ALIMENTAZIONE
Il pastone per l’Usignolo testo e foto di Riccardo Ricci Curbastro
“D
i tutti gli uccelli, il Rosignuolo è quello che ha il canto più armonioso, il più variato ed il
più bello. Ciò che incanta nella voce del Rosignuolo non è soltanto la sua dolcezza, la sua grazia, la sua estensione, ma più d’ogni cosa l’accento particolare ed ogni volta sempre nuovo ch’egli sa dare alle sue strofe smaglianti. Chi può ascoltarlo senza estasi nelle belle notti di primavera, quando la sua voce non è offuscata da nessun’altra, quando tutto nella natura sembra dormire!” Comincia così l’opera di E. De Wael (1) dedicata all’Usignolo e ritengo che chiunque abbia sentito almeno una volta l’intenso canto d’amore di questo piccolo uccello non possa che convenire con l’autore. Canto così melodioso e variato da aver ispirato poeti da Aristofane (2) Petrarca(3), Pascoli (4), Gabriele D’Annunzio(5), Quasimodo (6), Ungaretti (7) e Federico Garcia Lorca (8) e sicuramente molti altri che non conosco o che ho semplicemente dimenticato. Canto così ricco da aver portato l’usignolo ad essere uno degli uccelli più ricercati per metterlo in gabbia e godere della sua compagnia. Pratica finalmente vietata ma diffusissima fino al secondo dopoguerra. Questo ci porta dritti all’attualità e, complice la quarantena imposta dal Covid-19, ad una ricetta scoperta tra i ricettari di famiglia durante uno dei riordini toccati un po’ a tutti noi in queste settimane. É una ricetta scritta in bella grafia nella prima metà del XIX secolo ed ha attirato la mia attenzione per il titolo insolito in un ricettario di casa: “Pastone per l’Usignolo”.
Usignolo, da Birds of Great Britain, Londra, 1896, Lloyd’s Natural History, Biblioteca Riccardo Ricci Curbastro
La ricetta per il pastone per Usignolo conservata presso la Biblioteca Riccardo Ricci Curbastro
Non potendone sperimentare l’appetibilità per l’usignolo - non ne detengo, ovviamente, in cattività, preferendo sentirli cantare liberi nei boschi - mi sono incuriosito e ho cominciato a ripercorrere tutte le ricette a me note e pubblicate in molti libri dedicati all’allevamento dell’usignolo; è stato anche un modo per ripercorrere gli scaffali della mia libreria, riscoprendo “tesori” dimenticati. Ne ho dedotto che la ricetta dovesse essere originale, frutto dell’esperienza di quel mio antenato, purtroppo anonimo, che l’aveva scritta dopo anni di lavoro sul campo con gli usignoli. Andiamo con ordine, questa è la trascrizione della ricetta: Una scodella di cece abbrustolito ridotto in farina nel mortaio. Soldi (9) 3 di Mandorle Dolci pestate fine Soldi 3 di miele Cinque tuorli d’ovo e il tutto si mette a cuocere con quattro once (10) di burro, colla seguente regola. Prima di tutto si mescola per bene insieme la farina di cece colle Mandorle e tuorli d’ovo, e si mette a cuocere colla metà del burro. Quando la farina di Cece comincia a prendere il giallo (formentone) (11) cuocendosi, allora si mette il miele ed il rimanente burro, e sempre mescolando si lascia cuocere finché tutto l’impasto prenda il colore giallo (oro) un po’ carico. Ben chiuso in vaso di maiolica si mantiene per 4 o 5 mesi. N.B. Che il cece debba essere abbrustolito ma non abbruciato, perché allora l’usignolo non lo mangia “Paese che vai, usanza che trovi” mi dissi dopo il ritrovamento e fui colto dalla curiosità di scoprire gli altri ricettari.
NUMERO 8/9 - 2020 51