EUROCARNI
Mensile di economia, politica e tecnica delle carni di tutte le specie animali Anno XXXVI N. 6 • Giugno 2021
€ 5,42
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6/21 Gruppo editoriale Edizioni Pubblicità Italia Srl
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EUROCARNI Mensile di economia, politica e tecnica delle carni di tutte le specie animali EUROCARNI – PREMIATA SALUMERIA ITALIANA – IL PESCE EURO ANNUARIO CARNE – ANNUARIO DEL PESCE E DELLA PESCA US ANNUARIO DEI FORNITORI DELLA SANITÀ IN ITALIA – EURO GENUINE FOOD
Direttore responsabile e editoriale Elena Benedetti Redazione Gaia Borghi – Federica Cornia – Marco Credi
Direzione – Redazione Amministrazione – Pubblicità Edizioni Pubblicità Italia Srl Piazza Roma 3 – 41121 MODENA Tel. 059216688 – Fax 0598671709 E-mail: redazione@pubblicitaitalia.com Web: www.eurocarni-online.com Reg. al Tribunale di Modena n. 798 del 23-10-1985 Tariffe abbonamenti Annuale (12 numeri): Italia € 65,00 – Estero € 85,00 Sconto librerie: 10% Modalità: effettuare versamento su c/c postale n. 52411311 intestato a Edizioni Pubblicità Italia Srl Piazza Roma 3 – 41121 MODENA ISSN 0394-2910 Stampa
Ufficio stampa e Media Partner
Segreteria di redazione Gaia Borghi Prestampa Marco Credi Marketing e pubblicità Luigi Credi – Chiara Zaccaroni Fotografia Luigi Credi Abbonamenti Fioretta Fiorentin Amministrazione Andrea Tomassone Comitato di redazione Franco Ferrari – Clara Fossato (UNICEB) – Giuliano Marchesin (Unicarve) – Gianni Mozzoni (Legacoop) – Manrico Murzi – François Tomei (Assocarni) Comitato scientifico Prof. Giovanni Ballarini – Dr. Alfonso Piscopo Collaboratori scientifici Dr. Marco Cappelli – Dr. Massimo Chiappini – Prof. Eugenio Del Toma – Dr. Emanuele Guidi – Dr. Pierluigi Roncaglia – Prof. Andrea Strata Euro Annuario Carne
EURO ANNUARIO CARNE 2021
Eurocarni, 6/21
La banca dati internazionale del mercato delle carni sempre aggiornata, utile strumento di lavoro per gli operatori del settore lavorazione, commercio e distribuzione carni. Edizione 2021 Copia cartacea: € 95,00
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EUROCARNI La prima rivista veramente europea
A pagina 92. In questo numero:
La carne nel mondo
Francia – Europa – Italia
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Naturalmente carnivoro
Mister Porcobrado
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La frase del mese
Un esempio di equilibrio virtuoso tra zootecnia e ambiente
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Tendenze
Delivery, da local marketing al mondo
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Attualità
OICB: la zootecnia italiana reclama maggiore attenzione per quanto espresso ad oggi in tema di sostenibilità
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Eurocarni, 6/21 1/21
Il futuro della zootecnia europea preoccupa gli allevatori
Anna Mossini
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Quello che “Marketing Meat” di Greenpeace non dice (e non dirà)
Jerzy Wierzbicki
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Animalisti vs allevamenti, no alle mistificazioni, sì al confronto equilibrato
Anna Mossini
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7
Slalom
Luci ed ombre sul DEF
Cosimo Sorrentino
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Legislazione
Etichetta ambientale
Sebastiano Corona
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La carne in rete
Social meat
Elena Benedetti
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Carne artificiale
Carne in laboratorio, dal 2030 più competitiva
Roberto Villa
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Comunicare la carne
Il vaccino anti-crisi si chiama “local e-commerce”
Chiara Papotti
54
Allevamenti di bovini da carne italiani sostenibili
58
Meat delivery
Storia di una cotoletta (sbagliata)
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Aziende
Marchesina, esempio virtuoso di circolarità ed equilibrio
Elena Benedetti
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You&Meat lancia la linea barbecue
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Meats Service: al servizio dell’industria delle carni
78
Bordoni, l’arte multiforme della bresaola
84
Garronese Veneta: tra i boschi di castagni del Monte Baldo nasce il progetto linea vacca-vitello
Luigi Sartori
Kometa, carne, salumi e sport Luciano Bifulco, il macellaio differente
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Elena Benedetti
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EUROCARNI
Mensile di economia, politica e tecnica delle carni di tutte le specie animali Anno XXXVI N. 6 • Giugno 2021
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A pagina 70. In copertina: la tartare è il ready to eat per eccellenza (photo © lilechka75 – stock.adobe.com).
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Eurocarni, 6/21
Il mio ERP. Così ho tutto sotto controllo. (FLHQ]D WUDVSDUHQ]D ÁHVVLELOLWj ² TXHVWR q FLz FKH FRQWD RUD /·,7 q OD FKLDYH SHU RWWHQHUOR &KH VL WUDWWL GL (53 0(6 PDFHOOD]LRQH H VH]LRQDPHQWR R GL VRIWZDUH SHU OD SLDQLÀFD]LRQH LQWHOOLJHQWH LO &6% 6\VWHP q OD VROX]LRQH FRPSOHWD SHU OH D]LHQGH GHO VHWWRUH &DUQH &RVu JLj RJJL SRWHWH RWWLPL]]DUH OD YRVWUD SURGX]LRQH H GRPDQL GLJLWDOL]]HUHWH O·LQWHUD D]LHQGD
Per saperne di più sulle nostre soluzioni per il settore Carne: www.csb.com ZZZ FVE FRP
Speciale Ready to eat
Ready to eat, ed è subito tartare
96
Indagini
Trend e prospettive di mercato della filiera suinicola
Macellerie d’Italia
Artigiani delle Carni: “vogliamo essere la casa di ogni macellaio”
104 Gaia Borghi
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Ieri e oggi di Gasparino 1948, Macelleria, Gastronomia e Tripperia storica a Casavatore Macelleria Giardina: il futuro degli artigiani della carne è qui
112 Riccardo Lagorio
Viaggio nelle macellerie veronesi made by Criocabin
116 120
Curiosità
Quando la pelle si fa snack
Roberto Villa
Filiera carni
Azienda Agricola Rossato, Angus, Limousine e Frisone nell’Agro Pontino
Massimiliano Rella 126
Passato e futuro del coniglio
Josette Baverez Blanco 130
124
A pagina 116.
A pagina 86.
A pagina 60.
www.eurocarni-online.com 10
Eurocarni, 6/21
Il meglio della
C A R N E D I V I T EOLl a Ln d eO se La carne bianca di vitello è un alimento straordinario: ricca di proteine e amminoacidi, facilmente digeribile, povera di grassi e con un alto contenuto di ferro. Cosa volete di più? C’è di più!! La carne di vitello ha anche un gusto raffinato e duttilità nella cottura: questo la rende protagonista della storia gastronomica italiana. Non a caso il vitello è tra le carni più presenti nei Menu dei grandi Chef in Italia. Abbiamo chiesto allo Chef Stefano De Gregorio di reinterpretare il Vitello Tonnato, una storica ricetta italiana conosciuta in tutto il mondo. Trovate questa ricetta insieme a tante altre su www.carnedivitello.it. L’organizzazione olandese VanDrie Group è leader di mercato per la carne bianca di vitello, ma non solo. Il VanDrie Group è anche un’organizzazione fondata sulle migliori tradizioni familiari. Il gruppo, con le sue oltre 25 aziende, costituisce la più grande azienda integrata di carne di vitello al mondo ed è pertanto leader mondiale nel settore della carne di vitello, nonché il più grande produttore di latte in polvere per vitelli. www.vandriegroup.com
La carne di vitello con una percentuale di grasso inferiore al 5% ha la seguente composizione media per 100 grammi: 104 kcal, 439 kJ, 22,1 g di proteine e 1,7 g di grassi. (fonte RIVM - NEVO).
“IL VITELLO TONNATO” interpretata da Chef Stefano De Gregorio
Ricetta
Giraudi International Trading S.A.M. Tel: +377 931 042 42 E-mail: giraudi@giraudi.com
Intraco S.r.l. di Niclas e Simona Herzum Tel: +39 010 374 277 8 E-mail: herzum@ekro.nl
Tel: +31 055 549 82 22 E-mail: info@esafoods.com
A pagina 112.
A pagina 138.
A pagina 50. Ristoranti carnivori
Al Fogolar, assaporare il gusto della montagna friulana
Riccardo Lagorio
Analisi del food
Qualità della carne fresca
Giovanni Ballarini 134
Tecnologie
La qualità va garantita fin dall’inizio! Col CSB-System è facile ed intuitivo
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Fast Blade: affilacoltelli made in Italy sempre perfetto
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Giovanni Papalato 144
Sono 180 grammi, lascio?
Galline islandesi
Statistiche
ANAS: scambi commerciali e bilancio cosce suine in Italia nel 2020
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Previsioni di produzione suinicola nella UE
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Come gestire la carne in completa sicurezza
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Libri
www.eurocarni-online.com 12
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RAPPRESENTANTE ESCLUSIVO PER L’ITALIA
LA CARNE NEL MONDO
Francia Le associazioni suinicole Agrial, Eureden, Elpor, Evel Up, G.R.P.P.O., Porcinéo, Porélia, Sypro Porcs, Porvéo e Porc Armor Évolution hanno adottato gli statuti e i regolamenti interni della nuova Associazione dei Produttori (AOP) Porc Grand Ouest. Il progetto, guidato da giovani allevatori della Francia occidentale, è il primo in Europa per le carni suine. Lo scopo della nuova AOP è rafforzare il potere di mercato degli allevatori membri, garantire una risposta alle esigenze di mercato e alle aspettative dei consumatori. L’AOP Porc Grand Ouest si inserisce nel quadro della riforma della Politica Agricola Comune e agirà con l’obiettivo di ottenere programmi operativi che consentano il cofinanziamento di progetti di ristrutturazione, in particolare per l’ammodernamento degli allevamenti (fonti: 3tre3.it – porelia.com; photo © terra.bzh).
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Europa La Commissione europea ha appena pubblicato la sua valutazione sulla “Strategia dell’Unione Europea per la Protezione e il Benessere degli Animali 2012-2015” per identificare in che misura gli obiettivi siano stati raggiunti. In termini di attuazione, le due priorità fondamentali della Commissione erano e continuano ad essere la protezione degli animali durante il trasporto e il benessere dei suini, con particolare attenzione alla tematica del taglio della coda. Per quanto riguarda il trasporto, la Commissione ha concentrato il proprio lavoro sull’affrontare le sfide legate ai lunghi viaggi. Per garantire la corretta applicazione della legislazione, la Commissione ha valutato diversi Stati Membri nell’ambito di un progetto triennale (2017-2019). Questo progetto si è concentrato esclusivamente sul benessere degli animali esportati in Paesi Terzi su strada e via mare. Per quanto riguarda il benessere dei suini, la Commissione ha sviluppato attività per aiutare gli Stati Membri a migliorare il loro livello di conformità. Nel marzo 2016, la Commissione ha adottato una raccomandazione sull’attuazione della Direttiva 2008/120/CE, che stabilisce norme minime per la protezione dei suini per ridurre la necessità del taglio delle code. È stato accompagnato da un documento di lavoro che fornisce gli strumenti tecnici per migliorare l’applicazione e il rispetto della normativa. Il taglio della coda dovrebbe essere effettuato solo in circostanze rigorosamente definite; tuttavia, molti Stati Membri lo praticano ancora regolarmente. Oltre alla strategia, la Commissione ha condotto audit negli Stati Membri per valutare il modo in cui essi abbiano utilizzato questa raccomandazione per migliorare la conformità con il diritto dell’UE. La Commissione ha inoltre sviluppato un ampio materiale di comunicazione per assistere e incoraggiare gli allevatori di suini, con approcci diversi, ad evitare il taglio abituale della coda (fonti: eur-lex.europa.eu – 3tre3.it; photo © Helene Devun – stock.adobe.com).
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Italia «L’approvazione in Conferenza Stato-Regioni delle Linee Guida di riferimento per la produzione igienica delle carni di selvaggina rappresenta un passo fondamentale per la valorizzazione di quello che, grazie ai chiarimenti normativi, può divenire un rilevante comparto alimentare nazionale. Invito le singole regioni a recepire le indicazioni così da renderle operative, adattandole alla realtà locali, e dando vita alla filiera della selvaggina italiana». A dichiararlo è stato il deputato FILIPPO GALLINELLA, presidente della Commissione Agricoltura della Camera, a seguito dell’intesa sancita tra le Regioni sulle linee guida che chiariscono l’origine — animali abbattuti durante il regolare esercizio dell’attività venatoria o durante le attività di controllo degli enti —, e destinazione della carne di selvaggina selvatica. «È possibile l’autoconsumo, l’immissione sul mercato di piccoli quantitativi nonché la commercializzazione attraverso un centro di lavorazione riconosciuto, dopo ispezione veterinaria. Le Linee Guida definiscono poi i requisiti dei locali per la gestione e la lavorazione della selvaggina, oltre le indicazioni igienico-sanitarie generali nonché la gestione delle carcasse. Auspico un celere recepimento delle Regioni così da rendere presto concreta questa opportunità affinché si possa dar vita alla filiera della selvaggina italiana, magari anche con un marchio che ne valorizzi la qualità della produzione» ha spiegato Gallinella (fonte: EFA News – European Food Agency; photo © Michael Breuer).
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dellla
Opperaa dei foornittorri di carrne bellga Cosa rende la carne belga un’opera d’arte? È il connubio unico tra la carne fresca e una triade vincente: massimo rendimento, efficienza e flessibilità del servizio. Ecco in cosa eccellono i fornitori di carne belga. Ne vuoi un assaggio?
Trova il tuo artista della carne belga su belgianmeat.com
NATURALMENTE CARNIVORO
Il nostro “Naturalmente carnivoro” del mese è Angelo Polezzi, Mister Porcobrado, allevatore a Cortona, Arezzo, nella storica azienda agricola Borgonovo, di suini di razza Cinta senese e Grigio chianino allo stato brado, ma, soprattutto, ideatore del panino più buono d’Europa. Sì, perché il panino di Porcobrado ha conquistato nel 2017 il “Best Sandwich” al “The European Street Food Awards” di Berlino, l’anno dopo è risultato Campione Regionale Street Food secondo la guida di Gambero Rosso, per poi trionfare nel 2020 al “The European Street Food Awards Italia”. Proprio nel 2020, l’anno in cui il tempo si è fermato, oltre a quasi tutto il resto, ristorazione in primis, Angelo ha creato la Porcobrado Box, per far arrivare le sue creazioni nelle case di tutti gli Italiani e non (le box possono essere spedite anche all’estero; info sul sito). Porcobrado è carne di alta qualità che proviene dai pascoli della fattoria cortonese e un procedimento di lavorazione che dura più di 100 ore, con le carni che vengono prima affumicate con legna da frutto, poi salate, marinate e cotte lentamente per 18 ore prima di essere affumicate nel barbecue al legno di quercia. Tutto è a km 0, anche il pane, che viene ottenuto con la farina di grano di Verna, antico grano aretino particolarmente digeribile, e le salse artigianali di accompagnamento, preparate seguendo ricette a base di prodotti locali senza l’uso di alcun conservante. L’ultima creazione di Porcobrado si chiama “Porcobrado Gin Box” e nasce dalla collaborazione con un’altra affermata realtà cortonese, la Sabatini Gin, il primo London Dry Gin toscano. Nella box c’è tutto l’occorrente per preparare due panini e due gin tonic, coi mignon di Sabatini Gin e le toniche toscane de Le Spume del Papini. Suona parecchio, parecchio bene (photo © porcobrado.com).
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LA FRASE DEL MESE
“
Con riferimento alle emissioni, pochi sanno che per produrre 1 kg di carne bovina in Italia la quantità di CO2 equivalente emessa è pari a meno di un quinto di quella emessa per produrre lo stesso chilo di carne in Asia ed in America
Luigi Scordamaglia AD Inalca (a pagina 70 un esempio di equilibrio virtuoso tra zootecnia e ambiente)
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TENDENZE Delivery, da local marketing al mondo
Ecco un poster dal sapore vintage che promuove il delivery. Secondo una ricerca dell’Osservatorio Just Eat (su 30 città e 16.000 ristoranti), il cibo consegnato a domicilio ha raggiunto, nel nostro Paese, un fatturato di circa 800 milioni nel 2020, crescendo del 25% circa rispetto all’anno precedente e si stima raggiungerà il miliardo entro il 2021 (relativamente insensibile all’andamento della pandemia, la consegna a domicilio rimarrà quasi certamente pratica consolidata anche col ritorno alla normalità e ai ristoranti aperti). A pagina 60 vi raccontiamo la storia di un delivery carnivoro che da Milano sta conquistando i mercati internazionali.
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“LA BONA”
TAGLIATA DI MAREMMA
HAMBURGER DI MAREMMA
DAL NOSTRO RANCH IN MAREMMA!!!
MINIBURGER DI MAREMMA
Braciamiancora è il primo grande network italiano dedicato al mondo della carne e della cucina a fuoco vivo. La Community raccoglie i cultori del barbecue, delle grigliate e tutti coloro che amano i sapori tradizionali. La linea Braciamiancora nasce per offrire al consumatore un prodotto selezionato, che metta insieme qualità, tradizione e trasparenza. KPHCVVK NƦGURTGUUKQPG FK WPC ǚNKGTC EQTVC G EQPVTQNNCVC che unisce la tradizione dell’azienda agricola 2QFGTG FGK (KQTK C SWGNNC FGN 5CNWOKǚEKQ 5CPFTK I prodotti Braciamiancora sono realizzati con carne proveniente da bovini allevati in Maremma e sono lavorati artigianalmente nel cuore della Toscana.
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ATTUALITÀ
OICB: la zootecnia italiana reclama maggiore attenzione per quanto espresso ad oggi in tema di sostenibilità
«L
a filiera zootecnica italiana è pronta a fare la sua parte nel processo di transizione ecologica e a raccogliere le indicazioni del Green Deal, ma voglio precisare che in tema di ambiente non è mai rimasta con le mani in mano e occorre dirlo con chiarezza. Abbiamo bisogno di rimarcare quanto di buono in tema ambientale hanno espresso gli allevatori e i trasformatori negli ultimi 50 anni. Per fare un esempio, dai dati presentati dal professor BRUNO RONCHI, presidente del comitato consultivo “Allevamenti e prodotti animali” dell’Accademia dei Georgofili, è emerso chiaramente che gli allevamenti italiani hanno ridotto del 40% le emissioni di metano, il principale gas serra della zootecnia. Anche sulla quantità di acqua, così preziosa, necessaria per produrre 1 kg di carne è emerso che. Per l’87% è costituita da “green water”, ovvero acqua piovana utile alle coltivazioni». Queste le parole di MATTEO BOSO, presidente dell’associazione OICB – Organizzazione Interprofessionale per la Carne Bovina, in occasione di un recente convegno sugli allevamenti
bovini e sulla sostenibilità. «Nel vasto scenario dell’informazione, è necessario che questi dati, basati su criteri di rilevamento scientifici, siano portati all’attenzione dell’opinione pubblica e dei consumatori, perché siamo stanchi di essere tacciati come gli inquinatori del Pianeta» aggiunge il presidente di OICB, in fase di riconoscimento, che riunisce 7 grandi organizzazioni che rappresentano la filiera delle carni bovine che vanno dall’allevamento (CIA – Agricoltori Italiani, UNICEB, Assograssi), alla trasformazione (UNICEB, Assograssi), alla distribuzione (Fiesa-Confesercenti) e che vedono tra i soci fondatori anche Assalzoo. «Questo è uno dei tanti impegni che ha assunto l’OICB per difendere gli interessi di tutto il comparto e che porteremo avanti con impegno e passione. Il progetto OICB, infatti, nasce dalla considerazione che sullo scenario italiano mancava una vera Organizzazione Interprofessionale della carne bovina che raccogliesse, come accade in altri Paesi europei, una grande parte dei rappresentanti delle produzioni zootecniche nazionali ed è aperto
Il water footprint della produzione di carne bovina in Italia si attesta a 11.500 litri di acqua per produrre 1 kg di carne (il 25% in meno rispetto ai 15.415 della media mondiale), e solo il 13% (1495 l) di questa viene effettivamente consumato. Il restante 87% è quindi costituito da “green water”, ovvero acqua piovana utile per le coltivazioni
a tutte le forze di rappresentanza di buona volontà» continua Boso. «Riteniamo che un’Organizzazione Interprofessionale non possa essere utilizzata come un mero strumento per raccogliere fondi che servono per promuovere un marchio, tra l’altro non rappresentativo di tutta la produzione italiana. Ci piacerebbe molto riuscire a intavolare un dialogo di convergenza, ma tutti i tentativi espletati, che sono stati tanti, si sono arenati sul tema dirimente, che è quello di dare pari dignità a tutte le componenti di una Organizzazione Interprofessionale. L’esperienza realizzata in altri Paesi europei ci ha insegnato che solo l’unità di tutti i soggetti della filiera riesce a sostenere sul mercato la zootecnia italiana nel suo insieme, senza scadere nella tentazione di valorizzare marchi puramente commerciali», conclude il presidente di OICB Boso. E-mail: organizzazione@oicb.it
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Il futuro della zootecnia europea preoccupa gli allevatori La strategia Farm to Fork è destinata a portare notevoli cambiamenti nel settore e la discussione tra i vari componenti delle filiere vede a volte tesi contrapposte. La sostenibilità è al primo posto nell’elenco delle priorità ma, come ha ricordato Luigi Scordamaglia, presidente di ASSOCARNI, oltre ad essere ambientale dovrà essere anche economica di Anna Mossini
La strategia Farm to Fork (F2F) è il piano decennale messo a punto dalla Commissione europea per guidare la transizione verso un sistema alimentare equo, sano e rispettoso dell’ambiente (photo © briday – stock.adobe.com).
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N
on sarà un confronto semplice. Di questo tutti gli attori coinvolti sono consapevoli. Ma alla fine una sintesi andrà trovata perché è necessario definire oggi gli scenari del settore zootecnico nell’Europa di domani all’interno della strategia Farm to Fork. Se ne è parlato ad un recente webinar organizzato da EUNEWS in collaborazione con Carni Sostenibili e European Livestock Voice, al quale hanno partecipato CLAIRE BURY, direttrice generale aggiunta DG Sante presso la Commissione UE; HERBERT DORFMANN della Commissione Agri; JYTTE GUTELAND della Commissione ENVI; PEKKA PESONEN, segretario generale COPA-COGECA; LUIGI SCORDAMAGLIA, presidente di ASSOCARNI. Dai diversi punti di vista ascoltati, un dato ha trovato tutti d’accordo: se è vero com’è vero che l’obiettivo deve essere quello di rendere il settore zootecnico più sostenibile da un punto di vista ambientale, è altrettanto vero che gli allevatori devono essere parte integrante della soluzione e non del problema. Opportunità irripetibile «Con il Farm to Fork abbiamo davanti a noi un’opportunità unica e irripetibile — ha sottolineato Luigi Scordamaglia — ma non possiamo correre il rischio di vedere la transizione governata da approcci ideologici». Chiaro il riferimento ai numerosi attacchi al settore zootecnico che, soprattutto negli ultimi tempi, non arrivano solamente da associazioni animaliste e/o ONG, ma anche da schieramenti politici. «Sarebbe semplicistico e pericoloso ricondurre tutta la discussione ad una contrapposizione tra due metodi di allevamento, l’estensivo vs l’intensivo, pensando che il primo sia l’unica soluzione percorribile. Chi lo fa dimentica, o non sa, che il sistema zootecnico dagli anni ‘60 a oggi ha permesso di sfamare 125 milioni di persone in più e che l’impatto legato alle emissioni si è ridotto del 20% per ogni chilo di proteine prodotte.
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A questo non possiamo dimenticare di aggiungere il grande apporto che può essere assicurato dalle deiezioni animali sia nella produzione di energia rinnovabile, come il biogas e il biometano, con il primo che ci colloca al quarto posto a livello mondiale come produttori, sia come fertilizzante naturale. Quindi, se parliamo di sostenibilità ambientale non possiamo pensare di svincolarla da quella economica. Rischieremmo di fare il gioco di quei gruppi privati che, investendo ingenti somme di danaro, puntano a staccare le produzioni alimentari dalla terra per indirizzarsi verso cibi processati che di innovativo e, soprattutto, di salubre hanno ben poco. Non c’è dubbio che esistano margini di miglioramento soprattutto rispetto al benessere animale — ha concluso Scordamaglia — non è un caso che la modernizzazione delle nostre filiere rappresenti uno dei principali obiettivi a cui peraltro il Recovery Plan ha destinato una cifra ingente pari a 700 milioni di euro ma, ripeto, non possiamo permettere che l’approccio, in questo momento storico così importante, sia teorico e ideologico: la piena e completa applicazione del Farm to Fork si fa dentro e con le filiere. Certamente non contro di esse». No all’approccio ideologico Sulla stessa lunghezza d’onda Herbert Dorfmann, che ha ricordato l’intenso lavoro sul Farm to Fork in cui tutta la Commissione di cui fa parte è impegnata, sottolineando quanto sia importante «agire sui fatti e non sulle ideologie, perché purtroppo le strategie adottate finora non sempre hanno preso in considerazione la scienza, bensì l’ideologia. Inutile negarlo, la discussione con la Commissione è stata spesso caratterizzata da visioni che hanno creato problemi perché, a mio avviso, non c’è stato un corretto approfondimento scientifico su alcuni aspetti molto importanti. Prendiamo ad esempio il tema delle emissioni. Si punta il dito contro il comparto dei bovini da carne ma non si indaga sui danni ambientali che altri cicli
di vita, inevitabilmente, provocano e che non possono essere ignorati visto che la popolazione mondiale supera i 7 miliardi di persone. E ancora. Qual è il vero significato di intensivo? Se correttamente la strategia del Farm to Fork pone come uno degli obiettivi la riduzione dei fertilizzanti chimici è evidente che avremo bisogno di un maggior numero di allevamenti per produrre fertilizzanti naturali attraverso l’impiego delle deiezioni. È indubbio che si debba lavorare per ridurre ulteriormente le emissioni derivanti dagli allevamenti zootecnici — ha sottolineato ancora Dorfmann — ma sarebbe troppo semplicistico continuare a ribadire che l’unica responsabilità relativa all’impatto ambientale deve ricadere sugli allevamenti, e in special modo quelli di carne bovina. Non vi è alcun dubbio che si debba individuare un modello produttivo più sostenibile, ma bisogna farlo uscendo da una contraddizione enorme che vede oggi l’Europa importare il 95% delle proteine animali di cui ha bisogno. Penso che questa percentuale suggerisca una profonda riflessione che, ripeto, deve essere scientifica. Solo ed esclusivamente scientifica». Questione di coerenza «Nel momento in cui afferma che bisogna andare verso una zootecnia più sostenibile che garantisca alimenti sempre più salubri, la UE stringe accordi coi Paesi Terzi per una maggiore importazione di carne, dimostrando una totale incoerenza che avrà ripercussioni molto negative anche sulla redditività degli allevatori europei. Ma come si fa?». Ad dirlo è stato PEKKA PESONEN, ricordando che una domanda si impone su tutte a seguito dei numerosi e radicali cambiamenti che gli allevatori hanno adottato nei loro metodi produttivi: come e cosa rende sostenibile un allevamento? «Forse bisognerebbe considerare che, a fronte di un aumento della produzione di carne registrato in questi ultimi decenni, contestualmente abbiamo rilevato un
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Entro il 2025 tutte le aree rurali avranno accesso alla banda larga: lo ha dichiarato Claire Bury (photo © dusanpetkovic1 – stock.adobe.com). abbassamento delle emissioni grazie all’innovazione tecnologica. Un’evoluzione che deve però anche tradursi in un giusto riconoscimento economico, con prezzi capaci di premiare la redditività aziendale. L’importanza economica dell’agricoltura e dell’allevamento non può essere sottovalutata; per questo, nel rispetto degli ambiziosi obiettivi del Farm to Fork, noi abbiamo chiesto alla Commissione di fornirci strumenti sostenibili per realizzare i miglioramenti richiesti all’interno di una corretta valutazione degli investimenti richiesti. Non vogliamo nemmeno prendere in considerazione l’ipotesi di una riduzione degli allevamenti perché questo creerebbe uno squilibrio senza precedenti che darebbe origine ad un mercato estremo. Noi vogliamo invece che le produzioni siano alla portata di tutti, lasciando ovviamente al consumatore la libertà di decidere cosa acquistare». Coerenza prima di tutto Per CLAIRE BURY, anima ispiratrice del Farm to Fork che ha definito parte essenziale del Green Deal, le preoccupazioni degli allevatori sono comprensibili e non lasciano indifferente la Commissione. «Le sfide nate dalla pandemia ci hanno costretto a prendere coscienza di
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quanto sia necessario individuare un modello più resiliente ma, soprattutto, più sostenibile di produzione. E per riuscire in questo percorso non vi è alcun dubbio che occorra il coinvolgimento di tutti gli attori della filiera perché la produzione animale, in Europa, è una parte importante dell’economia: basti pensare che nel 2017 il valore del settore ha toccato i 170 miliardi di euro, pari al 40% del totale. Quindi, quando parliamo di transizione verso un sistema più sostenibile, non possiamo non considerare che una sfida di tale portata non può riguardare solo le questioni ambientali ma anche la lotta alla microbicoresistenza, il rispetto del benessere animale, la riduzione dei pesticidi. Il tema quindi richiede un grande equilibrio e non contrapposizioni ideologiche che non porterebbero da nessuna parte. La Commissione conosce le preoccupazioni degli allevatori e per questo rivolge loro un invito a partecipare a tutte le discussioni in programma per trovare insieme soluzioni valide e sostenibili. Posso garantire che metteremo il massimo impegno per dimostrare la necessaria coerenza operativa, a iniziare dalla gestione dei pesticidi: se la UE deciderà di proibirli non
accetteremo analoghi prodotti di importazione. Sul benessere animale la sfida è di pari importanza. La Commissione ridurrà o eliminerà le gabbie e procederà ad una totale revisione della normativa. Gli impatti sugli allevatori saranno inevitabili, per questo prevederemo aiuti che possano garantire loro dei vantaggi. Non mancano poi proposte molto interessanti in materia di ricerca e innovazione e, riguardo la grande sfida legata alla digitalizzazione, posso affermare che entro il 2025 tutte le aree rurali avranno accesso alla banda larga. Non posso che sollecitare la partecipazione di tutti gli operatori per trovare insieme soluzioni che migliorino e non penalizzino un comparto che è una parte fondamentale della UE». Voce dissonante Di sistema zootecnico attualmente non sostenibile ha parlato JYTTE GUTELAND, che con una certa dose di equilibrismo diplomatico ha sì riconosciuto l’importanza del settore, la necessità di migliorare le condizioni di lavoro degli allevatori che ha definito “eroi” per il ruolo che ricoprono nel garantire l’approvvigionamento alimentare, sottolineando al contempo il bisogno, in Europa, di un sistema allevatoriale molto forte ma più sostenibile per avere cibo prodotto localmente, «con l’auspicio che per gli allevatori si creino le migliori condizioni e opportunità per rimanere sulla loro terra, eppure — è stato il suo affondo — gli studi ci dicono quanto il sistema zootecnico attuale impatti sull’ambiente e quanto sia necessario cambiare le tecniche di produzione e mangiare meno carne. Quindi io auspico la nascita di incentivi da destinare a chi trasforma la sua produzione verso modelli più sostenibili, perché tra le altre cose ritengo sbagliata questa ampia e diffusa concentrazione di animali allevati. Il parere degli allevatori mi interessa molto e, pur rappresentando una voce diversa, penso che lavorando insieme potremo riuscire a trovare insieme soluzioni equilibrate». Anna Mossini
Eurocarni, 6/21
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Quello che “Marketing Meat” di Greenpeace non dice (e non dirà) di Jerzy Wierzbicki
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mici italiani, smettetela di promuovere i vostri salumi, il vostro Parmigiano e le vostre eccellenze. Cari Francesi, non dovreste essere così orgogliosi di essere il Paese con i 365 formaggi diversi. E voi, amici austriaci, nascondete la vostra cotoletta. Colleghi spagnoli, mettete via quei prosciutti stagionati che hanno costruito la vostra fama. È stata questa la prima reazione leggendo il nuovo autoproclamato “studio” di GREENPEACE sulla promozione dei prodotti agricoli europei da parte dell’Unione Europea, “Marketing Meat”. In sostanza, questo documento di 25 pagine (immagini incluse) mira a dimostrare che “l’Unione Europea, nonostante le sue ambizioni politiche messe in atto con il
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Green Deal o la strategia Farm to Fork, ha speso tra il 2016-2020 più di 250 milioni di euro esclusivamente per la promozione della carne e dei latticini, in sostanza il 32% del budget globale destinato alla promozione dei prodotti agricoli sarebbe stato destinato all’agricoltura industriale”. La cifra citata ha lo scopo di scioccare, di rendere indimenticabile un tweet, ma a parte le statistiche che fanno scalpore, cosa ci dice veramente questo “rapporto”, o meglio cosa non ci dice? Quello che questo rapporto non ci dice, prima di tutto, è che la sua pubblicazione avviene in un momento specifico in cui l’Unione Europea sta attualmente discutendo l’evoluzione della sua politica di promozione e, in particolare, come
favorire ancora di più la sostenibilità dell’agricoltura, incoraggiando gli agricoltori dell’UE a proseguire nel loro impegno per una produzione più virtuosa. Agricoltori, cooperative, agronomi e comunità scientifica hanno moltiplicato gli sforzi per costruire un’agricoltura più rispettosa dell’ambiente e del benessere degli animali. Non sostenere questo lavoro significherebbe semplicemente voltare le spalle a chi investe quotidianamente nelle proprie aziende agricole. Greenpeace non vi dirà che l’agricoltura è uno dei pochi settori che è riuscito a ridurre le sue emissioni di CO2 negli ultimi 20 anni o che l’Europa ha i più alti standard al mondo per il benessere animale.
