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L'editoriale di Armando Munaò
Ma quanto è BELLO l’ITALIANO
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anno innescato un vero, e mi auguro costruttivo dibattito, le parole di Mario Draghi, Presidente del Consiglio, quando, in un incontro con giornalisti, esponenti politici e personale sanitario, in occasione di una sua visita, a marzo, al centro vaccinazioni di Fiumicino e dopo che nel suo discorso aveva citato alcune parole tipo smartworking, babysitting, lockdown, se n’è uscito con una frase che ha fatto sorridere molti dei presenti. «Chissà perché devo e dobbiamo sempre usare tutte queste parole inglesi?» Una battuta sugli anglismi, la sua, accompagnata da un sorriso, ma che forse tanto spiritosa non voleva essere perché, in fondo in fondo, il nostro Presidente ha messo il dito in una piccola piaga letteraria che sempre di più sta caratterizzando il nostro modo di esprimerci e di dialogare. Un particolare “fuori programma” che è subito diventato virale sui social, su Facebook, su Twitter e Instagram. Una precisazione, quella di Draghi, di certo non banale se ha ricevuto, oltre ai tanti
pareri favorevoli, anche l'apprezzamento e il plauso del Prof. Claudio Marazzini, presidente dell'Accademia della Crusca, una istituzione che da oltre 450 anni si batte con “strenuo” e continuo impegno per mantenere “intatta e pura” la lingua italiana. "Sono molto contento, ha detto infatti Marazzini, che il Presidente Draghi, in questo momento difficile per il Paese, abbia toccato questo argomento con leggerezza e con una battuta, ma si capiva bene la sua posizione. Normalmente, ha continuato, quando si critica l'uso eccessivo dei termini inglesi, molto spesso scatta l'accusa di provincialismo. Nel caso di Draghi, però, è difficile farla scattare, dato che lui per anni ha fatto discorsi in perfetto inglese, ma quando parla in italiano, si pone il problema di usare i termini appropriati nella nostra lingua”. “Dal Presidente Draghi, aggiunge Marazzini, arriva un segnale interessante di attenzione al problema dell’eccessivo uso delle parole inglesi nell’italiano, spesso adoperate a sproposito. In Italia ha preso piede, purtroppo, un insieme di vocaboli e citazioni anglofone senza precedenti”. Un particolare e originalissimo invito, quello di Draghi, a scegliere e a usare le parole italiane e quindi fare a meno di inutili forestierismi, specialmente inglesi. Per la cronaca la Crusca è la più antica accademia linguistica del mondo, nata a Firenze per merito di Leonardo Salviati, è stata costituita ufficialmente il 25 marzo 1585 e già nel 1612 pubblicò la prima edizione del Vocabolario degli Accademici della Crusca che, secondo documenti storici, servì da esempio lessigrafico anche per le lingue francese tedesca e inglese, tant’è che nel 1636 il Cardinale Richelieu creò l’Academie francaise sul modello dell'Accademia della Crusca.
Che l’inglese sia un linguaggio mondiale usato da tutti i paesi è indiscutibile, ma è altrettanto vero che noi, e spesso, sostituiamo termini e nostri vocaboli con parole anglosassoni. E ciò avviene non solo nelle quotidiane discussioni, ma anche e principalmente nelle nostre tivvù, nei pubblici dibattiti e negli incontri di vario tipo e genere. Fateci caso ma le nostre istituzioni politiche e la stampa a tutti i livelli, sono tra le maggiori fonti in cui gli anglicismi sostituiscono il nostro italiano. Ne è d’esempio, fra tanti, la legge del 2014 - il famoso Jobs Act - che indicava una riforma del diritto del lavoro promossa e attuata in Italia dal governo Renzi, attraverso l'emanazione di diversi provvedimenti legislativi, completata poi nel 2016. La potevano benissimo chiamare “ Riforma del lavoro” e invece hanno preferito etichettarla con “Job act”, tanto per non perdere l’abitudine di utilizzare, anche nelle cose più semplici e facilmente comprensibili, la terminologia inglese.
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Sommario DIRETTORE RESPONSABILE Prof. Armando Munaò - 333 2815103 Email: direttore@valsugananews.com CONDIRETTORE dott. Walter Waimer Perinelli - 335 128 9186 email: wperinelli@virgilio.it REDAZIONE E COLLABORATORI dott.ssa Katia Cont (Cultura, arte, cinema e teatro) dott.ssa Elisa Corni (Turismo, storia e tradizioni). dott. Maurizio Cristini (Enologo ed esperto in giochi ed enigmistica) Laura Paleari (moda e costume) - dott.ssa Laura Fratini (Psicologa) Veronica Gianello (Storia, arte,cultura e tradizioni) dott.ssa Alice Vettorata - dott.ssa Francesca Gottardi (Esteri- USA) dott.ssa Laura Mansini (Cultura, arte, tradizioni,attualità) dott. Nicola Maschio (attualità, politica, inchieste) Paolo Rossetti (Attualità, inchieste) - Patrizia Rapposelli (attualità, cronaca) dott.ssa Alice Rovati (Responsabile Altroconsumo) dott. ssa Chiara Paoli (storica dell’arte - ed. museale -cultura e tradizioni) Francesco Zadra (Attualità) - dott. Zeno Perinelli (Avvocato) dott.ssa Laura Mansini (Cultura, arte, attualità) Ing. Grazioso Piazza - dott. Franco Zadra (politica, attualità) dott.ssa Monica Argenta - dott.ssa Erica Zanghellini (Psicologa) dott. Casna Andrea (Storia, cultura, tradizioni) Caterina Michieletto (storia, arte, cultura) Alessandro Caldera (sport e cronaca) dott.ssa Sabrina Chababi (attualità, storia, arte, cultura) Alex De Boni (attualità e politica) - dott.ssa Erica Vicentini (avvocato) CONSULENZA MEDICO - SCIENTIFICA dott. Francesco D’Onghia - dott. Alfonso Piazza dott. Marco Rigo . dott. Giovanni D’Onghia RESPONSABILE PUBBLICITÀ: Gianni Bertelle Cell. 340 302 0423 - email: gianni.bertelle@gmail.com IMPAGINAZIONE E GRAFICA : Punto e Linea di Alessandro Paleari - Fonzaso (BL) Cell. 347 277 0162 - email: alexpl@libero.it EDITORE E STAMPA GRAFICHE FUTURA SRL- Via Della Cooperazione, 33- MATTARELLO (TN) FELTRINO NEWS Supplemento al numero di maggio di VALSUGANA NEWS Valsugana News – Registrazione del Tribunale di Trento: n° 5 del 16/04/2015. COPYRIGHT - Tutti i diritti riservati Tutti i testi, articoli, intervista, fotografie, disegni, pubblicità e quant’altro pubblicato su FELTRINO NEWS, sono coperti da copyright GRAFICHE FUTURA srl - PUNTO E LINEA, quindi, senza l’autorizzazione scritta del Direttore Responsabile o dell’Editore, è vietata la riproduzione e la pubblicazione, sia parziale che totale, su qualsiasi supporto o forma. Gli inserzionisti che volessero usufruire delle loro inserzioni pubblicitarie, per altri giornali o pubblicazioni, posso farlo richiedendo l’autorizzazione al Direttore Responsabile o all’editore. Quanto sopra specificato non riguarda gli inserzionisti che utilizzando propri studi o agenzie grafiche, hanno prodotto in proprio le loro grafiche e quindi fatto pervenire alla redazione o all’ufficio grafico di FELTRINO NEWS, le loro pubblicità, le loro immagini, i loro testi o articoli. Per quanto sopra GRAFICHE FUTURA srl, si riserva il diritto di adire le vie legali per tutelare, nelle opportune sedi, i propri interessi e la propria immagine.
Maggio 2021
L’editoriale: ma quanto è bello l’italiano 3 Sommario 5 Punto & a capo: il grillo sparlante 7 Tra Stato e Istituzioni : Potere e responsabilità 8 Attualità: fumo, attenti ai giovani 11 Società oggi: maledetta droga 12 Il personaggio: Gianpaolo Bottacin 15 In filigrana: pandemia, il peggio è passato? 19 Uomo e natura: teoria del linguaggio parlato 23 Società, sanità e covid: le mascherine fasulle 24 San Patrignano: una realtà straordinaria 27 La nuove tecnologie: Industria.4 35 Il personaggio: Roberto Benigni 38 Le donne nella storia: Ernesta Bittanti 40 Società oggi: la festa della mamma 43 I miracoli di Dino Buzzati 44 Billie Holiday: la Signora del Jazz 46 Pianeta donna: Peggy Doris Hawkins 48 Ecovolontari Unione Montana Feltrina 51 Il personaggio: il Maestro Fabrizio Da Ros 52 Il senso religioso: il nostro destino è in gioco 54 Fra storia e tradizione : San Prosdocimo di Padova 55 Il personaggio: Carmelo Bene 56 Gli indimenticabili: Ferenc Puskas 58
Società oggi Maledetta droga Pagina 12
Società in cronaca: la Milano da bere 60 Storie di casa nostra: da balie a portinaie 62 Ciolde e belumate: viaggio di lavoro 64 Le Associazioni: la Famiglia Feltrina 67 Uomo e Società: la Cracking Art 70 Un’epidemia di false notizie 72 La pagina verde: l’orto in casa e in giardino 74 Girovagando: il Nepal 75 L’avvocato risponde: il sovraindebitamento 78 Medicina & Salute: i giovani e la droga 80 Medicina & Salute: il controllo del peso 82 CONOSCIAMO IL DIABETE 84 Le complicanze diabetiche 86 I sintomi premonitori del diabete 87 Le più comuni analisi per il diabete 88 Diabete e insulina 89 La Cantina Gorza: il Prosecco Extra Dry 90 Mondo donna: Barbie, icona di stile 92 La notte degli Oscar 94 Un calice di coccole di vino 96 Non solo animali: O Pio Bove 98 Lettera al giornale 100 Il fermo amministrativo auto 101
Il personaggio Il Maestro Fabrizio Da Ros Pagina 52
Le Associazioni La Famiglia Feltrina Pagina 67
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Punto & a Capo di Waimer Perinelli
IL GRILLO SPARLANTE
Da Cappuccetto Rosso a Pinocchio C'è una storia ricorrente nel giornalismo: l'albero maledetto, è quello sulla curva della strada, contro il quale si fracassa almeno una vettura l'anno e i passeggeri muoiono. L'albero assassino ha colpito ancora, va tagliato. Si poteva raddrizzare la curva e salvare l'albero ma si poteva anche rispettare il limite di velocità o bere di meno, e salvare la pianta risparmiando vite umane.
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a cronaca si fa sempre più nera, viviamo come nel bosco di Cappuccetto rosso. Come essere sereni se un ventenne intervenuto ad aiutare una ragazzina preda di due bulli viene sfregiato al viso "da bocca ad occhio" dal coltello impugnato da un sedicenne. Non giro armato ma non so se posso permettermelo. Sono perciò prudente e in una città che non conosco cammino di giorno in luoghi aperti; in quella che conosco evito i rioni dove si concentra la criminalità, specialmente di notte. Non ho grandi paranoie ma se mi offrono dell'erba preferisco rifiutare, se mi dicono che è medicamentosa mi consulto con un medico, che normalmente mi spiega che non si tratta erba medica. I lupi preferiscono le prede facili e non è una questione di genere. Anche i fanciulli sono appetibili, ne sapeva qualcosa Giulio Cesare che, dicevano i maligni a Roma, fu violentato giovinetto dal re di Bitinia. Poi c'è il dolore di Beppe Grillo, il padre che informato dei fatti, lo stupro o presunto tale commesso dal figlio Ciro, prima accusa il figlio di essere un cretino, ma, come sembra oggi più chiaro, non lo fa nel merito bensì per smontare interpretazioni criminali perché, infondo, si è trattato di una ragazzata, poi, quando ca-
pisce che il gioco si fa duro, scende in campo con tutta la sua arte di attore comico e la commedia bourlesque diventa grottesca fino alla tragedia. C'è un giovane, suo figlio, che in compagnia d'altri ha fatto sesso condito con alcol e c'è una ragazza, forse due, che credeva di partecipare ad una festa alla pari. Il bosco di Cappuccetto Rosso, diventato foresta, non è più fatto di alberi ma di luci e musica tambureggiante, di suoni che stordiscono, piena di lupi cattivi e lupetti tentatori. Il sottobosco è fatto di ortiche e speranze, di angosce, tensioni, insoddisfazioni, voglia e fretta di successo. Come dimostra il caso di Alberto Genovese, condito di festini, sesso e droga; in ambienti di elevata moneta, la pratica trasgressiva, la via facile al successo, è troppo frequentata. Ma non è una novità assoluta. L'11 aprile del 1953, vigila di Pasqua sulla spiaggia di Torvainica a Roma venne trovato il corpo di Wilma, 21 anni, una bella ragazza di origini modeste che, come fu accertato, frequentava, in cerca di successo, l'ambiente bene di giovani della Capitale, fra i quali anche il figlio di un ministro, esperti di festini e altro. Sessant'anni
son passati ed è cambiato poco nella società dove una madre povera denuncia il figlio che spaccia e si droga perché dice "voglio salvarlo". Il padre ricco invece difende il figlio e lo fa violentando verbalmente la ragazza. E' lui il Grillo protagonista dell'altra favola, quella di Pinocchio. Collodi con sottile toscana intelligenza fa incontrare il grillo parlante con Pinocchio e l'animaletto chiede al burattino qual vita vorrebbe fare e il bimbo di legno, per una volta sincero, dice " Quella di mangiare, bere, dormire, divertirmi e fare dalla mattina alla sera..." Per tua regola — risponde il grillo-parlante — tutti quelli che fanno codesto mestiere, finiscono quasi sempre allo spedale o in prigione. La fine è nota..." A queste ultime parole, Pinocchio saltò su tutt’infuriato e preso di sul banco un martello di legno, lo scagliò contro il Grillo-parlante. Forse non credeva nemmeno di colpirlo; ma disgraziatamente lo colse per l’appunto nel capo, tanto che il povero Grillo ebbe appena il fiato di fare crí-crí-crí, e poi rimase lí stecchito e appiccicato alla parete." Non come genitore ma come politico e fondatore del movimento stellato Grillo di martelli ne sta ricevendo molti e non riuscirà a scansarli tutti.
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Tra Stato e Istituzioni di Cesare Scotoni
POTERE & RESPONSABILITÀ Questi son “tempi curiosi”. Un setaccio che ci sta mostrando una Classe Dirigente che, in gran parte, esercita il Potere senza conoscere quei meccanismi di Legittimazione, che son antichi e ben diversi da quelli della Legittimità formale.
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e nella nostra Democrazia Repubblicana la Legittimità nasce dal Voto ad un Parlamento, che a sua volta legittima un Governo, quella Democrazia per esercitare poi la sua Potestà, implica che quella Legittimità sia Riconoscibile e Riconosciuta. Per questa ragione l’art. 88 la nostra Costituzione, fa garante il Presidente della Repubblica di quella evidenza riservandogli la potestà di sciogliere in autonomia anche la singola Camera del nostro Parlamento qualora lo ritenesse utile e di indire le Elezioni (ad esclusione dell’ultimo semestre detto semestre bianco). Precedentemente l’origine del Potere
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trovava nel Sangue, nella Discendenza Divina o nella Sacralità della Chiesa il meccanismo di Legittimazione e, in tempi più remoti, un Sovrano il cui Potere non si riflettesse nel benessere del suo Popolo, ovvero di chi ne riconosceva la Sovranità, metteva la sua Vita nelle mani degli Dei e veniva così rimpiazzato. La relazione tra Potere, Interesse Generale, fonti di Legittimità e meccanismi di Legittimazione è al centro ora di un mondo dove i meccanismi della Comunicazione, dell’Interattività e dell’Informazione hanno allargato enormemente la platea di chi può “guardare il Potere”, il chi lo esercita ed il come. E sta ancora cercan-
do le modalità per trasmettere in modo credibile a chi con il voto democratico deve legittimare una classe dirigente il modo in cui quella classe dirigente intende Rappresentare ed Esercitare quella Potestà. Venendo alla cronaca più recente del nostro Paese, la vicenda del 1992, con “Tangentopoli”, la sua sfacciata strumentalità ed il deludente rapporto tra i danni fatti al Sistema Paese e risultati ottenuti in condanne, si è solo completata quell’opera di demolizione della Prima Repubblica e del suo Sistema di Consociativismo nel nome di un interesse Generale, di Imprese Pubbliche, di Banche Pubbli-
Tra Stato e Istituzioni che e di meccanismi di perequazione e di tutela dei Lavoratori cominciata nel 1978 con il sequestro di Aldo Moro e con il progressivo dividersi di un Sindacato Unitario ed il confondersi del ruolo di quello con la militanza partitica ed i suoi interessi. Quella Credibilità, demolita in modo determinato e sistematico da chi immaginava per il Paese un diverso Patto Costituente senza poi riuscirci, era fatta anche di Forme e Ritualità costruite per tradurre il Potere in un percorso “leggibile” al Popolo con gli occhiali delle Istituzioni Repubblicane ed il loro valore fondativo. Lo sforzo di generale delegittimazione delle Istituzioni cui ci hanno abituato gli ultimi 30 anni, la debolezza di chi, ignorando volutamente che una parte importante del Paese non era pronta comunque ad abbandonare l’assetto costituzionale post bellico, ha immagina-
to in un’overdose di formule comunicative, finalizzate ad ottenere un momentaneo Consenso, che scardinasse quei meccanismi costituzionali che garantiscono la Legittimità Formale, l’ignoranza di chi, digiuno del fatto che la Legittimazione del Potere prevede il fatto che quello sia riconosciuto e riconoscibile da quel Popolo che, nell’ambito della formalità della Legge, esercita la propria Sovranità, hanno congelato il Paese in uno scontro focalizzato esclusivamente sul Consenso anziché sulla Legittimazione. Possiamo perciò vedere di comunicazione ed in particolare in televisione il susseguirsi di personaggi, piuttosto discutibili per proprietà del linguaggio che, quotidianamente, senza Autorevolezza e Credibilità, sostengono con la massima
disinvoltura un giorno un’ovvietà ed il giorno seguente il suo esatto contrario. Senza Pudore né Consapevolezza. Ignorando le regole basi della “sacralità laica” del Potere di cui loro dovrebbero dare Rappresentazione. Ed i Poteri Repubblicani sono sempre tre: Legislativo, Esecutivo e Giudiziario, e spesso fra questi molti personaggi, politici e non faticano a trovare Legittimazione.
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Attualità di Nicola Maschio
Fumo: dati in miglioramento, ma attenzione ai giovani
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orse non tutti lo sanno, ma il prossimo 31 maggio sarà la Giornata mondiale senza tabacco. Esattamente un anno fa, l’Organizzazione Mondiale della Sanità scelse di trattare un tema molto importante, ovvero “Tabacco e tattiche dell’industria per attirare le giovani generazioni”. Si perché, purtroppo, sono sempre più giovani i ragazzi che iniziano a fumare, spesso in compagnia, per divertimento o per apparire più grandi. Ed a poco sono serviti e servono tutt’ora i messaggi stampati sui pacchetti, che ricordano ai consumatori i tantissimi rischi legati al fumo. In particolar modo, va ricordato che l’uso di tabacco rappresenta il 25% di tutti i decessi per cancro non solo a livello nazionale, ma in tutto il mondo. Ed in egual misura, sono poco più di un milione le persone che ogni anno muoiono per fumo passivo. A fornire ulteriori precisazioni statistiche è stato, lo scorso anno, l’Istituto Superiore della Sanità, molto chiacchierato negli ultimi mesi per ciò che riguarda l’emergenza pandemica in atto. Proprio quest’ultima infatti ha inciso sul consumo
di tabacco, ma in modo positivo: la percentuale di fumatori nel nostro Paese, soprattutto durante il lockdown di un anno fa, è passata dal 23,3% al 21,9%: in parole povere, si tratta di più di 600 mila persone fumatrici in meno in appena qualche mese. Considerando le specificità di genere in questo ultimo dato, parliamo di circa 334 mila uomini e quasi 300 mila donne. Relativamente alle fasce d’età, hanno cessato di consumare sigarette circa 206 mila giovani tra 18 e 34 anni, 270 mila tra 35 e 54 anni e ben 150 mila tra 55 e 74 anni. Infine, un altro 3,5% della popolazione pur non smettendo completamente e definitivamente il consumo dei prodotti del tabacco, ha ugualmente diminuito la quantità utilizzata in modo considerevole. Sposando invece il focus dalla pandemia al quadro generale italiano, i dati ISTAT rivelano che le persone dai 14 anni in su che consumano abitualmente tabacco sono poco meno di 10 milioni. Sostanzialmente il 18,4% della popolazione, incidenza scesa dal 19% rispetto agli anni precedenti e dunque in miglioramento.
Tuttavia, coloro che fumano in modo più importante sono persone con età compresa tra i 20 ed i 44 anni, a testimonianza del fatto che sono appunto prevalentemente i giovani. I numeri più significativi arrivano però dai decessi: più di 93 mila quelli stimati ogni anno in Italia per complicazioni legate al fumo, con la preoccupante percentuale del 25% relativa a vittime tra i 35 ed i 65 anni d’età. Soprattutto per ciò che riguarda le donne, è in aumento la mortalità legata al carcinoma polmonare (tra le principali patologie legate al fumo), con dati che hanno addirittura superato il numero di morti legate al tumore allo stomaco e collocatisi al terzo posto, subito dopo tumore al seno ed al colo-retto. Infine, un ultimo focus occorre necessariamente farlo rispetto ai minorenni: i dati forniti dallo studio HBSC, il quale coinvolge studenti di tutte le Regioni italiane e con età compresa tra 11, 13 e 15 anni, ha dimostrato che nel 2018 il numero di ragazzi che ha dichiarato di aver fumato almeno una sigaretta su 30 giorni è aumentato in modo esponenziale con il progredire dell’età.
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Società oggi di Armando Munaò
MALEDETTA DROGA
La droga e l’uso che ne fanno i giovani, purtroppo anche in età scolare, è un vero problema che sempre più angoscia i genitori, anche perché, secondo il parere di medici e psicologi, sovente, oltre a non sapere come affrontare il problema, hanno le naturali e logiche paure che i loro figli possano perdersi in questo “malato” e crescente universo. Un concreto e costante pericolo che non di rado pone in loro comprensibili domande: mia figlia o mio figlio fanno uso di droghe? E in caso affermativo come mi devo comportare? In cosa avrò mai sbagliato? E perché l’hanno fatto? E chi frequentano? Interrogativi che quasi mai trovano giuste risposte anche e soprattutto perché, in questo nostro quotidiano vivere, i rapporti genitori-figli sembrano allontanarsi da quel positivo dialogo che è base e fondamento per l’unione e la stabilità della famiglia. Oramai, in questa nostra moderna società, si fa largo uso di droghe e a nulla valgono gli allarmi e le tristi cronache che i giornali e le tv quotidianamente riportano. I giovani sono desiderosi di fare nuove esperienze, di verificare i loro limiti, di confrontarsi con i loro pari età e dimostrare ai loro “compagni”, a volte emulandoli, di appartenere a pieno titolo al “gruppo” 12
di riferimento, specialmente quello scolastico o di vita in comune. E infatti, secondo le statistiche e le specifiche indagini, è con queste motivazioni che si entra, già da giovani, nel mondo della droga. Dapprima quasi per gioco, per “provare” e per non essere da meno degli altri, poi sempre di più per accorgersi, quando è ormai troppo tardi, di non poterne più uscire. Un allarme, quello della droga giovanile, che emerso, nella sua drammaticità, durante la Commissione Parlamentare per l'Infanzia e l'Adolescenza nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle dipendenze patologiche diffuse tra i giovani. A renderlo noto sono stati i presidenti della Federazione servizi dipendenze (FederSerD), della Federazione italiana comunità terapeutiche (Fict) e del Coordinamento nazionale dei coordinamenti regionali che operano nel campo dei trattamenti delle dipendenze (InterCear). E sono i numeri che disegnano questa preoccupante situazione. Secondo i dati dell’ultima indagine (2018) dell’ESPAD (European Survey Project on Alcohol and Other Drugs), il 33,6% degli studenti italiani, pari a circa 870.000 ragazzi ha dichiarato di aver utilizzato almeno una sostanza illegale nel corso della propria vita scolastica, tra i 15 e i 19 anni di età, mentre 25,6% dice di averlo fatto nell’ultimo anno di scuola, magari coinvolgendo gli altri a provare o essere stato da altri coinvolto. I numeri
dicono anche che tra questi, la stragrande maggioranza, circa il 90%, ha assunto una sola sostanza illegale. Il restante 10% è invece un “poliutilizzatore”, avendo assunto due o più droghe. Gli altri studenti, pari a circa 400.000 unità, dichiarano di aver usato sostanze psicoattive illegali. Quello però che deve maggiormente far riflettere è che circa 30.000 giovani, hanno riferito di aver assunto una o più sostanze senza sapere cosa fossero (il 78% di loro non era a conoscenza e non aveva consapevolezza neanche degli effetti che avrebbero provocato). La ricerca ESPAD 2018 evidenzia e conferma che l’uso iniziale di cannabis rappresenta spesso la “porta d’accesso” a problemi di dipendenza più gravi giungendo anche all’utilizzo contemporaneo di altre sostanze che sono l’anticamera di droghe pesanti e dalle quali difficilmente si può tornare indietro. I dati sottolineano anche che nell’ultimo decennio c’è stato un preoccupante aumento del numero di studenti che hanno dichiarato di aver assunto eroina e droghe pesanti nell’età compresa tra i 15 e 17 anni. In merito poi al mercato droga e affini, gli operatori sul campo evidenziano che il fenomeno “droga” non solo è in continuo aumento, ma che l’età si è abbassata sempre più arrivando a coinvolgere quelli compresi tra gli 11 e i 14 anni. Giovani facilmente malleabili dai più “esperti”. Il mercato degli stupefacenti purtroppo cambia e si potenzia perché non solo diventa
Società oggi recupero. Quindi, assumono una importanza fondamentale le molte strutture private sparse in Italia che quasi sempre sostituiscono quelle pubbliche. In questo numero ampio spazio abbiamo voluto dedicare al Centro recupero di San Patrignano, vero fiore all’occhiello che dal 1978 aiuta i giovani a uscire e ad abbandonare definitivamente il dannosissimo e quanto mai triste universo della droga.
2019 sono stati registrati 373 casi (+11e l’eroina continua a rappresentare la causa principale dei decessi (45,3%), anche se quelli attribuibili all’uso di cocaina sono in costante aumento. E sempre in tema di numeri, la ricerca ci dice che sono stati quasi 7mila cinquecento i ricoveri in ospedale direttamente correlati all’uso di stupefacenti, soprattutto di sempre più capillare sul territorio, ma offre giovani e under 45 che, principalmente, le più svariate droghe a costi sempre più hanno fatto uso cocaina. bassi e più accessibili. Altro dato preocQuello, però che più preoccupa è il cocupante è che cresce, in maniera esposiddetto policonsumo ovvero l’uso di alnenziale, l’uso delle droghe di origine cool, analgesici, oppiacei, benzodiazepine sintetica e le Nuove Sostanze Psicoattive e altri psicofarmaci che sono utilizzati in un (NPS) di origine sintetica che sono state dannosissimo mix. Pratica questa maggiorprovate almeno una volta dall’8,5% degli mente a rischio per gli adolescenti. studenti. Una di queste è la Spice, un mix Purtroppo i servizi pubblici, attualmente di erbe che ricorda la cannabis, i cui effetti esistenti, hanno "carenze importanti" ed sono molto più devastanti e le pericolose "enormi difficoltà" perchè sono pochissimi conseguenze ancora non sono chiare. i giovani che vanno nei centri spontaneaL’aspetto più tragico dell’universo droga, mente. E quelli che ci vanno non sempre però, è che in questi ultimi 2 anni sono portano a compimento il percorso di aumentate le morti per overdose: nel Logo con colori quadricromia applicati
In questo numero ampio spazio abbiamo voluto dedicare al Centro recupero di San Patrignano, vero fiore all’occhiello che dal 1978 aiuta i giovani a uscire e ad abbandonare definitivamente il dannosissimo e quanto mai triste universo della droga e a pag. 80, troverete un interessantissimo articolo della nostra Erica Zanghellini.
