Autorizzazione del Consorzio del Prosciutto di Parma del 21-4-98
Periodico bimestrale per gli addetti ai lavori D A L S A L U M I F I C I O A L L A S A L U M E R I A N O N S T O P Anno XXXIV N. 5 Settembre-Ottobre 2022
€ 6,70
Autentica dolcezza, fetta dopo fetta.
In ogni fetta di Prosciutto di Parma ritrovi il sapore autentico di un metodo secolare, nel pieno rispetto di una tradizione antica. Da generazioni, lavoriamo ogni giorno con passione per offrirti un’esperienza di gusto unica e inconfondibile.
Non è crudo, è di Parma.
N. 5 Anno XXXIV Settembre-Ottobre 2022
€ 6,70 Gruppo editoriale Edizioni Pubblicità Italia Srl
Eurocarni – Premiata Salumeria Italiana – Il Pesce – Euro Annuario Carne – Euro Genuine Food Annuario del Pesce e della Pesca – US Annuario dei Fornitori della Sanità in Italia
Direttore responsabile e editoriale Elena Benedetti
Comitato di redazione Sebastiano Corona – Guido Guidi – Riccardo Lagorio – Manrico Murzi – Massimiliano Rella
Redazione Gaia Borghi – Federica Cornia – Marco Credi
Comitato scientifico Prof. Giovanni Ballarini
Segreteria di redazione Gaia Borghi
Collaboratori scientifici Dr. Marco Cappelli – Dr. Emanuele Guidi
Prestampa Marco Credi Marketing e pubblicità Luigi Credi – Chiara Zaccaroni Fotografia Luigi Credi
Euro Annuario Carne
Abbonamenti Fioretta Fiorentin
EURO ANNUARIO CARNE 2022
Amministrazione Andrea Tomassone
La banca dati internazionale del mercato delle carni sempre aggiornata, utile strumento di lavoro per gli operatori del settore lavorazione, commercio e distribuzione carni. Edizione 2022 Copia cartacea: € 95,00
Dal 1984 Edizioni Pubblicità Italia compone le sue riviste con computer Apple®. Il testo è impaginato con Adobe® InDesign® CC 2019. Le illustrazioni sono realizzate con Adobe® Photoshop® CC 2019.
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Premiata Salumeria Italiana, 5/22
Tariffe abbonamenti Annuale (6 numeri): Italia € 40,00 – Estero € 50,00 Sconto librerie: 10% Modalità: versamento su c/c postale n. 52411311 intestato a Edizioni Pubblicità Italia Srl Piazza Roma 3 – 41121 MODENA ISSN 1121-9068 – Iscritta nel ROC – Registro degli Operatori di Comunicazione al n. 11256 del 14/6/2005
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Referente vendite per l’Italia
N. 5
€ 6,70 Eurocarni – Premiata Salumeria Italiana – Il Pesce – Euro Annuario Carne – Euro Genuine Food Annuario del Pesce e della Pesca – US Annuario dei Fornitori della Sanità in Italia
A pagina 58.
In questo numero:
Immagini
L’arte del Graukäse
12
Tendenze
Mortadella Bologna IGP salume anti-crisi, exploit del Regno Unito e vendite record: 16 milioni di kg in 6 mesi!
14
Agenda
Cremona – Bologna – Modena
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Fotografati e mangiati
Salamino di capriolo – Tozzetti di bufala
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La copertina esplosa
Ventricina teramana – Ferratelle abruzzesi
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Premiata Salumeria Italiana, 5/22
5
Brevi storie di cibo lento A ogge a otto a velocità contemporanea
Alessia Morabito
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Attualità
Aceto Balsamico di Modena IGP, nasce il Distretto
28
Il food in rete
Social food
Aziende
Parmacotto presenta Il Cotto di Parma®
36
Crudo di cuneo, le garanzie di una DOP
38
Elena Benedetti
Ganda Ham: anche il Belgio ha il suo prosciutto crudo di qualità
Gaia Borghi
Fumagalli Salumi pubblica il nuovo Report di Sostenibilità redatto tenendo fede ad un framework internazionale
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42 44
Altura, trota alpina affumicata
Massimiliano Rella
46
Visual
Allestimento creativo e innovativo
Elena Benedetti
50
Gastronomia sostenibile
Aumenta la ricerca di cibi sostenibili, genuini e di qualità
54
Etichettatura
Sostenibilità: nuovo record di vendite dei prodotti che la comunicano in etichetta
56
Laboratori creativi
L’Artigiano del Salume
Prodotti tipici
Sale, sole e carni: in viaggio per l’Italia alla scoperta delle “carni salate” Chiara Papotti
Massimiliano Rella
58 62
Una salsiccia particolare, quella di Cremona
Josette Baverez Blanco 66
Salumeria andalusa: la Zurrapa
Riccardo Lagorio
68
In Veneto c’è aria di tradizione e di De.Co.
Giorgio Montanari
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A pagina 102.
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In copertina: accogliamo l’autunno con la Ventricina teramana (photo © Massimiliano Rella).
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Premiata Salumeria Italiana, 5/22
Natale work in progress
Speciale Alto Adige
Torrone, dolce delle feste che mette tutti d’accordo
Chiara Papotti
72
Passione lievitati, Sweet Preview
Federica Cornia
76
Lo Speck Alto Adige IGP
Massimiliano Rella
80
Martin Speck: la salagione prima di tutto
Massimiliano Rella
84
Graukäse
Massimiliano Rella
88
Alta cucina dell’Alto Adige
Massimiliano Rella
90
Bollicine
Champagne boom
94
Week-end
Nuove frontiere del gusto in Alta Valtaro
98
Formaggio
Latteria turnaria di Pejo e Casolét
Pasta
Passatelli in brodo di cappone: la ricetta delle donne veraci di Romagna Chiara Papotti
Riccardo Lagorio
102 106
A pagina 68.
A pagina 98.
A pagina 80.
www.premiatasalumeriaitaliana-online.com 8
Premiata Salumeria Italiana, 5/22
A pagina 106.
A pagina 114.
A pagina 110.
Pane
Lüadèl di Pomponesco
Gaia Borghi
110
Lo chef dell’olio
Frantoio: il cuore pulsante
Fabrizio Bertucci
114
Aceto
Consortium Profile, un modo nuovo e immediato per conoscere e gustare l’Aceto Balsamico di Modena
Vino
Tenute Toscane
Tecnologie
Caseificio Ponte Reale e l’ERP CSB-System: insieme per un modello innovativo di produzione e sostenibilità
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Tre libri
Spirito autoctono – Yeast stories – La ricetta della ricetta
128
116 Massimiliano Rella
120
www.premiatasalumeriaitaliana-online.com 10
Premiata Salumeria Italiana, 5/22
IMMAGINI
Produzione di Graukäse, il “formaggio grigio” presidio Slow Food della Valle Aurina, nel laboratorio di Marta Hofer. Tradizionalmente il Graukäse era associato alla sfera femminile per la “pazienza” richiesta dal lungo processo di produzione. Per saperne di più su questo prodotto a pagina 88 trovate l’articolo di Massimiliano Rella, all’interno di uno speciale tutto dedicato all’Alto Adige, ai suoi prodotti e alle nuove frontiere della sua cucina (photo © Massimiliano Rella). 12
Premiata Salumeria Italiana, 5/22
PROTETT
A
•
NOMINAZI DE
Tradizione di grande Nobiltà
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•
Un grande aceto che viene dalle tradizioni della nobiltà modenese
L’aceto balsamico ha avuto origine dall’antichissima usanza dei Romani di cuocere il mosto dell’uva, grazie alle caratteristiche delle uve del territorio modenese. Oltre alla produzione dell’Aceto Balsamico di Modena IGP, ottimo per l’uso quotidiano, nelle acetaie delle famiglie più ricche e nobili si è nei secoli sviluppato un processo lentissimo e laborioso che produce un aceto senza eguali, raro e prezioso. Arrivato ai nostri giorni è chiamato “Aceto Balsamico Tradizionale di Modena DOP (Denominazione di Origine Protetta); in passato veniva citato nei lasciti testamentari ed era dote prestigiosa per le giovani spose di aristocratiche origini. Era gelosamente conservato nei sottotetto e amorevolmente curato in famiglia, di generazione in generazione. Era considerato una sorta di Panacea dai principi medicamentosi in grado di curare tutti i mali e, nell’occasione, era considerato un regalo degno di “Re e Principi”.
LIA I A G I T R BOTI G ATiOi L utt ati O B B per ti certific r dutto
pro
OR
N I IG
E L A Questa bottiglia da 100 ml
è garanzia di
originalità e qualità per l’ aceto della antica tradizione delle nobili famiglie modenesi.
con incarico di “Tutela” dal Ministero Politiche Agricole e Forestali per DM 16/10/2009, Gazz.Uff. 4/11/09
Aceto Balsamico Tradizionale di Modena DOP La tradizione produttiva è certamente antichissima, ma... che l’aceto invecchi è un dire tutto modenese. In realtà chi invecchia è il padrone, mentre l’Aceto Balsamico Tradizionale DOP matura nelle botticelle e sublima a pura essenza attraverso un lunghissimo processo produttivo. Si tratta di un processo “in continuo” che segue la famiglia e unisce le generazioni, e che solo dopo almeno 12 anni di attività, inizia a dare una piccola
aliquota annuale di prodotto finito. Si dovranno poi attendere almeno 25 anni per ottenere la qualità ”Extra Vecchio”. Solo dopo aver superato l’esame degli assaggiatori esperti, il prodotto viene imbottigliato presso il centro di imbottigliamento autorizzato, naturalmente nella famosa bottiglietta da 100 ml detta “di Giugiaro”, il famoso designer che la realizzò nel 1987 perchè fosse il simbolo di questo aceto unico nel mondo.
Consorzio Tutela Aceto Balsamico Tradizionale di Modena Viale Virgilio 55, 41123 Modena tel. 059 208604 fax 059 208606 consorzio.tradizionale@mo.camcom.it www.balsamico.tradizionale.it
TENDENZE Mortadella Bologna IGP salume anti-crisi, exploit del Regno Unito e vendite record: 16 milioni di kg in 6 mesi!
Nel primo semestre 2022 sono stati prodotti circa 18,5 milioni di chili di Mortadella Bologna IGP e venduti quasi 16 milioni di chili, 1/3 dei quali affettati. Rispetto allo stesso periodo del 2021, quindi, la produzione è cresciuta del 3,8% e le vendite del 4,8% (dati forniti dall’organismo di controllo IFCQ certificazioni). L’affettato in vaschetta conferma le sue performance positive, registrando una crescita del 9,3%, venendo apprezzato per la praticità d’uso e la comodità di fare scorte. L’export segnala una crescita del 2,8%, con uno straordinario exploit del Regno Unito, che con +65% registra un trend che, se confermato anche nel secondo semestre, sarebbe in grado di recuperare il calo dell’anno scorso dovuto alla Brexit e superare i livelli di export del 2020. Tra i Paesi UE la migliore performance è quella registrata in Spagna con un aumento del 18%. «Gli aumenti di produzione e vendita conseguiti dalla Mortadella Bologna IGP nel 1o semestre dell’anno sono di tutto rilievo, considerando che la capacità di spesa delle famiglie italiane si sta riducendo a causa dell’inflazione» ha dichiarato Guido Veroni, presidente del Consorzio italiano tutela Mortadella Bologna. «È evidente perciò che la Mortadella Bologna IGP si conferma come un salume anti-crisi, premiata con un aumento delle occasioni di consumo». Per ciò che riguarda i canali di vendita, risulta che il 72% della Mortadella Bologna IGP è venduta presso la GDO e i Discount dove l’aumento di vendite registrato nei rispettivi canali è stato del 5,4% e del 9,9% (dati IRI). L’80% delle vendite è assorbito dal mercato interno, mentre il 18% dai Paesi UE e il restante 2% dai Paesi extra-UE (fonte: ISIT – Istituto Salumi Italiani Tutelati).
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Premiata Salumeria Italiana, 5/22
il gusto di casa in ogni momento 100% ARTIGIANALE
SUINO NATO E ALLEVATO IN ITALIA
SENZA CONSERVANTI
Soave e Soavius
PRODOTTO NATURALE
AGENDA
Cremona La Festa del Salame di Cremona, in calendario dal 7 al 9 ottobre, è la kermesse dedicata ad uno dei prodotti più amati delle nostre tavole. La manifestazione sarà organizzata da SGP Grandi Eventi, società che vanta una lunga esperienza nell’organizzazione di eventi di marketing territoriale a taglio enogastronomico e che ha organizzato anche le scorse edizioni della festa. Il centro storico di Cremona ospiterà stand di produttori specializzati provenienti da tutta Italia (e non solo), che consentiranno al pubblico di gustare e acquistare salami all’interno di un goloso percorso gastronomico. La manifestazione comprenderà anche un ricco cartellone di appuntamenti collaterali pensati per valorizzare la storia e la cultura legate all’insaccato più conosciuto e amato al mondo. Non mancheranno iniziative “appetitose” tra cui degustazioni guidate, cooking show, competition tra agriturismi, animazione e laboratori dedicati ai bambini. www.festadelsalamecremona.it
Bologna La finale della 7a edizione degli Italian Cheese Awards 2022, riservati ai migliori formaggi nazionali prodotti con 100% latte italiano, si svolgerà a Bologna negli spazi di FICO, all’interno del suo Centro Congressi, sabato 15 ottobre alle ore 17:00. La giuria del premio, composta da esperti, operatori del settore e giornalisti, si riunirà poche ore prima della cerimonia di premiazione per l’ultima valutazione che assegnerà i premi. 17 le Statuette in ottone, evocative di un umanoide con braccia alzate a sostenere una forma di formaggio, saranno complessivamente consegnate nella kermesse finale tra 10 “Awards” ed ulteriori 7 premi speciali assegnati dalla redazione per meriti nel settore caseario: “Premio al miglior derivato del latte”, “Premio al miglior formaggio di montagna”, “Formaggio dell’anno”, “Premio alla carriera”, Premio “Donne del latte”, “Caseificio dell’anno” e “Cheese Bar dell’anno”. Il pubblico potrà partecipare alla premiazione e al buffet con i formaggi finalisti con l’accredito on-line. L’evento verrà trasmesso in diretta streaming sul sito e sui social del premio (photo © facebook.com/ italiancheeseawards). www.italiancheeseawards.it facebook.com/italiancheeseawards facebook.com/storieformaggio
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Premiata Salumeria Italiana, 5/22
Modena Domenica 16 e lunedì 17 ottobre si terrà la quinta edizione di Modena Champagne Experience™, manifestazione di riferimento in Italia dedicata allo champagne, organizzata da SOCIETÀ EXCELLENCE, realtà che riunisce alcuni tra i maggiori importatori e distributori italiani di vini e distillati d’eccellenza. La kermesse, all’interno degli spazi di ModenaFiere, ospiterà oltre 600 vini in degustazione, tra champagne di storiche maison e di piccoli vigneron. Da non perdere le masterclass: ALESSANDRO SCORSONE e ALBERTO LUPETTI guideranno i visitatori alla scoperta di champagne prestigiosi, in molti casi proposti in millesimi da collezione. Una curiosità: a Champagne Experience™ le maison vengono raggruppate in base alla loro appartenenza geografica, corrispondente alle diverse zone di produzione della Champagne (Montagne de Reims, Vallée de la Marne, Côte des Blancs, Aube, oltre alle maison classiche riunite in una specifica area), per offrire al visitatore un’esperienza sensoriale coinvolgente e un supporto culturale di alto livello. www.champagneexperience.it
Una varietà di selezione carni, gusti, dimensioni, forme per soddisfare i tuoi clienti più esigenti.
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Viaggio nel gusto con il Treno di Dante tra Firenze e Ravenna Un’esperienza di viaggio tra enogastronomia, arte, cultura all’insegna del turismo slow a bordo di un treno storico, che attraversa il cuore dell’Appennino tosco-romagnolo nelle terre che Dante Alighieri visitò nel suo cammino tra Firenze e Ravenna. Un viaggio nel gusto, alla scoperta delle eccellenze enogastronomiche che si possono trovare lungo il passaggio del Treno di Dante, attivo i sabati e le domeniche fino al 30 ottobre con una corsa straordinaria martedì 1o novembre. 136 km (da Firenze a Ravenna) a bordo di un treno detto “Centoporte”, messo a disposizione dalla Fondazione FS Italiane, che viaggia sulla linea ferroviaria faentina, la prima in Italia ad attraversare gli Appennini, si presenta con tre ambienti: uno aperto per la classe standard (all’epoca 3a classe), con i caratteristici interni di legno, la 1a e la 2a classe con i divani imbottiti e dettagli Liberty, per complessivi 230 posti, a cui si aggiungono il vagone postale e la motrice storica. Oggi di treni con queste caratteristiche ne rimangono solo pochi esemplari in Italia e sono considerati dei veri e propri gioielli nella storia del trasporto passeggeri, venendo concessi al pubblico solo per occasioni speciali come questa. L’itinerario enogastronomico Il treno parte da Firenze coi suoi piatti più tipici, dalla bistecca alla “Fiorentina” ai primi come la Pappa al pomodoro e la Ribollita. Nei chioschi invece si ordina il Lampredotto, due fette di pane di toscano abbracciano una trippa, l’abomaso del bovino, cotta a puntino. Cosa bere? Oltre al Chianti DOCG, anche gli altri celebri toscani come il Brunello di Montalcino DOCG e il Nobile di Montepulciano DOCG. Si prosegue verso Vaglia, il primo comune del Mugello (FI), per poi raggiungere la prima fermata, Borgo San Lorenzo (FI). Da mangiare qui ci sono gli Zuccherini del Mugello, biscottini tondi, profumati di anice, e il Pane del Mugello senza sale. Per diversificare “la bevuta” precedente, qui scegliamo il Chianti Classico DOCG, invecchiamento minimo 24 mesi. Il treno riparte verso Ronta (FI), Scarperia e San Piero a Sieve (FI) — due paesi uniti da sempre e dominati dalla famiglia dei Medici — per continuare sulle colline di Vicchio che ha dato i natali a Giotto e Beato Angelico. Oltrepassato Crespino del Lamone (FI) — borgo noto per la qualità dell’acqua e le fontane — il treno prosegue e sosta a Marradi (FI), la cittadina appenninica dove nacque il poeta Dino Campana. Cosa mangiare qui? Sicuramente il Marrone del Mugello IGP, base di tanti dolci, e la Farinata con le Leghe, fatta con cavolo nero, farina di mais e fagioli. Da bere una produzione, coraggiosa e difficile, vista la zona montana, ovvero quella del Pinot Nero e della Malvasia. Tappa successiva a Brisighella (RA), patria del nobile Olio extravergine d’oliva Brisighella DOP e del Carciofo Moretto, piccolo e rustico, mai modificato geneticamente e che cresce solo qui: nei versanti più esposti al sole dei calanchi gessosi. Da bere: siamo entrati in Romagna è inizia anche il viaggio nei tanti vitigni di questa terra. Partiamo con il bianco Pagadebit DOC. Deve il suo nome perché in passato i mezzadri vignaioli riuscivano a pagare i debiti con questa uva, dalle rese sempre ottime. Ottimi anche i Trebbiano di Romagna DOC. Arriviamo a Faenza (RA), cittadina famosa in tutto il mondo per la ceramica artistica. Da mangiare la pasta tipica della città: i Curzul. Il termine significa lacci di scarpe, per via della forma. Sono stringhe a sezione quadrata, più spessi e più corti dei tagliolini. Il sugo per i curzul è quello rosso allo scalogno di Romagna IGP, meglio ancora se con le carni di Mora romagnola, razza suina autoctona. Da bere: siamo nel cuore della produzione dei due vini simboli della Romagna, il re Sangiovese DOC e la regina Albana DOCG nelle versioni secco, dolce, passito e spumante, ma anche l’autoctono Centesimino (o Sauvignon Rosso). Infine Ravenna, la città in cui il sommo poeta completò la composizione del ciclo della Commedia e trascorse gli ultimi anni della sua vita fino alla morte nel 1321. Qui si erge la Tomba vicino alla quale sono stati inaugurati recentemente il Museo e la Casa a lui dedicati. Da mangiare: la Piadina romagnola IGP, il più famoso degli street food, preparata espressa nei variopinti chioschi, farcita con Squacquerone di Romagna DOP o salumi e affettati tipici. Senza dimenticare cappelletti, strozzapreti, tagliatelle al ragù e Spoja lorda, carni di razze autoctone e pesce azzurro dell’Adriatico. Da bere, gli autoctoni rossi della “Bassa” Tundè IGT e Burson IGT. >> Link: www.iltrenodidante.it
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Premiata Salumeria Italiana, 5/22
salami d'italia 8 | 9 ottobre
XV FINALE DEL Campionato ITALIANO del salame
due giornate di festa con mercato di salumi provenienti da tutto il territorio nazionale FATTORIA ZIVIERI VIA LAGUNE 78 | SASSO MARCONI (BO) maggiori informazioni XXX GBUUPSJB[JWJFSJ JU ] ] QSFOPUB[JPOJ!GBUUPSJB[JWJFSJ JU
Con il Patrocinio SALSAMENTARI 1876 BOLOGNA
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Media partner
Si ringrazia ASSIAPPENNINO ASSIAP ASS IAPPEN IAP PEN NNIN IN NO S.n.c. S.n. .n.c. .n c.
MASSIMO MAS IMO MASS O MORSELLI MO ELLI MORS LI
FOTOGRAFATI E MANGIATI
SALAMINO DI CAPRIOLO gourmet-reifer.com
Produttore: Reifer Gourmet, Fiè allo Sciliar (BZ). Regione: Trentino-Alto Adige. Ingredienti: carne di suino, carne di capriolo, sale, spezie, aromi naturali. Senza: lattosio e glutine. Descrizione: questi salamini di capriolo raccolgono tutti i profumi di un territorio stupendo, l’altopiano dello Sciliar. Le carni di capriolo e suino sono lavorate fresche. Fa seguito un’affumicatura naturale con legno di faggio. Gustosi all’assaggio, sono uno snack ad alto contenuto proteico. Affettati sottili sono ottimi per un aperitivo mentre a dadini sono perfetti per insaporire insalate, torte salate o sughi. Disponibili in confezioni da 4 pezzi. In abbinamento a: pane nero altoatesino per uno snack in quota.
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Premiata Salumeria Italiana, 5/22
TOZZETTI DI BUFALA casamadaio.it
Produttore: Casa Madaio, Eboli (SA). Regione: Campania. Ingredienti: farina 00, vino bianco, burro di bufala, sale. Senza: lattosio e glutine. Descrizione: il tozzetto al burro di bufala racchiude in sé tutte le caratteristiche del suo ingrediente principale. Il suo profumo tenue che ricorda il latte appena munto si esprime all’assaggio con toni aromatici e un lieve retrogusto di mandorle. L’impasto è fragrante e dall’aroma delicato. In abbinamento a: una tisana profumata.
Premiata Salumeria Italiana, 5/22
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LA COPERTINA ESPLOSA
Autorizzazione del Consorzio del Prosciutto di Parma del 21-4-98 -98
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La Ventricina teramana, tipica, come il nome suggerisce, del territorio di Teramo, in Abruzzo, è preparata con porzioni magre e grasse di maiale (pancetta 40%, guanciale stagionato 30%, prosciutto suino stagionato 30%). Alla carne, finemente macinata per assicurare la spalmabilità del prodotto finale, sono aggiunti sale, aglio, pepe, peperoncino dolce e piccante, rosmarino, finocchio e buccia d’arancia. Come in altri salumi sono inserite le minime quantità di legge di correttori d’acidità, zuccheri, antiossidanti e conservanti. Realizzato l’impasto, diverse sono le varianti per la forma finale. Una versione è il modello culatello dove l’impasto, insaccato nella vescica di maiale o in budello naturale o sintetico, è conservato appeso. In alternativa l’impasto può essere riposto in un barattolo di vetro. Dopo qualche settimana di stagionatura in celle frigorifere o comunque in un ambiente fresco e umido con temperatura mai superiore ai 13 °C, la ventricina è pronta per essere degustata (fonte: PROF. GIOVANNI BALLARINI, PREMIATA SALUMERIA ITALIANA; in copertina la ventricina di CIC Carni, ciccarni.it).
Le chiamano Ferratelle, e ma anc anche Pizzelle, Sono che si Neole, Cancellate. So ono cialde ch accompagnano all salato l e al dolce e sono tipiche tre versioni: della cucina abruzzese. Ne esistono tr consistenti, le morbide, quelle dure, più alte e consis oppure le ferratelle croccanti e sottili come copertina, quelle da noi utilizzate per la foto di copertin prodotte da SORELLE NURZIA di Bazzano (AQ) (www.sorellenurzia.com). Le ferratelle dolci rientrano a tutti gli effetti tra i tipici prodotti della tradizione natalizia regionale. C’è anche la possibilità di trovare le ferratelle abruzzesi salate, una variante perfetta per aperitivi, merende o come snack spezzafame.
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BREVI STORIE DI CIBO LENTO A VELOCITÀ CONTEMPORANEA
A ogge a otto di Alessia Morabito (illustrazioni di Alessia Serafini)
«D
iego vai giù?. «Sì». «Avrei voglia di cicoli». «Alè, è estate, non ci sono». È così che Diego infrange il mio sogno di pancia all’alba del suo rientro a Napoli per la pausa estiva. Siamo amici da 16 anni. «Alè só 17, uno più dell’anno scorso». Diego si chiama Diego prima che arrivasse Maradona al Napoli come fosse un segno premonitore. Ci siamo conosciuti in Toscana, a lavoro. Lui carogna in sala, io naïve in cucina. C’è bastato un mese di lavoro assieme in un posto del quale ogni tanto parliamo ancora: una fantasmagorico Relais extra lusso in Toscana, successivamente diventato residenza privata di un oligarca russo, un direttore che distruggeva documenti nel camino della camera 12, alle 7:00 di mattina, in accappatoio e foulard Hermès, pareti di vetro che sparivano dentro la collina, piste per elicotteri, bottiglie esoteriche e uno chef che mi passava le ricette sbagliate perché geloso che potessi eseguire troppo bene le sue direttive: una gabbia di matti. Ci siamo persi di vista per un paio di anni, ci ritroviamo io al timone di un ristorante affermato, lui cliente. «Ma lo vedi che alla fine non sono 17???». Diego è il maître di sala più bravo che io abbia visto a lavoro (e credo di averne visti tanti sia come colleghi sia come cliente): dal ristorante stellato dove tutto splende all’agriturismo chiassoso da più turni, ha sempre avuto la sala sotto controllo con eleganza, prontezza e disposizione verso il cliente. Nel post-Covid ha riorganizzato la sua professionalità come formatore e docente perché «voglio creare un esercito di piccoli me». Cosa sono i cicoli? Un salume cotto. Le pancette, di maiali nazionali, vengono private della cotenna e tagliate in grossi pezzi. Messe in grandi calderoni di acciaio, un tempo di rame, a fuoco dolce e costante, dopo circa 3 ore si sarà fusa tutta la parte grassa e sarà evaporata l’acqua. Quando i pezzi di carne avranno raggiunto un bel colorito biondo e rosolato si scolano le pancette e si filtra il grasso liquido che sarà commercializzato come strutto. È il momento di condire la carne con una mistura di alloro, noce moscata, cannella, chiodo di garofano, pepe e sale in dosi variabili a seconda della ricetta del norcino e metterla stratificata nel torchio, tondo o quadrato, a raffreddare. Otterremo un salume compatto, dalla forma regolare di circa 4 kg da dividere in pezzi e tagliare controverso alla stratificazione. Saranno massivamente disponibili sul mercato da ottobre a maggio ma ormai si trovano tutto l’anno. Il suo abbinamento più diffuso è con la ricotta e un pizzico di pepe nero nel più tipico e forse più antico cibo da strada napoletano, la pizza fritta. Veniva prodotta dai fornai che vivevano nei bassi (i monolocali al piano terra tanto simbolici della Napoli popolare). Nel giorno di festa il fornaio, con l’aiuto della moglie o di un garzone, un braciere e un catino di metallo pieno di strutto, stendeva, farciva, friggeva e vendeva. Una scena, questa, tratteggiata anche da GOETHE in Viaggio in Italia. Vendeva o dava a credito: la pizza fritta viene associata all’espressione “a ogge a otto”, ovvero come gridava SOFIA LOREN nel film L’oro di Napoli: “Mangiate oggi e pagate tra 8 giorni, venite veniteeee”. In un quadernetto si segnava il debitore. I cicoli si usano anche rosolati nei piatti di pasta oppure nell’impasto del tortano e del casatiello. A me piacciono mangiati come un salume, tagliati sottili che quasi gli strati si staccano, con le uova sode, le papacelle sottolio e la maionese, dentro ad un panino croccantello. Squilla il telefono… «Ciao Diego! Come stai? Quando torni?». «Te li ho trovati».
