di queste donne, facendo sì che il pappagallo sia seguito in primis dalla dott.ssa Mainardi per favorire la relazione in quanto fondamento dell’approccio utilizzato, per apprendere le basi di animal learning e la loro etologia. Cosa penso di tutto questo è semplice: nasco, cresco e vivrò come un allevatore, ma tutto quello che faccio è spinto dall’amore e dal rispetto che nutro per questi animali meravigliosi. Dopo aver dedicato tanto tempo e passione alle mie coppie affinché la loro prole fosse L’attore Enzo Salvi e la sua Fly con Marco De Pascalis
Luciano De Angelis
Nasco, cresco e vivrò come un allevatore, tutto quello che faccio è spinto dall’amore e dal rispetto per questi animali meravigliosi
sana e dalle caratteristiche uniche, mi rincuora sapere che potranno continuare a vivere sempre di più la libertà. Vedere un giorno uno stormo dei miei pappagalli in volo sarebbe il mio successo più grande e non nascondo che avere delle coppie che vivano completamente libere di andare e tornare nelle mie voliere è un altro mio progetto per il futuro. Chiara Alessandrini, presidente dell’Associazione
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CANARINI DA CANTO
Il “borbottio” estivo degli Harzer Roller testo e foto di MICHELE MARIELLA
C
oncluso il periodo riproduttivo, i mesi di luglio ed agosto scorrono con una certa tranquillità. Una delle cose importanti da fare adesso è quella di separare i maschi novelli dal resto dell’allevamento. Non sempre tale operazione è possibile, soprattutto per questioni di spazio, ma tale accortezza ha sicuramente la sua importanza. Altra cosa che desta qualche difficoltà è l’individuazione dei soggetti maschi, che diventa semplice se si tratta di maschi intensi, mentre se il soggetto è brinato il tutto si complica. Infatti, molte volte si compie l’errore di ingabbiare le femmine tra i maschi e viceversa. A settembre si fa sul serio. Ogni allevatore di Harz, ma anche di altre razze da canto, inizia ad ascoltare le prime note quasi complete, con tratti di canzone abbozzata, in seguito stimolata e resa
Allevamento Cosimo Leoci
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migliore dall’accesa competizione che si crea tra i giovani. Nella fase iniziale della mia esperienza, come allevatore, non seguivo molte regole; i maschi erano nello stesso ambiente degli altri soggetti, la luce era quella diretta del sole, l’alimentazione era uguale per tutti etc. Poi, girando “in lungo e largo”, ma soprattutto “in lungo”, data la conformazione della nostra penisola, ho appreso molti concetti che un po’ alla volta ho adottato nel mio allevamento. La svolta però è avvenuta nei miei viaggi in Germania, dove ho avuto modo di appurare quanto fossero diversi sia i metodi che la strutturazione dell’allevamento (soprattutto riguardo le voliere) Tutto era “mega”! La cosa che più di tutte ha catturato la mia attenzione è stata la disposizione dei posatoi, sia quelli lunghi, posti in una sorta di scaletta, sia quelli a parete. Allevamento Michele Mariella
Quelli a parete sono utilizzati per dare tranquillità ai maschi, che si appartano per cantare; gli altri, invece, permettono ai soggetti di volare dal basso verso l’alto, dando loro, così, la possibilità di irrobustire il petto, necessario per una buona “performance” canora. Altro elemento fondamentale è l’intensità della luce. Durante questo periodo i maschi hanno bisogno di tranquillità e di penombra; quest’ultima la si può creare apponendo tende oscuranti alle finestre. Questi accorgimenti contribuiscono a rendere i maschi meno litigiosi, quindi più tranquilli e propensi alla prima fase dei loro studi, una sorta di “colonia estiva per bambini”. Nel corso del tempo ho potuto constatare che i maschi Harz studiano dapprima alcune note, tralasciandone altre, le quali vengono riprese successi-
vamente. Una di queste (parlo sempre del mio ceppo) è la Knorren. Infatti, questa nota si percepisce all’inizio, nel periodo prettamente estivo, trascurata però a tutto vantaggio di un’altra nota fondamentale, la Holrollen. Magicamente, verso fine ottobre ricompare prepotentemente, migliorando sempre di più nei mesi invernali. Stessa cosa succede nei tour intermedi Holklingel e Pfeifen. Inizialmente si sentono le Pfeifen, le quali subiranno una ripresa dello studio in seguito, mentre le Holklingel la faranno Immagine di repertorio da padrone. Altra nota che compare nella Pochi soggetti riescono a mantenerla fase iniziale (bellissima e affascinante) è nella propria canzone; sicuramente i più la Shockeln. Tutti la cercano, ma nessuno dotati, quelli che hanno forza da riesce a fissarla. La si ascolta quando i vendere, in quanto l’emissione di questa maschi vengono alloggiati nelle gabbie nota comporta un notevole sforzo fisico. scuola, per poi sparire quando la Secondo il mio parere, la migliore forma canzone inizia la fase di maturazione.
emessa da un soggetto è al termine della canzone. Quasi sempre, un allevatore o un giudice si aspetta che, concluso il tour con una bella Pfeifen cadenzata e profonda, fatta con consonante D e vocale U, del tipo DUU DUU DUU, il canarino abbia terminato il fiato. Invece no! Meravigliosamente tira fuori tutte le forze rimaste per emettere quasi sempre una Shockeln, ancora più profonda della Pfeifen, del tipo HU HU HU, una risata un po’ triste di valore assoluto. Petto e gola si fondono all’unisono. Tra fine settembre e la prima decade di ottobre, dipende dal caldo e dalla muta, i giovani vengono posti definitivamente a scuola. Ora inizia la parte più bella ma anche la più difficile dell’anno. Bisogna fare molta attenzione ad eventuali difetti canori (note imprecise, richiami imparati e note poco gradite). Di questo, però, parleremo un’altra volta.
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DIDATTICA & CULTURA
Il collezionismo ornitologico
Prima parte
Introduzione: le raccolte in generale testo e foto di FRANCESCO BADALAMENTI
I
l collezionismo è un hobby che consiste nel raccogliere oggetti di un determinato tipo, accomunati per tipologia o legati da un medesimo filo conduttore, oppure rappresentativi di una stessa epoca o ancora che riconducono a un medesimo comparto, settore, ecc. L’insieme degli oggetti raccolti costituisce appunto la collezione, che potrà essere ordinata in maniera sistematica, oppure potrà essere esposta in modo più o meno attrattivo; ancora, potrà essere catalogata e contenuta in raccoglitori, album, mensole, espositori, esposta in musei, ecc. Le collezioni potranno essere del tutto
generiche (ad esempio monete) ovvero potranno essere focalizzate su di un particolare aspetto di un’area più ampia, potranno essere di interesse diffuso o collezioni di nicchia; insomma,
Locandina Campionato Italiano Ornitologia, Monza 1967
Locandina Campionato Italiano Ornitologia, Gaglianico (BI) 1984
Il progresso tecnologico degli ultimi decenni ha radicalmente modificato il sistema di raccogliere
Foto vintage che ritrae il “rude” mediano Romeo Benetti (classe 1945), calciatore di Palermo, Milan, Juventus e della Nazionale. In campo era un vero duro, spesso ricordato come un guerriero mai domo, gli amici lo descrivono come un uomo simpatico e sensibile, ma dal carattere schivo e taciturno. Nella metà degli anni ’70 allevava Canarini Arricciati ed è stato iscritto all’Associazione Orn. Atesini di Bolzano (RNA C282). Benetti, oggi 75 anni, in occasione di un’intervista rilasciata a “La Repubblica” circa un decennio addietro, dichiarava: «Era una passione di famiglia, i miei avevano un paio di uccellini. Ho anche partecipato a un concorso, vincendolo, ma solo per le insistenze di un amico». Alleva ancora canarini? «No, nella mia vita ho compiuto 16 traslochi di casa e a un certo punto ho dovuto rinunciare». Cosa la affascinava di quegli animali? «Quando giocavo a calcio c'erano poche distrazioni. I canarini erano allegri, avevano un bel canto; osservarli e nutrirli era un passatempo semplice, autentico, col sapore di altri tempi».
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il settore del collezionismo è davvero vasto e potrà essere affrontato in maniera professionale o amatoriale. Nei settori più comuni e diffusi del collezionismo vi sono anche i commercianti specializzati, che possibilmente hanno iniziato come collezionisti, trasformando poi l’ hobby in una vera e propria attività lavorativa.
Scheda telefonica SIP della fine degli anni ’80 (ancora magnetizzata), sponsorizzata dall’Associazione Padovana Ornicoltori con in omaggio n. 10 scatti
Il termine collezionismo viene dal latino collìgere che significa riunire
Il progresso tecnologico degli ultimi decenni ha radicalmente modificato il sistema di raccogliere, o meglio, di collezionare oggetti; le tecniche di comunicazione si sono evolute e ampliate, consentendo di mettere in contatto in un breve attimo persone che si trovano ai poli opposti della terra, di raggiungere ampie quote di popolazione, di consentire rapidi scambi e compravendite intercontinentali. I mercatini e le esposizioni specializzate continuano, tuttavia, a mantenere il loro fascino, così come gli incontri diretti con persone con cui socializzare e condividere esperienze concernenti il medesimo hobby collezionistico. Il termine collezionismo (viene dal latino collìgere, che significa riunire) potrebbe essere definito come la passione di riunire materiale appartenente a un medesimo e determinato ambito; ecco che allora l’espressione da me utilizzata nel testo di questo articolo, “Collezionismo Ornitologico”, rappresenta
Piccola collezione di fischietti da richiamo che imitano il canto di diverse specie di uccelli, fonte: Rete Italiana di Cultura Popolare
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la raccolta di oggetti di qualsiasi genere e tipologia, purché uniti e collegati dalla passione per l’ornitofilia. Oggetti che dal punto di vista degli elementi intrinseci possono anche presentare caratteristiche importanti per aspetti artistici, storici, antropologici, naturalistici. Pur trattandosi di un collezionismo di nicchia e tematico, quello ornitologico può essere definito un collezionismo eclettico, poiché abbraccia differenti sezioni; tra queste, solo per fare alcuni esempi: - Cartaceo: nel nostro comparto potrà essere costituito dalle locandine e dai poster delle Mostre Ornitologiche organizzate in varie epoche, dai dépliant e dai Programmi-Regolamento Mostra, da adesivi, dalle tessere associative, da libretti e vademecum, da fotografie d’epoca, da lettere e documenti antichi e da ogni altro tipo di materiale di carta; - Filatelico: rappresentato da francobolli singoli, da serie tematiche, da marcofilia con annulli filatelici speciali, da buste primo giorno di emissione, da cartoline postali, da cartoline viaggiate o commemorative, da emissioni erinnofile; - Artistico: stampe antiche, vecchie incisioni, disegni, quadri, statuette, modelli in ceramica o porcellana, piatti da parete, in sintesi tutto ciò che potrebbe essere in una parola definito come un collezionismo “d’élite” e raffinato; - Editoriale: comprendente libri, compendi, edizioni antiche, rare e pregiate, riviste di settore, bollettini e periodici delle Associazioni Ornitologiche e dei Club di Specializzazione; - Decorativo: per il nostro settore potrebbe prevalentemente riguardare spille, distintivi, medaglie artistiche, placche commemorative, magneti, targhe, trofei e altre decorazioni in genere; - Naturalistico: comprende la tassidermia, soggetti imbalsamati e piccoli diorama di avifauna, nidi, uova non schiuse, penne (normalmente queste collezioni sono esposte in strutture e spazi museali e culturali); - Tradizioni popolari: gabbie an-
tiche, da esposizione, da allevamento, da trasporto, ma anche fischietti per il richiamo degli uccelli, in terracotta o in legno (proprio una collezione inerente quest’ultimi oggetti è stata posta in vendita tramite le edicole, circa una decina di anni addietro, dalla Edizioni Hachette, nota azienda specializzata nelle raccolte a fascicoli);
“Collezionismo Ornitologico”, rappresenta la raccolta di oggetti di qualsiasi genere e tipologia, purché uniti e collegati dalla passione per l’ornitofilia
A sinistra: cravatte della Federazione Ornicoltori Italiani, realizzate in occasione dell’organizzazione di importanti eventi ornitologici. A destra: cravatta a tema ornitologico
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- Articoli per fumatori: e C.O.M. fortemente voluta scatole di fiammiferi, acdal Presidente Salvatore cendini e le famose figuriCirmi e che si trova all’interne britanniche abbinate no della sede della Federaalla vendita di pacchetti di zione. sigarette. Al riguardo, chi Affissa alle pareti delle due lo desidera potrà andare a rampe di scale che dal piano rileggere un mio articolo terra portano agli uffici, vi è pubblicato su questa stesinfatti una importante e unisa rivista, n. 3 del 2009, ca collezione di posters avente per titolo “Una colincorniciati dei Campionati lezione ornitologica di Italiani di Ornitologia e di cigarette cards”; altre importanti manifesta- Oggettistica varia: zioni Ornitologiche Mondiali gagliardetti, bandiere, e Internazionali, dalle primiscoccarde, nastri, crest in sime edizioni sino a quelle legno, portachiavi, ecc. più recenti. Si potrebbe continuare anProprio Salvatore aveva un cora con altre differenti innato interesse collezionisezioni: figurine, scatole di stico per cartoline, distinlatta, boccali, gadget, crativi, trofei, gagliardetti e vatte e molto altro ancora, Scatola vintage (anni ’60) per pomata/antiparassitario per le zampe; produzione Spagnola: molto altro materiale e giacché il collezionismo non “Canarsan” oggetti vari che, raccolti nel si pone limiti di sorta. corso di una vita dedicata Alcune collezioni non sono alla passione per l’ornitologettoni nelle cabine SIP fino agli anni più sviluppabili con nuove acquisizioni gia, fanno bella mostra di sé presso la ’90. Chi non le ricorda? Anche se e articoli, poiché strettamente legate nostra sede sociale di Piacenza, dove appartengono a un passato che appaa oggetti appartenuti alla storia di un ovviamente la massima espressione è re ormai lontanissimo. determinato periodo e che superati rappresentata dal Museo F.O.I. Altre raccolte possono essere dedal progresso tecnologico, non esiAutorevoli autori sostengono, del finite irripetibili, come ad esempio la stono più di nuova produzione. È ad resto, che “il collezionismo si rivela splendida collezione di locandine e esempio il caso delle carte telefocome matrice dello sviluppo dei poster di Mostre Ornitologiche F.O.I. niche, che si utilizzavano al posto dei musei e delle mostre a carattere pubblico”, oltre che come importante strumento per la comunicazione. Cravattino "a farfalla" a tema ornitologico Gli oggetti oggi diventati da collezione raccontano la loro storia, hanno un vissuto, portano il ricordo e le sensazioni di nostalgia che spesso accompagnano il passato. Talvolta, gli oggetti da collezione servono a non dimenticare fatti, eventi, amici e persone. Concludendo, se il Comitato di Redazione di Italia Ornitologica lo riterrà opportuno, tornerò a scrivere su queste pagine sullo stesso tema, con una serie di altri brevi articoli sul collezionismo, spero accompagnati da numerose foto; non sarà una vera e propria rubrica, ma piuttosto una rassegna fotografica commentata. Invito, quindi, chiunque volesse contribuire con foto di propri oggetti di interesse collezionistico a trasmetterle al seguente indirizzo di posta elettronica: badalamenti@foi.it
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Questo mese, il protagonista di Photo Show è: FABIO MACCHIONI – RNA 12CH con la fotografia che ritrae il soggetto “Lizard Argentato Calotta Mancante” Complimenti dalla Redazione!
• Invitiamo tutti gli allevatori a inviare foto di soggetti provenienti dai propri allevamenti, con descrizione della specie, razza e mutazione, all’indirizzo: redazione@foi.it
• All’autore della foto mensilmente prescelta da un comitato interno, verrà offerto in omaggio un libro edito dalla FOI in base alla preferenza e alla disponibilità.