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Gianpaolo Bottacin L’assessore bellunese Gianpaolo Bottacin è il punto di riferimento regionale scelto dal Governatore Luca Zaia per la gestione delle emergenze della Regione Veneto. Tante le materie da lui gestite: la programmazione per la salvaguardia ambientale, i cambiamenti climatici, la tutela del suolo e dell’aria, il ciclo integrato dell’acqua, la difesa del suolo e mitigazione del rischio idrogeologico, foreste, cave, Protezione civile e antincendio boschivo, la specificità provincia di Belluno, il coordinamento piano straordinario alienazioni immobili e partecipazioni. Laureato in ingegneria meccanica, componente della Lega Nord è assessore regionale dal 2015, in precedenza è stato anche presidente della Provincia di Belluno.
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el corso del mandato ha affrontato problematiche complesse sia in termini ambientali, tra cui spicca l'inquinamento da PFAS, sia per quanto riguarda la protezione civile, settore ampiamente riorganizzato e potenziato nel corso del suo assessorato.. Tra le attività svolte, si ricordano la nuova legge regionale sulle attività estrattive con il relativo piano cave, il piano di
tutela e risanamento dell'aria, il piano delle opere di mitigazione del rischio idrogeologico. Si ricorda anche l'implementazione, in collaborazione con l'Università di Padova, di modelli previsionali idrologici e idraulici, che portano il Veneto a essere riferimento internazionale. Con l’assessore Bottaccin abbiamo voluto focalizzare l’attenzione su uno dei disastri ambientali più importanti occorsi recentemente nel bellunese, parliamo della tempesta Vaia che è stato un evento meteorologico estremo che ha interessato il nordest italiano (quasi essenzialmente l'area montana delle Dolomiti e delle Prealpi Venete) a seguito di una forte perturbazione di origine atlantica, che ha portato sulla regione, a partire dal 26 ottobre 2018 fino al 30 ottobre, nel quadro di una forte ondata di maltempo
sull'Italia, vento fortissimo e piogge persistenti. L'evento è erroneamente conosciuto con l'appellativo di "tempesta", ma i venti hanno raggiunto le velocità "uragano" nella Scala di Beaufort, venti che comunemente si originano solo su acque tropicali o subtropicali del pianeta. Il fortissimo vento caldo di scirocco, soffiando tra i 100 e i 200 km/h per diverse ore, ha provocato lo schianto al suolo di milioni di alberi, con la conseguente distruzione di decine di migliaia di ettari di foreste alpine di conifere, configurandosi dunque come un vero e proprio disastro naturale: l'Unità di crisi attivata dalla Regione del Veneto ha catalogato l'evento come peggiore rispetto all'alluvione di Venezia del 4 novembre 1966 (che comunque interessò tutta la Regione), all'alluvione del Veneto del 2010 e
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Il personaggio
ad altri precedenti eventi meteorologici registrati sul territorio. Possiamo definire Vaia una delle emergenze più grandi che abbia mai affrontato da quando è assessore regionale? È l’emergenza meteo più rilevante da quando sono assessore, ma in assoluto non si può dire che sia l’emergenza ambientale più rilevante, basti pensare per esempio all’emergenza PFAS che interessa tre province del Veneto e parecchie regioni d’Italia. Esistono grandissime problematiche ambientali anche nel resto del Veneto, non sono nel Bellunese. Da ex presidente provinciale cosa ha provato nel vedere il territorio bellunese in ginocchio? Il coinvolgimento emotivo per il proprio territorio c’è sempre, anche se durante le emergenze vanno mantenuti nervi saldi Cosa significa, in termini pratici, gestire la regia dell'emergenza in una situazione del genere? Significa adrenalina a mille, non riuscire a dormire e prendere decisioni immediate che comportano responsabilità enormi di cui potresti essere chiamato a rispondere in tempi successivi. E' già accaduto più volte che amministratori pubblici 16
siano stati condannati per errori nella gestione emergenziale. Nelle ore precedenti Vaia c'è stato un generale preallarme territoriale, si può dire che questo ha contribuito sensibilmente a limitare le perdite umane? Decisamente sì ed è stato riconosciuto da tutti, compreso il Presidente della Repubblica che lo ha detto a chiare lettere il 12 marzo 2019 a Belluno. Ciò è stato possibile grazie al fatto che abbiamo investito e stiamo investendo da anni in termini di prevenzione e previsione. I modelli previsionali di cui si è dotato il Veneto non hanno eguali in Europa.
E per quanto riguarda la prevenzione, prima di Vaia erano stati investiti 900 milioni di euro in opere di difesa del suolo, 400 dei quali in manutenzione. Questi interventi, spesso non visibili, hanno consentito di limitare le perdite umane a fronte di un evento, Vaia, ben peggiore dell’alluvione del 1966 in cui morirono oltre 100 persone in Veneto. Analogamente, a dicembre 2020, abbiamo registrato precipitazioni superiori a quelle del 1966 e del 2010 ma i danni sono stati enormemente inferiori, anche se ci sono comunque stati. Tutto ciò è stato evidenziato anche da illustri accademici ed esperti in materia. I numeri non mentono. Vaia rimarrà un episodio unico nel suo genere o potrà verificarsi ancora? I cambiamenti climatici evidenziano come conseguenza il ripetersi di fenomeni intensi con maggior frequenza rispetto al passato. Pertanto nessuno può escludere che accada nuovamente. Ci può dare qualche numero in termini di opere avviate finora per mitigare il rischio idrogeologico? Negli ultimi due anni sono stati avviati 1515 cantieri di ripristino e miglioramento della resilienza per circa 700 milioni di euro. Nel 2021 prevediamo l’apertura di altri 350 cantieri per ulteriori 300 milioni di euro. E in futuro si continuerà su questa strada: previsione prevenzione Di fronte ad una provincia che si
Il personaggio spopola è più alto il rischio di scarsa manutenzione del territorio....L'autonomia potrà essere il rimedio a questo dato negativo? Direi che il numero di cantieri attivati negli ultimi anni, ma soprattutto il fatto che un evento peggiore dell’alluvione del 66 abbia fatto registrare danni minori, sfata la leggenda dell’assenza di manutenzione del territorio almeno per quanto riguarda gli interventi di difesa idraulica e geologica. Diverso per quanto riguarda gli aspetti relativi al mantenimento in generale del territorio, in quanto, se non ci sono gli abitanti della montagna che lo mantengono, risulta evidente che lo stato di abbandono delle aree è ineluttabile, con i rischi che ne conseguono. L’autonomia potrebbe essere una soluzione, ma deve essere autonomia vera, come quella di Trento e Bolzano, che consente di ridurre burocrazia e imposizione fiscale alla popolazione della montagna, garantendo nel contempo incentivi per alcune attività tipiche della montagna. Quando dico autonomia vera intendo che la soluzione non può essere quella illusione autonomistica che qualcuno va propinando ai bellunesi da anni. Mi riferisco all’autonomia amministrativa della Provincia di Belluno rispetto
al Veneto. Le Regioni infatti non possono esentare alcuni territori da tasse e imposte romane o da adempimenti e regole burocratiche romane. Magari fosse possibile. Faccio solo un esempio. Anni fa feci approvare una legge regionale per consentire l’immediata pulizia dei corsi d’acqua senza necessità di fare metri cubi di carte. Tale legge fu impugnata dal governo nazionale e la corte costituzionale diede ragione al governo, sottolineando che non è nei poteri delle regioni
a statuto ordinario fare queste cose. Pertanto è necessario che Roma conceda autonomia vera al Veneto e solo dopo il Veneto potrà agire con misure sostanziali nei confronti della montagna. Faccio presente che negli ultimi anni anche il bilancio della Regione ha subito tagli statali per un miliardo di euro e ricordo a tutti che l’82% delle tasse le incassa lo Stato, non la Regione o la Provincia e tantomeno i Comuni..
I GIORNI DI VAIA. DIARIO DAL CAMPO
Bottaccin ha scritto il libro documento “I giorni di Vaia. Diario dal campo”, un insieme di emozioni, ansie, paure, ma anche decisioni delicate prese con forza e senza esitazioni, raccontate in un diario che ripercorre il disastro che ha sconvolto il Veneto. Una carrellata di episodi collegati da un filo logico conduttore rappresentato dalla narrazione vissuta sul campo, ma al contempo anche un libro in cui, attraverso diversi flash back, si provano a denunciare le tante disfunzioni di uno Stato, quello italiano, in cui burocrazia e normative a volte inadeguate spesso sono causa di freno nella corsa verso il progresso. 17
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In filigrana di Nicola Maccagnan
In uscita (speriamo) dalla pandemia:
il peggio è passato? Non si tratta di fare gli uccelli del malaugurio, né di vestire gli scomodi panni di Cassandra.
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entre si intravedono i primi spiragli (campagna di vaccinazione permettendo!) di quella che potremmo definire la prima violentissima fase dell'epidemia mondiale da Covid-19 - durata ben oltre un anno - è doveroso porsi qualche domanda e cercare di capire con serietà ed onestà intellettuale che cosa ci aspetta, sotto diversi punti di vista, nei prossimi mesi o ancor meglio nei prossimi anni. Questo perché, allargando appena lo sguardo, è evidente come la fase dell'emergenza sanitaria rappresenti soltanto la punta di un iceberg di cambiamenti, tumultuosi e probabilmente tutt'altro che indolori, che dovremo affrontare. Se sul piano medico e sanitario forse (ce
lo auguriamo tutti) il peggio potrebbe essere passato – anche se la convivenza con il virus e le sue varianti pare destinata a protrarsi ancora a lungo –, alcuni altri aspetti vanno indagati con un senso di realismo che non è e non deve essere catastrofismo.
Il piano economico.
Quali saranno le conseguenze dell'epidemia sul piano economico? Non basterà certo la forte iniezione di liquidità del Recovery Fund (letteralmente Fondo di Recupero) a ripianare le ingenti spese sostenute dai governi centrali per
cercare di ammortizzare gli effetti della pandemia (in Italia finora qualcosa come 180 miliardi di euro circa). Una constatazione che diventa ancora più pressante per gli Stati, come il nostro, gravati da un debito pubblico che in questi mesi si è allargato a dismisura e con cui, prima o poi, bisognerà tornare a fare i conti. Il rapporto debito/Pil, già al 135% nel 2019, è “esploso” nel 2020 toccando il 157% e, secondo le stime, sfiorerà quest'anno il 160%! Non meno preoccupanti sono le prospettive sul fronte dell'occupazione. Le statistiche nazionali dicono che nella fase di pandemia in Italia si sono persi circa 500.000 posti di lavoro, ma la cifra sembra purtroppo desinata a dilatarsi – anche in questo caso in maniera sostanziosa – quando verrà meno il blocco dei licenziamenti attuato in questa fase. Tutto questo alla vigilia della più volte citata rivoluzione dettata dall'Industria 4.0, che causerà uno stravolgimento nei processi di lavoro, con l'avvento della robotica e di una digitalizzazione spinta che impor-
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In filigrana
rà una revisione dei modelli produttivi a discapito del lavoro tradizionale, soprattutto quello meno qualificato
Il piano sociale.
Il combinato disposto dei due aspetti sopra citati (debito pubblico/fine dei sostegni – crescita della disoccupazione) rappresenta una miccia latente che potrebbe innescare una crisi sociale non di poco conto. Per neutralizzarla sarà necessaria una crescita economica corposa
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(non certo da zero virgola), in grado di compensare gli effetti nefasti della crisi innescata dalla pandemia. Ma ancora, senza voler essere delle Cassandre, il nostro Paese ha gli strumenti normativi, culturali e strutturali per accompagnare davvero uno sviluppo che non sia semplice utilizzo dei fondi ordinari e straordinari a disposizione? Qui si apre, tra l'altro, l'annoso tema delle riforme necessarie per rendere l'Italia un paese moderno e competitivo, al livello degli altri Stati occidentali; un percorso più volte abbozzato e tentato, ma che a tutt'oggi resta una sfida largamente incompiuta.
Il piano educativo e psicologico.
Tra gli effetti al momento solo parzialmente “misurabili” dell'epidemia da Coronavirus vi sono poi quelli sulle giovani generazioni, che – tra sospensioni, ritardi e didattiche a distanza – hanno pagato un conto salatissimo a questo lungo periodo di “chiusure”. Difficile dire quanto tutto questo peserà sul loro cur-
In filigrana riculum formativo e quale gap dovranno recuperare nei prossimi anni rispetto agli standard, anche in relazione ad un mondo – quello del lavoro – sempre più globalizzato e competitivo. Certamente più misurabili sono gli effetti della pandemia sulla “tenuta” psicologica di molti cittadini, non solo appartenenti alle fasce più giovani. Lo testimoniano i
dati relativi al ricorso a cure mediche e psicologiche per sintomi legati a stati d'ansia e depressivi (a livello nazionale quantificato da alcune ricerche in un +30%), senza considerare gli effetti più nascosti legati alla privazione della socialità che si manifesteranno ancora a lungo. Se la cornice del quadro che emerge è dunque tutt'altro che rassicurante, vale però la pena di chiedersi che cosa possiamo fare difronte a tutto questo per non subire inermi il procedere degli eventi. Le crisi, si sa, sono momenti difficili, ma anche favorevoli alla revisione di comportamenti e modelli consolidati, spesso vecchi, a volte superati e controproducenti. Dalle nuove frontiere di un digitale “per tutti”, alla riconsiderazione del ruolo della sanità pubblica e territoriale, all'effettiva introduzione del lavoro da casa e alla revisione del ruolo
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delle pubbliche amministrazioni, solo per citare qualche esempio, gli ambiti in cui la pandemia ha indotto, e quasi imposto, rivoluzioni epocali sono molti. Occasioni da sfruttare per ridisegnare il Paese, ma anche le nostre piccole comunità, in cui il valore della solidarietà è fortunatamente ancora ben radicato. Perché una dolorosissima epidemia mondiale non diventi anche un'occasione persa e non ci si accontenti di far tornare tutto a com'era prima.
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Nuove teorie sull’origine del linguaggio parlato
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ra noi e le altre specie animali esistono molte differenze, ma una di quelle che saltano subito all’occhio riguarda una capacità che è esclusivamente umana (o quasi): il linguaggio. Quasi perché alcune specie animali dalle capacità cognitive particolarmente articolate, soprattutto le scimmie antropomorfe, hanno mostrato in cattività di poter sviluppare sistemi comunicativi anche dotati di veri e propri vocaboli e di grammatiche anche se molto semplici. Ma questi sistemi, per quanto sorprendenti, sono lontani anni luce dalla complessità del nostro parlato. Vista la peculiarità del nostro sistema comunicativo gli scienziati e gli specialisti da decenni dibattono su quale sia l’origine del linguaggio. Si tratta di un fenomeno reso possibile dalle peculiari capacità cognitive della nostra specie? O forse sono stati fattori fisiologici come la posizione del collo e il conseguente sviluppo delle corde vocali a renderlo possibile? C’è chi sostiene che anche il fatto di essere degli animali sociali che vivono a stretto contatto abbia partecipato alla nascita delle lingue umane. Altri ancora fanno ricadere la responsabilità sul sistema dei neuroni specchio, quelli che fanno sì che
vostro figlio imiti le vostre azioni. Insomma, moltissime teorie nessuna delle quali ha ancora trovato una conferma definitiva. A complicare la situazione un articolo pubblicato su una prestigiosa rivista americana nella quale un gruppo di studiosi ha presentato una nuova ipotesi. Il team internazionale di ricercatori ha scoperto una connessione particolare tra la parte del nostro cervello che si occupa di proferire le parole e quella che le ascolta. Fino a qui nulla di strano, in fin dei conti le parole devono essere ascoltate; eppure la cosa particolare è che quel collegamento cerebrale è presente anche in altre specie di primati
ma con funzione molto diversa. In particolare questo collegamento nei nostri cugini si occupa primariamente dell’ascolto, fa quindi parte del sistema uditivo. Nella nostra specie, per qualche ragione, questo ponte mette in collegamento aree del cervello deputate a funzioni molto diverse. Questo studio, per quanto controverso, confermerebbe alcune teorie sull’origine del linguaggio. Gli evoluzionisti definiscono questo fenomeno exaptation (exattamento), per distinguerla dall’adattamento. Nella prima, infatti, organi e caratteri specifici non cambiano per adattarsi a nuove necessità, ma, se inutili, vengono riutilizzate per funzioni più utili. Certo questa è solo una teoria, ma è stata accolta con entusiasmo dagli esperti del settore perché, con buona pace di alcuni teorici che ritengono che il linguaggio sia esclusivamente umano e non abbia precursori in altre specie animali, getta le basi per l’esistenza di primitivi e abbozzati organi del linguaggio anche nei nostri antenati. Addirittura i ricercatori si spingono ad affermare che il precursore del nostro articolato e complesso sistema per la produzione e l’ascolto del parlato potrebbe essere quindi presente in altre specie, anche potenzialmente molto lontane dalla nostra.
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Società, sanità e covid di Patrizia Rapposelli
ITALIA INVASA DA MASCHERINE FASULLE?
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hiarezza e trasparenza è quello che chiedono gli italiani dopo mesi di baraonda nella gestione della pandemia. Chi ha parlato di inefficienza e chi di scelte poco coerenti, una cosa è sicura ne è passata di acqua sotto i ponti e disastrosi sono stati gli effetti di questa pandemia. Oggi il governo gioca a Twister, dà i colori, e il popolo lotta per i propri diritti, muore di fame o di Covid. È chiaro che in questo marasma l’unico che sembra uscirne vincitore è il virus e forse alcuni signori che ne hanno guadagnato. Infatti, sembrerebbero esserci degli aspetti oscuri nella gestione
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dell’epidemia in Italia, si parla di affari milionari con le mascherine. Questo lungo periodo ha insegnato che per tornare a vivere è necessaria una politica che metta in sicurezza il cittadino. C’è un ma. Stando a quanto appreso dalla redazione di Fuori dal Coro ci sarebbero mascherine contraffatte in circolazione. All’inizio della pandemia i dispositivi di sicurezza scarseggiavano e il personale sanitario si accontentava di quello che passava in convento; tra i dpi ricordiamo quei “pannucci”, resi noti al pubblico da un video del presidente della Regione Campania che egli stesso
constatava, ma ad oltre un anno da quella emergenza clinica e di approvvigionamento di forniture, oggi assistiamo al sequestro di mascherine inutili, inefficaci e pericolose. Come sono arrivate? Dall’inizio dell’epidemia il governo ha introdotto la procedura in deroga, la quale si basa su un esame documentale; significa che si controllano le carte e non si fanno i test in laboratorio, né visite in azienda come nelle procedure ordinarie, questo ha comportato l’arrivo di una marea di documentazioni fasulle. Un meccanismo per il quale basta l’autocertificazione
Società, sanità e covid del produttore per entrare nell’elenco dei dispositivi accettati in “deroga”. Nella prima emergenza si è reso necessario, ma oggi perché questa procedura è ancora valida? Secondo le dichiarazioni di Fuori del Coro da settembre sono arrivate in Italia 65milioni di mascherine cinesi. Un affare milionario che vede una maxi-ordinazione da 1,2miliardi di euro, voluta dallo stesso commissario straordinario di quel tempo; le mascherine provenienti dalla Cina fanno parte di una commessa di 800milioni di pezzi su cui sta indagando la procura di Roma, perché con questa commessa sono andati nelle tasche di tre signori (intermediari) un totale di 72milioni di euro. Forse uno spreco miliardario e forse per prodotti scadenti tant'è che la Guardia di Finanza sta facendo i dovuti controlli e sta provvedendo al sequestro di milioni di mascherine fasulle. Un fatto gravissimo perché questi dispositivi di
sicurezza sono entrati negli ospedali, nelle Aziende sanitarie, nelle RSA e nelle farmacie. Una testimonianza fa sapere che il personale sanitario si era accorto da tempo che qualcosa non andava nel materiale e da mesi richiedeva rassicurazioni all’Inail proprio su alcuni modelli a seguito sequestrati. I dispositivi di protezione individuale oggetto dei sequestri sembrerebbero essere milioni in tutta Italia. Sempre dall’inchiesta condotta dalla redazione di Fuori dal Coro 12 sarebbero i modelli incriminati. Le mascherine Ffp2 non a norma vendute in qualità di dispositivi
di protezione di livello altissimo (90%) filtrerebbero soltanto il 36% e in alcuni casi anche meno. L’Italia sembrerebbe invasa da queste mascherine pericolose e molte farmacie, certamente inconsapevoli, vendevano dispositivi risultati poi essere sotto indagine. Saranno ancora in circolazione?
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Una realtà straordinaria di Caterina Michieletto
San Patrignano e il ritorno alla vita si inseriva il progetto di Muccioli non era affatto ricettivo rispetto alla piaga della tossicodipendenza: vi era un atteggiamento di rifiuto e di allontanamento, giacché nell’immaginario collettivo il tossicodipendente era considerato un relitto umano da dimenticare, un problema che non valeva la pena affrontare e cercare di risolvere.
E
ra il novembre del 1978 quando Vincenzo Muccioli, imprenditore riminese, spalancò le porte del suo casolare immerso nella campagna di Coriano realizzando la sua più generosa ed eroica iniziativa imprenditoriale: la Comunità di San Patrignano, un autentico modello di impresa umanitaria e di solidarietà sociale. Un illuminato progetto di recupero dalla tossicodipendenza che dallo stato embrionale in cui era, attraverso la dedizione, la costanza e lo spirito di volontariato che lega la catena umana, giunge a maturazione riportando alla vita 26 mila ragazze e ragazzi. San Patrignano è una realtà straordinaria: ammirevole è la missione che quotidianamente una vasta rete di operatori adempie, esemplare è il programma terapeutico incentrato sulla combinazione di lavoro e amore e fondamentale è l’esperienza sedimentata nella gestione delle dipendenze. Punto di riferimento cruciale nel panorama europeo per il recupero dalla tossicodipendenza, San Patrignano,
sostenendosi esclusivamente con il ricavato della vendita dei prodotti gastronomici e manufatturieri realizzati dai giovani in percorso e con le donazioni private, permette alle persone cadute nella tragedia della tossicodipendenza di rifiorire e riappropriarsi delle loro vite. Il racconto dialogico che segue è un itinerario dall’interno di San Patrignano e parte dalla volontà di sondare il dramma della tossicodipendenza e di riflettere sulle attività di prevenzione contro questa minaccia attraverso il prezioso contributo del Presidente della Comunità di San Patrignano, Alessandro Rodino Dal Pozzo. Partirei dalle radici di San Patrignano e dal gesto eroico e missionario di Vicenzo Muccioli che spalancò il suo cuore a questi giovani digiuni di amore e sopraffatti dalla disperazione. Il contesto sociale in cui
Come fece Muccioli, non trovando un terreno fertile, a concretizzare l’idea di una comunità recupero dalla tossicodipendenza? Si può affermare che Muccioli fu “apri-pista” nel nostro Paese nella campagna di sensibilizzazione rispetto al problema della tossicodipendenza? Sicuramente fu una delle prime persone che si interessò al problema, al pari di altre realtà che nascevano in quegli anni. La sua intenzione fu quella di aiutare gli emarginati e in quegli anni gli emarginati che si notavano di più per le strade erano proprio i tossicodipendenti. Mise a disposizione la sua casa di campagna ed ebbe la fortuna di trovare amici e conoscenti che decisero di affiancarlo in questa impresa.
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Una realtà straordinaria
Parlando di società e di reazione sociale alla tossicodipendenza, oggi in quali termini la percezione collettiva di questo disagio è cambiata? Oggi il problema droga non è più sotto gli occhi di tutti come negli anni ’80, ma allo stesso tempo assistiamo a un fenomeno di normalizzazione dell’uso delle sostanze, con la cocaina che è entrata nell’uso quotidiano di tante persone. Farsi un tiro o una fumata è considerato normale, senza invece vedere minimamente il rischio che un comportamento di questo tipo può comportare. Non si pensa mai che queste sostanze portano a una dipendenza. Spesso si riscontra un’accettazione passiva da parte dell’opinione pubblica all’utilizzo delle “droghe leggere”, in particolare la cannabis e ai suoi derivati cannabinoidi sintetici. Quanto può essere pericoloso normalizzare l’utilizzo delle droghe leggere? A nostro avviso è molto pericoloso. Se non è vero che si passa dalla canna all’eroina, è indiscutibile che chi è arrivato alla “roba”, spesso e volentieri ha iniziato con le canne. Ai giovani vanno spiegati gli effetti di tutte le sostanze, ad iniziare da quelle considerate più leggere e che molti studi scientifici reputano comunque molto dannose specialmente se assunte proprio in età adolescenziale. Collegato alla domanda appena posta, si inserisce il travagliato dibattito sulla legalizzazione delle droghe leggere. A quale conclusione è giunta
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la politica, o meglio, a quale conclusione dovrebbe giungere la politica? La politica deve guardare alla salute e alla crescita delle giovani generazioni e per questo dovrebbe essere sempre più impegnata in attività e progetti di prevenzione. A nostro avviso vanno incentivati il recupero e la prevenzione. Dalla droga si può uscire e ogni persona, con i suoi tempi, va accompagnata in questo percorso. Il consumo di sostanze stupefacenti ieri e oggi: gli anni Settanta e Ottanta erano “gli anni dell’eroina”, noi in che anni viviamo sotto questo aspetto? Gli anni della poliassunzione, dove qualsiasi sostanza va bene pur di raggiungere lo sballo. Purtroppo, l’idea di divertimento, intesa come sana esperienza da vivere con gli amici si sta sempre più affievolendo, a discapito di una voglia di andare sempre oltre il lecito. Un comportamento tipico dei giovani, da sempre alla ricerca di nuove esperienze, che oggi però è sempre più alla portata di tutti. Come avviene l’inserimento a San Patrignano? Com’è vissuta questa prima fase d’ingresso e quali strumenti facilitano l’integrazione nella Comunità? Il momento d’ingresso è senza dubbio complesso per quasi tutti i ragazzi. La maggior parte di loro viene da un ultimo periodo in cui la dipendenza li ha portati ad isolarsi, a non fidarsi di nessuno e a un mondo fatto di bugie e sotterfugi. A San Patrignano trovano degli educatori e altri ragazzi
che in parte hanno vissuto le loro stesse esperienze e questo li aiuta molto ad aprirsi. Inoltre, se è vero che la comunità è molto grande, è altrettanto vero che il ragazzo viene sempre inserito in un piccolo gruppo che è quello dei compagni di stanza ed è attraverso loro che inizia la sua interazione con la comunità. San Patrignano si propone come un piccolo centro abitativo, con le sue attività commerciali, artigianali, agricole, gli spazi verdi, culturali etc. Quanto la socialità così riproposta risulta essere determinante affinché i ragazzi riescano a sopportare meglio questa limitazione della propria libertà personale durante il loro percorso di recupero? I sociologi Guidicini e Pieretti studiando la comunità hanno parlato di “effetto città” e questo è fondamentale per le persone in percorso. Sono in un luogo chiuso, ma molto grande, in cui si ricreano le dinamiche di un grande Paese. E in questo la socialità è fondamentale per ogni ragazzo per tornare a mettersi in gioco e in relazione con gli altri. Muccioli vedeva nel lavoro uno strumento indispensabile per il riscatto personale e sociale della ragazza o del ragazzo tossicodipendente. In che misura il lavoro, manuale ed intellettuale, apporta beneficio nel recupero di sé stessi? I ragazzi attraverso le attività innanzitutto ritrovano la loro socialità che avevano perso. Inoltre, vedendo il frutto del loro
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Chiuso giovedì
Una realtà straordinaria
impegno, ritrovano quell’autostima che avevano perduto. Vedere una piantina crescere, un formaggio venire sempre più apprezzato o uno scialle prendere forma al telaio, sono iniezioni di fiducia straordinarie per ragazze e ragazzi che si erano completamente spenti a causa delle sostanze. L’affetto e il lavoro sono “la chiave di volta” del percorso a San Patrignano, tuttavia, la gestione di un problema così complesso e l’organizzazione della vita di oltre un migliaio di ragazze e ragazzi in percorso richiedono anche regole e disciplina. Sotto questo profilo come opera San Patrignano? Non si pensi che a San Patrignano ci siano chissà quali regole. Si tratta delle norme classiche per una convivenza civile e per i ragazzi la difficoltà risiede nel fatto che loro non erano abituati a seguire quelle norme prima della comunità. Ci sono ragazzi che a San Patrignano per la prima volta si fanno il letto da soli o che spazzano in camera. Poi, prima di ogni altra cosa, viene il rispetto per l’altro, come dovrebbe essere in ogni società. Al termine del percorso di recupero come avviene la transizione dalla vita all'interno della Comunità alla vita all'esterno? Il reinserimento nella società è un passaggio molto delicato e con non poche difficoltà, sono previste in questo senso una gradualità ed un accompagnamento? È forse il momento più delicato. Possiamo pensare a San Patrignano come ad 30
una palestra di vita, ma alla fine i ragazzi devono proprio confrontarsi con quella società da cui erano usciti sconfitti. Per questo i ragazzi, dopo i primi tre anni di percorso fanno più verifiche in casa con i loro familiari per capire dove tornare a vivere e per cercarsi un lavoro. Rispetto l’inserimento lavorativo come Comunità abbiamo tanti contatti con le aziende e cerchiamo di aiutare i ragazzi a trovare un impegno lavorativo prima di reinserirsi. I fattori di rischio sono aumentati e la minaccia della droga incombe sempre più prepotentemente sui giovani. A fronte di questa realtà allarmante come si potrebbe accrescere l’attenzione e la presa di coscienza da parte dei genitori? Con attività di prevenzione. Noi attraverso il nostro progetto WeFree incontriamo non solo gli studenti, ma anche i professori e i genitori. Le mamme e i papà spesso non sanno come affrontare il problema, a volte non se ne accorgono o se ne rendono conto quando è
troppo tardi. Vanno aiutati. Soprattutto durante la fase adolescenziale del loro figlio, devono sapere che c’è sempre qualcuno pronto ad aiutarli. Le scuole organizzano incontri per informare ragazze e ragazzi sul dramma della droga, ma spesso non viene recepito con serietà e con responsabilità l’allarme lanciato in queste finestre di divulgazione e dialogo con i giovani. Cosa non funziona in questi casi? Non crediamo non funzioni, piuttosto il problema è che questi incontri sono troppo pochi. Servirebbe un progetto di prevenzione strutturato che raggiunga davvero tutti i ragazzi, coinvolgendo non solo quelli delle superiori, ma anche quelli delle medie, vista la giovane età in cui entrano in contatto con le sostanze. E poi servono sia informazioni scientifiche da dare ai ragazzi e che le testimonianze di altri giovani che hanno vissuto il problema sulla loro pelle. Il problema della tossicodipendenza spesso non entra nelle conversazioni della famiglia, per altro già centellinate nella quotidianità, per mancanza di tempo, per l’impegno che richiede un argomento così “pesante”, ma anche per effetto di un senso di inadeguatezza e di timore
Una realtà straordinaria anche sentirsi liberi di fare domande e riflessioni secondo il loro vissuto.