Eurocarni, 6/21
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“Greenpeace non vi dirà che l’agricoltura è uno dei pochi settori che è riuscito a ridurre le sue emissioni di CO2 negli ultimi 20 anni o che l’Europa ha i più alti standard al mondo per il benessere animale” scrive Jerzy Wierzbicki, presidente di COPACOGECA. “Ciò che questa relazione non prenderà in considerazione è che se decidessimo di smettere di promuovere la produzione alimentare europea, gli altri Paesi non esiterebbero a continuare a farlo, e sarà certamente a discapito degli animali da allevamento e dell’ambiente, visto che parliamo di Paesi i cui standard sanitari e ambientali non si avvicinano minimamente a quelli che i nostri agricoltori devono rispettare in Europa” (photo © nullplus – stock.adobe.com). Ciò che questa relazione non prenderà in considerazione è che se decidessimo di smettere di promuovere la produzione alimentare europea, gli altri Paesi non esiterebbero a continuare a farlo, e sarà certamente a discapito degli animali da allevamento e dell’ambiente, visto che parliamo di Paesi i cui standard sanitari e ambientali non si avvicinano minimamente a quelli che i nostri agricoltori devono rispettare in Europa. Se vogliamo veramente un’agricoltura europea più sostenibile di quanto non sia già, ostracizzare più di un terzo dei suoi lavoratori a favore di produzioni di Paesi terzi che non adottano protocolli ambientali, non sarà certamente la soluzione. Parliamo ora delle cifre e della metodologia. “250 milioni di euro in quattro anni”: è bastata una mail della Commissione europea alla redazione di POLITICO per mettere in discussione questa affermazione.
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Nella sua risposta, il funzionario della Commissione UE afferma giustamente che è difficile fare una stima del genere, poiché le politiche promozionali spesso non sono legate a un prodotto specifico ma a un paniere di prodotti diversi. Anche guardando al di là di questa eccessiva semplificazione, ciò che il rapporto di Greenpeace ha tralasciato è che questi 250 milioni di euro utilizzati per la promozione di carne e latticini, rappresentano, sì, il 32% del budget, ma sono in linea con il valore di mercato della produzione agro-zootecnica dell’UE che nel 2019 copriva esattamente il 38,6% dell’intera produzione. Lo stesso vale per frutta e verdura. Greenpeace afferma che solo il 19% del budget è dedicato a frutta e verdura, ma questo è in linea con il 20% della quota di mercato che questi prodotti rappresentano all’interno dell’intera produzione agricola dell’UE.
Inoltre, si deve anche tenere in considerazione che in aggiunta alla politica di promozione, tra il 2017 e il 2023, sono stati allocati 150 milioni di euro extra per la promozione di frutta e verdura nelle scuole dell’UE, attraverso il programma della Commissione School Scheme. Greenpeace afferma anche che solo il 9% dell’intero budget va al biologico. Ancora una volta, questo è del tutto in linea con la quota produzione di questi prodotti che arriva, infatti, all’8%. La conclusione che possiamo trarne è che la promozione dell’UE rispecchia la realtà della produzione in Europa. Il motivo è semplice. Spetta agli attori economici richiedere fondi e avviare una campagna promozionale. Se i fondi venissero ridistribuiti sulla base del ragionamento di Greenpeace, verrebbero utilizzati tutti? Inoltre, se seguissimo le indicazioni di Greenpeace non rischieremmo di vedere il budget
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dedicato alla promozione del nostro prezioso patrimonio regionale riallocato per promuovere “crocchette” vegane o “fake meat” prodotta in laboratorio? Il rapporto di Greenpeace attacca “l’agricoltura industriale” come principale destinatario dei fondi della politica di promozione dell’UE. Ciò che Greenpeace non dirà, però, è che la maggior parte del budget per il mercato interno è dedicata a prodotti IGP, prodotti biologici o alimenti prodotti in modo sostenibile. Ad esempio, nel 2019 l’intero budget dei programmi per il mercato interno è stato dedicato a queste tre categorie di prodotti. Ciò che Greenpeace non vi dirà è che la dimensione media degli allevamenti in Europa è di sole 47 unità di bestiame e che la politica di promozione è stata pensata a livello dell’UE per supportare questi piccoli allevatori e per garantire che i loro prodotti abbiano le stesse possibilità di essere promossi di quelli
delle multinazionali che hanno le risorse per implementare enormi campagne di marketing. Se guardiamo l’intera comunicazione di Greenpeace, questo rapporto è in definitiva solo una parte di un progetto molto più ampio: la veganizzazione della nostra alimentazione. A tal fine, Greenpeace sta promuovendo un’idea molto fuorviante, e cioè che esista una dottrina univoca in materia di ambiente o salute quando si tratta di allevamento. Ciò che Greenpeace non menzionerà è che molti ricercatori stanno lavorando per confutare queste affermazioni. Il caso ha voluto che lo stesso giorno in cui è uscito questo rapporto, siano stati pubblicati due nuovi studi che non mostrano alcun aumento del rischio di malattie cardiache, cancro o morte prematura per chi consuma carne rossa. Infine, e forse la cosa più importante, Greenpeace ha una visione di come potrebbe essere una dieta più vegana, ma ciò che il rapporto
non dice è che anche la lobby delle multinazionali alimentari sono allineate alla comunicazione di Greenpeace a Bruxelles e hanno la stessa visione: promuovere prodotti vegani ultra-processati, standardizzati e ingegnerizzati, meno validi dal punto di vista nutrizionale, o prodotti sintetici, che potrebbero non essere molto convincenti dal punto di vista ambientale. Per far accettare quelle “alternative”, le agenzie di marketing dietro quei prodotti sanno che il gusto, la nutrizione o il prezzo sono la loro forza, ecco perché è così importante per loro far leva sul valore di questa equazione. In passato, i prodotti alternativi non hanno mai utilizzato una simile strategia per penetrare un mercato e sia i prodotti originali che quelli alternativi potevano convivere, così come è stato per burro e margarina. La rivoluzione promessa non sarà certamente quella promossa, e quando arriveremo a quel punto non ci sarà più ritorno. Le nostre
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fattorie con il loro know-how saranno sparite per sempre. La posta in gioco dietro la battaglia delle politiche di promozione è la visione del nostro sistema alimentare del futuro. Abbandoneremo parte del nostro patrimonio culinario, il nostro Parmigiano, i nostri Camembert, le nostre salsicce, il nostro filetto di maiale, la nostra costata in favore di alimenti sintetici il cui universo culinario è popolato da “hamburger” e “pepite” vegetariane? Rispetto ai 3,1 miliardi di euro investiti lo scorso anno in prodotti di imitazione a base vegetale, cosa rappresentano 250 milioni di euro investiti in 4 anni dalla Commissione europea per promuovere e proteggere il patrimonio culinario dell’UE? Alla fine, questo “studio”, che manca di una solida metodologia e di credibilità accademica, si unirà alla serie di rapporti dello stesso tipo che vogliono dare l’impressione di un consenso univoco sull’argomento. Questo approccio è purtroppo deleterio per il dibattito pubblico europeo in quanto alimenta una sorta di populismo contro il lavoro messo in atto dalla Commissione e dagli agricoltori dell’UE per migliorare la sostenibilità dell’agricoltura europea. Se applicato, potrebbe certamente portare ad un aumento delle importazioni da Paesi stranieri, come quelli del mercato MERCOSUR, danneggiando il nostro patrimonio culinario regionale, consentendo alle multinazionali di promuovere le loro nuove linee di prodotti. Jerzy Wierzbicki Presidente di COPA-COGECA Note • COPA-COGECA è l’unione delle due grandi organizzazioni agricole (COPA e COGECA) e il più forte gruppo di interesse per gli agricoltori europei (copacogeca.eu). • Testo a cura della Redazione di Carni Sostenibili (www.carnisostenibili.it). • www.greenpeace.org/eu-unit/ issues/nature-food/45548/ report-eu-spent-e252-millionadvertising-meat-and-dair y
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Animalisti vs allevamenti, no alle mistificazioni, sì al confronto equilibrato Per un’informazione corretta verso il consumatore il criterio da adottare non può essere la demonizzazione del settore zootecnico. Basterebbe considerare il dato scientifico e non l’approccio ideologico. Una strada in salita, ma l’unica percorribile
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di Anna Mossini
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uanto è difficile svincolarsi dall’approccio ideologico quando ci si deve confrontare sullo stesso tema ma da posizioni diverse, se non contrapposte? La risposta è semplice: molto. Ed è esattamente quanto sta accadendo nel sempre più acceso dibattito tra associazioni animaliste/ambientaliste/ONG e mondo zootecnico. Un dibattito che, soprattutto negli ultimi tempi, trova grande spazio negli organi di informazione, nei talk show televisivi, nei social. Parlare di “dibattito” però non è corretto. Lo è molto di più definirlo “attacchi pianificati”
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che spesso sciorinano dati approssimativi, assolutamente confutabili, mistificati in una modalità molto efficace e, per questo, capace di toccare quella particolare sensibilità del consumatore al punto da condizionarne l’orientamento. Sarebbe fin troppo facile da queste pagine alzare gli scudi in una difesa del settore che non ammette repliche, ma se vogliamo provare a uscire da questo corto circuito in cui il principale e fondamentale assente è l’equilibrio, dobbiamo partire da un approccio diverso. E dobbiamo farlo proprio noi che difendiamo il comparto zootecnico, che mangiamo carne
e sappiamo quanto sia importante mangiarla non solo perché è buona, ma soprattutto perché mangiare carne, nelle giuste proporzioni, fa bene. Lo dice la scienza. Ed è sul criterio scientifico che occorre confrontarsi, come ha sottolineato recentemente LUIGI SCORDAMAGLIA, presidente di ASSOCARNI, in un recente incontro on-line dedicato al futuro degli allevamenti in Europa nell’ambito della strategia Farm to Fork, di cui peraltro diamo conto nell’articolo a pagina 28 di questo stesso numero di EUROCARNI. Partiamo da un dato di fatto di cui tutti sono a conoscenza. Duran-
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te il primo, lunghissimo lockdown dello scorso anno, il mondo agrozootecnico ha garantito l’approvvigionamento alimentare all’intera popolazione, suscitando un plauso generalizzato e incondizionato. Forse per la prima volta il comparto assurgeva agli onori delle cronache non per uno scandalo sanitario, non per una denuncia di maltrattamenti degli animali, non per essere additato come il maggior inquinatore ambientale sulla faccia della terra, ma per averci assicurato il cibo quando il mondo, a causa di Covid-19, era stato costretto a fermarsi. Analisi obiettive Ma la tregua, se così vogliamo chiamarla, è durata poco, perché appena quella prima emergenza è terminata, ecco che alcune associazioni ambientaliste hanno iniziato a puntare di nuovo il dito contro gli allevamenti colpevoli, a loro dire, di contribuire alla diffusione del coronavirus. Gli echi provenienti dal megafono di alcune trasmissioni televisive hanno fatto il resto e da lì, se volessimo fare un elenco di quanto avvenuto fino a oggi, gli attacchi alla zootecnia non si sono più fermati. Perché? Cosa muove questa volontà di criminalizzare il settore, gli allevatori e tutto ciò che rappresentano? Chi c’è realmente dietro a questa onda che, come ha ricordato in più occasioni Luigi Scordamaglia, vede personaggi come BILL GATES investire qualcosa come 3,9 miliardi di dollari nella promozione di prodotti vegani processati, standardizzati e ingegnerizzati che, se da un punto di vista ambientale, forse, secondo alcune teorie sarebbero la soluzione, dall’altra determinerebbero la scomparsa di un settore, quello zootecnico, che nel tempo ha saputo evolversi, tutelare il territorio, contribuire al miglioramento alimentare della popolazione? Mi fermo qui, perché su questo fronte il discorso rischierebbe di prendere una piega scientifica che non è l’obiettivo di queste righe, limitandomi invece ad una serie di riflessioni molto più laiche e per questo forse meno impegnative.
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Interpretazione dei dati Torniamo allora al termine equilibrio. Che doverosamente deve essere applicato ad entrambe le parti. Difendere il comparto zootecnico vuole dire forse non vederne i limiti e/o le criticità? No, nella maniera più assoluta. Se molto, soprattutto in questi ultimi decenni, gli allevatori hanno fatto per migliorare i loro allevamenti, le condizioni di vita del loro bestiame e il loro stesso lavoro, molto ancora deve essere fatto perché, senza scadere nella retorica, il miglioramento non ha mai una fine. Esistono bellissime realtà imprenditoriali dove la lungimiranza degli allevatori e l’innovazione tecnologica applicata in azienda lascerebbero a bocca aperta anche il più convinto dei vegani. Ma è altrettanto vero che esistono ancora allevatori che su questo percorso professionalmente evoluto non si sono mai incamminati. Sono tanti? Sono pochi? Io credo che siano sempre più una minoranza, ma sufficientemente determinante per riuscire a gettare un’ombra nefasta sull’intero settore. Che fare allora? Semplice: non farsi condizionare dall’approccio ideologico, leggere e interpretare bene i numeri, confrontarsi su dati scientifici inconfutabili ma, soprattutto, parlarsi, gettando le basi per un confronto che non parta e non si basi sulle rispettive barricate di appartenenza. Una mission impossible? Forse, ma l’unica da tentare nel rispetto di tutti i punti di vista, di tutte le scelte alimentari che ognuno vuole adottare senza avere la pretesa di convincere il mondo intero a diventare vegetariano e/o vegano e, allo stesso tempo, senza pensare di vedere nell’altra parte un nemico da combattere a prescindere. Informare non orientare Ed è un invito che ritengo vada rivolto anche a quella stampa generalista spesso molto attenta allo “scandalo” ma anche sorda e poco sensibile al “buono” che si può e si deve comunicare. Se “una cattiva notizia è sempre una buona notizia” in termini di audience, non possiamo
dimenticare che una buona notizia dovrebbe godere dello stesso spazio e della stessa rilevanza perché il lettore deve essere informato e non orientato. Così, se secondo i dati elaborati dall’ISPRA (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) nel 2019 in Italia le emissioni di gas serra causate dall’agricoltura non sono andate oltre il 7% e si sono fermate addirittura al 5% relativamente al comparto zootecnico, sarebbe il caso di darne risalto, sottolineando che i trasporti e le industrie energetiche hanno contribuito invece rispettivamente per il 25,3% e il 23,7%. A cosa vanno attribuite quelle percentuali ad una cifra se non agli standard dell’agrozootecnia italiana che sicuramente sono più ecosostenibili rispetto a quelli adottati in altri continenti? Non sarà merito anche di quella Dieta Mediterranea che, nella sua varietà e nel bilanciamento dei cibi, prevede una quota pro capite di carne inferiore rispetto alla media occidentale? Ecco, si potrebbe partire da qui. Dall’obiettività di questi dati scientifici, a cui se ne potrebbero aggiungere altri, che non mancano. Gli attacchi di chi vuole cancellare la zootecnia dalla faccia della terra e la difesa di chi quel mondo vive portano inevitabilmente a uno squilibrio di posizioni in cui solo chi è più forte, soprattutto finanziariamente, potrà vincere. E da questo punto di vista i più forti non sono certo gli allevatori. Ma qui non si tratta di mostrare i muscoli e attingere ad indispensabili risorse economiche per far valere le proprie idee. Servono invece poche cose: informazioni corrette, equilibrio, capacità di mettersi in discussione, rispetto. Io sono convinta che gli allevatori non si sottrarrebbero a un confronto di questo tipo. Oggi più che mai il consumatore vuole sapere e avere il maggior numero di informazioni sui cibi che porta sulla sua tavola. Per questo bisogna informare. Non orientare. Nel rispetto assoluto della libertà altrui. Anna Mossini
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MarcabyBolognaFiere, appuntamento a gennaio 2022 Il perdurare dell’emergenza sanitaria, nonostante le campagne vaccinali in atto sul territorio nazionale stiano lentamente invertendo la curva dei contagi, richiede agli organizzatori fieristici massima flessibilità e una continua valutazione delle opportunità di rimodulazione dei calendari espositivi, con l’obiettivo di assicurare le migliori condizioni per lo svolgimento degli eventi e di assecondare le esigenze delle aziende impegnate a far fronte alla pandemia. È nato anche da queste riflessioni il confronto fra organizzatori dell’evento — BolognaFiere in collaborazione con ADM, Associazione Distribuzione Moderna — e gli espositori, per individuare la miglior data per lo svolgimento della prossima edizione di MarcabyBolognaFiere. Dopo il successo riscosso da Marca Digital Session, la piattaforma digitale di incontro fra produttori e la filiera della GDO (attivata dal 15 al 25 marzo 2021) — che ha visto la presenza di 325 aziende produttrici MDD partner, la realizzazione di 4.000 incontri, 9.000 presenze, l’intervento di 175 buyer stranieri di importanti insegne estere, la presenza di insegne da Europa, USA, Canada, Sud America, Asia e Medio Oriente e di 100 buyer italiani delle insegne top del comitato di MarcabyBolognaFiere — si è reso necessario valutare l’opportunità di confermare lo svolgimento dell’evento come pianificato inizialmente a giugno 2021 o riproporla nella naturale data di svolgimento, il mese di gennaio, puntando direttamente al 2022. La scelta degli espositori ha privilegiato la seconda opzione, sulla quale confluisce, da un lato, la certezza del consolidamento degli effetti delle campagne vaccinali in atto e, dall’altro, il riposizionamento di MarcabyBolognaFiere nel periodo più funzionale alle aziende partecipanti per la pianificazione delle strategie commerciali. «Siamo certi che il riposizionamento a gennaio 2022 sia la migliore soluzione per la ripartenza, a pieno ritmo, del business e per sostenere il trend di attenzione degli operatori internazionali sempre più proiettati a sviluppare collaborazioni commerciali con le imprese italiane che avranno, così, più tempo per organizzare al meglio la partecipazione all’evento» ha dichiarato GIANPIERO CALZOLARI, presidente di BolognaFiere». «Posizionare MarcabyBolognaFiere a gennaio 2022 ci è parsa la soluzione migliore per consentire alle aziende partecipanti di concentrare i loro sforzi nella gestione dell’emergenza tuttora in atto e prevedere la ripartenza a quella data» conferma MARCO PEDRONI, presidente ADM. «Ci conforta il fatto che la sessione digitale svolta a marzo abbia dato ottimi risultati di partecipazione degli operatori, sia MDD partner che distributori; questo ribadisce l’importanza crescente che la Marca del Distributore ha sul mercato e la necessità di proseguire i lavori di innovazione e sviluppo della stessa». >> Link: www.marca.bolognafiere.it
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Luci ed ombre sul DEF di Cosimo Sorrentino
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prile ha visto il nostro Governo in piena attività per approntare e definire due importanti provvedimenti: il Recovery Plan, da consegnare alla Commissione UE entro lo stesso mese, ed il DEF, Documento di Economia e Finanza, col quale viene predisposto un pacchetto di provvedimenti economico-contabili del prossimo anno. Non potendo ancora illustrare, nella sua completezza, il Recovery Plan, poiché mancano ancora dettagli, tali da far comprendere la realizzazione degli obiettivi che si intendono raggiungere, i tempi e l’attuazione delle riforme che, per ora, sono state solo indicate, riteniamo utile trattare i contenuti del DEF, che pur rappresenta un atto che fa comprendere le intenzioni del Governo in termini di politica economica e di riforme in avvenire. Il DEF è, quindi, il primo atto formale con cui si inaugura la sessione di bilancio per il triennio 2022-24 ed essendo un documento preliminare i suoi contenuti saranno valutati, in prima istanza, dalla Commissione UE, per essere poi aggiornati ed adeguati alle esigenze, in atto nel corso del mese di settembre di quest’anno, quando si avrà la predisposizione del bilancio dello Stato. Il documento è stato già approvato alla metà di aprile, atteso con particolare aspettativa dagli ambienti economici e finanziari, tenuto conto di un anno certamente non normale che si sta vivendo a causa della crisi pandemica, che sta condizionando la salute dei cittadini e quella economica e finanziaria del Paese. Le cifre contenute nel documento confermano comunque un rapporto tra deficit e PIL ancora in crescita nel corso di quest’anno, ma i contenuti appaiono ricchi di progettualità e riforme e ciò non
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Il presidente Mario Draghi ha affermato che il problema non è fare debiti ma garantire che si tratti di debiti “buoni”, debiti cioè destinati a far crescere la produttività e non di debiti “cattivi”, destinati a tenere un tenore di vita non sostenuto da un’adeguata produttività (photo © Alessandra Tarantino/ POOL/AFP via Getty Images). ci fa esprimere molto entusiasmo, poiché dopo la forte riduzione del reddito nazionale con il –8,9% nel 2020 ed una crescita del 4,5% per il corrente anno, non vediamo come si possa essere soddisfatti. Inoltre, un incremento del +4,8% nel 2022 ed un ancora più modesto +2,6 nel 2023 e un +1,8% nel 2024 rafforzano le perplessità per una crescita che ci appare molto deludente; basti considerare che il Paese deve tener conto che sono stati effettuati interventi in extra deficit di circa 110 miliardi nel 2020 e di oltre 70 miliardi quest’anno, almeno per ora… Dopo il crollo registrato nel 2020, un rimbalzo tecnico del PIL è naturale, ma manca la capacità di mantenere tassi di crescita più
elevati nel corso del tempo tali da fare la differenza. Ci colpisce però un fatto che ci teniamo a sottolineare: le stime, come viene riconosciuto espressamente dallo stesso Governo, non tengono conto del Piano previsto dagli oltre 200 miliardi da spendere nei prossimi cinque anni e tale posizione fa apparire prudente ogni previsione, anche perché non è possibile, per ora, conoscere il vero impatto delle misure previste dal detto Piano. Meglio è essere prudenti e non illudersi, pur non mancando di manifestare un certo ottimismo, che denota, almeno, la volontà di bene operare nel prossimo periodo.
Eurocarni, 6/21
Ricordiamo che il Paese è gravato sempre da un debito pubblico enorme e livelli di deficit non confortanti e la differenza la faranno la capacità di cambiare passo e dare risposte adeguate a famiglie e imprese. Dovendo fare una sintesi più appropriata, si può convenire che il DEF prevede un significativo aumento del deficit e del debito in una prima fase, seguito dal rilancio della crescita, che, come sopra accennato, non appare ottimale e, inoltre, l’inizio della riduzione del rapporto debito-PIL nella fase seguente. Giova a tal proposito anche ricordare che l’UE, costretta dalla pandemia, ha sospeso le regole del debito pubblico, cosa che comporta l’inapplicazione delle previste sanzioni a carico degli Stati inadempienti. La difficoltà del programma delineato non si riscontra nella sua enunciazione, che è pur semplice esprimere, ma nella sua realizzazione, che appare molto più complessa, perché non spaventa, almeno al momento, l’aumento del deficit, ma l’impiego cui l’aumento viene destinato. Per dirla in altri termini, non vediamo problema nell’esposizione del programma ma, come sottolineano anche gli esperti più avveduti a questi problemi, la preoccupazione che sorge riguarda la completa e vera realizzazione del programma stesso in un periodo di 4 o 5 anni di duro lavoro. Del resto lo stesso presidente negli ultimi tempi MARIO DRAGHI ha affermato che il problema non è fare debiti, ma garantire che si tratti di debiti “buoni”, debiti cioè destinati a far crescere la produttività e non di debiti “cattivi”, destinati a tenere un tenore di vita non sostenuto da una adeguata produttività. La corsa per la ripresa è, per ora, un progetto ma anche una speranza, che bisogna certamente coltivare, ma sempre con cautela, perché, come già detto, non ci piacciono i toni troppo entusiastici sull’intero impianto del DEF. Il periodo è gravido di enormi difficoltà, con l’ISTAT che nel Rapporto sulla competitività dei settori produttivi rileva come il 45% delle imprese italiane sia “strutturalmente a rischio”, ovvero realtà “esposte a una crisi esogena, subirebbero conseguenze tali da metterne a repentaglio l’operatività”. Il 25% è definito “fragile”, cioè, pur non avendo un “rischio operativo immediato”, è comunque “particolarmente colpito dalla crisi”. Solo l’11% risulta solido, anche se il dato rappresenta una quota più significativa in termini sia di occupazione (46%) sia di valore aggiunto (69%). Ciò nonostante non è possibile non approvare le cifre del DEF, ma è necessario dichiarare anche la disponibilità, da parte di tutti, di destinare risorse verso impieghi più produttivi, rinunciando alle spese correnti a favore delle quali forze politiche e sociali hanno fatto spesso fronte comune con i noti negativi risultati. Cosimo Sorrentino
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LEGISLAZIONE
Etichetta ambientale Il 26 settembre scorso è entrato in vigore il DLgs 116/2020, che recepisce la Direttiva UE 2018/851 sui rifiuti e la Direttiva (UE) 2018/852 relativa agli imballaggi e ai rifiuti di imballaggio di Sebastiano Corona
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econdo queste nuove disposizioni tutti gli imballaggi devono d’ora in poi essere opportunamente etichettati secondo modalità stabilite dalle norme tecniche UNI applicabili e in conformità alle determinazioni adottate dalla stessa Commissione per facilitarne la raccolta, il riutilizzo, il recupero e il riciclaggio, oltre che in modo da fornire una corretta informazione al consumatore sulla loro destinazione finale. A ciò si aggiunge l’obbligo,
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per i produttori, di indicare la natura dei materiali utilizzati sulla base della Decisione 97/129/CE. Le novità più rilevanti sono dunque due. La prima è che l’etichettatura ambientale degli imballaggi diventa obbligatoria. La seconda è che i produttori, così definiti dal Decreto Legislativo 152/2006 come “i fornitori di materiali di imballaggio, i fabbricanti, i trasformatori e gli importatori di imballaggi vuoti e di materiale di imballaggio”, devono
indicare la natura dei materiali di imballaggio utilizzati. Gli obblighi citati sono entrati formalmente in vigore il 26 settembre 2020, ma sono stati contestualmente previsti periodi transitori o di proroga per consentire l’adeguamento alle nuove prescrizioni. Il Governo è poi successivamente intervenuto con il cosiddetto Decreto Milleproroghe, che ha disposto la sospensione fino al 31 dicembre 2021 dell’obbligo di etichettatura
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La nuova disciplina è la risposta, seppur parziale, ad una crescente richiesta di informazioni circa la sostenibilità ambientale dei packaging in genere. Da uno studio effettuato dall’Osservatorio Immagino di GS1 Italy emerge infatti che soltanto il 25,4% dei prodotti alimentari riporta in etichetta le informazioni necessarie per smaltire la confezione nella giusta maniera. Per il consumatore è quindi difficile conferire correttamente le confezioni dei prodotti, alimentari e non
Il CONAI, Consorzio nazionale Imballaggi ha immediatamente pubblicato delle Linee Guida per orientare gli operatori del settore. Pur non essendo indicazioni con forza di legge, si possono considerare un utilissimo strumento di lavoro per chi opera nel campo. Il documento è infatti frutto di una consultazione pubblica molto partecipata che ha visto il coinvolgimento di alcuni dei principali e più autorevoli attori della filiera. Info sul sito: www.conai.org
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sugli imballaggi destinati al consumatore finale, mentre resta invece in vigore l’obbligo di apporre su tutti gli imballaggi (primari, secondari, terziari) la codifica identificativa del materiale. Un’ulteriore novità si ha anche con riferimento all’etichettatura dell’imballaggio compostabile o biodegradabile, la quale deve riportare: la menzione della conformità degli standard europei; gli elementi identificativi del produttore e del certificatore e idonee istruzioni per i consumatori in merito al conferimento nel circuito di raccolta differenziata e riciclo dei rifiuti organici. La nuova disciplina è certamente la risposta, seppur parziale, ad una crescente richiesta di informazioni circa la sostenibilità ambientale dei packaging in generale. Da uno studio effettuato dall’Osservatorio Immagino di GS1 Italy,emerge infatti che soltanto il 25,4% dei prodotti alimentari riporta in etichetta le informazioni necessarie su come smaltire la confezione. Questo significa che per il consumatore è difficile conferire correttamente le confezioni dei prodotti, siano esse alimentari o meno. Ed è altrettanto difficoltoso scegliere di fronte allo scaffale, tenendo conto, oltre che delle caratteristiche dell’oggetto o dell’alimento in sé, anche dell’impatto ambientale della confezione. In sostanza, è spesso difficoltoso fare una scelta di sostenibilità ambientale perché non si hanno informazioni a sufficienza, vanificando così qualunque sforzo da parte dei cittadini verso acquisti consapevoli e rispettosi dell’ambiente. Corre però l’obbligo di segnalare che le nuove disposizioni europee hanno generato forti dubbi interpretativi. Non a caso CONAIConsorzio nazionale Imballaggi ha immediatamente pubblicato delle Linee Guida per orientare gli operatori del settore. Pur non essendo indicazioni con forza di legge, si possono considerare un utilissimo strumento di lavoro per chi opera nel campo. Il documento è infatti frutto di una
consultazione pubblica molto partecipata terminata il 30 novembre scorso, che ha visto il coinvolgimento di alcuni dei principali e più autorevoli attori della filiera, come l’Istituto Italiano Imballaggio, Confindustria, UNI, Federdistribuzione. Il primo aspetto che il CONAI pone in evidenza è che i contenuti obbligatori da riportare sull’etichetta, su tutti gli imballaggi (primari, secondari e terziari) sono unicamente questi: 1. la tipologia di imballaggio (scritta per esteso o mediante una rappresentazione grafica) per esempio: flacone, bottiglia, vaschetta, etichetta, lattina; 2. l’identificazione specifica del materiale (codifica alfanumerica ai sensi della Decisione 97/129/CE, integrata eventualmente con l’icona prevista ai sensi della UNI EN ISO 10431:2002 (imballaggi in plastica), oppure, ai sensi della CEN/CR 14311:2002 (imballaggi in acciaio, alluminio e plastica); 3. la famiglia di materiale di riferimento e l’indicazione sul tipo di raccolta (se differenziata o indifferenziata); 4. l’indicazione sul tipo di raccolta (se differenziata o indifferenziata) e, nel caso si tratti si raccolta differenziata, indicazione del materiale di riferimento. Gli ultimi due, però, va ricordato, sono stati al momento sospesi fino al 31 dicembre 2021. Altre indicazioni si possono considerare volontarie e in questo modo vanno gestite. È inoltre opportuno sottolineare che anche il richiamo alle norme UNI è generico, considerato — anche in questo caso — la loro caratteristica di volontarietà. Si evincono inoltre due situazioni differenti per la strutturazione dei contenuti minimi dell’etichetta ambientale, a seconda del circuito di destinazione degli imballaggi: B2B (professionale) o B2C (consumatore). In più vanno considerati gli imballaggi monocomponente e multicomponente. Nel documento, CONAI indica anzitutto che l’etichettatura ambientale deve essere prevista
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I tempi permettono un adeguamento alla normativa che tenga conto dei ritmi di lavoro e delle relative necessità organizzative. Tuttavia, è raccomandato attivarsi quanto prima: le sanzioni sono infatti severe (photo © I-Viewfinder). per tutte le componenti separabili manualmente dal sistema di imballaggio: l’etichettatura potrà essere riportata alternativamente sopra alle singole componenti separabili, sopra al corpo principale dell’imballaggio o sopra alla componente che riporta già l’etichetta e rende facilmente leggibile l’informazione da parte del consumatore. Quando ciò non sia possibile, è ammesso il ricorso a soluzioni digitali (come QR-Code o apposite app), proprio perché tutti gli imballaggi devono essere etichettati nella forma e nei modi che l’azienda ritiene più idonei ed efficaci. Tuttavia, è raccomandato che vengano rispettati i colori univer-
sali: blu per la carta, marrone per l’organico, giallo per la plastica riciclabile, turchese per i metalli, verde per il vetro, grigio per l’indifferenziato. L’etichetta ambientale va prevista per tutte le componenti separabili manualmente del sistema di imballo, cioè una componente che l’utente può separare completamente e senza rischi dal corpo principale con il solo utilizzo delle mani e senza dover ricorrere a ulteriori strumenti e utensili. Inoltre, CONAI fornisce un prezioso strumento on-line (e-tichetta), che le aziende potranno utilizzare per creare autonomamente l’etichetta, in conformità ai riferi-
All’adeguamento della nuova disciplina sono chiamati a rispondere tutti gli operatori del settore, non solo i produttori di materiali di imballaggio, i fabbricanti, i trasformatori e gli importatori di imballaggi vuoti e di materiali di imballaggio, ma anche i commercianti, i distributori, gli addetti al riempimento, gli utenti di imballaggi e gli importatori di imballaggi pieni
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menti normativi. È disponibile al sito www.conai.org oppure direttamente al sito e-tichetta.conai.org. Nell’identificazione per materiale il legislatore non ha previsto la discriminante della destinazione al “consumatore”, pertanto non ci sono elementi per escludere gli imballaggi destinati anche a usi professionali dall’identificazione e classificazione in base alla Decisione 129/97/CE. Tutti gli imballaggi sono quindi sottoposti all’identificazione e classificazione. Solo relativamente all’apposizione dei codici di identificazione del materiale, sulla base della Decisione 97/129/CE, l’obbligo è espressamente in capo ai produttori. Per gli imballaggi monocomponente destinati al consumatore finale devono essere riportate la codifica identificativa del materiale di imballaggio secondo la Decisione 129/97/CE e le indicazioni sulla raccolta. Si suggerisce di indicare la formula “Raccolta (famiglia di materiale)” e di invitare il consumatore a verificare le disposizioni del proprio comune.
