Lazio Gourmand Storia, cultura, tradizioni e itinerari del gusto
LANUVIO
Arte, cultura, storia e musica nel verde dei Castelli Romani
magazine
BENTORNATO AUTUNNO! LE CASTAGNE "protagoniste di stagione"
FUNGHI PORCINI Tante proposte per l'Autunno!
N° 6 TRA STORIA E LEGGENDA La Porta Alchemica di Piazza Vittorio
AUTUNNO 2021
EDITORIALE
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! e m e i s n i o n n u t Un nuovo adiuSabrina Tocchio Finché ci sarà l’autunno, non avrò abbastanza mani, tele e colori per dipingere la bellezza che vedo Vincent van Gogh
Ho voluto iniziare così questo editoriale con una frase, letta più volte sui social, ma che rispecchia pienamente la stagione in corso. Non posso fare a meno di ripetere che l’autunno è la mia stagione preferita, amo ogni suo aspetto, dai prodotti che trovo sui banchi del mercato alla copertina, la sera, sul divano. Che dire poi delle passeggiate nei viali alberati dove il rumore del foliage accompagna ogni nostro passo, mentre la luce calda e soffusa caratterizza le giornate più corte. Il ritorno cauto ma costante alla normalità ci consente di progettare fine settimana fuori porta. Noi, in questo numero, vi consigliamo gite in luoghi stupendi: Vallerano, Lanuvio, Rieti e Priverno dove un giovane, coraggioso e famoso pizzaiolo, ha riportato, all’importanza che merita, la Falia. Si tratta di un pane pizza delizioso e curioso nella forma che ha spopolato sui social, durante il lockdown, quando Luca Mastracci ha regalato ai suoi followers la ricetta e il video. Nelle vostre gite sentirete il profumo uscire dalle trattorie locali di porcini e tartufi, fermatevi e godete di questi due regali autunnali. Troverete notizie e ricette per replicare i piatti a casa. E delle mele ne vogliamo parlare? Certamente, visto che ci accompagneranno per tutto l’autunno e l’inverno. Mele sì, ma di qualità. Le nostre mele non sono da meno in qualità e sapore a quelle del Trentino. Nelle nostre gite proviamo a visitare qualche mercatino e acquistiamo qualità diverse. In questo numero troverete ricette sfiziose di primi piatti, secondi e dolci con il frutto per eccellenza. Poi le castagne, la zucca, , le alici potremmo continuare ancora. L’autunno regala e noi cuciniamo proprio per valorizzare tanto ben di Dio!
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SOMMARIO
Magazine
3 LAZIO GOURMAND MAGAZINE n°6 | AUTUNNO 2021
ESTATE AL MERCATO 7
Elena Castiglione Sabrina Tocchio Candida De Amicis Laura Becchis Hanno collaborato: Girovagainside Grafica Elena Castiglione Foto Elena Castiglione, Sabrina Tocchio Candida De Amicis Laura Becchis Girovagainside Canva Pro Tutti gli articoli delle ricette e dei tour sono stati scritti dagli autori che sono anche proprietari delle immagini
Bontà autunnali, di Elena Castiglione
PRODOTTI DEL TERRITORIO 8 13 14
REDAZIONE
Un nuovo autunno insieme!, di Sabrina Tocchio
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È tempo di porcini!, di Elena Castiglione e Sabrina Tocchio Pappardelle ai funghi porcini, di Candida De Amicis Conchiglioni ripieni al gruyère con salsa di porcini e prosciutto cotto, di Elena Castiglione Lenticchie e funghi porcini, di Laura Becchis Tartufi, di Laura Becchis Il tartufo bianco in cucina, di Laura Becchis Come pulire il tartufo, di Laura Becchis Pasta con funghi e salsiccia profumata al tartufo, di Laura Becchis Risotto ai funghi porcini aromatizzato al tartufo, di Elena Castiglione Una mela al giorno..., di Elena Castiglione Risotto