La testimonianza di Marco
che i genitori provano nel parlare della tossicodipendenza con i figli. Coinvolgere genitori e figli in questi incontri potrebbe essere efficace? Dipende dai casi. Un coinvolgimento di
genitori e figli nello stesso momento potrebbe essere controproducente, specie nei casi in cui già non vi è grande dialogo fra loro. A nostro avviso devono avere due momenti dedicati così che possano
Raccontare San Patrignano significa soprattutto dare voce alle ragazze e ai ragazzi che in questa realtà unica hanno riscoperto sé stessi e ritrovato la gioia di vivere. La storia di Marco, ragazzo di ventitré anni, simboleggia il vissuto di altri giovani che hanno attraversato questo dramma, ma che “dalla selva oscura sono usciti a riveder le stelle”. Quando ho chiesto come tutto fosse iniziato, come era stato possibile passare da una situazione normale alla droga, Marco ha iniziato a raccontarmi della sua infanzia… “Fin da piccolo soffrivo di disagi, problemi, ansia ad avvicinarmi agli altri, mi isolavo e mi isolavano, per questo motivo andavo dallo psicologo.
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Una realtà straordinaria
I miei genitori sono separati da quando aveva 10 anni. Non parlavo tanto con loro e loro non parlavano molto con me. Tant’è vero che ho saputo dal papà di un mio amico, che faceva il carabiniere, che mio zio era stato arrestato due volte per spaccio di sostanze. Diventato ragazzo mi portavo dietro la paura della solitudine e la paura di non essere accettato dal gruppo. Nella compagnia da una parte c’erano le amicizie che facevano altro e dall’altra c’erano le amicizie del fumare e del bere. Volevo sentirmi più coinvolto nel gruppo così ho iniziato a stare anche con gli amici che fumavano e bevevano. Ben presto non mi bastava più, perché cerchi sempre di più, vuoi andare oltre, con il risultato che mi sono allontanato dal primo gruppo per frequentare solo amicizie del fumare e del bere. Da qui ho iniziato il percorso per provare certe droghe, andare a certe feste, a svegliarmi la mattina e chiedermi “di cosa mi faccio oggi”.
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Volevo sempre di più e subito. Più il vortice della tossicodipendenza mi trascinava e meno avevo voglia di andare a scuola, ero sempre più assorbito dalle sostanze, volevo solo divertirmi. A 18 anni ho lasciato la scuola e sono andato a lavorare per avere più spazi, libertà. Al lavoro non andavo al 100%, non ero lucido e sbagliavo. Ne approfittavo di questa situazione perché nel posto di lavoro conoscevano mia mamma, ero un “raccomandato”, quindi non mi potevano mandare via e licenziare. Il dialogo e la comunicazione tra genitori e figli sono essenziali. Tra me e mia mamma non c’era più di tanto un rapporto, mia mamma non mi chiedeva mai sinceramente come stavo. Non do la colpa a lei, perché potevo anch’io parlare ed aprirmi, è andata a finire che io non parlavo e lei non parlava, così nessuno capiva veramente l’altro e che cosa stesse accadendo. Quando l’ha scoperto si è arrabbiata tanto ma dava la colpa agli altri, alle amicizie sbagliate, per proteggermi e per proteggersi, non capiva che di fondo c’era solo il bisogno di essere accettato, di trovare il consenso da parte degli altri. Stavo sempre da mio padre perché era più freddo e indifferente, mi dava più libertà, mentre mia mamma era più dura. Poi mio papà aveva trovato una compagna e lei non mi andava giù, così la situazione era diventata tesa, litigavo con
mio padre, fino al punto in cui lui mi ha trafitto con queste parole “è tutta colpa tua, non ho mai amato tua mamma”. Da quando sono entrato in comunità non l’ho mai più sentito, non ha mai scritto. Con mio papà il dialogo non c’è mai stato e non ci sarà mai. Mi rimane mia mamma. C’è stato un episodio in cui ho toccato un punto di non ritorno… Avevo passato un weekend tra psicofarmaci, bere e un cocktail di sostanze. Mia mamma mi disse che ero impazzito, euforico e mi chiese cosa fosse successo. In più la situazione degenerava, gli amici mi chiedevano soldi, debiti di droga da saldare, i carabinieri più volte mi avevano convocato in questura. Le raccontai della serata e mi mise alle strette. All’inizio potevo uscire due giorni a settimana con gli orari e poi tornare a casa alle dieci di sera, ma non riuscivo, volevo la mia autonomia, volevo farmi una vita. A quel punto mia mamma mi disse che se avessi voluto farmi una vita sarei dovuto andare in Comunità e così sono entrato a San Patrignano. In Comunità ho capito i meccanismi, i problemi e le difficoltà che avevo dentro. Se fossi stato fuori avrei continuato con quella vita. Adesso ho un obiettivo, prima il mio unico scopo era la “roba” e divertirsi, le cose serie non mi interessavano. Vedevo i miei coetanei che prendevano la patente, addirittura alcuni avevano già una famiglia, io al massimo avevo 5 euro nel portafoglio e mi anda-
Una realtà straordinaria va bene così. Mi sentivo un parassita a casa, ma a quel tempo non mi importava, non ci davo peso. A San Patrignano ho voltato pagina, sto avendo una seconda chance, sono ripartito con una seconda vita. Le difficoltà nel percorso ci sono state, soprattutto il mio ostacolo era la fiducia nelle persone. Dopo il tradimento di mio papà e di alcuni amici facevo fatica ad aprirmi. Ero molto chiuso, timido, apatico, non ridevo, non avevo emozioni, non parlavo. San Patrignano mi ha sbloccato e mi ha aperto lo sguardo su me stesso, su ciò che mi piace, sui miei gusti ed obiettivi. Adesso sto studiando per prendere il diploma e finire ciò che ho iniziato e poi un domani vorrei viaggiare tanto, scoprire il mondo. Le persone sono la forza di San Patrignano: qui non ti senti mai solo, c’è una rete
di operatori che ti seguono e ti sostengono e condividi la tua storia con altre ragazze e ragazzi. Una parte di coloro che hanno terminato il percorso decidono di rimanere in comunità o comunque di mantenere un aggancio per aiutare altri giovani. Ai genitori e ai giovani vorrei dire di parlare, di comunicare, perché il silenzio allontana e di non cercare la colpa negli altri. Molto si può fare per prevenire il rischio di percorrere la strada della tossicodipendenza, tramite eventi ed iniziative positive si possono coinvolgere i giovani e creare un divertimento sano. Grazie infinite Marco per aver dato questa forte testimonianza che aiuterà tanti genitori e figli ad intercettare e prevenire questo pericolo.
Un sentito ringraziamento per il prezioso contributo e la gentile disponibilità al Presidente della Comunità di San Patrignano Alessandro Rodino Dal Pozzo, a Matteo Diotalevi, responsabile Ufficio Stampa, e per la concessione delle foto. COME SOSTENERE LA COMUNITÀ Chi volesse aiutare San Patrignano a portare avanti il suo impegno può farlo: - Donando il 5 x mille alla comunità. Cod. fiscale 91030420409 - Sostenendo la comunità: donazione.sanpatrignano.org
San Patrignano in numeri Fondata nel 1978 da Vincenzo Muccioli Oltre 26mila ragazzi accolti 1000 ragazzi presenti 200 circa: ragazze in percorso (20%) 41 le associazioni italiane e 2 quelle straniere che collaborano con la comunità per favorire l’ingresso e il reinserimento dei ragazzi 400 circa nuovi ingressi all’anno in Comunità 300 circa: ragazzi reinseriti ogni anno 30 nuovi minorenni circa ogni anno vengono accolti in comunità 3-4 anni durata del percorso di recupero San Patrignano è gratuita e non richiede rette né ai ragazzi in percorso, né alle loro famiglie 72 per cento: percentuale di ragazzi che al termine del percorso non ricadono nel problema della droga. Questo secondo studi realizzati dalle università di Urbino, Bologna e Padova nel 2005 Oltre 4000 anni di carcere convertiti in percorsi di recupero 270 ettari: estensione della comunità Oltre 40 le attività di formazione della comunità Dal 1989 ad oggi, grazie ai centri di formazione della Comunità sono state assegnate 486 qualifiche professionali e 1.267 attestati di frequenza. Storicamente a San Patrignano sono stati conseguiti 709 diplomi di scuola media, 305 qualifiche superiori, 648 diplomi superiori e 47 lauree. 46% ragazzi che al termine del percorso hanno conseguito un titolo di studio o una qualifica professionale 90% circa ragazzi che al termine del percorso trovano un lavoro 50mila circa gli studenti incontrati ogni anno dalla comunità con il suo progetto di prevenzione WeFree La comunità di San Patrignano si sta impegnando sempre più per raggiungere la propria autosostenibilità. Oggi si sostiene per circa il 65% attraverso la vendita dei suoi prodotti e per il resto da eventi, progetti di raccolta fondi, di finanza sociale e donazioni 33
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INDUSTRIA.4:
IL FUTURO SIAMO NOI Il futuro è fra noi, il futuro siamo noi e ne siamo tanto immersi e coinvolti da non viverlo pienamente, non percepirlo e continuare a sognarlo.
S
entiamo spesso parlare di “quarta rivoluzione industriale”, ma quali sono state le prime tre? : la Prima- inizia alla fine del 1700 in Inghilterra con l’utilizzo dell’energia prodotta dal vapore; la Seconda- Inizia nel 1850 in Europa e USA con l’utilizzo dell’elettricità, i prodotti chimici ed il petrolio; la Terza- inizia nel 1950 negli USA con l’utilizzo dell’elettronica e dell’informatica. Da pochi anni si parla di: Industria 4.0 comporta già oggi e, maggiormente comporterà in futuro, grazie a una tecnologia sempre più automatizzata e interconnessa un importante cambio della nostra vita. Qualche esempio? Robotica avanzatissima, stampa in tre dimensioni e nuove tecnologie di intelligenza artificiale in grado di consentire ai sistemi di imparare come gli esseri
umani, ma molto più velocemente ( minuti al posto di anni). Sembrano gli ingredienti di un romanzo di fantascienza, ma in alcuni
istituti di eccellenza, esempio Fondazione Bruno Kessler e Fondazione Edmund Mach, o imprese, come la Eurolink Systems sono già realtà in particolare in tutti i casi in cui le soluzioni elettroniche per applicazioni “mission critical” consentono di avere doti di sicurezza ed affidabilità che sostituiscono l’essere umano in molte applicazioni. Vi siete mai chiesti se un aereo viaggi sempre pilotato dall’uomo? In realtà, a parte per il decollo ed atterraggio, per normative di responsabilità, i voli avvengono in via automatica, come accade in diverse metropolitane nel mondo. Capacità di calcolo estremamente elevate ed affidabili con algoritmi che imparano con lo stesso approccio della mente umana, ma con velocità notevolmente superiori, consentono a sistemi autonomi di imparare, anche dai propri errori e a non farne di uguali, cosa che li distingue dagli esseri umani…e trovano sempre maggiori applicazioni. Una di queste è il Robot “multiuso”: da qualche anno si parla sempre più di droni,
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Le nuove tecnologie termine reso purtroppo famoso nella sua peggiore accezione per impieghi militari, ma in realtà tutte le “piattaforme ospitanti sensori e attuatori a controllo remoto” offrono servizi anche in applicazioni civili, media, ludiche. Tali sistemi hanno il loro ambiente ideale in tutto ciò che è “Dull, Dirty, Dangerous, Difficult”, ovvero noioso, sporco, pericoloso e difficile per l’uomo in molti settori, civili, medicali, industriali, militari. Esempio in ambito civile: l’unione di veicoli autonomi ed una app “tipo Uber”, ad esempio, sarà la nuova frontiera dei “taxi 4.0”, senza conducente. In un futuro non troppo lontano, anche le auto private saranno autonome senza più burocrazia e stress per ottenere la patente e permetteranno a chi le usa di dedicarsi ad altre attività durante gli spostamenti, nonché di consentire alle stesse auto di potere diventare sorgenti di reddito, “car as service”, offrendole come servizio taxi durante il tempo di non utilizzo del proprietario. A lungo termine il traffico
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medio diminuirà, il rumore anche e si ridurrà il numero di incidenti, feriti o deceduti per distrazione “umana”. Sono in esecuzione accordi fra le maggiori case automobilistiche e alcune case produttrici di dispositivi automatizzati, che potranno garantire comfort e sicurezza anche nei tragitti da casa al lavoro e viceversa. Attualmente, tuttavia, la principale applicazione dei droni riguarda le emergenze che ogni giorno riempiono le pagine di cronaca dei giornali. I problemi di inquinamento nei fiumi, nei laghi e nei mari, come la cosiddetta mucillagine, ad esempio, possono essere monitorati ed il loro impatto minimizzato grazie a soluzioni a basso impatto ambientale: i droni, infatti, monitorano l’area interessata e risalgono facilmente alla sorgente del problema. I sistemi a pilotaggio remoto, che siano aerei, terrestri o marini, possono
acquisire in maniera veloce ed efficiente, tutti i dati necessari al fine di ricostruire in maniera digitale e precisa uno scenario per poi decidere gli interventi specifici necessari. Grazie alle nuove tecnologie è possibile utilizzare droni per la ricerca di persone smarrite in ambiente di montagna, basta che abbiano un telefono cellulare acceso, oppure per monitorare fauna in movimento diurno o notturno, oppure per verificare strutture come ponti, viadotti, acquedotti, edifici, siti archeologici, etc. Queste applicazioni non sono soggette ad alcun margine di errore. In un futuro prossimo le funzionalità sempre più sofisticate, cambieranno - in meglio - la vita quotidiana di tutti. Dall’agricoltura all’assistenza anziani, saranno infatti presto disponibili apparecchiature che renderanno più piacevole e più sicura ogni attività. Il coordinamento fra robot in ambiente misto umano/robot è stata la base anche di un’importante esperimento, per la quale la Eurolink Systems ha fornito uno sciame di robot per svolgere missioni in modo autonomo in applicazioni NATO. La missione veniva condivisa ed assegnata ai membri autonomamente come anche poteva essere ri-assegnata in caso di perdita eventuale di uno o più mezzi dello sciame, fatto salvo il patrimonio di informazioni a disposizione del gruppo. In poche parole, anche se è molto difficile farlo, la quarta rivoluzione industriale, anche
Le nuove tecnologie
grazie alle tecnologie IoT e 5G, impatterà a breve la nostra vita quotidiana e cambierà anche l’attuale scenario occupazionale. Come tutte le rivoluzioni industriali, lavori spariranno, ne nasceranno di nuovi e altri si modificheranno.
La Eurolink Systems srl, fondata nel 1997, è da sempre stata un innovatore nei settori di operazione. Attualmente lavora nei settori: Elettronica per l’industria aerospaziale; Droni, aerei, terrestri e marini, per impieghi industriali, militari ed in agricoltura; Soluzioni di ricarica per veicoli elettrici intelligenti per una mobilità sostenibile; Eurolink Systems sarà operativa a Aprile 2021 con due nuove start up innovative, “Electric Evolution e Robotic Evolution”, nel polo tecnologico di Rovereto, con il prezioso supporto della Hub Innovazione Trentino e di Trentino Sviluppo che consentiranno, grazie anche alle tecnologie e le capacità delle Fondazioni Bruno Kessler, Edmund Mach, il polo della Meccatronica ed il tessuto di start up e realtà locali di realizzare innovazioni tecnologiche e prodotti che supporteranno il futuro dei settori strategici della mobilità sostenibile e della robotica . www.eurolinksystems.com *Pietro Lapiana è presidente della Eurolink Systems srl
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Il personaggio di Katia Cont
"Robbertooooo!!!!!"
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ome dimenticare una emozionatissima Sofia Loren, mentre dal palco del Doldy Theatre sventola un cartellino con il nome del suo connazionale Roberto Benigni. E' come se quell'Oscar l'Italia lo avesse vinto due volte e lo ricordasse con la colonna sonora in testa cantata da Sofia Loren. Il modo migliore per raccontare cosa Roberto Benigni è stato ed è per il cinema Italiano, sarebbe un film, una storia fantastica, un bellissimo film d'animazione con una trama avvincente che affronti i temi e le tappe difficili e gloriose di una vita pienissima e stravissuta. Benigni ha regalato all'Italia intera sorrisi, lacrime e grandi gioie, in pochi sono eclettici come lui. Nato a Castiglion Fiorentino nel 1952, da una famiglia di contadini, Benigni cresce con la passione per lo spettacolo iniziando prima come cantante e musicista e poi come attore di teatro. La svolta
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professionale arriva nel 1975, quando incontra il famoso regista e sceneggiatore Giuseppe Bertolucci che lo “lancia” prima in televisione come presentatore del programma satirico “Onda Libera”, e poi al cinema, nel film “Berlinguer ti voglio bene”. Nel 1980, insieme a Claudio Cecchetto e Olimpia Carlisi, conduce il 30esimo Festival di Sanremo. Nel 1983 porterà nelle piazze e nei teatri di tutta Italia lo spettacolo di cabaret “Tuttobenigni”, dimostrando così di essere anche un perfetto “one-man show”. L’anno successivo arriva il film girato assieme all’amico Massimo Troisi “Non ci resta che piangere” che tutti ricordiamo. Approda poi negli Stati Uniti d’America, dove recita in quattro pellicole, tra cui “Il figlio della Pantera Rosa”, dove interpreta il ruolo del figlio dell’ispettore Clouseau. Nel 1991 fonda, insieme alla moglie Nicoletta Braschi, la casa di produzione “Melampo Cinematografi-
ca”. Negli anni Novanta arrivano tre dei suoi maggiori successi cinematografici: “Il piccolo diavolo”, “Johnny Stecchino”, “Il mostro”. Tutti film di base comica nonostante affrontino tematiche scottanti e inerenti ai fatti del periodo, come le stragi mafiose e i macabri delitti del Mostro di Firenze. La consacrazione internazionale arriva nel 1997 con “La vita è bella”, film che racconta gli orrori dell’olocausto attraverso l’ironia, alternando momenti drammatici a momenti di commedia come nessuno prima di allora aveva fatto. Il film si aggiudica tantissimi premi e riconoscimenti in tutto il mondo, tra cui nove David di Donatello, cinque Nastri d’Argento, un BAFTA, un SAG Awards e tre Premi Oscar (miglior colonna sonora, miglior film straniero, miglior attore protagonista). Ma Benigni è anche un uomo di teatro, e sui palcoscenici italiani e non solo, si dedica ai canti della Divina Commedia.
Il personaggio
Nel 2009 il tour “Tutto Dante” diventa un evento rappresentato in moltissimi paesi in tutto il mondo. Nel 2012 recita nella commedia di Woody Allen “To Rome with love” e nello stesso anno conduce su Rai Uno “La più bella del mondo”, varietà che ha lo scopo di spiegare con semplicità i dodici principi fondamentali della Costituzione italiana. Nel 2014 è ancora in TV con uno spettacolo incentrato sui dieci comandamenti. I suoi monologhi e soprattutto i temi
trattati, hanno spesso diviso critica e pubblico creando anche scontri politici. Ha pubblicato otto album musicali come cantante, da attore cinematografico ha recitato in ventotto film ed ha diretto otto pellicole. Nell’aprile del 2003 ha ricevuto la Medaglia d’oro ai benemeriti della cultura e dell’arte e nel 2005 è stato insignito del titolo di Cavaliere di gran croce dell’Ordine al merito della Repubblica italiana dall’allora Presidente Carlo Azeglio Ciampi. Nel 2007 è stato candidato al Premio Nobel per la letteratura per l’impegno profuso nella diffusione della Divina Commedia. Gli sono state conferite anche diverse Lauree Honoris Causa dalle principali Università italiane. Nell’edizione 2021 del Festival di Ve-
nezia Benigni verrà premiato per questa sua carriera ricca di successi, come ha dichiarato il direttore artistico della Mostra del Cinema: “Sin dai suoi esordi, avvenuti all’insegna di una ventata innovatrice e irrispettosa di regole e tradizioni, Roberto Benigni si è imposto nel panorama dello spettacolo italiano come una figura di riferimento, senza precedenti e senza eguali.
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Le donne nella storia di Laura Mansini
Ernesta Bittanti: una donna di fine secolo Scorrendo i libri di storia vediamo che da sempre le donne rivestono ruoli subalterni all’uomo ed Ernesta Bittanti, donna di grande intelligenza e cultura non fa eccezione viene sempre ricordata come moglie di Cesare Battisti, il grande eroe, martire trentino, impiccato il 12 luglio 1916. Oggi per noi è : Ernesta Bittanti
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ra i freschi di stampa troviamo un interessante volumetto scritto da Beatrice Primerano :”Ernesta Bittanti Battisti e il suo amato Trentino”, edito dal Club Armonia di Trento. Si tratta di un bel ritratto fatto dalla Primerano, docente di Storia della Giustizia nella facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Trento, studiosa della figura di Ernesta Bittanti, moglie di Cesare Battisti; si è laureata, infatti, con una tesi su “Ernesta Bittanti Battisti e le leggi razziali del 1938”. Cesare Battisti fu socio e sostenitore convinto, fin dalla fondazione nel 1904, del sodalizio nato come “Club Mandolinistico Armonia” e a Renzo Fracalossi, attuale presidente, è sembrato giusto soffermarsi sulla figura di Ernesta molto stimata dai soci fondatori. Una donna alla quale ben di adata la premessa del volume: “La storia e la cronaca, nel narrare le audaci imprese, spesso hanno trascurato di trattare anche,
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e in qualche caso soprattutto, le donne che, con mariti, fratelli, padri hanno contribuito al progresso politico e culturale della nostra terra” E’ lunga la strada dell’emancipazione femminile, che inizia dalla Grecia quando le donne ricche stavano a casa a gestire la famiglia, mentre le povere, se erano belle, abbastanza intelligenti e colte, diventavano le “Etere”, prostitute di alta classe, ma, nel 411 a.C, Aristofane scrisse la commedia :“Lisistrata”, storia di una donna ateniese che, interpretando la stanchezza delle mogli nel vedere i propri uomini morire o tornare disperati dalle numerose battaglie, radunò nell’Acropoli le Ateniesi e le convinse a non concedersi più ai mariti fino a che non si fossero decisi a fare la Pace con Sparta. Una commedia , che mette in luce la potenza della sessualità. La pace si fece. Bisogna giungere al 200 a,C per trovare un piccolo tentativo di emancipazione da parte delle donne romane; esse infatti osarono fare una manifestazione di piazza per abrogare la legge che vietava loro di “possedere più di una mezza oncia d’oro, portare vestiti multicolori e usare
la carrozza per andare a passeggio”. Ci provarono, ma furono sconfitte da quel maschilista di Catone, non a caso detto il censore, il quale, scandalizzato da tanta audacia muliebre, sostenne con vigore in Senato che gli uomini non dovevano farsi calpestare dalla prepotenza femminile, e naturalmente vinse. Per non parlare del Medioevo periodo nel quale si discettava sul tema:” Ma la donna ha un un’anima o no?” . Dovremo attendere secoli per avere delle leggi di tutela del mondo femminile; infatti anche quando nacque Ernesta Bittanti, a Brescia il 5 maggio del 1871, nel “Codice di famiglia” ( del 1865) le donne non avevano il diritto di esercitare la tutela sui figli legittimi, nemmeno quella di essere assunte ai pubblici Uffici. Le sposate non potevano gestire i soldi guadagnati con il proprio lavoro, perché ciò spettava al marito. Naturalmente tutto poi nella realtà dipendeva dalla famiglia di nascita. Ernesta ebbe la fortuna di essere. settima figlia della famiglia Bittanti: dal padre Preside, docente di matematica e fisica, apprese l’amore per lo studio; dalla madre, Giuditta Rivara di famiglia repubblicana e risorgimentale, ereditò le forti idee politiche di grande apertura verso il socialismo. La Bittanti e Battisti si conobbero la sera di Natale del 1895 nella casa di lei a Firenze, durante una riunione fra amici. Egli fu talmente affascinato dall’intelligenza ed
Le donne nella storia ironia di questa donna che subito dopo Pasqua annunciò ad alcuni amici, all'insaputa di lei, di essersi fidanzato. Si sposarono civilmente, a Firenze , nel Palazzo Vecchio. La coppia poi si trasferì a Trento, ambiente agitato e provinciale. Nonostante i timori di Battisti, Ernesta si innamorò a tal punto del Trentino e dei suoi luoghi, che nel 1911 scrisse le parole dell’“Inno del Trentino” con musiche del maestro Bussoli; ma in quanto donna preferì nascondersi sotto lo pseudonimo di G.B.Cesari. Fra i luoghi più amati dalla coppia troviamo il lago di Caldonazzo, descritto così da Cesare
Battisti:” Il paese di San Cristoforo si trova a nord del lago di S. Cristoforo (oggi Caldonazzo), in un punto in cui la spiaggia è boscosa. (...) C’è la stazione di partenza per un piccolo battello che nei giorni festivi percorre il lago. Una fresca brezza increspa sempre il boschetto, che nel pomeriggio dei giorni festivi fa diventare la Valsugana il parco dei cittadini di Trento”. Era il 1904 e ci sono voluti altri 102 anni prima che si pensasse ad un battellino nei giorni di festa. Un sogno. Nel 2006 ero la sindaco di Caldonazzo e l'idea fu bocciata da molte associazioni e non se ne poté fare nulla malgrado l'appoggio dell'assessore allo sport della Provincia Iva Berasi. Il libro di Beatrice Primerano si legge come una grande storia d’amore, di ideali, di vita oltre la morte, perché le idee che entrambi condividevano, di giustizia, di libertà, di battaglia per l’indipendenza del popolo Italiano dall’Austria, Ernesta le portò avanti con decisione e fermezza. E'
storia che nel 1923 si recò a Roma da Benito Mussolini sulla via per diventare duce e accusandolo di avere tradito la comune idea socialista lo rinnegò rinunciando ad ogni onore. Una donna coerente sempre aggiornata e presente, fino alla morte, avvenuta a Trento il 5 ottobre 1957.