(*) Tutte le foto inviate, anche quelle non pubblicate, rimarranno a disposizione della FOI a titolo gratuito e potranno essere utilizzate, senza alcun limite o vincolo temporale, per pubblicazioni, iniziative e scopi promozionali della Federazione
ALIMENTAZIONE
Le giuggiole (Ziziphus jujuba)
Dal quaderno dei miei appunti orto-ornitofili e non solo
Un frutto delizioso con innumerevoli benefici e proprietà medicinali testo e foto di PIERLUIGI MENGACCI
E lo spinoso e vil, dal vulgo offeso giuggiol negletto, che salubre forse più che grato sapor nel frutto porta… (Luigi Alamanni (XVI secolo), Della coltivazione, Libro I: Lavori di Primavera) Premessa Un andirivieni di Storni striduli sui fili dell’alta tensione che fiancheggia il mio giardino attira la mia attenzione. Vanno e vengono: chissà che intenzioni hanno! Ho appena finito di rasare il prato e sistemati gli attrezzi, vado a sedermi sotto il portico per riposarmi e dissetarmi. È un sabato pomeriggio di metà ottobre, bella giornata, e quel via vai di storni mi incuriosisce sempre più e non mi lascia tranquillo. L’Azzeruolo, il Sorbo e la pianticella del giuggiolo si trovano lì vicino e sono pieni di frutti quasi maturi. - Sta’ a vedere … - dico fra me e me - sicuramente vanno a “visitare” le piante da frutto e, se non li spavento, faranno piazza pulita! Vado giù. Appena mi avvicino, gli Storni sui fili notano la mia presenza e con dei fischi striduli svolazzano via richiamando anche quelli che si erano avventurati sulle piante. Sbatto le mani ed è un fuggi fuggi starnazzante. - Accidenti agli Storni! Non bastano Merli, Tortore, Passeri ed altri uccelli… anche questi adesso! Dovrò fare qualcosa per spaventarli! Ora
sono stanco ed è quasi buio, lo farò domattina-. Allontanandomi, faccio una sosta nell’orticello lì vicino per rivedere le “porche di terreno”, predisposte per piantare fave, piselli, cipolle, aglio e scalogno ed ecco nuovamente gli storni sui fili dell’alta tensione. – “Ma guardali… dovrò passare tutta la serata a spaventarli!?! Ormai sta imbrunendo, se ne andranno a dormire!” - Gli Storni, ad un certo punto, come se mi avessero ascoltato, si tuffano su alcune querce poco
lontane ed iniziano, schiamazzando, il rituale del dormiveglia, che aumenta ogniqualvolta un ritardatario si aggiunge al gruppo. È quasi notte; lo schiamazzo degli Storni si affievolisce, ed eccoti le urla di mia moglie: Gigi… sei sordo?! È più di mezz’ora che ti chiamo! Non vedi che è buio? La cena è ormai fredda! - Durante la cena spiego a mia moglie che il ritardo era dovuto agli “ingordi Storni”, e lei: - Te l’avevo già detto che dovevi fare qualcosa, altrimenti non riusciamo nem-
Giuggiolo con frutti nel giardino dell'autore
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Vassoio con Giuggiole
meno a fare un barattolino di marmellata… e ancora non l’hai fatto.” – Interrompo il suo rimbrotto per non
L’autore durante la raccolta
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entrare in inutili discussioni e le dico che l’indomani mattina avrei provveduto. Il giorno dopo (domenica mattina) appendo alcuni fogli di carta stagnola sui rami di ogni alberello, nella speranza che siano utili ad allontanare non solo i tordi, ma anche gli altri uccelli usi a “frequentare” giardino ed orto. Sistemati i fogli, raccolgo alcuni frutti più maturi, ne assaggio un paio di ogni tipo e mi dico: - Gigi, fra qualche giorno dovrai raccogliere le giuggiole e le “Mombrièl” (così sono chiamate le Azzeruole nel mio paese), altrimenti quelli lì faranno veramente “piazza pulita”, mentre le poche sorbe rimaste a maturare sui rami possono ancora aspettare.- Finita l’operazione, mi reco nella stanza dei canarini con alcuni frutti raccolti nelle tasche del grembiule e, nel posarli, prima di dedicarmi alle pulizie settimanali, mi prende la voglia di darne alcuni ai canarini: - Chissà se li gradiranno - penso fra me e me - merli, tortore e adesso anche gli storni, ne sono ghiotti, quindi… Il detto “provare per credere” lo faccio subito mio. Ed ecco che con due giuggiole, due Azzeruole e due Sorbe
inizio la confezione del mio Cocktail di frutta. Privati dei loro semi, li sminuzzo nel frullatore e, mescolati ad un cucchiaio abbondante di pastoncino secco, metto l’impasto così ottenuto (poco più di due cucchiai) in una mangiatoia a disposizione di 10 canarini che ho in una volieretta da cm 120. Nel pomeriggio, verso le 17, prima di recarmi al palasport a vedere la partita di Basket, torno a controllare: la mangiatoia è pulita!- Però… li hanno graditi.- mi dico, e, contento e soddisfatto, parto per Pesaro assieme a mia moglie che, impaziente, mi aspettava in macchina. Attendo alcuni giorni prima di ripetere l’esperimento, non si sa mai… Verificato che i canarini si comportano normalmente, non hanno atteggiamenti o segni che diano adito a qualche insofferenza, ripropongo il “cocktail” con gli stessi ingredienti e nelle stesse proporzioni, anche agli altri canarini. Questa premessa per dire come un semplice e fortuito incontro di un piccolo stormo di ingordi Storni sia stata l’occasione per far “gustare” anche ai miei canarini le delizie che la natura ci riserva e nel contempo lo stimolo a raccontare le mie “avventure” (per così dire) di “orto-ornitofilo”, redigendo un articolo su questi piccoli e deliziosi frutti antichi dimenticati, ricchi di innumerevoli benefici e proprietà salutistiche. Cenni storico-botanici e curiosità varie L’albero del giuggiolo, di cui le giuggiole sono il frutto, appartiene alla famiglia delle Rhamnaceae, genere Ziziphus. Si presume che la sua origine sia l’Estremo Oriente. È conosciuto anche con il nome di dattero cinese a seguito della sua diffusione in Cina. Il giuggiolo può essere coltivato ad albero o ad arbusto ed è una latifoglia caduca con foglie di un verde chiaro brillante e arrotondate. È una pianta molto articolata, con rami contorti e spinosi e con corteccia che si sfalda. Le sue radici vanno molto in profondità così può resistere a periodi di siccità e grande caldo. I fiori, di colore bianco-verde, riuniti in racemi con 4/5 petali, sbocciano nei mesi di giugno-
luglio ed i frutti maturano a fine settembre e per tutto ottobre. Essi sono delle drupe di dimensioni più o meno di un’oliva con buccia di colore verde, quando non sono mature; dal rosso porpora al bruno rossastro e polpa giallastra in maturazione. La giuggiola non ancora maturata completamente ha il sapore assimilabile ad una mela; con il procedere della maturazione, il frutto diventa marrone, la superficie si fa rugosa ed il sapore diviene sempre più dolce, fino ad assomigliare a quello di un dattero. Storicamente le giuggiole erano conosciute da Egizi, Fenici e Greci non solo come frutto ma anche per la confezione di sostanze alcooliche. Erodoto, storico greco antico, paragona la giuggiola al dattero, descrivendo il fatto che dalla sua polpa venisse estratto un vino inebriante. Dalle mie reminiscenze ginnasiali, ricordo che anche Omero cita la giuggiola nel IX libro dell’Odissea, quando Ulisse giunge nell’isola dei Lotofagi e alcuni dei suoi uomini, una volta sbarcati per esplorare l’isola, si lasciarono tentare da un frutto magico che fece loro dimenticare mogli, famiglie e la nostalgia di casa. Per gli antichi romani il giuggiolo era il simbolo del silenzio ed era piantato in prossimità dei templi. In alcuni paesi asiatici, alcune leggende raccontano che il profumo degli alberi di giuggiole facesse innamorare le persone, pertanto queste piante venivano strettamente custodite e sorvegliate. Nel Medioevo le giuggiole vennero rivalutate grazie al famoso (anche al giorno d’oggi) brodo di giuggiole: un liquore dolce molto buono, che veniva definito “elisir di felicità”. Da allora è nato il detto: andare in brodo di giuggiole, vale a dire gongolare di gioia, andare in solluchero, avere uno stato d’animo di grande soddisfazione e godimento. Nelle case coloniche della mia zona ed in Romagna, il giuggiolo era coltivato adiacente alla casa, nella parete esposta a sud e più riparata, in quanto ritenuto pianta porta fortuna. Visitando gli orti che l’Amministrazione Comunale di Pesaro ha messo a disposizione dei cittadini alla peri-
Uccelli sui fili elettrici
feria della città (Villa Fastiggi), per carpire qualche segreto colturale ed anche per acquistare qualche uovo fresco per i miei nipotini Niccolò e Federico, ho notato che molti assegnatari hanno messo a dimora un giuggiolo ed un fico nella parte più solatia dell’appezzamento di terreno, generalmente vicino all’ingresso del lotto. Siamo a fine ottobre e le pianticelle hanno ancora dei frutti maturi che pendono sui rami. Parlando con gli ortolani, ho avuto conferma che il giuggiolo è tutt’ora considerato una pianta portafortuna e così quasi tutti ne hanno piantato uno. Inoltre, mi ha colpito quanto sia stata ingegnosa ed utile l’idea di lasciare alcuni frutti sui rami sia del giuggiolo che del fico. Alla mia domanda sul perché quei frutti maturi fossero ancora sui rami, questa è stata la risposta generale: Ci sono molti Storni ed uccelli selvatici… se vanno a cibarsi sulle piante non fanno danni alle altre colture dell’orto, e per i frutti che cadono in terra ci sono le galline.- Anche qui cade a fagiolo il proverbio: “Contadino, scarpe grosse e cervello fino”.
Dopo questa breve dissertazione, vediamo le proprietà di questo delizioso frutto.
Composta di Giuggiole
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Valori nutrizionali Fonte: U.S. Department of Agriculture, Agricultural Research Service. 20
Nutrienti principali per 100 gr. di parte edibileHe Acqua
77.86
g
Calorie
79
kcal
Proteine
1.2
g
Grassi
0.2
g
Ceneri
0.51
g
Carboidrati
20.23
g di cui zuccheri 5,4 g
Carboidrati Minerali Calcio
21
mg
Ferro
0.48
mg
10
mg
Magnesio Fosforo
23
mg
Potassio
250
mg
Sodio
3
mg
Zinco
0.05
mg
Rame
0.073
mg
0.084
mg
Manganese
Vitamine Vitamina C (acido ascorbico)
69
mg
115 % RDA
Tiamina (vitamina B1)
0.02
mg
1,4 % RDA
Riboflavina (vitamina B2)
0.04
mg
2,5 % RDA
Niacina (vitamina B3 o PP)
0.9
mg
5 % RDA
0.081
mg
4,1 % RDA
Piridossina (vitamina B6) Vitamina B12
0
Vitamina A (RAE)
2
μg μg
0,3 % RDA
Retinolo
0
μg
Vitamina A, IU
40
IU
Lipidi Colesterolo
0
mg
Fitosteroli
Proprietà e benefici Questo frutto autunnale quasi “dimenticato” è considerato uno dei più utili per la salute. I nutrienti principali della giuggiola, elencati nella tabellina su riportata, ci dimostrano in modo inconfondibile che è un frutto ricco di minerali e vitamine, che apportano grandi benefici all’organismo. Inoltre, la giuggiola contiene ben 18 dei 24 aminoacidi che sono necessari per il corretto funzionamento del corpo umano. La presenza di queste preziose sostanze conferisce a questo frutto importanti proprietà, sfruttate da sempre in campo fitoterapico e nella medicina
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omeopatica. Ecco alcune principali proprietà nutraceutiche che, a mio avviso, possono essere utili anche nell’alimentazione dei nostri volatili. La giuggiola è un’ottima fonte di antiossidanti e soprattutto quando sono ancora acerbe ne sono particolarmente ricche e contengono in particolare sostanze (polifenoli) che hanno effetti positivi sulla salute umana. Grazie al contenuto di vitamina C, che è di ben 20 volte superiore a quello degli agrumi, contribuisce a neutralizzare l’azione dei radicali liberi che possono causare malattie croniche e altre patologie. Oltre a questi benefici, la vitamina C è in grado di rafforzare il sistema immunitario e rendere l’organismo più forte di fronte agli attacchi di virus e batteri. Un consumo regolare di giuggiole, data la presenza di ottime quantità di fosforo, ferro, calcio e potassio, è molto importante per migliorare e rafforzare la salute delle ossa con effetti positivi, anche con l’avanzare dell’età, nella prevenzione dell’osteoporosi. Ferro e fosforo sono altresì componenti essenziali dei globuli rossi e l’apporto di questi nutrienti migliora la circolazione sanguigna e l’ossigenazione dei vari organi con benefici energetici. Il contenuto di potassio, a sua volta, è utile per il controllo della pressione sanguigna, per la salute cardiaca e per la riduzione dei crampi muscolari. Altra proprietà delle giuggiole è quella di favorire il processo digestivo grazie alla presenza di fibre e saponine che migliorano l’assorbimento dei nutrienti e favoriscono il passaggio del cibo attraverso l’apparato gastrointestinale. Infine, secondo le ultime ricerche, i composti bioattivi di questi frutti hanno mostrato una azione positiva verso la riduzione dell’attività dei radicali
liberi ed un’ottima efficacia nella prevenzione e trattamento depurativo del fegato, nei problemi alla milza ed allo stomaco e sembrano essere in grado di aumentare memoria e concentrazione. Della pianta del giuggiolo viene utilizzata anche la radice; soprattutto nella medicina popolare cinese ne viene fatto un decotto per trattare gli stati febbrili; essiccata, si ottiene una polvere che è possibile applicare su ferite, ulcere e usare come trattamento per le ustioni. I semi hanno proprietà sedative e vengono usati nel trattamento dell’insonnia, depressione e ansia, soprattutto nei paesi orientali. In cosmetica viene utilizzato l’estratto di giuggiola per l’attenuazione delle rughe, idratazione della pelle e contro le scottature solari. Fra le altre proprietà le giuggiole, se consumate con moderazione, possono essere utili per coloro che vogliono perdere peso. Mangiare giuggiole non ha controindicazioni, ma è documentato che un consumo smodato può portare all’ inibizione del desiderio sessuale e l’alto contenuto di zuccheri (vedi tabellina) se assunto in eccesso, peggiora il nostro metabolismo lipidico, favorendo quindi l’insorgenza di diverse patologie, come quelle cardiovascolari. Altra attenzione che si deve avere, come mi diceva mia nonna, è quella di non bere molta acqua dopo aver consumato molte giuggiole perché causa forti dolori addominali. Anche le foglie del giuggiolo possono essere utilizzate in potpourri assieme ad alloro, rosmarino, timo, cedro, menta, ginepro ed altre piante aromatiche per aromatizzare l’ambiente e tenere lontani gli insetti fastidiosi. Il legno, di un colore rosarossiccio, è molto apprezzato in ebanisteria e per lavori di scultura grazie alla sua durezza ed
elevato peso specifico (secco circa 900 Kg/m3). Infine, anche la ristorazione annovera fra le sue ricette molte preparazioni con le giuggiole. Ad esempio, ho apprezzato molto un primo piatto preparato da mia moglie: risotto con zucca e giuggiole, dove i sapori agrodolci si sono amalgamati in un connubio molto gradevole al palato. Marmellate, tisane ed il classico “brodo di giuggiole” non vanno dimenticati. A proposito di marmellate: quest’anno abbiamo fatto una composta che ha ottenuto “l’alto gradimento” da tutti gli amici cui ne abbiamo regalato un vasetto! A puro titolo informativo riporto quanto segue: * La direttiva del nostro Ministero della Salute (dicembre 2010), consente di inserire negli integratori alimentari le sostanze e gli estratti vegetali della pianta del giuggiolo, in particolare cita cortex, folium, fructus, semen. Sempre nel 2010, la ricerca scientifica pubblicata sulla rivista medica “Transplantation Proceedings” ha dimostrato un significativo potenziale degli estratti di giuggiole nel trattamento dei danni al fegato e dello stress ossidativo causato dai radicali liberi. (Fonte https://www. brodogiuggiole.it/proprieta/)
dell’amico agronomo Massimo, sto “gustando”, oltre a frutta e verdure stagionali, anche una tisana fatta con le giuggiole, che a suo dire è molto utile per prevenire il raffreddore. Anche l’ottima composta di cui sopra, che io realizzo con le giuggiole delle mie pianticelle, mi accompagna nella prima colazione spalmata su due fette di pane tostate. Venendo ai canarini, oltre al cocktail suddetto, non è da me se non “somministro” la tisana anche a loro. Preparo la tisana i primi di novembre, quando le temperature iniziano ad essere più rigide, ed inumidisco il pastoncino secco che fornisco loro per 5 giorni consecutivi, rinnovandolo ogni giorno. Ecco la ricetta della tisana, semplicissima, per chi volesse sperimentarla non so-
lo ad uso personale. Ingredienti: in 1/2 litro d’acqua far bollire circa 200 grammi di giuggiole mature ben pulite e denocciolate per circa 10 minuti; aggiungere 2 cucchiai abbondanti di miele di acacia e lasciare riposare per altri 15/20 minuti. La tisana è pronta. Io non la filtro e mi gusto anche le giuggiole addolcite ulteriormente dal miele. Posso dirvi solamente che per me è molto gradevole e che i canarini consumano interamente la razione giornaliera del pastoncino così inumidito. Qualcuno mi chiederà: qual è il risultato? Rispondo con la frase che mi ripeteva spesso mia nonna, e che più volte ho scritto: Quel c’an te stroza, t’ingrasa (Quello che non ti strozza, ti ingrassa). Ad maiora semper!
Giuggiole in primo piano
Il mio utilizzo per i canarini Dopo questo breve excursus sulla giuggiola, mi preme far presente che in campo ornitologico è un frutto gradito a ciuffolotti, frosoni, tortore, pappagalli ed altri silvani, e da alcuni allevatori questi frutti vengono usati come leccornia nei loro allevamenti. Secondo i consigli di molti nutrizionisti, nell’alimentazione bisognerebbe seguire la stagionalità degli alimenti, affinché l’organismo possa recepire al meglio tutti i nutrienti. La giuggiola, essendo un frutto autunnale, va consumata in quel periodo e le sue proprietà saranno di aiuto nella prevenzione delle malattie da raffreddamento invernale, per aumentare le difese immunitarie, per la depurazione del fegato e migliorare il funzionamento dell’apparato gastrointestinale. Seguendo questi consigli e quelli
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CRONACA
Il Presidente con la S maiuscola testo e foto di ALBERTO DE VITA
P
rima di passare oltre, leggi questo articolo fino al punto finale. Parlando di me parlo in realtà di tutti noi, anche di te e delle tue potenzialità di essere un Socio con la S maiuscola. Nel luglio 1970 compivo 8 anni quando mio papà mi portò al famoso mercato romano di Porta Portese per comprarmi un uccellino. Mio padre adorava il cardellino per i suoi colori e il suo canto. In quei tempi in commercio si trovavano questi bellissimi uccellini. Trovammo una bancarella che, in mezzo a tanti uccellini colorati, aveva qualche cardellino. Papà ne scelse uno giovane, senza maschera, perché non aveva ancora fatto la prima muta. Ai miei
Copertina del volume “Canarini” (di Giuseppe Zamparo, Edizioni Zootecniche – Udine)
Cosa trovavo in quei piccoli pennuti ancora oggi non saprei spiegarlo, ma credo fosse una spinta a proteggere
occhi nulla di eccezionale a confronto con i colori dei canarini e pappagalli che erano nelle altre gabbie. Prese una gabbietta con il tetto a casetta, con il cassettone verde di plastica, le mangiatoie, il beverino e una scatola di mangime. Tornammo a casa con il treno e da quel giorno nacque la mia passione. Passavo ore ad osservarlo e ad analizzare i suoi comportamenti e il linguaggio dei movimenti con cui comunicava. Ero bambino, giocavo nei parchi e nel periodo primaverile speravo sempre di trovare qualche piccolo uccellino caduto dal nido. Non avevo cognizione di cosa facessi, sapevo solo che quell’uccellino sfortunato che era caduto dal nido poteva contare sul mio aiuto. L’avrei accudito, alimentato e fatto diventare mio amico. Cosa trovavo in quei piccoli pennuti ancora oggi non saprei spiegarlo, ma credo fosse una spinta a proteggere, a donare le mie attenzioni, la mia premura ad un piccolo esserino e il desiderio di avere un amichetto che si fidasse di me e che si facesse accarezzare in cambio di un semino. Giorno dopo giorno sono passati gli
anni, la mia passione cresceva e venni a conoscenza del fatto che intorno ad essa c’erano negozi chiamati “uccellerie” e che il mondo che adoravo si chiamava “ornitologico”. Mio papà aveva un libro del 1963 dal titolo “Canarini” (di Giuseppe Zamparo, Edizione Zootecniche – Udine); la sua copertina era stampata in due colori, azzurro e nero, aveva una cinquantina di pagine illustrate con disegni e foto rigorosamente in bianco e nero. Quel libro l’ho sfogliato per anni: dapprima ne guardavo solo le figure e leggevo le descrizioni, poi cercavo gli argomenti utili al momento e poi l’ho letto e riletto come se in quelle pagine avessi potuto trovare ogni volta noti-
Il “vecchio” mercato di Porta Portese a Roma” (immagine di repertorio)
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zie nuove. Avevo desiderio di sapere, di conoscere, ma non esisteva internet e le mostre o le occasioni di incontro per gli appassionati non erano certo pubblicizzate, belle e curate come oggi. L’ornitologia organizzata era una rarità, l’ornitologia era una gabbietta con i tuoi uccellini o un cugino con la tua stessa passione per barattare soggetti o scambiare consigli. Passarono ancora altri anni e nel 1976, in seconda superiore dell’Istituto Agrario “G. Garibaldi” di Roma incontrai Bruno, un compagno di scuola che, sentendomi sempre parlare dei miei uccellini, mi disse: “Vieni a trovare mio padre, lui è un allevatore «malato» come te”. Allevatore?
