CLEAN CLIMBING

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Maurizio
CLEAN CLIMBING Storia, materiali e tecniche di arrampicata in fessura Con le schede di 26 spot in Europa e di 30 fuoriclasse “puliti”
Oviglia, Michele Caminati PERFORMA EDIZIONI VERSANTE SUD

Prima edizione: settembre 2022

Copyright © VERSANTE SUD S.r.l. via Rosso di San Secondo, 1 20134 - Milano www.versantesud.it

I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento totale o parziale, con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.

Copertina: Michele Caminati/Archivio Wildcountry

Impaginazione: Miriam Romeo

Stampa: Tipolitografia Pagani – Passirano (BS), Italia

CLEAN CLIMBING

Storia, materiali e tecniche di arrampicata in fessura con le schede di 26 spot in Europa e di 30 fuoriclasse “puliti” 1a edizione

EDIZIONI VERSANTE SUD

La libertà dell’alpinista, del climber e quella delle montagne. Ossia: il nostro diritto all’avventura, alla scoperta e quello delle montagne di non subire i passaggi umani. È l’estensione mo derna, potremmo dire “sportiva”, di un principio che noi di C.A.M.P. – che siamo nati, viviamo e lavoriamo in quota – co nosciamo bene: occorre rispettare le montagne affinché esse non ci obblighino a lasciarle ma ci permettano, non sfruttate sconsideratamente, di continuare a fare ciò che facciamo. So stenibilità, insomma, che vuol dire proprio durata (dall’inglese sustain, mantenere).

Non lasciamo tracce. O lasciamone il meno possibile. Oggi si chiama clean climbing ed è più di uno stile in parete: è qualcosa che va al di là del non usare o del ridurre al minimo chiodi e spit. Per noi è un pensiero più ampio, in cui se l’ideale è irrag giungibile – siamo uomini, angeli sognatori ma senz’ali – oc corre però puntare al compromesso più elevato. E ascoltare i migliori interpreti possibili di questa disciplina, come Rob Pi zem tra terra e cielo lungo le fessure perfette di vie come Su preme Manliness (5.13) nel deserto dello Utah.

Archivio C.A.M.P. Foto : Jeremiah Watt
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sommario

PREFAZIONE 10

INTRODUZIONE 12

CHE COS’É IL CLEAN CLIMBING 14

STORIA DEL CLEAN CLIMBING 17

I protagonisti del clean climbing 19

STILI DI SCALATA TRAD 27

Trad climbing 28

Arrampicata alpinistica Arrampicata mista

Crack climbing

Trad climbing in Gran Bretagna 31

Trad climbing in Sassonia e Repubblica Ceca 33

ETICA DEL CLEAN CLIMBING 35

Rotpunkt 36

Rotkreis 36

On sight 36

Head point 37

Pink Point 37

Green point 37

SCALE DI DIFFICOLTÀ 41

Scala UIAA 43

Scala francese 44

Scala inglese 46

Scala arenaria o Scala di Dresda 48

Scala americana (YDS) 50

Altre scale 51

005

MATERIALI E PROTEZIONI 53

Protezioni passive 54

- Dadi

Vantaggi rispetto ai friend

Svantaggi rispetto a un friend Dadi Offset

Posizionamento dei dadi Rimozione dei dadi

Protezioni semi attive 58

- Eccentrici

Vantaggi rispetto ai friend

Svantaggi rispetto a un friend

Posizionamento degli eccentrici Rimozione degli eccentrici

- Tricam

Modalità passiva

Vantaggi dei tricam

Svantaggi dei tricam

Posizionamento dei tricam

In buchi o fessure orizzontali

In fessure verticali

Modalità passiva Rimozione dei tricam

Protezioni attive 62

- Ball nut

Vantaggi dei ball nut

001 002 003 004
6

Svantaggi dei ball nut

Posizionamento dei ball nut

Rimozione dei ball nut

- Friend

Vantaggi dei friend

Svantaggi dei friend

Friend “Offset”

Friend “micro”

Friend a testa stretta

Posizionamento dei friend

Fessure che si stringono verso il basso

Accessori 93

Tecniche di protezione 94

Fessure

Lancio della bambola Rimozione dei nodi Clessidre

Buchi e fessure orizzontali Spuntoni

007

GESTIONE DI UN TIRO

DI CLEAN CLIMBING 99

Fessure verticali che si allargano verso il basso

Fessure verticali che si stringono verso l’interno

Fessure verticali che si allargano all’interno

Fessure orizzontali parallele

Fessure orizzontali che si aprono verso l’esterno (direzione di caduta)

Fessure orizzontali che si aprono all’interno Posizionamenti passivi

Elenco delle principali serie di friend attualmente in commercio 73

Ancoraggi naturali 79 Clessidre Alberi Spuntoni e lame di roccia

Sassi incastrati

Accessori 84 Cava-nut Guanti da fessura e nastro

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LA TECNICA DI PROTEZIONE

CON I NODI 87

I materiali 89 Corde Guanti Cavigliere

Magnesite Rinvii Scarpette Fettucce Cordini Kevlar UFO

Operazioni preliminari 100

Scelta e preparazione delle protezioni

Una o due corde? Secchiello o Grigri?

- Soste con materiale clean

Premessa

Precisazioni tecniche Collegamento all’inglese degli infissi di sosta Fessura verticale

Fessura orizzontale Spuntone o lama

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ARRAMPICATA IN FESSURA 113

Guantini o nastro? 114

Eseguire la nastratura/ fissaggio dei guantini 115 Fasciatura rapida Fasciatura con occhielli intorno alle dita Fasciatura del pollice Rimozione dei guantini e riutilizzo Nastratura delle dita Nastratura delle falangi Nastratura completa della nocca Utilizzo, rinforzo e cura dei guantini

Ispezione della fessura 127

Dove incastrare e dove proteggere 129

Economia delle protezioni 129

Tecniche di arrampicata in fessura 131

Fessure di dita 132

Dita – Tecnica generale: pollice in basso Dita – Tecnica generale: pollice in alto

- Tecnica di piedi e scarpe adatte in fessure di dita

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Fessure di mano 150

Progressione di base: entrambe le mani a pollice in alto

Progressione di lato: mano alta a pollice in basso e mano bassa a pollice in alto

Progressione con giro dell’incastro

Progressione da evitare: entrambe le mani a pollice in basso

- Tecnica generale: ingresso in fessura

- Tecnica generale: i due movimenti da compiere durante l’incastro

Aiuto per la progressione di base su incastri di mano precari 171

- Tecnica di piedi e scarpe adatte in fessure di mano

- Fessure di pugno

Progressione di base: entrambi i pugni a dorso in alto 176

Progressione di lato: pugno alto a dorso in alto e pugno basso a dorso in basso 176

Progressione con giro dell’incastro 176

Progressione da evitare: entrambi i pugni a dorso in basso 177

- Tecnica generale: inserimento del pugno in fessura

Tecnica di piedi e scarpe adatte in fessure di pugno 192

Fessure offwidth 194 Mani a farfalla Palmo/dorso sia a mani incrociate che non incrociate

Mani a pollice in basso non incrociate Formare il doppio incastro

- Gamba e piede interni alla fessura

- Piede esterno alla fessura

Tallone prima Punta prima

Progressione in fessure verticali di mano/mano 204

Progressione in fessure strapiombanti di mano/mano 208

Progressione in fessure di mano/mano molto strapiombanti o di tetto 212

- Formare il doppio incastro

- Gamba e piede interni alla fessura (incastro di ginocchio)

- Piede esterno alla fessura

Progressione in fessure verticali di mano/pugno 223

Progressione in fessure strapiombanti di mano/pugno 226

Progressione in fessure di mano/pugno molto strapiombanti o di tetto 227

- Formare il doppio incastro

- Gamba e piede interni alla fessura

- Piede esterno alla fessura

Progressione in fessure verticali di pugno/pugno 238

Progressione in fessure strapiombanti di pugno/pugno 239

Progressione in fessure di pugno/pugno molto strapiombanti o di tetto 242

- Braccio interno alla fessura

- Braccio esterno alla fessura

- Gamba e piede interni alla fessura

- Piede esterno alla fessura

Progressione in fessure verticali di arm bar/shoulder bar 248

Progressione in fessure strapiombanti di arm bar/shoulder bar 252

Progressione in fessure di arm bar molto strapiombanti o di tetto 252

- Braccio interno alla fessura

Chickenwing basso

Chickenwing alto

- Braccio esterno alla fessura

- Doppio Chickenwing

- Gamba e piede interni alla fessura

- Piede esterno alla fessura

8 SOMMARIO

Progressione in fessure verticali di chickenwing 263

Progressione in fessure strapiombanti di chickenwing 263

Progressione in fessure di chickenwing molto strapiombanti o di tetto 264

Come scegliere da che lato affrontare una offwidth 266

- Fessure diagonali

Come girarsi dal lato opposto in una offwidth 270

Consigli per proteggersi con i friend su una offwidth 272

Consigli specifici per le diverse misure di offwidth

Scarpe adatte in fessure offwidth 274

009

I

PROTAGONISTI EUROPEI

DEL CLEAN CLIMBING 277

Joe Brown 278

John Michael (Mike) Kosterlitz 279

Bernd Arnold 280

Jean Claude Droyer 281

Igor Koller 282 Ivan Guerini 283 Ron Fawcett 284 Stevie Haston 285 Hans Christian Doseth 286 Beat Kammerlander 287 Roberto Mazzilis 287

Johnny Dawes 288 John Redhead 290 Arnaud Petit 291

Simone Pedeferri 291 Mauro Calibani 292

Dave MacLeod 293

Lionel Catsoyannis 294

Nicolas Favresse 295

Tom Paul Randall 296

Matteo Della Bordella 297

James Pearson 298 Michele Caminati 299

Didier Berthod 300 Barbara Zangerl 300 Hazel Findlay 301 Ignacio Mulero 302 Jacopo Larcher 303 Madeleine Cope 304 Matteo De Zaiacomo 304 Francesco Deiana 305

010

CLIMBING SPOTS 307

Italia 308

Pilier Rhodo 310 Val di Susa 312

Valle dell’Orco 314 Cadarese 316 Balmanolesca 318 Val Masino 320

Falesia Zoia 322 Bolzano 324 Maiolo 328 Rem 332 La Cundra 334 Capo Pecora 336 Garibaldi 340

Punta Istiotta 342 Lu Lurusincu 344

Europa 346

Portogallo 348 Francia 350 Corsica 354 Germania 356 Svezia 360 UK 364

Repubblica Ceca 374

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PREFAZIONE di Michele Caminati

Avendo arrampicato per più di dieci anni quasi esclusivamente sui massi, e avendo maturato al giorno d’oggi ancora poca esperienza di arrampicata in montagna, mi sono sentito all’ini zio un po’ a disagio all’idea di farmi carico della stesura di un manuale del genere.