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FELTRINO NEWS è un periodico mensile distribuito gratuitamente in tutti i comuni della Vallata Feltrina È stampato in 5mila copie con una foliazione di 96/104 pagine tutto a colori e su carta patinata con formato 23cm x 31cm. FELTRINO NEWS è un free-press non schierato politicamente e quindi suo precipuo compito è quello di dare una corretta informazione e giusta narrazione dei fatti, degli eventi e degli avvenimenti, siano essi politici, sociali, culturali o economici. La redazione di FELTRINO NEWS è formata da 30 collaboratori di cui 12 giornalisti, 2 avvocati, 1 ingegnere, 2 psicologhe e una corrispondente dagli USA. La consulenza medico-scientifica è garantita da 4 medici. FELTRINO NEWS viene posizionato in oltre 280 punti quali edicole, farmacie, supermercati, centri commerciali, alberghi, ristoranti, parrucchieri, autostazioni, ambulatori, ospedali, bar, negozi, macellerie e in tutti i luoghi di pubblica affluenza.
Società oggi di Patrizia Rapposelli
LA FESTA DELLA MAMMA: ricordiamoci gli auguri
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ara mamma, sei importante e la tua storia deve essere ricordata, come la storia di ogni Donna. Personaggi nella storia hanno parlato di questa figura. Allan Grice di sua madre diceva che quando doveva cucinare per otto, ne faceva sempre abbastanza per sedici e poi ne serviva la metà. Pinketts dichiarava che la missione delle madri fosse la preoccupazione. Rogers dichiarava che quella delle mamme è l’unica razza che parla la stessa lingua. Io mentre scrivo vedo granellini di polvere sul mio computer, quelli mi fanno pensare a mamma. “Metti ordine pulisci”. Quale madre non l’ha mai detto. Ridacchio, solo con il tempo penso che si apprezzino le rampogne di mamma. L’immaginazione corre: lei arriva piazzata sulle pattine, mentre volteggia come un pinguino. Assorbe lo sporco, strofina il parquet, mugugna un po' e sorride poi. Le mamme sono uniche. Nella seconda domenica di maggio raccogliamo pensieri per dedicarle una frase piena di amore e ringraziarla per la sua presenza, il suo appoggio e il suo amore incondizionato. La Festa della Mamma è una ricorrenza laica molto sentita, onora una persona speciale: la mamma. La celebrazione di questa festività è una di quelle feste
mobili, cambia data di anno in anno. Punto fermo è che cade sempre di domenica, senza alcuna eccezione. Le sue origini sono lontane; in epoca pagana, al tempo dei Greci e dei Romani, la figura femminile veniva celebrata in un rito legato al culto delle divinità femminili e della fertilità, e nell’insieme veniva segnato il passaggio dal gelido inverno alla bella stagione. Il tempo trascorso per arrivare nella nostra epoca è molto, ma in questo arco temporale lo spirito è rimasto sempre lo stesso, ricordare la donna nella più grande espressione di femminilità: la maternità. Questa festa così come la conosciamo noi viene proposta nel maggio del 1870 negli Stati Uniti da una pacifista americana di nome Julia Ward Howe; pochi anni dopo un’altra donna ha voluto dar voce e forza a quest’idea, Anna M. Jarvis. Anna, molto legata alla madre, dopo la sua morte ha tempestato di lettere i ministri e le alte cariche pubbliche affinché venisse istituita e celebrata una festa dedicata alle mamme di tutto il mondo. La sua insistenza e caparbietà viene ripagata il 10 maggio del 1909 con una cerimonia a Grafton. Questa donna scelse anche un fiore d’affiancare a questa giornata, il garofano bianco, quello preferito da chi l’ha cresciuta; da allora tale è rimasto il simbolo, rosso per le mamme in vita, bianco per coloro che non ci sono più. Soltanto nel 1914 il presidente americano Wilson ha deciso di renderla manifestazione pubblica in onore delle madri dei soldati e ha deliberato che il gior-
no di festeggiamento sarebbe stato la seconda domenica del mese di maggio. In Italia è stata celebrata soltanto nel 1956 da don Otello Migliosi, ad Assisi. “L’antenata” italiana però vede l’anno 1933, epoca fascista, con la giornata dedicata alla maternità, chiamata la giornata della madre e del fanciullo. Le mamme venivano festeggiate come espressione della politica “natalista” del regime fascista e in quest’occasione venivano premiate le più prolifiche. Soltanto nel dopoguerra anche in Italia la Festa della Mamma ha assunto un carattere meno propagandistico. Infatti, nella seconda metà degli anni ’50 del ‘900 iniziano a diffondersi due feste in suo onore. Una organizzata dal parroco di una frazione di Assisi per motivi religiosi, celebrazione della maternità nel suo valore cristiano; l’altra in Liguria, per motivi commerciali, promossa dai fiorai. Entrambe celebrate a maggio, mese dedicato alla Madonna per i primi e periodo ricco di fiori per i secondi. Dal 1959 la festa si è omaggiata per anni l’8 maggio per poi passare alla seconda domenica di maggio. Dalle sue origini ad oggi le parole di Anna Jarvis risuonano ancora: “Vivi questo giorno come tua madre vorrebbe che tu lo vivessi”.
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Personaggi e santità di Waimer Perinelli
I MIRACOLI di DINO BUZZATI Dino Buzzati, Valbelluna 1906-Milano 1972, giornalista, scrittore, pittore, è noto per il romanzo "Il deserto dei Tartari" nel quale descrive l'angoscia del vivere nell'attesa di qualcosa che non avverrà. È questa, più o meno, la vita di ciascuno di noi.
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a vita di Buzzati è stata un'avventura iniziata in Val Morel ai piedi delle Dolomiti bellunesi, dove i suoi genitori trascorrevano le estati, e proseguita a Milano, giornalista al Corriere della Sera dove venne assunto nel 1928. Nell'incantevole vallata, nella bella villa veneta di famiglia dov'era nato, egli tornava a riposare dai molti viaggi e qui scrisse l'ultima raccolta di racconti frutto di una dissacrante immaginazione, dal titolo “Miracoli di Val Morel” un romanzo, come ha scritto Indro Montanelli, nel quale lo scrittore si proponeva di “comporre un album di scherzi e invece
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ha scritto con il pennello la sua poesia più bella.” “Miracoli di Val Morel” è una raccolta di scritti e tavole, di ex voto fantastici, dove casi impossibili di tentazioni, sciagure, attacchi stranieri ed improbabili, disgrazie, incidenti, rapimenti vengono risolti dall’intervento provvidenziale di Santa Rita da Cascia. Nel luogo incantato dove trascorreva giornate di “operoso” riposo, Buzzati immagina di aver incontrato il fantomatico custode di un santuario dedicato a Santa Rita da Cascia (1381-1457) di esserci entrato, ed avervi visto una serie di quadretti votivi, ovvero di quelle tavole dipinte, testimonianza di una Grazia Ricevuta, dette anche ex voto, di cui sono tappezzate le pareti dei vari santuari, come quello dedicato alla santa nella cittadina di Cascia, in provincia di Perugia dove è morta. Dino Buzzati non si limita ad immaginare avvenimenti mira-
colosi ma li dipinge descrivendoli con i colori, riandando con la mente ad un passato lontano nel quale immagina di averli veramente visti. Fantasia e immaginazione si fondono in modo geniale e apparentemente semplice come la Fede, la religiosità popolare che trascende la ragione fino ad attribuire a particolari luoghi, immagini e sculture grandi le miracolose proprietà taumaturgiche, capacità di guarire da malattie gravissime. E a lungo in molti avevano creduto che in Val Morel esistesse veramente una chiesetta dedicata alla Santa delle cause Impossibili, beatificata nel 1627. In realtà la raccolta, pubblicata nel 1971 un anno prima della morte, è frutto della fantasia dissacrante ed ironica di Buzzati. Come spesso accade tuttavia, da un evento immaginato può nascere un luogo vero e così è stato, ed oggi lungo il sentiero che dal paese di Giaon tocca il santuario della Madonna di Parè, una via crucis
Personaggi e santità giunge fino a Limana di Val Morel. A Giaon poi sono stati dipinti alcuni murales raffiguranti i presunti miracoli. Così vanno le vicende umane e seguendo le bizze di un romanziere si possono incontrare e ammirare due chiesette generalmente chiuse (Chiesa dei SS. Filippo e Giacomo e Santuario di Madonna Paré, visitabili solo con guida), piccoli scrigni di opere d’arte, affreschi e storia, alcune cappelle devozionali più o meno antiche e un sito fortificato alto medievale, il colle su cui si trovava un antico convento nel quale vuole la leggenda abbia sostato San Bernardo di Chiaravalle, monaco di origine francese, teologo e propugnatore della crociata
del 1140 che Dante dice d'incontrare dal XXX al XXXIII canto del Paradiso e di fatto la sua terza guida dopo Virgilio e Beatrice. Un miracolo quello di Dante e un più piccolo miracolo letterario quello di Buzzati che egli stesso definisce: “un racconto in trentanove capitoli, risolto più con le immagini che con le parole... Una sorta di album personale che raccoglie, rielaborandole, atmosfere della memoria e luoghi dell'anima, fatti vissuti, ascoltati e sognati in sessant'anni di vita: il testamento umano, artistico e spirituale.” La testimonianza più emozionante si trova nell'ultima tavola dove l'ex voto rappresenta il volto di Santa Rita da Cascia. Buzzati ritenuto ateo fornisce in realtà un'immagine della santa di rara spiritualità d’intensa umanità: santa Rita protettrice delle cause impossibili, ha fatto forse con Buzzati uno dei suoi più bei miracoli.
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Il personaggio di Veronica Gianello
La Signora del Jazz e del blues: BILLIE HOLIDAY A 62 anni dalla sua scomparsa
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rchestre di colore ben vestite, ottoni, ritmo e la bianca società benestante che balla e si gode l’esplosione di vita dei roaring twenties, gli anni ruggenti. Signori e signore: ecco il jazz, o almeno, il jazz nell’immaginario comune. Sì, perché il jazz è un fenomeno culturale di portata talmente ampia che è difficile tracciarne i confini. Infinite sfaccettature ed evoluzioni nel tempo l’hanno modificato e plasmato, rendendolo un attimo prima il genere favorito dell’America d’inizio secolo, e il secondo dopo un’ indegna manifestazione della popolazione nera, ancora fortemente discriminata dal razzismo. Questo continuo cambio di prospettive,
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legata ad un’incoerenza di fondo, rispecchia pienamente la vita di colei che, tra limiti e difficoltà, verrà ricordata come “la signora del jazz e del blues”: Billie Holiday. Lady Day, come verrà poi soprannominata, nacque a Philadelphia nel 1915 da madre tredicenne e padre sedicenne. Quest’ultimo, suonatore itinerante, non si occupò mai di Billie, ma preferì continuare a vivere in viaggio con la sua orchestra. La madre quindi, per mantenere da sola la piccola Billie si trasferì a Baltimora, dove, mentre lavorava come domestica, lasciava la figlia con la cugina e il marito, che a soli 11 anni la stuprò. Gli episodi di violenza erano comuni e per porvi fine, Billie si trasferì ancora bambina a New York con la madre e iniziò a prostituirsi in un bordello clandestino dei sobborghi della Grande Mela. Poco tempo dopo la polizia scoprì il locale e arrestò Billie. Una volta uscita di prigione, pur di non tornare a prostituirsi, iniziò a lavorare come ballerina nei locali notturni. Erano ormai gli anni della Grande Depressione, e c’era molto bisogno di intrattenimento per staccare la mente dal pensiero della profonda crisi che gli Stati Uniti stavano vivendo. Non erano più però gli anni delle grandi e sontuose feste alla Great Gatsby: erano gli anni di un intrattenimento più nascosto, talvolta più intimo. Billie nel frattempo smise i panni ina-
datti di ballerina e iniziò a esibirsi come cantante. In queste occasioni la notarono i primi agenti per la sua capacità di “volare sopra il tempo”, per la sua voce così intensamente drammatica e per il suo essere così forte e sfrontata ma al contempo debole e fragile. Mentre inizia ad incidere i suoi primi brani, inizia anche a subire le prime minacce. Queste si fecero sempre più forti quando nel 1939 decise di cantare uno dei brani che rimarrà poi nella storia: Strange Fruit, un testo coraggioso, che sfidava le discriminazioni razziali. “Strano frutto”, come dice il titolo, si riferisce infatti al corpo di un nero appeso a un albero, ucciso dai bianchi nelle piantagioni del Sud. Venne intimata più volte di non cantare quel brano nei concerti, ma la crescente popolarità le permise di continuare dritta per la sua strada, pur diventando bersaglio dell’FBI che la
Il personaggio pedinava giorno e notte. Quella strada che la stava consacrando a regina del blues però, era ancora estremamente pervasa di razzismo e sessismo. Spesso quando si esibiva doveva entrare nella porta di accesso riservata alla popolazione di colore, e restare in camerino fino all’inizio dello show. Se poi uniamo il colore della pelle al sesso di Lady Day, così estremamente donna, il peso da portare sulle spalle è davvero considerevole. A queste situazioni, Billie intreccia una serie di relazioni che le portarono solo violenze e delusioni, colmate dall’abuso di alcool e droghe. Billie è ormai conosciuta anche fuori dagli Stati Uniti, dove il razzismo non è così opprimente, e dove vi è forte richiesta di nuove incisioni. Inizia nel 1954 un
tour europeo, che in alcune zone tuttavia, vede ancora forti pregiudizi sulla sua persona e sul suo modo di essere artista. Torna negli U.S.A. ed esce dagli anni ‘50
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completamente distrutta da una vita che le ha riconosciuto allo stesso tempo l’innegabile ed enorme talento, e l’impossibilità di viverlo appieno. Nonostante tutto, la stessa Billie si è sempre professata una donna estremamente libera, ma il prezzo da pagare per questa libertà è troppo alto: Billie Holiday muore nel 1959, pochi mesi dopo che le fu diagnosticata la cirrosi epatica. Il lascito di Lady Day va ben oltre la musica, ha un respiro più ampio, un respiro che racconta di diritti ed emancipazione, un respiro che, a ben guardare, troppo spesso ancora oggi viene soffocato in gola, un respiro che anticipa una voce, piena, vera, profonda. Un respiro che resterà per sempre solo suo.
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Pianeta donna di Alice Vettorata
Peggy Doris Hawkins Margaret Keane
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quadri di Walter Keane furono acclamati e ritenuti innovativi dalla critica grazie alle sue protagoniste, piccole bambine dagli occhi sproporzionati e pieni di mistero. Peculiarità che faceva emergere le sue opere tra quelle presenti nel panorama artistico degli anni ‘50 negli Stati Uniti. Ottenne approvazione da numerosi critici, galleristi e colleghi, tra i quali uno degli esponenti più influenti della Pop Art americana, Andy Warhol. Un incipit quasi veritiero; l’autore di questi quadri però non è stato il signor Keane, bensì sua moglie, la signora Keane. Una vicenda mediatica che emerse solo nel 1970 durante un’intervista radiofonica nella quale Margaret Keane, alla nascita Peggy Doris Hawkins si tolse il peso di questa truffa perpetrata per anni, situa-
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zione che lei subì, come dichiarò successivamente, per mancanza di forza d’azione. L’opinione pubblica iniziò a spostare la propria posizione sulla faccenda. I critici d’arte e i giornalisti cercarono di sollevare la vicenda in modo tale da ottenere la verità. Il pubblico era sconvolto dal fatto che quei grandi occhi, presenti anche nelle case private sottoforma di stampe vendute da Walter Keane celavano un sentimento ancora più profondo di quello tangibile al primo sguardo. Quegli occhi dipinti, mentre venivano accuratamente impressi sulla tela osservavano una pittrice sensibile nascosta al mondo per troppo tempo. Durante un’intervista Margaret dichiarò che per un lungo periodo dipinse anche sedici ore al giorno pur di riuscire a dare vita ai quadri commissionati dal marito. Lavorò costantemente nell’oscurità e nella menzogna, ponendo la firma “Keane” al fondo della tela, per consentire così di proseguire ingannando il mondo e sé stessa. Era complesso vendere arte e affermarsi con questo mezzo, soprattutto essendo
una donna, madre divorziata in cerca di occupazione. Incontrare un uomo che si autoproclamava pittore, apparentemente a modo e interessato a farla emergere come artista, non poté che suscitare in Margaret delle buone prospettive di vita. Ovviamente non si sarebbe potuta aspettare il seguito. Walter permise di far spopolare il lavoro di Margaret grazie alle sue abilità di vendita, affermandosi come visionario creatore di quelle opere. Prese parte a interviste, inaugurazioni e accettò commissioni importanti, comunicando poi le indicazioni alla moglie, colei che effettivamente avrebbe dipinto le tele portando a termine gli incarichi. Un abuso mentale perpetrato per anni che culminò con una lite, causa la quale Walter tentò di incendiare lo studio della moglie. Margaret fuggì da San Francisco insieme alla figlia Jane a Honolulu, dove riuscì a processare l’accaduto e a denunciare l’ormai ex marito. Nel 1976 iniziò il processo che vedeva Walter Keane imputato per la truffa. Nella stessa sede il giudice decise che l’unico modo per conoscere la verità sa-
Pianeta donna film biografico, Big Eyes, che presenta in modo eccellente la vita della pittrice, la quale ha dato la sua piena approvazione al prodotto finale di Burton, definendolo fedele e ben realizzato. Ancor prima, negli anni settanta Woody Allen nella pellicola Sleeper, commedia fantascientifica, presenta un futuro nel quale i dipinti della Keane vengono considerati eccellenti. Il problema? Sono ancora attribuiti al marito Walter. La tenacia di Margaret ha permesso di modificare il futuro visto da Allen.
rebbe stato quello di far dipingere i due imputati. Margaret, in 56 minuti realizzò un’opera completa, togliendo ogni dubbio su chi fosse il creatore delle identità dai grandi occhi che avevano conquistato l’anima del pubblico. Ad oggi, Margaret Keane alla soglia dei 94 anni continua a
dipingere ed esporre in una propria galleria, ispirando registi che hanno analizzato a presentato al pubblico la sua storia. Nel 2014 il regista Tim Burton, nonché collezionista delle opere della Keane realizzò un
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Altruismo e volontariato di Francesco Zadra
Ecovolontari Unione Montana Feltrina Un impegno per il bene comune
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l gruppo è nato nel 2016 dopo che, nell’autunno del 2015, in una riunione informativa aperta ai cittadini, indetta dal comune di Pedavena sul tema dei rifiuti, una responsabile della ditta che faceva la raccolta dei rifiuti in tutta l'Unione Montana Feltrina, chiese ai presenti di esprimere il proprio interesse a conoscere meglio il tema del trattamento dei rifiuti e dare un contributo volontario e gratuito nella gestione. Dal pubblico si fecero avanti otto volontari, l’avanguardia di quelli che poi aderiranno a questa iniziativa, per la quale l'U.M.F. ha imba-
stito un corso di formazione di alcune ore, dove soprattutto sono stati illustrati i flussi di smaltimento relativi a ciascuna tipologia di rifiuto, quindi, lo stoccaggio precipuo per tipo, la pericolosità, e le varie sanzioni a cui si va incontro se non si rispettano le leggi in materia. A questo primo gruppo è stato poi proposto di fare attività di formazione e informazione presso le scuole e nei vari “eco centri”. Ma anche informazione con la gente comune, coinvolgendo la popolazione nel raccogliere rifiuti, in occasioni appositamente organizzate, in luoghi urbani e non, anche rispondendo all’invito dei Comuni, di privati cittadini, associazioni, ecc. Dal 2017 questa prassi di ecologia militante è il motore motivazionale degli ecovolontari impegnati per le vie dei Comuni della U.M.F, già quasi 50, talvolta anche assieme ad altre associazioni, e in crescita costante e continua, con l’organizzazione di uscite settimanali - in questi mesi anche bisettimanali -, quattro ore al giorno, mattina o pomeriggio, in diversi giorni della settimana, armati di secchi, pinze, e giubbotti catarifrangenti. Una organizzazione collaudata che riesce a conciliare tempi ed esigenze dei singoli ecovolontari, e che si svolge prevalentemente da fine inverno a maggio, per poi riprendere da settembre a tutto novembre. Possibili anomalie riscontrate durante la
raccolta, vengono segnalate dagli ecovolontari agli uffici comunali preposti, per le opportune verifiche e interventi. «Siamo consapevoli – dice il referente Ermes Zanella – di operare per il bene comune; un fatto che può essere attrattivo per nuovi volontari, sempre bene accetti, per fare di più e meglio». Gli interessati a far parte degli ecovolontari, trovano informazioni all’ufficio ecologico in U.M.F. di Via Rizzarda, palazzina
della Comunità Montana (II° Piano), tel. 0439 317625; o possono contattare Ermes Zanella al 366 315 5814. Inviando una email di richiesta all’indirizzo segreteria.comunita@feltrino.bl.it, verranno fornite le informazioni necessarie, inviato il regolamento, la convenzione, e la scheda di iscrizione individuale per la quale servirà una foto formato tessera per il cartellino identificativo da indossare nelle uscite sul territorio, per le quali è predisposta una copertura assicurativa. All’atto dell’iscrizione verrà chiesto un recapito telefonico e l'autorizzazione a inserirlo nel gruppo WhatsApp utilizzato per l’organizzazione delle attività programmate.
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Il personaggio di Franco Zadra
Il Maestro Fabrizio Da Ros,
da Santa Giustina al mondo, affascinato dalla musica
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onoscendo la Schola Cantorum di Santa Giustina, nel numero scorso, ci è venuta incontro la straordinaria opportunità di intervistare il figlio del fondatore Alberto Da Ros, Fabrizio, che dal 2007 ha preso in mano le redini della compagine artistica paterna come direttore artistico e musicale della Schola Cantorum e poi dell’Orchestra Classica Italiana. Dal 2019 è docente di Esercitazioni orchestrali presso il Conservatorio Statale di Cosenza "S. Giacomantonio" e tiene il corso annuale di perfezionamento lirico presso l'istituto Benvenuti di Conegliano. Lavora con importanti registi e solisti, e ha diretto
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orchestre in sale concertistiche e Teatri di tutto il mondo: dalla Russia agli Stati Uniti, dal Messico all'Egitto, dal Portogallo all'India, incidendo per le maggiori case discografiche mondiali. Organizza il Valbelluna Opera Studio per lo studio del Canto lirico, giunto alla quarta edizione, ed è direttore artistico del Festival delle Eccellenze Venete "Libiam" nelle ville e castelli veneti, e molti altri impegni che non riusciamo a nominare tutti. «Sono figlio d'arte – dice il m° Da Ros -, formato nel coro di voci bianche paterno nella sperduta vallata bellunese che mi diede modo fin d’allora, non ancora decenne, di percorrere l’Europa, dalla Scandinavia alla Spagna, dalla Bulgaria all'Inghilterra, dalla Bielorussia alla Normandia». Dopo gli studi alla facoltà di Scienze Musicologiche dell’Università di Pavia nella sede distaccata di Cremona, i diplomi in Violoncello e Direzione d’Orchestra (Accade-
mia Musicale Pescarese) con il m° D. Renzetti e (al Wiener Konservatorium) con il m° Mas Conde, Fabrizio si perfeziona nell’Opera Lirica con lo stesso m° Renzetti, con il m° A. Zedda (Accademia Rossiniana) e con il m° G. Gelmetti (Accademia Chigiana). Affascinato dalla musica barocca e classica su strumenti d'epoca, studia con il m° F. M. Bressan, «Mio grande mentore», dice Da Ros, e con C. Hoegset e P. Neumann. Approfondisce nel contempo il Canto lirico con il m° A. Goussev a Milano e con il m° W. Matteuzzi, cantando da professionista dal 1995 al 2010 nelle
più importanti sedi concertistiche italiane ed europee tra le quali: Liceu di Barcellona, Lingotto di Torino, Musikverein di Vienna, Maggio Fiorentino, Comunale di Bologna, e al Festival di Salisburgo. Per un periodo è Assistente Direttore nei Teatri italiani più importanti - Teatro la Scala di Milano, Teatro dell’Opera di Roma, Gran Teatro la Fenice di Venezia, Teatro Verdi di Trieste, Teatro Marrucino, Teatro verdi di Pisa, e tanti altri -,
Il personaggio cominciando a muovere i suoi primi passi nel repertorio lirico, nei Teatri di Belluno e Feltre e successivamente in sempre più importanti teatri e Festival europei e non solo, tra i quali: i Pagliacci al Festival Leoncavallo, la prima grande tournée nel 2011 con Nabucco al Palais de la Musique di Strasburgo e in tutte le residenze austriache del Kasier con l'Orchestra e coro del Teatro Nazionale Rumeno dell'Opera di Cluji-Napoca, la Serva Padrona di Per-
golesi ad Ankara con Orchestra Baskent Academy, La Favola di Orfeo di Casella con l'Orchestra Maderna e la regia di I. Stefanutti. Ancora con l'Orchestra Filarmonica Pucciniana nel dittico Tabarro/Lodoletta presso il Teatro Goldoni di Livorno con regia di D. De Plano, con la Cairo Symphony Orchestra nel dittico Zanetto/ Il Segreto di Susanna presso la Cairo Opera House con la regia di G. Romagnoli, Don Giovanni al Teatro Nazionale di Belgrado, Aida all'Opera Romana Cra-
iova, Nabucco presso l'Opera di Stato di Banska Bystrica. «Particolare affetto – dice Da Ros - mi lega al Teatro della Moravia-Slesia, dove ricopro il ruolo di primo Direttore Ospite, e dove ho diretto Aleko, Pagliacci, e Carmen, e dirigerò in questo biennio, due importanti Oratori in forma Scenica: The Creation di Haydn, e Israel aus Egypt di Haendel». Una difficile scommessa, vinta, è stata per Fabrizio l'opera epica moderna Ramleela di A. Cocomazzi al Siri Fort Auditorium di New Delhi con l'Orchestra Sinfonica di New Delhi e la regia di M. Pucci Catena, ma anche Rita e Gianni Schicchi presso il Teatro Del Monaco di Treviso. Nel repertorio sinfonico/ sinfonico corale, ha diretto l'Orchestra Sinfonica dello Stato del Messico presso la Sala Felipe Villanueva di Toluca, e al Teatro Bicentenario di Città del Messico in vari programmi tra i quali la V sinfonia di Mahler, il Piccolo Requiem di Salieri al Festival Salieri, Il Festival di Musica Antica di Valere in Svizzera, e il concerto sinfonico alle Terme di Caracalla con L'orchestra Nova Amadeus con la quale ha poi affrontato un grande repertorio sinfonico da Beethoven a Schubert, Schumann, Bach, Mahler, Donizetti, Jommelli, Carissimi e Pergolesi.
«Molto emozionante – dice ancora Da Ros - il mio debutto alla Carnegie Hall di New York nel 2015 con la New England Symphony Orchestra. Di recente ho diretto l'Orchestra di Padova e del Veneto nella musica sacra schubertiana e in un progetto monografico sulle Bachianas Mexicanas del compositore vivente V. Rey, programma presentato anche nella Sala Svetlanov del Dom Musik di Mosca dove ho inciso il Cd monografico per l'etichetta Da Vinci e mi sono esibito nella prestigiosa Victoria Hall di Ginevra con la Filarmonica dell'Opera Italiana Bruno Bartoletti e nella Smetana Hall di Praga con la Bohemian Symphony Orchestra».