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ATTUALITÀ
Aceto Balsamico di Modena IGP, NASCE IL DISTRETTO
C
ol recente inserimento nell’Elenco nazionale dei Distretti del Cibo, viene istituito il nuovo Distretto del Cibo dell’Aceto Balsamico di Modena IGP per la promozione, lo sviluppo e la tutela del prodotto di riferimento, la valorizzazione della filiera e della cultura e tradizione dei territori di Modena e Reggio Emilia. A darne notizia è il Consorzio di Tutela dell’Aceto Balsamico di Modena IGP, dopo la pubblicazione ufficiale di predetto riconoscimento nel Bollettino Ufficiale della Regione Emilia-Romagna avvenuta nello scorso mese di luglio. Come si legge nella Determinazione n. 12153 del 24/06/2022 (della Direzione Generale Agricoltura Caccia e Pesca), con tale riconoscimento il Consorzio, nella veste di Distretto del Cibo, allargherà le proprie competenze estendendo il raggio d’azione alle politiche di promozione
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e valorizzazione del territorio, delle produzioni agroalimentari e dell’intera filiera di riferimento. «Una splendida notizia, un risultato di grande importanza per il nostro comparto — commenta MARIANGELA GROSOLI, presidente del Consorzio di Tutela dell’Aceto Balsamico di Modena IGP — che rappresenta un meritato riconoscimento del valore economico, culturale e tradizionale del nostro prodotto e del suo ruolo all’interno del panorama agroalimentare nazionale. È anche il giusto riconoscimento al lavoro di imprenditori lungimiranti che in soli 40 anni hanno valorizzato questo prodotto legato alla storia di Modena, portandolo nelle cucine e nelle case di tutto il mondo e che consentirà di render più visibile e attrattivo il territorio portando benefici concreti non solo a tutti i produttori di Balsamico».
Come quelli già presenti in EmiliaRomagna, anche il Distretto del Cibo dell’Aceto Balsamico di Modena IGP è strettamente legato al territorio con un’identità storica omogenea, frutto dell’integrazione fra attività agricole e attività locali, nonché della produzione di beni o servizi di particolare specificità, coerenti con le tradizioni e le vocazioni naturali e locali. L’Aceto Balsamico di Modena IGP — quinto prodotto italiano agroalimentare DOP IGP per valore alla produzione (fonte: Consorzio Tutela Aceto Balsamico di Modena, dati 2021) — contribuisce al paniere made in Italy con 100 milioni litri di produzione certificata capaci di generare 400 milioni di euro di valore alla produzione, tradotti in 1 miliardo di euro di valore al consumo, grazie anche al valore generato dal prodotto destinato all’export che tocca quota 92% del totale.
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A ottobre tornano “Le noci per la ricerca”, progetto che finanzia la ricerca scientifica d’eccellenza sui tumori femminili Dal 1o al 31 ottobre tornano “Le noci per la ricerca”, il progetto di Fondazione Umberto Veronesi realizzato in partnership esclusiva con Life, per sostenere il lavoro di medici e ricercatori che hanno deciso di dedicare la propria vita allo studio e alla cura dei tumori che colpiscono le donne, ossia tumore al seno, all’utero e all’ovaio. Acquistando il prodotto, contrassegnato da un bollino rosa nei formati in guscio da 500 e 90 grammi, nei punti vendita delle principali insegne della Distribuzione Organizzata, per ogni confezione 50 centesimi andranno a sostenere il lavoro di meritevoli medici e ricercatori, selezionati da Fondazione Umberto Veronesi attraverso un bando pubblico e impegnati nel campo dell’oncologia femminile, nei centri di eccellenza di tutta Italia. Dal 2016 ad oggi, grazie all’ormai consolidato rapporto tra l’azienda Life e Fondazione Umberto Veronesi, il progetto ha permesso di raccogliere quasi 400.000 euro, interamente devoluti alla ricerca scientifica, consentendo così di finanziare anche il lavoro di 11 ricercatori e ricercatrici. La scelta di presentare al pubblico il progetto durante il mese di ottobre ricade sul fatto che rappresenta mondialmente il mese dedicato alla prevenzione del tumore al seno, una patologia che ancora oggi colpisce ogni anno, in Italia, circa 55.000 donne. Un intero mese, considerato rosa, per sensibilizzare la popolazione sull’importanza della diagnosi precoce, dei sani e corretti stili di vita e anche del finanziamento alla ricerca scientifica per trovare soluzioni di cura sempre più efficaci. «Sin dalla sua nascita Fondazione Umberto Veronesi è impegnata a finanziare la ricerca scientifica in area oncologica e soprattutto progetti di ricerca che riguardano le patologie tipicamente femminili. Negli anni abbiamo sviluppato numerose iniziative di raccolta fondi a sostegno della ricerca d’eccellenza, e tra queste spicca “Le noci per la ricerca”, un’operazione di grande valore che si rivolge ai consumatori affinché possano orientare sempre più responsabilmente le proprie scelte in materia di salute» afferma Monica Ramaioli, direttore generale di Fondazione Umberto Veronesi. Life, partner tecnico ed esclusivo del progetto, è una storica azienda italiana dedita da tre generazioni alla selezione e lavorazione della frutta secca, essiccata e disidratata. «Le noci per la ricerca sono un bellissimo e consolidato progetto che portiamo avanti oramai da diversi anni a cui la nostra azienda tiene particolarmente perché racchiude in sé il concetto del benessere a 360 gradi, contribuendo sia al benessere fisico del consumatore ed al sostegno alla ricerca, molti sono già stati i ricercatori finanziati dal progetto e siamo certi che la sensibilità dei consumatori aiuterà a sostenerne molti altri. In momenti difficili come quello che stiamo vivendo, ci accorgiamo ancora di più quanto sia importante il sostegno in tal senso» dichiara Davide Sacchi, responsabile marketing di Life. La noce è un alimento consigliato all’interno di una dieta sana e bilanciata. Le noci infatti, sono ricche di grassi insaturi, ovvero i grassi “buoni” che hanno effetti benefici sull’organismo. Un consumo moderato e quotidiano di questi frutti può contribuire alla salute dei vasi sanguigni, ed un apporto quotidiano di grassi mono e polinsaturi aiuta nel normale funzionamento del sistema immunitario, del metabolismo dei grassi e la normale funzione cognitiva. Una sana e corretta alimentazione è uno strumento di prevenzione quotidiano insieme ad attività fisica e astensione da fumo e alcol. La frutta secca, nelle porzioni raccomandate al giorno (1-2 da 30 grammi) può contribuire a fornirci i grassi “buoni”, le proteine e la fibra di cui abbiamo bisogno. Tutto l’anno è possibile acquistare “Le noci per la ricerca”, perché la ricerca scientifica non si deve mai fermare. Ma invitiamo i consumatori ad acquistarle in particolare ad ottobre per dare un segnale forte al sostegno alla ricerca nel capo dell’oncologia femminile, per dare così una speranza concreta alle donne malate di tumore. >> Link: www.fondazioneveronesi.it
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Nasce Food-ER, nuovo hub delle competenze nell’agroalimentare In Emilia-Romagna nasce “Food-ER, EmiliaRomagna International Network for Education and Industrial Research on Food and Beverage”, innovativo percorso di alta formazione. Con uno stanziamento di tre milioni di euro da parte della Regione, Food-ER è frutto della collaborazione delle quattro università regionali: quella di Parma, capofila del progetto, Modena e Reggio Emilia, Bologna e Ferrara. A queste si affiancano, quali soci aggregati, l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza, il Clust-Er Agrifood che riunisce soggetti pubblici e privati, centri di ricerca, imprese ed enti di formazione, medie e piccole imprese regionali e i 5 quartieri fieristici internazionali: Bologna Fiere, Fiere di Parma, Fiere di Rimini-Ieg, Cesena Fiera e Piacenza Expo. Il programma del corso consentirà di progettare e avviare, entro il prossimo triennio, un insieme di attività di formazione per garantire ai giovani gli strumenti utili a lavorare e dare risposte nuove nell’ambito agri-food. L’offerta educativa comprende master di secondo livello, laurea magistrale, alta formazione dedicata alle imprese e rafforzamento dei dottorati di ricerca. Il progetto ha l’obiettivo di rendere l’Emilia-Romagna un polo di attrazione di talenti internazionali e garantire un flusso costante di alte specializzazioni, volto alla crescita delle filiere produttive, alla creazione di imprese innovative e start-up tecnologiche nell’agroalimentare. Le risorse saranno concentrate su progetti strategici che rispondano alle sfide globali del settore e alle esigenze delle imprese, anche acquisendo nuove risorse pubbliche e private (photo © Marco Fortini).
IL FOOD IN RETE
SOCIAL di Elena
1. Prestorik The Culture Clothing Si chiama Prestorik ed è un brand indipendente d’abbigliamento e accessori nato nel 2004 tra le Alpi italiane, ispirato dalla cultura provinciale montana con ironia e poesia. Sono bravissimi! E-shop su shop.prestorik.com e da seguire su www. instagram.com/prestorik_ (photo © facebook.com/prestorik).
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2. Villani, maestri anche nel web Molto bello il sito web di Villani Spa, accessibile in tre lingue (italiano, inglese e francese) al link www.villanisalumi.it, realizzato con uno stile grafico essenziale, curatissimo nelle illustrazioni (davvero stupende!) e la scelta fotografica. Davvero un ottimo lavoro per la società di Castelnuovo Rangone, Modena (photo © villanisalumi.it).
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FOOD Benedetti
3. Niko Romito Laboratorio Ecco un e-shop da seguire: Niko Romito Laboratorio al link shop.laboratorionikoromito.it. “Tutto è nato dal lavoro sul pane, un concentrato di devozione e ricerca. Il cibo base, il più antico. E poi un bouquet di ricette di lievitati, biscotti, prodotti da forno, confetture e nettari che interpretano il gusto tradizionale italiano, alleggeriti in grassi e zuccheri e dal 2020 certificati Bio e Vegan Ok”. La ricerca continua sull’aspetto salutistico del cibo è il motore di questo progetto, naturale estensione della visione dello chef Niko Romito sul futuro della nutrizione (photo © @laboratorio_nikoromito).
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4. Shop B2B Parmigiano Reggiano Il Parmigiano Reggiano cavalca l’onda del trend di crescita delle transazioni on-line lanciando un nuovo canale di vendita riservato alle aziende titolari di partita IVA. Al link shopb2b. parmigianoreggiano.com è possibile acquistare tutta la biodiversità che caratterizza Parmigiano Reggiano con diverse pezzature e stagionature. Il nuovo progetto si inserisce all’interno della serie più ampia di iniziative volte alla promozione delle vendite dirette e dello sviluppo commerciale dei caseifici (photo © parmigianoreggiano.com).
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“DELI.M.E.A.T. – Delicious Moments European Authentic Taste” È partita a fine luglio la nuova campagna promo-informativa “DELI.M.E.A.T. – Delicious Moments European Authentic Taste”, progetto cofinanziato dall’Unione Europea e reso possibile dall’aggregazione del Consorzio Zampone e Cotechino Modena IGP, Consorzio italiano tutela Mortadella Bologna e Consorzio Cacciatore Italiano. Scopo del progetto è quello di contribuire ad aumentare il livello di conoscenza e riconoscimento dei quattro salumi tutelati nei mercati di qualità europei, promuovendo il valore aggiunto dei prodotti in termini di autenticità, sicurezza, tracciabilità ed etichettatura, garantita dalla tutela del marchio europeo attraverso le certificazioni DOP e IGP. Tra gli obiettivi c’è anche quello di migliorare il riconoscimento dei regimi di qualità europei e aumentare la competitività e il consumo consapevole dei prodotti tutelati oggetto della campagna. Il programma si svolge in Italia e Francia nel triennio 2022/2025 e prevede una articolata serie di eventi e iniziative quali: advertising su stampa e on-line, web content creation con coinvolgimento di food blogger e chef, attività di relazioni pubbliche su stampa, radio e tv, eventi ad hoc destinati agli studenti delle scuole di cucina in Italia e settimane di degustazione nei ristoranti francesi, educational tour dedicati agli chef francesi ed eventi per i consumatori sotto l’egida della “Deli Meat Academy” (cooking show, master class, laboratori sulla produzione). Il nome del progetto, oltre a contenere un immediato riferimento all’Europa, contiene alcuni concetti forti, che ben esprimono la strategia: 1. Delicious mette l’accento sulla componente di gratificazione che questi prodotti esprimono (comfort food), sul loro essere di qualità, sul piacere che resta una dimensione indispensabile che deve essere connaturata all’esperienza del cibo, sulla componente più emotiva e irrazionale; 2. Moments sottolinea le occasioni di consumo che il consumatore decide di vivere e gustare al massimo, prendendosi il tempo per scegliere il meglio tra gli alimenti che fanno parte di un regime alimentare sano e completo; 3. European: l’abbinamento del concetto di momenti piacevoli all’Europa, dà un senso di sicurezza e riconduce alla dimensione di autorevolezza superiore ed unionale che connota tutti i prodotti a Indicazione Geografica. 4. Authentic Taste: l’autenticità richiama immediatamente le caratteristiche di unicità, irriproducibilità e il portato di storia, tradizione, significati che i prodotti a marchio esprimono. >> Link: www.facebook.com/delimeatIT — @delimeat_it
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ph: Franceschini Vincenzo
Da oltre 50 anni curiamo i nostri prodotti con grande amore. Selezioniamo solo le migliori carni di suini Italiani e le lavoriamo nel rispetto della tradizione.
FRANCESCHINI GINO & C. SRL Via dei Marmorari, 38 - 41057 Spilamberto (Mo) Tel. + 39 (0) 59784037 - Fax +39 (0) 59784075 - info@franceschinigino.it - www.franceschinigino.it
AZIENDE
PARMACOTTO PRESENTA IL COTTO DI ® PARMA Un Prosciutto Cotto di Alta Qualità preparato esclusivamente con cosce 100% italiane, da filiera controllata. Autentico, genuino l Cotto di Parma® garantisce un gusto al 100% naturale grazie all’utilizzo di aromi ed estratti vegetali che hanno dato vita ad un prosciutto dal profilo aromatico, armonico ed equilibrato. Miele, rosmarino, timo, ginepro, noce moscata, pepe e pepe rosa: sono gli elementi che hanno fatto la differenza nella nascita del prodotto, che ha coinvolto un team di 9 esperti e 4 anni di studio, ricerca e concretizzazione. Un’esplosione vera e propria di aromi vegetali, floreali e speziati, capaci di regalare innumerevoli sfumature percorrendo la strada dell’eccellenza. Il risultato? Un prosciutto dal profilo organolettico perfettamente bilanciato tra aromi floreali, speziati e vegetali.
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Attenzione alla cottura Cotto di Parma® è prodotto con una particolare attenzione alla cottura a vapore: le cosce vengono cotte lentamente al forno a basse e controllate temperature per un giorno intero. La temperatura viene successivamente gradualmente innalzata fino a raggiungere il cuore del prodotto. Questa cottura a scalare permette di non alterare il prodotto e ridurre al minimo la dispersione degli aromi. Tale processo si conclude con una fase a secco che dona una leggera arrostitura esterna.
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Un Prosciutto Alta Qualità 100% italiano Disponibile in vaschetta per il libero servizio e intero al banco taglio, Il Cotto di Parma® è un Prosciutto Cotto
di Alta Qualità, prodotto con 100% carne italiana, da filiera controllata, con aromi naturali ed estratti vegetali, senza glutine, senza glutammato monosodico aggiunto, senza latte e derivati.
Coi suoi 3 brand — Parmacotto, Boschi Fratelli e Parmacotto LLC negli USA — Parmacotto Group firma e produce un’offerta completa di salumi sicuri ed equilibrati: cotti, stagionati e avicoli caratterizzati da un’attenta selezione delle materie prime. All’interno dei suoi 4 siti produttivi, metodi e ricette tradizionali incontrano processi innovativi e all’avanguardia nel rispetto dei più elevati standard qualitativi. Oggi, grazie alla sua vocazione all’export, Parmacotto Group è in grado di rispondere anche alle esigenze dei mercati internazionali, mettendo il suo know-how a disposizione delle esigenze dei consumatori in Europa e America. Con un approccio che mette il benessere delle persone al centro, il Gruppo ha intrapreso un percorso concreto verso la sostenibilità chiamato #FeelinGood. >> Link: www.parmacottogroup.com
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Questo è il risultato di chi non si accontenta. Il frutto di tutta la nostra esperienza. Chiedilo al tuo salumiere o cercalo nel banco frigo.
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CRUDO DI CUNEO, LE GARANZIE DI UNA DOP Scegliere di acquistare una Indicazione Geografica, come è dal 2009 il Prosciutto Crudo di Cuneo DOP, significa avere dalla propria parte tutte la garanzie che derivano da un “sistema qualità” che prevede controlli in ogni fase della produzione effettuati da enti terzi Italia è il Paese europeo con il maggior numero di prodotti agroalimentari a Denominazione di Origine Protetta (DOP) e a Indicazione Geografica Protetta (IGP) riconosciuti dall’Unione Europea. Un sistema, quello delle Indicazioni Geografiche dell’UE, che favorisce il sistema produttivo e l’economia del territorio, tutela l’ambiente, sostiene la coesione sociale e, al contempo, grazie alla certificazione comunitaria, fornisce maggiori garanzie a chi le DOP e le IGP acquista (consumatori finali, commercianti e proprietari di attività commerciali, aziende, ecc…), con un livello di tracciabilità e di sicurezza alimentare più elevato rispetto ad altri prodotti. Non a caso, anche nell’anno segnato dalla pandemia, che ha messo in discussione molti fattori alla base dei sistemi di produzione, distribuzione e consumo, la DOP Economy — ovvero il sistema economico e produttivo del comparto agroalimentare e vitivinicolo a Indicazione Geografica — ha confermato il proprio ruolo da protagonista
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nel sostenere l’economia e il tessuto sociale del Paese (fonte dati: Rapporto Ismea-Qualivita). «Se il consumatore degli anni ‘80 in Italia era attratto dal brand aziendale e dalla sua forza comunicativa e distributiva, e spesso non si interrogava su origine e percorso di filiera di ciascun ingrediente, negli anni il customer journey è molto cambiato e termini come “etichetta”, “tracciabilità”, “qualità certificata” sono diventati sempre più usati nel vocabolario degli studiosi di marketing» ha dichiarato MAURO ROSATI, direttore generale della Fondazione Qualivita. E questo perché si è compreso il valore aggiunto di una DOP o di una IGP. Valore che si fonda su diversi elementi, come dimostra il caso del Prosciutto Crudo di Cuneo DOP. Legame col territorio e qualità elevata della materia prima Sono diversi i prosciutti della tradizione italiana che possiedono la tutela delle Indicazioni Geografiche europee di quali DOP o IGP: il prosciutto di Parma e il San Daniele, quello di Modena, di
Carpegna, il Veneto Berico-Euganeo, il Toscano, quello di Norcia, quello di Sauris, l’Amatriciano, il valdostano Jambon de Bosses e, appunto, il Prosciutto crudo di Cuneo DOP. Quest’ultimo ha ottenuto la Denominazione di Origine Protetta europea nel dicembre 2009. Da quel momento, si è potuta avviare la produzione di prosciutti marchiati Crudo di Cuneo DOP all’interno dell’area di produzione segnalata dal Disciplinare. Le fasi del ciclo produttivo del crudo di Cuneo, infatti, dalla nascita dei suini all’affettatura del prodotto, devono svolgersi in un’area ben delimitata,
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e in particolare la Provincia di Cuneo e l’area Sud di Torino, sono infatti aree tradizionalmente produttrici di cereali come mais, grano, orzo e altri cereali e di soia. Una materia prima eccellente, dunque, tracciata passo dopo passo.
La tracciabilità del prosciutto Crudo di Cuneo DOP è garantita dai marchi a fuoco o a inchiostro indelebile apposti da ogni componente della filiera: in qualsiasi momento è possibile risalire tutti i passaggi della catena produttiva e identificarne l’autore. che comprende la provincia di Cuneo, la provincia di Asti e 54 comuni della provincia di Torino. Questo territorio, sin dal Medioevo, un’area ricca di boschi di querce e castagni, disponeva e dispone tutt’oggi di grandi quantità di suini idonei al consumo umano e alla trasformazione e conservazione delle loro carni. Inoltre — altro elemento necessario alla realizzazione del prosciutto — grazie al fatto di essere al centro delle “vie del sale”, cioè i percorsi, le mulattiere e le strade sulle quali avveniva il trasporto delle merci nei secoli passati, era disponibile sale in abbondanza.
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Infine, nella zona di produzione del Prosciutto crudo di Cuneo DOP sussiste un microclima condizionato dalle correnti d’aria tiepide e secche che salgono dalla Liguria e dalla Provenza e scendono nell’altipiano cuneese che si rivela ideale per la stagionatura dei salumi, con temperature medie, non particolarmente fredde d’inverno e non torride d’estate, e basso livello di umidità. Anche le materie prime utilizzate per l’alimentazione dei maiali destinati alla produzione del Crudo di Cuneo provengono principalmente dall’area di produzione del prosciutto stesso. Il Piemonte,
Sistema Qualità e etichettatura elettronica Il Sistema Qualità del Crudo di Cuneo DOP è basato su diversi segni identificativi e il processo produttivo è totalmente tracciato con un tatuaggio identificativo dell’allevamento di nascita apposto sulle cosce di ogni maiale; un timbro a fuoco apposto dal macello su tutte le cosce destinate alla produzione del prosciutto; un timbro a fuoco su ogni singola coscia, apposto dal produttore, della data di entrata salagione; il marchio a fuoco della DOP apposto dall’ente terzo di controllo su ogni prosciutto a stagionatura ultimata. Proprio la terzietà dell’ente incaricato dal MIPAAF costituisce un ulteriore valore aggiunto per l’acquirente: un tratto distintivo di tutti i prodotti DOP e IGP italiani, che offrono il massimo in termini di garanzie, lavorazione e qualità della materia prima. In aggiunta a questi elementi la DOP Crudo di Cuneo ha applicato un sistema di etichettatura — prima DOP italiana a farlo — che consente di identificare ogni singolo prosciutto in maniera moderna e veloce. Si tratta di una “carta d’identità” cartacea alla quale è stato applicato un QR Code — leggibile attraverso smartphone o iphone o tablet — contenente tutte le informazioni sul prodotto a disposizione con un semplice clic: dove è nato il maiale, chi lo ha allevato e cosa ha mangiato, chi l’ha trasformato, ha realizzato la stagionatura e quanto è durata, qual è il valore nutrizionale. Non si può infatti dimenticare la ricchezza di questo prodotto, fonte di proteine, vitamine e grassi, oltre che di ferro e altri minerali. >> Link: www.prosciuttocrudodicuneo.it
REGIONE PIEMONTE PSR 2014-2020 – Regione Piemonte Misura 3.2.1 – Informazione e promozione dei prodotti agricoli di Qualità Bando 1/2022_B – Progetto di valorizzazione dei prodotti agricoli e alimentari di qualità del Piemonte, DOP e IGP
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Salumi DOP e IGP: una garanzia per il consumatore Per proteggere la tipicità di alcuni prodotti alimentari, l’Unione Europea ha varato una precisa normativa, stabilendo due livelli di riconoscimento, DOP e IGP. Entrambi i riconoscimenti costituiscono una valida garanzia per il consumatore, che sa così di acquistare alimenti di qualità, che devono rispondere a determinati requisiti e sono prodotti nel rispetto di precisi disciplinari. Rispetto assicurato da specifici organismi di controllo, autorizzati dal Ministero delle Politiche Agricole e Forestali. I salumi italiani che hanno ottenuto i riconoscimenti europei DOP e IGP rappresentano circa 1/4 del patrimonio di prodotti carnei tipici europei a testimoniare che l’Italia è il Paese che può offrire la più ampia varietà di salumi pregiati e di qualità. • La DOP (Denominazione di Origine Protetta) designa un prodotto originario di una regione e di un paese le cui qualità e caratteristiche siano essenzialmente o esclusivamente dovute all’ambiente geografico (termine che comprende i fattori naturali e quelli umani). Tutta la produzione, la trasformazione e l’elaborazione del prodotto devono avvenire nell’area delimitata, nel rispetto di una ben definita ricetta tradizionale. • La IGP (Indicazione Geografica Protetta) introduce un livello di tutela che tiene conto dello sviluppo industriale del settore, dando più peso alle tecniche di produzione rispetto al vincolo territoriale. La sigla identifica un prodotto originario di una regione e di un paese le cui qualità, reputazione, ricetta e caratteristiche si possano ricondurre all’origine geografica e di cui almeno una fase della produzione e/o trasformazione e/o elaborazione avvenga nell’area delimitata (fonte: www.salumi-italiani.it). Prosciutti crudi italiani tutelati da DOP o IGP e anno di riconoscimento della IG Prosciutto di Parma DOP (1996) Prosciutto di San Daniele DOP (1996) Prosciutto di Modena DOP (1996) Prosciutto Veneto Berico-Euganeo DOP (1996) Jambon de Bosses DOP (1996) Prosciutto di Carpegna DOP (1996) Prosciutto Toscano DOP (1996) Prosciutto di Norcia IGP (1997) Crudo di Cuneo DOP (2009) Prosciutto di Sauris IGP (2010) Prosciutto Amatriciano IGP (2011)
Photo © www.trustyourtaste.eu
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GANDA HAM:
anche il Belgio ha il suo prosciutto crudo di qualità di Gaia Borghi
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entre Haarlem, comune olandese ubicato ad ovest di Amsterdam, diventerà la prima città al mondo a vietare, a partire dal 2024, la pubblicità della carne sugli autobus e negli spazi pubblici (decisione presa dalle istituzioni cittadine dopo aver aggiunto la carne ad un elenco di prodotti ritenuti responsabili della crisi climatica…), a 238 km di distanza, poco più di tre ore in auto, di carne e del futuro di questo comparto si è discusso, confrontando le opinioni di imprenditori, rappresentanti
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di associazioni e stampa. Complice la 17a edizione della Tavola rotonda organizzata dal Belgian Meat Office – Vlam.be, che ha invitato PREMIATA SALUMERIA ITALIANA e altre testate di settore europee a Gent, incantevole cittadina nel cuore delle Fiandre, ricca di arte e di storia. Il Belgio è un player strategico nell’offerta a livello europeo di carni bovine e suine, esportando la propria produzione in oltre 60 Paesi in tutto il mondo. Carni e prodotti a base di carne la cui qualità e sicurezza sono garantite da sistemi di tracciabilità di filiera che
da anni sono l’orgoglio di un settore forte economicamente e, elemento non di poco conto, fortemente coeso al suo interno. Carne che, a dispetto di trend alimentari più o meno veg fin troppo enfatizzati dai media, che cozzano con una realtà dove le scelte che prevedono l’eliminazione assoluta di carne e prodotti carnei restano a tutt’oggi una nicchia, occupa un ruolo di prim’ordine sulle tavole belghe: da un sondaggio recente è infatti emerso che oltre il 95% della popolazione consuma carne ogni settimana, compresi giovani e famiglie.