Ripensandoci, però, è stato proprio l’approccio al clean clim bing scoperto in Inghilterra nel 2011 che ha determinato una graduale, ma anche radicale, trasformazione dei miei interessi, portandomi oggi a prediligere su tutte le forme di arrampicata quella clean e, in particolare, quella in fessura.

L’arrampicata clean trovo che sia il modo più immediato e cre ativo di approcciarsi alla roccia, una naturale estensione del bouldering alle pareti più alte. Non si ha bisogno di una fase di chiodatura, non c’è una linea prefissata da seguire, ma possia mo inventarci la nostra strada attraverso quello che la roccia naturalmente ci suggerisce, con il valore aggiunto di lasciare la minima traccia del nostro passaggio. È inoltre una sfida sia fi sica che mentale e aggiunge una variabile completamente nuo va al gioco dell’arrampicata: quella di doversi proteggere. Questa forma di arrampicata ha saputo negli ultimi anni rinno vare i miei interessi e mi ha dato l’opportunità di continuare a imparare. Dopo tanti anni passati a fare boulder è divenuto sempre più difficile apprendere qualcosa di nuovo: il successo o l’insuccesso dipende ormai quasi esclusivamente dallo stato di forma del momento, e difficilmente riesco a tenere il passo con la forma fisica che avevo a 20 anni.

In falesia e in arrampicata sportiva le cose sono per fortuna un poco differenti, ma anche in questo caso i miglioramenti vanno ormai a rilento, dopo quello che è stato un rapido sviluppo ini ziale. La disciplina che invece in questi anni mi ha dato le mag giori soddisfazioni è stata sicuramente l’arrampicata clean e in fessura. È stato come ripartire da capo: come un principiante che ogni volta che torna da un’arrampicata e ha qualcosa di nuovo nel suo bagaglio tecnico e di esperienza. Una sensazione difficile da rivivere altrimenti. Sono ormai parecchi anni che pratico questo tipo di arrampicata e, nonostante abbia salito parecchie vie di riferimento, sento che sto tutt’ora continuan do a imparare: alcune cose le ho proprio apprese e concettua lizzate meglio grazie alla stesura di questo manuale.

Spero che le spiegazioni e le proposte contenute in questo libro diano una mano anche a voi a far “rinascere” in modo differen te la passione che vi lega al mondo dell’arrampicata e ad am pliare il più possibile il vostro terreno di gioco.

Non scoraggiatevi quindi se all’inizio le cose vi sembreranno difficili, ci vorrà un po’ di pratica per imparare, ma sarà sicura mente un processo di grande soddisfazione.

Michele Caminati
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Michele Caminati su Gaia, Peak District Foto: Paul Bennett
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INTRODUZIONE

di Maurizio Oviglia

Un manuale sul clean climbing, ce n’era proprio bisogno? No, certamente, se si considera questo stile di scalata sempli cemente una variante del free climbing, ovvero un’arrampicata libera con protezioni non a espansione e non in loco, ma mobili.

Può divenire invece un lavoro interessante e finanche inedito se si considera l’arrampicata tradizionale che si avvale come protezione solo di nut e friend come una vera disciplina a sé. Una sorta di arrampicata sportiva (ma che sportiva non è, in quanto conserva una buona dose di rischio e impegno mentale ad esso connesso) su monotiri o vie brevi, ma su protezioni mobili da piazzare a cura dell’arrampicatore nel corso della sua salita.

Possiamo affermare che dalla nascita del free climbing (di cui il clean climbing è appunto una variante), l’evoluzione di questo stile non sia avvenuto in modo univoco nei vari paesi. Anche prendendo in considerazione solo l’Europa, troviamo paesi come l’Inghilterra, l’Irlanda o la Norvegia, dove il clean climbing si è affermato e imposto come stile di scalata domi nante. Invero, più che una scelta, è stata una necessità, dato che il continuo piantare ed estrarre i chiodi su pareti brevi avrebbe portato al veloce deterioramento della roccia e delle vie. Ma vi sono altri paesi, come quelli che si affacciano sul Mediterraneo, che agli inizi degli anni ottanta hanno invece quasi totalmente abbandonato il free climbing in favore dell’ar rampicata sportiva.

In questi paesi il free climbing non è del tutto scomparso ma è stato piuttosto relegato in spazi più ristretti, generalmente in montagna, dove è sopravvissuta (per fortuna) anche l’arrampi cata tradizionale o alpinistica come ci è stata tramandata dai pionieri delle Alpi.

Va tuttavia rimarcato come quest’ultima sia molto diversa dal clean climbing, in quanto fa uso anche di chiodi e di ogni genere di protezione che possa aiutare a “passare”, anche sacrificando la libera in favore dell’artificiale

Infine vi sono altre regioni, come parte della Repubblica Ceca e della Germania (la Sassonia), che hanno conosciuto uno svi luppo ibrido, senza dubbio legato al tipo di roccia di cui pote vano disporre. Qui troviamo non solo regole etiche differenti, ma anche materiali (i nodi di fettuccia) che potremmo definire “endemici” ovvero utilizzati solo in questa regione. Anche se sulle vie della Sassonia e della Boemia troviamo alcuni anelli resinati posti a grande distanza, moltissime vie sono da proteg gere interamente con i nodi di cordino e fettuccia e... cosa c’è di più clean di un semplice nodo?

Il solco tra questi diversi modi di intendere l’arrampicata ha con tinuato ad approfondirsi sino agli albori del nuovo millennio, poi c’è stata un’apprezzabile inversione di tendenza che ha riportato in auge prima il bouldering e poi la crack climbing (clean climbing lungo le fessure facilmente proteggibili a friend).

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Ciò è ovviamente avvenuto nei paesi Mediterranei, dove questi stili erano stati quasi completamente abbandonati in favore dell’arrampicata sportiva protetta preventivamente a chiodi a espansione. Il free climbing “anni 2000”, volendo coniare un nuovo termine, differisce però sostanzialmente da quello “anni ’80”. Innanzitutto predilige monotiri o vie di due o tre tiri (in America anche dette short climb), quando il free climbing com prendeva e comprende tutt’ora nel suo raggio di interesse anche big wall (El Capitan, per esempio). La seconda differenza so stanziale è nell’utilizzo quasi esclusivo di friend e, in alcuni casi, dei nut per la protezione, lasciando i chiodi e il martello a casa. Una ulteriore caratteristica di distinzione, per ora relegata solo ai paesi Mediterranei, è quella di ammettere nel clean climbing la chiodatura a spit delle sole soste (pratica non accettata in Gran Bretagna). Comunque sia, il clean climbing ha subìto un rinnovamento ed è divenuto negli ultimi anni una sorta di sca lata sportiva su monotiri, ma con il valore aggiunto del doversi piazzare le protezioni da sé. Parallelamente anche la crack clim bing, dove proteggersi è spesso più facile, ha conosciuto nuovo vigore e nuovi adepti, desiderosi di imparare le tecniche di progressione (oltre che quelle di protezione). Anche l’Inghil terra ha così smesso di essere “la Cenerentola” tra le destina zioni scelte dagli scalatori per le loro vacanze; al contrario, molti arrampicatori si sono interessati alle vie inglesi, impa rando a conoscere e apprezzare il particolare sistema di valuta zione in uso in Gran Bretagna.

Anche in altri paesi, come il Portogallo, la Francia e la Svizzera, sono infine nate delle falesie ispirate al clean climbing inglese: falesie che solo pochi anni prima sarebbero state chiodate a spit Tutti questi eventi, certamente più apprezzabili nell’area medi terranea piuttosto che nel nord dell’Europa, ci hanno convinto della necessità di cristallizzare in un manuale quella che per noi è l’esperienza maturata in questi anni in un’attività che è dive nuta una vera e nuova passione da vivere in alternanza (e non in antitesi) con l’arrampicata sportiva. Siamo fermamente con vinti che i free climber degli anni ottanta non abbiano bisogno di questo manuale, avendo imparato ogni cosa a suo tempo. Tuttavia il clean climbing si propone oggi ai giovani non come un retaggio del passato, ma come uno stile “nuovo” (anche se nuovo non è affatto), con il suo fascino, le sue tecniche e le sue consuetudini etiche. E le sue destinazioni di elezione, che ab biamo voluto raccogliere alla fine del libro, in modo che esso sia anche una guida per mettere in pratica sul campo quanto imparato. Il nostro lavoro è quindi indirizzato soprattutto ai neofiti di questo stile, a quanti non trovano (più) nell’arrampi cata sportiva sufficiente stimolo o siano desiderosi di provare qualcosa di diverso. Infine anche a coloro che, attirati dalle big wall americane o semplicemente dalle famose vie inglesi, vo gliano apprendere i rudimenti necessari per poterle affrontare in sicurezza e con maggiori probabilità di successo.

(CAI, Istruttore Nazionale di Arrampicata Libera)

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Che cos’è il clean climbing

Esiste una definizione esatta del termine clean climbing?

Come per il free climbing, la traduzione dall’inglese di questo termine è facile e abbastanza intuitiva. Il clean climbing non è altro che un sotto-stile del free climbing (arrampicata libera) e significa appunto arrampicata pulita

Ma perché pulita? E in che cosa si distingue dal free climbing?

Come è noto, nel free climbing lo scalatore procede utilizzando le protezioni solo per assicurazione in caso di caduta e non per progressione. Ma non è specificato quali debbano essere questi mezzi di protezione, l’importante e che si arrampichi senza utilizzarli.

Il clean climbing preferisce l’uso delle protezioni mobili (nut e friend) all’uso dei chiodi e simili che nel tempo (infiggendoli ed estraendoli ripetutamente) lasciano una traccia nelle fessure in cui vengono infissi. L’arrampicata in questo stile è quindi defi nita “pulita” perché non danneggia la roccia e la lascia integra dopo il passaggio della cordata.

