Storie di casa nostra di Beatrice Mariech
FELTRE, CITTÀ ROMANA
C
he la città di Feltre abbia vissuto un periodo florido in epoca romana non è di certo un mistero e sicuramente non deve stupirci. Ma quali furono i momenti salienti e quali sono le tracce che la grande Roma ha lasciato sul territorio? Innanzitutto non è completamente chiaro quando, e attraverso quale modalità Feltre, secondo Plinio il Vecchio città fondata dalla popolazione tirrenica dei
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Reti, divenne dominio romano, è però quasi sicuro che ciò avvenne nel 172 a.C. Feltre prese in principio il nome di oppidum, ed è interessante sottolineare il fatto che venisse chiamata forum oppidum, molto probabilmente perché grazie alla sua posizione strategica – un luogo di confine tra i territori germanici e quelli romani – era zona di scambi commerciali, dunque un vero e proprio forum, ovvero piazza di mercato. In età repubblicana, tra il 49 e il 42 a.C., la città divenne un municipium, che per i romani stava a indicare un centro cittadino legato a Roma che però poteva mantenere la sua autonomia giuridica e amministrativa; perché un centro potesse essere considerato municipium, i cittadini dovevano far parte di una delle tribù romane, così i feltrini vennero inscritti all’interno delle tribù Publicia e Menenia, come confermano alcune iscrizioni ritrovate in città e in seguito trasferite a Padova. Una leggenda vuole che Giulio Cesare, giunto a Feltre per controllare in prima persona l’operato all’interno del municipium, avesse lasciato la città dopo un soggiorno particolarmente breve a causa dell’inverno troppo rigido. Celebre è il distico che ne sarebbe derivato: “Feltria perpetuo niveum damnata rigore, atque mihi posthac haud adeunda, vale”, che po-
tremmo semplicisticamente tradurre con “Ti saluto Feltre, condannata dalla neve al rigore perenne, in futuro non sarai più visitata nemmeno da me”. Sembra che queste parole fossero anche state riportate, come scrive Pietro Bembo nel suo libro “Storia Veneta”, su di una lastra in marmo che si trovava nei pressi di un’antica porta, andata distrutta durante l’incendio del 1509, che costituiva l’ingresso principale della città. Si narra inoltre che il fiume Cordevole debba il suo nome proprio al console romano: durante lo spostamento tra Feltre e Belluno, rimasto bloccato dal fiume ingrossatosi a causa delle forti piogge, per rispondere ai suoi che gli chiedevano se avesse intenzione di guadarlo, diceva: “Cor dubium habeo”, “Ho il cuore dubbioso”, attribuendo così al corso d’acqua il nome di “Cordubbio”, che con il tempo si trasformò proprio in Cordevole. La maggiore eredità di epoca romana che ad oggi possiamo ancora apprezzare sul suolo feltrino è l’area archeologica