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«Già ai tempi del De Bello Gallico nei territori del Belgio il numero dei capi suini era superiore a quello delle persone» ricorda Joris Coenen, manager del Belgian Meat Office. «Il nostro settore vanta una lunghissima tradizione a cui si accompagnano moderne tecnologie e specializzazione, nonché un sistema di gestione del rischio che vanta una reputazione a livello mondiale». Ganda Ham, orgoglio belga Il Belgio ama la salumeria made in Italy: è infatti il terzo mercato più grande per le aziende salumiere italiane dopo Germania e Francia, con scambi di 8.511 tonnellate e un valore di circa 100 milioni di euro nel periodo gennaionovembre 2021 (dati: ASS.I.CA.). Ma anche il Belgio produce ottimi insaccati e, soprattutto, un prosciutto crudo di qualità la cui produzione artigianale è consolidata nel tempo. Carne di maiale di provenienza belga al 100%, sale marino, tempo, saper fare artigiano e certificazioni di qualità come il marchio Meesterlyck:
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il Prosciutto di Gent, “Ganda Ham”, dall’antico nome della città, è il prodotto di punta della CORMA VLEESWAREN NV (www.ganda.be). L’azienda nasce nel 1954 quando Roger Cornelis e Maria Mattheeuws avviano una macelleria a Wetteren, nelle Fiandre orientali, per poi trasferirla a Mariakerke. Nel 1968 il figlio Dirk Cornelis apre a Destelbergen uno stabilimento di produzione di prosciutti crudi e cotti e altri prodotti a base di carne. Nel 1985 il “Ganda Ham” diventa marchio registrato. Nel 1991, la macelleria e la produzione di tutti gli altri prodotti vengono cedute per concentrare tutte le attività sul Ganda Ham. «Oggi la nostra azienda produce sia prosciutti e altri insaccati e prodotti a base di carne che formaggi. Con i prosciutti a marchio Ganda e Bruges realizziamo un fatturato di circa 15 milioni di euro» dicono i fratelli Matheo e Valerie Cornelis, i quali, insieme al direttore generale Koen Damme, hanno rilevato la gestione della società dal padre Dirk nel mese di settembre scorso.
Con 55 dipendenti, la produzione di prosciutti crudi si attesta a circa 165.000 unità l’anno. Per la quasi totalità si tratta di prosciutti disossasti e pressati, senza pelle, con 11 mesi di stagionatura (fino a un massimo di 14). Il 95% delle vendite è diretto al mercato nazionale belga. Con gli insaccati a base di carne bovina (da razze Wagyu Australia, Angus USA, Rubia Gallega, Simmental) e con la linea biologica puntano a raggiungere il mercato estero. Il prosciutto crudo di Gent è un prodotto molto amato e consumato a livello nazionale, il cui futuro, anche grazie alla giovane gestione, punta diritto verso la sostenibilità e naturalità a 360°. «Già nostro padre Dirk aveva iniziato ad intraprendere questo percorso» ci dice Valerie Cornelis. «Oggi noi proseguiamo in questa direzione green, puntando ad eliminare i nitriti da tutti i nostri prodotti (il prosciutto crudo ne è naturalmente già esente) e diminuendo sempre più l’impatto ambientale dei nostri stabilimenti produttivi». Gaia Borghi
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Fumagalli Salumi pubblica il nuovo Report di SOSTENIBILITÀ REDATTO TENENDO FEDE AD UN FRAMEWORK INTERNAZIONALE n documento ambizioso, strutturato secondo una logica inedita per la FUMAGALLI SALUMI. Un passo in avanti in un ambito, quello della sostenibilità, fra le priorità del brand da ormai un
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decennio, oggi più che mai cruciale visto l’ampio scenario di crisi tra pandemia, guerra e scarsità di energia e materie prime. Per redigere il suo nuovo Report di Sostenibilità — che prende in esame le modalità con le quali l’azienda opera
per la creazione di valore a lungo termine, fissandone prospettive e obiettivi fondamentali —, è stato adottato per la prima volta un framework internazionale denominato IR (Integrated Reporting); esso integra strategicamente aspetti
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di natura economica e di governance a elementi più puramente “socio-ambientali”, sfruttando indicatori specifici per il metodo di misurazione e facendo riferimento alle disclosure offerte dai Sustainable Development Goals sanciti dalle Nazioni Unite. Uno dei principi dell’IR è infatti la trasparenza nei confronti degli stakeholder e l’azienda ha come obiettivo quello di garantire una profittabilità nel tempo. Ma per essere profittevoli nel lungo periodo è necessario integrare la sostenibilità economica nel business ad una costante attenzione su tematiche di natura sociale e ambientale, ascoltando le istanze che provengono da tutti gli attori che contribuiscono a creare valore insieme al brand. Ed ecco perché Fumagalli ha innescato un processo di ascolto e interazione con tutti i portatori di interesse: dipendenti, agenti, associazioni di categoria, clienti, attori del territorio, fornitori, consulenti, media e ONG hanno fatto emergere spunti ed integrazioni utili all’arricchimento dei temi trattati. La struttura La versione definitiva del documento si identifica di fatto come una road map contenente azioni e prospettive volte
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ad una strategia di sostenibilità che abbracci appieno quella aziendale, contribuendo attivamente allo sviluppo di performance misurabili per il brand, distante da logiche ecologiste di facciata. Circa il metodo di redazione, il report rendiconta strategie, obiettivi e performance dal 2019 al 2021, prendendo in esame il piano di sostenibilità in essere approvato dal board aziendale per il triennio 2022-24. Consta in totale di 4 parti che passano rispettivamente in rassegna l’organizzazione del gruppo (incluse la storia e la sua identità), organi, principi e procedure di cui la Fumagalli si è dotata per la corretta gestione, l’utilizzo di capitali finanziari e non per generare valore e, infine, i risultati delle attività e degli obiettivi declinati nelle dimensioni ambientali, sociali ed economiche. Tra le azioni pianificate da Fumagalli nel prossimo futuro, la realizzazione di impianti fotovoltaici nelle proprie sedi operative per produrre almeno un terzo dell’energia elettrica necessaria alla produzione e un impegno crescente sugli impatti del packaging (imballi inclusi), dei sistemi di confezionamento e della logistica, in un’ottica di continuo miglioramento. >> Link: fumagallisalumi.it
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DOARDO ZANOTTINI, 30 anni, e LORENZO QUACCIA, 29, sono i protagonisti di una bella storia d’imprenditoria giovanile. Laureato in Economia il primo, con esperienze di ristorazione e vino il secondo, i due hanno usufruito di un
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programma di sostegno manageriale ed economico delle regioni Piemonte e Val d’Aosta con l’idea di valorizzare la trota alpina come prodotto gastronomico di qualità. Entrambi piemontesi del Canavese, nel 2019 hanno aperto Altura, un laboratorio di trasformazione con punto
vendita nel paese di Verrès (AO). La giovane impresa è stata costituita dopo due anni di formazione professionale: il primo a Domodossola, Piemonte, su come si apre e gestisce un’azienda, nell’ambito del programma Restart Alp; il secondo in Val d’Aosta, un anno di
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A pagina 46: sfilettatura della trota salmonata. In questa pagina, una cella del laboratorio di Altura – Trota Alpina Affumicata a Verrès (AO). 47
Lo staff di Altura: Martina, Lorenzo, Jonathan e Federica. Oggi Altura è presente in punti vendita e ristoranti della Val d’Aosta e del nord del Piemonte, ma la rete è in espansione e muove i primi passi fuori zona, a Parma e a Roma. formazione pratica sull’affumicatura e la lavorazione del pesce, con il supporto dell’incubatore d’impresa Pepiniere. Oggi l’azienda ha tre dipendenti, tra cui Martina, moglie di Lorenzo. L’idea vincente di Altura – Trota Alpina Affumicata è di lavorare e trasformare un pesce tipico dei torrenti valdostani, che tradizionalmente era affumicato e stagionato in casa. Il target iniziale del progetto era il canale di ristorazione, ma eravamo nel 2019, l’anno successivo piombò sulle nostre teste il Covid e sappiamo com’è andata a finire ai proprietari dei locali. Così, per sopravvivere alle restrizioni, la giovane impresa ha deciso di puntare sul commercio elettronico e i privati, un diversivo di mercato che ha dimostrato presto di funzionare e che ancora rappresenta una quota importante del venduto, anche se il canale HO.RE.CA. (ristorazione e botteghe del gusto) dovrà tornare preminente. L’idea di Quaccia e Zanottini, infatti, ha preso forma per offrire al cliente professionale un prodotto d’alta qualità da usare in cucina nelle ricette e negli abbinamenti e non solo da proporre semplicemente com’è, per la sua bontà. Oggi Altura è presente in punti vendita e ristoranti della Val d’Aosta e del nord del Piemonte, ma la rete è in
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espansione e muove i primi passi fuori zona, a Parma e a Roma. Questi i numeri: 5-6 quintali di trote a settimana, acquistate da allevatori delle due regioni, IVAN SPATARI e i FRATELLI TESTA, due troticoltori dell’arco alpino che lavorano rispettando parametri rigidi, ovvero ossigenazione dell’acqua minimo al 90%, acqua di sorgente in movimento, bassa densità di popolazione e spazio per nuotare (per avere trote magre). E inoltre: zero antibiotici e pulizia del pesce. Altura trasforma tre tipi di trota — la fario, la salmonata e l’iridea — oltre al salmerino e al coregone del Lago Maggiore; più chiara la carne dell’iridea perché nutrita a base di alghe, più rosea la salmonata perché alimentata anche con polveri di crostacei. L’affumicatura del pesce è delicata e a freddo, a meno di 18 gradi centigradi, fatta con legni di melo, faggio e ontano e una durata di 4-6 ore a seconda della stagione e della pezzatura del pesce, in media, di 300-350 grammi; un po’ più grande la salmonata. Questo il processo. Una volta scongelato il pesce è marinato sottovuoto in sale bilanciato per 24 ore e il giorno successivo deliscato ed eviscerato, infine affumicato e stagionato per 2-3 giorni a 4 gradi, con fluttuazione dell’umidità. Nel frattempo
le baffe di trota sono rifinite e pulite (coda, spinette, ecc…). A questo punto il prodotto è pronto per essere imbustato sottovuoto, a fette o trancio. La salmonata e l’iridea sono proposte anche aromatizzate con erbe officinali alpine e in versione affumicatura a caldo con legno di ciliegio (56-60 gradi per 30 minuti); in questo modo la carne acquista una consistenza simile al tonno sottolio. I prezzi variano da 70 a 90 €/kg. Altura produce inoltre una linea di conserve e bocconcini di trota e salmerino, caviale di trota, caviale di salmerino e di coregone, bottarga di trota, di salmerino e di coregone. Sta inoltre sperimentando la produzione di salumi di pesce d’acqua dolce, tra cui una “mortadella” di trota salmonata, il cui grasso è ottenuto dal grasso delle guance del pesce, e una “mocetta” di trota salmonata, questa più magra. Massimiliano Rella Altura – Trota Alpina Affumicata Via Duca d’Aosta 56 11029 Verrès (AO) Telefono: 375 5378364 Web: www.trota-altura.com Nota Photo © Massimiliano Rella.
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VISUAL
ALLESTIMENTO CREATIVO E
INNOVATIVO di Elena Benedetti
Photo © Monkey Business Images
Inizia con questo numero della Rivista una nuova rubrica che si prefigge l’obiettivo di aiutare le salumerie, le botteghe di gastronomia e gli esercizi commerciali nell’allestimento del proprio punto vendita
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In un negozio la vetrina è sempre l’elemento sul quale c’è più attenzione, essendo il canale che serve a catturare l’attenzione del cliente e a dare l’input all’entrata. Ma anche per quanto riguarda gli interni è fondamentale mantenere ordine e una coerenza nell’esposizione (photo © Monkey Business Images).
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cosa serve disporre la merce migliore che si ha da vendere, se non si sa presentare il prodotto ai clienti con le giuste tecniche di visual merchandising? Una presentazione visiva ad alto impatto attrae e coinvolge la clientela, aumenta il volume d’affari e rafforza il brand. Così come la scelta della merce deve essere in linea col brand, anche la presentazione visiva deve essere coerente con filosofia, estetica e messaggio del marchio” scrive GIULIA GRECO, esperta di Retail sul blog di Shopify, la piattaforma per il commercio elettronico, in cui gli utenti possono creare il proprio negozio on-line. L’organizzazione degli spazi e dei prodotti all’interno di un negozio è tutto fuorché scontata e semplice: è infatti necessario ricreare degli ambienti stimolanti ed emotivamente coinvolgenti che permettano al cliente di orientarsi facilmente nelle scelte d’acquisto senza trascurare l’aspetto prevalentemente visivo. È ovvio che la vetrina sia sempre l’elemento sul quale c’è più attenzione, essendo il canale che serve a catturare l’attenzione del cliente e a dare l’input all’entrata. Ma anche per quanto riguarda gli interni è fondamentale mantenere ordine e una coerenza nell’esposizione, suddividendo gli spazi per categoria di
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articoli e per abbinamento (ad esempio gli snack da aperitivo vicini alle bottiglie di vini con le bollicine) e scegliere i prodotti giusti da mettere in vetrina, in modo tale da attirare quanti più clienti possibile ad entrare. Cos’è il visual merchandising? Il visual merchandising è una strategia di commercializzazione basata su stimoli sensoriali e consiste nell’insieme di operazioni che collocano il prodotto all’interno del punto di vendita in sintonia con le scelte del format (o della strategia commerciale) e che riguardano il sistema espositivo, l’ambientazione, l’illuminazione, la grafica. La traduzione letterale è visualizzazione della merce, ma indica una serie di operazioni molto più complesse di una semplice esposizione di prodotti: un linguaggio commerciale creativo. Più in generale, riguardano l’atmosfera prodotta dagli stimoli sensoriali che il prodotto esposto è in grado di indurre nel cliente per attirarne maggiormente l’attenzione e aumentare i volumi di vendita. Per la creazione di questi stimoli sensoriali vengono utilizzati i 5 sensi che l’uomo ha a disposizione: 1. vista: è la più importante in quanto giunge per prima al cliente, tutto deve essere ben visibile con uno sguardo; 2. udito: l’utilizzo di musiche o suoni
che rappresentino la filosofia della marca; 3. olfatto: grazie all’utilizzo di fragranze si stimolano i ricordi limbici nel cervello del consumatore; 4. tatto: fondamentale per poter abbattere la barriera tra consumatore e produttore; tutta la merce deve essere "toccabile", dall’abbigliamento al tecnologico; 5. gusto: grazie alla possibilità dell’assaggio si avvicina il prodotto al cliente. Importante è ricordare che tutti i sensi devono seguire un filo logico, lo stile del marchio. Grazie all’utilizzo delle tecniche di visual merchandising, si passa da una vendita assistita, alla libera vendita. Il visual merchandising è inoltre una tecnica che serve a facilitare la preselezione e l’acquisto da parte del cliente esponendo la merce in una sequenza logica riferita alla priorità di scelta del cliente stesso (per esempio la sequenza di utilizzo). In questo primo articolo analizziamo le prime 2 tecniche efficaci di visual merchandising. Installazione di smart mirror ed elementi high-tech Il cliente inizia la sua shopping experience, la sua esperienza di acquisto, quando è davanti alla vetrina; occorre quindi fare in modo che già al primo impatto il negozio risulti invitante. Come
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fare? Secondo Giulia Greco la chiave è l’innovazione. Serve quindi qualche elemento capace di attirare l’attenzione: se la gastronomia o salumeria ha un arredo che rimanda alle antiche botteghe si potrebbero inserire uno o più elementi vintage (una Berkel da collezione, qualche utensile del passato, stampe, libri). Viceversa, se il mood è moderno e contemporaneo si potrebbe optare per un elemento video o grafiche (poster, per esempio) con illustrazioni colorate e di tendenza attinenti ovviamente al proprio range di prodotti. Indipendentemente dalla tipologia di supporti che si utilizza per esporre la merce, occorre adottare la giusta strategia nel posizionare scaffali ed espositori all’interno dello spazio adibito alla vendita. Giulia Greco ci ricorda che le esposizioni complesse e affollate di elementi sono penalizzanti per i prodotti. “E poi occorre considerare l’altezza di espositori e scaffali:
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non basta che il messaggio raggiunga il cliente: bisogna rendere il prodotto fisicamente accessibile assicuratevi che il prodotto sia acquistabile dal cliente, cioè a portata di mano (a 50-150 cm da terra)”. Il canale tradizionale dei negozi di quartiere, gastronomie e salumerie, sono un’eccellenza del retail food che il mondo ci invidia (per qualità e assortimento di prodotti unici dei territori dal Nord al Sud Italia) e che ha retto bene alla crisi pandemica. Un confronto con punti vendita all’estero, soprattutto in Centro-Nord Europa, fa però emergere anche una scarsa attenzione all’allestimento e alla comunicazione verso il cliente, con pochi criteri espositivi certi sul visual merchandising del food. Obiettivo di questa rubrica sarà quindi dare stimoli e idee per rendere il proprio allestimento più funzionale alle vendite. Elena Benedetti
Il cliente inizia la sua shopping experience, la sua esperienza di acquisto, quando è davanti alla vetrina; occorre quindi fare in modo che già al primo impatto il negozio risulti invitante (photo © Rawpixel Ltd.).
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GASTRONOMIA SOSTENIBILE
AUMENTA LA RICERCA DI CIBI SOSTENIBILI, GENUINI E DI QUALITÀ Da un’indagine dell’Osservatorio Alimentare di Berkel 6 Italiani su 10 sono disposti a spendere di più per quelli certificati
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a sostenibilità permea oggi tutti gli ambiti della vita quotidiana e del business, portando ad una riconver-
sione dei processi e delle dinamiche di imprese e industrie. Non fa eccezione il settore dei salumi, che sta vivendo un grande momento di trasformazione
legato anche alla maggiore attenzione a prodotti gastronomici sostenibili da parte dei consumatori italiani. È quanto emerge da una ricerca condotta
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dall’Osservatorio Alimentare di Berkel, azienda di food furniture made in Italy del GRUPPO ROVAGNATI, secondo cui circa 6 consumatori su 10 (il 59,4%) dichiarano di essere disposti a pagare un sovrapprezzo per salumi che riportino una certificazione di sostenibilità. I consumatori optano sempre di più per una gastronomia rispettosa dell’ambiente, a tal punto che il 69% predilige l’acquisto di salumi a km 0. Tra gli altri fattori che influenzano la decisione di acquisto di questi prodotti, vi sono inoltre la presenza di una certificazione DOP/IGP (67%), la provenienza da una filiera controllata e sostenibile (66,3%) e la tracciabilità del prodotto (64,9%). Infine, il 46,5% dei consumatori reputa importante che il salume sia biologico, mentre il 45,5% che abbia una certificazione green. Affettati al momento è meglio: ne guadagna il gusto e si limitano gli sprechi Per gli Italiani la gastronomia è inoltre associata ad un concetto di bontà e naturalezza: il 62% vi collega valori quali la genuinità, più di 1 Italiano su 3 reputa i salumi salutari e il 28% li considera prodotti dietetici. Secondo la ricerca, questa tendenza si riflette anche nella fase di consumo: l’84,7% dichiara di preferire consumare i salumi tagliati al momento, e, proprio per questo, il 37,3% dichiara di acquistare tranci da tagliare a casa. Ciò non soltanto consente di ottenere il meglio dal prodotto in termini di qualità e sapore, ma, potendo scegliere la precisa quantità di affettato da consumare, permette di limitare gli sprechi e risparmiare. In linea con questi dati, dalla ricerca è infatti emerso che i consumatori possiedono nella propria cucina gli strumenti adatti per poter tagliare e gustare al meglio i salumi che acquistano: la maggioranza, pari al 50,4%, afferma di possedere coltelleria specifica allo, mentre una percentuale consistente, il 36,3%, possiede un’affettatrice. Tra coloro che invece non ne possiedono alcuno, un terzo (il 29%) è interessato all’acquisto di un’affettatrice. (fonte: EFA News – European Food Agency).
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ETICHETTATURA Lo rileva l’ultima edizione dell’Osservatorio Immagino di GS1 Italy
SOSTENIBILITÀ: NUOVO RECORD DI VENDITE DEI PRODOTTI CHE LA COMUNICANO IN ETICHETTA a sostenibilità si fa strada sulle etichette dei prodotti di largo consumo venduti in supermercati e ipermercati e a misurarne la crescita è l’Osservatorio Immagino di GS1 Italy, il monitoraggio semestrale che racconta l’evoluzione del carrello della spesa incrociando le informazioni presenti sulle etichette e sulle confezioni dei prodotti digitalizzate dal servizio Immagino di GS1 Italy con i dati elaborati da NIELSENIQ su venduto nella GDO, consumo e fruizione dei media. Dall’ultima edizione di questo studio emerge che il 25,6% dei prodotti a scaffale presenta on-pack uno dei 35 claim sulla sostenibilità rilevati: nel 2021 queste 32.787 referenze (tra food, bevande, cura casa, cura persona e prodotti per animali domestici) hanno realizzato 12,5 miliardi di euro di vendite, in crescita annua di +1,2%. «La sostenibilità, in tutte le sue tante sfaccettature, si conferma uno dei temi più significativi e pervasivi nel mondo del largo consumo in Italia» spiega MARCO CUPPINI, research and communication director di GS1 Italy. «Siamo di fronte a un universo di valori in veloce evoluzione e ampliamento, che coinvolge un numero crescente di prodotti. L’offerta di prodotti con almeno un claim sulla sostenibilità in etichetta è aumentata del 5,3%, mostrando come le aziende siano impegnate su questo fronte e come scelgano di comunicarlo
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L’offerta di prodotti con almeno un claim sulla sostenibilità in etichetta è aumentata del 5,3%, mostrando come le aziende siano impegnate su questo fronte e come scelgano di comunicarlo sempre più spesso ai consumatori utilizzando la confezione.
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sempre più spesso ai consumatori utilizzando quel potente touchpoint che è la confezione dei prodotti di largo consumo». Anche in questa edizione, come fa dal 2020, l’Osservatorio Immagino ha suddiviso i 35 claim del mondo della sostenibilità rilevati in 4 cluster tematici: 1. management sostenibile delle risorse: i 15 claim rilevati in quest’area (come “riciclabile”, “meno plastica” e la certificazione Ecolabel) sono stati individuati sull’11,8% dei prodotti. Il loro apporto al sell-out complessivo è del 19,2% e il loro giro d’affari è aumentato del 3,0% rispetto al 2020; 2. agricoltura e allevamento sostenibili: il 10,5% dei prodotti rilevati presenta in etichetta uno dei nove claim di quest’area (ad esempio, “senza antibiotici” o “filiera”). La quota sulle vendite totali è del 7,8% e la crescita annua del sell-out è stata di +1,1%; 3. responsabilità sociale: le cinque certificazioni di questo paniere (come FSC, Rainforest Alliance e Fairtrade) accomunano il 6,5% delle referenze, che contribuiscono per il 10,6% alle vendite complessive. Il trend annuo a valore è di +3,5%; 4. rispetto degli animali: il 2,4% dei prodotti presenti in supermercati e ipermercati dichiara esplicitamente sulle confezioni l’impegno a tutela degli animali, utilizzando almeno uno dei sei claim rilevati (come “benessere animale”, “no cruelty” o la certificazione Friend of the Sea”). Complessivamente il loro apporto al sell-out totale è del 4,4% e la crescita ottenuta in un anno è stata di +1,6%.
L’evoluzione della spesa in GDO L’Osservatorio Immagino di GS1 Italy effettua il monitoraggio semestrale che racconta l’evoluzione del carrello della spesa. In che modo? Incrociando le informazioni presenti sulle etichette e sulle confezioni dei prodotti digitalizzate dal servizio Immagino di GS1 Italy con i dati elaborati da NielsenIQ su venduto nella GDO, consumo e fruizione dei media. A partire dall’introduzione rivoluzionaria del codice a barre nel 1973, l’organizzazione non profit GS1 sviluppa gli standard più utilizzati al mondo per la comunicazione tra imprese. In Italia, GS1 Italy riunisce 40.000 imprese dei settori largo consumo, sanitario, bancario, della pubblica amministrazione e della logistica. I sistemi standard GS1, i processi condivisi ECR, i servizi e gli osservatori di ricerca che GS1 Italy mette a disposizione semplificano e accelerano il processo della trasformazione digitale delle imprese e della supply chain, perché permettono alle aziende di creare esperienze gratificanti per il consumatore, aumentare la trasparenza, ridurre i costi e fare scelte sostenibili. >> Link: gs1it.org – tendenzeonline.info
Nel corso del 2021 i panieri più dinamici nel mondo della sostenibilità sono stati quello della responsabilità sociale e quello del management sostenibile delle risorse, le cui vendite sono cresciute a un tasso triplo rispetto alla media di quest’universo. Sopra media anche l’andamento annuo del paniere della responsabilità
Il valore della spesa “green” degli Italiani è arrivato a 12,5 miliardi di euro tra super e ipermercati: oltre 1 prodotto a scaffale su 4 parla di sostenibilità in etichetta. Per Marco Cuppini, GS1 Italy, «c’è un universo di valori in veloce evoluzione e ampliamento che coinvolge sempre più prodotti». Le aziende sono impegnate su questo fronte e la confezione lo riporta
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sociale, mentre di poco sotto media è stato il cluster di agricoltura e allevamento sostenibili. In termini di numero di prodotti a scaffale l’indicazione “green” più presente in etichetta si conferma Biologico/ EU Organic (10,1% delle referenze), seguita dalla certificazione FSC (5,2%) e dai claim “sostenibilità” e “riciclabile” (entrambi 2,9%). Il mondo della sostenibilità si conferma molto segmentato e frammentato: 23 dei 35 claim rilevati compaiono su meno dell’1% delle referenze rilevate. Quanto all’andamento delle vendite, i claim che hanno registrato i maggiori aumenti rispetto al 2020 sono stati le certificazioni Ok-Compost (+35,3%) e Rainforest Alliance (+16,3%) e le indicazioni “Mater-Bi” (+19,4%) e “compostabile” (+16,6%). Fonte: Osservatorio Immagino osservatorioimmagino.it
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LABORATORI CREATIVI
L’Artigiano del Salume di Massimiliano Rella
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Artigiano del Salume è un piccolo laboratorio con punto vendita a Ivrea (TO), la città dell’OLIVETTI. Aperto dal 2015, è il “regno” di un norcino d’origini venete PIERFRANCO CRESTANELLO e della moglie RAFFAELLA ANTONIETTI, ex parrucchiera piemontese convertita alla salumeria di qualità. I due producono 12 tipi di salumi fra i tradizionali e alcuni di loro fantasia, trasformando carni di suino nazionale — solo spalle e pancettoni — acquistate già macellate da diversi allevatori della zona di Biella e del Cuneese: l’inverno lavorano circa 400 kg a settimana, in estate meno della metà. Tra gli insaccati di loro creazione troviamo il Rustico, un salume fatto con
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trito spesso di carne e pancettone tritato fine, oltre a pepe nero a grano intero, aromi e pepe in polvere; stagionato minimo 45 giorni. C’è poi l’Agliotto, un salume nato per sbaglio da un eccesso di aglio. Viene fatto un pesto d’aglio senz’anima, la parte più amara, messo a marinare in vino rosso da uve Barbera per 48 ore. Il vino aromatizzato al pesto d’aglio viene quindi impiegato nell’impasto, cui è aggiunto una quantità di aglio in polvere, poi travasato con lo scolino per separare il liquido dalle parti solide. L’impasto è composto da un trito medio di carne e pancettone (questo un po’ più fine) ed è insaccato in budello gentile e infine stagionato per dieci giorni; inizialmente con alta
temperatura e umidità per disidratarlo meglio, poi scendono la temperatura e l’umidità e a fine processo risale ancora l’umidità per non far seccare il prodotto, che al gusto si presenta con sottili note di vino e aglio, una buona consistenza dei tessuti e sentori olfattivi che tornano al palato. La tradizionale Filzetta prende invece il nome dal tipo di budello, una varietà molto resistente, in cui viene insaccato un impasto di taglio medio, con pancettone sempre un po’ più fine, oltre ad aromi, pepe e sale: è lo stesso procedimento dell’Agliotto con vino aromatizzato all’aglio, ma in questo prodotto senza l’aglio in polvere. Invece il Salame della Rosa è un salume che differisce per il tipo di budello utilizzato,
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In alto: la legatura del Salame della Rosa in budello gentile. A pagina 58: Salame della Rosa, Agliotto e Filzetta.