Non essendo ammessi i chiodi, normalmente lo scalatore che ab braccia questo stile arrampica senza martello (hammerless), che invece fa parte della dotazione dell’arrampicatore tradizionale.

Come per altri termini con cui si indicano i vari stili di arram picata, anche il significato del termine clean climbing oggi non è più quello originario ma è cambiato nel corso degli anni, a seconda del contesto storico e geografico in cui esso è stato utilizzato.

Nato negli anni settanta come risposta al danneggiamento irri mediabile delle fessure delle pareti americane e inglesi, in que gli anni arrampicare in clean climbing significava essenzialmente non usare chiodi e non portare con sè il martello in segno di rispetto per le vie, usando solo protezioni mobili per autopro teggersi (cioè che potevano essere agevolmente tolte dal secon do di cordata, lasciando la roccia integra e senza segni).

Tuttavia sulle vie, soprattutto americane, si trovavano (e si tro vano tuttora) dei punti fissi, chiodi originali dei primi salitori o infissi durante le prime ripetizioni, talvolta anche spit.

Va da sé che in America arrampicare in clean climbing significa essenzialmente non portare con sè il martello ma solo prote zioni mobili (blocchetti da incastro, fettucce, dispositivi a cam me). In Inghilterra, invece, con l’invenzione dei nut e poi dei friend, i chiodi scomparvero quasi totalmente dalle pareti (so prattutto falesie) e clean climbing divenne sinonimo di “arram picata senza punti fissi preposizionati”.

Senza nessun materiale in posto, nemmeno la sosta, l’arrampi cata era indiscutibilmente più impegnativa a livello psicologi co; in breve, questa caratteristica finì per divenire una regola etica che caratterizza tutt’ora l’arrampicata in Gran Bretagna.

Dopo il passaggio della cordata, la via rimane veramente puli ta, nel vero senso della parola.

A partire dalla metà degli anni settanta, questo tipo di arram picata divenne molto praticato in Gran Bretagna, tanto da non necessitare di un nome per distinguerlo da altri stili.

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Quando si affermò in tutta Europa l’arrampicata sportiva, l’ar rampicata su protezioni mobili divenne in UK semplicemente arrampicata tradizionale, in modo da distinguerla da quella che faceva uso di protezioni fisse (sportiva). Il fatto che fosse clean, era implicito nelle regole etiche britanniche.

In altri contesti, come ad esempio quello mediterraneo, il ter mine clean climbing è stato raramente utilizzato in quanto le differenze con il free climbing sono state sempre piuttosto sfu mate. In queste zone non si è avvertita infatti l’esigenza, come nei paesi anglosassoni, di eliminare il martello dal corredo del lo scalatore.

L’arrampicata sportiva si è affermata, a partire dai primissimi anni ottanta, assai velocemente, limitando l’arrampicata tradi zionale alle zone montane dove l’utilizzo del chiodo non è mai stato visto in modo negativo o dannoso, sia dal punto di vista etico che ecologico.

Nei paesi dell’area mediterranea, il clean climbing è ritornato in auge solo negli ultimi vent’anni come attività alternativa all’ar rampicata sportiva. Il termine clean è ormai qui comunemente sostituito dal termine trad, sottintendendo con questo stile un tiro interamente da proteggere, dall’inizio alla fine, in cui la sosta possa anche essere fissa.

Maurizio Oviglia su Raptor, Sardegna Foto: Sara Oviglia
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Ron Fawcett durante la prima salita di Master’s Edge, Peak District, Uk Foto: Arch. Fawcett

STORIA DEL CLEAN CLIMBING

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STORIA DEL CLEAN CLIMBING

Senza avere la pretesa di trattare la storia di questo stile – poi ché sarebbe oltremodo difficile – è indispensabile fornire alcu ni cenni storici sul clean climbing per inquadrare storicamente la sua evoluzione e i protagonisti che di questo approccio alla roccia hanno fatto una bandiera.

È tuttavia necessario tenere conto che la storia di questo stile è intrecciata a doppio filo con quella dell’arrampicata libera e non è sempre facile stabilire quando una scalata libera sia stata realizzata senza l’ausilio dei chiodi anche solo come protezio ne. Un tempo infatti non era in uso discernere tra chiodi e pro tezioni mobili mentre solo in alcuni casi era specificato se essi fossero stati utilizzati anche come progressione.

Si ritiene che il clean climbing sia nato in concomitanza con l’introduzione nell’arrampicata delle prime protezioni mobili, i dadi da incastro (anche detti nut, stopper, blocchetti) e poi dei friend. Il termine clean fu sicuramente usato per la prima volta in America, allorchè si sentì l’esigenza di utilizzare solo le pro tezioni mobili, non soltanto per un fatto di comodità e velocità nel piazzarle, ma per preservare la roccia e le fessure dal loro deterioramento.

Tutto questo accadde intorno all’inizio degli anni settanta. Va ricordato poi che, almeno nei primi tempi, gli arrampicatori erano comprensibilmente molto scettici verso le protezioni mobili. Un chiodo dava sicuramente più sicurezza e i dadi (che in principio erano semplici bulloni con un cordino passante) erano ancora piuttosto rudimentali.

In Gran Bretagna ci volle del tempo prima che le protezioni mobili sostituissero completamente i pochi chiodi presenti. L’arrampicata sulle falesie inglesi è più varia, non si tratta solo di scalata in fessura, quindi la rinuncia totale ai chiodi richie deva un grande aumento dell’impegno psicologico e l’accetta zione da parte dello scalatore di lunghi (e spesso pericolosi) runout

In ogni caso, già a metà degli anni settanta, anche in Gran Bre tagna erano molti gli scalatori che non facevano uso del mar tello. L’arrampicata libera si era già largamente affermata ma in alcune falesie si continuava a tentare di liberare le vecchie vie artificiali, che presentavano diversi chiodi di dubbia tenuta. Tuttavia se consideriamo il clean climbing come un’arrampica ta senza chiodi, anche se molto differente dal concetto odierno, la sua nascita è sicuramente antecedente.

Come è noto, lo scalatore austriaco Paul Preuss fu uno dei pri mi a teorizzare la scalata senza chiodi “per scelta” e non “per necessità”. Erano i primi del novecento e Preuss si spinse a definire come “più leale” un’arrampicata senza l’utilizzo dei chiodi (e talvolta della corda). Sino ad allora, e anche successivamente, era piuttosto frequen te salire vie in cui non fosse possibile proteggersi.

Un vecchio friend dal negozio di Joe Brown Foto: Mark Reeves
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Ma il fatto di non utilizzare chiodi era il risultato della mancan za, in certi tratti di parete, di fessure o buchi adatti ad accoglier li. Quando era possibile mettere un chiodo, esso veniva utilizzato non solo per la protezione, ma anche per la progressione.

L’arrampicata alpinistica nei decenni successivi assunse questi connotati. Da un lato “i liberisti”, che arrampicavano essen zialmente in libera proteggendosi con pochi chiodi, dall’altra “gli artificialisti”, che miravano al superamento della parete con qualsiasi mezzo.

Anche in Inghilterra, comunque, si parla di arrampicata senza chiodi sin dagli anni venti: alcune fonti riportano che nel 1926 Morley Wood, durante la prima salita di Piggot’s Climb (VS) al Llamberis Pass (Galles), fu il primo climber a usare dei ciottoli bucati con un cordino passante con lo scopo di proteggersi du rante la scalata. In Inghilterra essi furono poi rimpiazzati dai così detti nut durante gli anni cinquanta.

Nel 1961, John Brailsford di Sheffield, Inghilterra, fu il primo a pensare di produrre nut creando un’impresa apposita. Parallelamente anche la Sassonia, nell’Europa centrale, conob be uno sviluppo dell’arrampicata completamente differente rispetto ad altre zone. La morfologia delle pareti, torri di are naria piuttosto sabbiosa, non permetteva l’utilizzo dei chiodi. Certo essi potevano essere utilizzati, ma nell’arenaria sabbiosa non davano nessuna sicurezza. Anche i nut e i friend, a diffe renza di altre zone, non permettevano una protezione affidabi le e vennero pertanto banditi perché intaccavano l’arenaria cambiando la morfologia delle fessure.

In Sassonia e in Boemia si affermò pertanto una forma molto particolare di clean climbing, in cui l’unica protezione ammessa era costituita dai cordini, opportunamente annodati e strozzati nelle fessure. Nei tratti dove questo non fosse stato possibile, era tuttavia consentita l’infissione di anelli fissati con piombo fuso, messi però a grandi distanze tra loro e rigorosamente sa lendo dal basso.

Anche se queste vie potrebbero, a ragione, non far parte del clean climbing, presentando di fatto la presenza di chiodi a espansione, va tenuto presente che sono moltissime le vie in Sassonia che sono completamente pulite e la cui salita è psico logicamente molto impegnativa. Inoltre, allora come oggi, non è ammesso l’utilizzo dei nut e i friend, dunque l’impegno origi nario è rimasto immutato.

Volendo limitarci tuttavia al clean climbing propriamente detto, e cioè quello che si diffuse a partire dagli anni sessanta e poi nel decennio successivo fu etichettato col questo termine, non si può non ricordare alcuni pionieri che furono fondamentali per lo sviluppo negli anni successivi di questo stile.

I PROTAGONISTI DEL CLEAN CLIMBING

Joe Brown, inglese, fu sicuramente uno dei precursori dell’ar rampicata libera e pose le basi per quello che sarebbe poi dive nuto il clean climbing

Nel 1951 e 1952 superò in libera alcune vie vicino al Llamberis Pass (Galles) su difficoltà che oggi sono ritenute intorno al 6b. La Fissure Brown sulle Aiguille de Chamonix, superata nel 1954 con Don Whillans, è ritenuta uno dei primi 5.11 (6c) della sto ria oltre che una fessura larga e improteggibile (offwidth). Per proteggersi, Brown incastrò dei sassi che si fece passare dal compagno e intorno ad essi ci fece passare dei cordini, pratica mente una sorta di nut preistorico... Anche se il 5.11 era già stato superato prima da altri arrampicatori (nel 1949 è accredi tata a Peter Harding la salita di un 6c expo nel Peak District), l’apporto di Brown al clean climbing fu fondamentale, in quanto fu lui a promuovere il concetto di nut da incastrare nelle fessu re e poi togliere da parte del secondo di cordata.