chiamato nero-rosso)? Ma io ho comprato in uccelleria una canarina argento e ho preso questo maschio bruno pastello che è bellissimo. Beh, dal papà del mio amico imparai le basi dell’ornitologia di allevamento. L’allevamento vero, che ti fa lavorare con dei criteri d’accoppiamento e riproduttivi finalizzati ad ottenere e mantenere una precisa selezione. Per la prima volta sentii parlare di Campionato Italiano, di Mostre, di gare, di premi, di soddisfazioni legate alla mia passione. Sentii parlare di anellini, di RNA, di FOI e di Associazione. Passò ancora qualche anno, matrimonio, figli, ma di tanto in tanto andavo con lui in giro per mostre e continuava
A sinistra, Cardellino novello, fonte: naturamediterraneo.com; a destra, Cardellino adulto, fonte: ilverdemondo.it
Che vuol dire? Una domenica mattina andai a trovarlo e vidi per la prima volta una batteria di gabbie tutte uguali, tutte regolari, rettangolari con il cassetto in metallo per facilitare le operazioni di pulizia. Vidi per la prima volta una miscela di semi che era molto più semplice di quella che compravo al supermercato. Vidi per la prima volta un pastone ben diverso dal biscotto che davo ai miei uccellini e poi vidi per la prima volta tanti canarini dello stesso colore accoppiati tra loro con un criterio che per me era sconosciuto. “Ad un soggetto intenso”, mi diceva l’allevatore, “devi accoppiare un soggetto brinato”; ma come non posso accoppiarci un bronzo (oggi
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ad insegnarmi l’ornitologia sportiva; un giorno chiesi al papà del mio amico, che ormai chiamavo amichevolmente Massimo (Gloriani), come avrei potuto fare per avere gli anellini per anellare i miei canarini e lui prese tutti i dati, i soldi e mi fece la prima iscrizione. Era il 1999, avevo 37 anni. Finalmente avevo iniziato la strada per diventare un vero “allevatore”. Così conobbi l’esistenza dell’Associazione. Ero contentissimo di esser diventato “Socio” ma la mia curiosità, il mio desiderio di conoscere e di essere informato restava. Spesso mi domandavo: che faranno di bello in Associazione? Allora, visto che nel frattempo era arrivato il web, cercavo
Per la prima volta sentii parlare di Campionato Italiano, di Mostre, di gare, di premi, di soddisfazioni legate alla mia passione
notizie sulla mia associazione, ma trovavo poco. Sapevo che c’era un direttivo, sapevo che aveva dei Soci, ma cosa faceva l’associazione? Cosa organizzava? Niente, le notizie erano poche o spesso nulle. Il tempo passava e la mia curiosità, la mia esigenza di avere occasioni di incontro, occasioni per trovare qualche rarità o qualche particolare soggetto da portare in allevamento restava un desiderio raramente soddisfatto. Un giorno seppi che l’Associazione organizzava una mostra ad Ariccia. Mi feci coraggio, mi iscrissi e mi presentai con la mia gabbia da 60 cm con dentro 8 canarini che portai in gara. Arrivato, all’ingresso trovai un tavolino con dei signori. Quella era la segreteria. Mi presentai, presi la mia scheda e uno di quei signori (l’amico, purtroppo scomparso, Enzo Bevilacqua) mi disse “Ma dove li porti, ‘sti passerotti?”. Io mi avvilii, pensavo che i miei bruno pastello fossero veramente brutti. Ingabbiai, rimasi per qualche ora a guardarmi intorno e poi chiesi alla segreteria: “Per vedere come si svolge il giudizio, posso venire?”. Risposta: “Vieni a fare il portagabbie e ci dai una mano”. Il giorno dopo mi presentai e iniziai a correre avanti e indietro a portare le gabbie e, passando davanti ai miei canarini, mi accorsi che sulle loro schede di giudizio c’era un grosso 1° a pennarello con il timbro e la firma del giudice. Su un altro giudizio c’era un 2° e su altri due c’era scritto 3°. Questo fu un altro passo importante della mia passione e della mia strada nell’ornitologia.
Da quel giorno conobbi più persone dell’Associazione, quando mi presentavo mi riconoscevano e quando serviva una mano ero in prima fila con loro per aiutare. Nel 2011, in un momento di crisi della mia Associazione, mi misi a disposizione con un gruppo di amici per cercare di prendere in mano la situazione e per entrare in gioco. Era l’occasione che non volevo perdere. Fare. Fare per l’ornitologia, fare per creare occasioni di incontro per quei giovani o quegli appassionati che, come me, volevano sapere o conoscere dove trovare gente come loro, amante dell’ornitologia. Una sera ci incontrammo a cena, eravamo un gruppo di volenterosi. Tra questi c’era il mio amico Gennaro Iannuccilli che aveva fatto parte del direttivo precedente ma che aveva una grande voglia di voler continuare ad offrire il proprio tempo e le proprie idee per
Le prime medaglie non si dimenticano mai. Un 1° posto, un 2° posto e due 3° posto, Mostra ARO 2004
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Domenico Lattanzi, Gennaro Iannuccilli e Alberto De Vita: tre amici con la “S” maiuscola
l’ornitologia romana. Poi, quella sera, conobbi un signore, oggi il mio amico Lillo (Domenico Lattanzi), più grande di me che però aveva lo spirito puro di un giovanotto che non parlava di gare o di uccellini, parlava di allevatori, delle loro passioni e di quello che un’associazione deve fare per il mondo ornitologico. Con loro due ho legato giorno dopo giorno e insieme abbiamo costruito una trama fitta di idee, lavoro e passione. Insieme abbiamo creato appuntamenti, eventi, mostre e fiere per il nostro territorio. Abbiamo sempre lavorato concentrandoci su quello che potevamo organizzare senza pensare di competere con i colleghi degli altri territori, ma lavorando per l’ornitologia Romana e Laziale. Quando il mio amico Gennaro, Presidente della nostra Associazione dal 2011 al 2017, venne chiamato in FOI a collaborare in qualità di consigliere e responsabile di redazione della rivista Italia Ornitologica, mi trovai alla guida della mia Associazione. La “mia” perché un Socio è così che dovrebbe vedere l’Associazione. L’Associazione è di tutti i Soci, i Soci devono sentirsi responsabili e importanti per l’Associazione. Chi mi è stato accanto in tutti questi anni sa che la mia passione mi spinge a fare, non mi è mai interessato il ruolo
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o la carica e tantomeno diventare “presidente” ha cambiato la mia persona. Da Socio mi interessa organizzare e creare quelle occasioni di incontro che un appassionato cerca durante l’anno. Ma oggettivamente, da uomo, ci tengo a far bene e se mi viene assegnato un compito, lo voglio fare nel migliore dei modi e ad arte, nel rispetto di chi mi ha assegnato il compito e nel rispetto di chi ha la nostra passione. Da quando sono entrato nella squadra del direttivo dell’Associazione ho sempre curato la pagina web implementando costantemente la sezione NEWS dove pubblichiamo tutti gli articoli e le comunicazioni in favore dei nostri Soci e amici. Ultimamente, con l’ausilio della tecnologia dei moderni cellulari, approfitto di questi ultimi per raggiungere i nostri Soci con comunicazioni a tema. Perché lo faccio? Perché quando avevo “fame di notizie” sarei stato felicissimo se qualcuno lo avesse fatto, perché mi rivedo giovane appassionato che cercavo dappertutto notizie ornitologiche che non sapevo dove trovare. Il tempo. Il mio tempo lo divido tra famiglia, lavoro e ornitologia. Spesso sono in giro per la città e fuori da questa per incontrarmi con altri organizzatori, per partecipare a manifestazioni e per raccogliere il bello della nostra passione. Da due anni, con
altri due “malati del fare”, Filippo Morrone e Marino Cecchi, ho instradato un percorso di collaborazione tra territori. Lo scorso anno, con loro e altri amici, abbiamo dato inizio al primo Interregionale del Centro Italia. Con il carisma e la fiducia conquistata sul campo da tutti e tre, abbiamo intrecciato le basi per far crescere l’ornitologia, espandendone i confini territoriali. Quest’anno, mentre l’Italia si leccava le ferite del Covid, con loro e l’amico Giancarlo Mattioli abbiamo organizzato call telefoniche che nel migliore dei casi duravano dalle 2 alle 3 ore e nelle quali organizzavamo il secondo Interregionale del Centro Italia. Chi ci ha dato l’energia? La passione. La voglia di offrire a chi ama il mondo alato un’opportunità di gara e di confronto di spessore per i nostri territori. Non è la gloria che cerca un appassionato. Un appassionato, se è spinto da creatività, da generosità e intraprendenza, senza che se ne accorga produce un evento. Il tempo che dedichiamo a tutto questo non ce lo paga nessuno, ma chi ha la stessa passione sa che è tempo speso bene. Quando hai dedicato tante ore a scrivere regolamenti, accordi, liste di categorie o quant’altro e poi arrivi in mostra e vedi che stai donando un punto di incontro e confronto per tutti quegli uomini che portano avanti la passione che vivevano da bambini, allora sai che il tuo tempo è stato speso bene. Anche per quegli appassionati che arrivano a testa bassa, vanno a cercare quello che gli serve e che se ne vanno senza sapere che tutto quello che trovano lo hai organizzato tu in squadra con un gruppo di amici appassionati come te. A quei “musoni” dico: veniteci a cercare e scambiamoci un sorriso; siamo vittime della stessa malattia, una malattia con le ali e le piume colorate che si chiama Ornitologia. Concludendo, questa è l’ornitologia che sognavo di trovare quando ero un giovane appassionato e questa è l’ornitologia che offro oggi che mi chiamano “Presidente”. Ma quella P maiuscola io non l’ho cercata, perché per me è più importante la S maiuscola di Socio e presidente dell’Associazione Romana Ornicoltori (ARO).
CANARINI DI FORMA E POSIZIONE ARRICCIATI
Parigino e AGI a confronto: la coda testo di GIUSEPPE CORSA E LUIGI MOLLO, foto di E. DEL POZZO e S. GIANNETTI
I
n questa ultima parte esporremo – sempre sulla base dei Criteri di Giudizio di Forma e Posizione, Canarini Arricciati (ed. 2006) - le differenze che esistono fra la coda di un canarino Arricciato di Parigi e quello di un Arricciato Gigante Italiano (AGI). Inoltre, esamineremo anche il quarto terzo del canarino formato da portamento, piumaggio, taglia, ali, arti inferiori e condizioni generali. Riguardo alla coda, fra le due razze non vi è nessuna differenza almeno per quanto riguarda il considerando. Per entrambe le razze i Criteri di giudizio dicono infatti che la coda deve essere “omogenea, robusta, con estremità «quadrata», timoniere molto lunghe e dritte, sopraccoda con numerose piume di gallo lunghe e falciformi e sottocoda ben raccolto e consistente”. La coda, come è ben noto, è formata da 12 timoniere che, in entrambe le razze, devono essere integre e normalmente sviluppate in modo da far apparire la coda robusta ed omogenea. Una coda è robusta se, oltre ad essere lunga, si mostra larga e spessa; si dice omogenea quando, in tutta la sua lunghezza, lo spessore e la larghezza sono costanti e le timoniere sono ordinatamente disposte; se, infine, tutte e dodici le penne hanno la stessa lunghezza allora la coda ha anche l’estremità “quadrata”. Costituiscono un gravissimo difetto le code corte e chiaramente biforcute. Ovviamente, una leggerissima disomogeneità va tollerata (nessun canarino vale 100 punti). L’omogeneità dipende anche dal sottocoda che, per consentire un perfetto raccordo fra corpo e coda (in gergo si dice che il canarino “chiude bene”), deve
essere molto folto (consistente), omogeneo (compatto, robusto e ben raccolto) e formato da piume lunghe e soffici. Completano il connotato coda le piume di gallo. Esse devono essere nel
Terza parte
numero di 10 simmetricamente distribuite (5 per lato) ma, ferma restando la perfetta simmetria, ci si accontenta anche se sono solo 6. Sotto questo numero il canarino viene penalizzato.
AGI pezzato melaninico, foto: E. del Pozzo
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La coda, malgrado le evidenti similitudini, ha però un ruolo distintivo importante fra le due razze. Essa, infatti, influenza il portamento del canarino. Il Parigino deve avere un portamento eretto (angolatura sull’orizzontale di 50°) fiero e maestoso, con la coda in linea con il corpo; l’AGI deve avere anch’esso un portamento eretto fiero e maestoso ma con un’angolatura sull’orizzontale maggiore di 60° (tendente alla posizione verticale) e soprattutto con la coda allineata al tronco o leggermente cadente. Quest’ultima caratteristica è legata alla taglia e soprattutto alla consistenza della coda che, come evidenziato, deve essere pesante; inoltre, portare la coda leggermente cadente permette anche al soggetto di raddrizzarsi, assumendo la tanto auspicata posizione subverticale. A tal proposito, è opportuno notare che fra gli “agisti” si parla sempre più spesso del meticciamento dell’AGI con il Kenari persian rasmi per aumentare la lunghezza della coda. Tale accoppiamento è da sconsigliare perché il Kenari persian rasmi ha la coda biforcuta, leggera, disomogenea e in linea con il corpo mentre sarebbe opportuno, come già avviene per il Lancashire, fissare definitivamente nell’AGI il connotato “coda leggermente cadente” per accentuare la posizione corretta e per differenziarlo in modo sempre più netto dal Parigino. Per entrambe le razze, e non potrebbe essere altrimenti, il piumaggio deve essere abbondante, serico e composto in modo da riempire le forme in modo armonico e senza sbavature. In questo
modo la forma del canarino viene esaltata dalla nitidezza dei contorni. Ma anche la lunghezza influenza la forma del canarino. Per l’arricciato di Parigi, nel considerando taglia viene introdotto in modo esplicito il concetto di “armonia”. Interpretando correttamente l’armonia come fattore primario per valutare l’eleganza dell’esemplare, i criteri di giudizio evidenziano che non vada valutata la sola lunghezza, bensì la taglia, intesa come “mole del soggetto nell’armonico rapporto di tutte le sue parti, in modo da esaltare al massimo la sua bellezza”. Sapendo che una maggiore voluminosità del piumaggio fa apparire il soggetto più corto, e viceversa, il problema da affrontare nella selezione dell’arricciato Parigino non è l’aumento indiscriminato della lunghezza ma la conservazione di una giusta massa di piumaggio in rapporto alla lunghezza. Anche in questo i criteri di giudizio sono d’aiuto. Infatti, in essi si osserva che, salvo eccezioni, un soggetto di 20 cm di lunghezza effettiva “mantiene una massa di ottimo piumaggio (serico e sostenuto) e buoni fianchi più frequentemente di uno di 21 o 22 cm”. Andare oltre i 20 cm di lunghezza effettiva per un arricciato di Parigi rende poi difficile mantenere l’equilibrio fra le tre parti del corpo perché la coda incomincia ad allungarsi e appesantirsi troppo rispetto a testa e tronco. In conclusione, l’arricciato di Parigi deve avere una lunghezza tale da non modificare i giusti e armonici rapporti fra le parti; la lunghezza ideale effettiva potrebbe essere stimata in 20 cm (lunghezza apparente 19 cm). In
Pterilii del canarino (Criteri di Giudizio di Forma e osizione, Canarini Arricciati (ed. 2006)
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questo limite di lunghezza è più facile garantire la conservazione delle caratteristiche volumetriche e di piumaggio e preservare la differenziazione con l’AGI, la cui lunghezza minima non deve essere inferiore a 21 cm. Nell’AGI i Criteri di Giudizio vanno oltre e, per garantire che l’aumento della lunghezza non rovini la forma del canarino, stabiliscono che i due parametri siano valutati separatamente, talché i 10 punti del considerando “taglia” vanno suddivisi così: 5 per la lunghezza e 5 per la forma. Anche per le ali i considerando sono solo apparentemente uguali per le due razze. Infatti, per entrambe le ali devono essere regolari, con tutte le remiganti perfettamente integre; si rammenta che le remiganti di ogni ala sono 19, 10 primarie e 9 secondarie, oltre alle remiganti ascellari. Devono essere ben embricate; non devono essere portate né cadenti né incrociate ma devono cingere con forza e naturalezza il tronco. Esse devono toccarsi in punta in corrispondenza dell’attaccatura della coda. Nell’AGI è ammessa una lieve sovrapposizione delle punte delle ali anche oltrepassando l’attaccatura della coda. È una sostanziale differenza rispetto al Parigino, nel quale tale incrocio non è mai ammesso ma denota un elevato standard di selezione rispetto alla taglia, essendo questa tolleranza legata solo alla taglia. Infatti, la maggior lunghezza dell’AGI rispetto al Parigino non è dovuta ad una maggiore lunghezza del tronco ma dipende in massima parte dalla lunghezza delle timoniere; con le timoniere si allungano anche le remiganti che, quindi, oltrepasseranno l’attaccatura della coda e tenderanno ad incrociarsi. Per entrambe le razze, le zampe devono essere robuste, con una buona presa sul posatoio. Anche le dita devono essere forti e robuste, non devono essere piegate e devono essere tutte complete di unghie attorcigliate o tendenti ad esserlo (unghie “a cavatappi”). Gli arti inferiori, tranne tarso e dita, devono essere coperti dalla imbracatura o, come si dice in francese, culotte. Si tratta di un mazzetto di piume che originano dallo pterilio femorale e sono orientate verso la coda. La culotte, che forma un tutt’uno con la parte bassa
dell’addome, va valutata nella voce Piumaggio. L’unica sostanziale differenza è data dalla posizione; infatti nell’AGI, a differenza di quanto accade nel Parigino, gli arti inferiori devono distendersi, ovvero, come dicono i Criteri di Giudizio, essere “posti all’indietro”, quel tanto da consentire al soggetto di assumere la posizione subverticale. Spesso, sia negli AGI sia nei Parigini, vi sono difetti genetici (tara) che riguardano il primo dito, volgarmente detto pollice. Si tratta di due situazioni diverse. La prima è quella detta del “pollice rigido” noto anche con il termine inglese di slip-clows; il canarino che eredita questa tara non flette il primo dito e quindi non riesce a tenere il posatoio, dando l’impressione di “scivolare”. La seconda è detta in gergo “pollice reverso”, il canarino che presenta questo difetto ha il primo dito rivolto in avanti ed è quindi impossibilitato a tenere il posatoio. In questo caso il canarino si appoggia sul ventre, stringendo il posatoio con una sola Arricciato di Parigi lipocromico, foto: S. Giannetti zampa. Si tratta, come già detto, di tare genetiche la cui incidenza può essere ridotta tramite un’attenta l’AGI “in bottiglia”. Il Parigino è iscritto selezione. Ovviamente, se un soggetto in un fuso perché la sua silhouette, da di gran pregio la presenta in forma lieve una testa relativamente “piccola” si alpuò essere curata inducendo, con l’utilarga fino a raggiungere il massimo all’allizzo di posatoi di diversa forma e tezza dello jabot per poi restringersi doldiametro (anche spaghi di opportuna cemente verso la coda. La silhouette dimensione), una sorta di ginnastica dell’AGI, invece, origina da una testa fisioterapica. Si tratta di una cura sinmolto ampia, si restringe leggermente tomatica che non elimina il difetto in corrispondenza del collo per poi genetico. È sempre opportuno non far allargarsi di nuovo raggiungendo il masriprodurre tali soggetti. simo in corrispondenza della pettorina; Infine, e non è poco, le condizioni geneda quel punto si restringe dolcemente rali devono evidenziare buona salute, verso la coda. La forma dell’iconica botpulizia e un temperamento vigile. Tale tiglia di una nota bibita americana capovoce, oltre ad evitare che siano presenvolta rende, in modo semplice, visivo e tati alle mostre uccelli con piumaggi immediato, l’andamento della silhouette sporchi, evidenzia come una corretta dell’AGI. È lapalissiano, quindi, che l’oselezione debba favorire animali vivaci biettivo principale che la figura voleva e in salute fisica e psichica. raggiungere fosse di evidenziare che, per forma e mole, le due razze sono proConclusioni fondamente diverse fra loro e che, per Prima di chiudere, vogliamo chiarire ai questo, Giudici e allevatori devono batpochissimi che non l’hanno voluto comtersi contro il dannoso vizio, purtroppo prendere il significato della figura che ancora molto diffuso, di meticciare fra tanto clamore mediatico ha sollevato: loro AGI e Parigini. Non è assolutamente
possibile, infatti, che dallo stesso nido nascano AGI e Parigini, salvo che la coppia non sia formata da meticci. A questo punto corre l’obbligo, da parte nostra, di ringraziare di vero cuore tutti quelli che, accecati da gratuito livore, ci hanno criticati e offesi; senza rendersene conto, con il clamore che hanno sollevato, ci hanno aiutato a centrare l’obiettivo e a diffondere anche all’estero il nostro lavoro. Ci dispiace solo, e ce ne scusiamo, che siano rimaste vittime di costoro anche l’incolpevole redazione di I.O. e l’ignara C.T.N. - C.F.P.A. In conclusione, speriamo che gli articoli siano riusciti a evidenziare che le due razze hanno Standard chiari e caratteristiche di razza oramai fissate, stabili e nettamente distinte. Allo stato della selezione, gli Standard di eccellenza delle due razze sono da considerarsi perfetti e crediamo che nessuno debba pensare di cambiarli, bisogna solo applicarli. Per questo motivo, nel redigere questi articoli, ci siamo attenuti in modo rigorosissimo agli Standard delle due razze, evitando con cura ogni discrepanza rispetto ad essi. Se non ci siamo riusciti, siamo pronti a fare ammenda degli errori presenti nello scritto; dovete unicamente indicarceli. Chiediamo però di evitare, per quanto possibile, ulteriori reazioni che qualcuno, mosso da interessi personali e con l’intenzione di seminare zizzania, potrebbe, sbagliando, ricondurre a ragioni politiche o a un immotivato senso di inadeguatezza e paura del giudizio interessato di pochi nelle echo chambers del mondo virtuale. Per il resto, come scriveva Omero, “su le ginocchia dei Numi riposa il futuro”; nel frattempo noi, sommessamente, invitiamo gli Allevatori, quelli con la “A” maiuscola, ad allevare in purezza, studiando, rispettando e applicando gli Standard così come fanno i giudici; solo così potremo garantire un futuro radioso a queste delicate e preziose razze di canarini. Grazie a tutti per il tempo che, con maggiore o minore affetto, avete dedicato ai nostri scritti.