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A destra: Pierfranco Crestanello e Raffaella Antonietti. In basso: Salame della Rosa in stagionatura nel laboratorio de L’Artigiano del Salume. il budello gentile, che ha una membrana con uno strato di grasso interno in grado di mantenere la morbidezza della carne e conferire all’impasto (lo stesso impasto della Filzetta, senza aglio in polvere) un gusto diverso dagli altri. È un salame di pezzatura leggermente più grande, morbido e dal sapore fine e delicato. Per concludere con la nostra rassegna delle golosità, è degno di nota il Grissin dal Crin, un salamino ottenuto da un impasto di carne di capocollo, aromi naturali, sale, pepe, ma niente aglio né vino. Insaccato in budello di pecora, il salume viene stagionato per tre settimane. Pesa circa 200 grammi, come la Filzetta. Invece il Salame della Rosa ha peso e lunghezza variabile, da 20 centimetri a 1 metro; a seconda delle richieste può essere fatto su misura. Per questi prodotti — eccetto la mocetta di vitello, il lonzino e la coppa — l’Artigiano del Salume non utilizza conservanti. Produce inoltre salampatata, cotechino, piccantilli, salsiccia e salamelle. I prezzi variano da 22,00 a 24,00 €/kg. Massimiliano Rella L’Artigiano del Salume Corso Massimo D’Azeglio 16 10015 Ivrea (TO) Telefono: 347 8487954 – 340 7471890 Nota Photo © Massimiliano Rella.
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ACETAIA
PRODOTTI TIPICI
Sale, sole e carni: IN VIAGGIO PER L’ITALIA ALLA SCOPERTA DELLE “CARNI SALATE” di Chiara Papotti
on c’è popolo al mondo che non usi, da sempre, la salagione e l’essiccazione come metodi naturali di conservazione degli alimenti. Dal Charque brasiliano al Biltong africano, prodotto con carne di antilope o bovina; dal Suho meso dei Paesi slavi alla Suschenaja govjadina tipica del Sud della Russia. E poi, ancora, dalla Cecina spagnola alla Bundenfleisch prodotta nel Cantone dei Grigioni in Svizzera, ogni parte
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del Pianeta ha la sua specialità locale di carne secca e/o salata, frutto di tradizioni antiche che, rinnovandosi nel corso dei secoli, hanno saputo affinarsi continuamente, fino a raggiungere dei livelli qualitativi di assoluto pregio organolettico. In questo variegato panorama, l’Italia occupa un posto di rilievo con una serie di prodotti che si distinguono per sapore e storia, ma che sono accomunati dalla qualità delle materie prime e dall’artigianalità delle lavorazioni.
Dall’incontro tra soli due ingredienti, il sale e la carne, al Belpaese si dà il merito di realizzare un intero universo di sapori. Dai tagli pregiati di suino, manzo, ma anche cervo, camoscio e cavallo si ottengono carni salate fresche, affumicate o macerate nel vino, conciate con aromi diversi o l’aggiunta di erbe aromatiche. Un po’ su tutto il territorio nazionale sopravvivono tradizioni che meritano di essere conosciute e valorizzate. Eccone alcune, da Nord a Sud.
Mocetta di bovino della Valle d’Aosta (photo © 2012 Paolo Bernardotti).
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Salumi¿cio Ferrari Erio & C. S.p.a. – Via Canaletto Nord, 565/A – 41122 MODENA – ITALY Tel. +39 059 310015 – Fax +39 059 450251 – E-mail: info@salumiferrari.it
Le coppiette sono particolarmente diffuse nella zona dei Castelli laziali e in quella di Guarcino e Vico, e in generale, nel Frusinate. Molto saporite, si accompagnano a un buon vino rosso. Bresaola della Valtellina IGP e Slinzega valtellinese La più nota carne salata italiana è senza dubbio la Bresaola della Valtellina IGP. Conosciuta già nel XV secolo, la bresaola è prodotta nella provincia di Sondrio da vari tagli di manzo: fesa, sottofesa, punta d’anca, magatello e sottosso. Si distingue tra le altre specialità per la morbidezza e la delicata sapidità. L’aria asciutta e le fresche temperature sono le condizioni climatiche perfette per non eccedere di sale durante la lavorazione e conferire al prodotto una equilibrata dolcezza, che la porta ad essere apprezzata anche all’estero. Nella stessa zona d’origine della bresaola, spesso con gli scarti che derivano dalla sua lavorazione, si produce anche la Slinzega valtellinese. Sale, cannella, noce moscata, pepe, bacche di ginepro, alloro e, in alcuni casi, anche peperoncino fanno della slinzega una specialità più sapida, dal gusto particolarmente intenso, arricchito dal massaggio con vino rosso e aglio che precede la stagionatura. Mocetta o motzetta Ci spostiamo in Valle d’Aosta per degustare un’altra nota carne salata: la Mocetta. Conosciuta anche come motzetta, questo prodotto si otteneva
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tradizionalmente dalla coscia disossata dello stambecco, specie che, però, dal 1992 è protetta per legge. Oggi vengono utilizzate cosce di camoscio, di capra oppure tagli di manzo. La preparazione prevede la macerazione della carne in sale, pepe, aglio, timo, salvia, alloro, rosmarino e santoreggia. Dopo un paio di settimane di salagione, la mocetta viene appesa, lasciata asciugare e stagionare. La versione con la carne di cervo è sicuramente quella che più si avvicina alla ricetta originale ed è proposta tipicamente come antipasto, con pane di segale, sfregato di aglio, imburrato e spalmato con miele di montagna. Una proposta il cui fascino tentatore trapela già dal nome boccon du diable. Carni salate, salmistrate e fumade trentine In Trentino, tra i comuni di Riva del Garda, Tenno e Arco, le lavorazioni per le carni salate fanno strada a tantissime varianti. La versione più conosciuta è sicuramente quella che vede protagonista la fesa di manzo, lavorata con una mistura di sale, alloro, pepe nero, bacche di ginepro e rosmarino. Ma la ricetta varia a seconda della zona e in alcuni casi si possono trovare carni salate meno tradizionali, come quelle
messe a macerare con limone e cipolla nel territorio di Pergine Valsugana. Sempre in Trentino, nella Valle di Cembra, si può assaporare la carne salmistrata, nella quale si distinguono soprattutto la cannella e le note del Müller Thurgau. Nel prodotto stagionato la carne viene affumicata con legni di faggio o vite e prende il nome di carne fumada, riconoscibile dal colore rosso vivo all’interno e più scuro in superficie. Nonostante le tante ricette, la carne salata in Trentino viene generalmente consumata dopo circa una decina di giorni di maturazione, cruda e condita con olio e limone. Le coppiette dei Castelli romani Ci spostiamo nel Centro Italia per scoprire carni salate davvero particolari. Tra le province di Roma, Latina e Frosinone trovano casa le coppiette laziali, storicamente prodotte con carne d’asino o cavallo e oggi preparate con tagli bovini e suini. Il nome deriva dall’usanza di appendere le carni tagliate a strisce e piegate a due a due in fase di stagionatura ed eventuale affumicatura. Sono ottenute dopo aver conciato la carne con sale, spezie e peperoncino. La coppietta viene prima messa in forno e poi fatta
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stagionare; in alcuni casi la cottura viene sostituita dalla macerazione delle carni nel vino rosso, seguita da un periodo di essiccazione. Si trovano spesso come antipasto rustico nelle classiche osterie romane, dal sapore equilibrato dovuto ad una salagione realizzata a regola d’arte. Carni salate del Sud: la muschiska In Puglia troviamo la muschiska foggiana, in particolare nei comuni di Rignano Garganico e Sannicandro Garganico. Le carni utilizzate sono solitamente quelle di pecora, di capra o di vitello e vengono conciate con peperoncino, aglio e semi di finocchio. È di colore bruno, più scura rispetto alla carne cruda a causa della disidratazione e della ossidazione dovute al processo di essiccamento. Si presenta in strisce di carne larghe 2-3 cm e lunghe 20-30 cm. Dopo essere esposte al sole per circa una ventina di giorni, le muschiske possono essere conservate a lungo.
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Filettino di pecora sotto sale Anche in Sardegna, terra di pastorizia, è la pecora a finire sotto sale. A Sassari il filettino di pecora viene sottoposto ad una salagione molto delicata, essiccato al sole ed esposto alle correnti che arrivano dal mare. Modalità di consumo La maggior parte delle carni salate danno il massimo se consumate al naturale, a fette sottilissime con l’eventuale aggiunta di un filo di olio extravergine d’oliva. È ammesso anche l’uso del limone, ma senza esagerare, soprattutto per le preparazioni con il cavallo. A parte poche eccezioni, le carni salate non si prestano alla cottura, si possono tuttavia ottenere risultati sorprendenti nella preparazione dei sughi, oppure la bresaola, la mocetta o la slinzega possono considerarsi ingredienti di lusso per il ripieno di ravioli, al posto del prosciutto. Nate anticamente come cibo di sopravvivenza, dura da masticare e di poca soddisfazione, oggi le carne salate sono considerate pregiate golosità, grazie al continuo affinamento delle tecniche di lavorazione, sempre alla ricerca di un perfetto equilibrio tra fattori umani ed ambientali. Chiara Papotti
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Duomo di Cremona.
Una salsiccia particolare, QUELLA DI CREMONA di Josette Baverez Blanco
rmai i regali di carattere gastronomico sono sempre più diffusi e direi sempre più apprezzati, soprattutto quando ci permettono di scoprire una specialità di cui ignoravamo l’esistenza. È il caso di un’amica che, passando per Cremona, ha avuto l’eccellente idea di acquistare e portarmi in dono la Salsiccia cremonese. Ho quindi cercato di approfondirne la conoscenza non solo gustativa ma anche storica di questo prodotto per condividerla con il lettore.
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Si ritrovano tracce della salsiccia di Cremona in documenti che risalgono al 1583. LUDOVICO CAVITELLI, allora cronista, ricorda come è nato questo insaccato: “…alcuni Cremonesi escogitarono e prepararono per lauto cibo degli uomini un tipo di salsiccia di carne bovina o suina. Tagliata a pezzettini sottili, macinata e mescolata a polvere di pepe e zenzero, cinnamomo, cannella e altri aromi, cotta al fuoco o in acqua, portata subito sulla mensa e mangiata dai convitati…”.
Una curiosità: C ESARE S PECIANO (1535-1607), Vescovo di Novara e di Cremona nonché Nunzio apostolico presso l’Imperatore, Nunzio in Spagna e a Praga e in Austria, ebbe modo di celebrare due Sinodi nel 1599 e nel 1603. Nel 1600, fondò il Collegio dei Gesuiti a Cremona. Persona dalle larghe vedute, scrisse in quegli anni un’attestazione che rendeva possibile ai monasteri dei dintorni di Cremona di consumare carne di manzo, vitello, pollo e salmì di domenica, lunedì,
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Si ritrovano tracce della salsiccia tipica del Cremonese in documenti che risalgono al ‘500, quando un cronista dell’epoca, Ludovico Cavitelli, ricorda così l’invenzione di questo insaccato: “…alcuni Cremonesi escogitarono e prepararono per lauto cibo degli uomini un tipo di salsiccia di carne bovina o suina. Tagliata a pezzettini sottili, macinata e mescolata a polvere di pepe e zenzero, cinnamomo, cannella e altri aromi, cotta al fuoco o in acqua…” (photo © www.cremonacitta.it). martedì e giovedì. Lui stesso, nativo di Cremona, era immerso nella cultura del valore della carne. In anni recenti, alcune macellerie hanno ripreso questa produzione lavorando la carne magra di bovino, in particolare il quarto anteriore, avversato dalle massaie quindi fardello per il commerciante. La carne proviene strettamente da allevamenti della provincia dove sono stati esclusi gli OGM. È mondata a mano dal grasso con cura certosina e lavorata con molta attenzione per raggiungere il tessuto connettivale. Finemente tritata, la carne viene aromatizzata con cannella e pepe in polvere. L’impasto è inserito in budello sottile d’agnello creando una salsiccia di lunghezza variabile tra 20 e 25 cm. L’assenza di sale e di conservanti ne fa un alimento certamente sano ma anche di scarsa conservabilità. Questa salsiccia va quindi consumato entro 4 giorni dalla sua produzione, arrostita o lessata. Nel 2005, la giunta comunale di Cremona ha istituito la DE.CO., Denominazione Comunale, per contraddistinguere, tutelare e promuovere la pasticceria tipica e altri prodotti di Cremona, tra cui la famosa salsiccia, seguendo l’esempio di altri 30 comuni lombardi. A favore della tutela del consumatore, del patrimonio
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agroalimentare italiano, della qualità e della tracciabilità del prodotto. È in effetti importante salvaguardare il patrimonio economico, storico e culturale di una regione mentre si sta sempre di più sviluppando il turismo enogastronomico. Le De.Co. non sono marchi di qualità ma attestazioni che legano in maniera anagrafica la derivazione di un prodotto alla produzione del luogo storico di origine. Mettono in evidenza il valore identitario di una comunità e permettono il censimento dei prodotti locali, risorse della propria terra. In tal modo, si è passati dal prodotto tipico al prodotto del territorio. Non è giusto, parlando della Salsiccia cremonese, definirla come prodotto antico. La materia prima è ben diversa da quella di allora, latte, carne e verdure, tutto è cambiato, in base alle modifiche delle sostanze esogene dei terreni. I sapori sono mutati e lo è anche il gusto. Ma una cosa è sicura: aver “ridato vita” a questa salsiccia è testimonianza della laboriosità e dell’acume della cittadinanza. Concludo suggerendovi la lettura del libro di CARLA BERTINELLI SPOTTI e AMBROGIO SARONNI, “I Cremonesi a tavola ieri e oggi” (Editore Cremonabooks, 2004, Collana: La cucina cremonese). Josette Baverez Blanco
Il mio ERP. Così ho tutto sotto controllo. (FLHQ]D WUDVSDUHQ]D ÁHVVLELOLWj ² TXHVWR q FLz FKH FRQWD RUD /·,7 q OD FKLDYH SHU RWWHQHUOR &KH VL WUDWWL GL (53 0(6 PDFHOOD]LRQH H VH]LRQDPHQWR R GL VRIWZDUH SHU OD SLDQLÀFD]LRQH LQWHOOLJHQWH LO &6% 6\VWHP q OD VROX]LRQH FRPSOHWD SHU OH D]LHQGH GHO VHWWRUH &DUQH &RVu JLj RJJL SRWHWH RWWLPL]]DUH OD YRVWUD SURGX]LRQH H GRPDQL GLJLWDOL]]HUHWH O·LQWHUD D]LHQGD
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Salumeria andalusa:
LA ZURRAPA di Riccardo Lagorio
d esclusione del prosciutto, in Italia si conosce ben poco della ricca tradizione della salumeria spagnola. Il panorama è tuttavia assai variegato. Nelle regioni meridionali del Paese, in particolare in Andalusia, prevale, ancora una volta con l’esclusione del prosciutto, una trasformazione delle carni suine poco propensa alla stagionatura. Ciò non toglie che la lavorazione della carne non possa fornire numerosi spunti di interesse.
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Icarben, Tienda de Embutidos, Benaoján, Malaga ICARBEN (icarben.com) è un’azienda nata nel 1979 a Benaoján, un centinaio di chilometri a ovest di Malaga, nell’area montana intorno a Ronda. Secondo le parole del vicedirettore JOSÉ ANTONIO ORTIZ, si tratta di «un’impresa di piccole dimensioni, che lavora le carni di 200 suini alla settimana e che cerca di sviluppare al meglio le doti dell’artigianalità, in particolare la vicinanza continua alle richieste del cliente finale». Gli animali provengono da allevamenti locali; vengono macellati e lavorati direttamente in azienda, così da garantire che ogni parte anatomica sia destinata al migliore utilizzo possibile. «Tra i prodotti di salumeria, quello forse più tipico della regione è la zurrapa. Se è di lombo o dei suoi ritagli, viene fritto in strutto e sale fino a che non si sfilaccia e diventa… spalmabile. In base alla ricetta si possono aggiungere spezie come aglio, origano, polvere di peperone dolce o piccante. È un prodotto simile alle rillettes francesi», così amate anche da MARCEL PROUST. La zurrapa è molto diffusa nelle
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Nei mercati coperti di Malaga e degli altri centri andalusi è possibile ammirare cumuli di zurrapa dai quali vengono tolte le quantità richieste per mezzo di palette. I colori diversi derivano dall’aggiunta di chorizo, ciccioli, buccia d’arancia… province di Malaga e Cadice. Se ne consuma anche in Estremadura, benché in minor quantità. Le sue origini vanno ricercate nel mondo rurale, quando vi era necessità di sostenute integrazioni caloriche per affrontare il lavoro nei campi. «Durante il periodo della mattanza dei suini si era soliti friggere il lombo, ridotto a strisce molto sottili. Si continuava la cottura
della parte carnea fino a che non si sfilacciava. Questa veniva lavorata con lo strutto e si otteneva una crema spalmabile da utilizzare sul pane» racconta Ortiz. L’aggiunta di strutto si deve alla necessità di conservare i cibi prima dell’avvento dei frigoriferi: la cucina della scarsità ha sempre avuto del resto abbondante ingegno. Icarben ha industrializzato il procedimento nel solco tracciato dalla
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Il Mollete de Antequera IGP è un pane prodotto con farina di frumento, a bassa cottura, con un elevato livello di umidità, una mollica morbida e una forma particolare con base ellittica e irregolare. L’origine del termine “mollete” è castigliana, da “muelle”, che significa soffice e rimanda alla spugnosità e alla sofficità caratteristiche di questo tipo di pane. La zona geografica di produzione e di confezionamento comprende dei molletes sono i comuni di Antequera e Fuente de Piedra, entrambi appartenenti alla provincia di Malaga. Esternamente si presenta di colore bianco avorio, con leggere sfumature vanigliate e può apparire leggermente più abbrustolita sui bordi e sotto di essi. Al tatto il pane è morbido, sottile, elastico e poco friabile. La mollica ha infatti una doppia struttura di alveoli e l’umidità varia tra il 32 e il 45%. Arturo Pérez-Reverte, noto scrittore e giornalista spagnolo, cita il Mollete de Antequera nel libro “La piel del tambor” (La pelle del tamburo, 2002). Si mangia imbottito con Jamón o altri prodotti della norcineria spagnola o più semplicemente con olio extravergine, sale e tomate ben maturo (fonte: Qualigeo, www.qualigeo.eu).
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tradizione e propone zurrapa di carne, di prosciutto, di lombo e fegato. Tra le offerte si possono infatti trovare anche bistecche di lombo, note con il termine di carne mechá o mechada. La zurrapa è in vendita in vasetti di vetro o, pronta da spalmare in monoporzioni, in vaschette di plastica. Nei mercati coperti di Malaga e degli altri centri andalusi si possono facilmente vedere colorati cumuli di zurrapa a forma piramidale dai quali vengono tolte le quantità richieste per mezzo di palette e opportunamente preparate per l’asporto in carta oleata. I colori possono derivare dall’aggiunta di chorizo, ciccioli, buccia d’arancia, strutto con paprica, frattaglie. Nei bar e nelle caffetterie la zurrapa viene mantenuta in orci di terracotta (o di recente in alluminio), pronta per la colazione o la merenda. Il modo migliore per consumarla è spalmarla sul mollete di Antequera (grande centro agricolo e industriale), un piccolo pane dalla forma ovale, dalla mollica bianca e alveolata, con crosta non troppo cotta. Riccardo Lagorio
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SOPRESSA DI VALLI DEL PASUBIO
In Veneto c’è aria di tradizione e di De.Co. di Giorgio Montanari ei paesi di collina e di montagna si respira un’aria diversa. Parola di uno che vive in città. Pensiamo quindi ad un alimento, italiano, magari un salume, magari prodotto in maniera artigianale, le cui caratteristiche sono legate all’aria che soffia dalle alture. Io, abitante della città, ci ho pensato, e mi è venuta in mente la Sopressa di Valli del Pasubio De.Co. Eccoci in Triveneto, nella parte nordoccidentale della provincia vicentina non troppo distante dal Trentino. Valli del Pasubio è un paese di circa 3.000 abitanti le cui contrade si estendono dai
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350 agli oltre 2.000 metri di altitudine. Lì, il gruppo montuoso del Sengio Alto e del Pasubio soffiano aliti preziosi, capaci di migliorare la consistenza dei salumi prodotti in loco. Eh, sì: è proprio questo che è emerso parlando con uno dei cinque produttori storici. L’annata 2021 è stata costante, mentre la produzione 2022 è risultata più complicata a causa della siccità che ha messo in ginocchio l’intero Stivale. Gli operatori che non hanno bagnato costantemente le sopresse, anche due volte al giorno, rischiano di affettare un salume non soddisfacente, il che non ripagherebbe gli sforzi necessari per produrlo.
Produzione e caratteristiche del prodotto Ma come si crea la Sopressa di Valli del Pasubio De.Co.? I suini, locali, sono alimentati a farine di cereali “nobili”. I contadini d’altri tempi erano soliti integrare il pastone aggiungendo crusca, farina di castagne, farina gialla, patate, latticello e siero di latte. La macellazione avviene quando gli animali hanno superato i 160 kg di peso, affinché la proporzione fra magro e grasso si bilanci con armonia. La “nobiltà” viene confermata anche nei tagli: per questo salume “di nicchia” si impiegano coscia, spalla, coppa,
La sopressa di Valli del Pasubio è un prodotto della tradizione contadina. È nota e apprezzata nel Triveneto e nelle aree limitrofe. Il modo migliore per degustarla è accompagnare le fette sottili con polenta “brustolà” (abbrustolita) o in un fragrante panino.
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lombo, grasso della gola e pancetta. La concia è estremamente semplice: solo sale e pepe. Niente aglio. Niente vino perché fermenterebbe e, come si dice in Veneto, poi “ingrumerebbe” sale espellendo l’umidità in maniera inadeguata. Di grana media, il trito viene insaccato in budello naturale bovino. La legatura avviene a mano, con lo spago: ecco una delle prime differenze con la più nota SOPRÈSSA VICENTINA DOP, per la quale, al posto dello spago, si impiegano degli elastici (più comodi per i ritmi dell’attività industriale). Quanto tempo dobbiamo attendere prima di tagliare una Sopressa di Valli del Pasubio “a regola d’arte”? Terminata la settimana necessaria per l’asciugatura, si passa alla fase più delicata dell’intero processo, ossia la stagionatura. A seconda della pezzatura, il semilavorato riposa da 3 a oltre 10 mesi. Il trucco per ottenere un profumo e una consistenza ottimali? Avere una cantina adatta, ben rinfrescata dal clima particolare della zona. Il vento che soffia a monte è più intenso e più incontaminato rispetto a quello che spira a valle. Il corretto riciclo dell’aria di montagna rappresenta una delle principali peculiarità che favoriscono la maturazione. Inoltre, seguendo una logica di ossigenazione, è rilevante lasciare riposare i semilavorati piazzandoli a una corretta distanza l’uno dall’altro, magari sopra i 40/50 cm. Quest’accortezza favorisce la formazione di una “muffa buona”, sintomo del corretto affinage di ogni pezzo. Il taglio e il… dopo Eccoci quindi alla parte dell’articolo che tutti aspettavamo: il taglio. Di calibro grande (dai 10 ai 15 centimetri), di colore rosato scuro, la Sopressa di Valli del Pasubio si rivela pastosa, non troppo speziata, molto profumata. Benché il disciplinare accetti anche pezzature sotto mille grammi, non è raro trovare esemplari che raggiungono i 3, 4 e anche 6 kg. Più la pezzatura è grossa, ci dicono, più il salume risulta morbido e appetitoso. Ascoltando il parere dei montanari vicentini, pare non ci sia niente di meglio che gustare la sopressa artigianale insieme alla polenta abbrustolita. Ci fidiamo, ovvio.