Parallelamente, in America, John Gill stava sconvolgendo l’ar rampicata con alcune rivoluzionarie innovazioni che gli deriva vano dal suo passato di ginnasta.

19 CLEAN CLIMBING – MICHELE CAMINATI E MAURIZIO OVIGLIA – STORIA DEL CLEAN CLIMBING

In buchi o fessure orizzontali

Avvolgiamo come prima cosa la fettuccia dentro i binari e inse riamo il tricam nel buco o nella fessura con la punta rivolta verso il basso e la fettuccia che esce dalla parte superiore. Strattoniamo la fettuccia per verificare la tenuta del dispositi vo, che dovrebbe ruotare e fermare saldamente i binari contro la roccia. Una volta soddisfatti sganciamo il tricam dal mazzo e posizioniamo sulla fettuccia un rinvio sufficientemente lungo per fare in modo che la corda non lo smuova durante la salita. Con un po’ di pratica riusciremo a fare queste operazioni anche con una mano sola.

In fessure verticali

Avvolgiamo la fettuccia dentro i binari e inseriamo il tricam nella fessura con la punta che guarda verso il basso, alloggian dola nel foro o nella costrizione adatta a contenerla, che dob biamo avere preventivamente individuato su uno dei lati della fessura. In questo modo la fettuccia cadrà verso il basso (direzione di caduta) e i binari toccheranno la fessura sulla par te opposta rispetto al fulcro.

Diamo a questo punto un bello strattone per assicurare il più possibile il dispositivo in posizione, sganciamolo dal mazzo e posizioniamo un rinvio sulla fettuccia.

In questa situazione è ancora più importante che il rinvio sia sufficientemente lungo e la corda sia libera di scorrere senza spostare il dispositivo; utilizziamo anche un cordino se necessario.

Modalità passiva

Piazzare semplicemente il dispositivo nella costrizione senza necessità di avvolgere la fettuccia tra i binari: sarà comunque più difficile da inserire rispetto a un dado. In alcuni casi possia mo comunque avvolgere la fettuccia prima di inserire il tricam per un posizionamento di tipo passivo; questo creerà una azio ne congiunta che renderà il posizionamento più efficace (anche se più laborioso).

Rimozione dei tricam

Per rimuovere un tricam cerchiamo di rilassare la fettuccia per invertire il processo di rotazione. Se il dispositivo si fosse incastrato a seguito di uno strattone o di un volo, potrebbe es sere necessario l’aiuto del cava-nut, unitamente a un martello o una pietra per smuoverlo. Una volta smosso e riportato il tricam nella posizione in cui lo abbiamo inserito, se vogliamo riuscire a estrarlo potrebbe esse re comunque necessario il cava-nut per sollevare il fulcro dal buco che lo teneva in posizione.

PROTEZIONI ATTIVE

Ball nut

I ball nut sono un dispositivo composto da un sottile rettangolo di metallo su cui è incisa una scanalatura a “V”, e da una “pal lina”, che spinta da una molla è in grado di scorrere lungo que sta scanalatura facendo assumere un diverso spessore al dispositivo durante il suo tragitto.

Possiamo eventualmente unire dadi e tricam nello stesso moschettone. buco o scalinorotazione rotazione irregolarità forza forza
62 MATERIALI E PROTEZIONI

Se tiriamo tutta la molla, la pallina si ritirerà quasi completa mente all’interno della parte più profonda della scanalatura; al suo rilascio risalirà invece lungo quest’ultima sporgendo sem pre più dal rettangolo di metallo.

Essendo estremamente sottili, i ball nut sono in grado di pro teggere fessure dove nemmeno il più piccolo dei friend riesce a entrare, molto utili ad esempio per proteggersi nei buchi lasciati dalla rimozione di chiodi.

Questo è vero in particolare per le misure #1 e #2. A partire dalla #3 possono essere sostituiti in maniera più efficace da micro friend, che essendo in grado di distribuire la forza su una superficie di roccia maggiore, risultano in genere più sicuri.

Per via delle dimensioni esigue e concentrando l’attrito contro la roccia su una superficie molto piccola (la pallina appunto), dob biamo fare attenzione al fatto che la superficie di contatto non sia troppo liscia ma offra qualche tipo di appoggio o supporto per la pallina, altrimenti è facile che il dispositivo non sia in grado di reggere alla forza del volo e fuoriesca dalla fessura.

Da notare che questo si può verificare anche se il dispositivo sembra reggere bene a strattoni di prova o al carico del nostro peso in maniera statica. Anche se a prima vista il dispositivo sembra ben piazzato, è difficile stabilire a priori quanto questo possa reggere. Usate quindi la massima attenzione prima di fi darvi ciecamente.

Inoltre, su rocce tenere come l’arenaria o quando il granito presenta fragili cristalli superficiali, è possibile che il disposi tivo provochi la rottura della roccia, causandone anche in questo caso la fuoriuscita.

I ball nut prediligono quindi rocce dure come il granito, e pos sibilmente “rugose”, per offrire alla pallina la massima aderen za possibile alle pareti della fessura. In queste condizioni sono assolutamente in grado di trattenere anche lunghi voli.

Se le condizioni non sono tali, possiamo comunque utilizzare i ball nut per progredire in artificiale, senza dover rovinare la roccia piantando chiodi.

grilletto scanalatura pallina premendo
63 CLEAN CLIMBING – MICHELE CAMINATI E MAURIZIO OVIGLIA – MATERIALI E PROTEZIONI

Vantaggi dei ball nut

• Indispensabili in piccole fessure parallele dove nessun friend riesce a entrare (esempio: fori lasciati dalla rimo zione di chiodi);

• Facili da posizionare (stesso processo di un friend);

• Essendo dispositivi a espansione attiva, tendono a essere meno smossi dalla corda rispetto ai dadi.

Svantaggi dei ball nut

• Difficile prevederne l’effettiva tenuta in caso di volo (per questo motivo è preferibile un micro friend, se possibi le, al posto dei ball nut di dimensioni maggiori);

• Possono essere difficili da rimuovere senza cava-nut in caso di volo o anche semplicemente a seguito di forti strat toni di prova.

Posizionamento dei ball nut

Raccogliamo i ball nut in un moschettone semplice, possibil mente senza il dentino, come fossero dadi. Possono essere messi senza alcun problema in mezzo al mazzetto dei dadi.

Per inserire il ball nut nella fessura azioniamo il grilletto, che farà ritirare la pallina nella scanalatura; a questo punto cer chiamo di inserire il dispositivo nella fessura assicurandoci di posizionare la pallina contro qualche asperità della fessu ra o per lo meno sul lato meno liscio di quest’ultima.

A questo punto rilasciamo il grilletto e controlliamo che la pal lina non scorra troppo all’interno del dispositivo prima di bloc carsi. Durante un volo la pallina potrebbe percorrere un’ulteriore porzione del suo tragitto prima di arrestare la ca duta (anche tra il 25% e il 50%).

Un piazzamento ideale è quindi abbastanza “stretto”, all’inter no del primo 25% di percorso della pallina.

Una volta soddisfatti del posizionamento inseriamo un rinvio sul ball nut e testiamone la tenuta con forti strattoni, tenendo bene a mente che questi non sono sufficienti a darci garanzia che il dispositivo tenga in caso di volo.

I ball nut, come i friend, sono tenuti in posizione dall’azione della molla, e tendono quindi a essere meno smossi dalla corda rispetto ai dadi. In certi casi però l’azione della corda potrebbe far ruotare il ball nut verso l’alto.

Facciamo attenzione che questo non ne possa compromettere la tenuta e, nel caso, allunghiamo la protezione con un rinvio o una fettuccia lunga a sufficienza.

Un piazzamento sicuro per un ball nut, dove la pallina è bloccata dalle asperità della roccia
64 MATERIALI E PROTEZIONI

Rimozione dei ball nut

Premere sul grilletto per far rientrare la pallina all’interno della scanalatura e liberare il dispositivo. È facile che la pallina si incastri a seguito di un volo o di forti strattoni di prova: nel caso potrebbero essere necessari un cava-nut e un martello (o una pietra) per sbloccarla.

Friend

I friend sono il dispositivo che ha rivoluzionato l’arrampicata in fessura, e non solo, a partire dalla fine degli anni ’70. Sono infat ti l’unica protezione sicura, rapida ed efficace per la protezione di fessure lisce e parallele e sono attrezzi indispensabili nel cor redo di chiunque si voglia avvicinare all’arrampicata “clean”.

I friend sono costituiti da uno stelo centrale su cui sono inserite una serie di camme di metallo tenute in tensione da una molla (solitamente quattro, ma esistono anche versioni a tre camme). Queste camme, grazie alla loro costruzione a “spirale logarit mica” sono in grado di mantenere un angolo costante tra di esse e le pareti della fessura, indipendentemente da quanto si ano “chiuse” o “aperte”.

Questo angolo costante assicura sempre il massimo attrito possibile tra le camme e la roccia, e consente di trasformare la forza di spinta verso il basso sullo stelo in forza di spinta late rale sulle pareti della fessura.

In questo modo il forte attrito generato tra le camme e la roc cia è in grado di tenere il friend in posizione.

Foto: Michele Caminati/Arch. Wild Country
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CLEAN CLIMBING MICHELE CAMINATI MAURIZIO OVIGLIA ARRAMPICATA Daniel Haböck in fase di nastratura Foto: Michele Caminati/Arch. Wild Country
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E
IN FESSURA

03. DITO A CIAMBELLA (friend #0.4 largo/#0.5 stretto)

Nastratura consigliata Fasciatura completa del dito.

È possibile realizzare questo incastro particolare quando la dimensione della fessura è appena sufficiente a ospitare la nocca del dito. Viene realizzato generalmente utilizzando il dito medio, quello più forte, ma può essere fatto anche con indice o anulare. In genere le dita hanno uno spessore leggermente differente e una di queste potrebbe prestarsi meglio a questo incastro, dato che il margine di larghezza su cui è possibile eseguirlo è davvero millimetrico. Inserire il dito disteso e rilassato nella fessura. Una volta all’interno chiudere con forza il dito provocando l’espansione dei tessuti molli intorno alla nocca, che forniranno l’attrito necessario all’incastro. Può essere eseguito dritto o rovescio. Il grosso vantaggio di questo tipo di incastro è che non si deve compiere alcun movimento di torsione o rotazione per farlo funzionare; saremo quindi liberi di muoverci in ogni direzione con il corpo senza scaricare l’incastro. Lo svantaggio è che non è un incastro molto forte e risulta abbastanza traumatico per il dito e per la nocca.