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Le altre informazioni che possono essere volontariamente apposte in etichetta ambientale riguardano la tipologia di imballaggio e le indicazioni al consumatore per supportarlo in una raccolta differenziata di qualità. Per gli imballaggi costituiti da più componenti, invece, è necessario distinguere le componenti non separabili manualmente (ad esempio una etichetta in carta adesa a una bottiglia in vetro), dalle componenti che invece possono essere separate manualmente dal consumatore finale (ad esempio, una confezione multipack di merendine). Questo perché l’identificazione e la classificazione ai sensi della Decisione 129/97/CE va prevista per tutte le componenti separabili manualmente del sistema di imballo. Gli imballaggi destinati al B2B, ad esempio gli imballaggi destinati ai professionisti o gli imballaggi da trasporto o legati alle attività logistiche o di esposizione, possono non presentare le informazioni relative alla destinazione finale degli imballaggi, ma devono obbligatoriamente riportare la codifica dei materiali di composizione in conformità alla Decisione 129/97/CE. Tutte le altre informazioni restano volontariamente applicabili. Ma c’è da chiedersi quale sia il perimetro dell’obbligo dell’etichettatura ambientale. Si riferisce agli imballaggi, cioè: “composti di materiali di qualsiasi natura, adibiti a contenere determinate merci, dalle materie prime ai prodotti finiti, a proteggerle, a consentire la loro manipolazione e la loro consegna dal produttore al consumatore o all’utilizzatore, ad assicurare la loro presentazione, nonché gli articoli a perdere usati allo stesso scopo”. Pertanto, i prodotti che non si possono considerare tali non sottostanno all’obbligo dell’etichettatura, che non riguarda per esempio i budelli per salumi, le buste portalettere o le posate. Per sapere cos’è imballaggio e cosa non lo è si può fare riferimento al sito CONAI. Allo stato attuale tutti gli imballaggi immessi al consumo in Italia rientrano nell’obbligo di etichettatura, pertanto sono esclusi quelli destinati alla commercializ-
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zazione in altri Paesi dell’Unione europea o all’esportazione in Paesi terzi. Merita un ulteriore approfondimento la figura del soggetto obbligato. È vero che si possono considerare tali (Decreto Legislativo 152/2006) i produttori di materiali di imballaggio, i fabbricanti, i trasformatori e gli importatori di imballaggi vuoti e di materiali di imballaggio. Tuttavia, occorre considerare che la parte più significativa di imballaggi viene conferita attraverso i prodotti preconfezionati e l’etichettatura di queste unità di vendita è spesso decisa e definita dall’utilizzatore dell’imballaggio che sceglie i contenuti e la forma e ne approva il layout da stampare e/o riprodurre sul packaging. Pertanto la scelta dell’etichettatura ambientale può facilmente diventare un’attività di condivisione per la sua formulazione, tra fornitore di packaging e utilizzatore. Il lavoro collettivo svolto tra le parti e in comune accordo porterà a scegliere la formula opportuna di etichettatura ambientale. Al debutto di una nuova norma che condizionerà pesantemente la vita nelle imprese di prodotti alimentari e non solo le imprese mostrano apprensione e disorientamento per l’ennesima disposizione poco chiara che si appresta a far parte del nostro ordinamento. I tempi permettono un adeguamento che tenga conto dei ritmi di lavoro e delle relative necessità organizzative. Tuttavia, è raccomandato attivarsi quanto prima: le sanzioni sono infatti severe. Sono inoltre chiamati a risponderne tutti gli operatori del settore, non solo i produttori di materiali di imballaggio, i fabbricanti, i trasformatori e gli importatori di imballaggi vuoti e di materiali di imballaggio, ma anche i commercianti, i distributori, gli addetti al riempimento, gli utenti di imballaggi e gli importatori di imballaggi pieni. Sebastiano Corona Nota A pagina 44, photo © New Africa – stock.adobe.com
LA CARNE IN RETE
Social di Elena
2. Bracevia, arrosticini on-line 1. Mr Beefy e Black Angus Col brand Mr Beefy l’Azienda Agricola Massella Placido di Mozzecane (VR) ha creato una filiera perfetta che parte dall’allevamento di capi di razza Black Angus e commercializza tagli anatomici, porzionati, in osso e una linea Supreme, tutti disponibili anche nello shop on-line shop.mrbeefy.it (photo © instagram.com/mrbeefy_angus).
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Bracevia è un concept sviluppato nel 2005 da AGNESE VOLPONE e MAURIZIO CUTROPIA per valorizzare le carni ovine d’Abruzzo. Le materie prime sono di altissima qualità: carni fresche di pecore prevalentemente locali, alcune provenienti da allevamenti bio del territorio abruzzese e, nei periodi di maggiore richiesta, anche dall’Irlanda. Al centro della produzione ci sono naturalmente gli arrosticini, acquistabili sul sito web www.bracevia.it e proposti di diverse grammature, fatti a mano o a macchina, classici e nella variante di carne di fegato con cipolla e peperoncino.
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meat Benedetti
3. Iruki, passione basca Conoscete Cárnicas Iruki (DASTATZEN GROUP)? È un’azienda basca, con sede nel piccolo comune di Astigarraga (Gipuzkoa), che seleziona e commercializza carni pregiate di allevamenti locali e internazionali, dalla Frisona galiziana alla Rubia gallega, buoi e razze dei Paesi Baschi fino alla Simmental bavarese e le polacche. Il sito iruki.es è una meraviglia, potente nelle immagini e ricco di suggestioni che raccontano con orgoglio la cultura delle carni di questa regione del Nord della Spagna (photo © iruki.es).
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4. II boss delle costate Su Instagram ha oltre 13.000 followers ed è conosciuto come il #bossdellecostate. CLAUDIO TROLESE, dell’omonima macelleria di Arzignano (VI), è bravissimo a promuovere sui social (facebook.com/www.macelleriatrolese.it e instagram.com/macelleria_trolese_claudio) tagli BBQ, razze, frollature, marezzature, tutto di qualità garantita. Insieme allo staff seleziona carni da tutto il mondo e spedisce in tutta Italia con consegne in 24 ore (photo © instagram.com/macelleria_trolese_claudio).
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Marina Spironetti vince The Claire Aho Award for Women Photographers nell’ambito del contest “Pink Lady Food Photographer of the Year” 2021 Il Pink Lady® Food Photographer of the Year è un contest annuale a cui partecipano i fotografi più creativi e originali specializzati nel racconto del cibo e delle sue espressioni più varie e autentiche. Aperto sia agli amatori che ai professionisti provenienti da tutto il mondo, il contest ha quest’anno premiato uno scatto italiano opera della bravissima MARINA SPIRONETTI (instagram.com/marinaspironetti). Scatto che immortala MARTINA BARTOLOZZI (instagram.com/mementomartina) nella cella dell’Antica Macelleria Cecchini a Panzano in Chianti. Scattata la scorsa estate quando Martina lavorava nel butcher shop di DARIO CECCHINI, questa foto ha vinto nella categoria Claire Aho Award for Women Photographers, istituita in memoria della più grande fotografa finlandese, deceduta nel 2015 all’età di 90 anni. «È un grande onore essere la prima vincitrice di questa nuova categoria. Un grande grazie va anche a tutte le fantastiche donne che ho incontrato a Panzano» ha scritto Marina sul suo profilo Instagram. Le immagini vincitrici di Pink Lady Food Photographer of the Year saranno esposte dal prossimo 20 novembre al 12 dicembre alla Royal Photographic Society di Bristol, una delle più antiche società fotografiche del mondo. Bravissimi tutti (“Ritratto di donna macellaia di Panzano – Martina”, photo © Marina Spironetti, Pink Lady® Food Photographer of the Year).
Pink Lady® Food Photographer of the Year è il concorso mondiale che celebra l’arte della fotografia legata al cibo e che festeggia quest’anno il decimo anniversario. Dal 2011, anno della sua creazione, il concorso ha ricevuto circa 70.000 opere di oltre 9.000 fotografi professionisti e amatoriali di 80 diverse nazionalità. La collaborazione tra Pink Lady® e il concorso è nata dal desiderio di valorizzare, al di là dell’estetica delle opere presentate, la storia umana e la diversità delle culture alimentari dei vari paesi, ma anche la convivialità e i momenti condivisi attraverso l’occhio artistico di talenti rinomati o dilettanti. >> Link: www.pinkladyfoodphotographeroftheyear.com/categories www.instagram.com/FoodPhotoAward
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CARNE ARTIFICIALE
Carne in laboratorio, dal 2030 più competitiva Entro la fine del decennio la carne coltivata in laboratorio potrebbe diventare competitiva rispetto a quella tradizionale. Uno studio ne evidenzia i benefici ambientali di Roberto Villa
Un cambio culturale di portata storica: più alternative, più mercati on c’è da nascondersi dietro un dito: il settore della produzione zootecnica è sotto assedio. Un assedio culturalestorico in primis — il distacco fisico della società moderna dall’antico modello dell’uomo cacciatore e poi allevatore — e ambientale in
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secundis — la colpevolizzazione delle emissioni e della deforestazione — non meno che economico, nel quale vanno inseriti tutti i filoni alternativi che si stanno sviluppando oggigiorno, dagli alimenti costituiti da alternative vegetali alle carni, alle proteine derivate da insetti o da alghe. Ci vorrà forse una generazione prima che il cambiamento nel gusto e nelle abitudini si compia, la
strada è tracciata e per certi aspetti sembra irreversibile, anche se ciò non implica necessariamente che l’attuale modello millenario verrà soppiantato in toto: ci sarà sicuramente più scelta e le industrie di trasformazione avranno più segmenti di mercato da soddisfare. Uno dei filoni più all’avanguardia dal punto di vista tecnologico riguarda le carni realizzate a parti-
Le società operanti nella produzione di alimenti proteici vegetali, nelle carni coltivate in laboratorio e nelle proteine da processi fermentativi hanno nel complesso raccolto 5 miliardi di capitali investiti nel decennio 2010-2020, più di metà dei quali nel solo 2020 (photo © Firn – stock.adobe.com).
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Le salsicce di maiale della New Age Meats, una delle aziende più attive nel settore della carne coltivata in laboratorio (photo © New Age Meats). re da colture cellulari: uno studio recente rivela che una loro applicazione su larga scala le renderebbe economicamente competitive entro il 2030 e sarebbe accompagnata da un significativo impatto ecologico. Entro il 2030 carne coltivata in laboratorio su larga scala sotto i 6 $/kg. Riscaldamento globale –92% e acqua utilizzata –78% Uno studio realizzato dalla società indipendente CE Delft e commissionato dal Good Food Institute (gfi.org), un ente senza fini di lucro che si pone come obiettivo la ricerca sulle proteine alternative a quelle da fonti animali classiche, ha evidenziato attraverso un modello che un futuro stabilimento per la produzione su larga scala della carne coltivata a partire da tessuti animali sarebbe in grado di vendere questa carne artificiale ad un prezzo competitivo con la carne bovina, sotto i 6 dollari per chilogrammo. Tale prezzo consentirebbe una penetrazione di mercato ad oggi impensabile, con notevoli benefici dal punto di vista dell’impatto ambientale: in confronto con la carne di bovino allevata, la carne di origine cellulare porterebbe ad una riduzione del 92% dell’impatto sul riscaldamento globale e del 93% sull’inquinamento dell’aria, con un
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azzeramento pressoché totale ça va sans dire del consumo di terreno (–95%) ed un decremento assai cospicuo del consumo di acqua (–78%). L’analisi del ciclo di vita (Life cycle assessment, LCA) condotta durante lo studio analizza vari scenari, inclusa l’adozione di fonti di energia rinnovabile da parte sia dell’allevamento tradizionale sia della carne coltivata in laboratorio; nello scenario più favorevole la carne artificiale ottiene risultati migliori di qualsiasi tipologia di carne convenzionale: gli impatti ambientali con l’uso di tecnologie energetiche rinnovabili sono ridotti del 93% rispetto al bovino, del 53% rispetto al suino e del 29% rispetto all’avicolo. Con l’utilizzo di fonti energetiche tradizionali la differenza è minore; tuttavia, rimane sempre a favore della carne coltivata. Tra i temi collaterali ai quali lo studio fa riferimento pur senza approfondirli ci sono i benefici per la salute umana (trasmissione di malattie zoonotiche all’uomo, antibiotico-resistenza indotta) e la messa a disposizione dei terreni, non più adibiti a pascoli o alla coltivazione di colture per l’alimentazione animale, per l’impianto di colture erbacee o arboree dedicate al sequestro di anidride carbonica dall’atmosfera.
Il 2020 anno record per gli investimenti sulle alternative alle proteine tradizionali, con oltre 2,6 miliardi di euro Il Good Food Institute rileva che il 2020 è stato un anno da primato per gli investimenti nel settore delle proteine alternative con importi che hanno superato i 2,6 miliardi di euro, vale a dire un valore più che triplicato rispetto agli 830 milioni dell’anno precedente. Le società operanti nella produzione di alimenti proteici vegetali, nelle carni coltivate in laboratorio e nelle proteine da processi fermentativi hanno nel complesso raccolto 5 miliardi di capitali investiti nel decennio 2010-2020, più di metà dei quali nel solo 2020. Gli investimenti hanno riguardato per 1,75 miliardi aziende che si occupano di alternative vegetali delle carni, dei prodotti lattiero-caseari e delle uova; per 300 milioni le colture cellulari da laboratorio (sia per carni sia per lattiero-caseari e ovoprodotti), un valore sei volte superiore al 2019 e pari al 72% dell’intero ammontare raccolto sin dalla nascita di questa industria nel 2016; circa 500 milioni sono stati investiti infine nelle biofermentazioni proteiche, oltre il 50% degli 840 milioni investiti a partire dal 2013. L’Europa, col 17% del totale investito, è all’avanguardia con 440 milioni nel 2020, più che quadruplicati rispetto ai 100 milioni raccolti nel 2019. Le nuove imprese operanti in questo settore sono capaci di attirare investimenti sempre crescenti, ciò che sostiene CARLOTTE LUCAS, Corporate Engagement Manager di Good Food Institute, è la necessità di dare costanza alla raccolta fondi anche nelle fasi successive di sperimentazione su larga scala e di industrializzazione, in modo da realizzare una concreta alternativa disponibile sul mercato, capace di contribuire al raggiungimento degli obiettivi della Conferenza sul clima di Parigi e al contempo garantire un’alimentazione proteica sufficiente alla popolazione mondiale crescente. Roberto Villa
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COMUNICARE LA CARNE
Il vaccino anti-crisi si chiama “local e-commerce” di Chiara Papotti
Photo © Creativeteam – stock.adobe.com
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il Consorzio del Commercio Digitale Italiano, in collaborazione con NETSTYLE e TUTTOFOOD MILANO, ha recentemente scattato una fotografia sull’uso dell’e-commerce in Italia durante l’emergenza Covid-19. L’indagine statistica, riferita al 2020,
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ETCOMM ,
evidenzia un vero e proprio boom dello shopping on-line. Tra i dati raccolti emergono la frequenza di acquisto on-line, aumentata del 79%, e la propensione dei consumatori a preferire le “consegne contactless” (consegne senza contatto). Ma la novità più sorprendente
è la rivincita dei local e-commerce. Per local e-commerce, o commercio di quartiere, si intende una particolare tipologia di commercio integrato che le piccole e medie imprese sviluppano in sinergia con piccoli negozi, al fine di vendere prodotti o servizi on-line ad un pubblico di
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Con quasi 4 miliardi di persone bloccate in casa, il lockdown ha modificato rapidamente il modo di fare acquisti. In tanti sono stati costretti ad acquistare on-line per la prima volta direttamente dal negozio vicino, richiedendo la consegna a domicilio per evitare i disagi e la paura dell’uscire di casa. E il piccolo commerciante ha dovuto affrettarsi ad aprire un local e-commerce o potenziare quello già in possesso per sopravvivere
Oggi 7 Italiani su 10 hanno scaricato una app sullo smartphone per lo shopping: difficilmente torneremo indietro dall’on-line! Messi da parte i dubbi iniziali, quindi, oggi aprire un local e-commerce è un’occasione da non perdere. Negozi al dettaglio, macellerie e botteghe alimentari possono sfruttare a loro favore questa opportunità per crescere in un periodo di crisi come quello che stiamo vivendo
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acquirenti che si trova in prossimità della loro sede. In epoca pre-Covid gli e-commerce di quartiere erano cosa rara e gli audaci negozianti che decidevano di aprirli rischiavano di fare un buco nell’acqua, scontrandosi con i grandi colossi del commercio on-line, che crescevano con costanza nella loro dimensione globale. Impossibile fare loro la guerra, i fedelissimi di eBay o di Amazon hanno continuato a fare i loro acquisti sulle grandi piattaforme di commercio internazionale, ma allo stesso tempo sono andati a cercare i local e-commerce dei negozianti di fiducia per comprare prodotti freschi e facilmente deperibili: ortofrutta, ittico, carne. Durante il lockdown, con quasi 4 miliardi di persone bloccate in casa, il modo di fare acquisti è cambiato rapidamente. In tanti si sono visti costretti ad acquistare on-line per la prima volta direttamente dal negozio vicino, richiedendo la consegna a domicilio per evitare i disagi dovuti alle regole imposte in piena quarantena. Il piccolo commerciante si è dovuto affrettare ad aprire un local e-commerce o potenziare quello che già possedeva per non essere sconfitto dalla crisi economica. Questa la ragione per cui l’ecommerce di prossimità ha registrato una crescita sorprendente che, in condizioni normali, avrebbe ottenuto in molti anni. Il modern food retail, la modalità di acquisto multicanale nel settore alimentare attraverso il sito internet, ha visto così una crescita del 130% per i prodotti freschi e confezionati. Una vera e propria rivoluzione se si considera che nel 2019 pochissimi facevano la spesa on-line. Oggi 7 Italiani su 10 hanno scaricato una app sul proprio smartphone per lo shopping e, secondo il Report annuale di Everli1, il principale marketplace europeo per la spesa on-line nato nel 2014, la crescita dell’e-commerce nel nostro Paese ha raggiunto il +208% rispetto al 2019 sugli acquisti via sito e via app. Sono cambiate le modalità di acquisto e difficilmente torneremo indietro.
Piccoli commercianti e negozi di quartiere si stanno rendendo conto che la vendita on-line, da strumento secondario rispetto alla vendita al dettaglio, sta diventando un’alleata indispensabile per gli acquisti di tutti i giorni. Messi da parte i dubbi iniziali che, per quanto comprensibili, non dovrebbero spaventare come qualche anno fa, oggi aprire un local e-commerce è un’occasione da non perdere. Negozi al dettaglio, macellerie e botteghe alimentari in genere possono sfruttare a loro favore questa opportunità per crescere in un periodo di crisi come quello che stiamo vivendo. Se stai pensando di aprire un local e-commerce, ma hai ancora qualche timore, ecco alcuni consigli utili da tenere presente: Affidati ad un professionista Realizzare gratuitamente e in piena autonomia un e-commerce è possibile; sono tantissimi i siti che oggi ti guidano passo passo, ma soltanto la consulenza di un esperto in digital marketing potrà darti tutte le informazioni necessarie per creare una piattaforma di successo a seconda del singolo caso. Non sottovalutarti Secondo l’ultimo rapporto “The future of Commerce 2021” di Shopify2 il 62% dei giovani consumatori preferisce comprare prodotti green e sostenibili da realtà indipendenti e il 65% degli intervistati ha dichiarato di voler sostenere le piccole attività. Nonostante si faccia ancora maggiormente ricorso ai marketplace per comodità, grazie alle nuove abitudini acquisite in piena pandemia le piccole realtà indipendenti potrebbero guadagnare spazio nel mercato digitale rafforzando la propria presenza, migliorando e velocizzando l’esperienza di acquisto. Sii promotore di una logistica di prossimità sostenibile Il tema della sostenibilità è un valore su cui fare leva al momento dell’apertura di un local e-commerce. Le consegne in prossimità riducono considerevolmente l’inquinamento
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Chi si affida ad un e-commerce di prossimità di solito conosce già il negoziante e si fida del suo operato: è quindi fondamentale offrire sempre supporto in tempo reale (photo © Daisy Daisy – stock.adobe.com). atmosferico. Basti pensare che autovetture, furgoni, camion e autobus producono oltre il 70% delle emissioni di gas a effetto serra generate dai trasporti. Tanti sono i commercianti che durante il lockdown hanno consegnato spese a domicilio in bicicletta, a piedi, con mezzi elettrici o ibridi potendo contare su piccole distanze. Accelerare il cambiamento nella mobilità è decisivo nella battaglia per il clima e scommettere sulle piccole attività indipendenti può contribuire a favorire la logistica sostenibile. Offri un’esperienza multicanale Se i più giovani sono la forza trainante della crescita irreversibile dell’ecommerce, la clientela tradizionale è quella che potrebbe preferire un sistema di acquisto ibrido, che includa cioè la possibilità di scegliere e prenotare on-line, ma ritirare e pagare la merce direttamente in negozio. Diversi i vantaggi per entrambe le parti: il consumatore
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risparmia sulla spedizione e può ritirare nel momento più opportuno, senza dover tarare i propri orari alla consegna prevista; il venditore, dal canto suo, non deve farsi carico della consegna, guadagna una vista in negozio e l’opportunità di vendere qualcosa in più. Chi apre oggi un local e-commerce deve riuscire a integrare lo store on-line con il negozio fisico, sapendo che il canale di vendita digitale non sostituisce ma integra il negozio retail. Il contatto umano vince sempre Chi si affida ad un e-commerce di prossimità di solito conosce già il negoziante e si fida del suo operato; è quindi fondamentale offrire sempre supporto in tempo reale, garantendo anche assistenza vocale. Il dialogo diretto e il contatto umano non sono paragonabili a nessuna email generata automaticamente dai grandi colossi delle vendite on-line. Sul tuo local e-commerce proponi un tour virtuale del negozio, oltre che i prodotti in vendita, e mostra il tuo
staff al lavoro per non privare il tuo cliente di un’esperienza tradizionale. Non pensare che le persone vogliano da te solo un prodotto, crea occasioni di incontro, anche virtuali, e coltiva il rapporto di fiducia che vi unisce. Nonostante la crescita degli acquisti on-line nei negozi di quartiere, non mancano alcuni ostacoli per i venditori al dettaglio, tra cui costi di gestione, carenza di competenze specifiche e difficoltà nella gestione della catena logistica. Bisogna quindi lavorare su questi aspetti per migliorare l’esperienza di acquisto e sostenere le piccole realtà indipendenti che rappresentano la spina dorsale delle comunità locali, nonché il motore della crescita economica post Covid-19. Chiara Papotti Note 1. blog.everli.com/it/spesa-online2020-abitudini-di-consumo-italiani 2. www.shopify.com/future-of-commerce/2021
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FIORANI
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IL FUTURO ALLE ORIGINI
Fuoco alle griglie, arrivano i suini marinati I Suini Marinati Fiorani sono adatti a qualsiasi cottura, ma sulla griglia esprimono davvero il meglio. Sono tagli di suino italiano di primissima scelta, arricchiti da un mix aromatico “mediterraneo” che li rende ancora più teneri e gustosi. Il comodo confezionamento in Skin ne garantisce una maggior durata e accentua l’effetto della marinatura.
Tagliata di Lonza
Tomahawk
appetitosa costata di suino, ideale sulla griglia, ottima al forno o in padella
tenerissimo roastbeef di suino italiano
Loin ribs
costine di maiale “ricche” e saporite, da leccarsi le dita
Tagliata di Coppa
succulenta coppa di suino in gustosa marinatura, si scioglie in bocca
Cultura del cibo, patrimonio in ogni tempo Possiamo anche scherzarci su, ma l’argomento è serissimo. Il cibo è storia, convivialità, benesseree salute. Un patrimonio che ci accompagna nelle nostre vite e che Fiorani si impegna a preservare e valorizzare attraverso il sapiente know-how nella lavorazione delle materie prime, la conoscenza delle ricette della tradizione, la costante innovazione di processi e di prodotti.
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Un modello che va comunicato bene: intervista al prof. Ettore Capri
Allevamenti di bovini da carne italiani sostenibili
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on passa giorno che sulla stampa nazionale non compaia un articolo che demonizza gli allevamenti zootecnici. Una campagna mediatica che sembra orchestrata ad arte, spesso con argomentazioni risibili e infondate ma che inevitabilmente scuotono un’opinione pubblica sempre più sensibile — aggiungiamo noi, giustamente — ai temi della sostenibilità e del benessere animale. «Purtroppo a volte sembra di combattere contro i mulini a vento» dichiara FABIANO BARBISAN, presidente dell’AOP Italia Zootecnica.
«Il nostro modello di economia circolare deve essere il baluardo della sostenibilità a livello mondiale perché il miglioramento è iniziato due secoli fa e nel tempo si è costantemente evoluto. È un punto di forza che deve essere valorizzato. Ricontestualizzare il nostro modello di economia circolare in un’economia integrata può contribuire a far emergere i punti di forza della nostra zootecnia»
«E nonostante la diffusione di dati certi e incontrovertibili il settore zootecnico italiano, uno dei più virtuosi al mondo, è oggetto di at-
tacchi sistematici volti a minarne la credibilità e il valore economico». Asprocarne Piemonte, Azove, Scaligera, Unicarve, Bovinmarche,
Bovini di razza Marchigiana (photo © www.bovinmarche.it).
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Vitellone di Marca, APZ Calabria, Consorzio Carni Qualità Piemonte, Associazione Produttori Boccarone, Associazione Produttori Unicarve e Consorzio Carni di Sicilia sono le 11 organizzazioni di produttori di carni bovine che afferiscono alla AOP Italia Zootecnica e insieme rappresentano oltre il 57% della produzione complessiva italiana. Un patrimonio di tradizione e innovazione che guarda al futuro sia in termini di promozione e valorizzazione della produzione nazionale che di rispetto delle norme su benessere animale e sostenibilità un termine, quest’ultimo, oggi molto ricorrente che proprio per questo merita un approfondimento sul suo più autentico significato. «Nel settore dei bovini da carne italiano possiamo vantare numerosi esempi di allevamenti tecnologicamente all’avanguardia, condotti da allevatori lungimiranti, che a ragione possono essere considerati sostenibili» spiega Ettore Capri, docente presso il Dipartimento di Scienze e tecnologie alimentari per una filiera agroalimentare sostenibile all’Università Cattolica di Piacenza. «La sostenibilità in zootecnia ha un grandissimo significato, ma la mancanza di un approccio più sistematico al tema rischia di lasciare spazio a un modo scorretto di affrontarlo. I principi su cui si basa la sostenibilità sono pochi ma fondamentali. Per poterla definire essa deve essere misurabile, integrata e non frammentata nelle sue diverse componenti quali il benessere animale, la gestione dei nitrati, l’uso razionale del farmaco; deve prevedere modalità di trasparenza tra tutti gli stakeholder e di tracciabilità dei processi: solo considerando tutti questi aspetti insieme si può parlare di autentico significato del termine sostenibilità». Professor Capri, spesso le associazioni animaliste e ambientaliste affermano che la produzione di un chilogrammo di carne “consuma” diversi chili di cibo vegetale che potrebbero essere destinati all’alimentazione umana. Perché questa affermazione è priva di fondamento?
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Ettore Capri, docente presso il Dipartimento di Scienze e tecnologie alimentari per una filiera agroalimentare sostenibile all’Università Cattolica di Piacenza (photo © Diego Figone Sambuceti). «Queste affermazioni derivano sempre dall’elaborazione di dati internazionali che non corrispondono mai alla produzione zootecnica nazionale, dove invece i dati riferiti ad esempio agli impatti delle impronte carbonica e idrica sull’ambiente si riducono considerevolmente, spesso anche nell’ordine del 30-40%, il che ridimensiona in maniera significativa il problema. A questo bisogna aggiungere che le coltivazioni destinate all’alimentazione del bestiame sono specializzate per la produzione mangimistica e non potrebbero essere destinate all’alimentazione umana. Personalmente, davanti a un hamburger alla soia, mi preoccuperebbe molto di più il solo pensiero della sperimentazione che ha portato alla sua produzione». Che ruolo hanno gli allevamenti zootecnici e nello specifico quelli di bovini da carne nello sviluppo dell’economia circolare? «Essenziale e fondamentale: i nostri allevamenti sono i migliori in assoluto sul panorama internazionale. Il nostro modello di economia circolare deve essere il baluardo della sostenibilità a livello mondiale
perché il miglioramento è iniziato ben due secoli fa e nel tempo si è costantemente evoluto. È un punto di forza che deve essere opportunamente valorizzato. Ricontestualizzare il nostro modello di economia circolare in un’economia integrata può contribuire a far emergere tutti i punti di forza che caratterizzano la nostra zootecnia. Davanti a questi aspetti, al di là dei marchi tutelati, l’immagine di una zootecnia italiana sostenibile si riempie di contenuti irraggiungibili dai nostri competitor». Qual è l’anello mancante, se esiste, per raggiungere questi obiettivi? «Una maggiore consapevolezza sul significato del termine sostenibilità, che si traduce nel principio di miglioramento in un contesto dove l’allevatore è al centro di tutto. È un salto culturale, certo, ma occorre uscire da un approccio difensivo a favore di uno proattivo. La strategia Farm to Fork mette in discussione la Dieta Mediterranea e spinge verso quelle vegetariane e/o vegane per far credere che sono più sostenibili: un paradosso che deve essere smontato con la forza di dati certi e inconfutabili». Fonte: AOP Italia Zootecnica
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MEAT DELIVERY
Storia di una cotoletta (sbagliata) Food delivery in Italia: vale un miliardo il giro d’affari atteso per il 2021. L’esempio di Anche.it, da ristorante milanese a delivery internazionale alla conquista del mercato europeo con 20.000 cotolette consegnate tra Italia, Francia, Portogallo e UK e una crescita più che raddoppiata in 8 mesi
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Lonza di maiale, uova, panko, mandorle, arancia e cristalli di sale, fritta nel burro e messa sottovuoto: è la “cotoletta sbagliata” di *Anche. Si riceve comodamente a casa e si gusta come al ristorante dopo 5 minuti in forno o in padella.
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ilano. Esattamente un anno fa l’unica cosa che divideva MATTEO STEFANI, imprenditore della ristorazione, dall’aprire la sua società in Cina, era solo un volo aereo. C’era tutto, dai fondi alla finalizzazione del progetto: l’apertura del primo ristorante all’interno del grande centro mall del lusso vicino a Shanghai. Poi è arrivata la pandemia a fermare non solo lo sbarco in Cina ma anche il business in Italia, ovvero la microcatena di ristorazione *Anche di Milano con locali all’Isola, Porta Vittoria e NoLo. Nell’annus horribilis della ristorazione, in cui si sono registrate perdite per 37,7 miliardi di euro (dati FIPE) e una riduzione media del 40% del fatturato annuo (arrivata all’80% nelle grandi città dove ha pesato di più l’assenza del turismo internazionale), Matteo Stefani ha scelto di riallocare i fondi previsti per finanziare il progetto in Cina e avviare una sua nuova linea di business “a forte matrice milanese” e “perfettamente scalabile”: la cotoletta made in Milano, ma sbagliata, consegnata in tutto il mondo (o quasi), sottovuoto. Dopo una prima fase più “artigianale”, durante la pandemia si è passati ad un primo test di mercato a luglio 2020 e poi, in modo più organico, a settembre. In 8 mesi sono state 20.000 le cotolette consegnate in tutta Italia ma anche Londra, Parigi e sulle montagne svizzere.
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Rose rosse o cotoletta? Con *Anche si può fare una spedizione agli amici con biglietto personalizzato. Esiste forse regalo più gradito? Tutto parte da uno sbaglio e dalla capacità di innovare Il lancio della start-up di “cotoletta delivery” parte dai locali fisici e dallo spirito curioso e innovatore del suo proprietario. Che la ristorazione la pratica professionalmente da anni — formula semplice con forte twist creativo — e da sempre lo fa con lo spirito dell’imprenditore che ragiona su format, estensione del marchio, scalabilità e ingresso in altri mercati. Signature dish — come si dice in ristorazione — dei locali era diventata da qualche tempo “cotoletta sbagliata”, nata quando il macellaio di fiducia dei ristoranti chiamò Stefani per chiedergli una mano a finire una partita in eccesso di braciole di maiale e lui decise di aiutarlo mettendo in menù la sua “cotoletta sbagliata”, in cui, oltre a sostituire vitello con il maiale, decise di utilizzare l’arancia al posto del limone e il panko, panatura tipica giapponese, mixandola a scaglie di mandorle.
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La proposta, nata per caso, piacque da subito e diventò il piatto più richiesto dei locali che via via diedero vita anche alla versione per celiaci, vegetariani e intolleranti al lattosio. Un’idea semplice e scalabile per un mercato che vale 1 miliardo di euro in Italia e 40 nel mondo Arriva il 2020, la pandemia, le chiusure e il cibo d’asporto. A questo punto i clienti abituali — la cotoletta, come la pizza, ha “sacche” di estimatori e consumatori seriali
— chiusi in casa a Milano chiedono di consegnare la loro cotoletta dei desideri a domicilio. Poco dopo cominciano a chiederla anche quei clienti che nel frattempo si sono spostati al mare, in montagna, in un altro Paese europeo per raggiungere la famiglia. Alcuni, ancora, a Matteo chiedono di confezionarla ad hoc e di inviarla come regalo ad amici a distanza: la cotoletta al posto del mazzo di fiori. Matteo e il suo team iniziano le analisi per stabilire quanti giorni si può conservare una cotoletta sottovuoto. La risposta — sei giorni — rende reale l’idea di spedire la cotoletta made in Milano in tutto il mondo. Stefani e il suo team iniziano quindi a studiare regolamenti doganali di Paesi europei e non e a cercare trasportatori in grado di garantire una serie di condizioni anche per le destinazioni più lontane. Parte al contempo una piccola campagna di marketing e comunicazione per misurare la domanda e la sua potenziale crescita e la risposta non si fa attendere. Secondo una ricerca dell’Osservatorio Just Eat (su 30 città e 16.000 ristoranti) il cibo a domicilio ha raggiunto, nel nostro Paese, un fatturato intorno agli 800 milioni nel 2020, crescendo circa del 25% rispetto all’anno precedente, e si stima raggiungerà il miliardo entro il 2021 (relativamente insensibile all’andamento della pandemia: si stima infatti che la consegna a domicilio rimarrà pratica consolidata anche con il ritorno alla normalità e ai ristoranti aperti). Quaranta miliardi circa il valore, invece, dell’esportazione del cibo italiano nel mondo (fonte: OSSERVATORIO COLDIRETTI).
Ricerca di prodotto, apertura del capitale a nuovi soci, potenziamento di digital marketing volto all’ampliamento del mercato sono le tre direttrici di sviluppo per il futuro della “cotoletta sbagliata”. Obiettivo: 3 milioni di euro di fatturato nel 2022 e 5 milioni di euro alla fine del 2024. Allo studio anche la ripresa del progetto di espansione congelato nel 2020 con punti fisici in Cina e USA
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MEATY. store
Orgoglio Carnivoro, T-shirts etc.