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In occasione della sagra annuale, le sopresse in degustazione sono fornite dai produttori artigiani locali che continuano a produrre e stagionare la sopressa secondo la ricetta tradizionale utilizzando le carni di maiali da allevamenti del Vicentino. Chi scrive questo pezzo, però, scommetterebbe su un'altra accoppiata da papabile medaglia d’oro: salume più formaggio, magari il Vezzena (presidio Slow Food del vicino Trentino). Infine, a coloro che sono restii a “contaminare” i sapori, proponiamo di imprigionare il salume fra due fette di pane di montagna. E quando si sente quell’arsura in gola? Come alternativa "colorata" all’acqua limpida che sorge in quota suggeriamo un bicchiere di vino rosso: Ripasso, Merlot, Cabernet Sauvignon, Valpolicella sono le tipologie più gettonate in queste terre. Sopressa e territorio Con orgoglio, la Sopressa di Valli del Pasubio ha ottenuto la Denominazione Comunale d’Origine (De. Co.) complici lo stretto legame con il territorio, il perpetuarsi delle tradizioni produttive e anche la circoscrizione della zona di consumo, prevalentemente regionale. Favoriti dalle gallerie e dai collegamenti stradali che conducono al paese, sono tanti i turisti che lasciano Valli regalandosi ottimi souvenir culinari: acqua, miele e sopressa sono i tre prodotti più conosciuti. Una piccola
azienda artigianale, a seconda dell’annata, può offrire dai 25 ai 60 quintali annui di salume. Il produttore che abbiamo consultato (PAOLO ASTE) discende da una famiglia storica del settore: la loro prima sopressa è stata tagliata addirittura 128 anni fa, nel 1884! Paolo, 42 anni, rappresenta la quarta generazione che conserva e tramanda le antiche ricette. In zona, un altro gruppo di persone promuove il salume simbolo di Valli del Pasubio, ma in un’altra maniera. Da oltre cinquant’anni, nel mese di agosto, il paese si popola di appassionati accorsi alla Sagra della Sopressa. In questa occasione, saziarci di salume ci farebbe sentire meno in colpa: accompagnati dalla Pro Loco, potremmo smaltire l’abbuffata grazie alle camminate per i sentieri di montagna, alle passeggiate fra le sale museali, o muovendoci al ritmo della musica suonata durante i concerti. Alcuni organizzatori sono le stesse persone che avevano ideato le prime edizioni della sagra, parecchi decenni fa: la passione per i salumi tradizionali non tramonta, ma semplicemente “stagiona”. Giorgio Montanari
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NATALE WORK IN PROGRESS
Torrone,
dolce delle feste che mette tutti d’accordo di Chiara Papotti
iele, mandorle e albume d’uovo. Sono gli ingredienti di base che rendono il torrone uno dei dolci più amati e ricercati d’Italia. Dal Piemonte alla Sicilia, attraverso quasi tutte le regioni, questo antico dolce ha saputo guadagnarsi un posto fisso sulla tavola delle feste. Duro come il marmo o morbido e spugnoso, con le mandorle o le nocciole, bianco o ricoperto di cioccolato, il torrone è un dolce dai mille volti, capace di valorizzare le risorse tipiche di ogni singolo territorio. È probabilmente questo il suo segreto: una combinazione armoniosa di pochi ingredienti, semplici e naturali, trattati sapientemente in modo da accontentare ogni gusto, a tutte le età. La sua vera origine non è chiara, ma le sue caratteristiche fanno pensare ad un dolce nato per essere trasportato sulle lunghe distanze. C’è chi lo fa risalire agli antichi Romani: negli scritti di MARCO TERENZIO VARRONE il Reatino che, nel 116 a.C., si legge del “cuppedo”, un dolce a base di miele e mandorle; ancora oggi, in alcune zone dell’Italia Meridionale, si usa il termine cupeto per indicare il torrone. C’è poi chi sostiene che gli ideatori siano stati i Cinesi, popolo di coltivatori di mandorle, e che grazie agli Arabi abbia raggiunto l’Occidente. Per i Cremonesi, invece, non ci sono dubbi: sono loro che per primi nel 1441, in occasione del banchetto nuziale di BIANCA MARIA VISCONTI con FRANCESCO SFORZA, hanno confezionato un dolce simile al Torrazzo (la torre campanaria che sovrasta il duomo della città), da cui avrebbe preso il nome. Da Nord a Sud la gamma delle varianti del torrone è molto vasta. Esistono,
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tuttavia, alcuni passaggi fondamentali che rendono questo dolce unico ed inimitabile. Fino a pochi decenni fa il miele veniva riscaldato in contenitori di rame a fuoco lento e per diverse ore; si aggiungevano, poi, gli albumi montati a neve per ottenere un impasto dal colore biancastro ed una consistenza liscia ed omogenea. A cottura ultimata, si incorporavano le mandorle pelate e tostate precedentemente, o altra frutta secca a piacere; il torrone così ottenuto veniva riposto in cassette di legno, ricoperte di carta oleata e ostie, e lasciato raffreddare. Oggi, pur mantenendo intatta la produzione tradizione, alcune fasi sono state automatizzate. Frequentemente il miele viene sottoposto ad una concentrazione sottovuoto, un passaggio chiave che riduce il tempo necessario che lo porta alla giusta consistenza prima di essere amalgamato con gli albumi. Nella maggior parte dei torroni artigianali in commercio si può trovare anche l’aggiunta di zucchero, utile per migliorarne la struttura e il sapore. Mandorle e altra frutta secca vengono sbucciate meccanicamente e sottoposte
a stufatura per evitare che l’impasto risulti troppo appiccicoso. Infine, una volta cotto, il torrone viene rullato a sfoglia e raffreddato in un tunnel a basse temperature, per poi essere tagliato a stecche da una taglierina elettrica e confezionato. È evidente che la selezione delle materie prime sia il requisito fondamentale per la riuscita di un ottimo torrone. Il miele di qualità lo si riconosce al palato, si scioglie velocemente e lascia la bocca pulita. Dal corbezzolo a quello di agrumi, dai millefiori ai monofloreali: ognuno arricchisce il gusto a modo suo. Per quanto riguarda la frutta secca, poi, oltre alla qualità anche la quantità è importante per poterli classificare: in quelli “superiori” le mandorle rappresentano almeno il 64% nei torroni teneri e il 60% in quelli duri. È facile trovare in etichetta tra gli ingredienti anche l’amido, ma, nonostante sia un prodotto naturale, non dovrebbe essere presente: utilizzato come addensante rende più facile la preparazione, ma ne impoverisce il gusto. Alla domanda qual è il torrone più buono del Belpaese
IL TORRONE È UN DOLCE DAI MILLE VOLTI, CAPACE DI VALORIZZARE LE RISORSE TIPICHE DI OGNI SINGOLO TERRITORIO. È QUESTO IL SUO SEGRETO:UNA COMBINAZIONEARMONIOSA DI POCHI INGREDIENTI, SEMPLICI E NATURALI, TRATTATI SAPIENTEMENTE IN MODO DA ACCONTENTARE OGNI GUSTO, A TUTTE LE ETÀ
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Torrone di Cremona. «Per poterlo assaporare al meglio è importante conoscere tutte le sue sfaccettature» spiega MASSIMO RIVOLTINI, Rivoltini Alimentare Dolciaria di Vescovato (CR). «La dolcezza e delicatezza di prodotto si adattano a tantissimi piatti della nostra tradizione, dai ravioli al semifreddo, l’importante è conoscere gli abbinamenti giusti per poterlo gustare tutto l’anno».
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Torrone Piemontese È la Tonda gentile, ovvero la nocciola tipica della regione, a caratterizzare il torrone in Piemonte e a differenziarlo dalla versione classica. A mettere a punto la ricetta fu il pasticcere GIUSEPPE SEBASTE, nel 1885, a Gallo d’Alba. Ormai da 5 generazioni la storia della famiglia Sebaste è strettamente legata a quella dell’azienda. Una storia fatta di entusiasmo per il proprio lavoro, di passione per i propri prodotti, di orgoglio di appartenenza alla propria famiglia (www.sebaste.it).
Lavorazione del torrone Sebaste, azienda storica di Grinzane Cavour (CN). è impossibile dare una risposta precisa. Tutti meriterebbero un assaggio. Proviamo a disegnare una “geografia” di quelli più apprezzati d’Italia. Classico di Cremona Accanto alle preparazioni classiche, nel tempo si sono fatte strada nuove versioni ricoperte di cioccolato, con pistacchi e nocciole e anche con l’aggiunta di creme. I produttori artigianali, però, preferiscono concentrarsi sulla tradizione, puntando sulla selezione accuratissima delle materie prime, sempre di alto livello. Il cremonese classico rimane il torrone bianco, senza copertura, preparato con mandorle, miele e uova: un prodotto dall’aroma delicato e dalla consistenza simil cristallina, nella tipica forma a stecche rettangolari. Tra coloro che hanno scritto la storia del torrone di Cremona c’è la Bottega Sperlari, che
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aprì i battenti nel centro storico della città nel 1836, oggi esempio di imprenditoria nazionale (www.sperlari.it). Mandorlato Veneto Cologna Veneta, in provincia di Verona, è la patria del torrone. Un racconto che inizia nel 1840, quando il giovane garzone di farmacia ROCCO GARZOTTO ha una semplice quanto grande intuizione: amalgamare il miele con albume d’uovo, zucchero e mandorle sbucciate, lavorando l’impasto a caldo per molte ore per dar così vita al Mandorlato di Cologna Veneta. In poco tempo il suo mandorlato viene apprezzato per la straordinaria qualità degli ingredienti e per la presentazione in eleganti confezioni, divenendo un dolce tipico delle feste tanto da essere esportato anche nel Nuovo Mondo (www.garzottorocco.com).
Tenero al cioccolato Tenero, senza essere gommoso, il torrone più tipico dell’Abruzzo è quello al cioccolato fabbricato a l’Aquila. Fu ULISSE NURZIA a definire la ricetta: agli ingredienti base quali miele, mandorle e bianco d’uovo aggiunse il cioccolato, un prodotto pregiato di eccelso sapore ed esotico profumo, proveniente dalle piantagioni del Brasile, che esaltava le caratteristiche organolettiche dell’impasto. Da allora il torrone al cioccolato divenne un prodotto di pregio. Restava però il problema tecnicamente più difficile da risolvere: la durezza. Ulisse inventò una “formula magica”, un segreto di lavorazione che attraverso una particolare “manicatura” degli ingredienti gli consentì di ottenere un prodotto tenero e, contemporaneamente, a frattura netta (www.sorellenurzia.com). Tradizionale di Benevento Morbido o duro, bianco o al cioccolato, alle mandorle o alle nocciole. Il torrone di Benevento è considerato uno tra i migliori torroni in commercio. Merito di una tradizione antica che continua a mettere al primo posto la qualità delle materie prime. Tra le diverse versioni, merita un accenno quello “della regina”, preparato sostituendo alle mandorle la frutta candita, voluto dal re di Napoli, Ferdinando I di Borbone, che aveva richiesto un torrone di qualità superiore da offrire alla moglie Maria Carolina d’Austria. Torrone di Bagnara Dolce tipico della tradizione calabrese ottenuto dalla lavorazione di zucchero, mandorle tostate, miele, albume d’uovo, cacao amaro, oli essenziali e spezie in polvere, ha ottenuto la certificazione europea di Indicazione Geografica
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Protetta. A seconda della copertura, di zucchero in grani o di cacao amaro, si distingue nelle due varietà Martiniana o Torrefatto glassato. Documenti di archivio riportano che già nel Settecento i monaci dell’abbazia di Bagnara erano esperti nella preparazione di dolci, e soprattutto lavoravano il torrone, che era chiamato “martiniana”. Dopo la nascita della prima vera fabbrica verso la metà dell’Ottocento, la storia delle torronerie di Bagnara si attraverso le vicende di tante botteghe artigiane a gestione familiare che hanno fatto scuola, creando nei secoli una cultura manuale unica nella lavorazione di questo prodotto, che si differenzia dagli altri torroni soprattutto per le particolari tecniche di lavorazione.
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Morbido di Sardegna Il miele di montagna della Barbagia conferisce un aroma inconfondibile alla versione sarda del torrone. A partire dalla seconda metà del 1800 i torronai tonaresi, “sos torronargios”, sono i più famosi e Tonara è il paese dove si produce la stragrande maggioranza del torrone nell’isola. Il dolce lo preparavano solitamente le donne dentro un grande paiolo in rame, “su gheddargiu”. Oggi l’Unione torronai Tonara racchiude 25 imprese locali tra venditori e produttori di questo dolce tipico. Una realtà che, purtroppo, sta attraversando un periodo di crisi e per questo merita di essere tutelata e valorizzata. Chiara Papotti
L’ACETO BALSAMICO è DI MODENA
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Cubbaita di Sicilia Il torrone in Sicilia vanta una lunga storia e non c’è festa sull’isola che non veda la presenza dei “turrunari”, gli artigiani impegnati nella preparazione di dolci preparati con il miele e le mandorle, arricchiti di semi di sesamo nella versione più tradizionale e, talvolta, anche di “diavolina”, piccoli confettini colorati che donano un tono ancora più allegro. C’è, poi, chi alla base di miele e mandorle aggiunge pistacchi, noci, nocciole, scorza di cedro e di arance. Le origini della cubbaita sono antichissime, infatti ne abbiamo notizia già nel 827 d.C., agli inizi della dominazione saracena con lo sbarco degli Arabi in Sicilia. Il suo nome infatti deriva dalla parola araba qubbiat, che appunto vuol dire “mandorlato”.
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PASSIONE LIEVITATI,
Sweet Preview di Federica Cornia 76
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Photo © Hans Geel
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Si avvicina Natale e le sue dolcezze ma oggi più che mai le specialità delle feste sono disponibili e proposte da pasticcerie specializzate durante tutto l’arco dell’anno, arricchite con frutta di stagione o spezie profumate. A Mantova ad esempio non manca mai l’Anello di Monaco, dolce tradizionale della città arrivato dalla Svizzera. Il goloso lievitato fa parte dei PAT – Prodotti Agroalimentari Tradizionali lombardi. Premiata Salumeria Italiana, 5/22
bbiamo appena chiuso ombrelloni e ripiegato teli da spiaggia, svuotato borse, sistemato nell’armadio zaini, messo da parte costumi, pinne, infradito e scarponcini da trekking, ripreso il tran tran quotidiano e io già penso un po’ al Natale. Un po’ per deformazione professionale, un po’ per curiosità, mi sono messa a gironzolare nel mondo virtuale del web scuriosando qua e là per vedere con quali idee, quali proposte per la tavola poter deliziare i nostri palati e quelli di parenti e amici durante le prossime festività. Il classico dei classici è naturalmente lui, il panettone, che negli ultimi anni è diventato sempre più un prodotto da curare e promuovere non solo a Natale. Ad esempio ad Arzignano, in provincia di Vicenza, la pasticceria Olivieri 1882 (www.olivieri1882.com), secondo GAMBERO ROSSO tra i Migliori Panettoni Artigianali d’Italia, nel suo laboratorio quest’estate ha fatto lievitare panettoni alla pesca e basilico e alla
ciliegia rossa e maraschino. Lo CHEF ANTONINO CANNAVACCIUOLO invece, nel suo panettone Vesuvio Summer edition (shop.antoninocannavacciuolo.it), già ricco di arance e mandarini canditi, ha aggiunto mango, limone e passion fruit, una glassa al cioccolato bianco e perle croccanti di cioccolato al latte e cocco rapè. Anche i FRATELLI PEPE, della Pasticceria Pepe Mastro Dolciere di Sant’Egidio del Monte Albino (SA), il passion fruit lo mettono nel Dolcestate Panettone farcito con mango, menta e lime, cocco e ananas (www.pepemastrodolciere.shop). Insomma, specialità tradizionale meneghina, il panettone si è acclimatato bene un po’ in tutta Italia ed è sempre più creativo e destagionalizzato. Naturalmente nei vari laboratori pasticceri continuano a lievitare proposte nel solco della tradizione. Sempre da Olivieri 1882, NICOLA OLIVIERI, titolare e pastry chef, insieme alle versioni più esotiche del panettone sforna due ever green come il Panettone classico
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Il panettone artigianale della pluripremiata Cremeria Capolinea a Reggio Emilia. Sono 5 le sue proposte di panettone: classico nella versione tradizionale Milano; arancia candita e gocce di cioccolato fondente; gianduia e pera candita; caffè e cioccolato bianco; limone, amarene e gocce di cioccolato fondente. e quello al cioccolato, quest’ultimo per il GAMBERO ROSSO terzo in classifica tra i migliori panettoni artigianali al cioccolato di sempre. Anche per i fratelli Pepe i classici rimangono la base sulla quale si innesca la sperimentazione di gusti e sapori tipici del territorio: dal Panettone con panna e latte di bufala al Panettone alle Albicocche del Vesuvio a quello con Mela Annurca, cioccolato e caramello. E qui, guarda caso, ma poi non tanto a caso visto l’amore per “a pummarola”, dalle colline di Corbara, nell’agro nocerinosarnese, collocato a metà strada tra Napoli e Salerno, entra nel panettone anche il pomodoro Corbarino, col suo tipico sapore agrodolce una delle più significative testimonianze della tradizione rurale locale. Dal dolce al salato il salto lo fa anche la Pasticceria Di Ciaccio di Gaeta (LT) (www.diciaccio.com) col Pan d’Ulisse, il gran lievitato salato con olive di Gaeta cultivar Itrana. A Gaeta a Natale va forte anche un altro lievitato, il Dolce Regina Sofia, “dedicato alla città, alla sua storia e a Maria Sofia di Borbone che difese strenuamente Gaeta fino alla sua capitolazione il 13 febbraio 1861” (caduta che portò alla proclamazione
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del Regno d’Italia, NdR). Si tratta di una ciambella ricoperta di cioccolato, decorata a mano, con cotognata di mele, nocciole tostate e aroma di cannella. Il panettone dei Mantovani invece è l’Anello di Monaco, dolce a quanto pare introdotto in città dai PUTSCHER, pasticceri di origine svizzera trasferitisi in Italia verso la fine del ‘700. Anche questo dolce ha forma a ciambella e una farcitura in cui si alternano nocciole e mandorle tostate, zucchero e Marsala. È un lievitato altissimo, la forma simile ad un cappello, un cilindro col buco ricoperto da una glassa bianca fatta di zucchero a velo e acqua. Molto più a nord, a Chiavenna (SO), si ritrova la sobrietà della Pasticceria Mastai (www.mastai.it), che del panettone artigianale ha fatto il proprio prodotto di punta, mettendo grande cura e attenzione nella scelta delle materie prime e nella lavorazione. Disponibile tutto l’anno, il panettone della Valchiavenna si può acquistare anche on-line. Il territorio coi suoi prodotti tipici torna ad esprimersi nel panettone con Aceto Balsamico di Modena IGP dell’Acetaia Giusti (www.giusti.it), in cui l’aceto viene usato prima nell’impasto, poi per la macerazione dell’uvetta, così
da acquistare più aroma, e, infine, per la farcitura. L’Aceto Balsamico di Modena IGP finisce però anche nei cioccolatini: Giusti infatti rivisita la famosa pralina cuneese di cioccolato fondente aggiungendo il gusto intenso del Balsamico. La storia del Pan del ton, quel pane di tono, di valore, quel pane bianco che solo a Natale i poveri riuscivano a consumare, non può che ricondurci a Milano, dove il legame fra la città e il panettone dura da secoli, almeno a partire dal Medioevo. Vari i racconti che, fra leggenda e realtà, accompagnano la nascita del più famoso dolce meneghino. Quel che è certo è che nel 1395 un decreto consentiva a tutti i forni di Milano di cuocere a Natale il cosiddetto Pan del ton e originare la cerimonia del “ciocco”, rituale natalizio delle famiglie milanesi durante il quale il padre di famiglia divideva fra i propri cari, riuniti attorno al focolare, un Pan del ton porgendone a ciascuno un pezzo. Le Boutique Vergani, in Corso di Porta Romana 51 e in Via Mercadante 17 (panettonevergani.com), omaggiano la tradizione del panettone meneghino non solo a Natale ma tutto l’anno: in qualsiasi giorno è infatti possibile iniziare la giornata con l’originale colazione milanese che abbina una fetta di panettone a una tazza di Barbajada, bevanda molto in voga nella prima metà dell’800 a base di caffè con cacao, acqua bollente e latte miscelati e sormontata da un soffice strato di panna montata. A Reggio Emilia, snodo dell’alta velocità mediopadana tra Milano e Bologna, c’è anche chi approda al Capolinea, che in questo caso è una Cremeria (www.cremeriacapolinea.com), come SIMONE DE FEO, ex informatico e ora maestro gelatiere appassionatosi ai lievitati, che ha scelto di “darsi tempo, il tempo lento della doppia lievitazione”. Tutti i panettoni, realizzati con materie prima selezionate a filiera corta e metodi di lavorazione artigianali, riposano e lievitano per almeno 24 ore prima di essere infornati. Per una morbidezza che duri nel tempo c’è poi l’edizione limitata di panettoni chiusi ermeticamente in un vaso di vetro. La vasocottura ne mantiene infatti la freschezza e ne conserva la corretta umidità. E a questo punto, chiudere il pranzo o la cena con gelato e panettone è un gioco da ragazzi. Federica Cornia
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l Consorzio di Tutela Speck Alto Adige punta alla sostenibilità della filiera con particolare interesse al benessere animale, temi su cui è in fase di stesura un nuovo progetto per l’intero comparto produttivo. «Stiamo elaborando un programma su questi aspetti — spiega il direttore MARTIN KNOLL — ma guardiamo con interesse anche allo sviluppo ulteriore delle energie rinnovabili. Nonostante l’importante sviluppo che ha avuto da noi in Alto Adige il settore idroelettrico,
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questo è un argomento particolarmente sentito dai produttori dopo l’aumento dei costi energetici e delle materie prime di questi mesi». Fondato nel ‘92 da 17 produttori, allora sotto la presidenza — ventennale — del “norcino” FRANZ SENFTER, oggi il Consorzio aggrega 28 soci e quantifica una produzione complessiva di 2,8 milioni di baffe IGP (dato 2021), più 3,8 milioni di speck non IGP (diverso per tempi di stagionatura). Lo Speck dell’Alto Adige IGP prevede infatti una
stagionatura media di 22 settimane, un tempo variabile in base alle dimensioni della baffa. È preceduta a monte da un periodo di due settimane di salagione e da una settimana di affumicatura a freddo, a una temperatura inferiore ai 20 gradi centigradi. La speziatura prevede una percentuale di sale massima del 5% nelle analisi di prodotto. Nel prodotto IGP il calo di peso minimo è del 35% di acqua. L’areale di produzione dello Speck IGP abbraccia l’intera provincia di Bol-
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zano ma la carne di suino può arrivare da tutta Europa e infatti per 2/3 proviene dalla Germania, comunque da allevatori e aziende zootecniche certificate. I controlli di qualità e di rispetto del Disciplinare sono eseguiti da un ente terzo, l’IFCQ, che ha sede a San Daniele del Friuli e si avvale di una rete di ispettori-controllori nei vari Paesi fornitori di carne dell’Unione Europea; altri controlli a campione e periodici sono fatti a sorpresa tra i 28 soci produttori sul territorio dell’Alto Adige.
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A sinistra: Val Gardena, Trentino Alto Adige (photo © Lucian Bolca). L’areale di produzione dello speck abbraccia l’intera provincia di Bolzano ma la carne suina può arrivare da tutta Europa. In alto: lo speck Alto Adige IGP. In basso: Martin Knoll, direttore del Consorzio di Tutela Speck Alto Adige (photo © Massimiliano Rella).
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In alto: controllo stagionatura dello speck. In basso: salagione. Al termine della salagione, lo speck sarà affumicato e sottoposto a stagionatura. Gli addetti ai controlli hanno sempre libero accesso agli stabilimenti di produzione per controllare la stagionatura, il rapporto tra parti magre e grasse, il contenuto salino, la consistenza, l’aroma e naturalmente il sapore. Solo il prosciutto affumicato che rispetta tutti
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i criteri di qualità e che ha superato i controlli viene marchiato a fuoco in più punti sulla cotenna. Il mercato dell’IGP è assorbito per oltre il 60% dall’Italia e per il 28% dalla Germania, il resto da altri 18 Paesi. Un progetto di alta qualità avviato ormai
da quasi vent’anni è quello dello “Speck del Contadino”, il Bauern Speck, prodotto artigianalmente da 4 aziende con carne di suini allevati in Alto Adige, appena cosce; di prezzo superiore di 3-4 volte e molto apprezzato nell’alta ristorazione. Lo Speck Alto Adige IGP è un classico della tradizione gastronomica altoatesina, il prodotto che non manca mai sul tagliere o l’ingrediente che dona quel tocco di gusto in più in tante ricette tipiche, a partire dai canederli. Deve il suo gusto unico e inconfondibile alla leggera speziatura con rosmarino, ginepro, alloro, poco sale e pepe e al particolare metodo di produzione che unisce una leggera affumicatura alla stagionatura all’aria fresca di montagna. Il Consorzio si occupa di tutela del prodotto e del marchio e della comunicazione. Tra le iniziative, ad esempio, c’è l’Accademia dello Speck per corsi di formazione rivolti a ristoratori, rivenditori ma anche appassionati. Con un focus sulla gastronomia altoatesina, è stato anche creato un Ricettario con il contributo di blogger e influencer per parlare a un pubblico più giovane. Massimiliano Rella >> Link: www.speck.it
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LA SALAGIONE PRIMA DI TUTTO di Massimiliano Rella
er fare qualità sono indispensabili vari ingredienti, ognuno nella giusta misura. Nel caso dello Speck dell’Alto Adige i due elementi principali sono la buona materia prima (cosce suine magre e sode da allevamenti controllati) e un corretto processo di macellazione e stagionatura del prodotto, in virtù di un Disciplinare consolidato. Le cosce sono selezionate in base a criteri di qualità e tagliate con metodi tradizionali; ad
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esempio, non possono essere utilizzati bestiame importato né tagli di carne congelata. A “certificare” poi la data d’inizio della produzione è un timbro indelebile marchiato sulle baffe, punto di riferimento per i controlli successivi e la tracciabilità. Per cominciare, le cosce sono cosparse di sale e spezie (alloro, rosmarino, ginepro, talvolta aglio rosso, coriandolo, cumino) con una miscela variabile a seconda del gusto del pro-
duttore. Una volta salmistrate a secco per quasi tre settimane, le baffe sono affumicate e girate regolarmente per consentire una penetrazione uniforme della salamoia. Il passaggio decisivo, che dà carattere e delicatezza organolettica al più noto prodotto norcino dell’Alto Adige, è proprio l’affumicatura: poco fumo e aria fresca di montagna. Completata la salmistratura, infatti, i prosciutti sono sottoposti ad un’affumicatura leggera con
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A sinistra: il produttore Martin Di Pauli con la figlia Stephanie nell’azienda Martin Speck di Trodena (BZ). In basso: speck senza grasso (fiocco) della Martin Speck.