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Michele Caminati su Skinwalker, 8a\+, Caldaro (Bolzano) Foto: Claudia Amatruda
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04. DITA LARGE (friend #0.5 viola)

Nastratura consigliata Cercare di proteggere la prima falange (vicina al palmo della mano); per gli incastri a pollice in basso anche quella del pollice e la sua nocca.

Parliamo di questa misura quando le dita entrano completamente nella fessura, fino alla loro base, e non sono più così strette da potersi facilmente bloccare in posizione con la sola azione di rotazione. Su questa misura l’azione del pollice all’interno della fessura diventa fondamentale per creare una base di appoggio solida per le altre dita. È il famoso ring lock, tecnica non semplicissima ma che con un po’ di pratica risulterà sorprendentemente efficace. Su questa misura l’incastro a pollice in alto risulterà sempre più precario di quello a pollice in basso, anche se siamo in grado di infilare tutte le dita all’interno. Va preferibilmente eseguito quando troviamo una strozzatura o un supporto su cui poter appoggiare il mignolo come base per l’incastro.

Pollice in basso (ring lock stretto)

Per capire meglio questo incastro partiamo inserendo il pollice all’interno della fessura.

Non andiamo troppo in profondità ma cerchiamo di tenerlo abbastanza vicino al bordo: sarà questa la chiave per una buona riuscita. Per fare ciò dobbiamo tenere il gomito in basso, in linea con la fessura, e ruotare la mano rivolgendo il palmo verso di essa; ora saremo pronti a inserire il pollice, facendo toccare come prima cosa il dorso (falange e nocca) contro la fessura. Quando il pollice è all’interno iniziamo a piegarlo, andando a toccare con il polpastrello il bordo opposto della fessura. Il pollice messo in questa maniera creerà una sorta di strozzatura a “V” su cui possiamo entrare con tre dita ed eseguire il classico incastro a pollice in basso visto in precedenza. Una volta padroneggiato l’incastro non avremo più bisogno di inserire prima il pollice e poi il resto, ma saremo in grado di entrare con tutte le dita già pronte in posizione.

Ricordiamoci di eseguire comunque la rotazio ne verso il basso con polso e gomito affinché il tutto abbia efficacia. Se non c’è spazio per inserire tre dita si può utilizzarne anche solo due o una. Su questa misura l’indice andrà a scaricare preva lentemente contro l’unghia del pollice: alla lunga potrebbe risultare un po’ doloroso, ma è fondamen tale creare una forte pressione in quel punto perché l’incastro risulti solido.

fronte retro rotazione gomito verso il basso rotazione gomito verso il basso
144 ARRAMPICATA IN FESSURA

Pollice in alto Entriamo nella fessura possibilmente con tutte le dita, orientando il pollice verso l’alto all’atto dell’inserimento. Una volta all’interno cerchiamo di compiere una rotazione verso l’alto con polso e gomito in contemporanea. Su questa misura, perché l’incastro possa funzionare a sufficienza è spesso necessario trovare una strozzatura o una base di appoggio per il mignolo (o il dito più in basso); potrebbe anche essere una piccola sporgenza sul bordo o qualsiasi cosa che non faccia scivolare la mano verso il basso. Se la fessura è completamente liscia l’incastro a pollice in basso con ring lock sarà sicuramente da preferire.

rotazione gomito verso l’alto

rotazione gomito verso l’alto

CLEAN CLIMBING – MICHELE CAMINATI E MAURIZIO OVIGLIA – ARRAMPICATA IN FESSURA fronte retro
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ARRAMPICATA IN FESSURA

C’è inoltre un’ulteriore azione da compiere per sentire al meglio l’incastro: come in tutti gli incastri a pollice in basso, una rotazione verso il basso di polso e gomito in contemporanea aiuterà a scaricare ancora più peso sull’incastro, sgravando un poco il lavoro del muscolo del pollice. Se stiamo incastrando parecchio in alto il gomito sarà allineato con la fessura e non potrà essere ruotato: continuiamo comunque questa rotazione con il polso. Come discusso a inizio paragrafo questo incastro sarà ottimo per riposarsi, come mano alta durante la progressione di lato e come incastro di arrivo dopo un allungo. Come mano di partenza per compiere un allungo è comunque meglio utilizzare l’incastro a pollice in alto, nonostante su questa misura potrebbe risultare più precario.

fronte retro rotazione gomito verso il basso rotazione gomito verso il basso
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Michele Caminati sulla fessura di mano stretta Rocky Marciano, 8a, Valle dell’Orco Foto: Michele Caminati
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02. INCASTRO DI MANO (friend #0.2 giallo)

Nastratura consigliata Nastratura della mano. Su questa misura non dovrebbero essere necessarie altre forme di prote zione particolari.

Parliamo di questa misura quando la mano entra completamente dentro la fessura, muscolo del pollice compreso, senza dover compiere particolari sforzi per incastrarsi essendo già abbastanza stretta. Tra tutti gli incastri possibili in fessura è uno dei migliori e ci consentirà di danzare anche su strapiombi e tetti quando lo padroneggeremo.

Data la sua solidità è sicuramente la misura migliore su cui imparare: le prime volte evitiamo inutili frustrazioni su fessure di mano stretta o larga, cerchiamo piuttosto di imparare al meglio la tecnica su questa misura come primo obiettivo.

Quando andiamo a eseguire un incastro di mano cerchiamo sempre di sondare la fessura con il muscolo del pollice, cercando l’alloggio più stretto possibile che riesca a contenerlo; se siamo fortunati riusciremo anche a trovare un incastro “passivo” in una strozzatura. Anche su questa misura nell’incastro a pollice in basso possiamo avvalerci dell’azione di rotazione di polso e gomito per sgravare il muscolo del pollice da parte del lavoro. Se vogliamo ottimizzare il nostro apprendimento però evitiamo di avvalerci solamente di questa tecnica e cerchiamo di migliorare il più possibile sull’incastro a pollice in alto.

Pollice in alto Infiliamo la mano rilassata in fessura seguendo la metodologia generale descritta a inizio paragra fo. In genere per una progressione di base si preferisce inserire la mano inclinata a circa 45° rispetto alla fessura ma, più incastriamo in alto, più saremo costretti a tenere la mano parallela alla fessura. Per un incastro più basso, a livello della vita, terremo invece la mano perpendicolare alla fessura o addirittura con le dita rivolte verso il basso (capita spesso quando facciamo “scivola re” un incastro dal basso verso l’alto, per richiamarlo più vicino).

L’importante sarà avere il muscolo del pollice ben all’interno della fessura per far lavorare l’incastro. Una volta scelto il punto dove incastrare eseguiamo simultaneamente il movimento del pollice verso il basso e la spinta delle dita sul bordo come descritto a inizio paragrafo.

Su questa misura non sarà in genere necessario inarcare le dita, ma se l’incastro fosse partico larmente stretto potremmo aver bisogno di inarcare un poco l’indice e in parte il medio per far entrare il pollice bene a fondo. Tenere le dita completamente arcuate con il retro delle falangi che toccano la fessura non è in genere conveniente su questa misura: data la larghezza della fessura saremmo costretti a piegare le dita praticamente a 90°, e in questa posizione non riusciremmo ad avere una spinta ottimale sul bordo. Mettiamo quindi le dita nella posizione che ci consente di spingere con maggior forza: in genere più larga è la fessura, più le dita dovranno rimanere tutte dritte. Il movimento fondamentale che ci consentirà di tenere al meglio l’incastro rimarrà comunque quello del pollice: sarà il punto in cui avvertiremo maggior pressione e sarà purtroppo anche il primo muscolo a stancarsi.

164 ARRAMPICATA IN FESSURA

Pollice in basso Infiliamo la mano rilassata in fessura seguendo la metodologia generale descritta a inizio paragra fo. Più in alto sopra la nostra testa andremo ad eseguire l’incastro, più inseriremo la mano parallela alla fessura, più scendiamo verso il torace, più la inclineremo invece in maniera perpendicolare. Cerchiamo in ogni caso di entrare con tutta la mano e infilare il muscolo del pollice completamene all’interno. Al di sotto del torace sarà estremamente innaturale un incastro a pollice in basso, utilizziamo quindi il pollice in alto. Una volta scelto il punto dove incastrare eseguiamo simultaneamente il movimento di chiusura del pollice verso il mignolo e la spinta delle dita sul bordo, come descritto precedentemente, per far funzionare l’incastro. Per l’inarcamento delle dita vale lo stesso discorso fatto per l’incastro a pollice in alto.

Questo tipo di incastro ci consentirà inoltre di avvantaggiarci dell’azione di rotazione di polso e gomito per sgravare un poco l’azione che deve compiere il muscolo del pollice e trovare un po’ di riposo.

fronte retro
165 CLEAN CLIMBING – MICHELE CAMINATI E MAURIZIO OVIGLIA – ARRAMPICATA IN FESSURA

ARRAMPICATA IN FESSURA

Gamba e piede interni alla fessura

Su questa dimensione di fessura il piede sarà costretto a lavo rare quasi completamente steso per arrivare a toccare entram be le pareti. Lo scarico della forza avverrà tra il tallone e l’estremità della punta, piuttosto che contro una parte più consistente del dorso come avveniva per la misura precedente. Questo rende l’incastro sempre meno efficace e progressi vamente più doloroso sulla punta del piede.

Per far lavorare la punta nella maniera più efficace e meno do lorosa possibile contro la parete sarà ora conveniente piegare la punta all’insù, invece che verso il basso “a banana”, come eravamo abituati a fare sulla misura precedente.

Il problema è che con la maggior parte delle moderne scarpette da arrampicata questo potrebbe risultarci sem plicemente impossibile. Una scarpetta arcuata verso il basso non riuscirà mai a posizionarsi con la punta piegata all’insù.

Potrebbe essere possibile riuscirci con una scarpetta dalla suola completamente piatta, ma faremmo comunque fatica.

In realtà la soluzione ideale per lavorare con i piedi su questa misura di fessura sono scarpe con la punta piegata all’insù, come possono essere scarpe da avvicinamento che abbiano comunque una buona suola da arrampicata.

La maggior dimensione della scarpa sarà anche d’aiuto a riem pire meglio la fessura.