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ESTRILDIDI FRINGILLIDI IBRIDI
Il Crociere: un becco asimmetrico di BRUNO NOVELLI, foto F.O.I.
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er ogni creatura che si muove eretta o supina nel mondo circostante, il lato sinistro e quello destro – nel mare, sulla terra, o nell’aria – sono fondamentalmente uguali. Data l’esigenza degli animali (e dell’uomo) di vedere, udire, odorare e toccare ugualmente bene da entrambi i lati, ha un ovvio significato, ai fini della sopravvivenza, l’avere il lato sinistro pressoché identico a quello destro. Sotto quest’ottica possiamo notare una delle più notevoli violazioni della simmetria bilaterale, spettante all’occupazione di una particolare nicchia ecologica da parte di una specie di Uccelli: Il Crociere (Loxia curvirostra). Il Crociere è un Passeriforme della Famiglia dei Fringillidi, lungo circa cm 16. Testa, groppone, e petto rosso porpora. Coda ed ali grigio– bruno. La femmina è un poco più piccola e ha le parti superiori grigio-verde-giallastri. I giovani presentano un bianco inferiormente, ma nell’insieme assomigliano alla femmina. Occhio marrone scuro, becco grigio-nero (le cui punte delle mandibole sono incrociate), grigio–nere anche le zampe. Il Crociere frequenta boschi di conifere e frutteti nei quali talvolta fora, per esempio, le mele per mangiarne i semi. Questa Specie usa il suo becco incrociato per aprire le pigne, allo stesso modo con cui una persona usa un apriscatole per scoperchiare una lattina di pomodoro o di un
Crociere
barattolo di conserve. Con il becco, il Crociere alza le scaglie delle pigne delle conifere per tirare i pinoli che sono il suo cibo principale. Col becco si appende anche ai rami, allo stesso modo come fanno i Pappagalli. Alla nascita dei suoi pulli egli ha un grave problema da risolvere, perché i piccoli nascono con il becco simmetrico, cioè col becco diritto e, fino quando esso non si curva sovrapponendosi, hanno bisogno di molta assistenza parentale. Secondo un’antica diceria medioevale, il becco del Crociere si ritorse e divenne asimmetrico quando tentò invano di strappare i chiodi della Croce con cui era stato crocefisso il Cristo; nell’occasione anche le sue piume si macchiarono del colore rosso del sangue. Teoria evoluzionistica del becco incrociato del Crociere secondo J.B Lamarck: a) I Crocieri ancestrali avevano probabilmente il becco simmetrico e diritto, peraltro soggetto a frequenti sforzi per aprire le pigne e sopravvivere così nella loro nicchia ecologica; b) I discendenti avevano la punta del becco già incurvata, ma anch’essa veniva assoggettata a continui sforzi alla ricerca di cibo nelle pigne; c) Alla fine, il continuo sforzo del becco diede origine alla specie col becco asimmetrico ed incrociato, come quella conosciuta attualmente.
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Teoria evoluzionistica del becco incrociato del Crociere secondo C. Data l’accentuata Darwin: specializzazione a) I Crocieri ancestrali avevano alimentare, questa specie probabilmente becchi di varia lunghezza, inizialmente diritti; in è legata esclusivamente minoranza qualche individuo alle grandi estensioni presentava la punta del becco forestali dove leggermente incurvata. In verità Darwin non poté spiegare l’origipredominano le conifere ne di tali variazioni entro la Specie, che sono modernamente spiegabili soltanto in campo genetico col polimorfismo delmento a South Hills, potendosi riprol’insieme del gruppo dei geni. durre solo con soggetti conspecifici. b) La competizione e la selezione L’isolamento riproduttivo non è stato naturali nella nicchia ecologica causato dalla presenza di una barriera alpina, specie d’inverno portarono fisica, bensì da una relazione del vecalla sopravvivenza dei discendenti chio e stabilizzato Crociere alla geneticamente dal becco più evoluzione del Pinus contorta, con le incurvato ed incrociato, a discapito proprie pigne più solide e più resistendi quelli dal becco più diritto. ti. c) Alla fine, soltanto gli individui A conforto di quanto asserito sopra, e geneticamente dal becco asimpiù in generale, possiamo affermare che metrico o incrociato sopravvissero il becco del Crociere subisce modifialla competizione. cazioni anche nelle dimensioni a Queste, in sintesi stretta e molto seconda della specie di conifera maggenerica, le varie vedute evolutive nel giormente utilizzata; così le specie concaso di una Specie come quella del finate nelle pinete hanno il becco partiCrociere con asimmetria del becco ben evidente. Una ricerca pubblicata nel 2009 (1) segnala che, in America, nelle zone Crociere montuose dell’Idaho, è stata individuata una nuova sottospecie di Crociere dalla forma e dal canto differente dal Crociere da noi conosciuto, ora chiamata anche con un nuovo nome: Loxia curvirostra complex. Questa nuova Specie si sarebbe evoluta assieme alla pianta che produce i semi di cui si nutre. La perdurante ricerca delle pigne del Pinus contorta latifolia si pensa che abbia favorito i meccanismi di difesa dei semi, rendendoli più grossi e più coriacei. A questa nuova morfologia il Crociere rispose con una forte selezione della specie, maturando nuovi e più grossi becchi e nuovi e più aggiornati vocalizzi. “L’antico” Crociere col normale becco asimmetrico, non potendo più attingere semi più grossi, emigrò in altri siti più favorevoli e la nuova Specie rimase in un completo isola-
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colarmente robusto, mentre quelli che vivono nei boschi di larice lo hanno molto più sottile. Queste notevoli specializzazioni hanno l’effetto negativo di limitare la possibilità di sfruttare fonti alternative di cibo, costituite da Artropodi raccolti sotto la corteccia degli alberi, ma anche di bacche e frutti vari. Data l’accentuata specializzazione alimentare, questa specie è legata esclusivamente alle grandi estensioni forestali dove predominano le conifere. La sua essenza arborea preferita è l’Abete rosso, mentre alla Specie di Crociere dell’Estremo Oriente è gradita la foresta mista di Larici ed Abete bianco. Si trova tanto in pianura che in montagna fino al limite della vegetazione arborea, raggiungendo in Asia anche i 4200 metri s. l. m. Il Crociere differisce dagli altri uccelli migratori perché effettua annualmente un solo movimento principale. In taluni anni si osserva un movimento di massa in una sola direzione e che può portare questi uccelli a oltre 5000 Km dal loro luogo d’origine. La causa è da ricercare da un alto livello della popolazione, in concomitanza con una scarsa fruttificazione delle conifere. Ibridazione Il maschio, sia per carenze alimentari non ben identificate che lo rendono temporaneamente sterile e sia perché tollera poco le femmine di altre specie, può dare risultati poco positivi. Le femmine si adattano meglio alla ibridazione. Questi gli accoppiamenti consigliati: M. di Canarino x F. Crociere - M. di Crociere x Ciuffolotta - M. di Verdone x F. di Crociere - M. di Frosone x F. di Crociere. In grandi voliere è necessario fornire ai riproduttori abbondanza di vitamine A- D3- E e gruppo B- Sali minerali, pastoncino ad alto contenuto proteico, abbondanti pinoli, nonché tarme della farina. NOTA (1) A New Species Of The Red Crossbill (Fringillidae: Loxia ) From Idaho (The Condor, 111 - Febbraio 2009)
CRONACA
La fauna alloctona indesiderata Un problema emergente di ROBERTO BASSO e A. BOLZONETTI, foto ARCHIVIO MUSEO CIVICO DI JESOLO
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uesta gravissima e nuova minaccia è stata più volte affrontata da 196 nazioni che hanno ratificato la Convenzione di Rio sulla Biodiversità, la quale impegna tutti gli aderenti a studiare il fenomeno con attenti monitoraggi e ad eradicare le specie invasive che costituiscono una minaccia per la biodiversità. In precedenza, la Convenzione di Berna sulla Conservazione della Vita Selvatica e degli Habitat naturali in Europa aveva previsto azioni analoghe. In diversi suoi lavori, il Dott. Piero Genovesi, Dirigente Responsabile del Servizio per il Coordinamento della Fauna Selvatica dell’I.S.P.R.A., figura ritenuta tra i massimi esperti italiani in merito alla fauna alloctona, più di una volta ha dichiarato: “Un pericolo minaccia un quinto di tutti i vertebrati considerati a rischio di estinzione nel mondo. Non è la distruzione degli habitat, e neanche l’inquinamento o la caccia eccessiva. Il 20% di questi animali è in realtà minacciato da specie alloctone, cioè originarie di altre aree ed arrivate in seguito all’azione dell’uomo.” L’Italia ha più volte rischiato di essere deferita alla Corte di Giustizia Europea proprio per non aver rispettato gli impegni internazionali sovra citati. Eppure, nonostante tutto ciò, in Piemonte è stato bloccato un piano di controllo numerico su una specie di scoiattolo, lo Scoiattolo grigio (Sciurus carolinensis) originario del Nord Ame-
Soggetto adulto di Ibis sacro, foto: G. Boano
Arreca gravi danni alle specie arboree decorticandole, compromettendo lo sviluppo di giovani piante, ma in molti casi ne provoca la morte
rica, il quale, introdotto in Liguria nel 1966 ed in Piemonte nel 1930, attualmente in quest’ultima regione risulta presente con oltre 10.000 esemplari naturalizzati. Esso arreca gravi danni alle specie arboree decorticandole, compromettendo lo sviluppo di giovani piante, ma in molti casi ne provoca la morte in quanto la porzione di corteccia asportata, sovente, comprende l’intera circonferenza dei tronchi. Oltre a ciò, cosa ben più grave è la competizione che questa specie
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Copertina dell’importante volume pubblicato dall’I.N.F.S.
alloctona ha nei confronti della nostra popolazione autoctona di scoiattoli rossi: dove vi è lo scoiattolo grigio scompare quello rosso. Questo fenomeno è stato riscontrato anche in altri Paesi europei, i quali presentano lo stesso nostro problema, come Irlanda e Scozia, che in breve tempo hanno visto scomparire lo scoiattolo rosso in ampie porzioni del loro territorio.
A questo punto, visto sinteticamente l’impatto e le problematiche che una sola specie invasiva sta arrecando al nostro Paese, non è chiaro il motivo per cui l’ISPRA, Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale competente in materia, dopo aver effettuato tutti i necessari studi preliminari abbia subìto una condanna, anche se poi annullata in appello, per aver cercato di far rispettare impegni internazionali e tutelare le nostre specie autoctone. Questa domanda andrebbe rivolta, con tutte le relative responsabilità etico-naturalistiche, a quelle frange estremiste di pseudo-animalisti che a seguito di una irrazionale campagna di disinformazione hanno addirittura ottenuto ragione in primo grado. E soprattutto a chi ha avuto il ruolo di amministrare la giustizia in questo caso paradossale. Intanto lo scoiattolo grigio continua ad espandersi numericamente e territorialmente minacciando di raggiungere le Alpi, dalle quali potrà espandersi in Francia e Svizzera creando sempre maggiori danni alla biodiversità e facendo lievitare i costi di intervento quando si dovrà intraprendere la necessaria azione di controllo numerico o di eradicazione. Ed essendo la popolazione italiana
Gambero rosso della Louisiana, responsabile della drastica riduzione della nostra specie autoctona
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l’unica di tutta l’Europa continentale, è nostra la responsabilità di rimuovere lo scoiattolo grigio prima che si espanda al resto del continente. Per questo, il Consiglio d’Europa – che è l’autorità che vigila sull’applicazione delle politiche di conservazione in Europa – ha minacciato di avviare una procedura d’infrazione contro l’Italia. Va sottolineato che la rimozione di una specie non è una decisione che può essere presa a cuor leggero; rappresenta comunque uno strumento estremo, che va valutato con molta cautela, analizzando i pro ed i contro. Ma non si può neanche chiudere gli occhi. Riguardo questa vicenda va riconosciuta l’opposta e coerente posizione che hanno però unanimemente tenuto i movimenti ambientalisti italiani: WWF, LIPU e Legambiente, che in questo caso hanno dimostrato di aver compreso la gravità del problema, al contrario delle frange estremiste dei movimenti animalisti che invece sono animati unicamente da impulsi emotivi incontrollati. Numerosi sono stati anche gli articoli apparsi negli ultimi anni su riviste scientifico-naturalistiche come Airone, Oasis, Focus, Habitat che hanno ampiamente trattato il problema, svolgendo un importante ruolo educativo e di sensibilizzazione nell’opinione pubblica sostenendo le scelte dell’I.S.P.R.A. Ma vediamo cosa prevedono su questo tema le normative nazionali vigenti. La legge sulla fauna selvatica omeoterma n.157 dell’11/02/1992 vieta implicitamente l’introduzione di specie estranee alla fauna indigena, ma teoricamente protegge tutta la fauna selvatica in grado di automantenersi. L’art. 19 della stessa legge prevede la possibilità di intervenire su specie non cacciabili nei casi in cui si comprovasse una dannosità alle colture, alla fauna o all’ambiente in generale. È chiaro che tale normativa presenta genericità e carenze che potrebbero essere strumentalizzate, ma consente comunque di intervenire. Vediamo ora quali altre specie alloctone di mammiferi stanno creando danni ambientali o minacciano le nostre specie autoctone.