Oltre alla “cotoletta sbagliata” nella versione da 400 grammi circa, *Anche propone la versione “mini” (300 g) con pistacchi e lime, la cotoletta di melanzane con noci e limone e il box da 6 cotolettine sbagliate da 150 grammi l’una. La cotoletta made in Milano nasce per potere essere servita dopo 5 minuti in forno come piatto proveniente direttamente dalla cucina del ristorante o da quella della mamma: preparate una per una e al momento. Perché la cotoletta è, praticamente per tutti, da Nord a Sud, uno dei tanti elementi cardine semplice e prelibato della cucina di casa italiana che in tutto il mondo ci invidiano. Apertura del capitale, partnership e ingresso in nuovi mercati per raggiungere i 5 mln nel 2024 Ricerca di prodotto, apertura del capitale a nuovi soci, potenziamento di digital marketing volto all’ampliamento del mercato sono le tre direttrici di sviluppo per il futuro della cotoletta sbagliata. Obiettivo: 3 milioni di euro di fatturato nel 2022 e 5 milioni di euro alla fine del 2024. Allo studio, inoltre, la ripresa del progetto congelato ad inizio 2020 ossia l’espansione, con punti fisici,
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in Cina e USA. Sul fronte prodotto, la ricerca e sviluppo è volta al cercare di perfezionare e “allungare” la vita allo stesso (surgelamento e confezionamento in atmosfera modificata le alternative in esame, oltre il sottovuoto attualmente utilizzato), centralizzare e razionalizzare consumi e costi mantenendone l’elevata qualità e artigianalità. «In questo momento siamo in grado di portare la nostra cotoletta sbagliata, rigorosamente made in Milano — città che in qualche modo ne vanta la progenitura (anche se da sempre la contesa è aperta con Vienna) — in tutti i Paesi europei entro le 48 ore, lasciando quindi ai clienti che la ricevono 4 giorni per consumarla». Il secondo step, che sta procedendo di pari passo alla ricerca e sviluppo, è l’identificazione di partner adeguati a sostenere la crescita, che possa sostenere *Anche. it nelle scelte legate alla logistica e alla distribuzione in tutto il mon-
do perché, come dice Stefani, «I prossimi mercati in cui vorremmo arrivare, a condizione di farlo con un prodotto perfetto, sono gli USA e la Cina». Altrettanto in parallelo sta procedendo l’irrobustimento del piano di marketing digitale e comunicazione volto ad ampliare il mercato di sbocco per cogliere percentuali di quel miliardo di giro d’affari del food delivery in Italia e quaranta di esportazione di Italian food nel mondo. «Le cose si dipanano da sole per chi non smette di cercare, di mettersi in gioco e in discussione: abbiamo provato, fatto, sbagliato, cercato e poi il prodotto giusto ce l’avevo sotto gli occhi, non era niente di nuovo, era solo uno degli sbagli o, meglio, dei rischi che avevo fatto mettendo nel menù di un ristorante milanese una cotoletta sbagliata» conclude Stefani. >> Link: anche.shop www.instagram.com/anche.it
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Bonelli Burgers: a Bologna apre la prima hamburgeria totalmente cash free con App e bike drive through Dalla provincia al capoluogo, da Imola a Bologna a suon di Big Bonelli, Bacon Alarm e Kraken. Gli hamburger dell’ormai ex Pancake, realtà di successo imolese attiva dal 2015 che oggi ha cambiato nome in Bonelli Burgers, si gustano dal mese di novembre anche a Bologna, in via Nazario Sauro 31/E. «Il locale di Bologna ha due novità rispetto alla nostra sede storica di Imola: il fatto che si possa pagare solo con sistemi elettronici, dalle carte alle applicazioni, per non dover toccare contante, e che, oltre alle consegne a domicilio, abbiamo attivato uno speciale “bike drive through” per ritirare il proprio ordine arrivando direttamente in bicicletta e senza dover parcheggiare. Inoltre, attraverso la App dedicata si può ordinare tutto e pagare direttamente», spiega LAURA LATELLA, titolare con Geremia Cozza, compagno di vita e di impresa, dei due locali. Gli altri plus di Bonelli? Nessun prodotto è pre-congelato: il pane è sfornato ogni giorno e la carne viene macinata fresca ogni mattina. I burger di Scottona Grass Fed sono grigliati fuori e succosi dentro e racchiusi in un pan brioche soffice come una nuvola. E i fornitori sono locali. «Se a Imola utilizziamo le carni della CLAI, a Bologna usiamo quelle allevate solo a foraggio sui colli imolesi di un allevamento a basso impatto ambientale del Gruppo LEM». Birre artigianali targate Hopinion e gli imperdibili speciali burgers del mese. >> Link: www.bonelliburger.it
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A Milano un nuovo BUN Burgers a due passi dalla Bocconi: lilla e verde avocado per un locale altamente “instagrammabile” by Masquespacio La pandemia non ha fermato nemmeno BUN Burgers (bunburgers.com) — catena di ristoranti di hamburger preparati con lo stile newyorchese, ovvero pochi ingredienti super selezionati, pane americano dal roll soffice ed elastico dal caratteristico colore dorato che grazie alla presenza di patate e burro nell’impasto è molto riconoscibile e cottura smashing delle polpette di carne cruda su piastra rovente —, che ad aprile hanno inaugurato un nuovo locale a Milano, in viale Bligny, proprio di fianco all’Università Bocconi. Il nuovo spazio è stato studiato dallo studio valenciano di consulenza creativa Masquespacio, di cui il ristorante è il primo progetto di interior design. «Negli ultimi anni c’è stata una forte crescita delle hamburgerie e la maggior parte di loro ha optato per un look vintage e industriale dei propri spazi. Noi abbiamo scelto una direzione diversa» hanno commentato ANA HERNÁNDEZ e CHRISTOPHE PENASSE, fondatori di Masquespacio. Il design sviluppato per BUN abbandona infatti i colori scuri, il grigio e il ferro per giocare all’opposto con colori audaci come lilla e verde avocado, che contrastano coi suggestivi mattoni rossi a vista delle pareti. Le cromature color oro creano un fil rouge con le rifiniture di tavoli e sgabelli, dando vita ad un’atmosfera sofisticata e allo stesso tempo fresca e giovane. I lunghi piani dei tavoli in legno e le piante sparse qua e là nel ristorante, infine, enfatizzano l’identità “zero plastica” di BUN, la cui proposta in menu è interamente replicabile con la versione dei panini di finta carne (plant based) firmati da Beyond meat. «Siamo stati i primi ad adattare il nostro business alle modalità di consumo emerse con l’emergenza sfruttando la nostra anima digital che ci consente una reattività immediata e adottando la modalità phygital per soddisfare il consumatore» ha commentato DANILO GASPARRINI, CEO di BUN. «Ma continuiamo a guardare con fiducia al futuro proprio perché la condivisione è alla base della nostra filosofia e si esprime alla perfezione nei ristoranti fisici». Il work in progress proseguirà su altri ristoranti della catena. Prossima apertura a Torino (photo © Gregory Abbate).
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AZIENDE
Marchesina, esempio virtuoso di circolarità ed equilibrio Quando la zootecnia sposa l’ambiente: visita ad un allevamento di Inalca (Gruppo Cremonini) nell’area del Parco Agricolo Sud Milano di Elena Benedetti
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l rapporto tra zootecnia e ambiente è complesso e in continua evoluzione, influenzato da stringenti normative e vincoli del territorio. Alla sua base c’è un’interazione permanente con l’ecosistema circostante, in un continuo scambio di risorse impiegate nella produzione. Oggi il tema ambientale è centrale anche nel mondo allevatoriale, per la valenza che il secondo esercita sul primo, per i costi a cui occorre far fronte per modificare procedure e tecniche, sempre alla ricerca di quel punto di equilibrio e di coerenza agroambientale. Ecco, la Società Agricola Marchesina è una realtà che quell’equilibrio l’ha trovato e già da tempo.
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La sua ubicazione è un’ulteriore prova: ci troviamo, infatti, all’interno del Parco Agricolo Sud Milano, con terreni anche nell’area protetta limitrofa del Parco della Valle del Ticino, nel piccolo comune di Rosate, a sud-ovest di Milano. Siamo andati alla scoperta di questo esempio virtuoso di zootecnia perfettamente integrata all’ambiente che oggi fa parte del Gruppo Cremonini con l’aiuto di PIERO RAVIZZA, amministratore delegato della società, e di CRISTIANA ESPOSITO, responsabile commerciale. Partiamo dalle origini che rimandano ai primi anni ‘50 e al lavoro dei FRATELLI ULTROCCHI, una famiglia storica che già dall’inizio
del Novecento commerciava nel bestiame, con CARLO che si dedicava alla parte agrozootecnica mentre PIETRO alla macellazione. Nel corso degli anni, grazie alla dedizione di Carlo Ultrocchi, l’azienda si è fatta conoscere a livello nazionale per la produzione di carne di qualità, consolidando i rapporti commerciali e di profonda stima con Inalca e il suo fondatore, il cav. LUIGI CREMONINI, che alla scomparsa di Carlo ha dato continuità a questa realtà prendendo il controllo societario con il Gruppo Cremonini. «L’attività oggi si estende su 400 ettari di terreno a forte vocazione cerealicola e nell’ingrasso di una media di 4.000 capi di bestiame, per
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Su una superficie di 400 ettari di terreni vocati alla produzione cerealicola, la Soc. Agr. Marchesina svolge in proprio attività agronomiche e mangimistiche tra mais, foraggi, loietto e riso. Ciò rende possibile un controllo totale della composizione e della qualità delle razioni messe a punto dai tecnici specializzati in alimentazione animale (photo © Soc. Agr. Marchesina).
lo più broutards francesi di Charolaise, che hanno vissuto al pascolo nel primo anno di vita e che qui ingrassano per un periodo di circa 6 mesi» mi spiega Ravizza. «La qualità delle carni è il risultato di un sistema che integra perfettamente origine, quindi razze e capi (selezionati dal partner Parma France), con un lavoro quotidiano di allevamento che cura ogni singola fase a livello gestionale, agronomico e, soprattutto, zootecnico» precisa Cristiana Esposito. «Al fine di ottenere un prodotto di eccellenza riconosciuta e certificata, ogni animale qui segue un percorso di alimentazione personalizzato sulla base dei suoi
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bisogni, con la massima attenzione al benessere, alla sua salute e dieta» sottolinea Ravizza. «La nostra attenzione sulla parte mangimistica è massima: la parte amidacea e foraggera è quasi interamente prodotta internamente, seguendo ogni fase, dalla selezione delle sementi al raccolto ed è priva di OGM. La parte proteica è acquistata sul mercato da fornitori selezionati. Un’alimentazione perfettamente bilanciata e qualitativamente eccellente che conferisce alle carni la giusta sapidità» aggiunge Cristiana Esposito. L’azienda agricola si è via via sviluppata nel corso degli anni e allargata con stalle moderne ed efficienti, un’area verde naturale
che ospita un impianto di fitodepurazione, uno di biogas che recupera il 70% delle deiezioni animali e che mette in rete una quantità di energia che potrebbe alimentare una comunità di 3.000 abitanti e, non ultimo, un fotovoltaico che produce 400.000 kW annui. Gli operatori della filiera delle carni sono ben consapevoli del contributo che la zootecnia italiana ha dato al soddisfacimento della crescente domanda di proteine di origine animale negli ultimi 50 anni e che l’efficienza dei suoi sistemi produttivi ha avuto un incremento notevole. Grazie all’aumento della produttività per capo allevato, attraverso il miglioramento genetico
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In alto: l’attenzione di Marchesina riguardo alla mangimistica è massima. La parte amidacea e foraggera è quasi interamente prodotta internamente, seguendo ogni fase, dalla selezione delle sementi al raccolto ed è priva di OGM. In basso: oltre agli impianti fotovoltaico e di biogas che garantiscono l’autosufficienza energetica all’intero stabilimento, la Marchesina ha realizzato anche una zona umida di circa 18.000 m2 con la funzione di fitodepurazione per la chiarificazione delle acque piovane di scarico dei piazzali e delle coperture. In questa zona nidificano già anatre e aironi cenerini.
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Produzione Controllata Parco Ticino La Marchesina ha ottenuto il prestigioso marchio “Produzione Controllata Parco del Ticino” e ha sottoscritto uno specifico accordo con il parco, attraverso il quale si impegna anche a conservare o migliorare il paesaggio agrario sui terreni in conduzione. Acquistando i prodotti delle aziende contraddistinte da questo marchio, il consumatore può contribuire a salvaguardare e rispettare l’ambiente, affiancandosi agli agricoltori che hanno scelto di coltivare sulla base delle linee guida proposte dall’Ente Parco. Il Parco del Ticino concede alle aziende agricole l’uso del proprio marchio attraverso una valutazione preventiva dell’azienda agricola che consente di mettere in evidenza la “coerenza” agroambientale della produzione. Questa valutazione è suddivisa in tre temi fondamentali: la diversificazione delle produzioni (analisi dell’indirizzo produttivo, delle colture e degli allevamenti), l’utilizzazione razionale dei fattori produttivi aziendali (analisi del loro livello di impiego e della loro gestione), la diversificazione delle attività aziendali (presenza in azienda di trasformazione diretta, presenza di spaccio aziendale, agriturismo, attività didattica, ecc…). >> Link: www.parcoticino.it
Economia circolare e integrazione tra modello agricolo e industriale Questa infografica realizzata dal Gruppo Cremonini spiega il concetto alla base dell’economia circolare, ovvero due modelli, quello agricolo e l’industriale, che si integrano per il miglioramento della qualità dei suoli e il recupero dei rifiuti e degli scarti per la produzione di energia rinnovabile. In una recente intervista a firma di MARCO PEDERZOLI e pubblicata su QN ECONOMIA E LAVORO, l’AD di Inalca Luigi Scordamaglia spiega che il modello adottato dalla società del Gruppo Cremonini è unico e basato su una piena integrazione e sostenibilità della filiera. «Inalca rappresenta oltre 25.000 allevatori italiani che ogni giorno si prendono cura dei loro bovini nel rispetto dei massimi standard di benessere animale e di rispetto dell’ambiente. Non solo concetti, ma numeri oggettivi di cui siamo fieri e che sono ben riassunti nel nostro bilancio sociale, che parla del 100% di energia autoprodotta — di cui il 50% da fonti rinnovabili — della riduzione di emissioni di CO2 per 63.870 tonnellate/anno, equivalente di 91.000 voli RomaNew York di una persona, del 99% dei rifiuti avviati a recupero e di oltre 95.000 metri cubi di acqua depurata e riciclata». E in tema di economia circolare Scordamaglia ha sottolineato che «la filiera bovina è il migliore degli esempi possibili di economia circolare. Non solo la carne, ma ogni parte del bovino viene utilizzata perché la sua filiera produttiva si intreccia con altre importanti filiere alimentari, come quella del latte e dei formaggi, e permette di produrre moltissimi prodotti: pellami per il mondo della moda, dell’arredamento e dell’automotive; prodotti biomedicali, petfood e mangimi, solo per citare i principali» (fonte: QN Economia e Lavoro; photo © Gruppo Cremonini).
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In alto: allevati sia su lettiera sia su grigliato, i broutards francesi di razza principalmente Charolais sono sottoposti ad ingrasso nell’allevamento della Marchesina per circa 6 mesi. Al termine del periodo, la società agricola conferisce i propri i capi negli appositi centri di macellazione di Inalca, a pochi chilometri di distanza. In basso: le recenti stalle realizzate nel 2019 e rispondenti agli elevati standard di benessere animale.
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delle razze, il perfezionamento dell’alimentazione, la modernizzazione delle strutture di produzione, le pratiche sanitarie più efficaci, si sono raggiunti modelli di gestione più integrati e funzionali capaci di una riduzione degli impatti ambientali. Ecco, la Marchesina è semplicemente l’esempio di questo processo. «D’altra parte, una realtà zootecnica come la nostra, ubicata all’interno di una zona protetta, un parco naturale, che ha ottenuto il prestigioso marchio “Produzione Controllata Parco del Ticino”, è un bel biglietto da visita per il consumatore» afferma Cristiana Esposito, ricordando che le carni di oltre un migliaio di capi annui si possono fregiare di questa origine con il logo sul pack e ben in vista sul punto vendita. Il tempo sembra scorrere lento alla Marchesina: gli animali sono placidi e rilassati, curiosi del passaggio di noi visitatori e per nulla aggressivi. C’è ampio spazio per tutti, l’accesso al mangime non è ostacolato e ogni animale può abbeverarsi e muoversi agevolmente. Ogni settimana l’alimentarista visita l’allevamento, mentre il capo stalla ogni giorno ispeziona gli animali. Il lavoro da fare è parecchio e uno staff composto da una decina di persone si occupa quotidianamente delle varie attività. Al raggiungimento dello sviluppo (circa 700-750 kg per i maschi e 550 kg per le femmine), i capi lasciano l’allevamento per gli stabilimenti di macellazione Inalca. Prossimi progetti? «Stiamo lavorando per andare verso il biometano e abbiamo già a budget l’ampliamento del fotovoltaico sulle prossime 5 stalle» mi risponde Piero Ravizza. «C’è tanto da fare per proseguire nello sviluppo di questa realtà d’eccellenza». La tutela del bestiame e la salvaguardia dell’ambiente qui sono comunque già in perfetto equilibrio. Elena Benedetti Società Agricola Marchesina Srl Cascina Cittadina 20088 Rosate (MI) Web: www.agricolamarchesina.it
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La nostra qualità nasce dalla passione dei nostri allevatori.
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Grazie allo stretto contatto quotidiano con ogni animale, gli allevatori francesi sono i primi attori del benessere degli animali, dalla nascita alla macellazione.
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è il numero medio di vacche per azienda in Francia.
dell’alimentazione dei bovini francesi viene prodotta nella fattoria.
Portavoce della ĀĮĞåŹ±ƐÚåĮĮ±ƐϱŹĻå ÆŇƽĞĻ±ƐüŹ±ĻÏåžå
You&Meat lancia la linea barbecue Sei proposte ispirate alla tradizione USA dedicate agli amanti della griglia: Picanha, Heavy Steak, New York Strip Steak, Wing Rib Steak, Ribeye Steak, Pitmaster smoke flavored burger
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on l’arrivo dell’estate You&Meat — il brand di Centro Carni Company nato nel 2015 per portare in tavola prodotti gourmet, ricavati da pregiati tagli anatomici — propone sei tagli pensati per gli amanti del BBQ americano. Picanha, Heavy Steak, New York Strip Steak, Wing Rib Steak, Ribeye Steak, Pitmaster smoke flavored burger sono i prodotti di punta selezionati con materie di prima scelta. La carne selezionata per questa nuova gamma è, infatti, la Scottona, che si contraddistingue per essere particolarmente succulenta e tenera, con un buon grado di marezzatura e ideale, quindi, per le
cotture sulla griglia. L’unicità della linea barbecue ispirata alla grigliata d’Oltreoceano e in generale di tutti i prodotti a marchio You&Meat, sta nella sua diversità: un ventaglio di proposte volte ad accompagnare il palato del consumatore in un viaggio fra i diversi sapori della carne. Il prodotto, senza glutine, è confezionato in skin, singolarmente. La shelf-life è di 21 giorni (per tutte le referenze). I prezzi vanno da € 6,50 a € 9,00 per i prodotti NY Rib Strip Steak, Ribeye Steak, Heavy Steak e Pit Master. Le referenze Wing Rib Steak e Picanha sono prodotti che non hanno peso fisso e vanno in base al taglio, quindi il prezzo può variare.
Centro Carni Company Con oltre 40 anni di esperienza Centro Carni Company rappresenta oggi una delle maggiori aziende italiane nel settore della lavorazione della carne bovina ed è tra i leader nell’ambito specifico del disosso e trasformazione della carne, con una potenzialità giornaliera di 80 tonnellate. Centro Carni Company si sviluppa su una superficie di 5.500 m2 coperti. Un costante trend di sviluppo ha segnato positivamente, anno dopo anno, l’attività dell’azienda, che si caratterizza per qualità e innovazione dei servizi. >> Link: centrocarnicompany.com
1) La Picanha nel pratico formato da 300 grammi. Caratterizzata da uno strato di grasso esterno che, sciogliendosi durante la cottura, dà più gusto alla carne, è un must per gli appassionati del barbecue. 2) New York Steak è il nome comunemente utilizzato per questo tipo di taglio dalle steakhouse statunitensi. È una bistecca di controfiletto senz’osso, morbida e saporita. Per la sua forma si presta ad essere presentata anche come tagliata. È venduta nel formato skin pack da 250 grammi. 3) Il Pitmaster smoke flavored burger, un burger prelibato e succoso con un aroma di affumicatura che dà quel tocco in più! Dedicato a chi al barbecue non può proprio rinunciare. Peso al pezzo 250 grammi.
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Meats Service: al servizio dell’industria delle carni
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uest’anno si celebrano i primi vent’anni di attività di MEATS SERVICE Srl, società che fornisce personale qualificato, specializzato in macellazione, disosso, tolettatura, confezionamento carni. La storia dell’azienda inizia nel Napoletano, a Casavatore, con LUIGI GANZERLI, meglio conosciuto come Gino, terzo di cinque figli. Insieme ai fratelli ENZO e FRANCESCO, Gino inizia presto a lavorare nell’attività di famiglia, la Macelleria e Tripperia “Gasparino”, dal nome del loro papà, GASPARE, che dal 1948 è un’istituzione nella cittadina. Sono gli anni Novanta ed il giovane Gino, al rientro da scuola, aiuta a portare avanti l’attività. «In effetti, a quell’età facevo già il mestiere di una persona adulta e come macellaio me la cavavo bene», racconta
l’imprenditore quarantenne, ricordando l’infanzia. L’intelligenza, la lungimiranza e la capacità di ribaltare la sorte lo portano a modificare il suo percorso, trasformando il mestiere di macellaio in quello di imprenditore della carne. È il periodo della cosiddetta “mucca pazza” e alla fine degli anni Novanta nel settore c’è un calo delle vendite, che si riscontra anche nella macelleria di famiglia. Gino così decide di spostarsi a Bolzano e lavorare come dipendente di un’azienda. Dopo solo tre settimane accetta la proposta di creare una sua società. L’azienda Nasce così nel 2001 la MEATS SERVICE S RL (lavorazione macellazione, disosso carni), col preciso scopo di fornire alle aziende ed agli im-
Meats Service è specializzata nella fornitura di personale qualificato per i comparti della macellazione, disosso, tolettatura e confezionamento delle carni (photo © elnariz – stock.adobe.com).
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prenditori la propria competenza professionale in materia di macellazione, disosso, tolettatura e relativo confezionamento di carni bovine e suine. «I primi anni da pendolare sono stati nostalgici e lavorativamente parlando faticosi dal punto di vista mentale oltre che fisico», ricorda Luigi, raccontando di come sia stato impegnativo abituarsi alle responsabilità di amministratore. Oggi, dopo un’esperienza maturata negli anni, conosce bene il settore ed è abituato a lavorare per obiettivi e ad operare in ambienti “delicati” come quelli delle industrie alimentari. Infatti, è un’attività che viene svolta in macelli ed industrie di lavorazione carni, dove la Meats Service Srl lavora adottando tutti i criteri tecnici del settore nel pieno rispetto delle normative vigenti, prestando vari servizi. Dalla macellazione di capi bovini, suini, ecc…, al disosso, la tolettatura ed il confezionamento di carni, fino alla gestione di picchi di lavoro non programmati. Un’azienda in grado di fornire manovalanza specializzata o generica, ma sempre adatta per ogni fase della lavorazione delle carni. Attualmente la società è presente in varie aziende, dislocate sul territorio nazionale, in particolare a Bolzano, Padova, Piacenza, Verona, Trento, Capua e Napoli. Il restyling della sede operativa Luigi Ganzerli è il dirigente e amministratore unico della società; passa circa metà della settimana in giro per l’Italia e al rientro cercava un ambiente accogliente, lontano dagli stereotipi classici dell’ufficio. Ci troviamo all’interno del palazzetto di famiglia, dove al piano terra c’è la macelleria e tripperia storica. Il giovane architetto CARMINE ABATE, a cui è stato affidato il restyling, descrive così l’intervento: «La volontà del
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Luigi Ganzerli, titolare di Meats Service Srl a Casavatore (NA), con l’architetto Carmine Abate che ha curato il progetto di restyling degli uffici (photo © Carlo Oriente 2021).
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Alcuni scatti che evidenziano il lavoro di riprogettazione degli spazi lavorativi di Meats Service svolto dall’architetto Carmine Abate. L’obiettivo era quello di unire architettonicamente memoria e innovazione in uno spazio di lavoro funzionale e al contempo accogliente. Il risultato è un ambiente molto contemporaneo, dalle linee essenziali e molto materico, grazie ai pregiati legno, vetro, battuto veneziano e marmi (photo © Carlo Oriente 2021).
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Il restyling degli uffici di Meats Service a Casavatore, nella provincia di Napoli, sono stati curati dall’architetto Carmine Abate, che ha interpretato le esigenze del titolare Luigi Ganzerli. L’occasione per comunicare un messaggio chiaro e del tutto nuovo: unire architettonicamente memoria e innovazione. La memoria di un’attività familiare storica all’innovazione tecnologica e ad una visione personale ricercata e avanzata
committente era chiara: avere un posto dove poter rientrare e sentirsi subito a casa». E così che il nuovo ufficio di questa azienda di carni, che conta centinaia di dipendenti in tutta Italia, ha il carattere e l’atmosfera di una dimora, uno spazio quasi domestico, intimo, personale. Il restyling è stato l’occasione per comunicare un messaggio chiaro e del tutto nuovo: unire architettonicamente memoria e innovazione. La memoria di un’attività familiare storica all’innovazione tecnologica
e ad una visione personale ricercata e avanzata. Più che un ufficio come siamo abituati a trovare in opere ed esempi similari è un manufatto senza tempo, che appare nello stesso momento classico e contemporaneo, tradizionale e innovativo. Un modo per promuovere il mestiere di famiglia, che è diventato una realtà che opera dal Golfo alle Alpi. Lo spazio si presenta come un doppio volume, i cui ambienti variegati sono caratterizzati dall’uso di materiali pregiati: legno, vetro,
battuto veneziano, marmi. Le foto alle pareti sono opere del fotografo LUIGI SPINA, della collezione “Diario mitico”. L’intervento è chiaro: mantenere il sapore vagamente di classico unendolo ad una tecnologia specializzata. Il tutto avvolto in un ambiente che avesse l’immagine di una dimora più che di un ufficio. Così i legni per volontà del committente sono stati reperiti a Bolzano. Il battuto veneziano e il marmo del top della scrivania forniti da Alfamarmi. L’armadio, il banco e la scrivania sono stati realizzati su disegno dell’architetto Carmine Abate.
Meats Service Srl Via S. Pietro 3 80020 Casavatore (NA) Telefono: 081 5730284 338 8618506 E-mail: info@meatsservicesrl.com
CLAI campione italiano di sostenibilità nella categoria “Carni & Salumi” A segnalarlo è la ricerca pubblicata sull’ultimo numero di AFFARI & FINANZA, l’inserto economico de LA REPUBBLICA, che indica quali sono le “Green Stars 2021” del nostro Paese nei diversi settori dell’economia. Lo studio condotto dall’Istituto tedesco Qualità e Finanza, in collaborazione con l’Istituto per Management e Ricerca economica di Amburgo, ha utilizzato il metodo del social listening. Per capire il livello di reputazione sono state infatti raccolte oltre un milione di citazioni sul web di 2.000 imprese monitorate e soltanto 200 sono state alla fine “premiate” dalle valutazioni on-line. Si tratta della più grande ricerca di questo tipo mai realizzata in Italia sulla sostenibilità. Le imprese considerate operano i settori centrali come: alimentari e bevande, automotive, meccanica ed elettronica, beni di consumo, commercio, finanza, materiali e materie prime, servizi e trasporti. In un campo strategico a livello nazionale come quello di Alimentari & Bevande, nella categoria delle Carni e dei Salumi, spicca il nome di CLAI: l’importante realtà agroalimentare di Imola si piazza alla prima posizione di questa classifica, con un punteggio di sostenibilità pari a 100, il massimo raggiungibile. Seguono la Levoni, al secondo posto con un punteggio pari a 73,4, e Rovagnati, con 66,3. «Siamo soddisfatti di questo riconoscimento» sottolinea Giovanni Bettini, presidente CLAI. «Si tratta di una conferma che il nostro grande impegno nel campo della sostenibilità sta dando i suoi frutti. CLAI crede fortemente nel modello d’impresa sostenibile e da anni si impegna per rendere meno impattante la sua presenza sul territorio. Del resto, nessuna impresa oggi può pensare di creare vero valore senza fare i conti con l’eredità che lascerà a livello ambientale ai suoi figli e ai figli dei suoi figli. Ogni nuova decisione che assumiamo in CLAI tiene sempre conto del suo livello di sostenibilità. Un concetto che a noi piace però considerare in termini più ampi, includendo anche la sostenibilità sociale: la crescita di un’azienda è anche la conseguenza del grado di attenzione che rivolge alle persone con cui è in contatto nel quotidiano: dipendenti, fornitori, consumatori… CLAI è una comunità fatta di persone, per le persone di oggi e di domani». Obiettivo spreco zero con impianti di biogas e di cogenerazione, pannelli fotovoltaici e progetti a favore di comportamenti virtuosi Tra le diverse attività implementate da CLAI per favorire un rapporto più sano con l’ambiente c’è l’impianto di biogas (in foto) costruito nel 2012 a fianco dello stabilimento produttivo di Sasso Morelli, che, in ossequio al principio dello “scarto-zero”, accoglie sottoprodotti delle varie lavorazioni, liquami degli allevamenti e parte degli scarti di macellazione. Tutto materiale che dovrebbe essere buttato perché ormai privo di valore. A Sasso Morelli, spiega il responsabile di stabilimento RUDY MAGNANI, viene invece «“mescolato” al mais per essere pastorizzato e poi subire un processo batterico di fermentazione, grazie al quale si genera gas utilizzato per produrre energia elettrica». Si tratta di un processo talmente efficiente che l’energia viene prodotta in eccesso rispetto alle esigenze dell’intero impianto. Oltre all’energia si genera anche calore, sfruttato all’interno del salumificio CLAI. Il risparmio di metano è notevole, viene coperto circa l’80% del fabbisogno. Ciclo concluso a questo punto? No, perché dal processo di fermentazione rimane un ulteriore scarto di lavorazione, il digestato, che CLAI valorizza utilizzandolo come fertilizzante per i propri campi. Da tempo CLAI ha inoltre adottato l’uso di pannelli fotovoltaici, sistemati sui tetti degli impianti, e realizzato nella struttura di Faenza un nuovo impianto di cogenerazione. Il suo funzionamento è semplice: viene bruciato gas per produrre energia elettrica e calore. «L’impianto è in fase di ottimizzazione del suo ciclo di funzionamento — spiega MASSIMILIANO CERONI, responsabile dello stabilimento CLAI di Faenza —, ma è operativo già al 100% e consente di coprire una quota di fabbisogno energetico superiore al 65%». In ogni momento l’impianto “capisce” quanta energia è necessaria per lo svolgimento delle diverse attività e si autoregola di conseguenza. Grazie a questa tecnologia viene prodotto anche calore, ottenuto come “scarto di prodotto” dell’energia elettrica: in questo caso il processo permette di garantire una percentuale superiore al 75% del fabbisogno di acqua calda. La sostenibilità ha però bisogno anche di iniziative di sensibilizzazione sul territorio. Per questo motivo CLAI ha preso parte al progetto “A scarto zero”, assieme al comune di Imola e al ristorante stellato San Domenico. L’obiettivo è promuovere comportamenti virtuosi a favore della riduzione degli sprechi alimentari domestici. «Iniziative di questo tipo vanno sostenute perché contribuiscono a rafforzare la rete di attenzione e consapevolezza nei confronti di temi centrali per tutti» ha commentato Giovanni Bettini. «Alle volte basta davvero poco per modificare un comportamento sbagliato. Dobbiamo imparare tutti a considerare ogni scarto come una possibile risorsa». >> Link: www.clai.it
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PRESENTA IL SIGILLO ITALIANO I DISCIPLINARI DEL SISTEMA QUALITÀ NAZIONALE ZOOTECNIA (SQNZ) RICONOSCIUTI DAL MINISTERO DELLE POLITICHE AGRICOLE
“Vitellone ai cereali” “Scottona ai cereali” “Fassone di razza Piemontese”
SITO PRODUTTIVO - MACELLO PIEMONTE NORD S.R.L. - Via Nazionale, 13 - 10010 Carema (TO) Tel. +39 0125 80 68 62 - Fax +39 0125 19 02 034 - info@consorziocarnipiemonte.it
www.consorziocarnipiemonte.it
FORNITORE UFFICIALE
Bordoni, l’arte multiforme della bresaola Da piccola macelleria di famiglia a grande realtà aziendale: ripercorriamo insieme la storia della famiglia Bordoni, che ha fatto della produzione di bresaola una vera e propria forma d'arte, in continua trasformazione
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a storia del marchio Bordoni inizia nel 1964 quando PIETRO BORDONI, nonno Piero, avvia la sua personale produzione di bresaola nella macelleria di famiglia, creando il marchio che porta il suo nome. Il forte legame col territorio, l’alta qualità delle materie prime e la passione per il mestiere, rendono in brevissimo tempo la bresaola Bordoni una delle eccellenze della Valtellina. Col tempo la famiglia si allarga: a nonno Piero subentrano prima i tre figli, DARIO, PAOLO e GIANPIERO e, successivamente, BARBARA e GIORGIA (figlie di Dario) e i cugini PIERO e STEFANO. Nel 1997 il piccolo salumificio diventa un vero e proprio stabilimento produttivo, con dipendenti e una rete di vendita ben avviata, che porta in luoghi sempre più lontani il gusto unico e inimitabile di Bordoni. Una bresaola IGP ottenuta esclusivamente dai tagli più nobili, lavorati attentamente da mani esperte che miscelano le spezie secondo l’antica ricetta di famiglia. Le radici dell’azienda, dunque, sono nel territorio valtellinese, ma lo sguardo è rivolto al mondo: fin dall’inizio della sua storia, infatti, Bordoni ha saputo rivolgersi a target e mercati sempre nuovi, trovando soluzioni sorprendenti. E mentre La Storica e La Granfetta, fiori all’occhiello del salumificio, diventano prodotti di riferimento per clienti nazionali e internazionali, la bresaola Bordoni si prepara a raggiungere il consumatore finale: nel corso del 2020 viene infatti lanciata sul mercato una prima referenza in vaschetta, Love Bresaola. L’arte della bresaola arriva sullo scaffale con un piccolo capolavoro di arte contemporanea: un packaging firmato dallo street artist MASSIMO SIRELLI, caratterizzato da divertenti icone pop che premia la riconoscibilità del brand. Ma Love Bresaola non costituisce l’unica espressione artistica della famiglia Bordoni: l’arte della bresaola diventa anche poesia, attraverso l’operato dello chef CRISTIAN BROGLIA che per Bordoni crea un’esclusiva collezione di ricette. Attraverso una pluralità di approcci, Broglia valorizza ed esalta il sapore unico di
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Nel 1964 Pietro Bordoni dà avvio alla sua personale produzione di bresaola nella macelleria di famiglia. Il successo è immediato: prima la gente del posto, poi i turisti, tutti si innamorano della bresaola Bordoni, del suo gusto morbido e delicato. La stessa passione e professionalità la ritroviamo oggi, con la seconda e terza generazione a portare avanti i valori che hanno caratterizzato il passato e che rappresentano il futuro dell’azienda. Bresaola Bordoni, consegnando al consumatore una serie di piatti ricchi di gusto e colore, accompagnati da un originale ricettario in rima. Le nuove generazioni della famiglia Bordoni hanno dunque saputo raccogliere l’eredità di nonno Piero, portando avanti, con sperimentazione e creatività, i valori che hanno caratterizzato il passato e che rappresentano il futuro dell’azienda Bordoni, ovvero tradizione, qualità e arte del gusto. Intanto il Salumificio Bordoni non arresta la sua corsa e celebra importanti traguardi: già membro del Consorzio di tutela della Bresaola della Valtellina, oggi può vantare importanti certificazioni internazionali (IFS International Food Standard, BRC Global Standard for Food Safety, Certification of Halal Products, UNI ISO 14001:2015 e UNI ISO 45001:2018)
che attestano la qualità e genuinità della bresaola Bordoni e l’impegno per la sostenibilità e per la sicurezza sul lavoro dell’azienda. Dal 1964, una qualità a regola d’arte da cui ci aspettiamo ancora molte altre gustose sorprese.