Questo mese lo aspetta la direzione di The Creation di Haydn al Teatro di Opava in Repubblica Ceca, e la registrazione di un'opera di Respighi in prima mondiale con il Teatro Verdi di Trieste. In agosto al Teatro Nazionale di Usti Nad Labem, ancora Repubblica Ceca, dirigerà un concerto sinfonico su Mendelssohn, e a maggio 2022 ritornerà alla Carnegie Hall di New York con un programma sinfonico su Beethoven. 53
Il senso religioso di Franco Zadra
Il nostro destino in gioco, per una inaudita intensità di vita
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niziamo con questo numero una nuova rubrica “Il senso religioso” che intende, senza grandi pretese, costituire uno spazio aperto di pensiero, uno sguardo attento sulla realtà di tutti i giorni che può rappresentare, e di fatto rappresenta per ciascuno di noi, anche nei fatti più semplici, stimolo e occasione per un rinnovamento personale e un sostegno a quella speranza che, nonostante tutto, ci ha fatto alzare dal letto anche questa mattina o, comunque, può far crescere quella libertà personale che rende meno incerti in nostri passi in direzione del futuro, per prendere seriamente quella formidabile intuizione poetica di Eugenio Montale – della quale lo stesso poeta sembra però dubitare – contenuta nella poesia “Prima del viaggio”: «Un imprevisto è la sola speranza». Questo primo articolo vorrebbe essere appunto quell'imprevisto – quando mai ci è capitato di leggere cose del genere in un periodico gratuito? – anche se nel suo apparire, rappresenta per forza una sorta di introduzione nella quale cerco di esplicitare il titolo “Il senso religioso” che mi è apparso quasi inevitabile nella ricerca di “qualcosa da dire” e che possa interessare i lettori di una rubrica fissa su Feltrino News. Non parleremo tanto di religione, quanto
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appunto di quel senso religioso che, lo si voglia oppure no, riguarda ogni essere umano. Parleremo, insomma, di umanità tenendo presente ciò che ebbe a dire il giovane Premio Nobel per la medicina Alexis Carrel, scomparso nel 1944 - chirurgo e biologo francese che ha contribuito in modo fondamentale ai progressi nelle tecniche di sutura dei vasi sanguigni e alle ricerche sui trapianti di tessuti e organi, essenziali per le audaci operazioni chirurgiche del nostro tempo -, a proposito dell'imparare dalla realtà così come ci si presenta in tutti i suoi dati, «poca osservazione e molto ragionamento conducono all'errore; molta osservazione e poco ragionamento conducono alla verità». Questo, intanto, per aiutarci a prevenire quella inclinazione a manipolare la realtà, per adattarla a quanto abbiamo immaginato sarebbe “meglio” che sia, ma non è. Tentazione nella quale, dicono, cadono spesso i giornalisti, ma dalla quale nessuno può sentirsi immune. Sarà quindi un percorso che non richiede prerequisiti “religiosi”, ma solo e soltanto il coraggio di osservare e riconoscere ciò che stiamo vivendo, seppure “in tutta sicurezza” data l'innocenza insita in una paginetta di stampa e l'assoluta libertà che abbiamo di lasciarci interrogare o meno da quanto andremo leggendo. Ogni volta proporremo una lettura per-
tinente all'argomento trattato così da dare almeno una indicazione per un eventuale approfondimento. Cominciamo quindi da un libro che forse i più conosceranno già dal titolo – verrebbe da dire “ovvio” - “ Il senso religioso” di Luigi Giussani, ed. Jaca Book, «esito di un lavoro di elaborazione – si legge nella IV di copertina - nato da anni di rapporto diretto con i giovani, per trasmettere loro un messaggio “urgente”... e descrive l'orizzonte del “senso religioso” come condizione permanente di apertura nello spettro delle potenzialità umane». Ci confronteremo quindi sulla vita, vissuta davvero, e complimenti a quelli che son già convinti di viverla. Alla prossima...
Fra storia e tradizione di Andrea Casna
San Prosdocimo di Padova. L'evangelizzatore di Feltre
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arebbe stato San Prosdocimo, vescovo di Padova vissuto nel I secolo d.C, a gettare le basi del cristianesimo nel feltrino. Di lui sappiamo poco e le principali informazioni provengono dalla tradizione agiografica. Nonostante la tradizione lo vuole come primo vescovo di Feltre, è Fonteio il primo vescovo feltrino di cui si abbia un vero riscontro storico. A Feltre le più antiche testimonianze della venerazione di san Prosdocimo risalgono al 1399. Si tratta della scritta che adorna il bordo superiore della vasca battesimale nella cattedrale cittadina. Nella cattedrale medievale, inoltre, si trovava un altare al lui dedicato. E sempre a Feltre vi sono due immagini del santo. Sono la statua lignea, opera dello scultore Francesco Terilli (15841635) e il dipinto seicentesco nel salone delle udienze del palazzo vescovile, dove sono raffigurati i vescovi feltrini. In questo dipinto San Prosdocimo è raffigurato vicino alla città di Feltre nell’atto di versarvi l’acqua del battesimo. Stando comunque alla tradizione cristiana, Prosdocimo fu uno dei primi discepoli
dell'apostolo San Pietro. Fu proprio il santo a consacralo vescovo per poi inviarlo a Padova per proseguire l'opera di evangelizzazione già in corso nel nord della penisola. Sempre secondo la tradizione, Prsodocimo sarebbe morto a Padova attorno all'anno 100. La tradizione cristiana, quindi, vuole Prosdocimo primo vescovo di Padova. La tradizione agiografica, infatti, vede il santo come l’evangelizzatore del Veneto centrale, esattamente del territorio compreso fra Este e Feltre. Sarebbe stato sempre lui, Prosdcimo, ad iniziare l'evangelizzazione dell'alto vicentino promuovendo la costruzione della prima chiesa locale a Pievebelvicino, sopra il già esistente tempio pagano dedicato a Diana. Prosdocimo proveniva dalla parte orientale dell'Impero Romano (aspetto comune a molti evangelizzatori del tempo come, per esempio, i tre martiri della Vale di Non, Sisinio, Martirio e Alessandro). Fu istruito alla fede cristiana ad Antiochia, assieme ad altri due compagni, Marco e Apollinare, dall'apostolo Pietro. Terminato questo primo percorso spirituale, Prosdocimo, Marco e Apollinare seguirono Pietro a Roma. Una volta giunti nella capitale dell'Impero l'apostolo inviò i tre compagni ad evangelizzare l'Italia settentrionale: Marco si recò ad Aquileia, Apollinare a Ravenna e Prosdocimo a Padova. A Padova Prosdocimo iniziò a diffondere il Vangelo e la tradizione cristiana parla anche di guarigioni miracolose. Da Padova il santo iniziò poi un viaggio che lo portò progressivamente all'evangelizzazione di Este, Vicenza, Asolo, Feltre e Treviso. Organizzò le comunità cristiane da lui fondate, ordinando sacerdoti e diaconi e fece costruire edifici di culto.
A Feltre – come narra il testo agiografico – dedicò a San Pietro la prima chiesa. Le testimonianze scritte non sono molte, e quelle poche esistenti sono relativamente tarde, e quindi poco attendibili sotto il profilo storico. Le fonti e la tradizione descrivono Posdocimo come un instancabile battezzatore. Ed è per questo motivo che, sotto l'aspetto iconografico, viene sempre raffigurato con il pastorale e con una brocca: quest'ultima un simbolo legato al sacramento del battesimo. Dalla fine del Settecento questa narrazione venne messa in seria discussione a causa di una serie di inesattezze storiche. Secondo ad alcuni studiosi, infatti, Prosdocimo non sarebbe mai esistito. Fu mons. Ireneo Daniele, al termine di una lunga e meticolosa ricerca, a fare luce sulla figura del santo. Secondo Ireneo Daniele il racconto agiografico, basato quindi sulla tradizione cristiana, è inutilizzabile per stilare un profilo storico e coerente. Il racconto, infatti, nasce solo nell’XI secolo, (quindi molti secoli dopo i fatti narrati). Diverso è il discorso sull'esistenza del santo: vi sono infatti molte testimonianze monumentali e liturgiche che dimostrano la presenza del culto di san Prosdocimo nel periodo precedente al racconto agiografico. Stando inoltre alle analisi di alcuni studiosi, non vi sarebbe nessun legame fra il santo e le città di Vicenza, Asolo, Treviso e Feltre.
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Il personaggio di Veronica Gianello
Contemporaneo tra fatti e parole: l’esperienza teatrale di Carmelo Bene
A
darci l’immagine più appropriata e veritiera di Carmelo Bene è forse il titolo di uno speciale del Maurizio Costanzo Show: uno contro tutti. In questo speciale c’è un solo ospite che viene messo a processo da una platea di critici e giornalisti. Questo format venne inaugurato nel 1994, proprio con Carmelo Bene. Uno contro tutti è la sintesi perfetta dell’uomo e dell’artista che ancora oggi porta un carico d’eredità pesantissimo che trascende l’ambito teatrale e artistico. Eppure, forse, lo stesso Bene correggerebbe questa definizione in qualcosa come ‘Uno contro tutti, compreso me stesso’ oppure ‘Uno contro tutti, ma tanto quell’uno non
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esiste, come non esistete voi’. Bene è definito avanguardista, neo-avanguardista, padre del nuovo teatro italiano, tuttavia il tratto principale della sua persona, prima ancora che della sua produzione, è quello di staccarsi di dosso senza remore ogni etichetta o convenzione. La forza della sua visione e del suo dubitare ogni cosa per credere solo alla bellezza dell’attimo che non può tornare, lo porta ad essere ancora oggi una delle figure più controverse del secolo scorso. È difficile ripercorrere la sua prolifica carriera in poche righe, come non è facile concentrarsi su un solo aspetto del suo lavoro. Da sempre disprezzato da molti per il suo essere così viscerale, e definito, al contrario, geniale e inarrivabile da una buona fetta di critica. Al di là dell’opinione pubblica sull’uomo e sull’artista, una delle più grandi lezioni che ci ha lasciato, è la capacità di maneggiare con maestria materiale artistico e letterario appartenente al passato per inserirlo in maniera coerente all’interno della contemporaneità.. Riadattare, riscrivere, rifare: verbi e azioni che dovrebbero definire con coraggio ciò che l’arte contemporanea dovrebbe fare. Tuttavia,
troppo spesso, l’arte contemporanea diventa la cosa più lontana possibile dal tempo in cui viviamo perché basata su astrazioni ed ermetismi unilaterali che si poggiano sul nulla. Per definirsi artisti contemporanei bisogna prima di tutto rendersi permeabili. Chiudersi e proclamarsi fuori dal proprio tempo, se non addirittura superiori, sbarra le porte ad ogni possibilità di creazione nel senso più stretto della parola. Carmelo Bene fu sperimentatore instancabile, e ogni sperimentazione partiva sempre da uno studio approfondito sul testo—e su tutto ciò che ad esso si collega e rimanda—che in molti casi si è trasformato in un innamoramento… o forse in un ossessione. Il suo amore per eccellenza è stato certamente Shakespeare e in particolare l’Amleto. Un amore durato più di trent’anni che iniziò con il debutto teatrale del 1961 a Roma, fortemente influenzato dalla lettura del testo di Jules Laforgue, Amleto, ovvero le conseguenze della pietà filiale di fine
Il personaggio Ottocento. Fu questo l’impulso che indirizzò lo stile e l’idea di teatro, assolutamente personale, di Bene. La capacità e la necessità di essere sia regista che attore non cozza mai con la coerenza dell’azione, anzi. A guardarlo superficialmente, dell’Amleto shakespeariano sembra esserci ben poco. L’opera di Bene si basa infatti sull’intertestualità, su una riscrittura radicale che porta alla perdita della fonte, e ad una versione critica dell’opera originale. Tuttavia nasce e si forma da una conoscenza talmente approfondita delle fonti stesse da potersi permettere la sperimentazione contemporanea. Lo stesso Bene infatti afferma: ‘Mettere in scena oggi il teatro elisabettiano, comunque lo si rivisiti o lo si riscriva, significa cadere nell’equivoco[…]. Il “Sogno di una notte di mezza estate”, lo stesso “Romeo e Giulietta”, sono stati teatro e proprio per questo non pos-
sono più esserlo. Io non metto in scena Shakespeare né una mia interpretazione o lettura di Shakespeare, ma un saggio critico su Shakespeare’. Questo amore ossessivo, dopo altre produzioni teatrali, sempre fortemente criticate, approda sul grande schermo. È del 1973 infatti la prima trasposizione cinematografica di Un Amleto di meno, seguita poi da due realizzazioni di sceneggiati per la televisione: Amleto del 1978, anche se filmato e preparato molto prima, ma considerato troppo ‘incandescente’, e Hommelette for Hamlet del 1990. Bene svuota la parola fino a renderla insensata, palesando sempre la sua teoria di fondo: nella
stupidità odierna, l’unico modo di intervenire sul classico e sulle alte vette tragiche antiche è quello di lavorare per parodia, svuotando e riempiendo il testo di quell’oscurità sacra che ancora oggi, tra ammiratori e detrattori, rimane modello e ispirazione del teatro contemporaneo.
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Gli indimenticabili di Alessandro Caldera
Puskàs: soldato ungherese, calciatore del mondo hanno contribuito a renderla immortale. Culturalmente parlando potremmo citare Dante, artisticamente Leonardo e sportivamente, Baggio oppure Tomba. In alcuni casi, che rappresentano però rarissime eccezioni, bisogna addirittura scomodare una figura retorica della nostra grammatica, ovvero l’antonomasia. L’utilizzo di questo termine implica la presenza di veri e propri prodigi nel rispettivo settore di competenza, come il già citato Dante per la poesia, oppure Maradona per il calcio. Ecco, il protagonista
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i sono uomini che con le loro gesta ed abilità hanno contribuito a rendere grande un Paese, o un popolo, al punto di diventarne quasi delle icone. Talvolta, queste imprese risultano così importanti, da permettere di identificare una stessa nazione con la donna o l’uomo che le ha compiute. L’Italia, ad esempio, può vantare un’ innumerevole quantità di persone che
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di oggi, non può essere paragonato al “Diez” perché nessuno forse ne è degno, in comune ha però un favoloso mancino, che lo ha portato ad essere
uno dei bomber più prolifici di sempre, e la capacità di risvegliare un popolo, in questo frangente ungherese, assopito ed intorpidito sotto l’oppressivo regime comunista. Di chi stiamo parlando? Ferenc Puskás. La stella magiara era attesa da un destino ineluttabile, costellato di forti delusioni e fantastici successi. Cresciuto in un quartiere popolare, si mostrò precocissimo, al punto che la Kispest, squadra locale, lo portò ad utilizzare lo pseudonimo di Miklós Kovács di anni 13, al fine di aggirare le norme vigenti che impedivano il tesseramento al di sotto del suddetto parametro di età. L’esordio avvenne in una giornata di novembre del 1943, quando Ferenc era da poco sedicenne. Riguardo a quel pomeriggio va ricordato un aneddoto curioso: il custode dello stadio non voleva ammettere il ragazzo perché ritenuto troppo piccolo, esile. Tempestivo fu l’intervento del padre-allenatore, Franz, il quale ammonì l’uomo, esortandolo a gustarsi l’incontro, perché del giovane avrebbe sentito parlare anche in futuro. Era vero: di “Öcsi”, il “fratellino”, così lo avevano ribattezzato i compagni per la corporatura fisica e la giovane età,
Gli indimenticabili si sarebbe parlato eccome. Nel ‘49, alla soglia dei duecento gol segnati in carriera, la formazione in cui militava divenne quella dell’ esercito, mutò il nome in Honved e i giocatori assunsero diversi incarichi, ad esempio quello di Maggiore, ricoperto dallo stesso Ferenc. Paradossalmente, due anni prima, Puskás aveva avuto l’opportunità di lasciare l’Ungheria e di accasarsi alla Juventus; l’affare era in dirittura d’arrivo ma Erzsébet, la moglie, in lacrime lo convinse a restare, per la gioia dei tifosi che lo vedranno realizzare, con quella maglia, 378 centri su 369 partite disputate. Quello stesso club fu la base per la costituzione della “Aranyc-
sapat”, la squadra d’oro, un termine coniato a seguito della vittoria da parte della nazionale ungherese dei giochi olimpici del 1952 di Helsinki, a discapito della Jugoslavia. L’anno seguente Ferenc e compagni, si imposero a Wembley contro i maestri del gioco, gli Inglesi, con il tennistico punteggio di 3-6 e un dominio del campo semplicemente devastante. Le parole del capitano dei Leoni, Billy Wright, risultano più che mai chiare per capire la forza dei magiari: “Mi sono sen-
tito un pompiere che arrivava all’incendio tardi e in più a quello sbagliato”. Quel trionfo, non fu solo il giusto riconoscimento per il calcio enciclopedico con il quale Öcsi e compagni incantarono il mondo, fu un momento di rivalsa e spensieratezza per un popolo fortemente spaesato dopo il distaccamento dall’area di influenza dell’Unione Sovietica, ma talmente grato da presentarsi alla stazione per accogliere i giocatori con più di 400.000 persone. Ora però bisogna ritornare a quel mondiale ‘54, divenuto inesorabilmente tragico per quello che comportò. Il calcio, ed in particolare la nazionale con i suoi successi, aveva contribuito a rendere meno evidente quanto fosse irrespirabile il clima politico, soprattutto i trionfi avevano glorificato il regime, all’opposto della sconfitta di quel giorno che fece emergere tutte le lacune. Questa situazione portò a quella funesta settimana del ‘56, passata alla storia come la “Rivoluzione ungherese”, repressa nel sangue e durante la quale Puskás fu ritenuto morto. Ferenc era vivo ma decise ugualmente di lasciare
il Paese, cosa che gli costò l’accusa di disertore. Nel ‘58 firmò per il Real Madrid dove, anche se fuori forma, “insegnò calcio” prima di ritirarsi a 37 anni e diventare allenatore. Nel 2006 una polmonite lo portò via all’età di 79 anni anche se in realtà Öcsi se ne era andato qualche anno prima, a causa di un male subdolo che lo attanagliava, il morbo di Alzheimer, tremendo per come si manifesta e per quello comporta, ossia la cancellazione di un bene inestimabile: i ricordi.
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Società in cronaca di Sabrina Chababi
“LA MILANO DA BERE NEMMENO IL COVID LA FERMA”
“Il primo bicchiere è per la sete, il secondo per la gioia, il terzo per il piacere, il quarto per la follia” - Apuleio
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uando si parla di ” Milano da bere” si parla, di un concetto nato negli eccitantissimi anni 80 del Novecento, quando la città era simbolo di novità e di affermazione. Era il luogo desiderato sia dallo studente, per un futuro importante, sia dall’italiano medio desideroso di allontanarsi dalla vita di paese, anche solo per qualche ora. Molti durate il Covid ovviamente questo concetto l’hanno dovuto mettere da parte e organizzarsi in diversa maniera per non perdere un' abitudine, se non addirittura un' esigenza, che dopo
una giornata d’ufficio o dopo ore ed ore a studiare richiede sia dedicato un momento di relax in compagnia. Una pausa con il classico aperitivo che in molti casi era una cena, un apericena, prima di tornare a casa. Anche perché, come si dice, Milano non si ferma mai. Nemmeno durate la pandemia quando anche il virus fatica a fermarsi e per questo il milanese ha sofferto di più anche, per la mancanza delle cose più semplici e quotidiane che ci davano quel senso di normalità che purtroppo ormai da un anno non assaporiamo più. Per cause diverse, facilmente immaginabili, però è aumentato il consumo di alcol. Le statistiche ci confermano che, l’uso di alcolici è aumentato del 63% perché comunque come diceva una famosa frase di Charles Baudelaire, il poeta maledetto, “Chi beve solo acqua ha un segreto da
Promuovere crescita è stato il volano del nostro 2020. Siamo felici di affermare la riuscita del nostro intento.
nascondere” e, in un anno come questo tutti hanno nascosto i loro segreti con un buon bicchiere di vino. Ma non solo il vino ci ha permesso di nascondere i nostri segreti o di rincuorare, le ore noiose del Lockdown ma anche i cocktail. Ma come fare contenti i propri clienti con i bar chiusi? Tre ragazzi milanesi ci hanno pensato e, come per l'uovo di Colombo, hanno trovato la soluzione: il Cocktail da asporto. Max, David e Gianni sono tre amanti del buon bere e con questa passione hanno negli anni girato il mondo, alla ricerca dei bar o dei locali che producevano i migliori cocktail. Nel 2015 hanno deciso, nonostante arrivassero offerte da settori lavorativi diversi, di fare di questa passione un lavoro e hanno cominciato a produrre una serie di cocktail “Made in Italy” che però potessero dare quel tocco in più legato al packaging moderno, alla possibilità di spedire il prodotto tramite corriere. Dopo un paio di anni di ricerche, sono arrivati al prodotto finale e proprio con l’inizio di questa pandemia il loro brand
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Società in cronaca ha un’esplosione pari alla bontà dei loro cocktail. Perché e vero che il DPCM, ci concede comunque di comprare alcolici al supermercato o di riceverli con i vari servizi di Glovo, Deliveroo, Amazon ecc.. Però diciamo la verità a quanti di noi manca il nostro Barman di fiducia che ci prepara un Manhattan oppure un Negroni? Con The Perfect Cocktail, questo il loro brand, a Milano non manca più perché posso averlo comodamente a casa e, con qualche cubetto ghiaccio posso immaginare di essere in un' isola insieme ad Hemingway o nello storico Bar Basso dove potevi incontrare Liz Taylor o Ava Gardner e i famosi stilisti della moda italiana. Grazie a questo kit di 10 cocktail possiamo fare il giro del mondo e riassaporare ricordi che in questo momento storico sono la cosa che ci manca di più. Ma conosciamoli meglio e ricordiamo che bere va sempre fatto in modo
moderato e attento perché ne va della nostra salute e vita e anche per quella degli altri. I cocktail hanno una loro storia e sono spesso legati a personaggi celebri. Ad esempio il “Negroni” è diventato famoso grazie ad un conte di Firenze che l‘ha creato. “L’Americano” è stato ideato da Primo Carnera che nel 1933 fu il primo italiano a vincere il titolo dei pesi massimi di pugilato. Il “Dry Martini” è il cocktail reso famoso da James Bond che lo adorava e lo beveva, shakerato non mescolato. Il “Cosmopolitan” che era sempre presente nelle scene della serie più amata dalle donne” Sex and the City” e poi il “Daikiri” nato all’
Havana ed Ernest Miller Hemingway lo beveva insieme al Mojito , purtroppo poco adatto al packaging. Gianni, Max e David con la loro innovazione mantengono viva una tradizione, un'abitudine, un mercato soffocato dalla pandemia ma, da giovani imprenditori guardano al mercato estero agli Stati Uniti, al Regno Unito, agli Emirati.
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Storie di casa nostra di Monica Argenta
Da balie a portinaie Storia poco conosciuta di una migrazione femminile verso la capitale lombarda. Un particolare fenomeno che ha visto le donne bellunesi utilizzate, dapprima come balie e successivamente come portinaie e altri lavori femminili.
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ochi ne hanno memoria personale ma molti conoscono la migrazione delle giovani donne bellunesi che da metà del 1800 agli anni 50 del secolo scorso sono state coinvolte dal fenomeno del “baliatico”: per sfuggire dalla povertà materiale più estrema, giovani donne migravano per lavorare come “balie asciutte” o “da latte” presso famiglie abbienti dell'alta borghesia o aristocrazia cittadine. Pochissimo, almeno fino ad ora, invece è stato riportato riguardo un altro aspetto conseguente al “baliatico”, tanto da poterlo considerare un'evoluzione, sia in termini storici che sociologici: la gestione delle le portinerie di Milano.
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Stiamo parlando di un fenomeno che ha inizio negli anni della Seconda Guerra: il centro storico di Milano, quello che circoscrive la zona Carrobbio-Duomo-Verziere-Foro Bonaparte-Corso Magenta-è ancora caratterizzato da un'atmosfera paesana, tutti si conoscono, tutte le classi sociali interagiscono quotidianamente. E' la Milano descritta con estremo acume e sensibilità da Emilio Gadda nell'Adalgisa, dove le donne sono ovunque, nei mercati, nelle cucine, “sciamano all'aperto d'estate” e sono loro le reali detentrici ed interpreti delle istituzioni. Sono loro l' esercito, le filosofe, le sociologhe di rivoluzioni di costume che piano piano influenzeranno i modi di vita di aree geografiche più allargate del nostro Paese. Qui anche l'ultima delle portinaie possiede verità clamorose, piccole o grandi informazioni che possono intersecarsi con la Storia. Tutte collegate da relazioni di sangue o appartenenza al medesimo territorio, le portinaie del centro milanese a partire dagli anni 1940 erano in moltissimi casi le figlie, le nuore, le paesane del precedente fenomeno del baliatico. Grazie ai rapporti di fiducia instaurati con i “siori de Milan”, queste donne risposero alla
carenza di personale maschile dovuta al secondo conflitto mondiale con la medesima capacità e volontà di contribuire al miglioramento della propria condizione economicasociale ripiegando sull'opportunità di occupare, o fare occupare alla generazione successiva, quei piccoli alloggi presenti in ogni palazzo. E quella posizione, di fatto, si rivelò poi nei decenni successivi estremamente strategica. Come nei migliori romanzi di fantasia, le portinaie di Milano furono solo apparentemente delle figure di secondo piano. Innanzi tutto godevano della massima fiducia del proprietario dello stabile, fiducia garantita sulla parola della inter-
Storie di casa nostra
mediaria che le presentava e comunque suggellata anche da uno speciale “patentino” rilasciato dalla Questura. E questo permetteva loro di avere le chiavi e l' accesso indiscriminato agli appartamenti, di ritirare la posta e sorvegliare orari e frequentazioni dei condomini: una mole di informazioni, o dati sensibili, da far impallidire ogni garante della privacy, inteso in senso moderno. Va aggiunto che i condomini stessi, poi, un po' per imbarazzo o un po' per fiducia e familiarità, erano soliti confidarsi, svelare i particolari più intimi della propria esistenza. E questa dinamica era tutta a favore della portinaia che più o meno consapevolmente aveva “materiale di scambio” per interpretare e a volte indirizzare, opinioni e scelte di intere famiglie a distanza di isolati, se non oltre. A fronte di un alloggio gratuito ed un esiguo salario per un duro lavoro, considerata la loro delicata posizione, non mancavano comunque le laute mance e le piccole o grandi attenzioni rivolte specialmente ai bambini: spesso i figli della portinaia venivano indirizzati verso studi scolastici o percorsi lavorativi più tipici a una borghesia cittadina che a un retaggio contadino. Le portinerie, quindi, fungevano da veri e propri ascensori sociali per la generazio-
ne successiva, ma non solo. La portinaia, oltre a tener pulite la scala e l'ingresso, aveva il potere di una agenzia di collocamento per abitazioni e/o impiego. Capitava, per esempio, anche semplicemente che a mariti o a fratelli fosse offerta stagionalmente la mansione di “fochisti”, ovvero il dover sistemare le caldaie dei palazzi. Questo significava dare l'opportunità alla componente maschile della famiglia, che spesso rimaneva al paese ad occuparsi dei campi, di un introito salariato , che chissà, con un po' di fortuna, si poteva poi trasformare in
qualcosa di più continuativo. La posizione di intermediarie tra il paese e la città garantiva così alle donne emigrate una certa posizione di riverenza e soprattutto molta gratitudine, espressa anche anche da flussi continuo di prodotti genuini, a loro volta impiegati per consumi o scambi strategici. Ma al di là della convenienza personale, che a quei tempi si sovrapponeva sempre a una convenienza collettiva famigliare o territoriale, non mancarono certo atti di generosità rivolti a tante persone in difficoltà. Palmira Centeleghe, di Roncoi di San Gregorio nelle Alpi, e chissà quante altre, agevolò la fuga ad ebrei perseguitati e sistemò temporaneamente persone di fiducia in alloggi degli sfollati che in altro modo sarebbero stati depredati. Ad un certo punto però questa particolare migrazione finì, forse perché verso gli anni 1980 l'intero nostro Paese cambiò. Piano piano le portinerie a Milano, anche nelle vie più prestigiose, vennero chiuse. Al loro posto, i citofoni o tutt'al più un servizio orario di un lavoratore turnante, dipendente di una impresa di pulizie. E a Milano, sempre più cosmopolita, è sempre più difficile sentire quel “sciamare di api” composto anche dal dialetto delle nostre valli.
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Storia di donne e alberi di Waimer Perinelli
CIOLDE o BELUMATE VIAGGIO di LAVORO C'è un albero che unisce la storia di indigenza ed emigrazione di trentini e bellunesi. Si trovava in piazza Duomo a Trento e all'inizio della bella stagione con la sua ampia chioma riparava bellunesi e trentine alla ricerca di lavoro. Quell'albero secolare è stato tagliato, ma la sua storia è ancora viva. C'è un albero immaginario in una cittadina pugliese sotto le cui fronde si sedeva, per giorni interi, il maestro Anselmo Bordigoni emigrato per forza. Di questa pianta ci parla lo scrittore Piero Chiara.