La nutria, originaria del Sudamerica, dall’inizio del 1920 ha iniziato a diffondersi in alcune regioni italiane con tutto un alternarsi di successi ed insuccessi sino ad arrivare ad oggi, quando la si vede ormai ampiamente diffusa in tutta Italia ove vi sia presenza di fiumi, torrenti, canali o invasi naturali ed artificiali. I danni alle reti idriche e di canalizzazione a volte sono incalcolabili in quanto rendono indispensabili continui e ripetitivi interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria, con l’impiego di mezzi meccanici e notevole manodopera. Anche le produzioni cerealicole e ortofrutticole risentono della presenza invasiva di questa specie; lo dimostrano le sempre maggiori richieste di risarcimento danni avanzate dai titolari delle aziende agricole o da cooperative. Anche per questa specie, se si fosse intervenuti per tempo, la situazione sarebbe stata più facilmente gestibile; solo nel 2014 è stato modificato il suo status normativo ed è stata inserita nell’art. 2 della L. 157/1992, equiparandola a ratti e talpe. Questo consente una maggiore libertà operativa, ma con un colpevole ritardo; ora la presenza è segnalata anche in corsi d’acqua minori e nel sud Italia, in regioni come Calabria e Sicilia, ne sono stati documentati diversi nuclei naturalizzati. L’Amm. Prov. di Ferrara, Rovigo, Ravenna, Serv. Naturalistico Difesa del Suolo Protezione Flora e Fauna - Oasi e Zone Protette ha messo a punto diversi piani operativi che, dopo varie fasi di preparazione e l’abilitazione di un folto gruppo di qualificati operatori, dopo oltre 20 anni sono stati attivati, riuscendo a prelevare dall’ambiente naturale diverse decine di migliaia di esemplari, riducendo in questa prima fase la densità numerica della popolazione di nutrie e subito, parallelamente, hanno dimostrato una diminuzione dei danni ambientali, che comunque ogni anno ammontano ad alcuni miliardi. Danni che negli ultimi anni stanno interessando anche numerose specie avifaunistiche tipiche delle zone umide, soprattutto folaghe, gallinelle d’acqua, germani reali, volpoche, mignat-
L’ormai diffusa e ben nota nutria originaria del Sudamerica
tini piombati, svassi maggiori e tuffetti; questi ultimi vedono continuamente affondati o calpestati i loro nidi, in quanto le nutrie durante i loro andirivieni notturni e crepuscolari finiscono inevitabilmente con il salire sulle piattaforme galleggianti realizzate da queste specie per nidificare, affondandole o calpestandone il contenuto. Questi comportamenti sono stati negli ultimi anni attentamente studiati e
seguiti da diversi ornitologi italiani e stranieri che ne hanno sottolineato il rilevante impatto sulla biodiversità. È noto che da anni nel nord Italia, a seguito di veri e propri raid vandalici compiuti da frange estremiste di animalisti a danno di laboratori di ricerca farmacologica o virologica, sono stati liberati migliaia di esemplari di visone. Questi mustelidi si sono anch’essi perfettamente ambientati e stanno cre-
Il visone, reale minaccia per tutti i nostri mustelidi autoctoni
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Non facciamoci ingannare da questa tenera immagine: lo scoiattolo grigio ha di fatto azzerato, dove è presente, il nostro autoctono scoiattolo rosso
ando un impatto predatorio inusuale sulle nostre specie autoctone, compresi i nostri mustelidi: dove sono presenti i visoni, tendono a rarefarsi o scomparire puzzole, faine e martore a causa della competizione sul piano alimentare e della difesa del territorio riproduttivo. In merito a questa emergenza sono numerosi gli enti o istituti italiani che si stanno interessando programmando ricerche, monitoraggi e campagne di sensibilizzazione o educazione. Quando si parla di specie alloctone, non si deve pensare solo ad uccelli o mammiferi, ma anche a tantissime specie di pesci, insetti, crostacei, molluschi, rettili, vegetali che con un ritmo incalzante stanno colonizzando ambienti sia marini che d’acqua dolce. L’I.N.F.S., in collaborazione con il Ministero dell’Ambiente “Servizio Conservazione della Natura”, ha pubblicato il secondo numero dei Quaderni di Conservazione della Natura, dal titolo: “Mammiferi ed Uccelli esotici in Italia: analisi del fenomeno, impatto sulla biodiversità e linee guida gestionali”. Gli autori hanno con meticolosità svolto numerose indagini conoscitive su svariate specie di mammiferi ed uccelli alloctoni in Italia, nell’opera di 189 pagine. Con scrupolo e obbiettività questo volume dà anche una chiara definizione di alcuni termini relativi alla presenza di fauna selvatica in Italia: Specie autoctona (o indigena): spe-
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cie naturalmente presente in una determinata area nella quale si è originata o è giunta senza l’intervento diretto (intenzionale o accidentale) dell’uomo. Specie alloctona (o esotica): specie che non appartiene alla fauna originaria di una determinata area, ma che vi è giunta per l’intervento diretto (intenzionale o accidentale) dell’uomo. Specie naturalizzata: specie alloctona per una determinata area ove è rappresentata da una o più popolazioni che si autosostengono. Specie acclimatata: specie alloctona per una determinata area ove è rappresentata da uno o più nuclei non naturalizzati. Specie invasiva: specie naturalizzata che determina un impatto rilevante sulle biocenosi. Introduzione: trasferimento e rilascio (intenzionale o accidentale) di una entità faunistica in un’area posta al di fuori del suo areale di documentata presenza naturale in tempi storici. Infine, non si può non citare la presenza dell’Ibis sacro che in Italia è in forte incremento numerico e rapida espansione territoriale. Nella sola Regione Piemonte nel 2019 si stima una popolazione di circa 10.000 individui; parrebbe che questa densità sia stata raggiunta in poco più di 30 anni, problema che sta interessando anche le
Regioni Lombardia, Emilia Romagna, Toscana e Lazio. Difatti, la specie sta progressivamente spostandosi e colonizzando il centro – sud Italia. Nel Delta del Po, Legambiente ha lanciato diversi messaggi di allarme e preoccupazione invitando gli organi competenti, ovvero Regioni e Ministeri, ad intervenire con misure drastiche di contenimento. In pressoché tutte le oasi naturalistiche dove negli anni si sono costituite colonie nidificanti di ardeidi sono stati rilevati casi di predazione di uova e pulcini con l’azzeramento di tutte le altre specie presenti. Il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio comunicava nell’aprile 2017: “Eradicazione dell’Ibis sacro (Threskiornis aethiopicus) – Regolamento del Parlamento Europeo e del Consiglio 114/2014 del 22 ottobre 2014, recante disposizioni volte a prevenire ed a gestire l’introduzione e la diffusione di specie esotiche invasive. Il regolamento di Esecuzione n. 2016/ 1141 dell’Unione Europea, recante prima lista di specie esotiche invasive di interesse unionale, include l’ibis sacro (Threskiornis aethiopicus). Ai sensi del Regolamento 1143/2014 tutti i Paesi dell’Unione Europea devono provvedere all’eradicazione, o laddove non possibile, al controllo efficace della popolazione delle specie esotiche invasive di interesse unionale…” “…La Legislazione vigente, attraverso gli art. 2 e 19 del L. 157/92 affida alle amministrazioni regionali il compito di impostare gli interventi di eradicazione e controllo in forma coordinata e organica. Per quanto sopra esposto, e tenuto conto che per il momento gli esemplari di Ibis sacro in Italia nidificano nelle Regioni settentrionali, si chiede alle Amministrazioni in indirizzo di voler porre in essere ogni utile ed efficace iniziativa per l’eradicazione della specie, anche avvalendosi della consulenza tecnica dell’ISPRA”. Successivamente l’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale), in data 31/05/2017 esprimeva parere di “Eradicazione IBIS Sacro Piemonte”; nel contenuto della
missiva vengono argomentati vari aspetti e indicazioni tecnico-operative. Il Piemonte già in quella data aveva la popolazione di Ibis sacri più numerosa d’Italia, pertanto segnalava necessità di attivare con urgenza operazioni di contenimento della popolazione, suggerendo inoltre di considerare “… l’abbattimento sul nido in fase di incubazione, con carabina calibro 22 in modo da escludere effetti di disturbo all’intera garzaia…”; inoltre, sempre l’ISPRA richiedeva un fattivo coinvolgimento dei guardiaparco delle aree protette interessate. Non bisogna però dimenticare che in Italia è vietato l’uso venatorio della carabina calibro 22, “come anche del silenziatore”, a differenza degli altri Stati europei dove è liberalizzato come qualsiasi altro calibro e il silenziatore è di frequente in dotazione per casi o situazioni di prelievo che hanno criticità. Per tutta una serie di complicazioni tecnico – burocratiche e per mancanza di fondi parrebbe che le regioni abbiano disatteso queste indicazioni date dal Ministero dell’Ambiente e dall’ISPRA. Pertanto, oggi l’Italia nuovamente rischia di incorrere in sanzioni da parte della Comunità Europea per aver trascurato aspetti legislativi e preventivi rivolti alla tutela della nostra biodiversità e quella degli Stati confinanti. Non bisogna quindi lasciarsi ingannare dall’attraente piumaggio e comportamento di questa specie invasiva, bensì considerare l’impatto fortemente negativo che sta producendo a danno della nostra biodiversità. I fondamentalisti animalisti e gli pseudo-ambientalisti che si lasciano emotivamente condizionare da sentimentalismi privi di fondamento tecnico – scientifico spesso riescono ad avere spazi sui mezzi di comunicazione, dove pubblicano articoli fasulli enfatizzando il “ritorno” dell’ibis sacro. Invece, dovrebbero prendere esempio dai loro colleghi d’oltralpe che hanno dimostrato e dimostrano ben maggiore sensibilità e responsabilità nella tutela della preziosa biodiversità. Oca egiziana, cigno nero, anatra mandarina, anatra sposa, anatra muta, tutte queste specie abbondantemente allevate in cattività o semi-cattività
Il parrocchetto dal collare è una specie ormai naturalizzata in Italia con popolazioni consolidate in Liguria, Sicilia, Campania, Puglia, e Lazio; è in espansione in molte altre regioni. Questa specie è la principale causa della distruzione dei nidi del passero domestico
sono soggette a facili fughe e conseguente riproduzione, nonché acclimatazione in natura. In particolare, il cigno nero per la sua indole territoriale – aggressiva durante il periodo riproduttivo - impedisce ad altre specie autoctone di riprodursi su vasti territori da lui occupati, con conseguenti gravi squilibri. Rilevante anche la diffusione di psitacciformi: in Italia sono numerose le colonie nidificanti di parrocchetto alessandrino, parrocchetto dal collare, inseparabile d’Abissinia, parrocchetto monaco che hanno costituito colonie più o meno numerose in diversi parchi e giardini di città italiane. Numerose sono anche le specie esotiche di piccoli passeriformi che
hanno colonizzato il territorio italiano; i più significativi sono bengalino comune, diamante mandarino, domino, estrilda becco di corallo, vedova paradisea, tessitore dorato, gendarme vescovo rosso. Molte di queste specie alloctone sono entrate in competizione alimentare e per i siti di nidificazione con le specie autoctone che da sempre popolano i nostri parchi e giardini urbani e suburbani. L’evolversi di questo fenomeno è attentamente seguito da tecnici non solo italiani, che collegialmente nutrono preoccupazione. La prevenzione di nuove introduzioni rappresenta indubbiamente la misura più efficace ed economica per limitare i rischi complessivi legati alla diffusione di specie invasive. Per questo fine è necessario controllare l’importazione delle specie alloctone potenzialmente invasive, collegando tale possibilità ad una procedura autorizzativa. Al tempo stesso, occorre impedire e vigilare per evitare il rilascio in natura, intenzionale o accidentale, di esemplari esotici già presenti nel nostro Paese. Sarebbe utile, da parte degli organi competenti, iniziare a valutare la possibilità di assegnare alle specie esotiche invasive lo stesso status giuridico attribuito a topi, ratti e nutrie; in questo modo risulterebbe molto più agevole intervenire in maniera tempestiva, evitando tra l’altro delle possibili odissee giudiziarie a chi abbatte animali che rappresentano un pericolo per la nostra biodiversità.
La Trachemys scripta è concausa della drastica riduzione della nostra specie autoctona Emys orbicularis
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CRONACA
La conoscenza non può farci dimenticare chi non sa di SERGIO PALMA, FOTO FOI e S. GIANNETTI
O
gni mese, ormai da più di 30 anni, ricevo la nostra “Italia Ornitologica”. Sempre con la stessa curiosità e voglia di apprendere nuove nozioni, esperienze vissute da altri e vita della Federazione, leggo in circa due round l’intero magazine. La progressione numerica degli RNA ci dà l’idea di quante persone ogni anno, ogni mese, ogni giorno si avvicinino al nostro hobby, aggiungendosi alla grande schiera degli ornicoltori. La già numerosa schiera si potrebbe ulteriormente ampliare se la nostra rivista fosse disponibile anche nelle edicole, ma
Irish fancy lipocromico
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Ora do molte cose per scontate ma auspico una maggiore presenza di articoli per neofiti su I.O.
questi sono argomenti che non competono a noi tecnici. Ricevo spessissimo tramite la mia posta elettronica richieste di consigli che mi lasciano sbalordito per la semplicità degli argomenti, unitamente a quelle che considero ovvietà. Ugualmente, sui vari siti e blog che si interessano di ornicoltura, si leggono richieste di aiuto di persone che detengono uccelli e che non ricevono risposta da nessuno, tanto l’argomento sembra scontato. Logicamente sono dei neofiti e come tali chiedono quello che non conoscono e, forse, per i lettori di “Italia Ornitologica” sono cose risapute. Poi mi ritorna in mente come all’inizio del mio cammino sul sentiero orni-colturale le stesse domande le ponevo agli allora “vecchi” ed esperti allevatori. Mi piace sempre ricordare il mio mentore e già Giudice di Colore Giuseppe Cammarata, allorché da Allievo Giudice di Canarini di Colore, avendo bisogno di conoscere e studiare la genetica dei canarini, finito il lavoro, di ritorno a casa, mi fermavo presso l’abitazione del Professore che mi ospitava per insegnarmi ciò che lui conosceva e che oggi è il mio bagaglio
tecnico-culturale. Ora do molte cose per scontate ma auspico una maggiore presenza di articoli per neofiti su I.O. Eppure, tra Giudici ed allevatori esperti in grado di produrre un gran numero di canarini per stagione riproduttiva, molti potrebbero dare il loro contributo. Certo, lo scrivere pesa a molti, ma con un poco di buona volontà tutto si può fare. Veniamo al dunque. Molti sono gli interrogativi che si pongono coloro che intendono allestire dal nulla un allevamento, piccolo o grande che sia. Proviamo ad evidenziare i più comuni.
Lancashire testa coppy
La prima domanda alla quale bisogna rispondere, indipendentemente dalla specie che si decida di allevare è: quanto tempo posso dedicarvi? Teniamo presente che per un allevamento con il massimo della automazione, cioè fondi con rullo, mangiatoie anti-spreco e beverini con impianto a goccia, che abbia un numero di coppie tra 20 e 25, necessitano mediamente, durante la stagione riproduttiva, due ore al giorno. Dico mediamente perché un giorno a settimana dovrà essere dedicato alla pulizia dei fondi, indispensabile per garantire l’igiene dell’allevamento. La seconda cosa da valutare: il luogo o locale che si ha intenzione di usare, decidendo il tipo ed il numero di gabbie o voliere da installare. Non si deve pensare solo all’alloggiamento delle coppie da far riprodurre ma prevedere che queste si riprodurranno e che quindi i nuovi nati dovranno essere ospitati in gabbie capienti, capaci di far allenare al volo i giovani e far loro sviluppare dei buoni muscoli pettorali. Dobbiamo quindi fare una proiezione da 2 a 10. Vista la contingenza economica attualmente esistente nel nostro Paese, non tralasciamo di considerare la spesa per attrezzature e mangimi. Non è da trascurare, logicamente, neppure il postcova allorché incombe la muta e, tra piume da raccogliere e gabbie da lavare, di tempo ne occorre veramente tanto. Dopo queste riflessioni, si potrà scegliere e decidere se, cosa e quanto allevare. La mia attuale esperienza mi consente di pronunciarmi sulla gestione di un allevamento di Canarini di Forma e Posizione, di grande e di piccola taglia. È sicuramente possibile allevare questi due tipi di canarini, ma dobbiamo differenziare le strategie di conduzione. Partiamo dalla miscela di semi giornaliera. A mio parere, la miscela, per i canarini di grossa taglia, deve sicuramente essere più ricca di semi grassi rispetto a quella per le piccole taglie. Io preparo la miscela per mio conto, aggiungendo alla solita scagliola di base alcuni semi grassi, quali ad esempio ravizzone rosso e niger. Durante la preparazione alle cove e durante le covate aggiungo dell’avena monda. Anche se molti allevatori uti-
lizzano percentuali più alte, personalmente somministro una quantità all'incirca vicino al 2,5% per la grossa taglia ed intorno al 2% per le piccole taglie. La perilla, in misura di un chilo ogni 25, non manca mai. Per inciso, vorrei aggiungere che nessun produttore di mangimi differenzia le miscele per canarini di grossa e di piccola taglia, o per le diverse stagioni. Certamente le proteine e le calorie necessarie a far crescere un Hoso sono inferiori a quelle per far crescere un Lancashire. Spetta all’allevatore capire e modificare le miscele, alleggerendole o appesantendole di semi grassi, a seconda di quello che si alleva. Se non si vogliono comprare due tipi di pastoncino io consiglio, per le piccole taglie, di non aggiungere altre proteine animali, soprattutto in periodo di mantenimento e riposo. Se esageriamo con l’alimentazione grassa nelle razze di piccola taglia avremo canarini pesanti e poco aggraziati, che mostreranno quelle forme asimmetriche ed innaturali che scaturiscono dall’accumulo di grasso nella parte superiore tra gola e petto e nella parte inferiore tra petto e addome senza parlare della zona cloacale. Tanti canarini esposti nelle mostre perdono le loro rotondità e la loro grazia solo per colpa del grasso
Japan hoso melaninico, foto: S. Giannetti
eccessivo. Il grasso, nelle piccole taglie, contribuisce inoltre a far perdere vivacità lasciando gli uccelli letargici sui posatoi. Questo problema incide anche nel periodo riproduttivo: avremo problemi di fecondità nei maschi e nella deposizione per le femmine.
Semi di Perilla
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Miscela tre semi per canarini
Dopo la fine della deposizione, fino a due giorni prima della schiusa, non somministro pastone alle coppie per evitare che vadano in eccitamento per l’alimentazione. Sempre alla fine della deposizione, se in presenza di piccoli della nidiata precedente, preferisco trasferire il maschio ed i piccoli in un’altra gabbia.