Salumificio Bordoni Srl Via Padellino 44 23030 Mazzo di Valtellina (SO) E-mail: info@bresaolabordoni.it Web: www.bresaolabordoni.it
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Garronese Veneta: tra i boschi di castagni del Monte Baldo nasce il progetto linea vacca-vitello di Luigi Sartori
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e scelte che portano un’azienda produttrice di lavorazione carni ad investire in stalla sono molte. Dieci anni fa una nota azienda padovana cessò l’attività ed improvvisamente ci trovammo a non avere più il prodotto giusto
per i nostri clienti. Il pensiero fu fulmineo: facciamolo noi. Il primo passo è stato la registrazione del marchio Garronese Veneta®, con la successiva stesura del disciplinare di allevamento, da consegnare alle stalle interessate, col fine di otte-
nere il prodotto che ci aveva fatto innamorare. La genetica deve essere Garronese, con la possibilità di comprare i vitelli in Francia nelle zone tipiche di allevamento della Blonde d’Aquitaine, Garronese in italiano.
Oltre alle materie prime, che da disciplinare devono essere prodotte in Veneto, anche i vitelli devono essere partoriti in sede, sempre nell’ottica di uno “spirito etico più primitivo”.
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Lo “spirito Garronese Veneta” è quello di proiettare il mondo della produzione di carne di altissima qualità verso obiettivi di sostenibilità e di territorialità unici nel settore. In foto, Carlo Sartori e Nicola Pippa. L’allevamento con ristallo libero e razione giornaliera ad libitum composta da alimenti secchi tra i quali fieno, paglia, soia, polpa di barbabietola di prima estrazione, mais fioccato e un “ingrediente particolare”, vale a dire la farina delle castagne del Consorzio Marrone DOP San Zeno di Montagna. Con il Consorzio collaboriamo attivamente da anni e ci siamo concordati per il ritiro del prodotto sotto calibro o invenduto, in modo da produrre questa fantastica farina della quale i nostri animali vanno ghiotti. L’alimentazione integrata con la farina di castagne ha destato interesse anche da parte dell’università di Padova, che sta svolgendo un’interessante ricerca per la quantificazione dell’incremento della quantità di grassi insaturi e polinsaturi nella carne Garronese Veneta. Lo “spirito Garronese Veneta” è quello di proiettare il mondo della produzione di carne di al-
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tissima qualità verso obiettivi di sostenibilità e di territorialità unici nel settore. A partire dalle materie prime, che da disciplinare devono essere prodotte in Veneto, fino all’ultimo grande passo, ossia partorire i vitelli in sede. Siamo partiti con l’acquisizione di una stalla in località Lumini sul Monte Baldo e, dopo averla restaurata, abbiamo inserito subito dieci fattrici. I primi vitelli nati da fecondazione assistita ci confermarono che il progetto sarebbe stato piuttosto remunerativo, grazie anche agli ampi spazi verdi che permettono di fare pascolare le fattrici nei periodi estivi, abbassando considerevolmente i costi di allevamento. Due anni fa abbiamo deciso di inserire Only, un toro premiato, affinché svolgesse naturalmente il suo lavoro, limitando ancor più l’intervento antropico sul ciclo riproduttivo delle Garronesi. Oggi stiamo valutando di incrementare il numero dei capi in linea vacca-
vitello, arrivando ad avere una trentina di fattrici e un paio di tori, in modo da limitare sempre più l’importazione dei vitelli dalla Francia, mantenendo la mandria all’ingrasso sui 500 capi. Pensare di poter mantenere a 500 capi all’ingrasso solo con la linea vacca-vitello “nostrana” è impensabile, perché Garronese Veneta contempla solo scottone e porterebbe ancora più lontano l’obiettivo. I maschi vengono venduti vivi o macellati come vitelli a carne bianca. Ci terremmo soprattutto a concentrare l’attenzione sui motivi che ci hanno spinti ad investire tempo e risorse nel progetto vacca-vitello. In un mondo fortunatamente sempre più proiettato alla sostenibilità ambientale, evitare quanto più possibile il trasporto di capi e di alimenti su ruota rappresenta per noi già un grande passo. Il secondo è il naturale ciclo riproduttivo che evita di stressa-
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re gli animali, neutralizza l’uso di ormoni per indurre la fertilità, azzera gli spostamenti da parte dei veterinari e, infine, trova uno spirito etico più primitivo, nel nome di un più rigoroso rispetto per gli animali. Per ultimo, ma non per ultimo, è la rivalutazione della montagna, che per noi è di vitale importanza. La linea vacca-vitello necessita dei capi in malga nel periodo estivo per abbattere i costi di gestione che in stalla sarebbero troppo alti, o comunque, in mancanza della malga, di un pascolo verde per il mantenimento delle fattrici. Tutto questo crea indotto nell’ambiente montano, sempre più povero e isolato, generando nuovi posti di lavoro per tutti quei giovani
che intendono intraprendere questo stile di vita. Per chiudere: diminuzione dell’inquinamento, rivalutazione della montagna e utilizzo di materie prime del territorio ci hanno resi fieri del progetto. Progetti futuri Se ci soffermassimo a pensare al nostro futuro in termini di sostenibilità, vorremmo arrivare a limitare l’utilizzo dell’acqua provando ad immagazzinare il più possibile la piovana per l’abbeveramento degli animali. Inoltre, ci teniamo a citare l’avvio dei lavori alla costruzione del nuovo stabilimento di lavorazione carni a Brenzone sul Garda (VR), location scelta proprio per essere più vicini agli allevamenti e ai clienti, senza
abbandonare il territorio d’appartenenza. Probabilmente, le pendici del Monte Baldo non si prestano a uno stabilimento industriale, ma ci permettono di restare in contatto col nostro territorio, la nostra ispirazione, il nostro amore, la nostra casa. I canoni di costruzione sono tra i più moderni e sostenibili, con un impatto ambientale praticamente nullo. Ma qui debbo fermarmi, poiché “ogni cosa a suo tempo”. Luigi Sartori Sartori Carlo e Figli Sas Via XX settembre 19/21 37010 Brenzone (VR) Telefono: 045 7420021 E-mail: info@macelleriasartori.com Web: macelleriasartori.com www.garroneseveneta.it
Sicurezza alimentare: un algoritmo semplifica le procedure di controllo Semplificare il sistema dei controlli per garantire che sulle tavole dei consumatori finiscano cibi che corrispondono, per qualità e origine, a quanto indicato in etichetta. È il risultato di un lavoro di ricerca condotto da due ricercatori del Dipartimento di Statistica e metodi quantitativi dell’Università di Milano-Bicocca, Francesca Greselin e Andrea Cappozzo, in collaborazione con i colleghi Ludovic Duponchel dell’Università di Lille (Francia) e Brendan Murphy dell’University College Dublin (Irlanda). I promettenti risultati dell’analisi condotta sono stati descritti in uno studio dal titolo “Robust variable selection in the framework of classification with label noise and outliers: Applications to spectroscopic data in agri-food” (DOI:10.1016/j.aca.2021.338245), pubblicato da ANALYTICA CHIMICA ACTA, una prestigiosa rivista nell’ambito della chimica analitica e della spettroscopia. Data l’eccezionalità dei risultati ottenuti, l’articolo è stato posto in primo piano, con un artwork che lo evidenzia sulla copertina della rivista. L’utilizzo della spettroscopia negli studi di food authenticity, negli ultimi decenni, ha consentito di analizzare le sostanze senza danneggiare il campione sottoposto a verifica. Grazie all’utilizzo di sistemi di machine learning, poi, è stato possibile semplificare l’analisi della grande mole di dati raccolti. Un ulteriore passo in avanti è quello frutto dello studio condotto dal team internazionale di ricercatori che hanno “testato” la metodologia su tre diverse tipologie di prodotti: lieviti, carne e olio. La tecnica messa a punto, infatti, consente di ridurre dall’ordine delle migliaia a quello delle decine il numero di misurazioni da acquisire dal segnale spettrometrico per un’accurata verifica che escluda adulterazioni delle sostanze. Tutto ciò con evidenti vantaggi sia in ordine di tempo che di costo delle operazioni di controllo L’impiego di moderne tecniche di spettroscopia e machine learning nel settore agroalimentare aiuterà ad automatizzare i controlli dei cibi che entrano nelle nostre case, per assicurare maggiore qualità e sicurezza per consumatori. Tali metodologie, infatti, potranno trovare applicazione sia nell’ambito delle verifiche condotte dalle autorità governative, sia nelle procedure di certificazione di qualità dei prodotti (fonte: Ufficio Stampa Università di Milano-Bicocca).
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Kometa, carne, salumi e sport Si chiama Kometa ed ha una storia lunga 30 anni che, partita dalla Valtellina negli anni ‘60, si è consolidata in Ungheria. Oggi l’azienda è pronta a presentarsi al mercato italiano con un rebranding del marchio, forte di un’expertise e una maturità di visione aziendale e prodotto
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o scorso maggio KOMETA ha presentato alla stampa i propri piani di sviluppo attraverso i quali punta ad affermarsi tra i produttori di carni e salumi più innovativi ed efficienti d’Europa, ponendosi l’obiettivo del raddoppio del fatturato entro il 2025 e continuando ad investire in innovazione e sostenibilità. Brand awareness e ingresso nel libero servizio sono gli obiettivi prioritari dell’azienda per affermarsi in Italia, già secondo mercato per volumi e ricavi trainato
dalle vendite di prosciutto cotto e petto di tacchino al forno. Al suo vertice c’è la FAMIGLIA PEDRANZINI di Bormio e una forte specializzazione nella trasformazione e lavorazione di carni suine e avicole. L’azienda opera su due sedi: in Ungheria, a Kasposvár, dal 1999, e in Italia, a Bormio e Brescia, dal 2012, con una capacità di oltre 800 dipendenti. All’interno dei suoi stabilimenti vengono macellati e lavorati 750.000 suini, producendo 17.000 tonnellate di salumi all’anno.
Una delle caratteristiche principali di Kometa è che tutti i processi di lavorazione avvengono all’interno della stessa struttura e all’insegna dei più alti standard di igiene e sicurezza alimentare. Questo le consente di presidiare l’intera filiera e in particolare i tre elementi chiave della stessa, ovvero allevamento, macellazione e lavorazione, ambendo a posizionarsi tra le aziende riconosciute per una visione etica e sostenibile della produzione alimentare.
Kometa promuove uno stile di vita sano, basato su un’alimentazione equilibrata e una giusta dose di sport. Un messaggio che si impegna a diffondere concretamente supportando, in qualità di title-sponsor i progetti della Fondazione Alberto Contador e la sua squadra di ciclismo Eolo-Kometa Cycling Team. In foto, i ragazzi della EoloKometa mentre salgono sul palco per la presentazione ufficiale del Giro d’Italia 2021 (photo © Bettini).
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L’evoluzione di Kometa Nel corso della conferenza stampa di presentazione AMADIO CONTENTI, AD di Kometa, ha sottolineato il raddoppio del fatturato dell’azienda, che è passata dagli 80 milioni nel 2014 ai 150 milioni nel 2020. L’ultimo quinquiennio è stato un periodo di grandi investimenti, che hanno permesso a Kometa di distinguersi fra gli attori più dinamici del settore. Il principale obiettivo per i prossimi cinque anni è sicuramente quello di rafforzare la propria presenza su altri mercati, in modo particolare quello del nostro Paese, dove l’azienda intende affermarsi e crescere in maniera significativa. Con queste premesse, Kometa si è prefissata di raggiungere un fatturato di 350 milioni entro il 2025. I valori dell’azienda tra sostenibilità e sport Bontà, salubrità e accessibilità sono i pilastri che guidano Kometa, vale a dire una solida etica del lavoro e principi molto chiari. “Nutrimento per tutte le generazioni” e “Mangiare bene, vivere sani!” sono gli slogan distintivi con cui il marchio si posiziona sul mercato e sottolinea come per l’azienda produrre cibo sia un atto di grande responsabilità: nei confronti dei consumatori di oggi e di domani, ma anche dell’ambiente e di tutti gli attori della filiera. «Kometa prima di tutto è un’industria alimentare che ambisce a costruire un mondo migliore coi suoi prodotti» ha sottolineato LORENZO NEGRI, direttore commerciale Kometa Italia. «Abbiamo costruito un brand dove qualità e funzionalità si esprimono pienamente e le nostre azioni sono guidate dal rispetto verso le persone e uno stile di vita sano; siamo alla continua ricerca della qualità e della bontà ad un prezzo accessibile. Questi sono i principi che guidano il nostro lavoro e le nostre azioni quotidiane». Kometa è una realtà all’avanguardia in campo di responsabilità ambientale e sociale. Nel corso degli anni sono state portate avanti numerose attività per contenere l’impatto delle attività produttive
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Kometa, è tempo di rebranding Non è un caso che in questa fase di crescita aziendale e di investimenti Kometa abbia deciso anche di avviare un processo di rebranding del marchio: il nuovo logo di colore verde richiama le radici agricole e i valori dei suoi fondatori, ma anche l’energia, che contraddistingue l’azienda e il suo team, nonché l’attenzione nei confronti dell’ambiente e la sostenibilità. Un’azienda già consolidata, ma ancora giovane, piena di energie e voglia di innovare, che affronta la sfida del mercato globale senza dimenticare le sue origini: l’anno di fondazione, il 1999, e i colori rosso, bianco e verde, a rappresentare sia la bandiera italiana che quella ungherese, i due Stati dove sono presenti le sedi di Kometa.
sull’ambiente, tra cui la riduzione del consumo di acqua, di energia e gas, il trattamento delle acque, depurate con trattamenti biologici prima di essere riversate nei fiumi… L’anno scorso, ad esempio, è stato ultimato il più grande impianto in Ungheria per il riscaldamento delle acque con tecnologia italiana. Si tratta di un nuovo impianto che consente di riutilizzare le condense del vapore riducendo così il consumo di acqua e gas. A inizio 2021, con un investimento di circa 5 milioni di euro, l’azienda ha messo in funzione anche un nuovo impianto per la trasformazione di tutti i sottoprodotti dell’attività di macellazione che vengono convertiti in farine di carne per l’industria del pet food ed in grassi industriali impiegati per la co-generazione di energia elettrica. Il prossimo step prevede l’introduzione di pannelli solari per produrre energia autonomamente, al fine di avvicinarsi il più possibile ad una sostanziale neutralità ambientale. PIERLUIGI NEGRI, responsabile Area Sport Italia di Kometa, racconta il profondo legame dell’azienda con il ciclismo e la Fundación Alberto Contador, associazione non-profit creata
dall’ex campione spagnolo. Un progetto unico, nata per promuovere il ciclismo e l’uso della bicicletta come mezzo di trasporto nella vita quotidiana e per sensibilizzare l’opinione pubblica circa l’importanza di uno stile di vita sano per abbassare il rischio di ictus cerebrale. Per contribuire fattivamente a questa campagna, Kometa ha scelto di ridurre del 25% il contenuto di sale di tutti i suoi prodotti. «La tutela della salute è un valore fondamentale per l’uomo ed è per questo motivo che Kometa, insieme alla famiglia Pedranzini, ha investito nel ciclismo, che richiede duro lavoro, spirito di sacrificio e tenacia. Alberto Contador e la sua Fundación condividono i valori di Kometa promuovendo l’importanza di uno stile di vita sano, che inizia da un’alimentazione più equilibrata. Da qui nasce anche lo stretto legame di collaborazione e sponsorizzazione della Eolo Kometa Cycling Team, la squadra di ciclismo di ALBERTO CONTADOR e IVAN BASSO che parteciperà a tutte le competizioni del World Tour, Giro d’Italia compreso». >> Link: www.kometa.hu/it
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Luciano Bifulco, il macellaio differente di Elena Benedetti
C’
è una famiglia all’ombra del Vesuvio giunta alla quarta generazione che ha fatto parecchia strada e che oggi è un esempio virtuoso di omnicanalità, tra selezione, allevamento, retail tradizionale, vendita on-line e ristorazione. Abbiamo intervistato LUCIANO BIFULCO, regista di questo nuovo passo che lo rende uno dei protagonisti più visionari e anticipatori delle tendenze nella vendita e ristorazione in materia di carne e salumi.
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Quando è iniziata la vostra avventura nel mondo delle carni? «Alla fine del 1890 ad Ottaviano, alle pendici del Vesuvio, eravamo già attenti selezionatori di carne pregiata. Ma la nostra vera avventura inizia nel 1947, quando le macellerie si chiamavano ancora chianche e nonno FERDINANDO apre la nostra prima macelleria di famiglia. Non ci siamo mai accontentati: contemporaneamente alla vendita al dettaglio abbiamo portato avanti
l’attività di mediatori e commercianti di bestiame. Mio padre FRANCO, ad esempio, oltre a crescere e portare avanti la macelleria di famiglia, ha cominciato a girare diversi allevamenti in Campania e in Italia, selezionando i migliori animali sul mercato. Nel 2000 abbiamo aperto il primo deposito con bollo CEE, portando una delle prime celle di frollatura nel Sud Italia, quando molti ancora non sapevano nemmeno l’esistenza di questo processo».
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«Una volta c'erano le chianche. E anche se già nel 1890 eravamo selezionatori di tagli di carne pregiata, è nel 1947 che inizia davvero la nostra storia. Oggi siamo macellai, ristoratori e allevatori». Luciano Bifulco, erede di una famiglia napoletana di selezionatori di bovini da quattro generazioni, si racconta ad Eurocarni. Gli inizi e i nuovi progetti, i locali e lo shop on-line, la passione per la carne e la dedizione al lavoro
Voi per noi rappresentate un esempio perfetto (e di grande esempio per tutti) di “Macelleria Moderna” che, completandosi con la ristorazione e l’e-shop, è presente a 360°. Quali sono stati i vari step per arrivare a questa realtà? Quali le difficoltà che avete incontrato ma, soprattutto, le strategie che avete sviluppato per arrivare a questo livello? «Dopo averle fatto una panoramica sulla storia Bifulco, le faccio una breve cronistoria degli step recenti che hanno portato noi, la
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quarta generazione della famiglia Bifulco, ad essere ciò che siamo oggi. Nel 2011, dopo una lunga gavetta al fianco di papà Franco tra allevamento, selezione e macelleria di famiglia, decido di aprire un mio punto vendita ad Ottaviano, dove siamo ancora oggi. L’idea era quella di realizzare una macelleria con la nostra selezione di carni mondiali, affiancata da una salumeria e una gastronomia di alto livello. Nel 2013 comincia la mia prima avventura nel mondo della ristorazione: dedico uno spazio della struttura per la Braceria e all’esterno del locale allestiamo un angolo dedicato agli hamburger. Il successo è inaspettato e nel 2015 realizziamo un nuovo locale: BifBurger, dedicato esclusivamente agli hamburger, con la sapiente guida di mio fratello NANDO e mia sorella SPERANZA. La nostra braceria, intanto, inizia a diventare famosa in tutta la Campania e allora decido di fare un passo importante: nel 2016 creo una nuova struttura, un vero e proprio Tempio delle Carni su due piani, rilevando i locali adiacenti alla macelleria e allestendo una vetrina con cinque celle di frollatura e oltre 1.000 lombate a vista insieme ad una cucina da ristorante stellato e una brace di altissimo livello, per cuocere nel migliore dei modi le nostri carni. L’anno successivo lancio la mia linea di vasetti: “Come un Tonno”, “La mia Genovese” e “Il mio ragù napoletano”. Ci tengo a menzionare questi prodotti perché non sono prodotti industriali ma artigianali, nel vero senso della parola. Genovese e Ragù non sono semplici sughi pronti, ma la traduzione in vasetto di tipici piatti della tradizione, preparati secondo ricette di famiglia. “Come un Tonno”, invece, è una ricetta pensata da me: sfilettiamo e mariniamo a mano la carne di Manzetta dei Laghi, cotta a bassa temperatura per 12 ore, e la conserviamo in barattolo con olio evo. È perfetta per l’aperitivo o come condimento per un primo piatto. Vedo che soprattutto negli ultimi anni molti si stanno lanciando in quest’iniziativa dei vasetti, ma sfido chiunque a farli con la stessa cura, manualità e materie prime di livello.
Tornando agli step che ci hanno portato ad essere ciò che Bifulco è oggi, nel 2019 mio fratello Nando apre un nuovo punto: BifBurger Exclusive, una vera e proprio Cattedrale del Panino. Con lo shop on-line, invece, siamo partiti l’anno scorso. Una delle prime macelleria in Italia a sbarcare sul web con la vendita dei suoi prodotti. Ho cercato di riassumerle in pochi passaggi circa dieci anni di esperienze in settori affini ma comunque diversi e le difficoltà chiaramente sono state tante. Solo la passione per la carne e la dedizione per questo lavoro ci hanno permesso di superarle tutte». Quali sono le razze che preferite? «Bella domanda! Questa forse è una delle principali differenze tra noi ed i nostri competitor. Bifulco non segue le mode, non siamo rivenditore di carni che prendono pezzi sottovuoto per poi commercializzarli ma curiamo l’intera filiera: allevamento, selezione e cura del benessere degli animali nella nostra tenuta di Tito di Potenza o nei nostri allevamenti di fiducia tra i laghi della Masuria polacca. Per quanto riguarda le razze, appunto, la nostra selezione comprende: • Black Angus, nati in Irlanda e cresciuti nei nostri allevamenti, dove vivono allo stato semibrado, liberi di scorrazzare in ampi pascoli verdi e nella natura incontaminata. Il benessere degli animali è la nostra priorità e, per questo, li alleviamo in condizioni naturali per avere una carne di altissima qualità, dal gusto intenso e dall’elevata marezzatura. Non acceleriamo in alcun modo il processo di crescita degli animali, facendo seguire loro un’alimentazione naturale 100% vegetale, senza l’aggiunta di farine animali o promotori della crescita; • Manzetta dei Laghi, un nostro marchio registrato che identifica manzette selezionate, personalmente da me e mio padre, in allevamenti di alta qualità tra i laghi della Masuria polacca. Negli ultimi anni stiamo portando avanti, nei nostri allevamenti,
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La famiglia Bifulco seleziona e macella carni dal 1947. In foto, Nando, Franco e Luciano Bifulco. anche selezioni italiane: incrocio podolico, Marchigiana e Frisona italiana e poi, certo, abbiamo anche il Wagyu, ma a me non fa impazzire. Lo considero una semplice moda e, per dare una sterzata a questo trend, sto sperimentando un incrocio tra Angus e Wagyu: questa si che è una carne mondiale! Per quanto riguarda gli altri animali, come suino prediligiamo il maialino Nero casertano ed i maiali nostrani beneventani, ma abbiamo anche una nostra selezione di fiducia di suini nazionali di qualità. Per polli e tacchini, invece, il nostro partner è l’azienda agricola San Bartolomeo, dove gli animali trascorrono gran parte della giornata all’aperto e vivono nel massimo benessere, con un’alimentazione controllata di erba, germogli, insetti e vermicelli. Un prodotto di prima qualità che
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ho scelto già da qualche anno, uno dei primi nel Sud Italia». Qual è la “bistecca perfetta” secondo Luciano Bifulco? «A casa, il mio taglio preferito è la costata, dalla quarta alla settima vertebra, sia per la succulenza di questo pezzo sia perché è da sempre il taglio preferito del mio papà. In Braceria, invece, preferisco fare la stessa esperienza di gusto che consiglio ai miei clienti ovvero partire da un taglio più delicato come lo Chateaubriand, passare per la tenerezza della T-bone e la scioglievolezza della Rib-eye, fino ad arrivare ad un gusto più deciso come quello offerto dal Tomahawk». Come è cambiato il cliente, sia quello della macelleria che del ristorante, in questi ultimi anni?
«Guardi, io mi definisco un macellaio differente, ma questo non è solo uno slogan. Sono stato, infatti, uno dei primi a portare avanti i concetti di carne marezzata e frollata nel Sud Italia e la strada da fare è ancora tanta, ma ogni giorno, sia in macelleria che in Braceria, cerco di educare i miei clienti nella scelta delle carni migliori. Mi creda, è un compito arduo perché, fino a qualche anno fa, eravamo abituati a vedere nei banchi frigo di macellerie e supermercati carne magra, rossa e senza le venature e chiazze bianche caratteristiche della marezzatura. Ma io cerco di spiegare ai miei clienti che il grasso è uno degli elementi più importanti per valutare la qualità e lo stato nutrizionale del bovino. Ad una più importante marezzatura, corrisponde, infatti, una carne di più elevata qualità. La marezzatura
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gioca, poi, un ruolo fondamentale anche durante la cottura. Il grasso, infatti, tende a sciogliersi, col risultato di una carne dal gusto intenso e saporito e dalla consistenza tenera e succosa. Per quanto riguarda la frollatura, io utilizzo il metodo dry aging: un processo di maturazione della carne a secco, in cinque speciali celle frigorifere a temperatura controllata e ventilazione forzata che ho nella mia macelleria, oltre a quelle presenti al deposito da me ribattezzato il “caveau del piacere”. Più avanti va il processo di frollatura, che noi facciamo per un minimo di 30 e oltre i 180 giorni, più la carne diventa buona come cioccolata!». Che impatto ha avuto la crisi pandemica sul vostro business? «Per quel che concerne le attività di ristorazione, è stata una vera e propria catastrofe. Con la Braceria è un continuo tira e molla: a maggio, ad esempio, appena ripristinata la zona gialla, abbiamo preferito rimanere fermi. Io, infatti, ho sempre considerato il pranzo o la cena in Braceria come un’esperienza. I clienti ci hanno sempre scelto, oltre che per i piatti e la qualità della carne, perché li facciamo stare bene, coccolandoli e facendoli sentire come a casa e purtroppo, a quelle condizioni e con queste disposizioni governative, non potevamo garantire la solita esperienza. Abbiamo, dunque, preso tempo per allestire un’area esterna con un giardino verticale che ci ha consentito, nonostante queste disposizioni, di rispettare il nostro standard qualitativo. Con BifBurger, invece, siamo stati fermi oltre 15 mesi per riaprire solo qualche settimana fa con il servizio ai tavoli all’aperto, che ci consente di rispettare tutte le disposizioni governative. Nonostante tutte le difficoltà, comunque, non ci siamo abbattuti ed abbiamo, appunto, reagito con il business dello shop on-line». Quanto incide il fatturato da e-commerce in % sul vostro business? Prevedete un trend in crescita del business delle vendite on-line? «Come già detto, siamo stati
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forse i primi a portare la carne sul web. Voglio chiarire una cosa: la nostra è una vera e propria macelleria on-line, sul nostro shop vendiamo la maggioranza dei prodotti che abbiamo anche al banco e non solo bistecche. Inoltre, non abbiamo pezzi già tagliati e messi sottovuoto ma gestiamo tutti gli ordini proprio come se avessimo il cliente davanti al banco. Insieme alla qualità dei nostri prodotti, questi ritengo siano punti di forza importanti che ci differenziano dai nostri competitor. Ma chiariamoci non voglio assolutamente criticare il lavoro dei colleghi, ma come le dicevo io mi ritengo un macellaio differente e, di conseguenza, anche le mie scelte di business sono diverse. Per quanto riguarda il fatturato, in alcuni periodi come Pasqua e Natale lo shop incide per circa il 20% sul nostro business, ma questo per noi non è un fattore primario. Siamo ovviamente un’azienda che mira a generare utili ma il nostro principale obiettivo, attraverso lo shop on-line, è aumentare la nostra awareness, costruire valore e fidelizzare i clienti». Oltre alle carni selezionate anche i salumi? Ne producete direttamente? Se sì, quali? «La salumeria è sicuramente un settore affine e puntiamo a crescere sempre più. Per quanto riguarda la produzione targata Bifulco, in questo momento produciamo: salami, salsicce, soppressate e pancette sia di maialino nero che di suini nazionali. Per il resto della salumeria, selezioniamo partner di alto livello come, ad esempio: Sant’Ilario per il prosciutto crudo, Joselito come Jamón Ibérico, il culatello di Antica Corte Pallavicina e tanti altri fornitori di alta qualità. Allo stesso tempo, abbiamo una cremeria importante con una selezione di formaggi di aziende di livello tra cui: Carmasciando, Consorzio Vacche Rosse, Caseificio il Fiorino e l’Azienda Agricola Bio “Nel Mio Campo”». Qualche progetto per il futuro? «Non ci fermiamo mai. Innanzitutto stiamo cercando di per-
fezionare i business già esistenti come lo shop on-line con un nuovo sito più performante e funzionale e l’implementazione di un nuovo confezionamento: lo skinpack, che garantisce la freschezza delle carni più a lungo. Puntiamo, poi, a rafforzare le forniture H O .R E .C A ., mettendo a disposizione di ristoranti, pub e salumerie tutta la nostra esperienza nell’allevamento, selezione e lavorazione di carni pregiate. Stiamo, inoltre, allargando i nostri allevamenti con l’aggiunta di nuove tenute come quella di Carmasciano, in provincia di Avellino. Vi regalo, infine, una chicca in anteprima: stiamo realizzando una delle cantine più grandi della Campania, con oltre 5.000 etichette di vini d’eccellenza nazionale e internazionale. Sarà anche possibile fare un percorso degustativo completo, a partire da salumi e formaggi fino ad arrivare alla nostra carne mondiale, accompagnata dai vini migliori. Ma aldilà di tutti i progetti in essere e futuri, io non mi sento per niente arrivato. Ho voglia di crescere e migliorarmi ancora in tutti i settori: innanzitutto l’allevamento e la selezione, che ritengo siano le basi da cui tutto deve partire per fare un buon lavoro nel retail e la ristorazione». Elena Benedetti Gastronomia Macelleria Bifulco Braceria Bifulco Bifulco Exclusive BifBurger Streetfood >> Link: www.bifulco.family Instagram: @ luciano_bifulco @ bifulco_1947 @ braceria_bifulco Facebook: Bifulco Luciano Bifulco Braceria Bifulco Nota A pagina 92, Luciano Bifulco, erede di una famiglia di selezionatori di bovini da ben quattro generazioni.
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SPECIALE READY TO EAT
Photo © lilechka75 – stock.adobe.com
Ready to eat, ed è subito tartare
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er il consumatore sono una vera gioia: senza necessità di cottura o altra preparazione aggiuntiva, si mettono in tavola, magari con un filo d’olio e qualche spezia se è gradita, un contorno semplice e il pasto è fatto. Per l’industria sono i ready to eat, prodotti alimentari pronti per il consumo immediato senza preriscaldamento, una realtà sempre più diffusa per la cui preparazione il livello di igiene e sicurezza del processo è fondamentale. Per questo numero di EUROCARNI di giugno, il mese che segna l’ingresso nella stagione estiva, abbiamo visitato alcune insegne della GDO (COOP ITALIA, CONAD, ESSELUNGA e UNES) alla ricerca di tartare.
La tartare, accompagnata da verdure miste o da una fresca giardiniera, è l’ingrediente “protagonista” ideale nella composizione di un piatto unico bilanciato, completo e allo stesso tempo leggero, perfetto per l’imminente stagione estiva (in foto, una tartare della linea Fiorani).