Ho conosciuto lo scrittore Piero (Pierino) Chiara nel 1978 quando ho letto i romanzi “La stanza del Vescovo”, il viaggio fantasioso, trasgressivo e divertente di un giovane uscito dalla guerra con una
barca con cui veleggia sul lago Maggiore. La scrittura leggera, la descrizione a pennellate della bellezza naturale dei luoghi, l'intrigo sentimentale mi hanno affascinato facendomi desiderare d'incontrare l'autore. La fortuna ci ha messo lo zampino e lo stesso anno a Venezia, quando ancora i giornali di provincia potevano permetterselo, fui inviato al Premio Campiello e nella giuria c'era Piero Chiara. Lo ricordo come una persona minuta, schiva e cortese, tutto il contrario del libertino descritto nelle sue biografie, portava un cappello, un Borsalino, da cui pareva staccarsi malvolentieri. Sedeva in prima fila, io qualche fila dietro. Mi presentai e fu quasi sorpreso, ma conoscendolo meglio, di sicuro ironicamente gentile, quando manifestai il mio entusiasmo. Tuttavia un mese dopo ho ricevuto al giornale una lettera in cui mi ringraziava.
La conservo fra i suoi libri e fra questi c'è “Il Balordo” un romanzo scritto nel 1967 tornatomi alla mente pochi giorni fa mentre riflettevo sul fenomeno del caporalato della prima metà del 900 in Trentino e sulle donne bellunesi che con sudore e fatica, loro malgrado, lo assecondavano. Ciolde o Belumate così venivano chiamate le ragazze che per sfuggire alla miseria migravano nel Trentino, non meno povero, ma con carenza di manodopera, donne di servizio o contadine, per soddisfare le necessità delle famiglie più ricche. Poi come spesso accade, non essendoci scambio d' informazioni sul mercato del lavoro, giovani trentine emigravano a Venezia o Milano per lo stesso motivo. Le ragazze bellunesi a primavera lasciavano le abitazioni e, o attraverso il Tesino ed il Primiero sulle strade dei Perteganti, o scendendo da Arsiè piuttosto che
LA PAROLA AI LETTORI COMUNICATO DI REDAZIONE
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Storia di donne e alberi Fonzaso o Lamon verso Cismon, a piedi, raggiungevano Trento. Il ritrovo era in piazza del Duomo dove, nel mezzo, fra la fontana del Nettuno e Palazzo Pretorio, c'era un maestoso e centenario tiglio. Sotto le sue ampie fronde le Ciolde si univano alle ragazze trentine che dalle valli per lo stesso motivo arrivavano nella città del principe vescovo. Un albero simile lo troviamo nel romanzo di Piero Chiara ad Altavilla del Cilento, una pianta grande, frondosa che per antica tradizione viene chiamata Il Buon Cazzone. Scrive Chiara : «L'albero al quale si riferivano antiche leggende veniva chiamato "il Buon Cazzone". La denominazione era tanto antica e radicata negli altavillesi che nessuno, nemmeno i parroci, poterono mai trovarvi rimedio.” In questo paesino pugliese viene confinato dai fascisti il maestro Anselmo Bordigoni, reso disoccupato dalle idee contrarie al regime e non conformi alla
professione e inventatosi a ragione, musicista. Anselmo amava sedersi a lungo sotto la sua chioma. I paesani lo avevano preso a benvolere e con il tempo lo soprannominarono come l'albero: il buon cazzone. Abbandoniamolo al suo destino per ritrovare le ragazze bellunesi e trentine sotto il tiglio di piazza Duomo dove i possidenti della città e delle valli, a piedi o in calesse, sceglievano le persone da assumere per una stagione o più anni. All'inizio del Novecento, come testimonia il bel libro di Maurizio Panizza “Diario familiare”, una donna di servizio veniva pagata 3,5 fiorini al mese, un buon salario, faticosamente guadagnato. Ragazze e ragazzi alimentavano il mercato della mano d'opera fuggendo da famiglie troppo povere per nutrire tante bocche in tempi in cui si nasceva con eccessiva frequenza e le risorse erano scarse. Alla
selezione naturale provvedevano la carenza igienica, la cattiva informazione sanitaria e malattie pestifere come la pellagra. Le Belumate erano particolarmente apprezzate per forza, capacità e coraggio; ce ne vuole molto di coraggio per andare tanto lontano da casa in un'altra regione in un'altra nazione. Era un mondo che sarebbe piaciuto a Piero Chiara scrittore della realtà di provincia ed ironico, sarcastico fustigatore delle banalità quotidiane.
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LLUNO ED OLTRE FESTIVO
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Le associazioni feltrine di Nicola Maccagnan
Famiglia Feltrina:
da oltre 60 anni testimone dei valori della comunità locale.
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’avvocato Enrico Gaz è da alcuni anni presidente di Famiglia Feltrina, uno dei sodalizi che, forte dei suoi 63 anni di storia, può a ragione essere annoverato tra i più longevi della città. Presidente, anzitutto qualche cenno sulla storia dell’associazione... Famiglia Feltrina nasce il 16 settembre del 1958; lo scopo fissato nello statuto originario era quello di favorire e potenziare i valori morali, sociali, artistici, storici ed economici del Feltrino. Questa finalità venne via via sviluppata nei decenni con varie iniziative, tra cui - in particolare - la nascita di una rivista denominata “El Campanon” (di cui parleremo più avanti). Perché la scelta del nome Famiglia Feltrina? Fu una scelta che mirava a collegare le finalità statutarie del potenziamento dei valori storici del Feltrino con i legami comunitari, sia all'interno della città,
sia della città con il suo comprensorio: guardare quindi al Feltrino come ad un'unica comunità unita, sul modello, appunto, di una normalissima famiglia. Questo valore di famiglia che, dopo oltre 60 anni, è ancora il tessuto connettivo dell'associazione... Esattamente. Noi pensiamo che ogni comunità, pur nei vari cambiamenti di epoca, di periodo, di contesto storico, anche amministrativo, sia in grado di rigenerarsi solo se interpreta le relazioni interne di qualsiasi tipo e in qualsiasi settore come delle relazioni tra persone che intendono operare proprio come all'interno di una famiglia. Quali sono oggi i “numeri” dell'associazione? L'associazione si è mantenuta sempre entro un assetto associativo molto robusto; attualmente abbiamo circa 300 soci; soci che in larga parte appartengono al territorio feltrino, ma per una parte altrettanto considerevole sono
“dispersi” in Italia e nel mondo; si tratta di tanti feltrini che per ragioni di lavoro o per scelte personali o familiari si sono allontanati dalla piccola terra natia e che vedono nel legame con la nostra associazione il modo per ritornare alle proprie radici di origine. Com'è strutturata oggi l'associazione? La nostra è una associazione di promozione sociale, quindi un'associazione a carattere non lucrativo, che tuttavia ha scelto una struttura molto leggera che si basa essenzialmente su due organi: l'assemblea sociale, che si riunisce annualmente, e il consiglio direttivo, che invece opera in maniera periodica per l'organizzazione delle varie attività. Quali sono le principali attività che caratterizzano la vita di Famiglia Feltrina? L’attività che, possiamo dire, permane fin dalle origini è proprio quella legata alla pubblicazione della rivista associa67
Le associazioni feltrine
tiva. La rivista, nata inizialmente sotto il nome “El Campanon” come una sorta di bollettino e di notiziario informativo del sodalizio, ha acquisito via via negli anni qualità e prestigio come voce culturale dell'intero comprensorio. Ora è appunto una rivista che viene acquistata e letta anche da non soci e in altri ambiti specifici, come le istituzioni locali e le biblioteche. Questo è un elemento qualificante che ha portato via via altre modifiche, tanto che – proprio per coordinare il nome della rivista con quello dell’associazione – la pubblicazione ha cambiato la sua titolazione in “Rivista Feltrina” sul finire del secolo scorso. Oramai da vari decenni un'attività stabile di Famiglia Feltrina è anche quella del riconoscimento, attraverso dei premi, a persone o a realtà che interpretano qui valori sociali, morali, storici ed economici del Feltrino a cui lo statuto impegna l’attività dell'associazione. Vale la pena di spendere qualche parola proprio su questi premi che sono già conosciuti in larga parte anche dalla cittadinanza... Questi premi vengono consegnati in due occasioni. Vi è anzitutto un premio primaverile, collegato alla festa dei patroni di Feltre e del Feltrino, i Santi Martiri Vittore e Corona, da cui il riconoscimento prende il nome. Il riconoscimento viene consegnato ad una personalità che, attraverso il proprio prestigio in vari campi dell’attività pro68
fessionale, culturale, artistica, sportiva o sociale, ha portato il nome di Feltre nel mondo e attraverso questo successo di vita ha saputo rimanere sempre fedele alle radici della nostra comunità. Abbiamo poi tre premi autunnali: uno di essi si ispira alla figura del Beato Bernardino e guarda a chi vive i medesimi ideali di carità e di attenzione agli ultimi e alle fragilità interne alla nostra società. Un secondo riconoscimento si ispira idealmente a Vittorino da Feltre ed è rivolto agli studenti meritevoli, che si sono fatti onore nell'ambito della maturità. Il terzo premio invece cerca di scovare nella realtà economica del Feltrino le “storie” produttive più interessanti e vitali e prende il titolo di premio “Feltre & Lavoro”. Recentemente Famiglia Feltrina si è
aperta anche all'era del digitale. In che modo? Questo è un passaggio che stiamo ancora completando; abbiamo messo a punto il nostro nuovo sito come fase iniziale di questo processo di digitalizzazione, che dovrebbe entro breve termine portare on-line anche la totalità dei numeri della nostra rivista, in modo da renderli accessibili agli studiosi, agli studenti, ai ricercatori e a tutte le persone interessate. L’obiettivo è avere anche uno strumento di collegamento nuovo, fresco e più aggiornato con i nostri soci. Viviamo tutti un periodo oramai lungo di emergenza sanitaria legata alla pandemia da Covid-19. Come ha impattato questo periodo storico del tutto particolare sulla vostra vita associativa? E’ chiaro che come tutti ne abbiamo subito le conseguenze; conseguenze che per noi sono state ancora più incisive, proprio per quanto dicevamo all'inizio: il nostro essere famiglia non può essere vissuto “a distanza” e richiede - in quei momenti ormai tradizionali in cui l'associazione si ritrova e con essa la comunità - quella presenza che cementa i legami che fanno parte della vita quotidiana della città. Proprio per questo, l'anno scorso abbiamo dovuto rinunciare alla consegna dei premi e
Le associazioni feltrine limitare la nostra attività ad una parte calibrata sulla sola premiazione degli studenti. In chiusura le chiedo, guardando avanti, quali sono i programmi di crescita di Famiglia Feltrina nel breve e medio termine. C’è alle viste qualche progetto particolare? Il nostro programma è quello di continuare a far dialogare il passato con il presente e con il futuro: “vivere nel futuro le nostre radici”, vorrei dire con uno slogan, ben sapendo che essere fedeli alla tradizione non è semplicemente ripeterla, ma è vivere lo spirito di chi l’ha introdotta e poi innovata. In quest'ottica, abbiamo in programma, soprattutto sul versante culturale, due iniziative di grande spessore: una riguarda la pubblicazione di un volume dedicato alle immagini cristologiche
della città di Feltre, i “soli” del Beato Bernardino Tomitano, volume che sarà curato da Tiziana Conte e che pubblicheremo in memoria del nostro presidente onorario Leonisio Doglioni, che ci ha lasciato da qualche tempo.
Un altro grande progetto, in collaborazione con il Comune di Feltre, riguarda invece la pubblicazione dei manoscritti di Daniello Tomitano, che possiamo considerare il vero padre della storia feltrina.
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Uomo e Società di Alex De Boni
La Cracking Art Per la tutela dell’ambiente
L
a Cracking Art sbarca nel bellunese, precisamente nella piazza e gli edifici storici di Mel con delle lumache rosa giganti. Ma di cosa parliamo? Il movimento Cracking Art nasce nel 1993 con l’intenzione di cambiare radicalmente la storia dell’arte attraverso un forte impegno sociale e ambientale che unito all’utilizzo rivoluzionario dei materiali plastici mette in evidenza il rapporto sempre più stretto tra vita naturale e realtà artificiale. Gli artisti lavorano anche in modo indipendente interpretando, ciascuno
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secondo le proprie esigenze, le problematiche e le tensioni del nostro tempo. Cracking è il termine inglese che viene utilizzato per indicare la trasformazione del petrolio in plastica. La tutela dell’ambiente è una tematica ricorrente tra coloro che praticano questo stile artistico. “Cracking è quel processo che trasforma il naturale in artificiale, l’organico in sintetico. Un procedimento drammatico, se non è controllato, una scissione che ci mette tutti di fron-
te a realtà nuove”, raccontano i fondatori del gruppo. A Mel sono state istallate delle enormi lumache che simboleggiano la ripartenza dopo un periodo difficile, lente ma costanti come lo sono questi simpatici animaletti. Le chiocciole
rappresentano per l’amministrazione comunale il turismo lento che viene promosso in contrapposizione al turismo mordi e fuggi di massa, che soffoca il territorio e non lascia nulla nè al turista nè agli abitanti. La loro bava, utilizzata in cosmesi come rigenerante, avvolge il nostro territorio in un cambiamento innovativo. L’iniziativa denominata “Fuori dal Comune” vedrà esposte le opere fino al 30 settembre ed è stata resa possibile grazie all’associazione Feudo di Mel, alla ditta di raccolta rifiuti Bellunum Srl con il patrocinio del comune di Borgo Valbelluna. Le opere sono realizzate con plastica riciclata per inspirare a livello comunitario una conversazione circa l’importanza e l’impatto ambientale del riciclo, scegliendo una modalità espressiva che unisce le logiche del gruppo a quelle dell’indagine individuale e che si esprime per azioni performative coinvolgenti, in cui
Uomo e Società animali colorati e decisamente fuori scala invadono i luoghi più vari, dagli spazi propriamente deputati all’arte a quelli della vita quotidiana. Rigenerare la plastica significa sottrarla alla distruzione tossica e devastante per l’ambiente donandole nuova vita, farne delle opere d’arte significa comunicare attraverso un linguaggio estetico innovativo esprimendo una particolare sensibilità nei confronti della natura. L’installazione dal titolo Fuori dal
Comune è stata possibile anche grazie alla sensibilità e alla visione dell’Associazione Feudo che da anni promuove eventi artistici di grande rilievo su tutto il territorio. “Fuori dal Comune rappresenta la tipicità del comune sparso nel quale si incontrano realtà differenti ad ogni chilometro. Fuori dal Comune sono le persone che si dedicano all’arricchimento culturale ed umano del proprio territorio, all’inclusione delle diverse capacità come per gli ospiti del centro diurno “Noialtri” di Mel che supportano e partecipano alle iniziative artistiche. Fuori dal Comune è l’augurio per un ritorno ad una vita normale. Fuori dal Comune è e deve essere l’attenzione che tutti noi dobbiamo porre alle tematiche ambientali, in primis a quella dei rifiuti”, commenta Andrea Robassa, storico membro del Feudo.
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Società, Covid e informazione di Alice Rovati*
Un’epidemia di false notizie L’emergenza Covid 19 ha esasperato la propagazione delle bufale: la salute è, infatti, uno degli argomenti preferiti da chi diffonde notizie false. Un fenomeno che oggi ha assunto proporzioni preoccupanti, al punto da mettere in allarme la stessa Organizzazione mondiale della sanità. Non a caso è stato coniato il termine “infodemia”: una situazione di caos informativo in cui le notizie, in gran parte false o non verificate, si propagano senza controllo soprattutto attraverso i social network (ma non solo), provocando danni gravi alla tenuta sociale e alla fiducia dei cittadini in chi sta gestendo la crisi. Sono soprattutto i social network, incluso Whatsapp, che in questo periodo rendono virali le notizie infondate. Arriva un messaggino e subito si condivide, senza pensarci troppo. Purtroppo la diffusione delle notizie avviene con meccanismi molto particolari. Sebbene in rete si trovino tantissime informazioni diverse, tendiamo sempre a cercare e condividere quelle che confermano i nostri preconcetti. Ci chiudiamo in quelle che vengono definite “echo chambers”, camere dell’eco, bolle in cui rafforziamo e diffondiamo le nostre convinzioni, senza verificarle. La situazione di incertezza che si è creata con l’epidemia ha esacerbato questo meccanismo: paura e preoccupazione sono basi potenti su cui fanno leva le fake news. Un altro aspetto inquietante è la velocità con cui
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WEBINAR PER GENITORI 18 maggio | ore 17.30 Impara a distinguere il vero dal falso: fake news e phishing
26 maggio | ore 17.30 Diffondi la gentilezza: cyberbullismo e hate speech
REGISTRATI QUI viaggiano queste notizie. Il modo più efficace per arginare la diffusione delle bufale è quello di fornire gli strumenti critici ai cittadini, rendendo pervasiva l’informazione di qualità. Tra i punti più significativi c’è quello di rompere le catene di passaparola, non condividendo nulla di cui non si conosca l’affidabilità della fonte, soprattutto se la notizia che circola è troppo buona o troppo cattiva per essere vera. Più in generale, esistono alcune semplici regole da seguire che posso-
no aiutarci a individuare le fake news e a starne alla larga. 1. Diffidare dei titoli altisonanti. 2. Leggere tutta la notizia e non fermarsi al titolo. 3. Fare una ricerca sulla fonte. 4. Fare un controllo incrociato: associare il nome della fonte a parole come 'bufala' o 'fake' su un motore di ricerca per verificare che non si tratti di contenuti ingannevoli. 5. Controllare che nell’indirizzo del sito compaia il protocollo di sicurezza https e verificare la testata. 6. Fare attenzione alla formattazione delle pagine web: errori di battitura, refusi
Società, Covid e informazione e layout inusuali spesso segnalano contenuti di bassa qualità. 7. Verificare data e località delle notizie per capire se sono aggiornate. A volte una notizia non è falsa, ma semplicemente superata o vecchia. 8. Fare attenzione alle foto e ai video. Fare clic con il tasto destro sull'immagine da verificare e selezionare "Cerca l'immagine su Google" per controllare se quell'immagine è apparsa su altri siti, se è datata o contraffatta. 9. Assicurarsi che la notizia riportata non sia uno scherzo. 10. Riflettere prima di condividere o commentare una notizia facendola cosí diffondere. Per dettagli sul decalogo della buona informazione: https://safety.google/intl/it_it/comeinfor-
marsionline/ Altroconsumo, in collaborazione con Fondazione Mondo Digitale e Google promuove "Vivi Internet, al meglio", un progetto sulla cittadinanza digitale con l'obiettivo di aiutare studenti, docenti e genitori a vivere il Web e la tecnologia in modo responsabile e consapevole, apprendendo i principi di base della sicurezza online e dell'educazione civica digitale. Nel mese di maggio si terranno due webinar formativi totalmente gratuiti rivolti alle famiglie per aiutare i genitori a guidare i propri figli nel mondo del web.
18 maggio, ore 17.3018.30 - Fake news e phishing 26 maggio, ore 17.3018.30 - Cyberbullismo e hate speech La partecipazione è gratuita, basta registrarsi al seguente link: https://register.gotowebinar.com/rt/3878551869887872784 selezionando dal menù a tendina l'appuntamento di interesse (è possibile iscriversi a entrambe le date iscrivendosi ad ogni singolo incontro). Per info e contatti: g.cirelli@mondodigitale.org - cell. 3284224892
*La dott.ssa Alice Rovati è rappresentante provinciale di Altroconsumo- Trento- e membro del Consiglio di Altrocunsumo.
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La PAGINA VERDE in collaborazione con
L’orto in casa e in giardino
S
econdo la scienza medica coltivare un orto non solo è un utile passatempo per produrre qualcosa in proprio e di veramente genuino, ma è anche un metodo naturale e utile per rilassarsi combattendo il tran tran quotidiano e vivendo i colori e i profumi della natura. Per la buona riuscita di un orto, basta osservare e rispettare alcune regole semplici ma fondamentali. Dapprima deve essere scelto il terreno idoneo che deve necessariamente essere pianeggiante, molto soleggiato con luce diretta perché è l’esposizione al sole che garantisce i migliori risultati e vicino a una fonte d’acqua perché la buona irrigazione è indispensabile alle piante per una crescita rigogliosa e ottimale e possibilmente in zona riparata dal vento. Una delle piccole accortezze da utilizzare in merito all’irrigazione è che da maggio
in poi le temperature tengono ad aumentare quindi buona cosa è innaffiare l’orto nelle prime ore della mattina oppure nel tardo pomeriggio dopo il tramonto del sole in modo da evitare gli eccessivi sbalzi di temperatura che possono causare l’appassimento delle piantine. Da ricordare che la stragrande maggioranza delle verdure estive ha bisogno di almeno 6-8 ore di sole. Eccezione per le verdure a foglie verdi e larghe (lattuga, piselli, ecc.) che riescono a crescere anche in zone ombrose. In questi ultimi anni è sempre di più aumentata la pratica di creare un “piccolo” ma funzionale orto sia sul terrazzo sia in uno spazio funzionale della propria abitazione. E l’aspetto realizzativo è veramente facile. Da considerare che il terrazzo è uno spazio limitato e quindi non solo è necessario sfruttarlo al meglio e per bene, disponendo i vasi in modo ottimale e funzionale, ma deve essere ben esposto al sole per garantire alle piante la necessaria e indispensabile luce solare. Anche in questo caso evitare le zone d’ombra e coperte. Mentre nel tradizionale orto molte sono le piante che possono essere utilizzate nel terrazzo, invece,
www.vivaioscariot.it Loc. Casonetto a Feltre Cell. 388.6243760 è necessario selezionare quelle che possono essere coltivate in un apposito contenitore sistemato all’uopo. Normalmente si possono usare grandi vasi o contenitori oppure grandi fioriere, adatte ad accogliere le piante da coltivare, dalle dimensioni di almeno 1 mtx1mt e alte circa 50 cm. Ovviamente tali dimensioni possono variare rispetto allo spazio disponibile. Ma quali le piante indicate per la coltivazione in terrazzo? A tal proposito è bene sottolineare che esistono varietà maggiormente indicate e più semplici da coltivare, anche per i meno “esperti” : la lattuga o altro tipo d’insalata, il basilico, il prezzemolo, il pomodoro, i cetrioli e le gustose fragole. Queste piante sono in grado di dare più raccolti. Ovviamente, per i principianti, è bene rivolgersi sempre a un esperto o un vivaista il quale sapranno consigliarvi e suggerirvi le idonee e appropriate modalità di coltivazione.
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Girovagando di Fiorenzo Malpaga
IL NEPAL
È
un piccolo stato incastonato fra la Cina e l’India, circondato a nord dalla imponente catena dell’Hima-
laya. Il viaggio per raggiungere la capitale Kathmandu, da Varanasi in India, è stato un’ avventura, sette ore di taxi fino al confine con una auto scassata e con la quale abbiamo forato due volte. Lungo il percorso abbiamo incontrato immense distese di risaie. In India, infatti, ci sono oltre cinquanta specie di riso. Abbiamo visto villaggi con donne dai veli colorati, che acquistavano verdura o riso nei mercati disseminati lungo le
strade, e ci siamo imbattuti in qualche elefante che passeggiava tranquillo, guidato dal suo conducente, che quasi non si notava, tanto sembrava piccolo, in confronto al pachiderma. I bambini erano sempre sorridenti nelle loro uniformi scolastiche, ci salutavano volentieri stipati nei tuc-tuc. Poi finalmente il confine col Nepal. Ricordo il trambusto per ottenere il visto, la ricerca di un auto che ci conducesse a Kathmandu. Era notte. Una strada pericolosissima, trafficata da autotreni, piena di curve e buche. Il nostro autista è stato bravissimo e in due casi è riuscito ad evitare camion che tagliavano le curve per evitare cunette e fossi. Dopo sei ore di auto, le luci di Kathmandu. Sfiniti ci siamo fatti condurre all’hotel Potala, Per la prima notte non abbiamo badato a spese. Il giorno successivo ci siamo trasferiti all’hotel Pokhara, nel quartiere del Thamel, un albergo decisamente più economico. Letto duro, niente acqua calda, doccia in comune con altre stanze, colazione al bar del piano terra al freddo, lucchetto personale per chiudere le porta. Di po-
sitivo c’era però uno splendido terrazzo per esporsi al sole, con vista sulle cime himalayane. Fuori le stradine strette, piene di negozi di ogni tipo, con tantissime moto e risciò, le biciclette a tre ruote che possono trasportare due passeggeri e che circolano in maniera caotica; devi guardarti davanti e dietro per non essere investito. Rammento l’emozione provata nel visitare i magnifici templi di Durbar Square, dove venivano incoronati i re, e soprattutto il tempio Kumari, decorato con splendide balconate in legno, dove viene ospitata una giovane vergine che rappresenta la Dea vivente degli hindu a protezione della città. Minuscoli laboratori artigiani sono frequenti lungo tutte le viuzze. In essi si lavora ancora a mano e si ricamano, ad esempio, simpatiche magliette ricordo. Agli angoli delle piazze s’ incontrano i “baba”, tipici santoni indiani con vestiti stravaganti e lunghe chiome di capelli bianchi, che non puoi non fotografare. Però ti chiedono in cambio cento rupie… Le interruzioni di corrente a Kathmandu sono quotidiane, e durano parecchie ore; negli alberghi ci si accorge dal rumore intermittente dei generatori. Questa è una città frenetica, polverosa e inquinata, al punto che molti per strada, soprattutto i giovani, indossano le mascherine antismog. Per strada è impossibile non guardare i negozietti, ricolmi di ogni genere di cose, pieni di colore ed atmosfere orientali, oltre che maleodoranti di scarichi fognari. Molti sono i negozi che vendono attrezzature e indumenti specifici per le spedizioni sull’Himalaya.
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Girovagando
Di particolare interesse è risultata la visita allo Stupa di Kathesimbhu, con la cupola dorata, ornato di bandierine ed il grande ceppo di legno nella cui bocca i più poveri gettano monetine per combattere il mal di denti. Suggestiva pure la visita al “Giardino dei sogni” ricolmo di fiori e piante esotiche, una delle poche aree tranquille della città e una passeggiata alla famosa Freak Street, punto di incontro degli hippies di tutto il mondo negli anni Sessanta-Settanta, che venivano qui alla ricerca della libertà, dell’illuminazione spirituale e … della droga. La popolazione del Nepal è un crogiuolo di razze ed etnie: le caratteristiche somatiche più evidenti sono quelle degli indiani e dei tibetani, a cui si aggiungono tratti mongoli. I nepalesi non fanno vita notturna, alle 20.00 chiudono i negozi e poco dopo le strade si spopolano. Sempre più facile però incontrare ragazzi del posto che propongono ai turisti l’acquisto di hashish. Che dire del magnifico Swayambhunath, noto come “il tempio delle scimmie” , perché frequentato da migliaia di macachi, con la sua immensa scalinata, lo Stupa dorato con lo sguardo del Buddha dipinto su quattro lati, e con 76
tredici gradini che rappresentano tredici stadi per raggiungere la perfezione; le bandierine con i versi sacri, il lungo percorso dei pellegrini, che fanno girare le ruote di preghiera che racchiudono i mantra e le donne che cantano inni di invocazione, ripetitivi e incessanti. Un altro importante tempio hindu è quello di Pashupatinath, lungo il fiume Bagnati sulle cui sponde vengono ce-
lebrate le cerimonie di cremazioni, un luogo sacro per i nepalesi. E poi c’è Boudhanath, il tempio Stupa più grande dell’Asia. Migliaia di pellegrini girano in senso orario ogni giorno attorno all’enorme piazza, recitando i mantra. Nella calca delle persone ho notato un uomo con sei dita e, nella foga della fotografia, ho fatto uno scatto anche ad un lebbroso… non avrei dovuto. Al centro troneggia la statua del Buddha con gli occhi penetranti. La base rappresenta la terra, la cupola simboleggia l’acqua, le guglie l’aria e l’ombrello il vuoto. All’interno dello Stupa è conservato un frammento osseo che si dice essere appartenuto al Buddha. Nei dintorni ci sono molti altri monasteri buddisti- tibetani, detti anche gompa. Al di là del fiume Bagmati, se ne trovano per esempio a Patan, antica città della valle di Kathmandu. Altri edifici degni di nota sono il palazzo reale, e il tempio d’oro. Di Kathmandu ricordo infine lo zoo, con migliaia di animali e la mitica tigre del Bengala. Il viaggio in Nepal è proseguito con
Girovagando la visita di Bhaktapur, città storica nella valle di Kathmandu, con moltissimi templi a pagoda e strade dove vengono lasciati ad essiccare i recipienti di terracotta lavorati a mano. Uno splendido itinerario a piedi fra templi, case tipiche in stile newari, cortili, facciate storiche il tempio di Nyatapola, che è il più alto del Nepal, e poco fuori della città, una splendida visione delle cime innevate dell’Himalaya e dell’Everest: una vera emozione. I nepalesi sono gente semplice, nessuno si arrabbia mai , nonostante il caos e la frenesia della città. E’ un popolo uscito di recente da una guerra civile durata dieci anni, che ancora risente di una or-
ganizzazione sociale fondata sulla gerarchia delle caste, come quella dei famosi sherpa, uomini dalla fortissima resistenza fisica che trasportano i carichi pesanti nelle spedizioni sulle vette himalayane. Un’esperienza veramente emozionante
il viaggio in Nepal, un paese mitico, che conserva ancora intatte tutte le sue peculiarità: nella gente, nei colori, nella religione, nel profondo spirito di tolleranza, e negli splendidi paesaggi dominati dalle vette più alte del mondo. Pochi mesi dopo il rientro, sul Nepal e su Kathmandu si è scatenato un terribile terremoto, che ha causato migliaia di vittime e la distruzione di numerosi edifici e templi. Un dolore immenso. Nei confronti del popolo nepalese, già duramente provato, si è attivata immediatamente una forte solidarietà internazionale, per consentire la rinascita di questo paese.