Norwich lipocromico
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A proposito di balie, molti allevatori evitano usare le razze “leggere” per crescere razze pesanti. Dicono che non riescono a dedicarsi con successo perché secondo loro mangiano di meno dei canarini grandi. Nulla di più sbagliato. Io per i miei Norwich e Lancashire, quando non sono loro ad allevare, uso gli Irish Fancy che posso definire “mac-
chine da guerra” per le imbeccate. Comunque, gli allevamenti mono-razza possono eventualmente utilizzare con successo dei meticci come balie. La somministrazione di verdure o erbe prative è sicuramente positiva per tutti i tipi di canarini, ma solo se ben lavate ed asciugate. Nel periodo riproduttivo, per evitare l’imbrattamento dei nidi, fornisco broccoli ed altri semi immaturi solo dal 5-6° giorno dalla schiusa, quando cioè i nidiacei cominciano a defecare fuori dal nido. Nel periodo della muta, le verdure e le erbe prative assicureranno un eccellente approvvigionamento di sali minerali e vitamine che gioveranno sia alle grandi che alle piccole taglie. Per i primi 5 giorni di vita dei soggetti di grossa taglia, se possibile, bisognerebbe abituare le coppie riproduttive e le balie a mangiare tarme della farina o camole del miele. Per le razze pesanti, i primi giorni di vita sono estremamente importanti per garantire una crescita eccezionale. Non va dimenticato che nella preparazione alle cove, oltre a somministrare i vari integratori e vitamine, i riproduttori di grossa taglia o che comunque hanno un piumaggio abbondante, vanno toelettati nella zona cloacale. Devono essere tagliate, con una buona forbicina, le piume del basso ventre e della cloaca. Questo per consentire la fecondazione delle uova. Anche il tempo di svezzamento dei piccoli è diverso, tra le grandi e le piccole taglie; queste ultime si possono svezzare a circa 25 giorni, mentre non prima di 30 giorni quelle di grandi taglie. Il pastoncino, con aggiunta di uova sode, andrebbe sostituito anche due volte al giorno per non far irrancidire le parti deperibili. Bisogna fare attenzione agli acari rossi (Dermanyssus gallinae) capaci, in una sola notte, di succhiare molto sangue ai piccoli. Altro parassita dal quale guardarsi bene è il pidocchio pollino grigio (Menopon gallinae) che distrugge le penne e le piume degli uccelli, capace anch’esso di ricoprire interamente un nido facendo soccombere i piccoli per il freddo perché la madre, infastidita, li abbandona. Attenzione anche alla zecca del piccione (Arga reflexus), capace di uccidere anche gli adulti.
ALIMENTAZIONE
Il pastone per l’Usignolo testo e foto di Riccardo Ricci Curbastro
“D
i tutti gli uccelli, il Rosignuolo è quello che ha il canto più armonioso, il più variato ed il
più bello. Ciò che incanta nella voce del Rosignuolo non è soltanto la sua dolcezza, la sua grazia, la sua estensione, ma più d’ogni cosa l’accento particolare ed ogni volta sempre nuovo ch’egli sa dare alle sue strofe smaglianti. Chi può ascoltarlo senza estasi nelle belle notti di primavera, quando la sua voce non è offuscata da nessun’altra, quando tutto nella natura sembra dormire!” Comincia così l’opera di E. De Wael (1) dedicata all’Usignolo e ritengo che chiunque abbia sentito almeno una volta l’intenso canto d’amore di questo piccolo uccello non possa che convenire con l’autore. Canto così melodioso e variato da aver ispirato poeti da Aristofane (2) Petrarca(3), Pascoli (4), Gabriele D’Annunzio(5), Quasimodo (6), Ungaretti (7) e Federico Garcia Lorca (8) e sicuramente molti altri che non conosco o che ho semplicemente dimenticato. Canto così ricco da aver portato l’usignolo ad essere uno degli uccelli più ricercati per metterlo in gabbia e godere della sua compagnia. Pratica finalmente vietata ma diffusissima fino al secondo dopoguerra. Questo ci porta dritti all’attualità e, complice la quarantena imposta dal Covid-19, ad una ricetta scoperta tra i ricettari di famiglia durante uno dei riordini toccati un po’ a tutti noi in queste settimane. É una ricetta scritta in bella grafia nella prima metà del XIX secolo ed ha attirato la mia attenzione per il titolo insolito in un ricettario di casa: “Pastone per l’Usignolo”.
Usignolo, da Birds of Great Britain, Londra, 1896, Lloyd’s Natural History, Biblioteca Riccardo Ricci Curbastro
La ricetta per il pastone per Usignolo conservata presso la Biblioteca Riccardo Ricci Curbastro
Non potendone sperimentare l’appetibilità per l’usignolo - non ne detengo, ovviamente, in cattività, preferendo sentirli cantare liberi nei boschi - mi sono incuriosito e ho cominciato a ripercorrere tutte le ricette a me note e pubblicate in molti libri dedicati all’allevamento dell’usignolo; è stato anche un modo per ripercorrere gli scaffali della mia libreria, riscoprendo “tesori” dimenticati. Ne ho dedotto che la ricetta dovesse essere originale, frutto dell’esperienza di quel mio antenato, purtroppo anonimo, che l’aveva scritta dopo anni di lavoro sul campo con gli usignoli. Andiamo con ordine, questa è la trascrizione della ricetta: Una scodella di cece abbrustolito ridotto in farina nel mortaio. Soldi (9) 3 di Mandorle Dolci pestate fine Soldi 3 di miele Cinque tuorli d’ovo e il tutto si mette a cuocere con quattro once (10) di burro, colla seguente regola. Prima di tutto si mescola per bene insieme la farina di cece colle Mandorle e tuorli d’ovo, e si mette a cuocere colla metà del burro. Quando la farina di Cece comincia a prendere il giallo (formentone) (11) cuocendosi, allora si mette il miele ed il rimanente burro, e sempre mescolando si lascia cuocere finché tutto l’impasto prenda il colore giallo (oro) un po’ carico. Ben chiuso in vaso di maiolica si mantiene per 4 o 5 mesi. N.B. Che il cece debba essere abbrustolito ma non abbruciato, perché allora l’usignolo non lo mangia “Paese che vai, usanza che trovi” mi dissi dopo il ritrovamento e fui colto dalla curiosità di scoprire gli altri ricettari.
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De Wael e così anche Luigi Ghidini (12) convengono su un mangime composto di briciole di pane, di canapuccia tritata (seme di Canapa, Cannabis sativa) e di manzo bollito e tritato con un po’ di prezzemolo; qualche volta un giallo d’uovo indurito o pastoni mescolati con parti uguali di cuore di montone o di bue crudo tritato al quale saranno stati levati la pelle, il grasso ed i nervi. Questa la ricetta del primo pastone di De Wael: Due libbre di coscia di bue Una libbra di pasta di ceci Una libbra di mandorle dolci Una dramma (13) e mezzo di Zafferano di Gatinais (14) in polvere Dodici uova fresche I ceci devono essere pestati e passati allo staccio, le mandorle pelate nell’acqua calda e pestate quanto più fine sarà possibile; la coscia di bue dev’essere tagliuzzata assai fina e nettata con cura di tutte le pellicole, grasso e nervi; lo zafferano infuso in mezzo bicchiere d’acqua bollente. Disposto il tutto in tal maniera, si rompono in un piatto le dodici uova e vi si mescolano successivamente i suddetti ingredienti, terminando con lo zafferano.
Si forma col tutto delle focacce rotonde dello spessore d’un dito, che si fanno asciuttare al forno dopo che è stato tirato fuori il pane, o in una grande tortiera spalmata di butto fresco e messa ad un fuoco assai dolce. Queste focacce avranno raggiunto la cottura necessaria allorché avranno la consistenza dei biscotti fatti di fresco. Se ne rompe un pezzo e si sbriciola nella mano quando si vuol dare al rosignolo. Per il secondo pastone, De Wael indica questa ricetta: Rispetto al primo pastone aggiungere - una mezza libbra di seme di papavero - altrettanto di miglio giallo o mondato - due once di fior di farina - una libbra di miele bianco - due o tre once di burro fresco Saltando la descrizione dell’impasto e della cottura si arriva ancora una volta alla consistenza di un biscotto fresco, conservato poi in scatole di latta. Molto meno elaborate, ma sempre con cuore di bue o di montone crudo, bachi da crusca e farina gialla le ricette per l’alimentazione di Bacchi della Lega(15), che pure riporta le indicazioni di un altro bolognese, Alberti detto il Solfanaro (16), che aggiunge nell’alimentazione anche vermi della farina e polvere di bachi da seta
L’Usignolo di Mario Sernagiotto, Udine, 1955, ENCIA, Biblioteca Riccardo Ricci Curbastro
L’Usignolo, Lucio Susmel, Milano, 1972, Hoepli, Biblioteca Riccardo Ricci Curbastro
(bigatti) essiccati. Un altro testo sacro sull’allevamento dell’usignolo è quello di Mario Sernagiotto (17), che parla di pastoni umidi o granulati secchi, sconsigliando i primi nei periodi estivi per il rischio di fermentazioni. Nella loro composizione consiglia crisalidi essiccate del baco da seta, uova di formiche fresche o secche, insetti secchi sfarinati, cuore lesso trito, uova sode, farina di granoturco stagionata, farina di ceci abbrustoliti, farina di latte, sangue essiccato, farina di carne o di pesce, latte, frutta (banane, mele, pere, more e bacche varie), verdure ridotte in poltiglia (radicchio verde, lattuga la parte più verde, cicoria). Direi che quest’ultima parte fa subito venire in mente gli estratti di frutta e verdura oggi in gran voga. Sernagiotto considera anche indispensabile la somministrazione agli usignoli di tarme vive, in opportune quantità, cioè a discrezione dello “chef” e della sua esperienza! La tarma della farina o Tenebrione mugnaio (Tenebrio molitor) è un coleottero la cui larva cilindrica, chiamata anche camola, si nutre di farine, crusche, pane e pasta contaminando gli alimenti con i suoi escrementi, che danno un sapore sgradevole. Ritengo opportuno ricordare che tutti gli autori fin qui citati propongono un’alimentazione differenziata per i nidiacei ed il loro svezzamento; ho volutamente tralasciato quell’argomento per evitare di scrivere un intero Artusi della cucina per l’usignolo. Livio Susmel(18), autore a me caro perché un suo familiare, Lucio, fu mio professore di ecologia alla Facoltà di Agraria di Padova, allevò per lungo tempo usignoli ed altri uccelli canori a Villa Ojetti, in un parco ai piedi delle colline di Fiesole, e descrive un alimento base per l’usignolo, chiamato Luscinia (il suo nome latino): Farina di crisalidi . . . . . . . . . . . .gr.800 Farina di verme artificiale (19) .gr.320 Farina di cuore . . . . . . . . . . . . . .gr.160 Farina gialla . . . . . . . . . . . . . . . . .gr.16 Scagliola (20) intera . . . . . . . . . .gr.100 Gusci di conchiglia . . . . . . . . . . .gr.100 Farina di pere . . . . . . . . . . . . . . . . .gr.4 Farina di mele . . . . . . . . . . . . . . . . .gr.4
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Farina di lattuga . . . . . . . . . . . . . . .gr.4 Farina di cicoria . . . . . . . . . . . . . . . .gr.4 Farina di uova . . . . . . . . . . . . . . . .gr.16 Granito . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .gr.16 Germe di grano . . . . . . . . . . . . . . .gr.80 Farina di latte magro . . . . . . . . . . .gr.4 Calcio sabbioso . . . . . . . . . . . . .gr.180 Canapa macinata . . . . . . . . . . . . . .gr.8 Grasso di palma . . . . . . . . . . . . .gr.100 Pane grattugiato . . . . . . . . . . . .gr.100 Analisi chimica in %: acqua 7,24; protidi grezzi 31,59; lipidi grezzi 19,50; fibra grezza 2,69; ceneri 23; estrattivi inazotati 23,33. Questo alimento per il Susmel costituisce il pane quotidiano per l’usignolo. Ma poi aggiunge: “A questo mangime occorre aggiungere altri ingredienti freschi. …Rapportato in grammi l’alimento completo è il seguente: grammi 50 di farina di crisalidi o di luscinia, grammi 50 di carota grattugiata o di verdure tritate, o di mescolo di entrambe, grammi 10 di pane grattugiato, grammi 25 di cuore crudo macinato. Il tutto mescolato molto bene. 4 o al massimo 5 camole al giorno, o 5 grammi di verme artificiale, o ancora, 8-10 bachini di sego (21). A giorni alterni si può incorporare nel pastoncino la buccia di mezza mela macinata, 10 grammi di manzo bollito o di pesce bianco bollito.” Sappiamo tutti dei progressi scientifici che ci hanno accompagnato in questi ultimi decenni ed anche quanto si sia accelerata ogni tipo di ricerca e conoscenza; tuttavia, chiudendo questa rassegna di ricette scritte nell’arco degli ultimi due secoli, mi è venuto spontaneo considerare che le stesse sono andate evidentemente complicandosi, o meglio completandosi nel tempo, ma che comunque anche le più antiche dovevano essere funzionali alla sopravvivenza dell’usignolo in cattività. Se ne deduce che, così come per l’uomo, anche l’usignolo, da un’alimentazione più povera e poco variata, sia passato ad una più ricca e completa, una sorta di percorso dalla cucina della nonna a quella degli odierni chef stellati: peccato non poter assegnare stelle, forchette e cappelli alle diverse proposte culinarie.
Usignolo, fotoincisione all’albumina di Lilian M. Medland tratta dall’opera di Charles Stonham, The Birds of the British Islands, London, 1906, Grant Richards, Biblioteca Riccardo Ricci Curbastro
Note (1) E. De Wael, “Il Rosignolo. Maniera di prenderlo, di allevarlo, di farlo cantare e anche riprodurre in captività” edita dall’Editore Francesco Battiato nel 1916 a Catania (2) Aristofane, Gli Uccelli (3) Petrarca, “E l’usignuol che dolcemente all’ombra /Tutte le notti si lamenta e piagne /D’amorosi pensier il cor ingombra” (4) Pascoli, L’Usignolo e i suoi rivali, “..e dolce più del timo/ e più puro dell’acqua era il suo canto”. (5) D’Annunzio nel romanzo L’innocente
Il Rosignolo, E. De Wael, Catania, 1916, Francesco Battiato Editore, Biblioteca Riccardo Ricci Curbastro
(6) Quasimodo, Milano, Agosto 1943 (7) Ungaretti, Ultimo Quarto, 1927, “…E fra arse foglie come in fermo fumo / Con tutto il suo sgolarsi di cristallo / Un usignuolo? (8) Garcia Lorca in Canzone Minore e in Canzoncina del primo desiderio “…Nella sera matura/volevo essere usignolo/Usignolo” (9) Soldo era la moneta della Repubblica di Venezia a partire dal 1300 e fino alla caduta della Repubblica stessa, con la stessa denominazione fu anche usata durante la dominazione austrica fino all’Unità d’Italia. (10) L’oncia, unità di misura greco-romana, era un dodicesimo della libbra, 28,30 grammi in Toscana, 24 grammi in Romagna, 28,17 grammi in Veneto, questo perché nei secoli anche la libbra aveva assunto valori diversi in tutta Italia. Con l’Unità d’Italia fu adottato ovunque il sistema metrico decimale già in uso nel Regno di Piemonte e Sardegna dal 1844. (11) Formentone, in Lombardia e Veneto è il nome dato anticamente al Mais (Zea mays), il cereale portato in Europa da Cristoforo Colombo nel 1493 (12) Luigi Ghidini “I migliori uccelli canori indigeni più comunemente allevati per diletto”, Milano, Ulrico Hoepli, 1932, Terza Edizione (13) Dramma, unità di misura farmaceutica pari ad 1/8 di oncia. (14) Gatinais, era una regione storica francese, oggi nel dipartimento della Senna e Marna, capoluogo il villaggio di Château-Landon, nota per la produzione di zafferano. (15) Alberto Bacchi della Lega, Caccie e costumi degli uccelli Silvani, Città di Castello, Editrice S. Lapi, 1910 (16) Alberti Bartolomeo, bolognese detto il Solfanaro, Il cacciator bolognese o vero brevi notizie intorno alla generazione degli uccelli e à vari modi più facili o sicuri per prenderli in buon numero, Bologna, Società tipografica già Compositori, 1930. Ristampa anastatica del manoscritto del 1716 esistente nella R. Università di Bologna. 410 esemplari numeri. (17) Mario Sernagiotto, L’Usignolo, Udine, Edizioni ENCIA, 1955 (18) Livio Susmel, L’Usignolo, Allevamento Malattie Cure, Milano, Ulrico Hoepli Editore, 1972 (19) Farina di verme artificiale da farina di uvetta sultanina gr. 500, pinoli macinati gr.500, farina di crisalidi gr.300, olio di oliva gr.20, olio di fegato di merluzzo gr.20, calcio monobasico gr.20. La farina di uvetta è ricavata da 250 gr. di uva sultanina e 250 gr. di pane all’olio grattugiato. Componenti questi essiccati all’ombra e poi macinati. (20) Scagliola, anche con il nome di alpiste, Phalaris canariensis. I semi di scagliola sono ricchi di proteine e di fibre. La pianta della scagliola è originaria delle isole Canarie e fa parte della famiglia delle graminacee. Ha fiori disposti in spighe e i suoi frutti sono semi avvolti in un piccolo guscio. La scagliola è una fonte di calcio, magnesio e acido folico. (21) I bachi di sego o bigattini o cagnotti, sono larve di colore biancastro lunghe qualche millimetro della mosca carnaria Sarcophaga carnaria, molto usate come esca da pesca.