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Tartare Fiorani, l’innovazione a servizio della semplicità Le tartare, dal momento del loro lancio, sono diventate uno dei prodotti di punta, fiore all’occhiello emblematico del grande know how Fiorani. Hanno avuto fin da subito un’ottima accoglienza da parte dei consumatori e della GDO e continuano ad ottenere ottime performance di vendita. Si tratta di un prodotto che richiede un iter di lavorazione molto specifico e tecnologie che permettono di mantenere e esaltare tutte le caratteristiche della carne per il consumo a crudo, garantendo al contempo processi molto accurati per quanto riguarda controlli igienico-sanitari e catena del freddo. Un ready to eat semplice e magro, per portare in tavola con pochi gesti un piatto degno di uno chef Carne cruda di prima qualità proposta in cinque varianti (Bovino, Vitello, Gustosa, Chianina e Scottona; in foto le tre varianti Bovino, Vitello e Scottona), da gustare quando si vuole e in totale sicurezza grazie alle analisi fatte su ogni campione di prodotto e alla filiera produttiva controllata. Come azienda del Gruppo Inalca, principale realtà italiana ed europea del settore, Fiorani ha infatti accesso esclusivo a forniture di carne di filiera di primo livello. Magra e ad alto contenuto di proteine, la tartare è un piatto leggero ed equilibrato, ideale per gli sportivi. Le tartare vengono confezionate in due comode monoporzioni divisibili skin che garantiscono totale sicurezza e un maggiore tempo di conservazione. Come tutti i prodotti Fiorani, la tartare è senza glutine. «Possiamo dire che la tartare Fiorani rispecchia la filosofia della nostra impresa, orientata alla semplicità e alla qualità della materia prima e con questo approccio sviluppa progetti per il mercato dei piatti pronti cotti e dei ready to eat, un settore in evoluzione che mostra di apprezzare la proposta di referenze naturali e non processate. A brevissimo il nostro assortimento di cinque tartare si amplierà di una nuova e gustosa referenza, la Battuta di bovino di razza Piemontese, 105 grammi, per 2 pezzi a confezione. Non è semplice, serve un impegno costante per proporre referenze di alto livello. Per questo investiamo ogni anno milioni di euro in macchinari e tecnologia all’avanguardia, ricerchiamo e sviluppiamo con i fornitori nuovi materiali di confezionamento, più sostenibili e più prestazionali dal punto di vista dei servizi al consumatore, sperimentiamo nuove tecniche di lavorazione e produzione al fine di garantire alte prestazioni ed elevati standard di salubrità e sicurezza». >> Link: www.fioraniec.com
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Scopri il Sapore... ...Scopri la Genuinità!
COPPIELLO GIOVANNI Tel. 049 725 596 Fax 049 893 0525 www.coppiello.it - info@coppiello.it
Fidatevi del Vostro Gusto e scoprirete la differenza. La bresaola e gli sfilacci di carne di cavallo di Giovanni Coppiello sono tutto il meglio e il buono che potete far provare ai vostri sensi. Scoprirete così un piatto unico dai pregi infiniti: ottimo antipasto, intingolo per condire paste bucate, oppure prelibato secondo. Ingredienti per 4 persone 200 gr. di Bresaola, 2 Zucchine, 2 Carote, 1 Limone 1 Bustina di Zafferano, 6 Cucchiai di Olio d Oliva, Pepe in Grano, 20 gr. Sale al Sedano.
Studio Canaletto Associato . studiocanaletto.com
Nella foto una delle nostre Ricette Consigliate : Bresaola di Cavallo con Perle di Verdure e Salsa Zafferano Esecuzione: con l apposito scavino realizzare le perle di verdure e lessarle. Condire con un emulsione di succo di limone, olio, zafferano, pepe ed un pizzico di sale. Servire la bresaola di cavallo su un letto di rucola e guarnire il piatto.
Bresaola di Equino
Salame di Equino
Julienne Di Bresaola di Equino
Sfilacci di Tacchino
Sfilacci di Manzo
Sfilacci di Equino
La tradizione piemontese in skin con MEC Spa Dalla tradizione piemontese, l’azienda MEC Spa della famiglia Formento di Montanera (CN) è presente con tartare e battute di Fassone in skin pack e grammature diverse. Grazie alla selezione della materia prima, ovvero carne di razza Piemontese, magra e fonte di proteine nobili, MEC Spa offre prodotti dalla lavorazione a forte carattere artigianale, pratici al consumo. Nella gamma Ready to eat MEC Spa è presente con due linee.
1. Linea Piemontese: con carne pregiata di razza Piemontese da bovini allevati in Piemonte sotto le Alpi. Grazie ad un’alimentazione di qualità e ad un microclima che unisce la freschezza alpina agli influssi del vicino Mediterraneo, la carne di questi bovini è tenera, magra e gustosa, con basso livello di colesterolo e alto contenuto proteico. Il pack pratico con confezionamento in skin garantisce la conservazione e la frollatura, preservando tutto il sapore e i profumi autentici della carne di qualità. In questa linea troviamo la Battuta di Fassone, di pregiata carne di razza Piemontese condita con olio extravergine, sale, pepe e succo di limone. Dal gusto delicato ed equilibrato come da tradizione, disponibile da 160 grammi, 80 grammi x 2 e 20 grammi x 6 con gli Sfizi di Battuta di Fassone. 2. Linea Semplici Bontà: qui MEC Spa offre un prodotto di alto livello di carne bovina proveniente da allevamenti italiani, rigorosamente selezionata e controllata, dal pack in skin con la Gran Tartare 80 grammi x 2, condita con olio d’oliva, sale, pepe e succo di limone, tenera e gustosa. >> Link: formentocarni.it.it
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Fresca, gustosa, pratica, la linea tartare Bervini si presenta con quattro referenze per soddisfare i palati più esigenti
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Tartare di Scottona Italiana, proveniente da una filiera controllata al 100% che parte dall’allevamento delle Scottone per arrivare al consumatore. Caratterizzata da un gusto delicato e da una straordinaria tenerezza delle carni, esalta il sapore della filiera nazionale di produzione. • Tartare di bovino Piemontese, immancabile in una linea di tartare. Solo tagli pregiati di bovino Piemontese, ideale per questo tipo di preparazione. Si presta alla personalizzazione con una grande semplicità, per garantire il miglior risultato a tutti gli aspiranti chef. • Tartare di Angus, realizzata con tagli di Angus Grain Fed proveniente dagli allevamenti Bervini per garantire il massimo della freschezza e del gusto. Pensata per i palati più esigenti, studiata con una ricetta che esalta il ricco gusto della nobile materia prima. • Tartare di Carne Salada, fresca e sfiziosa. Realizzata a partire dalla produzione tradizionale dell’azienda di carne salada, esalta il sapore di un prodotto tipicamente trentino ma dotato di una grande versatilità e adatto a tutti i palati. Disponibili nella variante skin fresco o nel pratico box congelato, le tartare sono adatte sia al cliente Grande Distribuzione che al cliente professionale. La produzione avviene in camere con elevato livello di filtrazione dell’aria per garantire la massima salubrità del prodotto. Il confezionamento dello skin avviene in una sala ad elevata automazione per garantire la minore manipolazione del prodotto e confezionata in linea. Per quanto riguarda il formato HO.RE.CA., invece, il prodotto viene congelato a –80 °C direttamente dopo la produzione, per essere confezionato nei pratici box, che contengono circa 20 porzioni. >> Link: www.bervini.com
La Granda e la Tagliata di Steak Tartare «Non c’è agricoltura senza cultura» ama spesso ripetere Sergio Capaldo, cuore e anima de La Granda. Da poche settimane è on-line il nuovo e-shop, accessibile al link lagrandashop.it. Vi si trova la Cruda con una spolverata di sale, il Ragù di carne macinata di razza Piemontese, cotto per ore come da tradizione, il Patè di Fassona al passito, perfetto da accompagnare su un crostino di pane, l’Arrosto per il pranzo della domenica, l’Hamburger, meglio conosciuto come Giotto, il Brodo in carne e ossa, da servire in una tazza con una spruzzata di pepe e Parmigiano, oppure utilizzato come base per innumerevoli ricette, dal risotto al brasato. Queste sono solo alcune delle oltre cinquanta referenze firmate La Granda. Tra le novità dell’azienda cuneese c’è la Tagliata di Fassona, a cui La Granda ha dedicato una veste tutta nuova con la Tagliata di Steak Tartare (photo © instagram.com/lagranda_srl).
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Non solo bovino! Ecco la battuta 100% di carne equina di Naba Carni, linea “Masina dal 1929”.
Le “Mini tartare” della linea FiorFiore Coop di bovino adulto, arricchite con olio evo, sale e pepe. Nel pack si sottolinea l’assenza di OGM nell’alimentazione degli animali e la tracciabilità totale della filiera di qualità.
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Le “Tartare di bovino con Parmigiano Reggiano e olio extravergine di oliva” di Carnitalia di Ospedaletto Lodigiano (LO) della linea “à la Tartar”. Due pezzi, pack da 210 grammi, pronte da gustare!
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...una storia Italiana
La Salsiccia di scottona GUSTAmi® è realizzata con on carne di scott scottona di altissima qualità, proveniente da ALLEVAMENTI ITALIANI qualificati, dove gli animali vengono nutriti in modo sano e naturale e accuditi nel pieno rispetto del BENESSERE ANIMALE certificato ClassyFarm. La Salsiccia di scottona GUSTAmi® è SENZA GLUTINE, SENZA CONSERVANTI e SENZA L’AGGIUNTA DI SOSTANZE ARTIFICIALI. Scopri tutti i prodotti sul nostro sito
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INDAGINI
La visione degli operatori a valle
Trend e prospettive di mercato della filiera suinicola
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l fine di comprendere le dinamiche in atto per il settore della carne suina fresca e dei salumi è stata condotta un’indagine rivolta ai principali operatori a valle della filiera suinicola (buyer della GDO per carni fresche e per salumi, HO.RE.CA., grossisti per un totale di 50 operatori): i risultati rappresentano il report “La competitività del settore suinicolo. Il quadro del settore, i trend emergenti e gli strumenti a supporto del rilancio della filiera nazionale” (si veda box a pagina 108).
Dinamiche recenti e driver Con riferimento alla carne fresca, gli operatori hanno evidenziato che i fattori determinanti le dinamiche commerciali riguardano principalmente gli aspetti nutrizionali, il prezzo di vendita e il livello (scarso) di innovazione. La categoria sconta un’immagine negativa legata alla quantità di grasso percepita, ma al tempo stesso gli acquisti sono spinti dalla facilità di cottura e dal livello contenuto dei prezzi rispetto ad altre carni rosse (soprattutto nelle
situazioni congiunturali di crisi economica). L’innovazione nell’offerta di carne suina è ridotta: gli elaborati precotti e/o ricettati sono, infatti, limitati a pochi brand, che non riescono a spingere la categoria, e a nuovi player in ingresso. Per quanto riguarda i salumi, invece, le dinamiche osservate negli ultimi anni sono state particolarmente influenzate, secondo il giudizio degli operatori, dall’annuncio dell’OMS del 2015 che ha offuscato l’immagine di un compar-
Gli acquisti di carne suina sono spinti dalla facilità di cottura e dal livello contenuto dei prezzi rispetto ad altre carni rosse (photo © chinnarach – stock.adobe.com).
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to già molto maturo. Le tendenze contemporanee, soprattutto per le giovani generazioni, sono prevalentemente orientate verso prodotti più leggeri, più innovativi, con più informazioni. Nonostante l’entrata in vigore del Decreto 6 agosto 2020 sull’indicazione obbligatoria in etichetta dell’origine della materia prima (fatta eccezione per i prodotti IGP), la categoria dei salumi presenta un gap di trasparenza nei confronti del consumatore, ad esempio in relazione ai sistemi di allevamento e alle condizioni di benessere animale. Scendendo nel dettaglio dei principali segmenti, per i prosciutti crudi, la crescita è concentrata nella fascia premium (stagionatura 24 mesi) e nei prodotti locali. I prosciutti cotti sono, invece, percepiti come il segmento più innovativo (anche dal punto di vista del gusto grazie all’aggiunta di affumicatura, spezie, ecc…) e sono trainati dai prodotti di origine avicola e con linee salutistiche (per esempio, a ridotto contenuto di grassi, con cottura a vapore, ecc…) e per questo maggiormente apprezzati dai giovani. Gli insaccati, infine, trovano positivo riscontro nei consumatori di fascia over, anche grazie a un’offerta ricercata a carattere territoriale, locale e artigianale e l’impiego di razze autoctone (per esempio Mora romagnola, Cinta senese). I fornitori: criteri di selezione Gli operatori distributivi intervistati si sono espressi anche rispetto ai fornitori sia di carne suina fresca che di salumi. Per la carne fresca si registra un alto livello di fidelizzazione nella relazione commerciale e i fornitori sono considerati molto affidabili soprattutto per il rispetto delle tempistiche richieste. Flessibilità e capacità di valorizzazione del prodotto e la presenza di centri di lavorazione particolarmente all’avanguardia sono caratteristiche riconosciute soprattutto ai fornitori esteri. I retailer sottolineano una modesta
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Secondo l’analisi di Ismea-MiPAAF, l’innovazione nell’offerta di carne suina è ancora ridotta: gli elaborati precotti e/o ricettati sono limitati a pochi brand, che non riescono a spingere la categoria, e a nuovi player in ingresso. L’industria sta comunque accelerando e la nostra stima è quella di un’offerta di prodotti destinata ad aumentare sensibilmente (photo © Philip Stridh – stock.adobe.com). attenzione dei fornitori nazionali nei confronti delle attuali esigenze del consumatore, con una bassa propensione ad innovare (fatta eccezione per coloro che hanno aderito a percorsi di filiera attivati dai retailer) e l’assenza di una comunicazione volta a rassicurare sui temi del benessere animale. Altro elemento ricorsivamente sottolineato è, inoltre, la scarsa valorizzazione dell’intero animale e l’eccessiva focalizzazione sulle cosce destinate al circuito di seconda trasformazione. Nel caso dei fornitori di salumi, gli operatori distributivi intervistati ne esaltano l’artigianalità e la professionalità, così come la disponibilità a collaborazioni di filiera controllata di prodotto a Marca del Distributore. La capacità di sviluppo e innovazione viene riconosciuta solo ai brand dimensionalmente più rilevanti, mentre si registra molta staticità nella tradizione, modesta iniziativa e, in alcuni casi, poca attitudine allo scambio di informazioni con gli operatori a valle.
Per quanto riguarda i criteri di scelta dei fornitori, si rilevano comportamenti differenti tra le singole insegne, tra i grossisti e nella Ristorazione Organizzata, che spaziano da accordi di filiera completa, a partnership o a semplici transazioni commerciali. Fra gli aspetti più rilevanti sono citati: • l’attenzione per il benessere animale (antibiotic free, nutrizione e densità di allevamento in stalla); • la capacità di garantire una costanza delle forniture in termini di volumi, qualità e prezzo; • l’applicazione di prezzi di cessione in linea con il mercato; • la garanzia di prezzo e qualità costante nel tempo; • il conseguimento, oltre alle certificazioni obbligatorie, delle certificazioni BRC e IFS1; • la disponibilità di prodotti bio (in particolare, per la Ristorazione Organizzata che partecipa ai bandi per la fornitura delle mense scolastiche).
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Il vissuto dei consumatori Gli operatori intervistati hanno anche riportato quello che, alla luce delle proprie conoscenze ed esperienze dirette, è il vissuto del consumatore nazionale per la carne suina fresca e per i salumi. Sul fronte della carne suina fresca, le preferenze dei consumatori attengono alla velocità di preparazione in cucina, al fattore convivialità, ai prezzi d’acquisto bassi e alla gustosità di alcune preparazioni (soprattutto salsicce e costine). Le maggiori criticità sono da ricondursi, invece, ad una percezione poco salutistica di carne grassa, al fatto che la carne tenda ad indurirsi in cottura, alla scarsa disponibilità di prodotti elaborati evoluti e ad una percezione di ri-
dotto livello di benessere animale negli allevamenti. Seppure meno influente, è da sottolineare anche la ridottissima presenza di prodotto biologico, per l’eccessivo differenziale di prezzo rispetto al convenzionale. Nel caso dei salumi il vissuto dei consumatori — secondo l’opinione degli operatori distributivi intervistati — è quello di qualità, artigianalità e tradizione, ma anche di prodotti pratici da consumare e per occasioni di consumo molteplici. Le scale di prezzo al dettaglio, ampie e diversificate, permettono di soddisfare le esigenze di tutti i differenti target di consumatori per disponibilità di spesa. Le nuove linee di prosciutti cotti salutistici rispondono, inoltre, in
maniera adeguata ai bisogni di un consumatore attento all’assunzione di cibi con ridotto contenuto di grassi e rappresentano un importante segmento di crescita per tutto il settore. D’altro canto, come già anticipato per le carni, la categoria dei salumi sconta in generale un’immagine complessivamente negativa sul piano salutistico. L’eccesso di plastica nelle confezioni di affettati è, inoltre, un aspetto che confligge con le nuove sensibilità dei consumatori per i temi della sostenibilità ambientale. Un ulteriore elemento di criticità citato, in rapporto alla relazione prodotto-consumatore, è anche legato alla difficoltà dei clienti nel percepire le caratteristiche e le
Anche alla luce di quanto verificatosi durante l’emergenza Covid, territorialità e localismo sono diventati valori sempre più importanti per il consumatore, da tenere in considerazione per lo sviluppo di linee di suino autoctono e allo stato brado (photo © Massimiliano – stock.adobe.com).
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Nonostante l’elevato livello di know-how, la forte specializzazione produttiva e il posizionamento di mercato tra i top player mondiali, la filiera suinicola nazionale è soggetta a crisi cicliche, che il diffondersi dell’emergenza Covid-19 ha reso ancor più evidenti intensificandone gli effetti. Questo articolo è tratto dal report di ISMEA e MIPAAF “La competitività del settore suinicolo. Il quadro del settore, i trend emergenti e gli strumenti a supporto del rilancio della filiera nazionale”, che si inserisce nell’ambito delle attività della Rete Rurale Nazionale 2019-2020 sulla tematica “Competitività e filiere” e che ha dunque l’obiettivo di analizzare le debolezze strutturali ed organizzative della filiera, individuare le prospettive di mercato e le strategie che potrebbero essere messe in atto per rilanciarne la competitività, in particolare indicando gli ambiti di intervento in coerenza con i principi della strategia Farm to Fork e con gli strumenti della nuova Politica Agricola Comune. Ecco il link al documento integrale: www.reterurale.it/ flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/22294 >> Link: www.reterurale.it – www.ismea.it
peculiarità dei diversi prodotti, per via di un deficit di comunicazione all’interno di una categoria estremamente ampia e profonda, come è appunto quella dei salumi. Aspettative degli operatori e ambito di rilancio per la filiera Per il futuro gli operatori distributivi hanno affermato che, sia per le carni suine fresche che per i salumi, il benessere animale e l’antibiotic free saranno i valori principali su cui lavorare, oltre ad un maggiore grado di trasparenza lungo la filiera (norme sulla tracciabilità degli elaborati). Con particolare riferimento alle carni suine fresche, gli operatori segnalano spazi di mercato per prodotti con carne intenerita o provenienti da animali più leggeri, in concomitanza di una migliore valorizzazione dei tagli (linee premium oppure tagli innovativi, come il tomahawk), anche grazie al traino della ristorazione con un ampliamento della selezione nei menu, e in generale di un maggiore informazione sulle caratteristiche nutrizionali (ad esempio, il fatto che il lombo è un taglio “magro”). Inoltre, anche alla luce di quanto verificatosi durante l’emergenza Covid, territorialità e localismo sono diventati valori sempre più importanti per il consumatore, da tenere
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in considerazione per lo sviluppo di linee di suino autoctono e allo stato brado. Guardando ai benchmark rappresentati dal settore della carne avicola e bovina, anche per la carne suina si ravvisa la necessità di un maggiore livello di innovazione al fine di creare nuovi segmenti d’offerta in risposta ai diversi fabbisogni dei consumatori (per esempio prodotti con alto contenuto di servizio, come i precotti con cottura a bassa temperatura). Per quanto riguarda i salumi gli operatori sottolineano l’importanza di azioni orientate alla valorizzazione del prodotto 100% italiano, che possono spingere anche i prodotti IGP, attualmente esentati dall’obbligo, ad aumentare l’impiego di materie prime italiane per non perdere competitività a scaffale. In risposta alle esigenze salutistiche, i prodotti free-from hanno opportunità di aumentare la propria quota di mercato, ma in generale gli operatori auspicano un orientamento produttivo volto a ridurre il numero di ingredienti utilizzati (con eliminazione di polifosfati, glutammato e conservanti, ecc…) e la quantità di plastica nelle confezioni per il prodotto affettato. Altra questione nodale per il rilancio della filiera è rappresentata
dalla comunicazione. In particolare, sul fronte del prodotto, un’area di lavoro ad alto potenziale è rappresentata dal trasferimento al consumatore degli aspetti positivi della filiera, attraverso una formazione mirata per gli operatori del banco assistito carni e gastronomia. Sul fronte della filiera, invece, le aree tematiche su cui investire prioritariamente attengono alle indicazioni sulle modalità di allevamento e alimentazione degli animali, al trasferimento al consumatore del concetto stesso di filiera con informazioni chiare sul ciclo di vita e di lavorazione del suino e a una maggiore trasparenza su ingredienti e modalità di preparazione. A questi aspetti si aggiunge, poi, l’opportunità di “narrare” le caratteristiche distintive dei prodotti derivanti da razze autoctone (Mora romagnola, Cinta senese, ecc…), anche grazie all’impiego dei nuovi strumenti digitali, come ad esempio QR-Code e simili. Fonte: “La competitività del settore suinicolo. Il quadro del settore, i trend emergenti e gli strumenti a supporto del rilancio della filiera nazionale” MIPAAF-ISMEA Note 1. Gli standard BRC e IFS certificano a livello globale l’organizzazione ottimale della filiera produttiva nell’ambito della GDO, britannica ed europea. In particolare, la British Retail Consortium (BRC), ossia il consorzio della Grande Distribuzione Organizzata Britannica, è uno standard necessario per tutti i fornitori che vogliano entrare nel mercato GDO inglese, mentre lo standard IFS (International Food Standard) è condiviso fra le filiere agroalimentari della GDO francese e tedesca e in generale in ambito europeo. Entrambe le certificazioni richiedono ai fornitori della filiera il rispetto di determinate norme igieniche e di buone prassi nei processi produttivi, atte a garantire un buon livello di sicurezza e di qualità del prodotto.
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PUNTUALITÀ AFFIDABILITÀ
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MACELLERIE D’ITALIA
Una nuova associazione nata a marzo con sede nella Capitale
Artigiani delle Carni: “vogliamo essere la casa di ogni macellaio” di Gaia Borghi
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Massimiliano Meschini.
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na nuova associazione nata a marzo di quest’anno ma che conta già una quarantina di associati. «Segno che c’era la necessità, il desiderio di aggregarsi, di costruire un dialogo, formare una base comune all’interno di un settore, quello della macelleria, parecchio individualista». A raccontarmi l’identità e le caratteristiche di “Artigiani delle Carni” è MASSIMILIANO MESCHINI, macellaio con quarant’anni di esperienza e uno dei sei soci fondatori dell’associazione — nella quale oggi ricopre la carica di consigliere —, insieme ad ALESSANDRO GIOVANNINI (presidente), FRANCESCO MOROZZI (vicepresidente), CLAUDIO BUTERA (consigliere), MARCO PAPALOTTI (consigliere) e MARTA FIORINI (consigliere). Sei imprenditori diversamente coinvolti nel settore della carne, il cui obiettivo è, attraverso l’associazione, come si legge sul sito ufficiale www.artigianidellecarni.it, “riportare il mondo delle carni al centro del dibattito pubblico”. «Artigiani delle Carni si è costituita ufficialmente a marzo ma abbiamo iniziato a lavorarci un anno fa circa» puntualizza Massimiliano, titolare de L’Antica Bottega delle Carni di Roma. «Diciamo che, nel nostro caso, la pandemia e le “chiusure” che ne sono conseguite ci hanno dato quella spinta in più per iniziare» prosegue. «La nostra idea era quella di creare un “luogo”, fisico e digitale allo stesso tempo, in cui poterci incontrare tra colleghi
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di età e formazione diverse e poter confrontare le nostre esperienze, sia per necessità, come risolvere specifiche problematiche, che per il piacere di poter approfondire, imparare nuove cose del nostro mestiere. Crescere e migliorare è vitale per tutti, macellai compresi». In Artigiani delle Carni, infatti, è proprio il mestiere di macellaio — colui che “con competenza e artigianalità tramanda il sapere di generazione in generazione e ogni giorno contribuisce al benessere alimentare di tutti noi” —, ad essere protagonista e la sua bottega, un luogo che, anche in questo ultimo anno e mezzo, insieme ad altre realtà commerciali più o meno grandi, si è rivelato un punto di riferimento fondamentale per la vita all’interno dei quartieri cittadini così come dei comuni della provincia italiana tutta. E non soltanto per il necessario approvvigionamento alimentare, quanto per essere anche — cosa non da poco — un indirizzo di fiducia, fortemente identitario di una zona, di un territorio. Uno per tutti, tutti per uno «Oltre all’idea e alla possibilità di confronto tra colleghi, l’obiettivo della nostra associazione, come ho già detto, è quello di aggregare un settore che spesso non si muove all’unisono ma, piuttosto, come singole individualità. L’idea è quella di diventare un punto di riferimento, una voce della categoria, guadagnandone in termini di peso contrattuale, forza, visibilità e capacità richiedente». Qualche esempio pratico di quello che offre Artigiani delle Carni: 1. acquisti multipli, ossia «fare delle convenzioni con i fornitori attraverso l’associazione. Si tratta di una grossa anzi enorme innovazione per la nostra categoria, sia a livello pratico che, ancor prima, a livello mentale, un approccio all’acquisto completamente differente ma economicamente molto vantaggioso»; 2. gestione dei social, «offriamo una maggiore visibilità ai nostri associati attraverso i canali dell’associazione, dal sito web
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ufficiale alle pagine Facebook e Instagram, seguiti da una figura competente»; 3. risoluzione dei problemi amministrativi; 4. formazione professionale. «Un elemento, quest’ultimo, a cui teniamo particolarmente. Io ho imparato da giovanissimo andando a bottega i vari aspetti di questo lavoro che richiede forza ed entusiasmo ma anche diverse competenze, già nel passato ma ancora di più oggi. Negli ultimi anni, infatti, la figura del macellaio si è modificata moltissimo: arricchendosi di offerte il negozio, sono divenute necessarie nuove conoscenze, dal preparare piatti pronti al dotarsi di uno spirito manageriale nel gestire quotidianamente il proprio lavoro, per andare incontro sia alle richieste della clientela, sempre più attenta ed esigente anche riguardo agli aspetti salutistici e nutrizionali dell’alimento carne, che a quelle di un mondo che guarda alla macelleria con occhi diversi». Artigiani delle Carni è un’associazione che vuole essere, usando
le stesse parole dei suoi fondatori, “un luogo inclusivo, aperto al contributo dei macellai e di tutti coloro che vedono nella carne un settore da riscoprire e valorizzare”. Una “casa per ogni macellaio” insomma: sia per chi ha già intrapreso da tempo la professione, e vi può trovare un aiuto per restare al passo con i tempi, acquisendo nuove capacità o, più semplicemente, avendo più occasioni di dialogo, condivisione con i colleghi, sostegno, che per chi si avvicina soltanto oggi a questo meraviglioso lavoro, gli artigiani delle carni del futuro. Gaia Borghi
Artigiani delle Carni E-mail: info@artigianidellecarni.it Web: www.artigianidellecarni.it
Artigiani delle carni è un’iniziativa di CORIDE, una società di servizi contabili e amministrativi e consulenza aziendale con 90 anni di esperienza, etica e professionalità con sede a Roma. Sul loro sito leggiamo: “Da 90 anni siamo al fianco dei nostri soci e forniamo servizi su misura per la loro attività; che si tratti di un banco nel mercato rionale, di un piccolo negozio di vicinato o un’impresa, offriamo un’assistenza continua e personalizzata. Siamo attivi sul territorio romano con lo scopo di contribuire allo sviluppo del suo tessuto economico. In un mondo tanto articolato per dimensione e settori di riferimento, noi rispondiamo con un approccio attento ai diversi problemi e alle variegate possibilità di sviluppo, offrendo servizi modulati in base alle esigenze del singolo lavoratore. Lavoriamo mantenendo un rapporto diretto con i clienti. L’obiettivo, nonostante il tempo che passa, è rimasto lo stesso: la crescita delle imprese associate e lo sviluppo della rete di commercio sul territorio romano. 90 anni di esperienza sul campo ci rendono fieri del nostro operato e parte di una storia bellissima, destinata a proseguire”. CORIDE Viale Giulio Cesare, 99 – 00192 Roma Telefono: 06 324971 – E-mail: coride@coride.it – Web: www.coride.it
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Ieri e oggi di Gasparino 1948, Macelleria, Gastronomia e Tripperia storica a Casavatore
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a storia di Gasparino inizia negli anni del dopoguerra. Anche a Casavatore, piccolo paesino del Napoletano, la situazione economica diffusa non è delle migliori e per una famiglia come quella di Elena, vedova con tredici bocce da sfamare, è davvero dura. Già a quel tempo questa zona a nord di Napoli era conosciuta per la presenza di vari mattatoi. Sembra un giorno come tanti e invece si rivelerà di fondamentale importanza per la storia di questa famiglia. Infatti, proprio davanti all’abitazione di Elena, da uno dei tanti camion in transito per raggiungere i mattatoi, cade un maiale e la
donna, animata dalla disperazione, decide di prenderlo. Lo tiene in casa, nascondendolo per vari giorni, ma la fame è tanta e l’animale sembra l’unico rimedio per placarla. Oltre a sfamare i propri figli, dalla macellazione dell’animale Elena riesce anche a ricavarne parti da vendere. Ed è così che, col primo gruzzoletto messo da parte, mette in piedi velocemente un’attività di vendita di frattaglie. La seconda generazione Negli anni, l’attività viene perseguita dentro e fuori dalla bottega di famiglia dalla maggior parte dei figli maschi. Gaspare, detto Gasparino,
essendo il più piccolo, è l’unico che resta esclusivamente all’interno della puteca, la macelleria, non allontanandosi mai dalla madre, la quale, grazie alla propria intraprendenza e alle spiccate capacità imprenditoriali, riesce man mano a trasformare il piccolo basso napoletano in una bottega sempre più conosciuta nel quartiere. Non solo, perché da subito riesce ad inserirsi oltre la realtà locale, comprando e vendendo merce fino ai confini dell’Italia e allargando così sempre di più l’attività commerciale. All’inizio degli anni Novanta, Gasparino, notando che Gino, il suo terzogenito, aiuta con sempre
Lo staff della Macelleria, Gastronomia e Tripperia “Gasparino dal 1948”.
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Il banco carni della Macelleria, Gastronomia e Tripperia “Gasparino dal 1948”.
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In questa pagina e nella pagina a fianco i locali della Macelleria, Gastronomia e Tripperia “Gasparino dal 1948” sottoposti a restyling su progetto dell’architetto Carmine Abate.
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più assiduità la nonna nella vendita, decide di ristrutturare e ampliare i locali, dando più importanza alla vendita delle carni insieme a quelle delle frattaglie. L’intuizione di ingrandirsi si rivela giusta: infatti l’attività che procede sempre meglio richiede l’aiuto di altri due figli, ENZO, che ricoprirà il ruolo amministrativo, e FRANCESCO, che si dedicherà all’attività legata prettamente alla vendita. La gestione attuale Oggi sono Gino, Enzo e Francesco a guidare la Macelleria, Gastronomia e Tripperia “Gasparino dal 1948”. Due anni fa, con la positività e la grinta che ha accompagnato le generazioni precedenti, decidono di dare al negozio un’impronta fresca e al passo con i tempi, ma sempre legata alla tradizione e alla storia personale. Alla vendita di frattaglie e trippa, insieme alla macelleria e alla salumeria, aggiungono una cucina per la preparazione di piatti gourmet. Ed i locali della piccola bottega di quartiere assumono le vesti di una moderna gastronomia metropolitana.
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Il restyling Fortunato è l’incontro con l’architetto CARMINE ABATE, che interpreta alla perfezione le richieste della committenza, in cerca di qualcosa di bello, qualcosa che fosse più della normale macelleria a cui siamo abituati. Dimostrando gratitudine a chi c’è stato e mostrando il passaggio di guardia, al passo coi tempi. Così il giovane architetto mette in scena materiali pregiati che fanno da quinta all’esposizione: tutta da gustare! Una boutique della carne, dove i prodotti sono esposti come oggetti preziosi. Fortuna è poterli mangiare. Il punto di partenza dell’intervento è un nastro di ottone composto da tubolari orizzontali e verticali che segue l’andamento del bancone, un monolite in marmo verde Alpi. Le scaffalature in rovere tinto nero si ripetono con un ritmo preciso, nella forma e nella volontà espressiva, ovvero quella di omaggiare gli anni della fondazione. Il battuto veneziano accoglie l’area vendita, mentre quella di servizio aggiunge un tono ironico all’intervento, con piastrelle personalizzate, rigorosamente custom made.
È l’estate 2018 e Gasparino riapre con un’inaugurazione che è molto più che un evento, una festa sentita dalla proprietà, dai collaboratori e dalla comunità cittadina. Attraverso la cura del dettaglio e la ricercatezza dei materiali, l’architetto Abate rende l’ambiente distante dai canoni medi di attività analoghe, conferendo allo spazio personalità e carattere autonomo, apprezzato da utenza e committenza.
Gasparino dal 1948 – Macelleria, Gastronomia Tripperia Corso Europa 31 80020 Casavatore (NA) Telefono: 081 7313782 E-mail: gasparinomacelleria@ gmail.com Web: www.facebook.com/gasparino1948 – www.instagram.com/ gasparino1948 Nota Photo © Carlo Oriente 2021.
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Macelleria Giardina: il futuro degli artigiani della carne è qui di Riccardo Lagorio
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Gianni Giardina nella sua macelleria di Canicattì, in provincia di Agrigento. Un passaggio fondamentale per le “sue carni” è la frollatura, che va da un minimo di 30 giorni per il quarto anteriore ad un massimo di 45 per il quarto posteriore, con un costante controllo del pH che non deve superare il 5,7.
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on si è ancora svegliata Canicattì, in Sicilia. Le sue strade deserte sono irreali, mute. Solo passi frettolosi rompono il silenzio percuotendo le basole di pietra lavica. GIANNI GIARDINA, il macellaio amato dai cuochi più prestigiosi dell’isola per le sue carni dalla lunga frollatura e allevate allo stato semibrado, esce da casa di mattino presto. I fanali dell’automobile scoperchiano il crepuscolo, brillano di rugiada le grandi piastre nere. Giardina è diretto verso l’Ennese, a Piazza Armerina. Percorre questa strada molto spesso, per mantenere un contatto diretto con gli allevatori della zona, alternando le visite a Nicosia, dove si trovano altre mandrie. «In questa terra ricca di storia nasce il bestiame più pregiato. Ci tengo molto al benessere animale e questa zona, priva di insediamenti industriali, al centro della regione, garantisce che il bestiame sia cresciuto in un ambiente adeguato, pulito, senza stress, esente dalla somministrazione di antibiotici. Per quanto riguarda l’alimentazione, poi, qui è assolutamente certa: totalmente vegetale, senza aggiunta di farine ossee né antibiotici in quanto gli animali vivono allo stato brado». Le erbe, in aggiunta al sole, permettono di ottenere quello che Giardina chiama grasso giallo, la “Selezione Giardina”, che si esalta dopo un’opportuna frollatura all’interno del macello. «Dura almeno 21 giorni: rende la carne morbida e dal caratteristico sapore intenso. I confronti con gli allevatori sono sempre assai importanti. Ci si confronta, ci si aiuta a capire quali sono le esigenze, le necessità di
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Kaula la gamma di banchi refrigerati per la macelleria, realizzati artigianalmente, in acciaio Inox 304. Creati per resistere al passare del tempo.