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L'avvocato risponde di Erica Vicentini
Il sovraindebitamento:
i percorsi (legali) per uscire dalla crisi e cancellare i debiti
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egli ultimi anni si sono moltiplicate le richieste di assistenza legale da parte di soggetti, per varie motivazioni, sovraindebitati: chi ha contratto vari finanziamenti, magari per pagare debiti pregressi, chi ha ceduto parte della pensione o dello stipendio a garanzia di prestiti a cui non riesce più a fare fronte, chi ha perso il lavoro o visto calare drasticamente il fatturato senza strumenti di tutela (ad es. ditta individuale). In queste situazioni, i debiti gradualmente aumentano e vanno a sommarsi al costo della vita di tutti i giorni, che così diventa insopportabile. Già qualche anno fa, la legge n. 3/2012 (c.d. legge “salvasuicidi”) aveva previsto 3 strumenti che consentono al debitore in una situazione di sovraindebitamento di "uscire" da tale perdurante difficoltà economica attraverso un percorso sostenibile: accordo in composizione della
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crisi, piano del consumatore e liquidazione del patrimonio. L’iter prevede l'intervento di un Professionista nominato dall'Organismo di Composizione della Crisi competente, che attesta la fattibilità (economica e giuridica) della soluzione proposta e permette il deposito della domanda in Tribunale. Finito il periodo disposto per l'adempimento del piano richiesto, sarà possibile ottenere la c.d. esdebitazione, beneficio che comporta la cancellazione (al ricorrere di certi presupposti) di tutti i debiti residui. Durante gli anni di svolgimento delle presenti procedure, i singoli creditori non possono incominciare autonome azioni di recupero giudiziale del proprio credito. Questi strumenti permettono al debitore che diligentemente si è rivolto ad un Professionista e al Giudice per risolvere la propria situazione di sovraindebita-
mento di ripartire da zero, senza debiti residui e creditori che possano inseguirlo. Per tutte le procedure, con importanza diversa, è fondamentale la verifica della meritevolezza del debitore: deve essere dimostrato che questi non ha dato causa con il suo comportamento e le sue scelte alla situazione di debito divenuta insopportabile e che non abbia (nei 5 anni precedenti) posto in essere atti in frode ai creditori. I fatti idonei a considerare incolpevole il sovraindebitamento possono essere vari: perdita del lavoro, grave malattia, incidente, morte di un congiunto percettore di reddito. L’accordo in composizione della crisi L’accordo in composizione è, appunto, un “patto” tra il debitore ed i propri creditori, che viene raggiunto sulla base di una proposta formulata dal debitore con l'ausilio del Gestore della Crisi nominato dall’O.C.C., avente ad oggetto un piano di ristrutturazione dei debiti. Il contenuto del piano è atipico e va adattato alle peculiarità del caso concreto. Il piano, per essere omologato dal Giudice, deve ricevere il consenso del 60% dei creditori, nel senso del 60% sulla massa attiva (non per teste). Il sindacato del giudice è marginale: nel momento in cui il debitore, di regola tramite il proprio avvocato, individua gli accordi di rientro con i creditori
L'avvocato risponde
che rappresentano il 60% del debito, il piano verrà ragionevolmente accolto e dovrà trovare, da parte del debitore, regolare esecuzione. Il piano del consumatore Il piano del consumatore configura sempre un “patto” fra debitore e creditori ma, a differenza dell’accordo in composizione, non contempla la verifica del consenso della maggioranza dei creditori. A questo strumento possono accedere solo i consumatori: non quindi soggetti indebitati per debiti legati all’attività professionale. Anche il piano del consumatore può avere contenuto vario e atipico, dovendo essere costruito sulle peculiarità del caso concreto. Come per la liquidazione del patrimonio, il Gestore della Crisi è chiamato a valutare molti aspetti: le cause dell'indebitamento, la diligenza del consumatore, le ragioni dell'incapacità di adempiere le obbligazioni assunte; la solvibilità negli ultimi cinque anni; gli eventuali atti del debitore impugnati dai creditori e, infine, un giudizio circa la completezza e l'attendibilità della documentazione a corredo della proposta. Il piano differisce rispetto alla liquida-
zione del patrimonio per il fatto che il Gestore deve ritenere tale soluzione più efficiente rispetto alla liquidazione del patrimonio; in esso, appunto, non viene liquidato tutto il patrimonio. La liquidazione del patrimonio La liquidazione del patrimonio costituisce la procedura residuale. In essa, viene liquidato il patrimonio del debitore al fine di estinguere, nei limiti della massa attiva, i vari debiti che hanno condotto al sovraindebitamento. Il Gestore della Crisi è chiamato a redigere la c.d. relazio-
ne particolareggiata, valutando, come nel piano del consumatore, la meritevolezza del debitore, le cause dell'indebitamento, la diligenza, le ragioni dell'incapacità di adempiere le obbligazioni assunte, la solvibilità degli ultimi cinque anni, gli eventuali atti del debitore impugnati dai creditori e, infine, un giudizio circa la completezza e l'attendibilità della documentazione depositata a corredo della proposta. Redatta tale relazione, si procede al vaglio del Tribunale: una volta aperta la procedura liquidatoria, viene stilato l’elenco dei creditori e dei crediti, tenendo conto dei privilegi, e il debitore si troverà a corrispondere la propria massa attiva riservandosi quanto considerato il minimo vitale (sulla base di tabelle ISTAT). Tali percorsi di regola durano 4 anni e alla fine il debitore diligente può richiedere l’esdebitazione con cancellazione di tutti i debiti residui.
*Avvocato Erica Vicentini, del Foro di Trento, Studio in Pergine Valsugana, Via Francesco Petrarca n. 84.
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Medicina & Salute di Erica Zanghellini
I GIOVANI e la DROGA Il rapporto tra giovani e droga si è modificato nel tempo. Oggi giorno infatti, si trovano sul mercato nero droghe sintetiche con effetti devastanti, dove può essere difficile anche solo individuare le sostanze che le compongono. In aggiunta, sempre di più, si rileva una superficialità nello sceglier che sostanza usare da parte dei giovani, tanto che sembra che ormai l’unica cosa ricercata sia sballarsi, non importa a che rischio.
L’adolescenza è l’età più delicata. E’ in questo periodo che va a formarsi e consolidarsi la nostra struttura di personalità e non solo. Dai 13 ai 25 anni dal punto di vista neurobiologico il nostro cervello si modella e assume la struttura che poi ci porteremo dietro per tutta la nostra vita. E’ questo il tempo delle conferme o meno di chi sono, di che valori ho, cosa mi piace e cosa no. Come potete facilmente capire e/o ricordare in questa fase evolutiva si è estremamente vulnerabili e si può incappare in veri e propri pericoli. Uno di questi, è proprio la dipendenza. Basta essere aggiornati per verificare quanto la droga sia una emergenza in costante crescita. Le ultime inchieste riportano una vera e propria piaga per l’uso di 80
cocaina, eroina e droghe sintetiche e che il primo utilizzo, purtroppo, avviene sempre in età più precoce. Dobbiamo corre subito ai ripari, programmare degli interventi specifici e parlare con i nostri figli di questo pericolo come primo passo. Se è vero che possiamo provare uno “sballo” dobbiamo renderli coscienti che il prezzo da pagare è una dipendenza fisica e psicologica. Che quest’ultima spesso, soprattutto per alcuni tipi di droga, è la forma di dipendenza più difficile da sconfiggere. Che questo tipo di sostanze possono provocare danni irreversibili al cervello e che nei casi più gravi hanno provocato anche delle morti. Dobbiamo inoltre individuare tutti
gli adolescenti a rischio o che sono incappati in questa difficoltà e cercare di capire perché. Cosa li ha spinti a farne uso? Quel è il bisogno? Gli addetti ai lavori sanno bene che anche dietro la scelta del tipo di sostanza si può celare un specifico bisogno da colmare e non solo… dobbiamo essere coscienti noi adulti, che spesso il primo approccio alle sostanze stupefacenti avviene con molto superficialità e con l’idea di cercare una dimensione diversa dalla quotidianità. Non solo, i dati ci stanno ad indicare che un’altra motivazione per cui i ragazzi sperimentano le sostanze è il cercare di facilitare la loro integrazione con il proprio gruppo dei pari. Si è visto che spesso alla base si riscontra in chi ne fa uso, bassa autostima, insicurezza, ansia o depressione. Noi genitori abbiamo un compito importante, cerchiamo di sensibilizzare i nostri figli rispetto a questo argomento. E’ l’unico modo che abbiamo per far prevenzione. Spieghiamoli tutti i contro
Medicina & Salute delle droghe, che il diventare dipendente da una sostanza crea grossi problemi. Che anche se, nel breve termine ci sembra di aver risolto il nostro problema, oppure evadiamo dalla realtà, alla lunga non sarà così. Che ci sono modi diversi per far fronte alla vita. Dobbiamo renderli coscienti che frasi come “smetto quando voglio”, hanno il tempo che trovano. C’è una dipendenza fisica con cui fare i conti. Da dentro può sembrare di avere tutto sotto controllo, ma il nostro corpo si abitua a quella sostanza e addirittura può assuefarsi per cui richiederne sempre quantità maggiori per provare lo stesso sballo. Certe cose non si possono controllare e questo è uno di quei casi. Cerchiamo di stare attenti e se notiamo segnali quali eccessiva stanchezza e/o sonnolenza, vediamo atteggiamenti di progressiva chiusura nei nostri confronti, o magari che il rendimento scolastico si
modifica o ancora, che le richieste di denaro sono costanti, facciamo attenzione. Questi possono essere piccoli segnali che ci possono e ci devono mettere in allerta. Così come sbalzi d’umore frequenti o scoppi di aggressività. Possiamo cercare di verificare anche la presenza di una serie di “sintomi fisici” quali alterazioni delle pupille, iperidrosi, alterazioni dell’alimentazione o del sonno. Certo non è facile affrontare queste situazioni, ma ricordiamoci che uscirne è possibile. Prima individuiamo le situazioni problematiche, prima si interviene con i vari professionisti del settore, prima si può superare questa difficoltà. Questo è il caso in cui la tempestività
dell’intervento fa la differenza, per cui se vi trovate in questa situazione non abbiate paura, chiedete aiuto.
Dott.ssa Erica Zanghellini Psicologa-Psicoterapeuta Riceve su appuntamento Tel. 388 4828675
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Il controllo del peso
Il controllo del peso è un insieme di metodologie, nelle più svariate forme e aspetti, utile per mantenerci sani, per una buona qualità di vita e, non di rado, per prevenire possibili malattie future. I soggetti che eseguono un controllo del peso sono generalmente quelli che soffrono di malattie, a volte anche croniche, di gravi intolleranze alimentari oppure che hanno bisogno di dimagrire o ingrassare, in caso di acclarati disturbi alimentari con la bulimia o l’anoressia e sovente anche per una buona guarigione dopo particolari malattie o interventi chirurgici di una certa entità. Il controllo del peso prevede una serie di procedimenti e analisi allo scopo di valutare non solo la corretta ingestione degli alimenti ma anche la validità calorica degli stessi. Quindi, il controllo del peso, non deve solo basarsi sul rapporto cibo-calorie ma anche ed essenzialmente sul mantenimento di una dieta equilibrata senza carenze nutrizionali. Secondo i pareri dei medici, raggiungere e poi mantenere un peso “forma”, indiscutibilmente aiuta a tenere sotto controllo la pressione arteriosa, il
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livello di zucchero nel sangue, dei trigliceridi, ma soprattutto è un’accertata barriera contro le patologie relazionate al peso, ovvero malattie cardiache, diabete, obesità e alcuni particolari tumori. Inoltre, con l’ottimale controllo del peso, si ottiene anche il giusto rapporto e la giusta composizione corporea tra massa muscolare rispetto alla massa grassa. Importante è anche sapere che mangiare troppo e vivendo una vita sedentaria, ovvero senza praticare attività fisica, può causare un progressivo aumento del proprio peso. Per evitare ciò si rende utile e necessario analizzare il proprio regime alimentare e l’attività fisica praticata e anche se a volte si tende a farlo in autonomia, è bene assicurarsi sempre l’indispensabile parere di un medico che saprà effettuare una giusta e idonea valutazione personalizzata. Per mantenere un ottimale peso. le calorie ingerite devono essere, di solito, equivalenti a quelle consumate nel nostro quotidiano vivere. Da sottolineare che ogni trattamento per il controllo del peso, nei diversi aspetti, deve essere personalizzato al metabolismo di ogni individuo, e quindi fatto sotto il preventivo controllo del medico o di uno specialista nell’alimentazione. Spetta, infatti, a questi “esperti”
stabilire e decidere, dopo la valutazione del peso del paziente, le varie problematiche e gli eventuali possibili rischi per la sua salute, quali dovranno essere le diete, le calorie necessarie da ingerire, il programma o il piano alimentare da seguire, ma soprattutto fargli comprendere che le diete, e quindi la regolazione del peso, non devono basarsi sulla restrizione delle calorie bensì sulla quantità del cibo, sulla giusta distribuzione dei pasti nel corso della giornata e sul proporzionale contenuto dei principi alimentari. Quindi, nel controllo del proprio peso, è categoricamente da eliminare il famoso “fai da te” .
Un sentito ringraziamento al dott. Marco Rigo -Borgo Valsugana -per la preziosa consulenza
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CONOSCIAMO IL DIABETE
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econdo numeri e dati ricavati da varie fonti, nel nostro paese ci sono più di 4 milioni di italiani che hanno il diabete e sono diagnosticati e seguiti. Il diabete di tipo 1 -detto anche insulino-dipendente o autoimmune- colpisce oltre 600mila persone mentre 3 milioni e mezzo circa soffrono di diabete del tipo 2. Si stima anche che 1 milione di persone abbia il diabete di tipo 2, ma non sa di avere la malattia. Ci sono poi 2,6 milioni di persone che hanno difficoltà a mantenere la glicemia nella norma, una condizione che nella maggior parte dei casi prelude allo sviluppo del diabete di tipo 2. A questi numeri si aggiungano quelli di una recentissima analisi sul diabete che evidenzia il fatto sottolinea che almeno 4 milioni di persone sono ad alto rischio di sviluppare il diabete. Altri dati ci dicono anche che su 10 persone affette da diabete, il 70% ha più di 60/65 anni mentre il 40% più di
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75 anni. Nel 2030, secondo una statistica, si prevede che in Italia le persone diagnosticate con diabete saranno oltre 5 milioni. Il diabete è una malattia cronica in cui si ha un aumento della glicemia, ovvero dei livelli di zucchero nel sangue. Questa condizione può dipendere da una ridotta produzione dell’insulina, l’ormone secreto dal pancreas per utilizzare gli zuccheri e gli altri componenti del cibo e trasformarli in energia, oppure dalla ridotta capacità dell'organismo ad utilizzare l'insulina. I livelli elevati di glucosio nel sangue, se non corretti con la terapia, possono, nel tempo, favorire la comparsa delle complicanze croniche della malattia, cioè danni a reni, retina, nervi periferici e sistema cardiovascolare (cuore e arterie). Oggi, grazie ai funzionali ritrovati della scienza e della ricerca medica è possibile convivere con il diabete e prevenire attivamente le complicanze, ma è necessario conoscere che cosa, nella vita di ogni giorno, causa un aumento o una diminuzione della glicemia in modo da mantenerla il più possibile vicino ai livelli normali fin dall’esordio della malattia e per tutta la vita. In altri termini la conoscenza e la gestione attiva da parte del paziente della malattia sono la base di una buona cura del diabete. Sono conosciuti tre tipi di diabete: Il diabete di tipo 2 è la forma più frequente ed è comunemente chiamato anche 'diabete dell'anziano' o 'diabete alimentare': si manifesta, infatti, generalmen-
te dopo i 40 anni e soprattutto in persone in sovrappeso oppure obese. Spesso l’esordio è privo di sintomi, oppure sono presenti, in modo più lieve, sintomi simili a quelli del diabete tipo 1 (vedi oltre). L’evoluzione è lenta e anch’essa spesso con pochi o nessun sintomo: la persona perde comunque progressivamente la capacità di controllare l'equilibrio della sua glicemia. Il diabete tipo 2 si cura principalmente con una dieta appropriata, un buon esercizio fisico, farmaci orali e, solo in una minoranza dei casi, con l’insulina. Il diabete di tipo 1 è una condizione molto diversa e più rara. Si manifesta più comunemente prima dei 20 anni d’età (pur con non rare eccezioni) in modo spesso improvviso e con dei sintomi sempre più evidenti (dimagrimento, aumento della quantità di urina emessa, sete eccessiva, disidratazione). Nel diabete di tipo 1 un processo infiammatorio di origine immunologica distrugge le cellule beta del pancreas, che producono l'insulina. Il diabete tipo 1 si cura con l’insulina, abitualmente con più somministrazioni nella giornata per riprodurre la normale secrezione dell’insulina nel digiuno ed in risposta ai pasti. Il diabete gestazionale è una situazione temporanea relativa all’aumento della glicemia in gravidanza, presente nel 6-10% delle gravidanze, in cui a partire dal secondo trimestre di gestazione la madre non riesce a tenere in controllo la glicemia, al di sotto di certi parametri superati i quali possono insorgere dei rischi a carico del nascituro. Questo situazione perde significato dopo il parto, ma costituisce una avvisaglia per la successiva comparsa di diabete tipo 2 negli anni successivi. Chiunque può essere colpito dal diabete, ma la probabilità di sviluppare questa
Medicina & salute* malattia è maggiore se si ha una relazione di parentela in primo grado (genitori, figli, fratelli) con una persona diabetica e, per il diabete di tipo 2, si è obesi, ipertesi o si hanno valori elevati di grassi nel sangue. (trigliceridi, colesterolo) Pertanto, l’incremento della prevalenza del diabete mellito tipo 2 si manterrà verosimilmente nel tempo se non saranno messe in atto strategie di educazione di massa volte a modificare abitudini e atteggiamenti nocivi alla salute, in particolare l’eccessivo apporto di cibo e la sedentarietà. Prevenire il diabete di tipo 2 è possibile e, puntando a questo obiettivo, si riduce drasticamente anche il rischio di sviluppare ipertensione, ipercolesterolemia, ipertrigliceridemia e altri fattori di rischio per l’apparato cardiovascolare. Alcuni studi clinici hanno dimostrato che, in soggetti ad elevato rischio di sviluppare il diabete, una adeguata modificazione dello stile di vita riduce di oltre il 50% la possibilità di diventare diabetici. I pilastri della prevenzione sono il movimento fisico, anche solo camminare mezz’ora al giorno a passo svelto, e l’alimentazione corretta: consumare, nelle
giuste proporzioni, ben definite in tutte le linee guida preventive internazionali, tutti gli alimenti: verdure, ortaggi, frutta, pasta, pane, pesce, carne, formaggi; controllare le quantità per correggere o prevenire il sovrappeso; tornare ai cibi genuini, senza ricorrere a cibi preconfezionati o di origine non nota. Il diabete di tipo 1 invece al momento non si può prevenire. In primo luogo, nel 95% dei casi il diabete di tipo 1 appare in famiglie dove non ci sono stati casi simili, quindi le persone “a rischio” di svilupparlo (figli e soprattutto fratelli di persone con diabete di tipo 1) sono solo una minoranza; in secondo luogo anche tra le persone a rischio finora nessuna strategia preventiva si è dimostrata abbastanza efficace da poter essere utilizzata nella pratica clinica. Sono tuttavia in corso importanti sperimentazioni internazionali, cui partecipano anche gruppi italiani, vol-
te a studiare l’efficacia di diversi interventi preventivi. Le basi della terapia del diabete sono lo stile di vita e l’alimentazione corretti, personalizzati sulla base del tipo di diabete, dell’età, del grado di sovrappeso e dell’esigenza individuali quotidiane. Il diabete tipo 1 si cura con l’insulina in somministrazioni multiple nella giornata, mentre per il diabete tipo 2 esistono numerosi farmaci, scelti sulla base delle caratteristiche e delle esigenze del singolo paziente. In alcuni casi l’insulina può essere una scelta anche per il diabete tipo 2.
COMPLICANZE
*Il 15% delle persone con diabete soffre di coronaropatia *Il 38% delle persone con diabete ha insufficienza renale (micro-macro albuminuria e/o ridotto tasso di filtrazione glomerulare) che può portare alla dialisi *Il 22% delle persone con diabete soffre di retinopatia *Il 3% delle persone con diabete ha problemi agli arti inferiori e ai piedi (piede diabetico)
COSTI SOCIO-SANITARI
*Il diabete in Italia costa oltre 20 miliardi di euro l’anno, dei quali 9 miliardi di euro per spese dirette ovvero farmaci, ospedalizzazioni e assistenza e 11 miliardi per spese indirette come perdita di produttività e spese a carico del sistema previdenziale *600 euro è il costo medio annuo di una persona con diabete, il doppio rispetto a una persona senza diabete *Il 25% è legato ai costi delle complicanze diabetiche, il 7% deriva dalla spesa per i farmaci, ed una fetta più cospicua è relativa alle ospedalizzazioni
DIABETE E OBESITÀ
*Obesità e vita sedentaria sono i principali fattori di rischio per il diabete tipo 2. *Tra i 45 e i 64 anni, la percentuale di persone con obesità tra i soggetti maschi con diabete è del 29% verso il 13% di non diabetici. Per le donne, le differenze sono ancora maggiori: 33% per quelle con diabete vs 9.5% senza diabete.
CONTROLLO DEL DIABETE
*Circa il 50% del totale delle persone con diabete tipo 2 e il 72% di quelle con diabete tipo 1 non raggiungono un buon controllo glicemico
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Le complicanze diabetiche
La vera spada di Damocle del diabetico sta nel rischio che la sua patologia possa degenerare nelle "complicanze", spesso legate alla durata di malattia e al grado di compenso. Gli organi bersaglio sono il sistema cardiovascolare, l'occhio, il rene, il sistema nervoso.
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e maggiori complicanze del diabete sono dovute ai danni ai vasi sanguigni, sia i grossi vasi (macroangiopatia) che irrorano cuore, cervello e arti, sia i piccoli vasi (microangiopatia) che irrorano la retina dell'occhio, i nervi e il rene. Le malattie cardiovascolari sono la più comune causa di morte nel mondo sia per persone con diabete, sia per i soggetti non diabetici; nei primi tuttavia il rischio di morire per queste malattie è da 2 a 4 volte maggiore rispetto ai non diabetici. Numerosi studi scientifici, su casistiche di molte migliaia di persone, hanno dimostrato che il controllo migliore dell’equilibrio glicemico, della pressione arteriosa e del profilo dei grassi del sangue ( del colesterolo in particolare) sono capaci di prevenire queste complicanze. E’ importante che la terapia con l’igiene di vita ed i farmaci capaci di agire su questi parametri sia iniziata presto nel corso della malattia diabetica, perché solo con il controllo precoce dei valori dei diversi fattori di rischio si ottengono i risultati migliori. Gran parte dei diabetici presenta segni di retinopatia, una lesione dei vasi
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sanguigni nella parte posteriore dell'occhio, entro dieci anni dall'insorgere del diabete: Inizialmente è la retinopatia emorragico-essudativa, che può evolvere in retinopatia proliferativa, responsabile della perdita o di una grave riduzione della vista. Quest'ultima richiede, data la sua gravità, interventi tempestivi. Altra complicanza è la nefropatia diabetica, che colpisce il rene al punto che questo organo non filtra adeguatamente le scorie con le urine. Nella sua forma più lieve interessa una buona percentuale di diabetici, di cui una quota degenera nell'insufficienza renale al punto da richiedere il trapianto del rene. La neuropatia è invece una malattia del sistema nervoso: colpisce circa il 30% dei diabetici e si presenta sotto forma di intorpidimento e formicolio agli arti, dolori tipo crampo ai polpacci, specialmente notturni, diminuita sensibilità e comparsa di ulcerazioni alla pianta
dei piedi. Può degenerare nel piede diabetico, determinato da lesioni vascolari e nervose che provocano gravi deformazioni ossee e disturbi della vascolarizzazione terminale. Le complicanze del sistema neurovegetativo possono determinare disturbi intestinali (diarrea), vescicali (incontinenza urinaria) e sessuali (impotenza). Infine possono manifestarsi nei diabetici anche forme di coronaropatia e vasculopatia cerebrale (infarto acuto del miocardio, ma anche espressione cronica dell'angina pectoris, e ictus cerebrale). Tutte queste complicanze croniche ad insorgenza subdola e progressiva ( e purtroppo spesso irreversibili) sono spesso sottovalutate e per tale motivo quando giungono alla osservazione del medico è tardi per una cura efficace. Da qui l'imperativo categorico di una precoce diagnosi e terapia che mantenga la glicemia nella normalità evitando fluttuazioni e picchi iperglicemici, che sarebbero la causa principale delle complicanze croniche. Prima si diagnostica il diabete e prima lo si cura.
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I sintomi premonitori del diabete
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er sua natura il diabete è subdolo, spesso asintomatico o con una sintomatologia non specifica e quindi più difficile da riconoscere; specialmente quello di tipo 2 può comparire a qualsiasi età, quasi senza preavviso. Non sempre, infatti, è semplice per le persone comuni cogliere quelli che sembrano sintomi normale, ma che a volte possono essere gli iniziali segni della sua comparsa. E non di rado capita che essendo i sintomi così lievi, ci si accorge del problema diabete, purtroppo, quando si è già dentro il problema. E vediamoli questi sintomi iniziali che possono indicarsi la possibile comparsa del diabete: 1) Aumento della minzione: ovvero un irrefrenabile stimolo a urinare (diabete mellito vuol infatti dire : tante urine dolci); 2) Sete inappagabile: per effetto del continuo urinare e la disidratazione del corpo il paziente deve reintegrare i
liquidi persi. Da qui la sensazione di sete e il bisogno di bere moltissimo; 2) Intorpidimento e formicolio alle mani, alle gambe e ai piedi: questi sintomi sono dovuti all’usura cronica di circolazione e nervi legata all’aumento del livello del glucosio 3) Dimagrimento: causato da fatto che il corpo non assorbe gli zuccheri. E' comune nel diabete non trattato ed è l’assurdo di un corpo che pur avendo abbondanza di zucchero a disposizione, non riesce ad utilizzarlo; per lo stesso motivo -> Aumento di appetito 4) Visione sfuocata e non nitida: è un indizio molto comune nella possibile comparsa del diabete di tipo 2. Tale sintomatologia è dovuta al fatto che l'aumento del glucosio danneggia i vasi sanguigni limitando la vista. E' un sintomo da non sottovalutare poiché se non diagnosticato in tempo si può perdere completante la vista. 6) Stanchezza inspiegabile: è dovuta
al fatto che le cellule non riescono ad assorbire energia essenziale e quindi il malato prova stanchezza mentale e fisica; 7) Prurito e pelle secca: il diabete può interrompere il giusto funzionamento delle ghiandole sudoripare; 9) Gengive irritate, gonfie e arrossate; 10) Lenta cicatrizzazione di ferite o contusioni: i livelli alti di zucchero nel sangue oltre a ridurre la velocità di guarigione possono determinare deficienze nel sistema immunitario; 11) Disfunzione erettile o impotenza sessuale: è un sintomo molto comune tra gli uomini affetti da diabete o potenzialmente tali. Secondo una recente indagine soffre di questa patologia una percentuale di diabetici compresa tra il 40 e il 72%. Ecco perché è molto importante fare lo screening del diabete di tipo 2 specialmente dopo i 40/45 anni, fondamentale per i soggetti a rischio che devono controllare annualmente i livelli di glicemia. Vanno inoltre analizzati: la familiarità (l’essere figli o fratelli di diabetici), lo stile di vita, il peso corporeo, la sedentarietà, altri fattori di rischio associati come l’ ipertensione arteriosa, l’ ipercolesterolemia, il tabagismo.