Su questa misura avremo il sedere quasi completamente appoggiato all’interno della fessura

Per riposare le braccia e poterle staccare entrambe dalla fessu ra abbiamo ora due opzioni:

1. La prima è quella di assumere con la gamba interna la posi zione n.3 (v. foto a lato) tenendo il ginocchio alto a livello della vita (il piede esterno dovrà però essere ben solido);

2. La seconda è quella di entrare con il sedere completa mente all’interno della fessura, stare con la gamba inter na in posizione come in foto n.1 o n.2 e eseguire anche con la gamba esterna un incastro analogo in fessura (in questo modo, grazie all’azione del ginocchio, riusciremo anche ad alleviare un po’ della pressione che grava sulla punta del piede esterno).

Cerchiamo di descrivere tutte le tecniche possibili, a seconda delle scarpe che abbiamo a disposizione e della posizione che riusciamo a far assumere ai nostri piedi in fessura.

Scarpetta da arrampicata arcuata verso il basso Scarpetta da avvicinamento con la punta all’insù
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Posizione più efficace e meno dolorosa: punta piegata verso l’alto che spinge con la suola contro la parete. Sarà possibile assumere questa posizione con il nostro piede solo con scarpe dalla suola completamente piatta o meglio con la punta piegata all’insù. La posizione rimane essenzialmente quella della misura precedente con la posizione della gamba interna bassa e una leva tra tallone e ginocchio i quali spingono contro le pareti opposte.

Posizione meno efficace e più dolorosa: punta piegata “a banana” verso il basso È la stessa posizione che utilizzavamo per la misura precedente, con il piede sempre più “dritto” che lavora contro la parete con la parte sommitale della punta, piuttosto che con il dorso. Meno efficace della posizione precedente e sicuramente più dolorosa: purtroppo è l’unica posizione che riusciremo ad assumere con scarpette da arrampicata arcuate verso il basso. Cerchiamo di scaricare la maggior parte del peso tramite la leva tra tallone e ginocchio, per sentire meno dolore in punta.

Piede “a martello” su un solo lato della parete. Se sentiamo che l’azione del piede tra le due pareti è troppo dolorosa e troppo poco efficace possiamo attuare con la gamba interna una strategia un po’ differente. Apriamo l’anca e solleviamo un poco la coscia, tenendo il piede piatto “a martello” su un solo lato della fessura (lato destro se gamba destra, sinistro se gamba sinistra).

Cerchiamo ora di creare una leva tra il lato esterno del piede e quello interno del ginocchio, andando a chiudere l’anca con forza per premere la gamba contro la parete. La posizione della gamba è un po’ più sollevata rispetto alle due posizioni precedenti. Se vogliamo riposare invece che muoverci verso l’alto, possiamo alzare il ginocchio ancora più in alto, al livello della vita. Questo tipo di incastro è più “di forza” rispetto ai precedenti e richiede una buona aderenza sulle pareti della fessura per non scivolare. Sarà alla lunga più faticoso sulla gamba interna ma potrebbe essere utile per alleviare il dolore sulla punta del piede e sulla rotula, dato che sfrutta la parte più interna del ginocchio.

261 CLEAN CLIMBING – MICHELE CAMINATI E MAURIZIO OVIGLIA – ARRAMPICATA IN FESSURA 1 2 3

ARRAMPICATA IN FESSURA

Piede esterno alla fessura

Le stesse considerazioni fatte per l’azione del piede interno val gono anche per quello esterno. Su questa misura ancora più larga sarà via via più difficile e doloroso creare la spinta necessaria alla progressione, soprattutto se utilizziamo scar pette da arrampicata arcuate verso il basso.

Valutiamo bene la scelta delle scarpe in base alle caratteristiche dell’intera via, cercando di capire se può essere o meno conveniente utilizzare direttamente scarpe o scarponcini da avvicinamento piuttosto che da arrampicata. Nel caso privilegiamo scarpette da arrampicata con la suola piatta e non arcuate. Vediamo ora i tre metodi di spinta possibili.

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La stessa posizione “tallone prima” assunta nelle misure precedenti: il tallone si posiziona un poco più all’interno della fessura rispetto alla punta. L’alluce esce un poco dallo spigolo, contro il quale va a contatto la parte inferiore della suola posta a lato dell’alluce. In questo modo sarà possibile piegare di poco la punta verso l’alto anche con scarpette da arrampicata arcuate e sarà la maniera più efficace e meno dolorosa per farlo (alla lunga sarà comunque doloroso).

Purtroppo, per riuscire ad assumere la posizione corretta con il piede, saremo costretti a tenere la gamba più stesa rispetto agli altri metodi e riusciremo di conseguenza a compiere “passi” più corti

Posizione “a banana” con punta piegata verso il basso all’interno della fessura: l’unica che riusciremo ad assumere con una scarpetta arcuata verso il basso e la più semplice da eseguire.

Risulta però estremamente dolorosa, anche perché nel caso della gamba esterna questo incastro non è supportato dall’azione del ginocchio contro la parete.

Punta piegata all’insù: la posizione più favorevole da assumere se si hanno scarpe adatte. Questa posizione sarà la più efficace e la meno dolorosa delle tre. Può essere eseguita con la punta completamente all’interno della fessura, come in foto, oppure appoggiando la parte inferiore della suola di punta contro lo spigolo, in maniera più simile alla posizione della foto n.1 (senza però far sporgere l’alluce dallo spigolo).

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PROGRESSIONE IN FESSURE VERTICALI DI CHICKENWING

Valgono essenzialmente tutte le considerazioni fatte per la mi sura di arm bar/shoulder bar. Ricordiamo che finché non sia mo in grado di spostare il chickenwing in maniera rapida ed efficace all’interno della fessura sarà comunque conve niente continuare a progredire con tali tecniche. Su misu re più larghe, in cui riusciamo a eseguire con facilità un chickenwing alto, adottiamo invece questi accorgimenti:

1. Inseriamo il nostro corpo in fessura completamente di la to. Andiamo a eseguire con gli arti all’interno della fessura gli incastri visti in questo paragrafo: con il braccio un chick enwing con polso all’incirca all’altezza della spalla e gomito alto a seconda della necessità; con la gamba e il piede uno dei tre tipi di incastro descritti. La mano esterna andrà sem pre tenuta sullo spigolo all’altezza più efficace e compatibile con la spinta verso l’alto: in genere a livello degli occhi o della fronte. Se la fessura è abbastanza larga (o in placca) possiamo invece passare con la mano esterna a una spinta verso il basso del palmo sullo spigolo;

2. Sorreggendoci con le braccia e la gamba interna, inse riamo anche il piede esterno in fessura, in uno dei tre modi descritti, con la gamba un po’ piegata in modo da po terci spingere verso l’alto grazie alla sua estensione. Per controllare ciò che stiamo facendo con il piede esterno valgono sempre le osservazioni fatte in precedenza: non al ziamo eccessivamente la mano sullo spigolo e piuttosto sol leviamo un poco il gomito per piegare la testa al suo interno;

3. Spingiamo ora sulla gamba esterna per far scivolare l’intero corpo verso l’alto. Ci possiamo aiutare in questo processo anche con le braccia ma ricordiamo che la mag gior parte del lavoro deve essere svolto dall’azione del la gamba esterna: facciamo quindi in modo che l’incastro di piede sia solido.

Durante questa fase dovremo rilasciare la pressione tra ginocchio e tallone della gamba interna per consentirci di scivolare verso l’alto. Alla fine del processo ci ritrovere mo la mano esterna all’incirca all’altezza delle spalle, men tre il polso della mano che esegue il chickenwing sarà scivolato un poco più in basso;

4. Il processo di spinta verso l’alto potrà far uscire un poco il nostro corpo dalla fessura, dovremo quindi riportare il più possibile il corpo all’interno con l’aiuto delle brac cia, soprattutto il sedere. A questo punto riformiamo l’in castro con la gamba interna e riposizioniamo nuovamente il chickenwing più in alto. Come ultima cosa riposizioniamo la mano esterna al livello degli occhi, o della fronte, per poter proseguire;

5. Rialziamo il piede esterno per poter eseguire una nuova spinta verso l’alto;

6. Ripetiamo il processo dal punto n.3.

PROGRESSIONE IN FESSURE STRAPIOMBANTI DI CHICKENWING

Finchè non si è in grado di eseguire un chickenwing utile alla progressione valgono la stessa tecnica e le stesse considerazio ni fatte per il paragrafo di arm bar/shouder bar.

Quando la larghezza della fessura ci consentirà di progredire con un chickenwing sarà invece possibile superare – con la stessa tecnica vista per fessure verticali – anche strapiombi importanti, fino a 45° e oltre, senza la necessità di doverci mettere a testa in giù. La progressione non sarà nemmeno tan to faticosa per le braccia: insomma un bel cambiamento in me glio rispetto alla misura precedente.

La posizione più favorevole del gomito per eseguire il chicken wing sarà sempre “verso il cielo” (opposta alla forza di gravi tà) ma teniamo conto che ora, grazie all’inclinazione della fessura, tale direzione sarà maggiormente rivolta verso l’inter no della fessura piuttosto che verso la direzione di marcia.

263 CLEAN CLIMBING – MICHELE CAMINATI E MAURIZIO OVIGLIA – ARRAMPICATA IN FESSURA

I

EUROPEI DEL CLEAN CLIMBING

JOHNNY DAWES

È un protagonista della scalata britannica degli anni ottanta con al suo attivo importanti prime in Inghilterra di grande impegno fisico ma soprattutto psicologico.

Dawes appartiene infatti alla stagione definita “dell’hard grit”, anzi si può dire che ne sia stato il precursore e uno dei più illustri rap presentanti, sebbene l’omonimo film lo relegasse al ruolo di com parsa piuttosto che di protagonista. Il film Stone Monkey (1986), viceversa, gli procurò la fama grazie al suo modo di arrampicare, sicuramente particolare ed estroso, almeno rispetto ai suoi con temporanei con cui divideva la scena inglese nella metà degli anni ottanta, quali ad esempio Jerry Moffatt e Ben Moon, più attratti rispetto a Johnny dalla nascente arrampicata sportiva.