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Gianni Giardina è molto legato alla territorialità, attraverso la scelta di allevamenti locali di fiducia, con animali allevati allo stato brado, alimentazione vegetale e senza l’utilizzo di antibiotici. Le erbe, in aggiunta al sole, permettono di ottenere il cosiddetto grasso giallo, la “Selezione Giardina”, che si esalta dopo un’opportuna frollatura all’interno del macello
Tra macellaio e cliente si è instaurato un rapporto di fiducia così solido tale da consentire a quest’ultimo di proporre i tagli che meglio si addicono allo stile di vita di ognuno. E così la “questione prezzo” diventa trascurabile. Il futuro è fatto di macellerie qualificate, con personale altamente professionalizzato che vi lavora e che si prende cura dalla nascita al macello dei capi. Un futuro di artigiani della carne che ogni giorno creano qualcosa di nuovo
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La proposta nella bottega di Gianni Giardina è ampia, comprensiva di ottimi salumi di produzione propria, realizzati con carni di razze siciliane. ciascuno, l’offerta che ciascuno può fare all’altro». Le carni sosteranno per altri giorni all’interno della macelleria, tanto da essere venduti i tagli con un minimo di 30 giorni per il quarto anteriore e un massimo di 45 per il quarto posteriore. In questo arco di tempo si controlla costantemente il valore del pH, che non supera il 5,7. Una volta visionate le stalle e preso accordi per le prossime consegne, Giardina è di ritorno a Canicattì per l’ora di apertura della macelleria. I primi clienti che si affacciano in negozio preparano
il pranzo su consiglio dello stesso Giardina. «Cosa mi consigli oggi?» domandano quelli più fedeli, che a giorni alterni scelgono di passare in macelleria. Un rapporto diretto, senza intermediari, non filtrato. Tra macellaio e consumatore si è instaurato un rapporto di fiducia così solido che «di ciascuno conosco i gusti e posso proporre i tagli che meglio si addicono al suo stile di vita». Per nessuno di coloro che accedono alla bottega il fattore prezzo pare essere determinante: «Sappiamo che qui si trova un prodotto
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Dario Cecchini e Gianni Giardina. sicuro e venduto al giusto prezzo. Pertanto non glielo chiediamo neppure» commenta un signore dallo sguardo aguzzo alla Luigi Pirandello. Ciascuno a suo modo preannuncia un futuro che è simile a quanto inconsciamente desidera. Per Gianni Giardina quel futuro è già attuale, un futuro fatto di macellerie qualificate, con personale altamente professionalizzato che vi lavora e che si prende cura dalla nascita al macello dei capi. «Un futuro di artigiani della carne, che ogni giorno creano qualcosa di nuovo». E la novità di Giardina, se si può dire, è la trasformazioni delle migliori carni in salumi. Durante una pausa apre lo scrigno delle spezie, utili per trasformare le carni. «Utilizzo un’ampia selezione di pepe: nero, bianco, verde, rosa e rosso. Poi cannella, noce moscata e odori mediterranei come rosmarino, timo e alloro che impreziosiscono il sapore della carne». A cominciare dal prosciutto di pecora Comisana per continuare con la salsiccia secca allo speck elaborato a partire da maiale siculo, il prosciutto cotto affumicato di puro suino siciliano e la mortadella di vacca Cinisara. «Abbiamo puntato sui salumi delle carni di razze siciliane sia per differenziarci dal mercato,
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sia perché ben si prestano a questo tipo di lavorazione. Non senza un pizzico di orgoglio, anche perché voglio valorizzarle anche in questo ambito» commenta. Il prosciutto di pecora Comisana è forse il più identitario. «Le pecore sono strippotte, come si dice a Canicattì, ovvero non hanno mai allattato né mai avuto gravidanze. La carne della pecora viene aromatizzata e messa in salamoia per una settimana, in seguito avviene la cottura a vapore superando gli 86° C al cuore per la pastorizzazione. Successivamente, viene abbattuta in positivo per eliminare l’eventuale carica batterica». All’aspetto ha un colore rosa intenso, una buona marezzatura con una sottile bardatura di grasso esterna, che avvolge il tutto, conservandone il gusto. In bocca rimanda immediatamente alla Sicilia: dolce all’inizio, sul finale rilascia il gusto ed i profumi tipici della carne di pecora. Riccardo Lagorio Macelleria Giardina Viale A. De Gasperi 75 92024 Canicattì (AG) Telefono: 0922 831131 facebook.com/MacelleriaGiardina instagram.com/il_macellaio_con_ la_coppola
Viaggio nelle macellerie veronesi made by Criocabin
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tempi cambiano, ma la tradizione in macelleria ha dimostrato che sa anche rinnovarsi e migliorarsi in questa svolta tecnologica epocale in cui ci troviamo a vivere. Come vuole la legge darwiniana, i migliori sopravvivono e fanno fronte al cambiamento rinnovandosi e diventando ancora più forti. Retail carne, un canale fisico che si solidifica e snellisce con take away, arricchendosi in varie forme di ristorazione, ristomacelleria bistrò o pranzi veloci, ma anche sempre più pronti a cuocere e il canale digitale. Anche nel mondo delle carni il canale e-commerce rappresenta una fonte di crescita per le macellerie. Marketing, piattaforme IT, customer-experience,
social network, pagamenti, logistica e integrazione mono-canale sono gli elementi che, opportunamente gestiti e combinati, concorrono al successo delle iniziative on-line. In questo periodo di pandemia ci è stato tolto ma ci è stato anche dato. Soprattutto nel capire cosa è importante e cosa lo è meno… Criocabin è un’azienda fatta di persone, da sempre impegnate a cogliere i cambiamenti delle abitudini alimentari nel mondo. Le nostre intuizioni? Sono come scintille, possono nascere durante un classico aperitivo a Milano oppure tra i colori del mercato notturno di Singapore. È in questi momenti che oltrepassiamo i confini del nostro settore, cogliendo gli stimoli del
mercato ed elaborandoli per creare i prodotti di nuova generazione. La contaminazione tra stili e materiali rende unica la nostra gamma, delineandone lo stile distintivo. Così esaltiamo le esigenze personali del nostro cliente. La passione per il nostro lavoro è il fil rouge che ci unisce con il cliente e la passione per il suo lavoro, per il suo progetto professionale che molto spesso è anche di vita. Ci siamo divertiti a fare un percorso di realtà veronesi made by Criocabin e presentarle con una nota di orgoglio, assaporando in ognuna di esse l’orgoglio per la propria professione, l’interminabile ricerca di un miglioramento fatto di idee, creatività e passione.
Genesis, Corte Scaligera (photo © Mauro Magagna).
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La mappa delle macellerie veronesi made by Criocabin. Abbiamo scoperto che la storia d’amore di Romeo e Giulietta non è l’unica degna di nota a Verona. Di passione nell’arte della macelleria nella città scaligera ne abbiamo incontrata veramente tanta. Si parte. Lugagnano Casa Molon di ALESSANDRO e VALENTINA (www.casamolon.it) è un’attività tramandata di padre in figlio con una storia lunga oltre 50 anni, che si è rinnovata dando più spazio e risalto alle attività di catering, gastronomia e vendita di prodotti a marchio proprio anche on-line. In questo progetto, oltre alla cucina a vista per far toccare con mano la freschezza dei piatti pronti al consumo, Criocabin ha garantito la freschezza con tecnologia G Concept a glicole per la carne, insieme al banco ventilato Etoile, pensile EPV, murale Encore e cella Genesis Wine, il mix perfetto per valorizzare un’esposizione completa e diversificata di prodotti, specchio di un’attività in continua evoluzione. Mozzecane Corte Scaligera dei FRATELLI FORTUNA rappresenta un viaggio imprenditoriale intrapreso da una famiglia di allevatori per tradizione, che ha saputo trasformare la propria passione in un’attività all’avanguardia nell’ambito dell’accoglienza, in un circolo virtuoso che comincia con
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In alto: Fasoli Carni. Al centro e in basso: Macelleria Giuliatti.
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Macelleria Massimo, Carni e Bontà a Soave. il lavoro della terra e finisce sulle tavole dei consumatori con carni raffinate, pregiate e genuine. Dopo aver unito esperienza e volontà, hanno ricercato le migliori tecnologie con Genesis e Etoile G Concept. Ora Corte Scaligera non è “solo” un agriturismo dove acquistare o gustare carni eccellenti a km 0, ma con l’emergenza Covid-19 propone anche vendita on-line di tagli nobili in tutta Italia e nei paesi della Comunità europea, con packaging sottovuoto e trasporto refrigerato garantito (www.cortescaligera.it). San Giovanni Lupatoto La nostra tecnologia ad hoc per il mondo dei salumi è presso Salumificio Serafini, con banco Etoile ventilato fatto su misura, retro banco EPV e il murale Encore per servire anche il cliente più esigente in meno tempo. Qualche chilometro in là rispetto al famoso balcone dei Capuleti, si trova la Macelleria Carlo Alberto. La poesia non è affidata alle parole ma al banco della macelleria: l’icona del banco su misura Criocabin, Etoile Lounge ventilato, per presentare una scelta di carni pregiate che valorizza il patrimonio del territorio diventando un punto di riferimento per le piccole aziende a km 0. Carni grass fed, brade, selvatiche, equine etiche e sostenibili, gastronomia della tradizione, salumi artigianali e formaggi a latte crudo… Anche Carlo Alberto ha dato vita ad un
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negozio on-line di rilievo, che consegna in tutta la provincia di Verona (macelleria-online.it). Ronco all’Adige Altra realtà di rilievo: dal 1965 azienda agricola con allevamento, macello e lavorazione carni, ora anche macelleria e gastronomia. Fasoli Carni è a 360° made by Criocabin; dall’arredamento alla tecnologia innovativa con 7 metri di banco refrigerato Etoile ventilato a glicole G Concept specifico per la conservazione della carne. Per aumentare lo spazio espositivo dei pronti a cuocere, Fasoli ha scelto di dare un tocco finale innovativo introducendo il murale refrigerato verticale Encore. Nel retro banco abbiamo installato due celle Genesis a vetrata e schienale in legno fatte su misura per la conservazione ed esposizione di formaggi, salumi, e una seconda con ganciera interna per l’esposizione della carne. Per il delicato processo di maturazione della carne Dry Age, Fasoli Carni ha scelto l’elegante espositore per la frollatura Criocabin EDB. San Martino Buon Albergo A giugno GIANLUCA e FRANCESCO riapriranno la loro Macelleria Effegi con uno nuovo look grazie a prodotti Criocabin dal design raffinato e con la tecnologia ideale per la carne: Enixe 250 M1 e Enixe 100 per offrire carni equine di qualità eccezionale.
Arcole Per finire, MARIO GIULIATTI, presidente Federcarni di Verona e del Veneto, ha scelto Criocabin per la totale personalizzazione del suo punto vendita ad Arcole (www. macelleriagiuliatti.it). E ci ha dato fiducia nel nostro punto forte, il custom made: Etoile Lounge ventilato e G Concept, Elfin MT 150 pensile retro banco EPV 30 Show e EDB 360° per la frollatura della carne. Chiudiamo questa “passeggiata” nel mondo della macelleria proprio con le sue parole: «Il macellaio si deve adeguare al cambiamento e all’evoluzione; non basta più vendere il prodotto tradizionale, la classica fettina per intenderci, bisogna rinnovare la selezione delle carni per andare incontro al desiderio di novità del cliente; bisogna specializzarsi e mantenere alto il livello della qualità. Oggi il cliente è disposto a fare anche 50 km per andare a comprare la carne dove meglio si affida: dobbiamo saper intercettare questa sua disponibilità fidelizzandolo e incoraggiandolo».
Criocabin Spa Via San Benedetto 40/A 35037 Praglia di Teolo (PD) Telefono: 049 9909100 E-mail: info@criocabin.com Web: www.criocabin.com
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CURIOSITÀ
Quando la pelle si fa snack Due imprenditori statunitensi hanno deciso di valorizzare come alimento una parte dell’animale sempre meno ricercata dall’industria conciaria locale di Roberto Villa
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ccorre dirlo da subito: non siamo di fronte ad un visionario stile ELON MUSK, l’idea non è originale sebbene possa apparire tale; in Indonesia e in altre parti del Sud-Est asiatico la cucina locale prevede l’impiego della pelle degli animali come alimento — al pari di quello che facciamo dalle nostre parti con la cotenna suina — ed è proprio lì che uno dei due soci fondatori di
Holy Cow (holycow.eco) ha avuto l’illuminazione di trasformare uno scarto dell’industria della macellazione in un cibo innovativo e di tendenza. La pelle bovina è da sempre stata apprezzata per la produzione di capi di abbigliamento, calzature di pregio, rivestimenti di arredamenti e interni per automobili, tuttavia negli ultimi decenni l’avvento e successivamente la preponderanza
di capi di basso costo realizzati in materiali sintetici ha fatto sì che una parte non indifferente delle pelli venisse scartata come vero e proprio rifiuto, in particolar modo in determinate aree del pianeta. Dall’esperienza indonesiana e da una piccola indagine di mercato tra gli allevatori nello stato di Washington, costa occidentale americana, JAVON BANGS e NIKK WONG hanno preso ispirazione per
Pelli bovine trasformate in deliziosi e nutrienti snack: sono le “beef rinds” della statunitense Holy Cow, presentato come nuovo superfood sostenibile, “buono per te e per l’ambiente” (photo © holycow.eco).
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lanciare questa nuova avventura: trasformare tonnellate di pelli bovine inutilizzate in deliziosi e nutrienti snack. Le pelli impiegate come materie prime derivano da bovini allevati al pascolo negli stati della costa pacifica settentrionale USA e l’ecologicità sia della forma di allevamento sia del recupero ad uso alimentare di un potenziale rifiuto vengono comunicati da Holy Cow come elemento attrattivo verso il consumatore consapevole e curioso di sperimentare nuovi percorsi. Le pelli sono ottenute da piccoli allevamenti visitati personalmente dai fondatori, dove il benessere animale e l’assenza dell’uso di ormoni rappresentano un tratto distintivo; i due fondatori si stanno già ponendo la sfida di riuscire a mantenere come requisiti la tracciabilità e il benessere degli animali allevati anche quando, come si auspicano, la produzione dovesse crescere in volume. Oltre all’aspetto ambientale vengono valorizzate le caratteristiche nutrizionali, vale a dire un contenuto proteico interessante pari a 8 g per 100 g — costituito in prevalenza da collagene, con i noti benefici per la salute di pelle, capelli ed articolazioni — ed un ridotto apporto calorico, appena 80 calorie all’etto, oltre alla totale assenza di carboidrati che li rendono idonei a particolari regimi dietetici. In linea con le nuove tendenze che spopolano negli Stati Uniti, soprattutto tra le fasce giovanili, vengono proposti come perfetti per chi segue le diete chetogeniche e paleo. Dopo molti tentativi i due giovani hanno messo a punto le ricette di produzione e nel 2021 hanno avviato la commercializzazione; si tratta per ora di una produzione su scala limitata. Gli snack sono prodotti ad oggi in quattro gusti: naturali non salati, al peperoncino, alla scorza di lime, con spezie dell’Himalaya. L’obiettivo è di mantenere l’elenco degli ingredienti più corto possibile, fatto al massimo di quattro elementi, e di garantire la qualità altissima per un consumatore attento agli aspetti salutistici; vengono regolarmente
condotte analisi per accertare l’assenza di ormoni, antibiotici e metalli pesanti a supporto della naturalità del prodotto e dell’allevamento dei capi in aree lontane da complessi industriali. Il mercato delle pelli a livello mondiale Secondo la Commissione statistica delle Nazioni Unite il mercato globale delle pelli vale approssimativamente 25 miliardi di dollari: la Repubblica Popolare Cinese con circa 7,7 miliardi e l’Italia con 3,4 miliardi costituiscono i due poli di importazione di maggior rilievo, dove vi è una florida industria di trasformazione in capi di abbigliamento (giacche, giubbotti, guanti, cinture), calzature classiche e sportive, accessori (borse), arredamento (poltrone, divani), interni per automobili. Seguono a notevole distanza il Messico (attorno a 1,1 miliardi) e sotto il miliardo di dollari in ordine decrescente si posizionano Germania, Stati Uniti, Corea del Sud, Spagna, Tailandia, Francia e India; nel complesso i primi dieci Paesi contano per il 70% delle importazioni. I Paesi in via di sviluppo rappresentano i maggiori esportatori, con quasi i due terzi del totale; è l’Europa a coprire quasi interamente il rimanente terzo. Le pelli sono derivate da un patrimonio stimato in 1,7 miliardi di bovini e bufalini (dei quali 1,4 nei Paesi in via di sviluppo), 1,2 miliardi di ovini (dei quali 900 milioni nei Paesi in via di sviluppo), 1,1 miliardi di caprini (dei quali 990 milioni nei Paesi in via di sviluppo) e da quote nettamente minori di equini, camelidi, conigli, struzzi. Si tratta di numeri che testimoniano una vitalità ed un apprezzamento ancora molto sentito degli oggetti in pelle, soprattutto se pensiamo al nostro rinomato made in Italy. L’esperimento dei due soci americani può costituire una nicchia di mercato per valorizzare in una modalità alternativa un sottoprodotto della filiera zootecnica. Roberto Villa
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FILIERA CARNI
Azienda Agricola Rossato, Angus, Limousine e Frisone nell’Agro Pontino di Massimiliano Rella
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A sinistra: Frisona nell’allevamento dell’Azienda Agricola Rossato a Sabaudia (Latina). In basso: incroci di Angus.
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n allevamento di Angus, Limousine e Frisone nell’Agro Pontino, nel comune di Sabaudia, terre un tempo paludose bonificate durante il fascismo da colonie di veneti, friulani e romagnoli, che punta a sviluppare la vendita diretta. La famiglia Rossato arrivò proprio in tempi di bonifica sulle orme del signor Giuseppe, originario delle campagne vicentine. Poi il figlio Giacomo, negli anni ‘60, fondò l’Azienda Agricola Rossato, oggi gestita con suo figlio Diego, terza generazione da quando nonno Giuseppe lasciò il suo Veneto. Complessivamente i Rossato hanno 15 ettari di allevamento e di ortaggi, che vendono ad alcune cooperative agricole locali. «Un 50 e 50 di lavoro e business», ci racconta DIEGO ROSSATO, che incontriamo accompagnati da MARA LABELLA e dal marito ORLANDO DI MARIO, i proprietari della nota Macelleria Labella di Doganella (Latina Scalo).
Il motivo? Sono i principali acquirenti delle carni dell’azienda Rossato, ottenute da animali allevati secondo criteri di benessere e alimentazione di qualità. «Ma abbiamo anche un piccolo laboratorio per la vendita diretta di carne su prenotazione, dai 5 kg in su, con vari tagli compresi nel pacco» ci spiega Diego. «Macelliamo una ventina di capi l’anno solo per la vendita diretta, anche se dalla scorsa estate c’è stato un incremento, però non facciamo comunicazione, non abbiamo grandi numeri. In futuro però ci piacerebbe creare qualche evento gastronomico per i clienti di fiducia e per intercettare nuovi consumatori attenti alla qualità delle carni». I 75 capi bovini da carne dell’allevamento Rossato sono in maggioranza meticce incrociate con Angus e Limousine, più alcune Frisone. Come è noto l’Angus (Aberdeen Angus) è un’antica razza da carne che prende il nome dalla regione
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Due esemplari di Frisona e un incrocio di Angus. della Scozia di cui è originaria: un animale produttivo, privo di corna e dal mantello raso nero, con altezza al garrese non elevata, ma di peso importante, e “tessuti” di alta qualità, teneri, ricchi di grasso di marezzatura. La Limousine è invece una razza da carne originaria della Francia sud-occidentale, regione del Limousin. Impiegata in Italia come vitelli da ristallo per l’ingrasso e il macel-
lo, ha un mantello di colore rosso, un’altezza al garrese di 145 cm, una buona produzione di carne di qualità e di latte solo limitatamente allo svezzamento del vitello. È invece una razza in prevalenza da latte la Frisona, originaria della Frisia, regione a cavallo tra i Paesi Bassi e la Germania, zona ricca di prati verdi e piante per il foraggio. In Italia è presente il ceppo della “Frisona Italiana”, in realtà
una popolazione geneticamente eterogenea, derivata da selezioni regionali differenziate. «L’Angus è ottimo per le grigliate per la tenerezza dei tessuti e la marezzatura del grasso — ci spiega GIACOMO ROSSATO — mentre la Frisona va benissimo per bolliti e arrosti essendo un’altra carne molto saporita». Il ciclo di vita degli animali nell’azienda agricola Rossato è compreso nella forbice dei 12-16 mesi. «Inizialmente — aggiunge il figlio Diego — l’alimentazione è più ricca di proteine: latte fino allo svezzamento dai 90 ai 120 giorni, poi una base di foraggi in sostituzione, che cresce man mano che gli animali aumentano di peso. Negli ultimi 40-50 giorni comincia il finissaggio con una miscela di farine di mais e crusca in aggiunta, che li fa ingrassare». Massimiliano Rella Azienda Agricola Rossato Via Colle Piuccio 32 04016 Sabaudia (LT) Telefono: 340 3853786 – 349 0739542 E-mail: fabiviscuso@virgilio.it FB: www.facebook.com/AziendaAgricola-Rossato-165310764182496 Nota Photo © Massimiliano Rella.
Pecorino Toscano Dop “Amico del Cuore” ricco di Omega-3 grazie al pascolo Il Pecorino Toscano DOP “Amico del Cuore” rappresenta una delle tappe dei progetti di studio e innovazione promossi negli anni dal Caseificio Sociale Manciano (www.caseificiomanciano.it) per favorire il miglioramento dei suoi prodotti partendo dalla materia prima. La qualità del latte si lega, in primis, alle modalità di allevamento e alla tipologia di alimentazione delle pecore e proprio il miglioramento del benessere degli animali e la sostenibilità ambientale sono i primi obiettivi dei progetti di ricerca che hanno coinvolto il caseificio insieme alle Università di Pisa e Firenze e alla Scuola Superiore di Studi Sant’Anna di Pisa. Lo studio che ha portato alla nascita del Pecorino “Amico del Cuore”, ad esempio, ha dimostrato che le pecore allevate con un sistema semi-estensivo, principalmente su prato-pascolo come accade in Toscana e anche nella zona di Manciano, producono un latte migliore, che va ad incidere direttamente sulle caratteristiche nutrizionali del prodotto. Il pecorino si presenta quindi ricco di Omega-3, vitamine, proteine, calcio e fosforo, ed è ideale anche per chi ha problemi di colesterolo.
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Passato e futuro del coniglio di Josette Baverez Blanco
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nnesima gita annullata per Covid: la 93a edizione della Mostra nazionale della FAZI, Federazione Agricola Zootecnica Italiana, che si doveva svolgere come al solito a Montichiari (BS), nel Centro Fiera, dal 16 al 18 aprile, è stata infatti rimandata. Io e i miei compagni di viaggio eravamo particolarmente interessati dalla presenza in mostra dell’ANCI, l’Associazione Nazionale Coniglicoltori Italiani, nata nel 2015 per lo sviluppo della coniglicoltura nazionale. Questa associazione raggruppa allevatori, mangimisti e professionisti di tutta la filiera che porta l’animale dal produttore al consumatore. Il coniglio, infatti, è spesso animale di discussione tra noi
amici e pensavo di trovare dal vivo una risposta a tante domande. Nel 2015, l’onorevole Michela Brambilla dichiarò che bisognava “riconoscere il coniglio come animale d’affezione”, vietandone la macellazione a scopo alimentare e l’allevamento per ricavarne pellicce. In Italia, i primi tre animali da compagnia sono gli uccelli, seguiti da cani e gatti; il coniglio occupa la quarta posizione come compagno di giochi. La proposta di legge comunque non passò e lo stesso anno gli allevatori si organizzarono a difesa della produzione redditizia. Da animale selvatico in Europa mediterranea, il coniglio è stato addomesticato dai Romani e sem-
pre di più durante il Medio Evo, per la carne e la pelliccia. Erbivoro e molto prolifico, il coniglio ha sempre destato grande interesse. Da secoli fa parte della tradizione alimentare italiana e la sua carne è stata giustamente messa in risalto con varie ricette regionali contadine. Le prime conigliere sono nate nel ‘500. Poco a poco le razze vengono selezionate e nel ‘800 si vedono le prime gabbie all’aperto, con un fondo grigliato che permette a loro di muoversi e “pascolare”. Negli allevamenti intensivi, le gabbie metalliche sono su più piani e i mangimi hanno sostituito ortaggi, granaglie, fieno e frutta che davano i contadini.
Fino agli anni ‘60 in Italia l’allevamento del coniglio era del tutto marginale, di tipo rurale, e l’utilizzo, prettamente familiare, era per lo più destinato al soddisfacimento dei bisogni primari. Dopo un forte sviluppo intorno agli anni ‘80, l’allevamento divenne di tipo manageriale ed oggi l’Italia è il primo Paese al mondo per la produzione di carne di coniglio, un alimento ottimo, ricco di proteine e povero di grassi (photo © www.fieragri.it).
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ANCI - Associazione Nazionale Coniglicoltori Italiani è stata istituita con DM del 24/11/81, col preciso incarico di occuparsi della tenuta dei Libri Genealogici e dell’attività di selezione e miglioramento della specie cunicola. L’organizzazione degli allevatori aderenti al Libro Genealogico ha come obiettivo la produzione di carne del coniglio italiano. I caratteri morfologici di tipicità del coniglio italiano sono il corpo robusto, ben fornito di masse muscolari carnose, la pelliccia pigmentata e la colorazione scura dell’iride. Gli Italiani sono i maggiori produttori e consumatori nel mondo. Il nostro consumo pro capite è di circa 5 kg all’anno. >> Link: www.anci-aia.it
Secondi produttori e consumatori di carne di coniglio dopo la Cina, gli Italiani piazzano il coniglio, nella scala delle carni da mangiare, al quarto posto. Questa carne bianca e magra soddisfa tante esigenze nutrizionali ben note a noi tutti. Poco calorica, contiene potassio, ferro, fosforo vitamina PP, proteine buone, poco colesterolo ed è anche ipoallergenica. I produttori responsabili sanno che va mantenuto al meglio questo alto valore biologico cercando di riavvicinarsi agli allevamenti tradizionali. Rimarrà l’allevamento intensivo data la grande richiesta, ma oggi esistono “raccomandazioni relative al benessere animale del coniglio da carne”1, in mancanza di regolamento europeo, per disciplinare dimensioni, densità e posizioni delle gabbie. Anche l’utilizzo degli antibiotici2 verrebbe limitato da condizioni sanitarie migliori sulle quali stanno lavorando gli allevatori. Per finire, vi lascio un’ottima ricetta che esalta il gusto di questa carne delicata grazie all’uso delle interiora dell’animale, il Coniglio
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ripieno con patate e guanciale. In una padella si fa insaporire qualche patata tagliata a pezzetti con olio extravergine d’oliva, dadini di guanciale, sale, pepe, aglio e finocchio selvatico; a metà cottura si aggiungono i fegatini del coniglio, lasciando soffriggere per un paio di minuti. Dopo averlo aperto lungo il dorso, il coniglio, del peso di circa 1 kg e mezzo, viene riempito col ripieno di patate e fegatini; si chiude col filo da cucina, si copre di fette di guanciale e si mette in teglia, con un po’ d’olio e qualche spicco d’aglio intero. Si passa in forno per un’ora e mezza a 180°, bagnando frequentemente con vino bianco secco affinché non attacchi al fondo. La carne, tagliata in tranci, va ammorbidita col sugo di cottura, allungato con brodo di carne filtrato. Il piatto si accompagna benissimo ad un vino rosato. Josette Baverez Blanco Note 1. www.efsa.europa.eu 2. www.unaitalia.com; eur-lex. europa.eu
RISTORANTI CARNIVORI
Sosta gourmet al ristorante dell’hotel Là di Moret di Udine
Al Fogolar, assaporare il gusto della montagna friulana di Riccardo Lagorio
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n Italia è lecito avere qualche tentennamento quando si varca la sala da pranzo di un hotel. A differenza di altre parti del mondo, dove le migliori tavole vengono proprio ospitate nelle strutture ricettive, nel nostro Paese ristorazione e stanze da letto non sempre garantiscono un pari livello di comfort. Correva il 1889 quando CÉSAR RITZ e AUGUSTE ESCOFFIER aprivano l’Hotel Savoy a Londra, con i presupposti di essere un albergo all’avanguardia con una sala da pranzo che teneva testa alle camere, se non ne superava addirittura l’appagamento. Esistono, questo è altrettanto certo, anche in Italia luoghi di
riposo che possono assicurare un livello di ristorazione sopraffina. Non è il caso di fare esempi, ma le maggiori guide in circolazione possono senz’altro aiutare a creare una propria geografia delle sistemazioni dove ci si può concedere anche una cena gourmet, con tanti saluti alla ristorazione da collegio che ancora imperversa. All’estremo nord del comune di Udine, un hotel dedicato alla clientela d’affari (ma che ospita anche le maggiori squadre di calcio in trasferta nella città friulana) è uno di quelli dove vale la pena anche fermarsi per la cena. Là di Moret, nel suo ristorante Fogolar, sa
Filetto di cervo, barbabietola al caffè, salsa al mirtilli e grue di cacao.
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creare i presupposti perché un pasto ottimo si completi in stanze di totale comodità. La cucina è saldamente nelle mani di STEFANO BASELLO, poche parole e tanta sostanza. Il coordinamento è invece della FAMIGLIA MARINI e uno dei fratelli, EDOARDO, si prende cura dell’andamento del locale. Il Fogolar prende nome dal caratteristico caminetto al centro della sala, dove le carni vengono preparate. L’attigua sala, più appartata, che porta come nome l’anno della apertura dell’hotel, 1905, viene riscaldata dalla stufa in maiolica. L’idea di fondo che il locale vuole trasmettere è l’utilizzo di materie prime locali. Convince in questa sua idea di fondo a partire dagli amusebouche, Viaggio in Friuli, con la Finta noce di trota di San Daniele, la sfoglia di patate di Colloredo di Prato con ricotta franta, con il macaron al formaggio erborinato di Sauris. Il mare e la terra friulani prendono spazio nel Toast di scampi, cotechino, maionese al cren con tisana di finocchio e liquirizia. Il gusto della montagna friulana si amplifica all’infinito nelle Sfere di patate con Çuç di mont (il formaggio di malga che si produce sui 1700 metri dello Zoncolan, la montagna ben nota anche ai ciclisti) e varhackara, il battuto a base di pancetta, lardo e speck con ere aromatiche che si conquista agli 830 metri di Timau. Le foglioline d’oro che abbelliscono il piatto non sono frivolezze, semmai senhal del rispetto devozionale che lega l’artefice del piatto alle materie prime. Colpo di teatro l’assaggio di Tartare con formaggi di monte. Si ser-
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ve su un vassoio zeppo di odoroso fieno e auricolari per ascoltare da dove viene la carne, percepire i bisbigli del vento e lo scampanio delle malghe. La Tagliata di Sorana è un altro salmo elevato in onore della terra friulana: l’allevamento e il macellaio provvedono a fornire carne locale, al pari dei funghi e del Montasio DOP serviti a scaglie, delle patate che si trasformano in crema di accompagnamento. È in arrivo subito dopo la Quaglia disossata, glassata con il suo ristretto e farcita di pestat, lardo e battuto di odori ben noto in quel di Fagagna. Un piatto di per sé assai gradevole a cui si aggiunge la piacevolezza di una crema di fagiolo gigante di Platischis e aglio nero che lo rendono dosato nei contrasti. In alternativa si può scegliere lo Stinco di vitello su crema di bufala friulana. L’idea vuole valorizzare lo stinco di vitello, preparato mediante una cottura sottovuoto. Accompagnato dal pomodoro e dalla mozzarella di bufala, risulta un piatto fresco e allo stesso tempo profumato. Forse però il miglior piatto di carne è la Sella di agnello in crosta di
Stinco di vitello su crema di bufala friulana (photo © Stefano Scatà, buonricordo.com). sale e tabacco. Un omaggio alle greggi diffuse sulle montagne friulane, al sale che le coste fornivano e al tabacco che era diffusamente coltivato in pianura, specie nella zona di
Stefano Basello e il suo staff (photo © ladimoret.it).