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legno poco resinoso e successivamente ad asciugatura all’aria. In questa fase viene utilizzato principalmente legno di faggio ad una temperatura di fumo non superiore ai 20 gradi centigradi, in modo che penetri nei pori della carne, che al contrario a temperature elevate si “chiuderebbero”. Una volta affumicato, lo Speck Alto Adige IGP viene stagionato in luoghi aerati dove poter “respirare” l’aria fresca delle montagne altoatesine per un periodo variabile in base al peso delle baffe, in media per 22 settimane. In questa fase lo speck perde un terzo del peso iniziale, acquisisce la tipica consistenza e forma in superficie uno strato naturale di muffa aromatica, rimosso a fine processo ma indice di corrette condizioni ambientali e di qualità. La muffa protegge infatti la coscia in stagionatura, evitando che si asciughi troppo e che formi una crosta aromatica. La muffa, inoltre, contribuisce a far maturare lo speck in modo uniforme e ad armonizzarne il sapore con le note speziate e affumicate, rendendolo delicato ed equilibrato, dai sottili sentori di noci. Insomma, un metodo di produzione ben consolidato — da lungo tempo — che siamo andati a vedere sul campo in
una delle aziende produttrici di Speck dell’Alto Adige IGP, la Martin Speck, della FAMIGLIA DI PAULI, con impianti di lavorazione, stagionatura e vendita in un negozio con bar bistrot, a Trodena, in provincia di Bolzano. «La salagione è un passaggio fondamentale — premette il proprietario Martin Di Pauli — e sbagliare questa fase può comportare problemi come marciumi, cattivi odori e altro. Più acqua tiri fuori e meno problemi hai. Il calo di peso minimo è del 35% di acqua, altrimenti non può essere IGP, ma il grosso del calo avviene nei tre mesi iniziali, quindi lavorare bene all’inizio significa mettere in sicurezza la qualità e la sanità del prodotto». Segreti del mestiere… L’attività del signor Martin cominciò nel ‘68, quando faceva il macellaio, con appena 68 cosce di maiale: attualmente ne lavora in media 3.500 a settimana e dà lavoro a 30 dipendenti. Con lui in azienda oggi c’è la giovane figlia Stephanie. Lo Speck rappresenta per Martin Speck circa il 60% del prodotto nei diversi tagli, tipi e stagionature. Produce ad esempio l’IGP, pronto dopo minimo 22-24 settimane, 2 delle quali
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In alto: il punto vendita dell’azienda Martin Speck a Trodena (BZ). In basso: Martin Di Pauli. La sua attività cominciò nel ‘68, quando era macellaio; attualmente la sua azienda dà lavoro a 30 dipendenti.
di salagione, 2 di asciugamento a freddo, 1 di asciugamento a caldo con fumo; a seguire la stagionatura in celle computerizzate a 12-14 °C con un 60-70% di umidità. Produce anche lo speck nazionale Riserva da cosce di suino italiano e una linea di speck
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tradizionale, che fa 4-5 mesi di stagionatura, affumicata con ginepro fresco. Complessivamente sono 120.000 i pezzi, il 30% dei quali IGP. Produce inoltre pancetta, lonzini, bresaola, filetti di speck e di cervo, mezzene, ecc… La vendita avviene principalmente in Alto
Adige, qualcosa in Veneto. L’azienda investe annualmente 600.000 euro per l’ammodernamento dei macchinari e l’efficientamento energetico. Massimiliano Rella >> Link: www.martinspeck.it
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Graukäse, forme in stagionatura
GRAUKÄSE di Massimiliano Rella
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allido e rugoso in superficie, chiaro e friabile all’interno, il Graukäse — letteralmente formaggio grigio — è un’eccellenza della Valle Aurina e uno dei presidi Slow Food dell’Alto Adige. Viene fatto unicamente con latte scremato e acidificato dal calore o per aggiunta di latte acido o siero di latte della lavorazione precedente, «un formaggio totalmente artigianale che appartiene alla famiglia dei formaggi a coagulazione acida», spiega MARTIN PIRCHER,
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responsabile della condotta Slow Food del Graukäse. Siamo andati con lui a vedere il processo di lavorazione artigianale in uno dei pochi e piccoli laboratori della provincia di Bolzano, quello della produttrice MARTA HOFER. Questo il procedimento. Al punto di partenza c’è il latte vaccino (ogni 12 litri, 1 kg di formaggio), normalmente da vacche di razza Bruna alpina, Pinzgauer e altre, «ma la razza non è importante quanto il metodo di produzione», sottolinea Martin Pircher.
Si fa con il latte scremato dalla panna per la produzione di burro, cioè tradizionalmente con la rimanenza “povera”: infatti un tempo valeva molto meno del burro stesso. Il latte scremato viene mescolato con le successive mungiture, fino a 6, l’equivalente di tre giorni, questo per favorire l’acidificazione naturale che si attiva con temperature più calde, ma può essere attivata anche da innesti con briciole di formaggio o siero acido delle produzioni precedenti. Le proteine coagulano in superficie e la massa case-
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Il presidio Slow Food vuole favorire il recupero della produzione artigianale del Graukäse e riprendere questa originale tecnica di caseificazione che usa esclusivamente latte crudo proveniente da allevamenti locali. Si gusta con crostini di schüttelbrot o pane nero e burro fuso oppure con olio, aceto e fettine di cipolla rossa.
aria viene conservata con sale e calore, cotta a 45° C. La massa caseosa viene poi tagliata e girata per distribuire più omogeneamente il calore tra il fondo — ancora ricco di siero e più caldo — e la superficie. Infine, con una schiumarola si raccoglie la massa e si mette dentro un cestello di legno, cosparso di poco sale, rimescolato e pressato a mano per far uscire il siero. Il “formaggio grigio” stagiona in media quattro settimane, ma la durata dipende anche dalle dimensioni del-
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la forma. Si acquista a 10,00-17,00 €/kg nei masi e dai singoli produttori; nei negozi a 15,00-22,00 €/kg. «Da secoli è un formaggio fatto in casa e ancora oggi alcune famiglie continuano a farlo per l’autoconsumo, sono invece soltanto tre i produttori del presidio Slow Food — aggiunge Martin Pircher — tutti piccoli produttori e allevatori, con una, massimo tre vacche da latte». Il Graukäse della Valle Aurina è ancora un prodotto casalingo ma sta
crescendo in modo importante, gli chef lo usano nei piatti più creativi e i giovani cominciano a mostrare interesse. Il prodotto è stato infatti inserito anche negli insegnamenti della Scuola professionale di agricoltura di Tedone, vicino Brunico. Ma stanno nascendo anche corsi per adulti volti ad aumentarne la conoscenza. Massimiliano Rella Nota Photo © Massimiliano Rella.
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Alta cucina dell’Alto Adige di Massimiliano Rella
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In alto: il ristorante AlpiNN, a 2.200 metri d’altezza sul Plan de Corones e lo chef Norbert Niederkofler. In basso: il menu Taste Nature dello stellato Johannesstube, ristorante dell’Engel Gourmet & Spa Hotel di Nova Levante (BZ). A sinistra: “Cipolla, cipolla e Sasso Nero”, ristorante AlpiNN.
na materia prima di qualità nelle mani di chef che portano in quota la cucina dell’Alto Adige. Su tutti lo chef NORBERT NIEDERKOFLER, tre stelle Michelin al ristorante St. Hubertus, di San Candido, a fine 2018 in cima a Plan de Corones, oltre 2.000 metri slm, ha aperto il panoramico risto-bistrot AlpiNN, per dare concretezza alla sua filosofia Cook the Mountain (www.alpinn.it). Un incontro di modernità, valori e tradizione alpina: ingredienti stagionali, riduzione degli scarti al minimo, metodi di conservazioni quali la fermentazione per dare valore aggiunto a determinati ingredienti. La
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cucina segue la filosofia carne da animali acquistati per intero, fermentazioni, ketchup di prugna, ricerca di prodotti di biodiversità, erbe selvatiche, funghi, verdure, foglie aromatiche e con un unico soggetto che fa il giro dei fornitori. Zero prodotti di serra, niente agrumi né olio extravergine. «La scrittura del menu è determinata dalla natura, il lavoro di ricerca sui fornitori permette di arrivare preparati alla stagione con nuovi piatti e novità», ci dice Niederkofler, supportato in questo dall’executive chef di origine sarde FABIO CURRELI. Tra i piatti ci attendono un gustoso antipasto “Cipolla, cipolla e Sasso
Nero”: una cipolla cotta in cenere, gratinata al formaggio Sasso Nero della Valle Aurina con top di cipolla acida croccante; oppure gli “Spaghettoni Matt monograno Felicetti, sarde di Monte Isola (agone), grano saraceno e polvere di foglie di cavolo”. Il ristorante AlpiNN è letteralmente dentro una scatola di vetro affacciata sul paesaggio alpino, di grande impatto scenografico. Il progetto di design, che riprende l’idea del salotto di montagna, è stato curato dal designer altoatesino MARTINO GAMPER, premiato a Londra per il progetto di arte & recycling “100 Chairs in 100 Days”, fatte con i rifiuti
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Lo chef Theodor Falser del ristorante stellato Johannesstube nella serra del maso Eisath Hof del giovane coltivatore Michael Pfeifer. londinesi. Gamper ha studiato le stube di montagna in giro per il mondo e rivestito il soffitto di pannelli in loden realizzati da una ditta di Brunico con tecnica giapponese di pittura a freddo, senza inquinamento dell’acqua e strisce dipinte su telaio: 400 metri di pannelli diversi. Inoltre, le lampade bianche sono realizzate in vescica di maiale, mentre i tavoli sono pezzi unici di acero realizzati da artigiani locali; il bancone è in serpentina, una pietra della Val di Fundres, e il parquet di larice composto da assi di larice a incastro, senza chiodi, secondo una tecnica locale. In carta niente bevande gassate, ma succhi di territorio: sambuco, lampone, mele, pere. E l’acqua non è in bottiglia, ma di una sorgente a 100 metri sotto gli impianti sciistici, filtrata e mineralizzata con sistema BUT (Best Water Technology); 50 centesimi a litro sono accantonati per lo sviluppo di pozzi in Africa e Asia. L’energia è verde, fornita da Alperia, e i rifiuti sono differenziati e raccolti da un unico “gatto delle nevi” che fa il giro dei rifugi del Plan di Corones.
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Altro caso interessante ci arriva dalla Johannesstube, ristorante dell’Engel Gourmet & Spa Hotel di Nova Levante (BZ), in cui lo chef THEODOR FALSER porta in tavola la filosofia del Taste Nature attraverso tre menu a tema di 5, 7 e 9 “Passi nella Natura”. Ogni ingrediente è raccolto e selezionato a mano e tutto ciò che non può essere prodotto in casa proviene dall’Alto Adige. Tradizione e innovazione vanno di pari passo, come nell’antipasto “Coregone, radice nera, sumac, latticello, cavolo rosso” o nella “Poppia: grano saraceno fermentato, caviale di trota, verdure”. E ancora, nell’incredibile primo “120 a 1.200 m”, spaghetti alla chitarra Urkorn, da grano della Val Venosta con salsa ai 120 pomodori: ben 120, coltivati a latitudine 1.200; ogni pomodoro è pelato, le bucce essiccate, polverizzate e usate come “formaggio grattugiato”. Il sugo fatto con cipollotto, olio di semi d’uva, passato e scolato. Alla base del piatto una salsa di pomodoro nero. Falser, 49 anni, originario di Cornedo all’Isarco, esperienze in Svizzera, Dubai, Ecuador,
Bermuda, Oman, Cina, Malesia, ecc… fa una cucina tecnica globale con materie prime di territorio, niente vaniglia né pepe, da fuori regione solo sale e zucchero. Realizza 42 fermentazioni di verdure l’anno, produce il suo soju, miso e altri condimenti e acquista verdure, erbe aromatiche e radici dal MASO EISATH HOF di MICHAEL PFEIFER (www.facebook. com/eisathhof). Un piccolo maso di famiglia a 1.350 metri d’altezza dove il giovane coltiva circa 500 varietà, anche molto curiose e poco conosciute come il tubero giallo “oca Sud America”, croccante, dolce e acido; insalate asiatiche, crescione di aglio, pastinaca, nasturzio, tubero di nasturzio (molto forte, dal finale piccante; la bacca che si forma dopo il fiore è trattata come un cappero in salamoia, il cappero alpino) e tanti tipi di pomodoro giallo, nero, pomodoro “ananas” e “fuochi d’artificio”, cuore di bue e vari pomodori selvatici. Massimiliano Rella Nota Photo © Massimiliano Rella.
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BOLLICINE
Champagne BOOM
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La crescita record post-pandemia (320 milioni di bottiglie per 5,4 miliardi di euro) non sembra arrestarsi: col consolidamento del mercato anglosassone, unito alle opportunità che possono aprirsi sul mercato asiatico, si stima il raggiungimento nel 2032 di un giro d’affari di 11,5 miliardi pari ad un +64% in 10 anni. In alto: Luigi Sangermano, AD di Laurent-Perrier Italia (photo © Hargreaves).
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opo il difficile periodo pandemico, il mercato dello Champagne ha ripreso a crescere più forte di prima, con previsioni per il periodo 2022-2032 estremamente ottimistiche, soprattutto per quel che riguarda la crescita in nuovi mercati, come Cina e India. Secondo il Report del Comité Champagne, il 2021 è stato chiuso con esportazioni record: 320 milioni di bottiglie, il volume più elevato degli ultimi 10 anni (+31% vs 2020, +8 % vs 2019), per un giro d’affari di 5,7 miliardi di euro (+36% vs 2020, +14% vs 2019). A guidare il mercato è naturalmente la Francia, che sul mercato interno è tornata ad un consumo sui livelli del 2019 (140 milioni di bottiglie), mentre sull’export ha raggiunto quota 180 milioni di spedizioni, 37% in più del 2020 e 15% in più del 2019. La direzione che hanno preso queste bottiglie segue prevalentemente la strada anglofona, con Stati Uniti e Regno Unito, che rappresentano rispettivamente il primo e il secondo mercato
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per volume (oltre 34 milioni di bottiglie gli USA e quasi 30 milioni UK) e giro d’affari (oltre 793 milioni di euro per gli statunitensi e quasi 504 milioni per gli anglosassoni). Sorprendente il dato dell’Australia, che aumenta il valore del suo mercato del 40%, passando dai 113,5 milioni di euro del 2019 ai 160 milioni del 2021. L’Italia è sempre in top ten, raggiungendo il secondo miglior risultato per volume di consumi dal 2008 (9,4 milioni di euro del 2008 contro i 9,2 milioni del 2021), per un giro di affari di 200 milioni, cifra più alta degli ultimi 14 anni. A livello globale il Belpaese è il quinto sbocco per giro d’affari il settimo per volume. «Questa rinascita è una gradita sorpresa per il popolo dello Champagne dopo un 2020 travagliato, che ha risentito della chiusura dei principali punti di consumo e della scarsità di eventi celebrativi in tutto il mondo» commenta Luigi Sangermano, AD di Laurent-Perrier Italia, relativamente ai dati del 2021.
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Nel 2015 le colline e le cantine dello Champagne sono entrate nella Lista del Patrimonio Mondiale dell’UNESCO, nella categoria Paesaggio Culturale (photo © www.franciaturismo.net). «Altro segnale d’interesse arriva dal mercato asiatico: dopo qualche anno poco convincente, la Cina sembra aver avviato il suo percorso verso il mondo delle bollicine. Nel 2021 sono arrivate nel Paese del Dragone ben 4,8 milioni di bottiglie, per un totale di 150 milioni di euro. Grazie all’aumento delle esportazioni e alla fedeltà dei clienti per le grandi cuvée sono convinto che lo Champagne raggiungerà fatturati record, intercettando nuovi mercati e nuovi tipi di consumatore», aggiunge Sangermano. E proprio dal mercato asiatico parte la ricerca effettuata da Future Market Insights sulle prospettive globali dello Champagne per il periodo 2022-2032. I trend futuri individuati sono principalmente l’aumento della capacità della
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spesa globale, la crescita delle economie in via di sviluppo e l’introduzione al consumo delle nuove generazioni di giovani asiatici. Si prevede che i giovani di Paesi come l’India e la Cina siano più propensi a provare nuove cucine e bevande, tra cui lo Champagne, bevanda che ha anche una forte valenza sociale. Secondo Future Market Insights, il mercato asiatico dello Champagne dovrebbe arrivare a valere 630 milioni di dollari entro quest’anno, pari a circa il 18% del mercato globale. Luigi Sangermano fissa l’obiettivo: «Far conoscere e apprezzare la cultura dello Champagne a Paesi che non hanno una grande tradizione enologica sarà l’obiettivo che guiderà tutti gli addetti ai lavori da qui a 10 anni». Complessiva-
mente, la ricerca stima il raggiungimento di un giro d’affari del valore di 11,5 miliardi di dollari entro il 2032 (+64% in 10 anni), con l’Europa che continua ad avere un ruolo importante: per il Vecchio Continente è previsto un tasso di crescita annuale medio (CAGR) del 4,6% fino al 2032, preceduto da quello stimato per gli USA (5,1%). La ricerca dedica anche uno spazio alle nuove modalità di acquisto del prodotto: dal 2022 al 2023 si prevede che il canale di distribuzione on-line crescerà ad un tasso del 5,2% e rappresenterà il 60% delle vendite. I principali operatori rafforzeranno la collaborazione con diversi marketplace on-line e affineranno i loro siti web per offrire ai clienti un’esperienza di acquisto sempre più personalizzata.
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WEEK-END
Nuove frontiere del GUSTO IN ALTA VALTARO Dal servizio di chef a domicilio alla visita guidata tra botteghe e sapori, le new entry gastronomiche di una valle “buonissima”
l bello delle terre di confine è che, erroneamente considerate ai margini della geografia convenzionale, si rivelano in realtà cuore e punto d’intersezione di culture e idee, metabolizzate e rielaborate per esprimere progetti ed esperienze originali. È esattamente questa la dinamica che ha portato l’Alta Valtaro a diventare il teatro di svariate novità in ambito enogastronomico, capaci di valorizzare la tradizione con la fantasia e il gusto per l’innovazione.
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Abate Wala, cucina emiliana-lunense Nato da un progetto di riscoperta e approfondimento delle materie prime e dei piatti della tradizione locale e con un nome preso in prestito da un geniale monaco del monastero di Bobbio, Abate Wala si è trasformato col tempo in un servizio di chef a domicilio di altissimo livello, dove sapori e ricerca sui prodotti del territorio si amalgamano per offrire un’esperienza indimenticabile. Ingredienti a km 0, sostenibilità e va-
lorizzazione delle eccellenze valtaresi sono il vero carburante di una cucina mobile installata su un camioncino militare 4x4 che diventa il punto di partenza per la consegna direttamente a casa dei clienti di cene preparate sul momento. L’ultima novità introdotta dai FRATELLI ALESSIO E SIMONE CIANCOLINI sono le serate showcooking con cena inclusa, in cui cucina e storytelling si fondono per offrire ai presenti una full immersion gastronomica (@abatewala; telefono: 334 1030149).
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Così è (se vi pare) Altra ventata di novità nell’offerta culinaria è arrivata con ALESSANDRO DELNEVO, borgotarese classe 1982, il quale, diplomato all’Alma, dopo anni di esperienze diverse in ristoranti stellati e non, ha coronato il sogno di tornare a casa con “Così è (se vi pare)”, un ristorante gourmet intimo ma allo stesso tempo informale, dove la materia prima è di qualità eccellente e viene lavorata con rispetto e creatività (telefono: 333 2451088; sevipare10@gmail.com).
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Il Borgo di Tara, 100% veg Tra boschi, prati e pascoli, un piccolo borgo di pietra risalente almeno al 1850 si è rivelato il contesto ideale per dare vita a Il Borgo di Tara, agriturismo vegano immaginato e realizzato da persone che di questo luogo si sono innamorate. Priva di ingredienti di origine animale, la cucina comprende marmellate, conserve, tisane, succhi e digestivi autoprodotti. A Tovi di San Pietro, angolo incantevole dell’Appennino parmense (telefono: 0525 98011).
A sinistra: la Valtaro, tra Liguria e Toscana, è uno dei gioielli naturalistici meglio custoditi d’Italia, ancora poco conosciuto (photo © Bonotto Mario). In alto: Borgo Val di Taro (photo © Alessandro Calzolaro). In basso: la Fiera Nazionale del Fungo Porcino di Albareto, importante manifestazione dedicata a questo prezioso prodotto del sottobosco, è in programma quest‘anno dal 30 settembre al 2 ottobre (photo © Francesca Bocchia).
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Anolini di asinina in brodo di cappone al ristorante “Cosi è (se vi pare)” di Borgo Val di Taro. Cioccolateria Biolzi Fondata nel 1979, la Cioccolateria Biolzi di Bedonia — dove è obbligatoria una tappa al Museo Vescovile — è una storia di famiglia, che vede oggi MARCO BIOLZI scrivere un nuovo capitolo mettendo a frutto la propria esperienza internazionale di pasticciere e la conoscenza dell’antica tradizione. Accanto a prodotti dolciari già presenti all’inizio del ‘900, la cioccolata è oggi diventata la specialità che riassume e dà un sapore ad una passione. Tra le specialità, le tavolette d’autore Le Bimbe by Diego Gabriele, le pratiche varianti del cioccolato da passeggio su stecco, la crema spalmabile e le edizioni speciali per San Valentino (telefono: 347 0172336, www.cioccolateriabiolzi.it). La Vecchia Compiano, funghi, tartufi e storia Nella piazzetta di Compiano, inserito nella lista dei Borghi più belli d’Italia, anche grazie allo splendido castello, La Vecchia Compiano è un sentito omaggio alla cucina del territorio. Nel
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menu elaborato da MICHELA BIOLZI, che qui aveva lasciato il cuore, antichissime ricette tramandate di generazione in generazione si alternano a piatti frutto di tecniche più contemporanee. Il km 0, la cultura del territorio e la stagionalità sono i principi chiave di una filosofia che lega le proposte ai vari momenti dell’anno. Se l’autunno e l’estate portano ad esempio sulla tavola funghi porcini IGP di Borgo Val di Taro, tartufo nero della Valtaro e tartufo bianco, la primavera è il momento dei funghi prugnoli. Nella cantina del palazzo, appartenuto al capo dai Dragoni ducali di MARIA LUIGIA D’AUSTRIA, riposa una selezione di vini importante e sempre in evoluzione (telefono: 393 3643001). GustaBorgo Da questo excursus di novità, si intuisce come l’Alta Valtaro sia ricca di prodotti che chi viene in visita non può non assaggiare. È il presupposto che ha ispirato la nascita di GustaBorgo, visita guidata con GIACOMO GALLI (Visit Emilia, visiteinsolite.com) a Borgo Val di Taro per
parlare di gastronomia tipica e scoprire vecchie e nuove botteghe, degustando i sapori caratteristici della zona. A Borgo in Tavola, Cinzia racconta ad esempio della torta d’erbe di Borgo Val di Taro a base di bietola cruda, Parmigiano 30 mesi e olio, che ha imparato a preparare dalla nonna. In uno dei bar del centro, si assaggia la birra del Birrificio Turris, che firma anche varianti al sentore di miele e crosta di pane oppure alle more o alle castagne. Sofia spiega come l’amore per i miceti sia una questione di famiglia e illustra le specialità tematiche della Bottega del fungo. Sono invece GIOVANNI e PAOLA a ripercorrere la storia dell’artista dei dolci MAURIZIO STECKLI, arrivato dall’Engadina a Borgo Val di Taro nel 1915 per dare il via a una produzione dolcissima che oggi ha un simbolo nell’Amor, wafer croccante alla crema di burro rotolata in mezzo alle mandorle. Il tour si conclude a “Le Bontà di Camisa, dal 1929”, dove i riflettori sono puntati su la “baciocca”, torta di patate con base di foglia di castagne.
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ANTICA CORTE PALLAVICINA Ristorante “AL CAVALLINO BIANCO” 43010 Polesine Parmense (PR) Tel. 0524 96136 – Fax 0524 96416 www.acpallavicina.com
Nel 1905, nostro nonno Spigaroli Luigi riesce a diventare fittavolo dell’Antica Corte Pallavicina. Il vecchio castello eretto nel 1400 dai Marchesi Pallavicino, trasformato nel 1700 in azienda agricola, è situato sulla riva del Po. Nascono sei figli e l’ultimo, nel 1916, è nostro padre Spigaroli Marcello. Egli diceva che nel castello si stava bene, avevano il traghetto sul fiume, in estate curavano il podere, allevavano come sempre parecchi maiali che in inverno macellavano e facevano i salumi. Salumi che venivano venduti, da prima interi, ai passeggeri del loro traghetto poi, in seguito, al sorgere di una prima baracchetta di legno in riva al Po, affettati insieme al pane, a coloro che, sulle rive del fiume, si recavano in passeggiata anche dai paesi vicini. Da quella baracchetta successivamente ampliata, ma sempre in legno, e divenuta il “Lido di Polesine”, nel quale si ballava e si facevano merende, trarrà origine, dall’immane sforzo congiunto della zia Emilia e dei nostri genitori, il ristorante “Al Cavallino Bianco”. Di posti come il vecchio castello in riva al fiume non ne esistono quasi più, con muri di oltre un metro di spessore, con cantine stupende dove i marchesi stagionavano i loro salumi che inviavano agli Sforza a Milano. Infatti più i salumi e i culatelli sono vicini al grande fiume e più sono buoni!! Tutti quei racconti non li abbiamo mai dimenticati e quando dieci anni fa viene venduta la vecchia Corte Pallavicina decidiamo di acquistarla, con grandi sforzi economici, per poter continuare come il bisnonno, il nonno, il papà a fare dei salumi unici, non sintetici, che mangiandoli scopri da dove vengono e chi li ha fatti. Del resto alla nostra famiglia il senso del buono l’ha insegnato una persona che di cose buone se ne intendeva e noi non ce la sentivamo proprio di lasciar perdere tutta questa esperienza. Massimo e Luciano Spigaroli figli di Marcello.
FORMAGGIO
Latteria turnaria di Pejo e Casolét di Riccardo Lagorio
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na volta rappresentavano l’impalcatura economica dei piccoli centri di montagna, garantivano lavoro e reddito ai contadini e, nel contempo, esprimevano in maniera tangibile il senso di solidarietà delle comunità. Nei migliori dei casi le sedi dei casei-
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fici turnari sono state oggi trasformate in museo, ma alcuni di questi simboli di un passato tanto diverso resistono. Uno di questi si trova a Pejo paese, in provincia di Trento. Nel sistema turnario il numero delle caserade, ovvero l’insieme dei prodotti lavorati in un determinato giorno, a cui
ciascun socio aveva diritto, era proporzionale al latte conferito. Si prevedeva inoltre che ogni caserada, fosse, a turno, proprietà di uno dei soci del caseificio. Il sistema consentiva alle famiglie di trasformare collettivamente ridotte quantità di latte e si manifestava adatto a sistemi produttivi di piccola scala.
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Daniele Caserotti e Ilaria Della Giovanna nei locali del Caseificio turnario di Pejo, ultimo caseificio turnario in funzione in tutto il Trentino. Tutto il formaggio qui viene prodotto con latte crudo e secondo il sistema tradizionale: caldaie in rame, vasche d’acqua per l’affioramento della panna e ambienti per la salamoia.