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LE PIÙ COMUNI ANALISI PER IL DIABETE
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er un diabetico, il principale obiettivo è mantenere la glicemia il più possibile all’interno dell’intervallo di normalità durante l’intera giornata. Necessario, quindi, eseguire l’auto monitoraggio quotidiano dei livelli di glucosio nel sangue, attraverso una serie di operazioni quotidiane di misurazione definite di autocontrollo. La glicemia, ovvero il livello di glucosio nel nostro sangue, ci consente di stabilire possibile insorgenza o la presenza certa del diabete: valori normali sono fino a 100 mg%, tra i 100 e i 125 si parla di alterata glicemia a digiuno (prediabete), oltre 125 mg% e se il dato è confermato si parla di diabete.
Ma quali altre analisi sono eseguibili in caso di diabete ? La glicosuria (analisi delle urine) ci indica la presenza di zuccheri nelle urine che si riscontrano quando la glicemia supera determinati valori nel sangue (solitamente 180 mg%). E quando ciò avviene il diabete è già rilevante; spesso assieme alla glicosuria nelle urine è possibile ricercare la presenza di corpi acidi (chetonici) quali segno di ulteriore complicazione bioumorale. Molto importante, è l’analisi delle emoglobina glicata che descrive la qualità e la quantità media del controllo glicemico raggiunta nelle 8/9 settimane precedenti all'esame e rappresenta uno strumento
ideale per capire cosa accade davvero nell'organismo fra una misurazione della glicemia e l'altra. La glicazione è un processo biologico mediante il quale lo zucchero si lega in maniera irreversibile ad una parte dell’emoglobina formando appunto l’emoglobina glicata. Tanto più alta è la concentrazione ematica di glucosio e tanto maggiore risulta la percentuale di emoglobina glicata. Diversi studi, eseguiti nel corso degli anni su pazienti diabetici hanno inconfutabilmente dimostrato che vi è una stretta correlazione tra il grado di controllo glicemico, lo scompenso dello stesso ed il rischio di sviluppo e progressione delle complicanze croniche del diabete. L'emoglobina glicata, quindi, è considerata ed è utilizzata sia come indice di glicemia media (nell’arco di un determinato periodo) che come valutazione del rischio di sviluppare le complicanze del diabete. Un esame che oggi può essere eseguito anche in alcune farmacia in possesso degli idonei strumenti e reattivi. Vengono elaborate delle fasce per età entro cui considerare ottimali determinati livelli massimi di emoglobina glicata in funzione del rischio predittivo di complicanze d’organo nel lungo termine.
*NOTE DI REDAZIONE
*Numeri e dati sul diabete ricavati da varie fonti: Annali AMD, ISTAT, Associazione Ricerca e Diabete, SID, Italian Diabetes & Obesity Barometer Report. CONSULENZA MEDICA: dr. Alberto De Micheli - dr. Stefano Enrico Garavelli Il dr. Alberto De Micheli è stato Direttore AMD COmunicAzione della Associazione Medici Diabetologi, autore, in collaborazione con altri o come unico autore, di 74 pubblicazioni scientifiche, coautore di sei testi sul diabete e le sue complicanze e ha svolto attività di docenza svolta presso le Scuole di Specializzazione in Diabetologia, Endocrinologia e Nefrologia dell’Università di Genova. Il dott, Stefano Enrico Garavelli, specializzato in Endocrinologia e in Medicina Interna, dirigente medico presso l'Unità operativa di medicina - Ospedale S.Lorenzo -Borgo Valsugana – nonché responsabile di struttura semplice per le attività di gestione e controllo dei Centri diabetici dei distretti di Alta, Bassa Valsugana e Primiero. UN SENTITO RINGRAZIAMENTO AL DR. DE MICHELI E AL DR. GARAVELLI PER LA PREZIOSA CONSULENZA E COLLABORAZIONE. 88
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DIABETE e INSULINA Il 14 novembre del 1891 nasceva in Canada Frederick Grant Banting lo scopritore dell’insulina. Una scoperta grazie alla quale nel 1923 ha ricevuto il Premio Nobel in Fisiologia e Medicina, assegnatogli insieme a Macleod (suo compagno di ricerca). Premio che Banting condivise con Charles Herbert Best il quale a sua volta lo condivise con James Bertrand Collip. Nel 1934 Re Giorgio V d’Inghilterra lo nominò Sir.
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a sua scoperta, all’età di 32 anni, ha rivoluzionato la medicina perché grazie all’insulina sono stati salvati migliaia di diabetici sino ad allora destinati a sicura morte. Una patologia, purtroppo, “inarrestabile” e subdola, perché quando ci si accorge di essere diabetico oramai si è dentro. E sono i numeri legati al diabete che non solo ci presentato un panorama decisamente allarmante, ma, purtroppo, ci confermano il continuo e progressivo aumento di coloro i quali sono colpiti da questa malattia. Basti pensare che in quasi 50 anni i diabetici nel mondo sono quadruplicati e oggi, secondo l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanita’) sono oltre 430 milioni mentre in Italia, quelli affetti da diabete tipo 2, sono circa 3,6 milioni con una spesa sanitaria che grava sul nostro bilancio per circa 10 miliardi di euro. A questi numeri devono essere aggiunti quelli relativi al “sommerso” ovvero le persone malate che non sanno di esserlo e che, secondo le ultime stime, rappresentano il 2%, della nostra popolazione, ovvero circa 1 milione e 300 mila italiani. La Società Italiana di diabetologia evidenzia, nei suoi rapporti, che il 65% delle persone affette da diabete è di età pari o superiore ai 65 anni; uno su 5 di età pari o superiore agli 80 anni; il 2% ha un’età inferiore ai 20 anni mentre un 35% e più dei soggetti si trova in età lavorativa ovvero tra i 20 e i 64 anni. Riguardo al sesso si ha una prevalenza di
donne affette da diabete tra i 20 e i 50 anni mentre è maggiore tra i maschi (dai 50 agli 80). Il diabete, purtroppo, è una malattia cronica, molto frequente nella classi socialmente svantaggiate che, come detto, è destinata ad aumentare in maniera significativa, anche per il progressivo invecchiamento della popolazione. Di questa patologia si conoscono: Diabete di tipo 1 detto anche giovanile, insulino-dipendente ( circa il 10% dei casi diagnosticati). Diabete di tipo 2, dell’adulto (circa il 90% dei casi diagnosticati). Diabete gestazionale che è una situazione che si evidenzia in alcune donne in gravidanza tale da avviare un protocollo di osservazione precauzionale, da non confondere con la gravidanza in donna diabetica (che deve essere pianificata). Sono queste problematiche distinte che hanno differenti e diverse cause d’insorgenza, sintomatologia, prevenzione e terapia. Il tipo 1 è difficilmente prevenuto a differenza del 2 che è prevenibile e curabile modificando gli stili di vita e più
specificatamente con la prevenzione del sovrappeso, con una corretta alimentazione e una regolare attività fisica. Cosa importantissima da sapere è che, se il diabete (di tipo 1 e 2), è curato male oppure trascurato, specialmente nelle persone predisposte, può generare le famose complicanze che possono essere lievi, moderate ma anche gravi, disabilitanti e fatali e che colpiscono diversi organi del corpo quali l'occhio (retinopatia), il rene (nefropatia), i nervi (neuropatia), le arterie (vasculopatia) e il cuore (cardiopatia). Per evitare quindi di essere colpiti da questa patologia è necessario essere precoci nella diagnosi di diabete con controlli frequenti della glicemia, specialmente in coloro i quali hanno familiari già colpiti da diabete e/o obesi. (M.A.) 89
Conosciamo la Cantina Gorza
Il vino... il mio sogno nel cassetto! La produzione vinicola della Vallata Feltrina si è arricchita di un nuovo prodotto destinato, non solo a potenziare il mercato di riferimento e dintorni, ma anche e soprattutto a soddisfare il palato degli amanti del prosecco, anche quello dei più esigenti.
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l riferimento è per l’Extra dry prodotto dalla nuova cantina Gorza con sede a Fonzaso. Ed è appunto con lui, con Gianni Gorza, il titolare, che abbiamo aperto un quanto mai piacevole discutere che oltre a evidenziare aspetti decisamente interessanti del suo essere produttore, ci ha presentato e fatto meglio conoscere la carta d’identità e le caratteristiche organolettiche del suo “Prosecco Extra dry “Podere Castello Aurin”. “Durante la mia adolescenza, ci dice con una punta di “nostalgica” rimembranza, ho sempre collaborato nel negozio di generi alimentari che avevamo in montagna e che era gestito dalla mia famiglia. Durante questo periodo sono sempre stato affascinato dai racconti che mi faceva un nostro fornitore di vino di Valdobbiadene dell'epoca, che tutte le settimane ci riforniva di vino. E a ogni incontro mi raccontava piacevoli aneddoti di come lui coltivava le viti, di come metteva a dimore le stesse e di come faceva la raccolta dell'uva e la successiva vinificazione. Diventato adulto e forse condizionato da quei discorsi di gioventu’, mi sono iscritto e diplomato all'Istituto agrario di Castelfranco Veneto, ma in cuor mio la passione del vino non è mai scomparsa, anzi, con il passare del tempo, si è sempre più potenziata”. E credo sia stato questo uno degli elementi portanti che ha fatto nascere il me la voglia e l’acceso desiderio
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di diventare produttore. E oggi, a distanza di tanti anni, quel mio giovanile sogno si è avverato. Inizialmente, come si conviene in un processo produttivo agricolo, prima della messa a dimora dei nostri vitigni abbiamo analizzato, in tutte le possibili varianti, l'andamento climatico della nostra zona di riferimento e il sub strato del terreno. Condizioni queste indispensabili per la buona risuscita del progetto. Di poi,per questa nostra prima esperienza abbiamo messo a dimora il vitigno “glera” a bacca
bianca, da tutti conosciuto come componente base del Prosecco perchè costituisce almeno l'85% delle uve utilizzate”. Cosa l’ha spinta a scegliere questo vitigno a bacca bianca conosciuto e apprezzato in tutto il mondo? Secondo me il territorio Fonzasino ha delle specificità ottimali per dare un vino con caratteristiche e sentori molto interessanti e unici. Come mai questo nome “ Podere Castello Aurin”? Abbiamo deciso di ricordare gli antichi appezzamenti territoriali appartenuti al Castello Aurin che sovrastava e regolava la vita della frazione di Arten in Comune di Fonzaso dall’anno 550 fino al 1554. “E infine, ma non ultimo aspetto, continua Gianni Gorza, è che nel nostro “modus operandi” abbiamo voluto mettere al primo posto la problematica ecologica adottando tutte le tecnologie agronomiche di ultima generazione e macchinari innovativi che hanno appunto nella sostenibilità ambientale l’elemento portante, il tutto integrato da un fare e da una logica produttiva che riduce al minimo l'utilizzo di agrofarmaci e similari”. Attualmente la cantina Gorza utilizza vigneti messi a dimora in quasi quattro ettari, nell’ anno in corso sono state piantate anche nuove piantine a bacca nera idonee a dare vini rossi e rosee che permetteranno di completare l’offerta al consumatore.
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Mondo donna di Laura Paleari
BARBIE, icona di stile Chi di noi non ha mai giocato con una Barbie? Potrebbe sembrarci semplicemente un gioco come un altro, eppure, dal 1959, è molto più di questo; è diventata un’icona, parte della nostra cultura, un’idea che ha incantato tutti e che, ancora oggi, fa sognare grandi e piccini.
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arbie, all’anagrafe: Barbara Millicent Roberts, nasce nel 1945 da un’idea di Ruth Handler, moglie di Elliot Handler che in quegli anni stava facendo nascere, insieme a Mattson, quella che diventerà una delle case di creazione di giocattoli più grande al mondo: la Mattel. Ruth aveva notato che la figlia, molte volte, invece di giocare con bambole che rappresentavano neonati, preferiva ritagliare dai giornali le foto delle celebrità e giocare con quelle. Le balenò, dunque, in testa, un’idea: produrre delle bambole che rappresentassero donne adulte, per far sognare le bambine, per farle immedesimare nelle donne che loro stesse sarebbero state in futuro. In realtà bambole simili erano già state create in Germania: il crescente successo del personaggio Lilli nel Tabloid Bild ne fece realizzare una sua riproduzione sotto
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forma di bambola; Ruth s’ispirò per la realizzazione di Barbie, proprio da una bambola di Lilli, presa in Svizzera. Lilli, tuttavia, era pensata per un pubblico adulto e la Mattel, desiderosa di realizzare la sua idea, comprò i diritti e brevetti della bambola tedesca, in modo da poter creare la loro versione, destinata ad un pubblico più giovane. Quando pensiamo a Barbie ci viene in mente un viso femminile, due occhioni azzurri e una lunga chioma bionda; tuttavia la prima Barbie ad essere prodotta e messa in vendita aveva una carnagione chiara e capelli corvini (solo in seguito verranno tinti di biondo) e indossava
un costume zebrato. La sua entrata lasciò sbalorditi i negozianti ma poco importava perché il successo economico fu gigantesco, così grande che, le prime Barbie, al tempo vendute per soli 3 dollari, oggi vengono battute all’asta per 3000 dollari e più. Mattel cominciò a produrre sempre più bambole, creando un vero e proprio mondo dietro la sua protagonista: tra lo storico fidanzato Ken (il cui nome si deve al secondo figlio di Ruth ed Elliot, Kenneth), le sue sorelle, gli amici, le professioni lavorative e i più di 100 animali posseduti. Un prodotto che non viene acquistato solo per bambini ma anche per gli adulti, sono infatti più di 100 000 i collezionisti di circa 40 anni di Barbie. Ma “Barbara” dovette affrontare anche parecchie crisi e accuse; con il passare degli anni il corpo di Barbie e il suo ruolo di modella stavano rimanendo “indietro” rispetto all’evoluzione del mondo attorno a sé. Mattel sapendo reinventarsi, agli inizi degli anni ’60, la mise subito “al lavoro”: insegnante, ballerina, infermiera, assistente di volo. Con la crescita del movimento
Mondo donna
femminista e per abbattere gli stereotipi etnici, negli anni ’80, Barbie divenne chirurga, rock star e numerose bambole afroamericane ed ispaniche furono introdotte nel brand. Non mancarono ovviamente alcuni scivoloni “di stile”, come il set di “Barbie Pigiama Party con le amiche”, dove, come accessorio delle bambole, veniva dato un libriccino con consigli su come perdere peso; accusato di incitamento ai disturbi alimentari e a condotte di vita malsane, fu immediatamente ritirato. Plateale fu anche il caso di un modello di Barbie parlante,
dove una delle frasi pronunciava: “La matematica è difficile!”, accusato dalle femministe di sessismo; l’accusa più grave e persistente fu però quella dello sproporzionato e irraggiungibile corpo che proponeva la star di Mattel. Dal 1997, quindi, le venne allargato il bacino e da quel momento i cambiamenti sono stati repentini e al passo con i tempi: già nel 2016 vennero introdotte altre fisicità, molto più “reali”, con Barbie curvy (formosa), tall (alta) e petit (minuta) per poi passare a Barbie con protesi, in sedia a rotelle e con la vitiligine. In conclusione si può affermare, che, forse, non è Barbie ad essere pericolosa per bambini e bambine ma i messaggi che la società ci trasmette e che
vengono riflessi attraverso un mezzo (in questo caso Barbie). Barbie è la dimostrazione che una donna può fare qualunque cosa lei voglia, lavorare negli ambiti più disparati, occuparsi della sua famiglia e divertirsi, essere forte e indipendente senza per questo dover assumere comportamenti “maschili” ne dipendere da essi.
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Il cinema in cronaca di Katia Cont
LA NOTTE DEGLI OSCAR
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a notte tra il 25 e il 26 aprile ha avuto luogo finalmente la notte degli Oscar 2021 – rinviata causa pandemia alla fine di aprile dall’abituale posizione a cavallo tra febbraio e marzo. Il 26 aprile, data importante per la cultura italiana, almeno per quanto riguarda le zone gialle, perché ha coinciso con la riapertura delle sale cinematografiche e teatrali italiane. Le prime infatti hanno corso subito ai ripari aggiudicandosi le pellicole più premiate della 93 esima edizione, per cercare di ristabilire una sensazione di normalità o pseudo tale, sempre a “debita distanza”. Il film Nomadland, già vincitore di nu-
merosi Golden Globe e Bafta, ha consacrato la sua superiorità vincendo ben tre statuette: miglior film, miglior regia e miglio attrice protagonista. Chloé Zhao, seconda donna a trionfare nella categoria “miglior regia” dopo Kathryn Bigelow con The Hurt Locker nel 2010, Frances McDormand, qui anche produttrice, si è guadagnata la
terza statuetta, come Meryl Streep, Liz Taylor e Ingrid Bergman come attrice protagonista hanno raccontato la storia di una sessantenne, improv-
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Il cinema in cronaca visamente rimasta senza marito e senza lavoro, che si ritrova a vagare attraverso l’America dei reietti e dei precari vivendo sul suo camper. Per questa edizione, gli Oscar hanno cambiato l’estetica, la grafica e la location. Il pre-show è stato caratterizzato da un red carpet meno frenetico che ha regalato diversi momenti di musica con le esibizioni dei nominati alla Miglior Canzone Originale. Qui abbiamo potuto ascoltare la nostra connazionale Laura Pausini, nominata con Io si, nella colonna sonora del film “La vita davanti a sé” di Edoardo Ponti. Purtroppo per l’Italia questa edizione ci ha lasciati a bocca asciutta e nemme-
no “Pinocchio” di Garrone, candidato per trucco e costumi, hanno portato a casa le statuette sperate. Oltre tre ore di cerimonia che hanno visto premiato Anthony Hopkins come miglior attore. A 83 anni, la star inglese di "The Father" che aveva
già vinto nel 1994 per "il Silenzio degli Innocenti", non ha ritirato il premio di persona e il giallo sul discorso di ringraziamento non mandato in onda, ancora interroga chi lo aspettava con ansia. Migliori attori non protagonisti sono risultati Daniel Kaluuya di “Judas and the Black Messiah” e la sud coreana Yuh-jung Youn di "Minari". Miglior film internazionale è stato "Un altro giro" di Thomas Vinterberg. Miglior film d'animazione dell'anno è "Soul" che ha confermato le attese della vigilia, miglior documentario è stato infine il tenerissimo "Il mio amico in fondo al mare".
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Un calice di coccole di vino di Chiara Paoli
«Il vino è il canto della terra verso il cielo»
(Luigi Veronelli)
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l vino si beve solitamente in compagnia, con gli amici, magari in occasione di una cena; chi preferisce il rosso, chi il bianco, chi il profumato, chi il più corposo. Ma vi è anche «il vino da meditazione», come lo ha definito Luigi Veronelli, giornalista, scrittore, ed esperto enogastronomico. Vini da meditazione sono i passiti dolci, magari anche liquorosi, oppure dei vini rossi con un lungo cammino dalla vendemmia alla bottiglia. Vini che occorre assaporare in tranquillità, ideali per accompagnare un momento di introspezione, da degustare mentre si legge
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un libro o guardando un film. D’altra parte anche gli antichi autori riconoscono al vino la proprietà di conciliare il pensiero, a chiunque è noto il proverbio latino, riportato anche da Plinio il vecchio, «In vino veritas», «nel vino è la verità», che allude a una persona “brilla”, con i freni inibitori distesi, che facilmente si lascia scappare quei pensieri che da sobrio non avrebbe il coraggio di esporre. Eschilo nel V secolo a.C. scriveva: «Il bronzo è lo specchio del volto, il vino quello della mente», oppure Socrate, il quale non disdegnava certo i piaceri del succo di Bacco, nello stesso periodo scriveva: «Se beviamo con temperanza e in piccoli sorsi, il vino stilla nei nostri
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Un calice di coccole di vino polmoni come la più dolce rugiada del mattino». E ancora, Quinto Orazio Flacco, nel I secolo a.C. riporta: «Nessuna poesia scritta da bevitori d’acqua può piacere o vivere a lungo. Da quando Bacco ha arruolato poeti tra i suoi Satiri e Fauni, le dolci Muse san sempre di vino al mattino», o anche narra di come i re «torturano con il vino colui che essi non sanno se sia degno di amicizia», chiedendosi «che cosa non rivela l'ebbrezza? Essa mostra le cose nascoste». Il vino, per l’umanista francese del XVI secolo François Rabelais, che amava dire, «Quando io bevo penso, quando penso bevo!», aiuta la mente a fantasticare, a vedere oltre. I vini da meditazione, una specialità profumata, dolce e tendenzialmente zuccherina, sono da degustare in solitudine, anche se possono essere il giusto accompagnamento per il dolce, o con
frutta secca e cioccolato, ma sempre sorseggiati con gusto, come una sorta di coccola per noi stessi. Tornando a Veronelli, in una intervista de L’Espresso (dicembre 1998), diceva: «I vini bevibili soprattutto con amore sono come le belle donne, differenti, misteriosi e volubili, e ogni vino come una donna va preso. Comincia sempre col rifiutarsi con garbo o villania, secondo temperamento e si concede solo a chi aspira alla sua anima, oltre che al suo corpo. Apparterrà a colui che la scoprirà con delicatezza».
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O Pio Bove, quanto poco ti conosco! T'amo, o pio bove, e mite un sentimento Di vigore e di pace al cor m'infondi, O che solenne come un monumento Tu guardi i campi liberi e fecondi, O che al giogo inchiodandoti contento L'agil opra dell'uom grave secondi: Ei t'esorta e ti punge, e tu col lento Giro de 'pazienti occhi rispondi. Dalla larga narice umida e nera Fuma il tuo spirto, e come un inno lieto il mugghio nel sereno aer si perde; E del grave occhio glauco entro l'austera Dolcezza si rispecchia ampio e quieto.
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oesia del Carducci del 1872, imparata e mezza dimenticata da intere generazioni. Lasciamo l'ispirazione poetica per un momento. Quanti di noi hanno una conoscen-
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za reale di un bove? Nella maggior parte dei casi, ci manca una esperienza diretta di questo animale e conosciamo i bovidi solo attraverso gli acquisti di carne venduta nei vassoietti di poliestere del supermercato. Infatti, e sempre più, con “noi” si intende non solo gli italiani nati lontani dalle campagne ma anche i nati dopo a quella generazione magari comunque cittadina ma che trovava nel macellaio una persona di fiducia, la figura che tra una battuta e un aneddoto, fungeva da anello di conoscenza tra ma-
teria prima e consumatore. Noi, quelli abituati a comprare da un banco-frigo o a ordinare da un menù di un ristorante, cosa ne sappiamo di un bovino? Quindi, partiamo dalla base: dalla nostra quotidianità che ci vede affrontare scelte criptiche di etichette codificate e da scarsa o vaga conoscenza della nostra ricchissima lingua italiana: Vitello: bovino di età inferiore agli 8 mesi. Vitellone: si tratta del bovino di età inferiore ai 12 mesi. Bovino adulto, (come da etichettatura del supermercato): Aggiungiamoci altri termini specifici utili: Sorana: femmina che ha superato un anno di età. Scottona: femmina che non ha mai partorito
Non solo animali Manzo: castrato di età di 3/4 anni. Bue: castrato con età superiore ai 3/4 anni Fassone: qualsiasi bovino con una ipertrofia della muscolatura, Toro: maschio bovino, generalmente selezionato per la sola fecondazione Vacca: femmina che ha partorito ed è destinata principalmente alla produzione di latte Questa è la nomenclatura di cui tutti noi consumatori dovremmo essere coscienti ma certo non è sufficiente per fornirci anche la più pallida conoscenza di un bue. Ci sono anche altri fatti interessanti riguardo questo animale e certo non si possono riassumere in poche righe. Ad esempio, la scienza ha oramai appurato che i bovidi non sanno riconoscere i colori verde/rosso: alla faccia del drappo dei toreri spagnoli! Inoltre, il loro campo visivo è molto diverso dal nostro, hanno molte più dif-
ficoltà a percepire la tridimensionalità e quindi a valutare le distanze rispetto a noi. Viceversa, il loro senso dell'olfatto è capace di arrivare a captare un odore fino a 6km di distanza. Diversi studi hanno poi dimostrato che questi animali sono tanto intelligenti da saper sviluppare non solo un linguaggio ma persino dei dialetti regionali. I bovidi poi sono giocherelloni e intrattengono relazioni tra loro, sviluppano simpatie
o antipatie verso gli affini difficilmente giustificabili con una logica umana. Se siete incuriositi da questi aspetti della socialità dei bovini “La vita segreta delle mucche” di Rosamund Young, allevatrice inglese, sarà sicuramente una lettura divertente. In alternativa anche solo la consapevole rilettura della poesia del Carducci donerà a tutti noi una prospettiva diversa di cosa significa conoscere un po' più a fondo il bue.
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Lettera al giornale Da parte di una gentile lettrice riceviamo questo originalissimo scritto che volentieri pubblichiamo.
LETTERA A DUE GRANDI ARTISTI DEL NOVECENTO Caro Duchamp e Fontana vi scrivo.... Tagli sulla tela di Lucio Fontana La Fontana di Marchel Duchamp-R. Mutt 1917 Carissimo Marcel, Carissimo Lucio, è da tanto che volevo scrivervi; di anno in anno ho rimandato pensando che la cosa si sarebbe risolta ma niente, non c'è nulla da fare: parlare dei vostri lavori è un'impresa assai difficile, oserei dire una missione suicida! Mentre Voi da lassù ridete sotto i baffi io sono qui a dover spiegare, per l'ennesima volta, che quel cavolo di orinatoio e quel cavolo di taglio nella tela non solo è arte, ma sono dei capolavori! Perdonate tutti gli ignoranti sulla terra che vi hanno osteggiati e derisi, questa stupida e immancabile domanda " Ma questa è arte? Potevo farlo pure io..." Però detto tra noi come vi è saltato in mente di fare quella roba la? È geniale, per carità, è difficile far capire il ready- made e lo Spazialismo, sono cose che hanno un significato solo concettuale. L'arte è figlia del suo tempo, è l'intelligenza e l'adattamento di qualsiasi cosa nella vita. Bla, Bla, Bla, la gente non capirebbe. Vedi caro Marcel, e caro Lucio, siete finiti in tutti i libri di Storia dell'arte, avete fatto centro! Io dico una sola cosa: Che sia chiaro che i "secondo me" in arte, come in tanti altri aspetti della vita, rimangono solo e semplicemente pareri e gusti personali ma soprattutto è una questione di pensiero. Adesso vi saluto Ciao Marcel, Ciao Lucio, Grazie
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guida un’auto sottoposta a fermo e dovesse provocare un qualsiasi incidente, la nostra legge non prevede che l’assicurazione sia tenuta e quindi obbligata a pagare i danni. Inoltre si potrebbe essere sanzionati con una multa compresa da 2mila e 8mila euro circa. Naturalmente al decreto di fermo amministrativo ci si può appellare e quindi in caso d’ illegittimità dell’atto si può impugnare il provvedimento. Se invece l’atto di fermo è legittimo, l’unico modo per revocarlo è quello di pagare i debiti contratti. In questo caso lo Stato permette anche la rateizzazione del pagamento ed è possibile chiedere la sospensione del fermo amministrativo. Altra cosa da sapere è che l’autovettura
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