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Codroipo, come bene illustrano le immagini custodite dall’Ente Culturale Patrimonio Culturale della Regione FVG (ipac.regione.fvg.it). L’agnello mantiene la succulenza, il retrogusto amarognolo dell’abbraccio con il tabacco lo arricchisce in maniera sostanziale. La presenza nel piatto di asparagi bianchi, un’altra coltura tipica friulana, richiama la filologia a cui Basello è devoto. Il cuoco, oltre a celebrare la propria terra grazie alla presenza nel menu dei prodotti di tante piccole aziende agricole e di prodotti raccolti nei boschi della Carnia, si è reso protagonista di una singolare operazione: la parte interna della corteccia delle conifere abbattute dall’uragano Vaia viene utilizzata per produrre pane, Pancor, il pane del bosco, impastato con farina e lievito madre. Un’altra delizia con cui farsi coccolare prima del riposo. Riccardo Lagorio Ristorante Fogolar Là di Moret Via Tricesimo 276 33100 Udine Telefono: 0432 545096 Web: ladimoret.it
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ANALISI DEL FOOD
Qualità della carne fresca di Giovanni Ballarini
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a “qualità” della carne fresca è un concetto complesso da definire in quanto essa è determinata in parte dalle preferenze del consumatore e, in parte, da caratteristiche a loro volta influenzate da vari fattori come la struttura muscolare, la composizione chimica, i cambiamenti che avvengono nei tessuti muscolari dopo la macellazione. In particolare, la qualità della carne fresca è direttamente correlata alle caratteristiche delle fibre e del loro numero totale, dalla loro area di sezione trasversale e dalla composizione del tipo di fibra nei muscoli. Inoltre, varia nelle diverse regioni del mondo, perché le preferenze dei consumatori sono correlate ai sensi umani come l’aspetto (vista), l’odore/aroma (olfatto) e il gusto. Infine, essa può
La qualità della carne dipende, come per tutto gli alimenti, da una serie di fattori concatenati il cui peso influenza le scelte del consumatore, a loro volta diverse da Paese a Paese. In passato la qualità era valutata sulla base di percezioni sensoriali e con riferimento alla sua freschezza, mentre di recente si sono associate nuove richieste di sicurezza, benessere e di sostenibilità della produzione
essere definita in base a parametri scientifici quali la quantità di grasso nelle sue distribuzioni intramuscolare, intermuscolare e sottocutaneo, la capacità di trattenere l’acqua, la funzionalità, ecc… Colore, perdita d’acqua, grasso della carne Il colore è il primo elemento che
il consumatore utilizza come indicazione di freschezza e salubrità. Principalmente esso dipende dalla specie animale, dall’età e dal tipo di muscolo. Le differenze di colore sono dovute al diverso contenuto di mioglobina nei muscoli, che è influenzato da fattori come l’esercizio fisico e la dieta dell’animale, nonché da fattori genetici e am-
Il colore è il primo elemento utilizzato come indicatore di freschezza della carne (photo © beats – stock.adobe.com).
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bientali; ma sono molti i fattori che contribuiscono allo scolorimento della carne durante la lavorazione e la sua conservazione e aspetto. Determinante per la stabilità del colore della carne è l’ossidazione e una rapida decolorazione si verifica nei muscoli che contengono proporzioni relative maggiori di fibre muscolari di tipo I a causa del più alto tasso di consumo di ossigeno. La perdita d’acqua influenza altre proprietà fisiche dell’alimento, tra cui la consistenza e la compattezza della carne cruda e le proprietà alimentari della carne cotta, mentre la consistenza della carne è correlata alla dimensione della fibra muscolare e alla quantità di tessuto connettivo e parzialmente influenzata dalla quantità di grasso intramuscolare, che è importante per il sapore, la succosità, la tenerezza e l’aspetto. Il grasso della carne è la conseguenza di molti fattori tra cui la razza animale, il peso alla macellazione, il tipo di alimentazione, la velocità di crescita. Sebbene vi siano variazioni tra le specie, la quantità di grasso tende ad aumentare con l’avanzare dell’età, quando le principali fasi della crescita muscolare sono state completate, ma è anche un carattere altamente ereditabile. Tenerezza, aroma e succulenza La tenerezza influisce molto sull’accettabilità della carne da parte del consumatore ed essa è principalmente influenzata dalla quantità e dalla solubilità del tessuto connettivo, dalla composizione e dallo stato contrattile delle fibre muscolari e dall’entità della proteolisi nel muscolo durante la frollatura, e indirettamente dal contenuto in grasso. La tenerezza è più importante per le carni rosse come il manzo e l’agnello per la composizione delle fibre muscolari rosse e del tessuto connettivo e dove le fibre muscolari occupano il 75-90% del volume muscolare. L’eterogeneità delle caratteristiche della fibra muscolare nei diversi muscoli influenza la tenerezza e i muscoli con diverse caratteristiche della fibra muscolare hanno diversi modelli di frollatura.
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L’aroma è un altro elemento importante per la qualità della carne, perché i consumatori si aspettano determinati attributi di sapore. Poiché le carni consistono nella porzione magra e nella parte grassa, l’aroma della carne dipende principalmente dall’associazione dei sapori di questi due tessuti. Inoltre, esso è influenzato da specie, sesso, età, livello di stress, quantità di grasso e dieta animale. Manzo, maiale, agnello e pollame hanno caratteristiche aromatiche distintive a causa della variazione dei precursori del sapore nel grasso. L’effetto della specie animale sul sapore della carne è strettamente correlato al testosterone e allo scatolo, che sono prodotti rispettivamente in maschi e femmine non castrati. L’odore di verro nei maschi non castrati è un odore sgradevole di urina e sudore, correlato alla presenza di androsterone (5α-androst-16-en-3-one) e di scatolo (3-metilindolo). L’androsterone è un metabolita del testosterone e lo scatolo è il principale contributore al sapore di pecora. Il testosterone aumenta la crescita muscolare e diminuisce la deposizione lipidica intramuscolare. In generale, i maschi non castrati depositano meno grasso in tutto il corpo e all’interno del muscolo e sono più suscettibili allo stress pre-macellazione a lungo termine rispetto alle femmine o ai maschi castrati. La presenza di un sapore metallico è dovuto all’aumento dei livelli di mioglobina nella carne degli animali più anziani. La succulenza è correlata positivamente al contenuto in grasso della carne. In generale il carattere sensoriale è più importante per il maiale e i consumatori di questa carne attribuiscono un punteggio più elevato alla succosità rispetto a sapore o tenerezza, mentre per il bovino è considerato più importante il sapore. Il grasso del muscolo trattiene, lubrifica le fibre muscolari durante la cottura, aumenta la tenerezza e quindi la sensazione di succosità e stimola il flusso salivare durante la masticazione.
Nella carne con un alto contenuto di grasso la succosità migliora con una cottura relativamente lunga in ambiente umido, mentre la carne con un basso contenuto di grasso non è deteriorata da un riscaldamento forte e breve in una cottura a secco. Nuove richieste di qualità e carni funzionali La carne ha un alto valore alimentare in quanto ricca di proteine, amminoacidi essenziali, minerali e vitamine; tuttavia, di recente il concetto di nutrizione è cambiato. In passato la carne era valutata di qualità sulla base di percezioni sensoriali e con riferimento alla sua freschezza, mentre di recente si sono associate le nuove richieste di sicurezza, benessere, nostro e degli animali, e di una sostenibilità della produzione della carne stessa. La sicurezza continua ad essere sempre molto importante e riguarda l’assenza di microrganismi patogeni e residui di contaminanti chimici e di additivi. La preoccupazione per il benessere degli animali ha invece portato a migliori e più attente modalità di allevamento, trasporto e macellazione degli stessi. Il grasso della carne un tempo era ritenuto un elemento positivo per stili di vita che richiedevano elevati apporti calorici. Oggi, invece, soprattutto in presenza di una popolazione di età sempre più elevata, i consumatori tendono a considerare l’alto contenuto di grassi e colesterolo nella carne come indesiderabile. Mutata è quindi la richiesta di qualità della carne: la si vuole sempre più magra, pur mantenendo gli altri requisiti tradizionali di colore, aroma, sapidità e, soprattutto, di tenerezza e succulenza. Alle nuove richieste dei consumatori fa fronte un’ampia e articolata ricerca tecnico-scientifica che riguarda la genetica, i sistemi di allevamento e la loro alimentazione per la produzione di carni con profili nutrizionali superiori ai prodotti convenzionali e classificate come alimenti funzionali. Prof. Em. Giovanni Ballarini Università degli Studi di Parma
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uanto costa oggi introdurre in azienda un sistema per il controllo qualità? Ma la domanda giusta forse sarebbe: quanto costa non averlo? Soprattutto nel delicato settore alimentare, dove “qualità” coincide con “salute”. I rigidi controlli a cui sono sottoposti i produttori di generi alimentari rendono questo settore un esempio di best practice particolarmente significativo. Inoltre, attualmente gli acquisti non sono più influenzati solo da criteri classici, quali il
prezzo. Il contesto in cui si svolge la produzione, l’ambiente di lavoro, le norme igieniche, le conseguenze sull’ambiente: sono oggi fattori più importanti che mai che possono essere gestiti con una soluzione IT estesa a tutta l’azienda. Il CSB Quality Management (QM) e Labor Information System (LIMS) rappresenta la soluzione ideale per tutte le aziende del settore alimentare e si contraddistingue per la sua facilità d’uso: anche gli utenti meno esperti, dopo una
breve fase di formazione, saranno in grado di servirsi del programma. La soluzione CSB QM e LIMS è totalmente integrata nel gestionale CSB ERP e rappresenta il giusto bilanciamento tra un sistema standard pre-configurato tagliato su misura per il l’industria alimentare e la capacità di adattarsi alle particolarità specifiche dell’azienda. Qualità dei prodotti garantita I responsabili delle varie aree aziendali, in collaborazione con
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Rilevamento, valutazione e analisi di tutte le informazioni rilevanti per la qualità, direttamente on-line nel processo
gli esperti CSB-System, individuano una “rete” di punti di informazione e controllo, i cosiddetti Critical Control Points, ai quali collegare postazioni fisse o eventuali dispositivi mobili per il rilevamento dati. Le informazioni sono così inserite, registrate e analizzate on-line nel CSB-System, senza soluzione di continuità. In questo modo si ottiene un monitoraggio completo della qualità, lungo tutta la catena di creazione di valore aggiunto. Processi, come pesatura, miscelatura, lavorazione, riempimento, confezionamento e analisi sono costantemente sincronizzati con la gestione qualità tramite il CSB ERP, che registra i passaggi critici in maniera precisa seguendo i checkpoint del sistema HACCP. Gestione di audit e certificazioni con un unico ERP Un sistema di gestione della sicurezza alimentare coerente coi principi HACCP aumenta la fiducia dei clienti. Qualora ci siano degli scostamenti dai parametri prestabiliti, è il gestionale stesso a comunicare automaticamente la non conformità al responsabile della qualità per poter avviare poi le azioni correttive. Esistono vari tipi di controlli prescritti dalla normativa in campo alimentare: alcuni sono obbligatori, altri volontari ma necessari per ottenere determinate certificazioni
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(ad esempio, CO2-Label, Carbon Trust Standard, Halal, Kosher, ecc…). E il possesso di certificazione rappresenta un ingresso privilegiato nel mercato della Grande Distribuzione. In ogni caso, i dati raccolti confluiscono nella Gestione Certificazioni CSB: così facendo il gestionale, in qualsiasi momento, è in grado di fornire tutte le informazioni necessarie sulla struttura organizzativa e i processi aziendali per gli audit e le certificazioni. In questo modo le spese per la gestione dei certificati si riducono notevolmente e il lavoro si snellisce.
Il CSB QM e LIMS garantisce l’adempimento delle più importanti leggi, direttive, norme e standard internazionali come IFS e BRC, senza tralasciare le peculiarità nazionali e l’etichettatura conforme a livello internazionale. In altre parole, si richiede ai fornitori della filiera il rispetto di alcune norme igieniche e di buone prassi nei processi produttivi, valide a garantire un buon livello di sicurezza e di qualità. Sono inoltre compresi il controllo di etichette alimentari, il confronto delle tabelle nutrizionali riportate in etichetta coi risultati analitici ed altri aspetti legati a requisiti specifici.
Controllo Qualità con dispositivo mobile.
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Continuo miglioramento dei processi aziendali Con il CSB QM e LIMS è facile individuare i punti deboli dei processi aziendali in qualsiasi area aziendale. Errori e malfunzionamenti rilevati sono eliminati in modo sistematico e secondo regole stabilite. L’inserimento di istruzioni di lavoro standard, istruzioni di controllo qualitative e quantitative, avvisi di allerta e misure di protezione per prodotti e metodi, renderanno i processi aziendali più sicuri ed efficienti, aumentando allo stesso tempo la sicurezza del prodotto. Ricerca e Sviluppo integrato nell’ERP CSB-System In un mondo in continua evoluzione anche l’industria alimentare
deve adeguarsi. Il reparto Ricerca & Sviluppo, infatti, riveste un ruolo importante per la crescita e la competitività aziendale. Gli esiti delle analisi e dei test, anch’essi integrati nel CSB ERP tramite QM, saranno determinanti per l’immissione del nuovo prodotto sul mercato. La stampa delle schede tecniche, dei cataloghi fotografici e dei listini di vendita, anch’essi gestiti dall’ERP, contribuiranno al successo del lancio del nuovo prodotto. Non avere un sistema per il controllo qualità significa per un’azienda non avere il controllo sull’efficienza dei propri processi, con il rischio di perdere in termini di competitività. Un sistema informatico affidabile, oltre ad assicurare l’ottimizzazione di risorse e proces-
si, apre alle industrie del settore alimentare anche la possibilità di espansione in nuovi settori di mercato, sia nazionali che esteri.
Referente: • Dott. A. MUEHLBERGER CSB-System Srl Via del Commercio 3-5 37012 Bussolengo (VR) Telefono: 045 8905593 Fax: 045 8905586 E-mail: info.it@csb.com Web: www.csb.com
L’intelligenza artificiale nella lavorazione degli alimenti: la soluzione CSB Jamboflash ottiene l’International FoodTec Award 2021 Costi elevati nel controllo qualità, processi errati, cattivo utilizzo delle materie prime: gli scenari possibili sono molti. L’intelligenza artificiale può ovviare a tutto ciò. Un esempio è il CSB Jamboflash, una nuova soluzione per la classificazione dei prosciutti presentata dalla CSB-System SE e premiata di recente all’International FoodTec Award (www.foodtecaward.com). «Siamo molto orgogliosi di questo riconoscimento. Significa che il lavoro intrapreso tanti anni fa, sta portando i suoi frutti». affermano alla CSB-System SE. «Con l’impiego dell’intelligenza artificiale sviluppiamo soluzioni che vanno ben oltre ciò che normalmente si impiega nelle aziende. Per far ciò sfruttiamo pienamente le possibilità tecnologiche: dall’ERP come colonna portante, agli speciali algoritmi fino all’hardware e ai sistemi di automazione e robotica. Lavoriamo così alla trasformazione digitale, sviluppando soluzioni per differenti usi nella catena di creazione di valore aggiunto del settore alimentare». Nel caso del CSB Jamboflash, il vantaggio sta nella classificazione e valutazione automatiche della carne di prosciutto. Oltre all’intelligenza artificiale, il sistema utilizza una modernissima tecnologia di riconoscimento automatico delle immagini. Con questa combinazione CSB Jamboflash stabilisce in modo totalmente automatico, sulla base della qualità rilevata, il tipo di lavorazione consigliato per quel prosciutto crudo. Il vantaggio economico per il settore è grande, perché il livello di misurazione costante, preciso e regolare riduce le quote di errori, abbassa i costi nel controllo della qualità e standardizza la qualità dei prodotti.
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PRODUTTORE DI MACCHINE PER LA LAVORAZIONE DELLE CARNI KT dal 1938 INDUSTRIA DELLE CARNI / MACELLERIE / INDUSTRIA ITTICA
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Fast Blade: affilacoltelli made in Italy sempre perfetto Brevettato e prodotto dalla vicentina Menegon Ennio Sas, questo affilacoltelli professionale è veloce, pratico, sicuro e, soprattutto, non necessita di alcuna manutenzione
I
professionisti del settore della carne e della ristorazione si ritrovano quotidianamente a lavorare con coltelli non taglienti, che compromettono non solo la qualità ma anche il servizio stesso. La soluzione al problema c’è e si chiama Fast Blade, un prodotto 100% made in Italy brevettato e realizzato dall’azienda metalmeccanica veneta MENEGON ENNIO SAS. Fast Blade è un affilacoltelli che vanta una serie di
caratteristiche che lo differenziano sul mercato: pratico, semplice, solido, di facile utilizzo ma, soprattutto, alla portata di tutti. Veloce, efficace e semplice «La praticità e velocità di utilizzo è uno dei punti di forza del Fast Blade, che sorprende chiunque lo utilizzi: in un solo passaggio, infatti, si ottiene un’affilatura professionale senza la minima imperfezione o sbavatura
Fast Blade è un affilacoltelli professionale di nuova generazione. Le caratteristiche di questo affilatore professionale sono praticità, semplicità e velocità d’esecuzione, sicurezza ed efficacia.
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in entrambi i lati della lama» ci raccontano i responsabili dell’azienda. «Se si utilizzano lame in acciaio o in ceramica poco conta: Fast Blade le lavora entrambe producendo un’affilatura eccezionale che sfrutta la lama in tutta la sua lunghezza, fino all’attacco dell’impugnatura». Affilatura personalizzabile: con cinque marce in più Una ghiera centrale permette di selezionare 5 diversi angoli d’affilatura ed è stata creata appositamente per facilitare l’affilatura anche a tutti coloro che non sono qualificati o specifici nel settore (arrotini). La diversa angolatura permette inoltre di ottenere un angolo più o meno acuto del profilo della lama, quindi da una lama col profilo a rasoio fino alla lama dal profilo a botte. Solido Tutta la struttura e i componenti sono prodotti coi migliori materiali
Con questo straordinario affilacoltelli si possono lavorare lame in metallo o ceramica, con angolo di filo a punta o a botte. Inoltre, grazie alla diversa granulosità della vasta serie di nastri abrasivi, si possono realizzare innumerevoli finiture di lame senza la minima imperfezione o sbavatura
italiani per ottenere un’eccezionale durata d’esercizio. Il cuore della macchina è composto dai dischi e rotori che sostengono i tre nastri abrasivi, a garanzia della perfezione d’affilatura. Sostituirli è molto semplice: in pochi secondi si accede alla zona dove sono sistemati e con pochi passaggi si provvede alla loro sostituzione. I nastri abrasivi sono disponibili in varie granulosità; da quelli classici per la lucidatura e affilatura degli utensili in metallo a quelli diamantati per ottenere la lucidatura e affilatura degli utensili in ceramica.
A sinistra: che usiate lame in metallo o ceramica, per Fast Blade non fa alcuna differenza. A destra: Fast Blade garantisce un’affilatura su tutta la lama.
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Sicuro Fast Blade rispecchia tutti i canoni di sicurezza previsti dalle vigenti normative in materia, ogni componente viene lavorato e testato a tutela dell’operatore. Dimostrazioni e prove gratuite presso l’azienda La Menegon Ennio si rende disponibile a far provare senza impegno Fast Blade, come garanzia non solo dei vantaggi sopra elencati ma, soprattutto, per dimostrare all’utilizzatore la maggior durata del “filo” sui propri coltelli.
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SONO 180 GRAMMI, LASCIO?
Here Today, Tomorrow Next Week!, Sugarcubes
Galline islandesi di Giovanni Papalato
C
hissà a che razza di gallina (letteralmente) si riferiscono gli Islandesi SUGARCUBES, nella miriade di cibo elencato dentro la loro Eat The Menu. Forse proprio alla Gallina islandese! La Íslenska Landnámshænan, letteralmente “Gallina islandese dei coloni”, è stata portata nell’isola da Irlandesi e Norvegesi nel corso del IX secolo, diventandone rapidamente fonte di sostentamento, diffondendosi in tutto il Paese e rimanendo per secoli l’unica razza avicola allevata in Islanda. Oggi, al netto dell’allevamento industriale degli ultimi cinquant’anni, sopravvive in piccoli allevamenti all’aperto, tra fiordi e grandi pianure. Essendosi adattata nel corso dei secoli in un territorio estremamente ostile come quello di questa isola dove la natura è così determinante, a differenza di quanto accade con le specie selezionate, la Landnámshæna si contraddistingue per una grande variabilità, sia in termini di aspetto che di patrimonio genetico. Quando il clima lo consente, le galline stanno al pascolo e si nutrono d’insetti. Fuori dall’estate, l’alimentazione è integrata con legumi freschi e cereali come orzo, frumento e mais, eventualmente con mangime biologico. Terra davvero complicata e bellissima nella sua essenzialità, l’Islanda negli ultimi decenni ha esportato anche molta buona musica. SIGUR ROS,MÚM, OF MONSTER AND MAN, GUS GUS, solo per citarne alcuni, sono arrivati in seguito al successo internazionale di BJÖRK e prima ancora di una band di cui era la voce principale: Sugarcubes, in origine in lingua madre SYKURMOLARNIR, nati dalle ceneri dei KUKL, un
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L’Islanda presenta una marcata attività vulcanica e geotermica che ne caratterizza fortemente il paesaggio. L’interno consiste principalmente in un altopiano desertico, montagne e ghiacciai, da cui molti fiumi glaciali scorrono verso il mare attraversando le pianure (photo © Frank Lambert – stock.adobe.com). gruppo goth/punk frutto dell’unione di band come TAPPI TIKKARRASS, PURRKUR PILLNIKK e ÞEYR, una vera e propria autoselezione del meglio di una florida scena indipendente. Esordiscono con un EP in un’edizione limitata nel 1986, ma raggiungono la notorietà l’anno successivo, quando JOHN PEEL trasmette alla BBC la loro Birthday che sarà poi singolo dell’anno per gli ascoltatori. Firmano con One Little Indian (indipendente) per la distribuzione europea ed Elektra (una major) per quella US, per cui esce nel 1988 Life’s To Good. Il disco vende tantissimo e riscuote ottime critiche e, tra divorzi e nuovi matrimoni, anche per provocazione, tra i componenti della band, l’anno successivo viene pubblicato il successivo Here Today, Tomorrow Next Week! I due singoli, Regina e Planet, raggiungono un discreto successo nelle classifiche indie UK, ma il disco è un fallimento commerciale. Riascoltandolo, posso capire chi afferma che non raggiunga i livelli del suo predecessore, ma trovo fuori luogo molte critiche che ai tempi lo massacrarono e credo che tuttora non sia realmente compreso. Ho già scritto in precedenza su queste pagine quanto il secondo
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album, di un artista o di un gruppo, rappresenti storicamente un momento cruciale, capace di elevare o affossare carriere più di un disco di esordio. La musica di Sugarcubes non è convenzionale, come l’isola da cui arrivano. Un’anima punk e suoni pop rock, un ibrido unico ed un fascino esotico che nella seconda metà degli anni Ottanta, in un mondo non globalizzato, aggiungevano curiosità all’attenzione. Invece di spingere su una strada più sicura e facile una volta raggiunti certi consensi e certi
numeri snaturandosi in forme più commerciali, marcarono ancora di più il loro stile. Da una parte la voce femminile, i cui colori e l’estensione hanno creato un unicum a cui riferirsi, e dall’altre la voce maschile, monocorde e invadente: una coesistenza non facile ma per questo intrigante, sicuramente figlia di un’attitudine situazionista a cui la band non vuole rinunciare, che non vuole tradire. Così in questo disco ci si allontana da certe dinamiche per quanto
Spesso maculata, con colletti o frange e un piumaggio dallo straordinario spettro di colori e sfumature, la Landnámshæna è curiosa e indipendente, con forte istinto materno. Si alleva principalmente per le uova, che hanno rese inferiori rispetto agli ibridi industriali importati ma sono di buona qualità ed elevato contenuto proteico. Al fine di preservare la popolazione autoctona che ancora sopravvive, l’Agricultural Research Institute e, dal 2003, anche l’Islandic Chicken Owners and Breeders Association portano avanti un importante lavoro di raccolta degli esemplari, studiandone le caratteristiche genetiche (fonte: www.fondazioneslowfood.com).
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La band islandese Sugarcubes fu attiva dal 1986 al 1992. Nel 1993, un anno dopo la separazione del gruppo, Björk intraprenderà la carriera da solista con il successo mondiale che tutti conosciamo. oblique più convenzionalmente “rock” e si scoprono suoni più dilatati e ibridi, risultando ancor più divertenti e folli, in un consapevole e dichiarato divertimento. Si comincia così con Tidal Wave, un allucinato e vivace brano in cui il protagonista celebra la sua dipendenza dal Diesel, dove la limpidezza della voce di Björk accompagna l’urgenza di Einar. Il secondo brano, Regina, è uno dei classici della band, melodia immediata, riverberi e un refrain da cantare anche soprappensiero. Ci pensa Speed Is The Key a buttare tutto all’aria suonando come uno sgangherato r’n’b in chiave popmarziale, un abbinamento inedito e assurdo. Aggettivo, quest’ultimo, perfetto anche per la coinvolgente cavalcata country elettrificata di Dream TV. Decisamente folle invece l’orientaleggiante Nail, che si sviluppa strutturandosi sulla ritmica di una serie di colpi di tosse in apertura del brano.
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Intensa e rara, mutevole e intensa, Pump è una canzone d’amore che odora di tango e passione, che balla su stimoli spigolosi ed elastici. Ecco poi Eat The Menu che ingorda e vorace incalza verbosa disegnando immagini di cibo, in un vortice ritmico. Ronza pop Bee, rimbalzando su un basso gommoso, schizzando su spunti vocali che non possono lasciare indifferenti. Come rovesciata da un barattolo in cui sono stati mescolati funk, punk e anche una spy song, esce Dear Plastic, libera e senza timore, totalmente in linea col carattere del disco. Gli accordi metal su cui è montata una cantilena dispettosa che arriva dopo l’intro di una fisarmonica da fiera paesana costituiscono Shoot Him, che contiene una follia diversa, inquieta, ripescando atmosfere dal passato legate alle band che sono poi confluite in Sugarcubes e che fuoriescono naturalmente, delineando l’altra faccia di un gruppo tutt’altro che semplice.
Water si insinua come acqua lungo i bordi del disco, una narrazione ancestrale che prende forma liquida da basso e batteria tenui e una tastiera che disegna una melodia dolce e dove le due voci giocano a nascondino creando un chiaroscuro perfettamente dinamico e risolto. Ma guai a rilassarsi. A ridestarci arriva A Day Called Zero, un girotondo punk che gioca col basso su poche note reiterate e percussive che precedono la conclusione del disco. L’aria sembra guidare gli archi di Planet che respirano freschezza e insieme solennità. Un dualismo che nel contrasto si realizza come creatura affascinate nella sua incoerenza. Un tour mondiale e un ultimo album, Stick Around For Joy, segnano la fine del progetto e, contemporaneamente, l’inizio di carriere soliste, tra cui spicca quella folgorante di Björk. Here Today, Tomorrow Next Week! è universalmente criticato per due motivi che possono assumere connotazione negativa quanto positiva a seconda di come ci si approccia. Chi lo snobba ci sente la presenza invasiva di Einar e l’eccessiva stravaganza stilistica lungo i quattordici brani. Io invece trovo che questo album, arrivato dopo il trionfo del debutto, senza l’intervento molesto e guastatore del suo co-fondatore perderebbe la sua indipendenza, rimettendoci in autenticità. Mentre la “sana follia” musicale che pervade questo lavoro sa di innocenza e libertà, in un decennio ancora legato ad un mercato discografico strutturato e vincolante. Gli anni Ottanta sono stati — diffidate da chi sostiene il contrario —, un periodo incredibile per la musica contemporanea, perché la libertà espressiva si coniugava con la sperimentazione di nuovi strumenti e tecnologie. Per questo, ma non solo, questo album vale molto di più di quello che in quegli anni non fu capito e che lo ha rilegato come album minore all’interno dell’avventura di Sugarcubes. Alzate il volume e fatelo girare. Giovanni Papalato Nota A pag. 146, photo © Lucio Pellacani.
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lagenziapubblicita.it
STATISTICHE
ANAS: scambi commerciali e bilancio cosce suine in Italia nel 2020
S
econdo stime ANAS, elaborate su dati ISTAT, nel 2020 l’importazione di cosce suine fresche e congelate (incluse le cosce importate con le carcasse/ mezzene) è calata del 2,4% rispetto al 2019, per un totale di circa 53,720
Importazioni – 2020
milioni di pezzi. Per quanto riguarda l’export, si è registrato un calo del 10% delle esportazioni di prosciutti crudi e speck e dei prosciutti cotti, mentre si registra un incremento del 22% delle esportazioni di cosce fresche e congelate. Stimando
una produzione nazionale di circa 20 milioni di pezzi e considerati l’import e l’export di cosce suine, il numero delle cosce utilizzate in Italia nel 2020 dovrebbe ammontare a circa 64,4 milioni di pezzi, in calo del 2,8% rispetto al 2019.
Tonnellate
Stima cosce (n.)
Diff. % 2019
Cosce fresche e congelate
509.662
50.966.238
–1,4%
Carcasse/mezzene importate
123.934
2.754.082
–18,2%
53.720.320
–2,4%
Stima cosce (n.)
Diff. % 2019
Totale cosce importate Esportazioni – 2020
Tonnellate
Cosce fresche e congelate
10.304
763.271
22,3%
Prosciutti crudi e speck
60.754
6.750.463
–10,8%
Prosciutti cotti
17.575
1.757.500
–10,0%
5.387
82.884
–27,7%
9.354.118
–8,8%
Carcasse/mezzene esportate Totale cosce esportate
Stime ANAS su dati ISTAT. I dati sono suscettibili di aggiornamenti.
Ancora in calo in aprile la redditività della suinicoltura italiana. Recupera la macellazione, ancora bassi i prezzi dei prosciutti Dop Redditività in calo ad aprile per gli allevatori italiani, con la variazione congiunturale pari a –6,4%. Come spesso accade a determinare questo andamento negativo è stata una combinazione di fattori: il calo dei prezzi dei suini da macello e la concomitante ascesa dei costi per le materie prime utilizzate per alimentare i suini, e in particolare la soia. Anche il dato tendenziale della redditività (ovvero il confronto tra i valori di quest’anno e gli stessi dell’anno precedente) risulta in forte calo: –16,9%. Passando ad analizzare il mercato, riscontriamo che il prezzo medio mensile dei suini da macello destinati al circuito tutelato nella tipologia pesante in aprile è stato pari a 1,378 €/kg, segnando un –2,2% rispetto al mese precedente, mentre il dato tendenziale resta positivo (+6%). «La crisi perdurante nella filiera del suino pesante tutelato italiano diviene evidente se si nota che i prezzi italiani sono scesi al di sotto di quelli spagnoli, pari a 1,460 €/kg peso vivo ad aprile» è il commento del professor Gabriele Canali, direttore del Crefis. Quotazioni in crescita, sempre ad aprile, per i suini da allevamento. In modesta crescita in aprile la redditività del segmento della macellazione, una situazione relativamente favorevole dovuta al calo dei prezzi dei suini da macello (fonte: www.crefis.it).
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Previsioni di produzione suinicola nella UE
N.B.: per l’Italia le differenze % 21/20 sono calcolate su dati 2020 stimati da ANAS. Elaborazione su dati Eurostat.
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LIBRI
I punti “critici” della filiera della carne e la loro gestione
Come gestire la carne in completa sicurezza
L
a produzione e il controllo degli alimenti sono molto accurati e si può affermare con una ragionevole certezza che quanto troviamo in vendita negli esercizi commerciali legali sia decisamente sicuro. Sono però in molti a ritenere che gli attuali sistemi produttivi siano pieni di insidie, in grado di compromettere la salubrità degli alimenti e, di conseguenza, una certa preoccupazione relativa alla sicurezza alimentare è piuttosto diffusa. La maggior parte di noi ignora invece che molti problemi a questo riguardo dipendono da una non corretta gestione del cibo: non tutti sanno, infatti, che il mancato rispetto di alcune norme dal momento dell’acquisto a quando mettiamo nel piatto i nostri alimenti può comportare dei pericoli per la nostra salute e anche farci sprecare molto cibo! La carne è proprio uno degli alimenti sui quali si addensano dei sospetti, alle volte ingiustificati, che spingono molte persone ad abbandonare questo prezioso alimento. AGOSTINO MACRÌ e GIANLUIGI VALSECCHI, col volume “Come gestire la carne in completa sicurezza”, hanno affrontato le varie problematiche che spesso tormentano i consumatori, descrivendole in modo semplice e comprensibile. Interessante a tal proposito è la prefazione scritta dal prof. GIOVANNI BALLARINI, che evidenzia la semplicità dell’esposizione basata su dati scientifici. Nella parte introduttiva si parla del valore nutrizionale della carne, dei metodi di allevamento degli animali, del rispetto del loro benessere e anche dei metodi di macellazione. Viene anche fatto riferimento alle questioni ambientali legate agli alle-
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vamenti. Ampio spazio è stato dedicato ai “consigli per gli acquisti”, con una descrizione che va dai “tagli” alla frollatura, all’utilizzazione del “quinto quarto”. Nel parlare della sua “gestione” sono descritti i vari metodi di cottura, le insidie che possono nascondere e come evitarle. La carne, come tutti gli alimenti, può nascondere dei pericoli igienico-sanitari. Si parla quindi delle possibili malattie trasmissibili che, pur essendo nella maggior parte dei casi un ricordo, richiedono comunque prudenza da parte del consumatore, che deve rivolgersi ai canali legali di distribuzione. Una delle maggiori preoccupazioni dei cittadini è legata alla possibile presenza di residui di sostanze chimiche nelle carni (antibiotici, ormoni, contaminanti ambientali, ecc…). Nel libro viene spiegata con chiarezza di quali sostanze si tratta, a cosa servono e, soprattutto, quali sono i pericoli reali. Il testo contiene inoltre diversi box che attirano l’attenzione del lettore per l’originalità del contenuto quali lo stress del pollo ruspante e l’organizzazione delle vecchie “porcarecce” di Roma che soltanto da alcuni decenni sono state abbandonate. Non potevano mancare la trattazione della “mucca pazza” e del controverso parere dello IARC sulla presunta cancerogenicità della carne che ha destato tante preoccupazioni tra i consumatori. Infine, sono stati prese in considerazione alcune delle convinzioni e dei pregiudizi che riguardano la carne e le risposte fornite sono esaurienti e basate su evidenze scientifiche.
MACRÌ A., VALSECCHI G. Come gestire la carne in completa sicurezza Collana: Sicurezza alimentare per il consumatore 2020 Edizioni: PVI Point Vétérinaire Italie 120 pp – € 14,00 www.pointvet.it – Amazon.it
Il libro si legge piacevolmente e può accompagnarci a tavola eliminando i timori nel consumo di un alimento che riveste un’importanza fondamentale nella nostra dieta. La lettura è consigliata a chi abitualmente consuma la carne o a chi ha dei dubbi sulla sua sicurezza. I potenziali pericoli sono esposti con pacatezza e, soprattutto, sono indicate le modalità da seguire per eliminarli. Il volume può essere utile anche agli studenti delle scuole alberghiere, a ristoratori e a macellai, che avranno uno strumento di comunicazione in più con la clientela. Fonte: Sonia Galardo www.sicurezzalimentare.it
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