Il caseificio turnario si distingue chiaramente dal modello cooperativo perché i soci conferitori non vendono il latte alla cooperativa, ma ricevono un servizio per cui viene riconosciuto loro un certo quantitativo di prodotto in base al latte apportato. Il calcolo utilizza un sistema di debiti e crediti di
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In alto: il burro ottenuto dalla panna di affioramento. Possiede colore giallo paglierino e profumo intenso, sapido all’inizio, pieno e unto dopo pochi istanti da quando si mette in bocca. In basso: i locali di stagionatura dei formaggi. latte maturati nell’arco di un determinato periodo. Un’organizzazione efficiente e votata al bene comune che si rinveniva in molte borgate alpine. Il Caseificio di
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Pejo che mantiene questa impostazione è costituito da una sala con tre caldaie in rame, un locale con le vasche ad acqua per l’affioramento della panna di latte,
un ambiente dedicato all’immissione dei formaggi in salamoia, alcune cantine per la stagionatura e uno spazio per la vendita. Il piccolo negozio è affidato alle cure di ILARIA DELLA GIOVANNA, che lavora qui in veste di conferitrice (possiede 8 vacche) e dipendente. Collabora anche con il casaro, il giovane DANIELE CASEROTTI, nella produzione del formaggio. «I soci sono 4 e salgono a 8 in estate e in giorni normali lavoriamo da 4 a 12 quintali di latte» rivela RICCARDO CASANOVA, presidente del consesso. «Ma nel 1959, quando il caseificio turnario fu fondato, i conferitori erano oltre 100». Qui a 1585 metri, nel Parco Nazionale dello Stelvio e accanto alla chiesa di San Giorgio con il suo campanile che raffigura San Cristoforo, Patrono dei pellegrini, è facile ripetere innumerevoli viaggi dopo avere conosciuto la bontà del Casolét. «Si tratta di un formaggio a latte crudo e la sua artigianalità comporta la variabilità del peso delle forme, che va da 700 grammi a 2 kg» chiarisce Daniele Caserotti, poco più che ventenne ma già con grande esperienza acquisita. Un tempo il Casolét si
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produceva solo in autunno, quando le mandrie erano già scese dagli alpeggi e le mungiture erano scarse; ora si tende a renderlo disponibile per buona parte dell’anno. «La preparazione avviene portando la temperatura del latte intero di una o due munte a una temperatura tra 35 e 39 gradi. Dopo l’aggiunta del caglio e l’opportuna attesa, si procede alla grossolana rottura della cagliata e uno o due successivi scuotimenti per liberare il più possibile i granuli dal siero» continua. Dopo aver lasciato riposare la massa, si travasa negli appositi stampi compattandola opportunamente. Il casaro rivolta più volte nello stesso giorno le forme a temperatura ambiente, continuando a salare le forme a secco per 3 giorni sulle assi della casera. La stagionatura si protrae per almeno 20 giorni. Durante il periodo estivo si può trovare anche il Casolét con aggiunta di latte di capra. Altro prodotto identitario della latteria è il Pegaes, un formaggio a pasta dura che si consuma a partire dal quarto mese dopo la produzione, ma che stagiona anche oltre un anno. In questo caso il formaggio rimane nelle vasche di salamoia per una settimana circa. Il burro si ottiene dalla panna di affioramento, possiede colore giallo paglierino, profumo intenso, sapido all’inizio, pieno e unto dopo pochi istanti da quando si mette in bocca. «Siamo rimasti gli unici, ma i problemi sono tanti. Ad iniziare dai problemi degli spazi che ci impongono i veterinari dell’azienda sanitaria locale, perché dovremmo seguire le stesse regole dei grandi caseifici industriali. In cima ai loro desideri il fatto che noi si pastorizzi il latte, ma ciò renderebbe il nostro formaggio uguale a tanti altri». L’ira antibatterica di questi ayatollah in camice bianco, si sa, non si ferma di fronte a nulla. Col pretesto di abbattere i microrganismi sono riusciti nell’intento di sterminare buona parte di patrimonio della cultura materiale del nostro Paese: la latteria turnaria di Pejo intanto resiste. Riccardo Lagorio Caseificio turnario di Pejo Via San Giorgio 2 – 38024 Pejo (TN) Telefono: 3339612140 Nota Photo © Marco Simonini.
PASTA
PASSATELLI IN BRODO DI CAPPONE: LA RICETTA DELLE DONNE VERACI DI ROMAGNA di Chiara Papotti
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In Romagna il culto del brodo viene da lontano e ha un qualcosa di poetico. Nel ricettario artusiano sull’Arte del mangiar bene il cappone viene descritto come: “rimminchionito animale che, per sua bontà, si offre nella solennità di Natale in olocausto agli uomini”.
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i chiamano passatelli — scriveva PELLEGRINO ARTUSI nel 1891 — perché prendono la forma loro speciale passando a forza dai buchi di un ferro appositamente, poche essendo le famiglie in Romagna che non l’abbiano, per la ragione che questa minestra vi è tenuta in buon conto”. Da allora nelle cucine delle azdore (termine della tradizione locale per indicare le massaie, regine della casa) si continuano a preparare una sorta di vermicelli color dell’oro, ottenuti da tre ingredienti principali: uova, pane grattugiato e formaggio grana. Pietra miliare dei giorni di festa, i passatelli sono il simbolo di una terra verace, che ha saputo trasformare una
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pietanza dalle umili origini in un piatto raffinato, amato da tutti. Per l’impasto dei passatelli, oltre al pane raffermo, al formaggio e alle uova fresche di giornata, si aggiungono: un pizzico di sale, una spolverata di noce moscata e una scorzetta di limone grattugiata a piacere. Sulla spianatoia si mette a fontana il pane e il formaggio, al centro si rompono le uova e si aggiunge il resto degli ingredienti. Tradizione vuole che l’impasto venga lavorato a mano, con una buona dose di energia, dalle infaticabili artigiane. Una volta ottenuta una palla dalla consistenza omogenea è necessario lasciarla riposare in frigorifero per almeno 6-7 ore, perché il pane grattugiato abbia modo di ammorbidirsi e legare con tutti
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La ricetta dei passatelli discende con buone probabilità da una specie di medicina casalinga romagnola: la “tardura” era infatti un piatto corroborante a base di uova, formaggio e pangrattato in brodo riservato alle donne nel periodo dopo il parto.
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gli ingredienti. Le donne romagnole si tramandano di famiglia in famiglia la ricetta e il tipico ferro dai buchi leggermente più grossi di uno schiacciapatate. Per ottenere i passatelli è necessario far scorrere con forza sull’impasto il ferro a due manici, facendo un movimento simile a quello di una sfogliatura e il gioco è fatto. Per le feste vengono serviti, secondo la tradizione, nel brodo di cappone preparato con manzo, sedano, carota, cipolla, una patata e un pomodoro sbucciato. La cottura è molto veloce, bastano un paio di minuti, finché vengono a galla. In Romagna il culto del brodo viene da lontano e ha un qualcosa di poetico; nel ricettario artusiano sull’Arte del mangiar bene il cappone viene descritto come: “rimminchionito animale che, per sua bontà, si offre nella solennità di Natale in olocausto agli uomini”. Una volta si sacrificava il cappone più grasso, per cucinare il brodo in cui affogare i passatelli; oggi, invece, si aggiungono comunemente anche altri tagli di manzo, di più facile reperibilità, come il “cappello del prete” (il taglio ricavato dal quarto anteriore del bovino). Il risultato è sorprendente, tanto che la cosa più difficile, davanti ai passatelli in brodo, è quella di resistere alla tentazione di un bis. Una variante sempre più diffusa sulle tavole romagnole è la versione asciutta dei passatelli. Sulla costa è facile trovarli nei ristoranti conditi con sughi di pesce fresco, mentre nell’entroterra si possono degustare con i funghi porcini, con salsiccia e radicchio o mantecati con un buon taleggio. Una infinità di ricette, ma tutte di solida ispirazione stagionale. Cucinati in casa, soprattutto, per le grandi occasioni come le feste religiose, si possono altrimenti trovare tutto l’anno in vendita nelle poche botteghe artigiane, rimaste legate ad antiche consuetudini gastronomiche. Vasta è, però, l’offerta industriale dei passatelli, negli ultimi anni si è ampliata anche la reperibilità on-line, ma chi ha assaporato la tradizione giura di voler rimanere fedele alle mani esperte delle donne tenaci di Romagna. A far scuola di passatelli, infatti, non è stata solo l’opera di Pellegrino Artusi, ma anche e soprattutto l’amore delle azdore per la famiglia. Con l’imman-
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Per preparare i passatelli sarebbe necessario usare un attrezzo antico e particolare, “e fér”, il ferro, difficilmente reperibile al di fuori dell’Emilia-Romagna. Il ferro classico è un disco concavo forato dotato di manico laterale, simile allo schiacciapatate. Spingendo sui manici si schiaccia l’impasto con un breve movimento da sinistra a destra (o viceversa) fino a farlo fuoriuscire dai fori con la tipica forma. cabile sapienza femminile, coi discorsi della casa, sui figli, sul raccolto e sul cortile le donne di casa facevano un rigoroso lavoro di squadra intorno alla tavola: una si occupava della preparazione del pane, una grattugiava il formaggio, un’altra lavorava l’impasto e un’altra ancora lo passava con il ferro. Tra un gesto e l’altro prendevano così forma i passatelli, minestra dall’indiscusso temperamento, quasi lo avessero assorbito dal carattere delle azdore di Forlimpopoli, di Forlì, di Cesena e Bertinoro. Oggi sono rimaste in poche, ma chi ha ancora la fortuna di entrare nelle loro cucine, può comprendere che ogni loro gesto, ogni sorriso o discorso (rigorosamente nel dialetto locale),
contribuisce a dare sapore e profumo alle spianate di passatelli. Il ferro originale (“e fér”) è cosa ormai rara da trovare e quelli rimasti passano indenni di madre in figlia (oggi in commercio sono tutti fabbricati in acciaio inox). C’è chi, addirittura, da vero appassionato, va a caccia di tesori nei mercatini di antiquariato per trovare quelli ormai dismessi. In alcuni ristoranti della Romagna si possono vedere appesi alle pareti come cimeli che accendono la fantasia e la curiosità degli ospiti buongustai, rendendogli ancora più gradevoli i passatelli in brodo di cappone, simbolo di festa e convivialità familiare. Chiara Papotti
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PANE
Il pane sfogliato del Po sale sull’Arca di Slow Food
LÜADÈL DI POMPONESCO di Gaia Borghi
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orgo sospeso sulle rive del Grande Fiume, Pomponesco è un piccolo comune della Bassa Montovana. Una grande piazza ne domina la struttura e l’identità, i portici e le case color pastello tutto intorno, l’ombra di un castello che fu dimora principesca e che ora si può soltanto immaginare, l’argine in lontananza con la scalinata che conduce alla Riserva naturale della Garzaia e poi al Po. Un paese non noto a molti forse ma molto amato da Cesare Zavattini e Mario Soldati, Bernardo Bertolucci, che lo scelse per girare alcune scene di Novecento, o ancora Mario GirottiTerence Hill, che dopo aver girato qui il remake di Don Camillo è stato insignito della cittadinanza onoraria. Nel mio piccolo, invece, io lo conosco e l’ho scelto come meta per una gita a carattere gastronomico grazie al lüadèl, un pane “focaccioso sfogliato”, come viene perlopiù descritto da queste parti, che in passato i contadini nelle cascine usavano preparare per controllare che il forno avesse raggiunto la giusta temperatura, prima di cuocere il cosiddetto “pane grosso” per la settimana. Un pane di prova insomma: il nome sarebbe infatti etimologicamente riconducibile ai verbi sollevarsi, alzarsi, e quindi al lievitare, ma potrebbe essere legato anche al termine dialettale del lievito madre. «Fino agli inizi del ‘900, prima che nascessero i panifici, ogni famiglia tra Pomponesco e Viadana aveva la sua ricetta del lüadèl. Quello di Viadana però — un prodotto che oggi si trova abbastanza facilmente in quasi tutti i forni del comune mantovano — resta basso, perché non viene usato il lievito, e quindi risulta molto più unto. Più simile al nostro invece era quello prodotto da un unico fornaio di Villastrada, ma alla fin fine, quando siamo andati a ricercare l’origine di questo pane, tutto e tutti ci hanno sempre riportati qui a Pomponesco». A raccontarmi “vita, mancata morte e miracoli” del lüadèl è MENTORE NEGRI, titolare con la moglie VIRNA della Panetteria Il Cesto e uno dei protagonisti della riscoperta e della rinascita del panino sfogliato. I due hanno aperto il loro negozio 18 anni fa e da 16 propongono questa specialità. Prima solo la domenica, oggi tutti i giorni. «Possiamo dire tranquillamente che è il
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In alto: Mentore e Virna Negri, viadanesi di nascita, hanno aperto 18 anni fa Il Cesto in via Roma a Pomponesco (MN). Panetteria, pasticceria, cioccolateria, torrefazione e gelateria, senza scordare pizza in teglia e panettone nel periodo natalizio: tutto 100% artigianale con certificazione “Bio”. Il padre di Mentore faceva il fornaio: i due hanno lavorato insieme per 25 anni poi, per una decina d’anni, Mentore ha lasciato il forno per la fabbrica, quindi ha ripreso la via della farina e del lievito madre insieme alla moglie. «Facciamo quello che ci piace e che ci diverte» mi dice Virna. Una menzione particolare la meritano la loro giardiniera e le confetture sempre di produzione propria, soprattutto quella di melone antico. In basso: la cottura dei lüadèl (photo © www.facebook.com/mentore.negri). nostro prodotto di punta» prosegue Mentore. «C’è gente che fa anche 30-40 km per venire a comprarlo, soprattutto nel week-end, considerandolo il pane della
festa». La domenica, infatti, Mentore e Virna ne producono una cinquantina di chili, sei/sette chili in tutto il resto della settimana.
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Per la ritrovata notorietà del lüadèl bisogna ringraziare il grande lavoro fatto da Slow Food e in particolare dalla condotta dell’Oglio-Po, di cui Mentore Negri fa parte, ma non si può certo dimenticare Luigi Saltini, dell’omonimo ristorante attualmente gestito dal figlio DANIO. Fu infatti lui a suggerire alla moglie, GILDA AZZI, di riproporre per i clienti del proprio locale il lüadèl, che lei aveva imparato a fare da bambina seguendo le indicazioni della nonna sulla base di una ricetta di famiglia tramandata oralmente. Si deve quindi ai Saltini e alla loro volontà di mantenere viva questa ricetta la sopravvivenza stessa del lüadèl che, nel ristorante che affaccia sulla magnifica piazza XXIII Aprile, resta fisso in menu, servito caldo insieme ad una selezione di salumi grassi: spalla cotta, salame o pancetta, tagliati belli spessi, che si sciolgono al suo contatto. «Il 31 maggio 2019 abbiamo costituito ufficialmente anche la Confraternita degli amici del lüadèl — continua Mentore — per portare avanti la tradizione di questo prodotto e farci conoscere sempre di più al di fuori dei nostri confini, a livello nazionale. Inoltre, quest’anno il lüadèl dovrebbe “salire” sull’Arca del Gusto di Slow Food insieme agli altri quattro prodotti già presenti provenienti dal territorio dell’Oglio-Po ovvero il Lambrusco, quello scuro tipico di queste zone, il melone antico, lo spallotto e i gnòc a la mulinèra, gli gnocchi alla mugnaia preparati soltanto con acqua e farina (una ricetta da assaggiare al Caffè La Crepa di Isola Dovarese, Cremona). Infine, puntiamo ad ottenere la Denominazione Comunale (De.Co.)». La sfogliatura morbida e croccante al tempo stesso del lüadèl rimanda immediatamente al croissant, la sua forma al pain au chocolat ma… senza chocolat, avendo al posto del cioccolato un buon 30% di strutto (farina, lievito, sale gli altri ingredienti), il cui sapore si sente al primo morso e che resta la base che fa la differenza del prodotto. Gaia Borghi
Il lüadèl incontra i salumi dell’Azienda Agricola Tenca Ho assaggiato per la prima volta nella mia vita il lüadèl non a Pomponesco ma a Torino, molto lontano dalla sua terra di origine, in occasione dell’edizione 2016 di Terra Madre Salone del Gusto. A portarlo in trasferta in Piemonte l’Azienda Agricola Tenca, che al lüadèl de Il Cesto aveva abbinato il suo salame mantovano.Agricola Tenca viene fondata l’11 febbraio 1957 dai fratelli Antonio, Luigi e Enzo Tenca. Rimasta interamente a conduzione famigliare, è tutt’ora gestita dai figli e dai nipoti dei fondatori. Una famiglia, quella dei Tenca, che ha una lunga esperienza nella produzione di cereali: mais, orzo, frumento e legumi, che sono alla base dell’alimentazione suina e che assicurano l’eccellenza della produzione salumiera. Da rimarcare il non utilizzo di conservanti chimici per la conservazione dei salumi. “Già gli Etruschi consumavano carne suina nel territorio mantovano, come risulta dai ritrovamenti nella zona del Forcello, a sud di Mantova. La consuetudine continua attraverso i secoli, fino ad arrivare al Rinascimento, epoca in cui Isabella d’Este Gonzaga, Marchesa di Mantova, disponeva giornalmente di salami, salami di lingua, salami cotti… Le condizioni climatiche della nostra zona tra i fiumi Po e Oglio, sono caratterizzate da una grande umidità sia in inverno che in estate: questo è il clima ideale per la lavorazione dei salumi. La nebbia, così tanto odiata dagli uomini, è una compagna affidabile e fondamentale che permette agli insaccati di mantenere la loro giusta umidità donando al salume il gusto, la morbidezza della fetta e la dolcezza, sinonimo di genuinità e qualità”. Oltre al salame, al lardo aromatizzato e alla coppa stagionata, è senza dubbio da assaggiare la loro spalla cotta. Viene salata e legata a mano in modo da conferire al salume la caratteristica forma e cotta a bassa temperatura in acqua, vino rosso, verdure e erbe aromatiche che ne esaltano i profumi. Può essere gustata fredda o calda per apprezzarne al meglio la dolcezza e la delicatezza. >> Link: www.agritenca.it
>> Link: www.panetteriailcesto.it Nota Da vedere su Vimeo il video LÜADÉL di Riccardo Alessandri.
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LO CHEF DELL’OLIO
FRANTOIO: IL CUORE PULSANTE di Fabrizio Bertucci
i avevo promesso una visita in frantoio e oggi vi scrivo da quella meravigliosa regione che è l’Abruzzo, esattamente da Isola del Gran Sasso d’Italia, in provincia di Teramo. Sono qui per raccontarvi di una famiglia e di un frantoio le cui storie, come canta VENDITTI, “fanno dei giri immensi, poi ritornano…”. Ma veniamo a noi. Siamo nel 1949: il capostipite ANTONIO fonda il Frantoio Gran Sasso (www.frantoiogransasso.it) e, sottraendo tempo ma non passione alla sua attività di avvocato, con le sue macine e le sue presse produce olio per la comunità montana. Antonio viene a mancare giovane, improvvisamente, lasciando i quattro figli e la moglie in difficoltà inimmaginabili. Lei è costretta a vendere, marchio ed impianto. Ma, dopo quarant’anni da quell’atto tanto doloroso quanto necessario, ecco la mozione del cuore. Chi aveva acquistato il frantoio è oramai una persona anziana e non riesce più a gestirlo. Lo vende. E chi lo (ri)compra? La FAMIGLIA TRIVELLIZZI, i titolari dell’omonimo studio legale, proprio nella persona del figlio di Antonio (che all’epoca della vendita forzata dagli eventi aveva circa sedici anni…), il quale, con figli e nipoti, ridarà vita al sogno. Ovviamente macine e fiscoli sono antiquati, ma si inizia a lavorare per la produzione familiare e per qualche amico. Oggi la struttura è rinnovata, nuova sede, nuove apparecchiature all’avanguardia, via le macine in pietra che rimangono esclusivamente icona dei tempi, spazio ad un impianto MORI-TEM Cultivar 1000 a due fasi, a basso impatto ossidativo con ciclo completamente refrigerato e silos di stoccaggio azotati.
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Antonio Trivellizzi, insieme alla sorella Lidia e al cugino Mario Cheng Chi Chang oggi alla guida del Frantoio Gran Sasso, e Fabrizio Bertucci.
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Antonio (si chiama proprio come il nonno fondatore), parlami del tuo olio di montagna. «Stiamo in quota limite. I nostri uliveti sono collocati tra i 500 ed i 700 m slm, poco più in alto e questa produzione soffrirebbe per le escursioni termiche pazzesche e le gelate. Ma la montagna è anche la nostra prima alleata: date le temperature, per ora siamo naturalmente esenti dal combattere l’avversità della mosca olearia». Quali varietà di olive lavorate? «Autoctone e non. Uno dei miei obiettivi è prendere in considerazione Cultivar classiche e minori che, con la sapienza dei tempi di raccolta unita a macchinari di ultima generazione, diano oli extravergine di oliva ricchi di polifenoli, profumi e sentori, con elevate proprietà nutraceutiche. Intosso, Dritta, Tortiglione o Teramana, Pendolino, Ortice, Leccio del Corno, Picholine, Ascolana tenera, Gentile dell’Aquila. In blend o in monovarietali».
Mission aziendale? «Valorizzare il territorio semplicemente facendo l’olio buono. Mi spiego: se da una parte ci diverte produrre l’evo da guida e da premio, dall’altra ci teniamo a fare l’olio buono per tutti, per spostare sempre più l’asticella di chi acquista un prodotto di qualità a discapito delle miscele comunitarie in offerta sugli scaffali della GDO. Io ho ritenuto necessario estendere questo concetto alle farine ed ai cereali della Tenuta Trivellizzi integrando con l’accoglienza, la sala per eventi in frantoio e le degustazioni con cucina». Mentre assaggiamo il tuo 949 (si chiama come l’anno in cui nonno Antonio fondò il frantoio) in attesa della imminente nuova molitura, lasciami con una tua massima. «Lo vedi questo pezzo del frantoio? Si chiama frangitore. Dal tubo sopra entrano le olive defogliate, lavate e asciugate. Da quello sotto esce la prima pasta. Ecco, se una buona oliva sana e
di qualità è la tua Ferrari, questo componente del frantoio è l’ultima curva del Gran Premio, che, se impostata bene, ti permette di vincere». Grazie Antonio. Complimenti per l’ottimo lavoro che fate, per il sentimento, la dedizione e la competenza che ci mettete. Viva i frantoi! E quindi? Viva i frantoi! Andate su internet e cercate quelli della vostra regione, chiamateli, prenotate le visite domenicali. E piuttosto che chiudervi in un centro commerciale alla ricerca dell’ennesima maglietta di cui non avete bisogno, passate una giornata all’aria aperta. Godetevi le storie e i racconti del territorio, e poi, chissà se assaggiando quel nettare profumato, magari su una fetta di pane, non vi venga voglia di portarne via una latta da 5 litri per casa. A presto, il vostro chef dell’olio. Fabrizio Bertucci
L’olio extravergine d’oliva italiano è in orbita Campioni di olio extravergine di oliva italiano hanno raggiunto la Stazione Spaziale Internazionale grazie a un progetto inserito nel quadro dell’accordo tra l’Agenzia Spaziale Italiana e il CREA, in collaborazione con Coldiretti e Unaprol-Consorzio Olivicolo Italiano. L’ASI si è fatta promotrice del progetto e, nel contesto delle proprie relazioni istituzionali con altre Agenzie Spaziali e in qualità di Paese partecipante al programma ISS, ha reso disponibili l’opportunità di volo e il coordinamento con ESA necessario all’attuazione dell’esperimento. Il progetto si propone di studiare, attraverso un esperimento originale e inedito, gli effetti della permanenza nello spazio sulle caratteristiche chimico-fisiche, sensoriali e nutrizionali dell’olio extravergine. I campioni di olio extravergine di oliva saranno riportati sulla Terra dopo rispettivamente 6, 12 e 18 mesi per essere analizzati e confrontati con quelli dei controlli lasciati a terra. In particolare, l’esperimento andrà ad investigare come la composizione dei metaboliti secondari — fenoli e tocoferoli (vitamina E) — venga influenzata dalla microgravità e dalle radiazioni presenti nello spazio e servirà a raccogliere nuove informazioni sulla stabilità dell’evo e sulla durata di conservazione nelle condizioni ambientali spaziali. Il progetto studierà inoltre il modo in cui la tipologia di contenitori correntemente utilizzati a bordo dell’ISS influisce sul prodotto. I risvolti scientifici del progetto verranno monitorati dal Centro CREA Olivicoltura Frutticoltura e Agrumicoltura, sede di Rende, Calabria, che sta investendo per fornire soluzioni che rendano sempre più competitivo e apprezzato l’olio extravergine di oliva italiano. I campioni di olio evo vanno ad unirsi ai quattro oli extravergini selezionati che fanno parte del “bonus food” scelto, nell’ambito della missione Minerva, dall’astronauta ESA Samantha Cristoforetti e dagli altri membri dell’equipaggio. Questi oli sono accomunati da un alto contenuto in antiossidanti naturali e, in particolare, di fenoli dell’olivo che sono indispensabili per chi, come gli astronauti, è sottoposto a condizioni di intenso stress psico-fisico. Si tratta di prodotti italiani di altissima qualità, provenienti da diverse regioni, e ottenuti, ciascuno, da una singola varietà. Ricordiamo che l’Italia ha un primato nel mondo per la sua agrobiodiversità e qualità con più di 500 varietà di olivo e 250 milioni di piante, vantando il maggior numero di oli extravergine a denominazione di origine in Europa, una produzione nazionale media di oltre 300 milioni di chili e una filiera che conta oltre 400.000 aziende agricole specializzate (fonte: CREA – crea.gov.it).
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ACETO
CONSORTIUM PROFILE, UN MODO NUOVO E IMMEDIATO PER CONOSCERE E GUSTARE L’ACETO BALSAMICO DI MODENA Dire con semplicità la ricchezza e la complessità Aceto Balsamico di Modena (ABM) è prodotto in un’ampia gamma di tipologie che differiscono per caratteristiche sensoriali e analitiche. Sotto la stessa denominazione troviamo, infatti, prodotti che presentano gusti, profumi, consistenza e densità diverse: dal più “agro” e deciso a quello dolce e morbido, dal leggero e fluido al ricco e cremoso. Diversità che si riscontra anche nei prezzi. Di fronte a questa ricchezza il consumatore può essere disorientato e faticare ad individuare il prodotto desiderato, quello, cioè, che corrisponde al proprio gusto e all’intenzione di utilizzo: condimento per verdure fresche, ingrediente in ricette elaborate, abbinamento a crudo con altre pietanze o “tocco finale” di primi e secondi piatti, dessert. Ricerche di mercato hanno individuato i principali punti critici su cui lavorare per offrire al consumatore uno strumento capace di rispondere ad alcune esigenze basilari: • un sistema informativo univoco, chiaro e immediato; • indicazioni essenziali sul gusto e la struttura del prodotto; • la presenza di un soggetto terzo che funga da “garante” del sistema per ispirare fiducia.
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La funzione del nuovo marchio “Consortium Profile” creato dal Consorzio di Tutela dell’Aceto Balsamico di Modena è offrire al consumatore maggiori informazioni sul prodotto che andrà ad acquistare, una descrizione sensoriale di base condivisa dai produttori e quindi utile per “capire” meglio i diversi aceti ed eventualmente metterli a confronto. Uno strumento molto utile che arricchisce sia l’esperienza di acquisto che il prodotto stesso
Un sistema univoco, condiviso e regolato dal Consorzio Con l’obiettivo di fornire al consumatore uno strumento efficace per individuare le principali caratteristiche organolettiche del prodotto sullo scaffale, il Consorzio di Tutela dell’Aceto Balsamico di Modena ha creato il marchio “Consortium Profile”: un logo che, attraverso elementi grafici e descrittivi, è in grado di fornire un profilo sensoriale semplice e immediato, utile a orientare la scelta del consumatore, evitando la frustrazione dell’acquisto alla cieca. Il sistema Consortium Profile è di natura collettiva e gestito dal Consorzio: questo assicura la possibilità di una comunicazione uniforme, organica e
condivisa da tutti i membri che, volontariamente, decideranno di inserire il marchio nei propri sistemi di etichettatura (etichette, collarini, pendagli, scatole e packaging di presentazione del prodotto, ecc…). Il Consorzio vigila al fine di garantire al consumatore il rispetto delle regole e una corretta comunicazione. Il suo ruolo garantisce terzietà, affidabilità e autorevolezza. Considerata l’importanza per il consumatore di questo elemento, si è deciso di inserire il riferimento al Consorzio nella denominazione stessa del sistema Consortium Profile e di riportare, al cuore del marchio, il logo consortile costruito intorno all’acronimo ABM.