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O rniFlash Intelligenza artificiale per riconoscere gli uccelli
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intelligenza artificiale impara a riconoscere gli uccelli, mettendosi alla prova con il birdwatching. È quanto emerge dallo studio pubblicato sulla rivista Methods in Ecology and Evolution dai ricercatori della Società ecologica britannica e del Centro francese per l’ecologia funzionale ed evolutiva, coordinati da André Ferreira. Gli esperti hanno addestrato i sistemi di intelligenza artificiale a riconoscere gli uccelli attraverso migliaia di foto. “Abbiamo dimostrato che questi sistemi sono in grado di riconoscere decine di singoli volatili, come cinciallegre e fringuelli, un’abilità che gli esseri umani, invece, non possiedono”, ha spiegato Ferreira. I sistemi di intelligenza artificiale sono riusciti a riconoscere gli uccelli con un’accuratezza superiore al 90% per le specie selvatiche. “Grazie a questi risultati – ha concluso Ferreira – è possibile studiare il comportamento degli uccelli senza utilizzare procedure invasive, come l’etichettatura delle zampe, che possono risultare stressanti per gli animali”. Uno dei prossimi passi sarà superare le difficoltà rappresentate da cambiamenti nel tempo dell’aspetto degli uccelli, come eventuali mute, che potrebbero provocare errori di riconoscimento. Per gli esperti, tuttavia, le ricerche basate sui sistemi di intelligenza artificiale sono sempre più importanti nel monitoraggio a lungo termine delle popolazioni di uccelli, per proteggere le specie più fragili dalla pressione evolutiva esercitata ad esempio dai cambiamenti del clima. Fonte: Ansa/GreenMe, foto André Ferreira
Villaggio al buio per salvare il pettirosso indiano
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otthakudi è un villaggio di sole 120 case che si trova nel distretto di Sivaganga nel Tamil Nadu in India. L’illuminazione di questo piccolo centro abitato è assicurata da 35 lampioni che vengono accesi tramite una centralina che si trova all’interno di una cassetta di metallo. Proprio qui, però, un pettirosso indiano (Copsychus fulicatus) ha deciso di fare il suo nido e mettersi a covare le uova. Come fare per tutelare la sua incolumità e quella dei piccoli? Semplice, non utilizzare la corrente. A raccontare questa insolita storia è Karuppu Raja, che si occupa di accendere i lampioni del villaggio alle 18:00 di ogni giorno da oltre un decennio. È stato proprio lui, infatti, a notare per primo la presenza dell’uccello e poi il nido. Ha deciso allora di scattare delle foto e registrare un video per mostrare la situazione agli abitanti del villaggio. Sebbene alcune persone si siano opposte alla proposta, sostenendo che spegnere le luci sulla strada avrebbe causato disagi agli abitanti del villaggio, Raja ha detto che la maggior parte delle persone ha accettato il suo suggerimento e si è mostrata ben felice di poter aiutare questo uccello a nidificare e far crescere i suoi cuccioli in serenità e sicurezza. Dopo 45 giorni, ha raccontato Raja, mamma e uccellini hanno lasciato il nido ed è finalmente tornata la luce a Potthakudi. Un bellissimo esempio di rispetto assoluto per gli animali, anche a costo di sacrificare qualche nostra comodità. Fonte: https://www.greenme.it/informarsi/animali/villaggio-buio-salva-nido-uccello/ Foto: Karuppu Raja
O rniFlash La vita difficile dello Stiaccino a popolazione di Stiaccino è in calo netto in tutta Europa. Questo piccolo volatile migrante passa l’estate nel nostro continente e sverna in Africa. Uno studio, a cui ha collaborato anche la Stazione ornitologica svizzera, ha cercato di capire quale fosse la causa. Dopo anni di osservazione, i ricercatori hanno escluso lo spostamento verso altre zone e la distruzione dell’habitat nell’area di svernamento in Africa. Sarebbe invece l’agricoltura europea a mettere a rischio la popolazione di Stiaccino: l’uccello costruisce i suoi nidi nei prati fioriti. Irrigati e fertilizzati sempre più intensamente, vedono l’erba crescere più velocemente e tagliata prima e più frequentemente. Questo non dà il tempo agli uccelli di riprodursi, le loro covate vengono falciate. In più, i prati rasati meno ricchi d’insetti offrono poco cibo a questi uccelli, puramente insettivori. C’è una soluzione? “L’uso di fertilizzanti e pesticidi deve essere ridotto. Nei prati, in cui sono presenti covate dello Stiaccino, è inoltre necessario lo sfalcio tardivo, a seconda dell’altitudine tra l’inizio e la fine di luglio” - scrive la Stazione ornitologica svizzera. Fonte: https://www.ticinonews.ch/magazine/scienza/ la-vita-difficile-dello-stiaccino-BK2936605
ll gufo reale europeo terrorizza il Belgio
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n gufo reale, da un’apertura alare di quasi 2 metri e molto aggressivo, sta terrorizzando gli abitanti di Erpe-Mere, una città vicino Aalst nelle Fiandre orientali. Il gufo ha già attaccato e ucciso anatre locali, forato una piscina per bambini e terrorizzato i cani del posto. ‘Stamattina l’ho visto che stava in mezzo alla strada’, ha dichiarato il residente Peter Van Geem. ‘Ho preso il telefono e ho iniziato a filmarlo. Invece di volare via, mi ha guardato dritto e ha spalancato le ali. Molto impressionante.’ Il gufo reale si trova soprattutto allo stato brado nelle Ardenne e in parti della provincia del Limburgo, ma non è estraneo alle aree più abitate del Belgio. Si tratta del gufo più grande d’Europa. Nel maggio di quest’anno, una coppia di gufi aveva costruito il suo nido sul davanzale della finestra dell’olandese Jos Baart, 63 anni, che vive a Geel, nella provincia di Anversa, dove una fioriera è diventata la dimora di tre pulcini di gufo. L’agenzia di tutela della natura Natuurpunt si è recata in visita per controllare i pulcini di gufo e ha scoperto che pesavano tra 1,3 kg e 1,7 kg. Altrove, un gufo che sorvolava Vilvoorde, appena fuori Bruxelles, è stato finalmente catturato dopo aver girovagato sin dall’autunno. Un uomo del posto lo ha catturato a giugno e consegnato al centro di soccorso per uccelli di Malderen a 20 km di distanza. Come l’esemplare di Erpe-Mere, quell’uccello era inanellato, e si pensa che entrambi gli uccelli siano fuggiti da un luogo in cui si sono abituati alla presenza degli esseri umani, senza provare paura. Fonte: https://www.31mag.nl/il-gufo-reale-europeo-terrorizza-il-belgioe-aggressivo-ed-ha-unapertura-alare-di-quasi-2-metri/ Foto: wikmedia.org, autore: Softeis
News al volo dal web e non solo
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CRONACA
Una bellissima scoperta testo e foto di Luca Bonardi
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ono Luca, un allevatore ‘esperto’ ormai, se così mi posso definire. Fin da piccolo sono sempre stato a contatto con la natura: dal mio piccolo cagnolino Fufi, fino ad arrivare agli uccelli da allevamento. Da molto ormai conservo questa passione: gabbie, voliere, mangimi… tutto il mio regno è contenuto presso la mia abitazione, a Sarnico. Giorno dopo giorno ho scoperto cose nuove, fino ad ora, e questo mi porta ad amare sempre di più la mia passione e ciò che svolgo, lo svolgo con amore.
Da molto ormai conservo questa passione: gabbie, voliere, mangimi… Scorcio della voliera
Allevo principalmente sassello, tordo bottaccio, tordo sassello e cesena. Come ogni mattina, precisamente in una mattinata di marzo, mi recai nella mia voliera dove vi sono tutti i miei uccelli: entrando notai subito che la prima coppia di tordo bottaccio aveva creato, nei giorni precedenti suppongo, un nido, imbastito correttamente e molto confortevole per i futuri pulli; era stato costruito in una posizione abbastanza scomoda per la mia vista e per i miei occhi, quindi decisi di addentrarmi nella voliera per vedere più accuratamente. Vidi che gli uccellini erano ormai nati da alcuni giorni; non avendo fatto molta attenzione ed essendo, forse, stato brusco nei
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La femmina di Tordo bottaccio
movimenti, notai che la madre scappò dalla voliera, lasciando il nido scoperto. Decisi così di prendere una gabbia, distaccata dalla voliera, ponendole all’interno il maschio e lasciando aperta la fessura che permetteva l’entrata e la fuoriuscita, per vedere se la femmina entrasse nuovamente nella gabbia per continuare l’accudimento dei piccoli. Aspettai svariate ore senza alcuna buona notizia; la madre non tornò più e i piccolini morirono. Molto dispiaciuto di questa piccola ma importante perdita, inserii all’interno della voliera un’altra femmina di tordo bottaccio con lo scopo di ricreare una seconda prole.
Dopo 15 giorni, senza aver più notizie della madre precedente, molti pensieri mi assalirono: magari è migrata, magari è scappata, tante cose continuavano a girovagare per la mia testa senza però avere una risposta decisiva. La mattina del giorno stesso, mi accorsi di una presenza insolita vicino alla voliera; mi sentivo quasi osservato, allora, delicatamente e facendo attenzione ai miei movimenti, girai la testa e notai che la precedente femmina, ormai senza prole, mi stava fissando. Molto entusiasta e felice di questa cosa, mi avvicinai e le diedi alcune camole; poco dopo, notai che cercava di dirigersi verso la siepe che era posta vicino alla voliera, così decisi di andare a vedere e scoprii che aveva creato nuovamente un nido con la speranza di ri-covarci presto. Era tutto perfetto ma mancava il maschio per completare la coppia e per riprodurre nuovi pulli; quindi, decisi di inserire nel nido due uova prodotte da una femmina di sassello in cova che ne aveva deposte ben sette. La buona notizia finalmente è giunta a noi: la femmina da diversi giorni sta accudendo i due sasselli, mantenendo sempre lo sguardo verso di me in mia presenza, con la speranza che le dia delle tarme per portare a termine la crescita degli uccellini.
La strana Zampetta
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ono un giovane allevatore di canarini, da molti anni iscritto alla FOI; da tempo osservavo nelle gabbie di vari rivenditori canarini affetti dal caso del pollice reverso (primo dito posteriore posizionato in direzione delle altre dita anteriori, fig.1), un problema che normalmente non è causato da un errato anellamento dei pulli, bensì dalla genetica o a volte da madri troppo premurose che tentano di rimuovere l’anellino, incastrando il pollice posto in avanti. In alcuni casi, se non si interviene in tempo, si può verificare la perdita di tale dito. Quest’anno ho deciso di acquistare un esemplare e di provare una protesi “fai da te”, con dei materiali molto semplici da reperire, come dei comuni anellini in plastica tagliati e della colla. Occorrente - 2 anellini di plastica tagliati (fig. 2) - colla Procedimento - Incollare i due anellini (fig. 3) - Inserirne uno allo stinco e l’altro al pollice, nella giusta posizione (fig. 4) Da tale metodo il canarino ha tratto innumerevoli vantaggi, grazie a una postura migliore. non essendoci più arrossamenti alla zampa, soprattutto senza subire alcuno stress ROBERTO TIERI
Il nido di Tordo bottaccio Figura 1
Figura 2
Figura 3
Figura 4
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CRONACA
Mario e Maria Campioni Italiani
Un unico allevamento, lo stesso impegno anche se con due RNA diversi
La promessa è mantenuta testo e foto di IGNAZIO SCIACCA
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el numero di gennaio 2019 nel Reportage “La vita è… bella” a pagina 23, trattando della storia emozionante di Mario Cerniglia, della compagna Maria e della sua mamma gravemente malata e costretta a letto, ad un certo punto si legge: “Quando la mamma comincia a perdere lucidità a causa delle malattie che progredivano, Mario le promette solennemente che, in suo onore e per senso di gratitudine, si impegnerà per conquistare il titolo italiano con i suoi Gloster” Mario e Maria, compagni nella vita, accudiscono assieme la mamma di lui ed insieme, nella comoda veranda dello stesso appartamento, si cimentano nell’allevamento dei Gloster. Un unico allevamento, lo stesso impegno anche se con due RNA diversi, ma solo per creare un innocuo dualismo ed antagonismo familiare che serve più che altro per una sorta di sfida o ironica competizione interna. In pratica ogni soggetto del loro allevamento, indipendentemente dall’anello che porta al piede, sia con RNA di Mario che con RNA di Maria, è frutto di una identica doppia passione ed impegno quotidiano e competente.
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Mario e Maria in allevamento
La prima occasione utile per provare a mantenere la promessa si presenta nell’ultimo Campionato Italiano di Bari, a dicembre 2019. Mario e Maria sono indecisi se partecipare. Sia per lo stress che vorrebbero evitare ai loro piccoli gioielli alati che accudiscono con amorevole impegno, sia perché, in fondo in fondo, hanno un velato timore di fallire nel loro primo tentativo di mantenere la promessa fatta alla mamma. Mario chiede consigli, parla con tanti altri allevatori. La stagione espositiva fino a quel momento aveva fornito ottimi risultati. I soggetti esposti, fino a quel momento, avevano mietuto successi ovunque. L’apprezzamento di molti allevatori nel corso delle mostre e il giudizio più che confortante, anzi in certi casi entusiasmante, da parte di parecchi Giudici FOI ed OMJ li spingevano ad iscrivere i loro soggetti al Campionato Italiano di Bari. Mario si consiglia anche col sottoscritto. Mi permetto di suggerire loro che la partecipazione dei loro Gloster, indipendentemente dalla qualità espressa, rappresenterebbe un assoluto dovere morale nei confronti della madre. Lui ha solennemente espresso, con la voce tremante, al sottoscritto, a Salvo Alaimo ed a Francesco Badala-
menti in occasione della nostra visita per la realizzazione del primo articolo, la ferma e decisa volontà di cimentarsi in questa sfida per onorare i sacrifici della madre. “Mario non potete tirarvi indietro! Né potete rimandare l’appuntamento annuale col Campionato Italiano” gli ripetevo telefonicamente. Gli assicuro inoltre che il convogliamento organizzato dal Raggruppamento, con l’ausilio di ottimi e selezionati convogliatori, assicurerà, così come poi è realmente stato, il pieno rispetto del benessere animale dei soggetti fino a Bari e ritorno.
La promessa andava mantenuta. Bisognava portare a casa il diploma di Campione Italiano Mario si lancia, ed insieme alla sua compagna Maria iscrivono i loro soggetti al Campionato Italiano di Bari. È la loro prima partecipazione in assoluto a tale tipo di manifestazione!
Il Gloster Campione Italiano
Diploma di Campione Italiano
Hanno già vinto in tutte le altre manifestazioni nazionali ed internazionali, compreso il mondiale (Cesena 2018) ma non avevano ancora partecipato al Campionato Italiano. La promessa andava mantenuta. Bisognava portare a casa il diploma di Campione Italiano per offrirlo e dedicarlo alla mamma Maria. Grande trepidazione in attesa dei risultati. Telefonate agli allevatori amici e conoscenti per avere notizie. Cellulare incandescente con interrogazioni a Facebook e Whatsapp per sapere com’era andata. Tremarella e palpitazione pensando a ciò che sarebbe potuto succedere. Le ore ed i minuti non passavano mai! Alla fine, in tarda serata arriva la tanto attesa notizia: Mario e Maria (con anellino di Maria Ceatra) sono CAMPIONI ITALIANI con un Gloster Consort lipocromico bianco: 93 punti! Ed ottimi piazzamenti e punteggi anche per gli altri Gloster esposti! Sospiro di sollievo, lacrime e spumante anche per mamma Maria che li guarda con lo sguardo apparentemente assente ma che, forse, gioisce silenziosamente per questi due ragazzi che, pur nella sofferenza, le stanno regalando emozioni e sensazioni uniche. Mantenendo, eccome, le promesse!
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CRONACA
Compio 50 anni di F.O.I. di GIOVANNI CANALI
L’autore all’interno del Museo F.O.I.