Nato a Uppingham il 9 maggio 1964, Johnny iniziò ad arrampica re all’età di 14 anni e si formò come arrampicatore su roccia di stinguendosi anche per alcune salite “urbane” di built climbing (oggi lo chiameremmo street boulder) di grande difficoltà. La sua tecnica di scalata si mostrò subito innovativa con un uso della dinamicità del movimento decisamente superiore agli arrampi catori che lo hanno preceduto. Anche la mobilità del bacino e l’uso dei piedi fu decisamente importante nello stile di Dawes. A metà degli anni ottanta in Inghilterra, i principali “problemi” erano rappresentati da difficili muri sui quali le ferree regole eti che non permettevano di aggiungere spit come protezione. Occorreva quindi riuscire a raggiungere la padronanza psicolo gica per salire quelle lunghezze da capocordata affrontando lun ghi tratti sprotetti molto pericolosi (e talvolta potenzialmente letali) in caso di caduta.

Tecnicamente si tratta di difficoltà nell’ordine del 7c/8a, quindi non il massimo raggiunto in quel periodo a livello mondiale, ma psicologicamente in quel momento erano sicuramente le salite più impegnative del mondo. Traducendo queste considerazioni nel sistema di valutazione inglese, possiamo semplicemente dire che Dawes ha introdotto i gradi E8 ed E9 con salite leggendarie che sono rimaste un banco di prova per le generazioni future.

Il 1986 è il suo “anno magico” e lo vede realizzare tre salite mol to famose di E8: Gaia a Black Rock, divenuta poi una delle icone della scalata in Inghilterra, End of Affair a Curbar Edge e The Quarryman a Llamberies. Quest’ultima è una salita atipica, an che per la presenza degli spit, e resa particolarmente famosa dal film Stone Monkey, nel quale Dawes la scala in maniera im peccabile e del tutto personale sulle note di Frank Zappa.

Una delle sequenze cult di sempre del film di arrampicata.

Sono salite in cui la scalata on sight, che comunque per Dawes riveste ancora estrema importanza, lascia spazio a qualche ten tativo per cercare di decifrare le sequenze più difficili e acquisire la necessaria tranquillità per poterle affrontare da capocordata.

Foto: Mark Reeves
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PROTAGONISTI

Il 25 ottobre dello stesso anno Dawes scala la sua via più famo sa, Indian Face a Clogwyn d’ur Arddu, un muro estremamente impegnativo dal punto di vista mentale, che inaugura il grado E9. Questa salita è destinata a divenire una delle tappe della scalata mondiale e sarà particolarmente rivalutata negli anni a venire in cui la scalata in stile hard grit sarà conosciuta a livello interna zionale e uscirà dalla nicchia in cui era relegata dalla metà degli anni ottanta.

Altra salita importante è ugualmente The angel’s share a Black Rocks, un altro E9 di grande impegno. Negli anni successivi tut tavia anche Dawes ha voluto confrontarsi con la difficoltà pura. Celebre è la sua salita di The very big & the very small (1990) a Llamberies, valutata 8b+/8c in scala francese (e protetta da spit) e considerata allora la placca più difficile del mondo.

La sua biografia, Full of My Self, è stata pubblicata nel 2011.

Johnny Dawes in azione a Llanberis Foto: Mark Reeves
289 CLEAN CLIMBING – MICHELE CAMINATI E MAURIZIO OVIGLIA – I PROTAGONISTI EUROPEI DEL CLEAN CLIMBING

I

EUROPEI DEL CLEAN CLIMBING

JOHN REDHEAD

Non si sa molto di questo climber artista se non che è stato un pioniere delle salite di stile hard grit inglese, particolarmente quelle su muro sprotetto.

Redhead rimane una delle grandi figure controverse dell’arram picata britannica. Agendo ai margini della scena alla fine degli anni ’70 – all’inizio degli anni ’80, Redhead non fu mai considera to una star come Ron Fawcett, Pete Livesey o Jerry Moffatt. Del resto risultava difficile pensare che John facesse 2.000 fles sioni prima di colazione e strutturasse religiosamente la propria vita spingendo i propri limiti personali attraverso un approccio scientifico all’arrampicata. E forse fu l’unico dei suoi contempo ranei ad avere un approccio “diverso” alla scalata.

Al contrario, le eccezionali salite di Redhead sembrano essere state realizzate più attraverso la magia e la meditazione piutto sto che un rigoroso programma di allenamento!

Dall’età di quattordici anni John, nato sulla costa dello Yorkshire, arrampicava ed esponeva i suoi dipinti. Da artista autodidatta divenne professionista ed espose in modo prolifico nelle gallerie di Londra e in quelle di provincia.

Come arrampicatore, nei primi anni ottanta ha aperto e ripetuto un gran numero di salite impegnative, spesso in compagnia di Andy Pollit e in parte in competizione con Johnny Dawes, che al contrario di lui arrivò alla fama internazionale. Particolarmente importante la sua prima salita di The Bells! The Bells! e soprat tutto il primo E8 di Inghilterra, Margins of the Mind a Clogwyn Du’Arddu (1984), rimasta irripetuta per 18 anni. Entrambe sono vie mentalmente estreme, all’epoca sicuramente all’avanguar dia, mentre tecnicamente si situano nel range dell’8a/8b. La sua indole ribelle e provocatoria lo rese anche protagonista di acce se polemiche di carattere etico. Fu addirittura accusato di miso ginia per i nomi che dava alle vie, spesso di carattere sessuale. Readhead partecipò poi al video-documentario della BBC E9 6c in cui insieme a Johnny Dawes spiega il suo approccio all’arrampicata.

In seguito si dedicò completamente alla sua carriera di artista multimediale non smettendo mai completamente di arrampicare.

Foto: Arch. John Redhead
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PROTAGONISTI

ARNAUD PETIT

Arnaud Petit, classe 1971, è un arrampicatore francese noto so prattutto per aver vinto il Campionato del Mondo nel 1996. A partire dal 2000 però Arnaud lascia le gare e diviene guida al pina. Ha quindi inizio la sua carriera di alpinista e apritore di vie, anche in trad climbing, nonostante abbia una predilezione per lo stile sportivo. Compie molte spedizioni in varie parti del mondo e sale anche El Capitan in libera (giugno 2007) con sua moglie Stephanie Bodet. Notevole anche la seconda salita di Rainbow Jambaïa al Salto Angel, in Venezuela (2006). Nonostante Arnaud non sia uno specialista di clean climbing, nel 2012 fa scalpore la sua salita in green point della via Black Bean a Ceüse (8b), usando gli innovativi friend totem cams nei rari bu chi (friend che ha contribuito a lanciare sul mercato). Prima di questa salita lo stile green point non era stato mai seriamente preso in considerazione e nemmeno la salita in trad di vie pret tamente sportive. Arnaud è anche molto attivo a livello editoria le: celebri i suoi libri sulle vie più belle del mondo, molte delle quali ripetute da lui stesso.

SIMONE PEDEFERRI

Nato a Cantù nel 1973, è uno dei più importanti alpinisti italiani con all’attivo molte prime salite, prime libere, spedizioni su tutte le montagne del mondo. È un arrampicatore che ha fatto della polivalenza il suo punto di forza: dal boulder (nel 1996 uno dei primi 8a italiani) all’arrampicata sportiva (realizzazioni sino all’8c+/9a), dalle big wall all’alpinismo. In tutte le specialità ha raggiunto livelli di eccellenza ma forse è nello stile big wall (in particolare nelle Alpi Centrali) che ha conseguito le sue migliori performances. Innumerevoli sono le sue first ascent sulle pareti del Pizzo Qualido e della Val di Mello ove risiede. Forse l’arram picata trad su monotiro è l’aspetto che lo ha coinvolto di meno, ma ha ugualmente all’attivo salite importanti in questo stile. Simone è anche un artista: la sua attività di pittore trae ispirazio ne dal mondo della montagna e dai luoghi remoti incontrati nel corso delle spedizioni alpinistiche. Ha inoltre realizzato una de cina di cortometraggi, tra i quali spicca Socialmente Inutile, vin citore della Genziana d’Argento al Festival di Trento.

Foto: Stéphanie Bodet Foto: Michele Caminati
CLEAN CLIMBING – MICHELE CAMINATI E MAURIZIO OVIGLIA – I PROTAGONISTI EUROPEI DEL CLEAN CLIMBING 291

CLIMBING SPOTS

ITALIA

03. VALLE DELL’ORCO

La Valle dell’Orco è considerata uno dei luoghi più importanti per l’arrampicata trad in Italia. In realtà non si tratta di una zona dedicata esclusivamente all’arrampicata trad, ma un luogo dove questa è stata rispettata forse più che altrove, evitando che fossero spittate in modo seriale tutte le vie storiche di arrampicata tradizionale. La presenza di alcune belle fessure adatte a essere salite in monotiro, il mito di alcuni arrampicatori che negli anni le hanno salite, unitamente all’ambiente alpino molto bello hanno fatto della Valle dell’Orco un luogo di successo, frequentato e apprezzato addirittura oltre oceano.

I settori sono sparsi nel raggio di 20 km e conviene scegliere in base alla stagione e alla temperatura. I più interessanti, dal punto di vista del clean climbing, sono però la Torre di Aimonin, il Sergent e la Parete del Disertore. Ma le vie possibili solo con le protezioni mobili sono dislocate un po’ dovunque nella valle.

Regione Piemonte

Tipo di roccia Gneiss

Numero di settori 10

Numero delle vie Oltre 200

Periodo ideale Mezze stagioni, estate.

Predominanza di stile Monotiri su fessure, vie lunghe.

Stile di arrampicata Fessure e diedri.

Lunghezza delle vie 20-200 m

Materiale necessario Due serie di friend, nut

Range di difficoltà 5c-8a Difficoltà media 6b

Quota 1.000-1.600 m

Avvicinamento Da Torino a Courgnè, imboccare la Valle dell’Orco e risalirla sino a Noasca. Tra Noasca e Ceresole si trovano i settori più interessanti.

Consigli pratici Nelle mezze stagioni conviene prediligere i settori di bassa valle. In estate si può arrampicare la mattina alla Parete del Disertore e il pomeriggio al Sergent

Punti di appoggio Strutture ricettive a Noasca e a Ceresole, campeggio sotto il Sergent.

Guide Valle dell’Orco, Versante Sud, 2010; Orco best crack, Maurizio Oviglia Edizioni.