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dicitura in uno spazio a ciò riservato. La lettura congiunta degli elementi grafici e descrittivi contenuti nel marchio fornisce al consumatore una prima descrizione delle principali caratteristiche del prodotto e in particolare una comprensione immediata del livello di consistenza del suo “corpo” (leggero, medio, pieno) e quindi della densità e rotondità del prodotto, della sua tendenza ad un profilo sensoriale più “agro” o più “dolce” e della conseguente maggior durezza o morbidezza percepita all’assaggio e al retrogusto. Ad ognuna delle cinque categorie corrisponde un profilo sensoriale particolare e dettagliato che può essere descritto utilizzando diversi schemi e sentori: per ulteriori approfondimenti sulle caratteristiche dei prodotti si può consultare il sito ufficiale del Consorzio.
Obiettivo? Descrivere in poche parole l’esperienza del gusto Il profilo sensoriale del prodotto è descritto utilizzando un marchio che contiene tre indicatori sensoriali accompagnati da elementi grafici che ne permetto una lettura dinamica e immediata: • l’indicazione della percezione tattile del “corpo”, indice della struttura, della trama, della sfericità e della densità del prodotto e percepibile come esperienza sensoriale complessiva; • l’utilizzo delle parole “agro” e “dolce” per descrivere il gusto ai due poli estremi di una catena composta da 5 livelli che indicano in modo grafico la prevalenza dell’uno sull’altro e quindi la maggiore o minor freschezza e pungenza del prodotto o la sua maggiore o minore tendenza dolce e morbidezza; • tali descrittori vengono rappresentati graficamente attraverso l’utilizzo di due frecce con orientamento in senso antiorario e di una catena costituita da cinque sigilli circolari a riempimento progressivo. Una classificazione, non una classifica Il sistema è fondato sulla suddivisione dell’intera gamma produttiva dell’ABM in cinque classi in base ai dati analitici
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certificati relativi alla densità del prodotto finale e alla quantità di estratti secchi totali e ridotti. Tale suddivisione non costituisce una classifica qualitativa, né vuole individuare prodotti “migliori” di altri. Il suo scopo piuttosto è quello di evidenziare le principali caratteristiche organolettiche dei singoli prodotti per favorire un acquisto informato e consapevole, e facilitare la scelta del prodotto che meglio corrisponde alle esigenze d’uso del consumatore. Un codice comunicativo immediato, essenziale Il colore del marchio è il bordeaux ed è stato scelto perché riprende il colore del marchio del Consorzio, quello del prodotto e della tradizione vitivinicola del territorio. Il bordeaux è il colore della ceralacca con cui, storicamente, si siglavano i documenti, simbolo dell’imprimatur della tradizione, dell’affidabilità e della garanzia (per esigenze organizzative è stata prevista, per le sole etichette totalmente in bianco e nero, la possibilità di utilizzo di una versione in bianco e nero dello stesso marchio). Per il prodotto certificato come “invecchiato” e che quindi, come da disciplinare, è rimasto in botte per oltre 3 anni, è prevista la possibilità di integrare il marchio inserendo nella parte inferiore la relativa
Accompagnare il consumatore in un’esperienza di piena soddisfazione La finalità ultima del sistema Consortium Profile è quindi proprio quella di rispondere ad alcune delle domande di base che il consumatore si pone al momento dell’acquisto di un Aceto Balsamico di Modena e così soddisfare la sua principale esigenza, ovvero riuscire ad orientarsi verso un prodotto che corrisponda ai suoi bisogni, desideri e gusti. L’utilizzo del marchio Consortium Profile nell’etichettatura dei prodotti aiuterà ad evitare esperienze di confusione, frustrazione di aspettative e delusione assicurando quella piena soddisfazione che accompagna ogni acquisto ben riuscito e la sensazione di maggior padronanza delle informazioni e di consapevolezza di questo prezioso prodotto. Un marchio volontario Il marchio Consortium Profile potrà apparire solo sui prodotti delle aziende aderenti al Consorzio di Tutela ed essendo facoltativo verrà applicato solo sui prodotti che le aziende sceglieranno di etichettare in questo modo.
>> Link: www.consorziobalsamico.it
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Ingrediente in ricette elaborate, abbinato a crudo con altre pietanze o “tocco finale” di primi, secondi piatti, dessert: l’Aceto Balsamico di Modena IGP si presta ai più svariati utilizzi e il nuovo marchio Consortium Profile aiuterà il consumatore proprio nella scelta della tipologia più adatta alle proprie esigenze (in foto, manzo all’inglese con salsa verde alle noci e Aceto Balsamico di Modena IGP, ricetta di Licia Cagnoni, fonte: www.consorziobalsamico.it).
Domande e risposte sul nuovo marchio
* Come funziona la scala grafica inserita nella parte inferiore del marchio? Innanzitutto non è una scala, ma una catena a riempimento progressivo suddivisa in 5 livelli. Ogni livello corrisponde alla presenza di un sigillo colorato. Quindi il livello 1 avrà un solo sigillo colorato, il livello 2 ne avrà due fino al raggiungimento del quinto livello. * Come può aiutarmi il marchio a scegliere il prodotto giusto? La lettura della classificazione in 5 livelli fornisce due indicazioni fondamentali: la prima relativa alla densità del prodotto che cresce con il crescere dei sigilli colorati; la seconda sul gusto più agro o più dolce che, anche in questo caso viene segnalato dalla presenza dei medesimi sigilli colorati. * Il prodotto contrassegnato con un marchio con 5 sigilli è migliore degli altri? Questo sistema è una classificazione e non una classifica qualitativa. Quindi, non è corretto parlare di migliore o peggiore, ma di prodotti con diverse caratteristiche. Il prodotto con 5 sigilli avrà una densità e una struttura superiore a quelli di livelli più bassi e a livello gustativo il sapore del prodotto sarà più tendente al dolce che all’agro. * È corretto dire che due ABM prodotti da due diverse acetaie e aventi lo stesso numero di sigilli sono identici? No, in realtà sono prodotti che presentano caratteristiche sensoriali simili, e quindi aventi simili destinazioni d’uso, ma come per i vini ogni produttore segue ricette e metodologie di produzione, maturazione e invecchiamento che gli permettono di imprimere caratteri propri e unici al sapore dei suoi aceti.
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VINO
TENUTE TOSCANE di Massimiliano Rella
Vini e cantine della famiglia Baroncini na ripartenza all’insegna del gusto e dell’ospitalità, dopo i due anni difficili della pandemia, e con qualche novità enologica, come il nuovo Falesia, bianco frizzante da uve Vermentino mantenuto sui lieviti: è l’ultima etichetta di Tenuta Querciarossa, azienda di Magliano in Toscana (GR) del Gruppo
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Tenute Toscane, della produttrice BRUNA BARONCINI; una professionista di lunga esperienza, cominciata nei possedimenti di famiglia (storici produttori dal 1489) nell’area della Vernaccia di San Gimignano DOCG, al Podere Torre Terza. Il nuovo vino prodotto in Maremma ha colore giallo paglierino e finale velato dai residui di lieviti di seconda fermentazione; al naso risulta elegante e agrumato, al palato fresco e sapido.
La presentazione della nuova etichetta — e delle ultime annate dei “rossi” della famiglia Baroncini nell’areale di Montalcino — si è svolta a Poggio Il Castellare, un’altra cantina del gruppo sulle colline di Torrenieri, Siena, alla presenza di un ospite e di un menu d’eccezione, lo chef SIMONE RUGIATI. Tra i piatti e gli abbinamenti c’erano, ad esempio, una fresca Insalata di farro con aromi mediterranei accompagnata dal Vermentino
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In alto: la presentazione della nuova etichetta di Tenuta Querciarossa e delle ultime annate dei “rossi” della famiglia Baroncini nell’areale di Montalcino svoltasi nella Tenuta Poggio Il Castellare. In basso: Bruna e Samuele Baroncini con lo chef Simone Rugiati (photo © Bruno Bruchi). di Fattoria Querciarossa, e il Cimalino fasciato di erbe aromatiche con crema di patate al prezzemolo, servito col Brunello Riserva di Tenuta Poggio Il Castellare. L’azienda di Montalcino è il tassello forse più ambizioso del viaggio sul Sangiovese percorso in questi anni dalla Baroncini. Il Castellare è una bella realtà immersa nel verde a 350 metri slm, situata nel quadrante Nord-Est del territorio di Montalcino: circa 40 ettari di cui 7 vitati, 2 ettari a tartufaia, un bosco ricco d’erbe officinali e campi a seminativo e coltivazione di grani antichi. Al centro della struttura c’è anche un agriturismo di lusso proprio sopra la barricaia. I vigneti a conduzione biologica sono disposti a girapoggio e piantati su suoli più argillosi che sabbiosi, gestiti sotto la supervisione dell’agronomo FEDERICO BECARELLI e in collaborazione con l’enologo NICOLA BERTI. L’obiettivo della cantina è di valorizzare al meglio il vitigno Sangiovese, oltre naturalmente agli internazionali Merlot
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e Cabernet franc. In campo c’è grande attenzione alla biodiversità, perseguita ad esempio con la semina tra i filari di colture da sovescio (leguminose, crucifere, graminacee, ecc…). Inoltre, trattamenti solo a base di rame e zolfo a basso dosaggio, impiego di funghi antagonisti per controllare l’oidio (una malattia trofica delle piante, causata da Ascomycota), potature invernali delicate con tagli solo su legno giovane di 1-2 anni, ma anche potature verdi, sfogliature precoci, diradamento dei grappoli e tutti gli accorgimenti necessari per avere uve di qualità, con una maturazione fenolica e zuccherina equilibrata. In cantina, invece, si fanno fermentazioni con lieviti selezionati in acciaio e malolattica e fermentazioni in legni francesi o di Slavonia di media tostatura, tonneaux, barrique e botti medie e piccole. La gamma dei vini di Poggio Castellare comprende le diverse denominazioni ammesse sul territorio di Montalcino. Tra queste: il Rosso di Montalcino (San-
giovese in purezza), dalle note di ribes rosso e sottobosco, fresco e morbido al palato; il Brunello di Montalcino DOCG Castellare, un rosso denso e compatto, con sentori fruttati e officinali, vinificato in acciaio con macerazione di 12 giorni sulle bucce e affinamento di 24 mesi in un mix di botti piccole, tonneaux e barrique; inoltre il Brunello di Montalcino Riserva Pian Bossolino, un vino complesso e ampio, al naso con sentori di piccoli frutti rossi, note di maggiorana e noce moscata, e in bocca strutturato, elegante e persistente. Per questo vino la macerazione sulle bucce è di due settimane, l’affinamento in botti di rovere francese di 10 e 15 hl di 48 mesi e in barrique per 20 mesi, più 6 mesi di bottiglia. Sono parte di Tenute Toscane anche Casuccio Tarletti, nel Chianti Classico, e Il Faggeto, dove la Baroncini produce il Vino Nobile di Montepulciano DOCG. Massimiliano Rella >> Link: tenutetoscane.com
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Dopo la Speranza viene la Fiducia: Fontanafredda presenta il Barolo Serralunga d’Alba Renaissance 2019 Con una dedica speciale alle nuove generazioni, il Barolo della Fiducia, annata 2019, è il secondo di una collezione di 10 sentimenti che nella storia della civiltà hanno dato origine alle rinascite collettive, narrato e disegnato grazie al contributo di grandi scrittori e illustratori italiani. Renaissance, parole illustri per una nuova umanità Con la prima edizione del Barolo Serralunga d’Alba Renaissance, annata 2018, Fontanafredda, produttore di Barolo e dei grandi vini delle Langhe con 120 ettari di vigneti certificati bio, ha rinnovato, a 30 anni dalla nascita, il suo vino più iconico, arricchendolo di profondi valori culturali e artistici. Presentato a marzo di quest’anno, il Barolo della Speranza ha inaugurato la collezione e ha visto il contributo dello scrittore Marco Missiroli e della giovane illustratrice e pittrice piemontese riconosciuta a livello internazionale Elisa Talentino. Grazie al successo ottenuto, Fontanafredda ha deciso per la seconda edizione di regalare agli appassionati la possibilità di pre-ordinare on-line e in anteprima il Barolo della Fiducia 2019, seconda annata del Barolo Serralunga d’Alba Renaissance. I curatori del racconto sulla “Fiducia”, con la prefazione di Oscar Farinetti, sono la scrittrice e poetessa biellese Silvia Avallone, Premio Campiello, con la monografia dal titolo “La fiducia nei desideri”, e l’illustratore romano Andrea Calisi, che rappresenta la fiducia con la sua opera dal titolo “Il filo della reciprocità”, dove una donna e il suo alter ego sono unite da un filo, simbolo della fiducia in sé e negli altri. «Bisogna avvicinare la gente alla cultura e se un prodotto, come il vino, lo arricchisci di valori immateriali quali i sentimenti, accompagni la gente a “consumare” consapevolmente e in maniera sostenibile» ha dichiarato Oscar Farinetti. «Con Renaissance siamo partiti dalla speranza, il primo sentimento che si prova quando si pensa al futuro. Oggi proseguiamo con la fiducia, fondamentale per poter costruire il futuro, il prossimo sarà il coraggio per andare avanti e così via». Il progetto “Barolo Serralunga d’Alba Renaissance, parole illustri per una nuova umanità”, vuole fare della prima menzione comunale al mondo di un Barolo, riconosciuta dalla critica nazionale e internazionale, il simbolo del Rinascimento Verde, lo strumento che vuole mettere la Terra al centro dell’uomo stimolando una nuova umanità con nuovi valori. Dove il rispetto per la Terra diventa anche rispetto per le Persone. L’annata 2019 è prenotabile on-line, compilando il form sul sito ufficiale di Fontanafredda, al link www.fontanafredda.it/barolo-renaissance e sarà disponibile a partire da febbraio 2023.
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Vino, donne e leadership: oltre 30 interviste inedite a grandi protagoniste, in Italia e all’estero, del mondo del vino Un mondo ancestrale, quello del vino, legato a culture millenarie. E in parte arroccato su questioni di genere. Fino a qualche decennio fa era impensabile vedere una donna enologa, ad esempio. Negli ultimi anni, però, è in corso una rivoluzione, forse ancora lenta, ma inarrestabile. Il Sole 24 Ore propone il volume “Vino, donne e leadership” di BARBARA SGARZI, giornalista e sommelier. Il libro raccoglie più di 30 interviste inedite a protagoniste, in Italia e all’estero, per investigare la guida al femminile nel mondo del vino: produttrici, wine writer e comunicatrici, donne a capo di grandi aziende notissime o di realtà da pochi ettari, con decenni di esperienza o affacciate da poco in questo mondo. Quali sono i valori collegati alla nuova leadership che hanno interpretato per farsi strada in un mondo complesso? Quali gli accorgimenti per superare il periodo della pandemia? Dalla sostenibilità alla mentorship, fino alla capacità di rialzarsi dopo un fallimento, il testo riunisce la narrazione di storie che ispirano a una parte più pratica, per utilizzare i suggerimenti di leadership e applicarli a qualunque settore. Ecco quindi “nove capitoli, dedicati ognuno a un aspetto, un valore, un pilastro che ha contribuito a formare la leadership di queste grandi protagoniste del vino mondiale, narrati attraverso aneddoti e ricordi di vita che sono stati condivisi con calore, trasparenza e generosità”, spiega l’autrice nell’introduzione. Sono sempre di più le donne che stanno conquistano il mondo del vino. Ma chi sono queste donne che tracciano la strada del futuro del vino al femminile? “Ci sono le discendenti di famiglie storiche, che dall’esterno sembrano aver avuto la strada spianata e invece magari hanno dovuto lottare contro il pregiudizio di chi diceva loro ‘non sono più i vini di tuo padre’. Ci sono quelle arrivate al vino dopo mille esperienze diverse e lavori anche lontanissimi da quello in vigna o in cantina, come in una lunga storia d’amore tormentata, ma con il lieto fine. Quelle, ancora, che non potevano contare né sul nome né sulla famiglia, ma solo su una grande passione e hanno costruito una nuova realtà negli anni, barbatella dopo barbatella”, si legge ancora nell’introduzione. Le imprese italiane del vino condotte da donne sono circa un terzo del totale. Nella maggior parte dei casi sono piccole e infatti la superficie agricola utilizzabile (SAU) che complessivamente coprono queste aziende è il 21% del totale italiano. Ma se andiamo a vedere il reddito che producono scopriamo che è il 28% del PIL agricolo. «Le pioniere di cui Barbara ci racconta hanno contribuito in prima persona ad un cambiamento che è ormai internazionale e diffuso — spiega nella prefazione al libro DONATELLA CINELLI COLOMBINI, presidente nazionale Associazione Donne del Vino — un protagonismo femminile che in Italia prende connotati particolarmente positivi e sta aiutando le cantine a diventare più forti dove storicamente non lo erano: nell’immagine e nell’apprezzamento commerciale delle loro bottiglie. Sono infatti le donne a trasformare il vino italiano in euro, dollari, yen». Ecco alcune delle persone intervistate: Donatella Cinelli Colombini, Pia Berlucchi, Jancis Robinson, Susan Lin, Elisabetta Foradori, Elena Walch, Marilena Barbera, Arianna Occhipinti, Camilla Lunelli, Ntsiki Biyela, Séverine Frérson, Anne Malassagne, Julia Coney, José Rallo, Micaela Pallini, Debora Brenner, Laure Gasparotto, Heidi Barrett, Albiera Antinori, Tiziana Frescobaldi, Raffaella Bologna, Laura Donadoni, Stevie Kim, Monica Larner, Marilisa Allegrini, Marisa Cuomo, Chiara Lungarotti, Elvira Bartolomiol, Marina Cvetic, Donata Berlucchi, Julie Cavil, Elaine Chuck Brown.
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TECNOLOGIE
Caseificio Ponte Reale e l’ERP CSB-System: insieme per un modello innovativo di produzione e sostenibilità
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L’azienda Ponte Reale è situata al confine tra la Campania ed il Molise e si estende su una superficie di circa 1.000 ettari. Vanta circa 200 referenze tra prodotti freschi, industriali e private label.
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ondata nel 1993 da ENRICO REGA, l’azienda agricola Ponte Reale ha creduto da subito nel valore della Mozzarella di bufala biologica DOP, che ancora oggi, a distanza di quasi 30 anni, resta il suo fiore all’occhiello. L’azienda è situata al confine tra la Campania ed il Molise, in territori straordinari già riserva di caccia borbonica, da sempre annoverati tra i più belli ed incontaminati dell’intero Regno delle due Sicilie; si dice infatti che proprio qui re Ferdinando IV, cagionevole di salute, riacquistò forza e vigore, dedicandosi alle passeggiate a cavallo e alla caccia. «Attualmente l’azienda agricola si estende su una superficie di circa 1.000 ettari. Alleviamo oltre 1.500 bufale, che pascolano in un ambiente incontaminato» afferma MASSIMO REGA, responsabile di produzione, che assieme alla sorella MARIA CRISTINA e al fratello LUIGI, affianca il padre ENRICO nella gestione dell’azienda familiare. «Gli alimenti utilizzati per il bestiame provengono da agricoltura biologica per il 100% e non per il 95% come pure consentirebbe il regolamento». Il latte prodotto è ricco di nutrienti e sostanze organoletticamente integre e concorre prevalentemente alla produ-
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zione di Mozzarella di bufala campana DOP e Mozzarella campana bio. Il processo di produzione si contraddistingue per la meticolosa cura artigianale che ne caratterizza ogni passaggio: la filatura rigorosamente a mano, l’utilizzo del siero innesto naturale, l’assoluta freschezza e qualità del latte. «Elementi, questi, di cui andiamo orgogliosi». Alla Ponte Reale il benessere dei circa 80 dipendenti e la sostenibilità dell’ambiente e delle bufale sono da sempre una priorità. «Ci impegniamo giorno dopo giorno con smart digital water solutions per il trattamento delle acque e la riduzione delle ricadute sull’ambiente» spiega Luigi, responsabile commerciale. «Ma le smart digital solutions introdotte in azienda negli ultimi anni hanno riguardato anche il ciclo produttivo per il controllo dell’intera filiera. Mi riferisco alle digital solutions dell’ERP CSB-System». Il progetto in sintesi «Trattandosi di un ERP integrato, da subito abbiamo deciso di implementare il CSB-System sia come gestionale merci che come software contabile. L’obiettivo era quello di snellire la mole di lavoro, evitando doppi inserimenti e riducendo
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Elaborazione batch produzione su RACK CSB-System. le possibilità di errori: devo dire che ci siamo riusciti» spiega Maria Cristina, responsabile amministrativa. «Con il CSB-System gestiamo gli acquisti e le vendite dall’inserimento ordini rispettivamente per fornitore e cliente fino al controllo ed emissione fatture in contabilità». L’ERP CSB-System gestisce i diversi magazzini interni ed esterni (serbatoi latte, materie prime, imballi e prodotti finiti freschi e linea frozen per l’estero, conto lavoro) con verifica delle giacenze in tempo reale ed elabora i giri di consegna per l’ottimizzazione del servizio al cliente. Una volta registrati gli ordini di vendita e l’ingresso delle materie prime, tutto il processo di tracciabilità ed accoppiamento dei componenti di distinta è coadiuvato dal sistema in impianto. Gli operatori interagiscono leggendo e inserendo le informazioni attraverso l’utilizzo di interfacce semplici ed intuitive. Percorsi ottimizzati per produzione e picking A tal fine, che si tratti della gestione latte al ricevimento e movimentazione per la produzione oppure di miscele latte, cagliate o prodotti finiti con distinte base flessibili, «grazie all’introduzione
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dell’M-ERP — continua Massimo — sono state implementate procedure specifiche e personalizzate e abbiamo semplificato l’operatività del processo produttivo e della logistica. Risparmiamo tempo e siamo più flessibili, pur avendo nel complesso aumentato la capacità di controllo dell’intera filiera. Abbiamo drasticamente ridotto gli errori e raggiunto performance migliori nel picking e i dati sono sempre aggiornati in tempo reale». Il tutto coadiuvato da un CSBRack in produzione ed uno in uscita confezionamento. «Abbiamo circa 200 referenze tra prodotti freschi, industriali e private label» spiega Luigi Rega, responsabile commerciale. «Siamo presenti sugli scaffali della GDO e nel canale HO.RE. CA. Lo scambio di documenti con i nostri partner commerciali è automatico e avviene attraverso EDI, anch’esso gestito dal CSB-System». Nonostante l’azienda mantenga la sua struttura a gestione familiare, i prodotti Ponte Reale sono presenti, oltre che sul territorio nazionale, anche in tutti i paesi dell’Europa occidentale, del Nord America e in Giappone. L’utilizzo del CSB-System, che è un ERP multilingue, ha semplificato le difficoltà
legate all’export in materia di documenti in lingua, codici a barre, certificazioni, tracciabilità dei codici lotto fornitori. Le informazioni per stampare etichette personalizzate e multilingua sono fornite e gestite dal CSB-System. «Utilizziamo quotidianamente l’ERP CSB-System sia a livello operativo che come strumento di analisi, grazie a statistiche flessibili e personalizzabili, oltre ai report automatici giornalieri e settimanali. Abbiamo una supervisione di tutto il flusso merci aziendale dall’ingresso all’uscita. Siamo più che soddisfatti» dicono alla Ponte Reale.
Referente: • Dott. A. MUEHLBERGER CSB-System Srl Via del Commercio 3-5 37012 Bussolengo (VR) Telefono: 045 8905593 Fax: 045 8905586 E-mail: info.it@csb.com Web: www.csb.com
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FLAVIO&FRANK, GABRIELE SURDO, TOTÒ DE LORENZIS, FRANCESCA PAGANO Yeast stories Human diversity Introduzione: FRANCO ARMINIO Editore: BE TECH, 2022 200 pp – € 29,90
ALBERTO CAPATTI La ricetta della ricetta Storia e percorsi attraverso 500 anni di testi gastronomici Editore: Slow Food, 2020 192 pp. – € 16,50
Questa nuova guida è la prima vera pubblicazione dedicata agli spirits italiani: un mondo in continua espansione, che si sta rivelando estremamente vivace, creativo e di qualità. Suddivisa in 10 capitoli territoriali, si rivolge a tutti gli appassionati di vermouth, gin, grappe, amari, bitter, liquori e tutti quei distillati che per le botaniche autoctone impiegate nella loro produzione raccontano così bene i territori a tal punto da farne sentire odori e sapori. Dalla riscoperta di antiche ricette della tradizione alle proposte più innovative e contemporanee protagoniste nella mixology, il volume propone il meglio della produzione del settore, con approfondimenti tematici per conoscere le peculiarità e la storia di ogni tipologia. Con questa prima edizione 2022 vengono premiate le migliori Carte dedicate ai distillati nei locali dove è possibile apprezzare le eccellenze segnalate in guida, oltre ad una serie di ricette di cocktail con un’attenzione particolare alla qualità delle materie prime utilizzate.
YEAST STORIES è un libro (e una mostra fotografica terminata a settembre) fatto per raccontare una Puglia inedita, fuori dai canoni tradizionali. Un progetto di storytelling che ha coinvolto oltre 50 produttori e 50 tra biblioteche e musei della regione. “Come con l’uva per i grandi vini, è il risultato della selezione dei grappoli migliori del nostro viaggio interiore nella Puglia interiore” raccontano i curatori. “Contiene ciò che abbiamo compreso osservando: che l’insieme di regole di accoglienza dell’ospite in Puglia è ancora quello della Grecia antica, che l’esigenza di una riforma degli sguardi come nel Pensiero Meridiano di FRANCO CASSANO richiede un continuo rinnovo, che la Puglia è anzitutto il suo paesaggio antropologico. Una proposta di lettura dei guardiani dell’imprevedibile che hanno fatto sbocciare i fiori in petto, hackerando il proprio destino e quello della propria regione, facendone una terra speciale”. Da seguire assolutamente anche l’account instagram. com/yeastories
Cos’è la ricetta? Vi sono regole cui attenersi? Hanno concorso a formulare queste istruzioni filologi e cuochi, storici dell’alimentazione e casalinghe, ma il loro singolo contributo non basta più prescrivere che cosa e come fare è diventato un problema più complesso di quanto non lo fosse nel passato. Ne abbiamo la prova ogni giorno: troviamo ricette stampate sulle scatole di surgelati e sui barattoli di un supermercato, recitate in uno spot pubblicitario, in libreria, sul web. L’industria ha le proprie, come l’artigiano o lo chef. Rispetto ad un passato recente, la ricetta tocca un pubblico eterogeneo. In quest’ampio ventaglio di possibilità l’unica cosa certa è che le ricette sono testi unici, prescrittivi, e nello stesso tempo ripetuti e variabili. Oggi tutto è sullo schermo del televisore, chef giudicanti e concorrenti, mentre si rimane esterrefatti dall’immenso ricettario web. Tutti noi, quando cuciniamo, inconsciamente o esplicitamente, produciamo una ricetta. Ma le usiamo ancora per cucinare o siamo affascinati da una lettura che non si traduce in pratica?
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Premiata Salumeria Italiana, 5/22