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orrei ricordare qualcosa del mio passato ornitologico, poiché penso che le mie esperienze e valutazioni possano essere condivise da qualcuno e possano suggerire considerazioni, mi auguro utili. Poiché mi sono iscritto il 01–01–1970, ho compiuto il mezzo secolo di iscrizione alla mia associazione, che è quella di Parma, allora A.O.P. oggi A.D.O.P. affiliata alla F.O.I., vedendomi attribuito l’R.N.A. A895. Va aggiunto che allevavo già da tempo; ho avuto i primi uccellini (pappagallini ondulati) ad 8 anni e mi sarei iscritto prima; avevo letto qualcosa della F.O.I. su di un libro, ma il negoziante che frequentavo non era in buoni rapporti con l’associazione locale e non faceva informazione in tal senso. Da qui il consiglio che do alle associazioni di avere un buon rapporto con i negozianti. Finalmente, quando ebbi informazioni precise, avevo quasi 22 anni, andai nella sede dell’associazione, che poi non era una sede, ma il bar di un circolo sportivo
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(mi pare che fosse il Rapid) dove alla domenica i soci si riunivano. Il bar è un contesto utilissimo per fare gruppo, e sarebbe bene che non mancasse. Mi presentai e mi iscrissi, come se stessi facendo una cosa da tempo desiderata e che ritenevo importante. Fui accolto bene, ma non riscontrai subito il coinvolgimento che avrei gradito. Anche da qui nasce la disponibilità che ho sempre nei confronti dei nuovi iscritti e che sollecito anche agli altri soci anziani. All’inizio il mio rapporto con l’ambiente
Poiché mi sono iscritto il 01–01–1970, ho compiuto il mezzo secolo di iscrizione alla mia associazione
degli allevatori del quale venivo a far parte era quasi esclusivamente limitato all’associazione locale. Purtroppo, all’epoca non c’era la rivista Italia Ornitologica e quindi il collegamento F.O.I.allevatori era alquanto labile. Della Federazione sentivo parlare poco e come qualcosa di lontano. Solo successivamente ci fu qualche importante contatto in più; del resto, ebbi anche un’esperienza a livello di raggruppamento e divenni giudice. Poi ricevetti anche l’alto incarico di tenere diversi corsi allievi giudici che non credo possano essere dimenticati tanto facilmente. Un ulteriore impegno è stato anche il museo, ove ho collaborato e collaboro. Ho avuto anche partecipazioni nella commissione tecnica. Mi fu utilissimo l’abbonamento alla rivista “Il giornale degli uccelli” edito dall’Encia di Udine, pubblicazione mensile di notevole pregio per l’epoca sulla quale scrissi i miei primi due articoli, assieme ad un valoroso compianto amico, Paolo Franzosi. Su quella rivista si parlava non solo di tecnica, ma qualche volta anche della Federazione, delle mostre ecc.. C’era anche un’altra rivista: “Uccelli”, pure di Udine, alla quale mi sono abbonato dopo, ma la apprezzavo meno: c’era qualche buon articolo, ma lo spazio dato alle polemiche, spesso opinabili e di dubbia utilità, ritenevo fosse eccessivo. Successivamente migliorò sotto questo aspetto, ma purtroppo non durò e chiuse. Avere riviste di settore è importantissimo poiché sono strumento utilissimo di approfondimento e l’approfondimento è cosa ben diversa dalle chiacchiere da bar. Inoltre, è bene diversificare le fonti di informazione. Poi è arrivata la rivista “Italia Ornitologica” che ha costituito un salto di qualità nei rapporti con gli allevatori e
pure pregevole per gli aspetti culturali. Timidamente, dopo qualche tempo, mandai qualche contributo anche a questa rivista; in seguito ho accresciuto la collaborazione e da diversi anni sono impegnato nel comitato di redazione. Successivamente apparve la rivista “Alcedo”, davvero splendida, con la quale, pure, ho avuto delle frequentazioni. La sua chiusura la considero una vera grave perdita a livello culturale e trovo incredibile che gli abbonamenti non siano stati numericamente adeguati. Oggi abbiamo anche “L’informatore alato” dell’associazione di Monza e “Il Corriere Ornitologico” di Palermo. Riviste piccole di formato ma non di contenuti, che sono spesso pregevoli; sono in rapporti costruttivi anche con queste. C’è solo da rattristarsi per la scarsa attenzione che gli allevatori hanno per le pubblicazioni, così utili a livello culturale e di approfondimento. Si consideri che i vari social, così alla moda, dove chiunque può dire qualunque cosa, non sono sostitutivi di testi e riviste importanti. Diverso il caso di riviste informatiche o siti gestiti adeguatamente da persone competenti. A livello di collaborazione con I. O. ebbi un notevole esito quando entrai nel gruppo dei collaboratori più impegnati. Andavo molto volentieri alle riunioni di Piacenza; qui conobbi diverse persone importanti del nostro ambiente, in particolare ricordo il compianto prof. Zingoni. Non capita tutti i giorni di conoscere un docente universitario, ancorché a riposo. Nonostante la differenza di età, ebbi con lui rapporti cordiali e perfino amichevoli. Spesso l’ho disturbato per avere conforto scientifico a certe mie osservazioni. Del resto, un perfezionista come me ha sempre timore di sbagliare e gradisce l’avallo di persone qualificate. Ebbi anche la fortuna di conoscere altri ornitologi e docenti universitari. Uno fu il cordialissimo compianto prof. Sergio Frugis; anche con lui ebbi colloqui di straordinario interesse. Poi il prof. Renato Massa, col quale ho pure tuttora rapporti amichevoli, nonché interessanti culturalmente. Abbiamo anche pubblicato assieme un articolo che ha lanciato l’idea del pappagallino ondulato di colore, successivamente
riconosciuto, grazie soprattutto a Salvatore Cirmi che ne comprese il pregio. Non a caso il prof. Massa ed io siamo ostili a certe selezioni eccessive, specialmente riguardanti il gigantismo. I rapporti con il mondo universitario ed ornitologico scientifico sarebbero interessantissimi, ma purtroppo le difficoltà sono proibitive. Può esserci qualcosa solo se tali scienziati sono interessati a livello personale al nostro ambiente amatoriale. Ho avuto la fortuna di conoscere il compianto prof. Danilo Mainardi in occasione di una trasmissione televisiva sui canarini, quando gli fornii alcuni ragguagli. Rimasi colpito dalla sua brillantezza intellettuale; infatti, quando gli illustravo qualche aspetto particolare a lui non noto, capiva al volo, prima ancora che avessi terminato! Una cosa ben diversa da certi personaggi che non capiscono anche dopo reiterate spiegazioni e poi dicono di non essere d’accordo... Successivamente, ricorsi a lui per la faccenda del mosaico e molto gentilmente mi procurò un appuntamento all’istituto di genetica. Con estremo imbarazzo ci andai e qui mi si disse che, dal punto di vista teorico, il discorso reggeva. Quindi non una adesione, non conoscevano la fattispecie, ma almeno un avallo teorico sì. Questo mi consentì di scrivere l’articolo considerato a lungo “eretico”, ove escludevo l’origine cardinalina del mosaico. La stessa cosa
feci per l’ali grigie come effetto di geni modificatori, poi non osai disturbare oltre. Recentemente ho instaurato rapporti cordiali via pc e telefono con il dott. Pasquale De Luca, importante genetista, già allevatore di Lizard, che ha apprezzato una mia ipotesi, o forse già teoria, sull’intenso, tanto che l’ha tradotta in inglese scientifico e con una sua nota a margine. Grandi soddisfazioni culturali le ho avute anche in precedenza con il compianto prof. Riccardo Stradi, un’autorità nel campo dei carotenoidi. Persona piacevolissima, conosciuto in un convegno scientifico. Fu per me molto gratificante constatare che l’ottica sui fattori rossi sua e mia potevano coincidere, visto che i suoi studi sui carotenoidi, dal punto di vista chimico, erano compatibili con le mie osservazioni genetiche. Successivamente scrisse qualcosa per I. O. ed un articolo era a firma di entrambi, onore non certo piccolo. Più vicino al nostro ambiente, ho avuto contatti e collaborazioni con il grande compianto G. P. Mignione, uomo coltissimo, direi non sufficientemente valorizzato. Ho tuttora utilissimi contatti con il dott. Alamanno Capecchi, pure di grande cultura, e con Giuliano Ferrari, che ha una cultura ampia e profonda in varie discipline e con il quale ho calato il poker di quattro articoli, direi apprezzati, su aspetti anatomici e morfologici.
Il “primo amore” un pappagallino ondulato
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Cito in ordine alfabetico alcuni tecnici con i quali ho avuto utili collaborazioni, certo di dimenticarne alcuni coi quali mi scuso anticipatamente: C. Alfonzetti, L. Baruffaldi, D. Crovace, E. Lenzo, R. Paganelli, M. Tolomelli, G. Trainini. Cito a parte il dott. Tiziano Iemmi prezioso veterinario e coautore del mio ultimo libretto “L’ABC del Canarino”. Non devo e non intendo dimenticare Paolo Franzosi. Eravamo coetanei ed amici anche fuori dall’ambito ornitologico. Paolo, quando lo conobbi, era un brillante studente universitario di fisica. Poi si sarebbe laureato con la lode e sarebbe diventato un importante ricercatore in quel campo. Eravamo considerati due promesse per l’allevamento, ma purtroppo Paolo dovette allontanarsi per via di una grave forma allergica. Poi morì prematuramente. Fu una tragedia per la sua famiglia, ma anche un danno per la ricerca nel suo campo, visto che stava ottenendo ottimi risultati. Anche quando si era dovuto allontanare io lo frequentavo e spesso gli facevo leggere dei miei scritti; del resto, era un esaminatore formidabile, data la formazione scientifica. Con lui, come anticipato, scrissi i miei primi due articoli, il secondo dei quali penso possa avere un certo posto nella storia del nostro ambiente, visto che per la prima volta si spiegava in modo chiaro e certo come la categoria (intenso, brinato e mosaico) fosse presente anche nei bianchi. Concetto che
Tre grandi ex Presidenti: R. Coffetti, S. Cirmi e P. Droghetti
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prima aveva già fatto capolino, ma in modo incerto e poco chiaro. Paolo ed io, da ragazzi, frequentavamo diversi allevatori ed anche personaggi ritenuti importanti. Ebbene, già allora avevamo letto testi anche scolastici ed avevamo nozioni almeno discrete su certi temi, quindi a volte, di fronte a certi errori enormi, ci facevamo qualche risata. C’era chi diceva che per allevare ottimi verdi (nero gialli) bisognasse partire incrociando un verde con un bronzo (nero rosso). Una cosa totalmente assurda; si sarebbe solo danneggiata gravemente la varietà, visto che i gialli devono essere del tutto privi di tracce rosse e per giunta di tonalità limone. Eppure, lo si dava come fatto certo, e per altrettanto certo si dava il fatto che le macchie melaniche ossee si trasmettessero, mentre quelle delle penne no! Dove per macchie ossee intendeva quelle di becco e piedi. Peccato che il becco non sia un osso, ma una produzione cutanea, un astuccio corneo, costituito cioè da cheratina come le penne; le ossa stanno sotto. Quanto al piede, anche qui le ossa stanno sotto e sono rivestite anche da squame, che come le unghie sono di cheratina e sono produzioni cutanee come le penne. Di conseguenza, nessuna differenza c’è fra la trasmissibilità (elevatissima) delle macchie in rapporto alla loro localizzazione. Qui mi veniva anche il dubbio che lo si dicesse per vendere bene i macchia-
ti di piumaggio, ma forse no, sembravano convinti. Altri avevano uscite altrettanto assurde; si diceva ad esempio che “la femmina non dà nulla, dà quello che ha e te lo fa vedere, dà solo un poco di morfologia”. Come se tutti i caratteri fossero legati al sesso e più! Poi si aggiungeva di comprare femmine perché i maschi sono pericolosi, poiché non si sa cosa nascondano… inutile dire che anche qui ci scappavano facili battute e qualche risata, con frasi, da parte mia, del tipo: “Se avessi un bel maschio isabella le femmine sarebbero tutte campionesse, anche con la mamma orribile, magari bruna!” Oppure “Una volta ho comprato un maschio, ebbene era pericoloso; infatti è esploso!” Qualche piccola ironia ci può stare. Del resto, chi parla senza averne la competenza, non può lamentarsi. Dovrei ora spendere qualche parola su Silvano Gasparini, ma la cosa mi imbarazza molto, poiché dopo un inizio di forte collaborazione siamo diventati “acerrimi nemici” ed in modo insanabile. Visto che non è più fra noi, non sto a dire i motivi, non potrebbe difendersi. Per onestà devo dire che all’inizio Gasparini mi ha insegnato qualcosa a livello di giudizio e mi ha incoraggiato a diventare giudice. Non posso ricordarle tutte, ma le discussioni costruttive sono state tante. Quanto ai dirigenti F.O.I. ne ho conosciuti molti ed ho sempre avuto ottimi rapporti. Ho stimato e stimo moltissimo il presidente Droghetti a lungo rieletto, come pure gli altri, come il compianto Coffetti; quanto a Cirmi, oltre a stimarlo, avevo con lui anche rapporti di amicizia personale. All’inizio delle nostre carriere da giudice, abbiamo talora giudicato nelle stesse mostre. Del direttivo attuale posso solo parlare più che bene: ho collaborato e collaboro benissimo. A livello di redazione mi trovo pure benissimo con Gennaro Iannuccilli che è un giornalista molto preparato. Non dico di più, non vorrei che sembrasse piaggeria. Posso dire che, anche a livello di associazione, ho sempre aiutato tutti i direttivi senza distinzioni, perché i direttivi passano e le associazioni restano. Danneggiare un’associazione per ostilità verso un direttivo o un presidente lo tro-
vo molto sbagliato. Nella mia associazione non sempre mi sono trovato in piena sintonia con i direttivi, ma credo che nessuno se ne sia accorto, visto che ho sempre collaborato al massimo, nell’interesse dell’associazione stessa. Certo, di liti ne ho viste parecchie; decenni or sono, mi è toccato vedere anche un violento scontro fisico. Ho anche potuto fare, sia pure approssimative, valutazioni psicologiche. Molti investono perfino troppo nell’hobby e talora ho assistito a zuffe verbali da bambini. Intendiamoci, anch’io mi rendo conto di investire molto nell’hobby, però vedo che non rinuncio all’autocritica ed all’autoironia, talora ridimensionandomi alquanto. Quando, in auto con il collega ed amico Ghillani, diretti ad una mostra, andiamo verso una pallida aurora autunnale, che di rosee dita non ha molto, le mie frasi autocritiche diventano anche pesanti, diciamo irripetibili. Un brutto ricordo è legato all’uscita della prima edizione del mio primo libro, con relativo esaurimento nervoso per lo stress profuso… stavo “andando per la tangente”. Inoltre, rimasi allibito per l’invidia che avevo suscitato. Persone che credevo amiche mi fecero attacchi incredibili. Ne avevo già viste di tutti i colori, ma riuscirono a stupirmi, cosa non facile. Comunque, come dice il proverbio “è sempre molto meglio essere invidiati che compatiti” e poi si sa: “chi si mette in luce fa ombra”. Chi volesse impegnarsi in qualsiasi ambiente è bene che lo sappia. Posso dire che le mostre attuali con l’aiuto del computer sono più facili da gestire. Ricordo come in un incubo che un tempo mi dicevano, ad esempio: “Vai a prendere tutti gli agata rossi” ed io di corsa passavo dalla prima gabbia all’ultima per tirarli fuori, una sorta di pre-classificazione. Mi chiedo come facessi, anche considerando che qualcuno rimaneva indietro, ma non poi tanti. Quindi la premiazione su due tavoli con tutti i mucchietti delle matrici, divertentissimo quando mancava il numero della gabbia... finivo verso le 2 e poi, il giorno successivo, ecco l’assillo di aver sbagliato qualcosa. Ovviamente in caso di errore mi accusavano di boicottaggio. Quelle che
Il “secondo amore” dell’autore
rimpiango sono le bellissime mostre sociali di una volta, molto libere. Mi capitava di giudicare tutto a punteggio globale e trovavo molto divertente valutare indigeni ed esotici; del resto, mi interesso di ornitologia in generale e la specializzazione non è settaria. Era particolarmente interessante giudicare in presenza dell’allevatore. Sembrerà impossibile, ma non ho avuto mai contestazioni e non credo per la larghezza delle mie spalle, ma perché con confronto e spiegazioni tutto risultava chiaro. Certo, occorrono giudici adeguati. Mi sono poi sentito molto gratificato
quando i miei punteggi, fuori dal colore, venivano confermati in mostre ufficiali. Divertente una frase che mi disse un amico: “Ma se sei così bravo e ti diverti con gli IEI perché non cambi specializzazione?”. Direi leggibile in due modi opposti. Mi piaceva molto l’ambiente informale ed amichevole delle “sociali”. Quando mi invitavano gli amici di Borgo Val di Taro era una festa, non avrei voluto neppure il rimborso del carburante, dicendo che mi sarebbe bastato ed avanzato il pranzo in compagnia e con le prelibatezze confezionate con i celeberrimi funghi locali. Ricordo anche altre belle "sociali", per limitarmi alla provincia di Parma cito Albareto. Oggi le “sociali” sono cambiate ed hanno maggiore ufficialità; si può ripiegare quindi sulle divulgative, didattiche o qualcosa del genere, ma le mostre fatte in amicizia sono davvero importanti, per fare gruppo e dare spiegazioni agli allevatori, specie se esordienti. Ciliegina finale: nell’ambiente F.O.I. ho conosciuto la mia attuale compagna Maria Carla Bianchi, quindi una fortissima interferenza dell’ornitologia nello strettamente privato. Non aggiungo altro per non scivolare nel sentimentale. Spero di aver dato qualche spunto e penso che anche qualche veterano abbia avuto qualche “amarcord”.
L’autore con Maria Carla Bianchi
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Piccola storia di saggezza animale e stupidità umana di DINO DE F ELICIS
Lettere in Redazione
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64 NUMERO 8/9 - 2020
oglio raccontarvi una piccola storia di cui sono stato testimone e che mette in evidenza quanto gli animali possano insegnarci. Tutto è accaduto durante il periodo della quarantena per il Covid19. Abito in un piccolo condominio di 12 appartamenti, in un quartiere della periferia est di Roma, composto da persone normali. Intendo lavoratori, pensionati, casalinghe e studenti. Piccola borghesia tranquilla ma col difetto del “quel che accade fuori della porta di casa mia non mi riguarda”. Una coppia di rondini (Hirundo rustica) già lo scorso anno aveva nidificato, e si era riprodotta con successo, nel vano seminterrato del condominio che conduce ai garage di pertinenza di ciascuno, costruendo il tipico nido su un’ansa delle tubature di scarico dell’acqua. Ovviamente tale evento è stato accolto da me e da altri con grande gioia, seppure qualche malintenzionato avesse tentato più volte di rompere il nido con la motivazione che “gli animali sporcano”. In quella circostanza mi affrettai ad affiggere cartelli lungo tutto il percorso del seminterrato, in cui pregavo che si lasciassero in pace le povere bestiole. A fine estate 2019, infatti, tre bei rondinotti svezzati avevano preso il volo insieme ai genitori per affrontare il lungo viaggio verso terre più calde. A posteriori mi sono rammaricato di non aver tentato di anellare i piccoli, come normalmente faccio con i miei novelli, per verificare il loro ritorno nel medesimo luogo a distanza di un anno. Purtroppo la collocazione del nido, ben oltre i tre metri di altezza, mi aveva fatto desistere. Devo precisare, per una migliore comprensione del fatto, che il nido costruito sulla suddetta ansa del tubo di scarico era collocato proprio sopra la porta del box di un condomino che potremmo definire - oltre che “ecologicamente poco sensibile” - anche probabile autore dei tentativi di demolizione dello scorso anno, in quanto infastidito dalle deiezioni. Quest’anno, puntuali, in piena pandemia, rieccole! Francamente non saprei dire se fosse la medesima coppia dell’anno precedente o i figli. Per questo sarebbe stato interessante anellarli. È stata una gioia rivederle; è stato come rincontrare un vecchio amico che non si vedeva da tempo. Le solerti rondinelle, dopo qualche giorno dall’arrivo, hanno cominciato a ricostruire il nido nel medesimo posto dell’anno scorso. Si, esattamente:
ricostruire, in quanto, probabilmente, il solito condomino poco sensibile aveva provveduto nel corso dell’inverno a togliere il vecchio nido, sebbene fosse ormai vuoto. Quest’anno, appena ho avuto la percezione del pericolo, mi sono subito attivato con cartelli affissi un po’ ovunque, imploranti al rispetto del lavoro delle bestiole. Addirittura citavo il reato penale per la distruzione di nidi di specie protette ed il Regolamento CE in materia di protezione. Niente da fare. Dopo qualche giorno, a costruzione ultimata, nido e uova erano per terra. Lascio immaginare la mia reazione; alla prima occasione, ho affrontato il probabile autore in un modo non proprio amichevole. Alle conseguenti richieste di motivazione del gesto, costui mi ha investito con vari improperi non ammettendo la propria responsabilità ma, anzi, dileggiando chi come me si occupava di queste stupidaggini in momenti economicamente difficili per l’Italia. Ho replicato che le oggettive difficoltà economiche di molti, comunque non giustificano un gesto così vile per sfogare le proprie frustrazioni. Come esempio, l’ho paragonato al picchiare un bambino la sera, quando si torna a casa stressati dal lavoro, solo perché durante il giorno il nostro capo ufficio ci ha redarguito per qualcosa. Comunque ho capito il gesto e mi sono rassegnato. Ma le rondini hanno continuato a svolazzare nel vano seminterrato fortemente spinte dall’istinto a nidificare in quel posto. Mi chiedevo perché non se ne fossero andate visto l’ambiente non proprio favorevole per loro. E invece no! L’istinto e un certo senso di opportunità le ha guidate a costruire un nuovo nido nel medesimo seminterrato ma, questa volta, in un posto diverso e lontano dal precedente: su una scatola elettrica di derivazione, lontana dall’ingresso di qualsiasi box. Come dire: “qui non diamo fastidio a nessuno (speriamo)”. Ora sono lì che covano e ogni volta che passo per recarmi a prendere la mia macchina in box guardo il nido, e sorrido. Quanto abbiamo da imparare dal comportamento animale! Ah, dimenticavo. Ogni giorno trovo un attimo di tempo per pulire il pavimento dalle loro deiezioni, affinché non si dica che le rondini sporcano.