Web Buona parte dei siti della Valle dell’Orco si trovano sul portale www.gulliver.it

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Alice Thompson su Incastromania Foto: Maurizio Oviglia
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14. PUNTA ISTIOTTA

Punta Istiotta è la struttura più “yosemitica” della Sardegna. Scoperta solo di recente e rimasta per lungo tempo poco pubbliciz zata, ancora oggi non viene pubblicata sulle guide. Rispetto alle altre aree granitiche della Sardegna, per esempio quelle della Gallura, qui il granito è molto più pulito e il muschio o il lichene non disturbano l’arrampicata. Per contro, le fessure sono spesso esigenti e da superarsi con tecnica offwidth, mentre l’esposizione a sud obbliga a scegliere giornate non particolarmente calde. La parete consta di due spettacolari torri separate, l’ambiente ricorda quello di Joshua Tree in California, con in più il mare sullo sfondo. C’è la possibilità anche di salire solo i primi tiri.

Regione Sardegna

Tipo di roccia Granito

Numero di settori 2 Numero delle vie circa 15

Periodo ideale Mezze stagioni, inverno.

Predominanza di stile Solo trad, soste in genere attrezzate a spit

Stile di arrampicata Fessure, in genere larghe.

Lunghezza delle vie In genere vie dai 2 ai 4 tiri.

Quota 200 m

Materiale necessario Due serie di friend sino al 5 e 6. Nut non necessari. Fettucce. Corda singola da 80 m.

Range di difficoltà 6a-7c Difficoltà media 6b/6c

Avvicinamento Da Orosei raggiungere la località turistica di Sos Alinos lungo la SS 125 in direzione Olbia.

Proseguire un paio di chilometri ancora in direzione Olbia, svoltando a sinistra in una sterrata in corrispondenza di un boschetto di eucaliptus sulla destra. Seguire la strada sterrata che compie una brusca curva verso sud. Oltrepassare un rudimentale cancello (richiudere) e salire alcuni tornanti cementati. Si passa in mezzo a un ovile in una desolata radura, quindi si sale brevemente sulla strada sconnessa, parcheggiando a fianco di una fontana, sotto le strutture granitiche.

Ritornare indietro di 50 metri e imboccare una stradina a sinistra sino a una recinzione.

Per la torre di destra seguire la recinzione sino alle rocce (15 minuti dall’auto).

Per la struttura di sinistra, scavalcare la recinzione (scaletta) e continuare per la stradina sino ad alcuni grandi blocchi. Sotto il blocco più grande parte un sentiero che in breve porta alla struttura di sinistra (15 minuti).

Consigli pratici Approcciarsi a Punta Istiotta solo se avezzi all’arrampicata in fessura completamente trad. Le vie sono esigenti e necessitano di buona conoscenza delle tecniche offwidth. Prestare attenzione alla temperatura ed evitare la stagione estiva.

Punti di appoggio Sulla costa campeggi e strutture ricettive in abbondanza. È possibile anche campeggiare nei pressi della fontana.

342 CLIMBING SPOTS – ITALIA
Filippo Manca su Batman Foto: Maurizio Oviglia
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03. CORSICA | BAVELLA

La Bavella è uno dei luoghi granitici più belli d’Europa, con strutture che fanno pensare a una piccola Yosemite. Dopo un inizio pionieristico in arrampicata tradizionale, Bavella ha conosciuto negli anni duemila l’apertura di moltissime vie in ottica mista, le quali ne hanno fatto una piccola Chamonix mediterranea. Tuttavia negli ultimi anni è stato dato maggior spazio alle vie completamente clean, anche se sempre in ottica di multipitch e raramente di monotiro. Sulle varie strutture tuttavia, non è difficile scovare qualche perla, come la dura Resurrection des Roses sulle Teghie Lisce, una delle fessure ad incastro più dure del massiccio.

Regione Corsica, Francia

Tipo di roccia Granito

Numero di settori circa 10 Numero delle vie circa 300 Quota 800-1.300 m

Periodo ideale Mezze stagioni.

Predominanza di stile Misto, sportivo ma esiste un buon numero di vie dedicate solo al trad

Stile di arrampicata Fessure, placche, muri a tafoni.

Lunghezza delle vie Vie fino a 10 tiri di lunghezza.

Materiale necessario Sulle vie miste normalmente è sufficiente una serie di friend sino al 4. Sulle vie completamente trad due serie. Fettucce. Sono consigliabili due corde.

Range di difficoltà 5c-7c Difficoltà media 6a/6b

Avvicinamento Da Solenzara o da Zonza raggiungere il Col di Bavella. I settori di arrampicata sono quasi tutti dislocati sul versante est, verso Solenzara.

Consigli pratici Evitare le giornate calde, nonostante l’ambiente sia quello di montagna, può fare molto caldo. Non sottovalutare neanche il vento, che può sopraggiungere con vere e proprie tempeste. Notoriamente gli avvicinamenti alle pareti sono complicati e mai banali, anche se negli ultimi anni sono stati molto migliorati o segnati con ometti. È assolutamente necessario procurarsi una buona guida dove siano ben descritti.

Punti di appoggio Col di Bavella.

Guide Diverse guide dedicate alle multipitch, in genere reperibili al Col di Bavella.

354 CLIMBING SPOTS – EUROPA
Rolando Larcher su De Rerum Naturae Foto: Maurizio Oviglia
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07. UK | PEMBROKE

Pembroke è uno dei siti più rinomati dell’arrampicata britannica e anche uno dei più frequentati dagli stranieri. La roccia calcarea e lo stile sono qui più simili alle altre falesie europee e, nonostante ci si debba proteggere su tutti i tiri, è forse più facile riuscire a entrare in confidenza con la difficoltà, almeno rispetto al grit del Peak District che richiede doti di movimento meno comuni tra gli arrampicatori abituati all’arrampicata sportiva in falesia. Le pareti di Pembroke sono di fatto delle scogliere esposte sul mare.

La bassa marea permette di scendere alla base delle pareti e assicurare il compagno come in una normale falesia, ma bisogna sempre prestare attenzione al flusso delle maree perché il mare sale rapidamente. La scalata è in genere di continuità su tacche, in uno stile tipico del calcare; la protezione avviene sfruttando buchi e fessurine in cui sono molto utili i nut. Sulle vie più impegnative abbondano i run out in cui non è possibile proteggersi.

Regione Galles

Tipo di roccia Calcare

Numero di settori 32

Quota livello del mare Periodo ideale Mezze stagioni.

Numero delle vie oltre 1.000

Predominanza di stile Trad, non sono attrezzate nemmeno le soste. Sulla sommità a volte si trovano dei picchetti di legno, qualora sul prato sulla cima della falesia non vi siano altre possibilità di assicurazione.

Stile di arrampicata Itinerari su muri verticali a piccole prese, stile di continuità. Rare fessure.

Lunghezza delle vie 20-40 m, possibilità di fare vie sino a 4 tiri.

Materiale necessario Due serie di friend, nut indispensabili, cordini. Molto utili due corde.

Range di difficoltà 5a-8b Difficoltà media 6c

Avvicinamento Da Bristol al paese di Pembroke; quindi dirigersi verso sud per Bosherston, poi continuare fino al parcheggio a Trevalleh Downs. L’accesso alle falesie è evidente.

Consigli pratici Come detto, prestare attenzione alle maree e alle restrizioni a cui sono soggette alcune falesie per via della nidificazione dell’avifauna.

Punti di appoggio Il posto migliore per alloggiare è attorno a Bosherston. Il paese offre un campeggio davvero spartano ma in compenso ci sono un eccellente pub (St Govan’s Country Inn) e una pasticceria famosa per i suoi dolci. A chi vuole concedersi il lusso di una doccia consigliamo di campeggiare poco distante, a St Petrox.

Guide Pembroke, Alan James and Mike Robertson, Rockfax Publishing.

Web www.ukclimbing.com

364 CLIMBING SPOTS – EUROPA
Pleasure Dome, una delle grandi classiche di Pembroke Foto: Erik Svab
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Queste sono le ultime parole dell’articolo che nel 1972 Yvon Chouinard e il suo amico, nonché socio in affari, Tom Frost pubblicarono sul catalogo della Chouinard Equipment. L’articolo, intitolato “Una parola”, incentivava l’utilizzo dei nut al posto dei chiodi. Tale articolo, vero manifesto, vera origine della rivoluzione dell’arrampicata libera, cambiò le abitudini degli scalatori.

Per anni friend e nut sono diventati comodi strumenti per integrare le protezioni già in loco, spesso a chiodi, su vie multipitch e solo in alcune zone come la Val di Mello e la Valle dell’Orco ne erano, e ne sono tutt’ora, una parte essenziale della salita.

Da alcuni anni, vuoi per la rivalorizzazione di alcune aree di monotiri non spittati in Valle dell’Orco, vuoi per la nascita di paradisi per il clean climbing come Cadarese e Yosesigo in Val d’Ossola, è esplosa la passione per questi strumenti, tra l’altro sempre più sicuri e funzionali grazie agli studi delle principali aziende costruttrici.

Questo manuale si concentra sulle tecniche di clean climbing per il monotiro, consapevoli che una buona tecnica di protezione nelle palestre naturali porti poi facilmente all’utilizzo di strumenti a incastro anche su vie lunghe, per chi già è in grado di muoversi su pareti multipitch protette tradizionalmente.

Ma non è solo un manuale di tecnica, perchè, in linea con la collana Performa, Maurizio Oviglia e Michele Caminati sono convinti che una buona conoscenza della storia e della cultura alpinistica, contribuisca in modo essenziale alla dimensione del sogno e a moltiplicare le emozioni di cui ogni scalatore è costantemente alla ricerca: un itinerario è una linea sulla roccia, ma se si conosce chi l’ha salita, quando, come e perchè, ogni via acquista un sapore diverso, speciale e unico per ognuno di noi.

Per questo un ampio capitolo introduttivo narra l’evoluzione che ha avuto nello spazio e nel tempo questa disciplina e una parte del manuale presenta 31 schede biografiche dei principali fuoriclasse di questa attività.

Infine, in coda, perchè non siano questi insegnamenti teorici che rimangano inattivati in un cassetto della nostra mente, il libro propone una serie di località, in Italia e in Europa, dove andare a praticare, dalle più vicine e abbordabili a quelle più distanti e impegnative.

“Remember the rock, the other climbers — climb clean”
Yvon Chouinard e Tom Frost, 1972
www.versantesud.it 38,00 € IVA inclusa ISBN: 978 88 85475 861

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