alla mela con fontina e polvere di porcini, di Candida De Amicis Polpette di carne e mela renetta, di Laura Becchis Torta di mele e uvetta, di Laura Becchis Confettura di mele renette e cannella, di Candida De Amicis Gelatina di mele cotogne, di Laura Becchis Mele cotogne in sciroppo, di Sabrina Tocchio Le castagne... sono buone!, di Elena Castiglione Come sbucciare le castagne, di Laura Becchis Zuppa di lenticchie e castagne, di Laura Becchis Agnolotti ripieni di castagne, di Elena Castiglione Vellutata di castagne con zucca e funghi, di Laura Becchis Muffins alle tre castagne, di Labrina Tocchio Cuciniamo la zucca, tra un dolcetto e uno scherzetto! Crema di zucca con biscotto al parmigiano di Candida De Amicis Risotto con zucca e salsiccia, di Elena Castiglione La nocciola romana, di Elena Castiglione Farfalle caprino caffè e nocciole, di Sabrina Tocchio Semifreddo alla nocciola, di Candida De Amicis
In copertina: Vellutata di castagne con zucca e funghi (foto: Laura Becchis)
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SOMMARIO 56 58 59 60 61
Alici, di Sabrina Tocchio Alici marinate, di Laura Becchis Garganelli alici e pecorino, di Sabrina Tocchio Spaghetti finocchietto e alici, di Laura Becchis Fritto di alici cacio e pepe, di Sabrina Tocchio
ANTICHE RICETTE 29
La Falia di Priverno. Alla riscoperta di un pane dimenticato, di Sabrina Tocchio
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EVENTI SUL TERRITORIO 31 Rieti 2021. Xa Fiera campionaria mondiale del peperoncino, di Sabrina Tocchio
RITRATTI
44 Maria Giuseppina Truini Palomba, l'autrice de "La cucina sabina", di Sabrina Tocchio
IN VINO VERITAS 49
Cantine Emanuele Ranchella, di Candida De Amicis
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LG IN TOUR
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Vallerano, la perla del Cimino, di Sabrina Tocchio Lanuvio. Arte, cultura, storia e musica nel verde dei Castelli Romani, di Girovagainside
TRA STORIA E LEGGENDA 63
I misteri della Porta Alchemica di Piazza Vittorio, di Elena Castiglione
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AUTUNNO AL MERCATO
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AUTUNNO AL MERCATO
Bontà autunnali LA NOSTRA TAVOLA SI ACCENDE DI PROFUMI, COLORI E TANTI SAPORI! Quanti colori invitanti ci offre l'autunno con la sua verdura e frutta di stagione. Le temperature cominciano a scendere e la voglia di preparare zuppe per scaldarci un pochino viene stimolata da verza, broccoli, zucche biete, patate... , in un mix di fantasia e alchimia che allietano il palato e l'atmosfera. E i profumi si sprigionano nelle nostre cucine, ma anche nelle vie nelle nostre passeggiate dove spesso possiamo trovare qualche venditore di caldarroste che ci inviterà a prendere un "cartoccio" di castagne, regine in assoluto di questa splendida stagione. Andare al mercato è un momento di poesia. I caldi colori dell'autunno ci catturano e sicuramente stimolano la nostra fantasia e i nostri ricordi . Nelle pagine a seguire vi offriamo qualche nostra idea: tour e ricette che speriamo conquisteranno la vostra curiosità e proverete a rifare con noi. Godiamoci insieme questa splendida stagione!
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ORTAGGI Basilico, Bieta, Broccoli, Carciofi, Cardi, Catalogna, Cavolfiore, Cavolo cappuccio, Cetrioli, Pomodori, Fagioli, Fagiolini, Finocchi, Funghi, Melanzane, Menta, Origano, Patate, Peperoni, Porri, Rape , Sedano, Verza, Zucca, Zucchine
FRUTTA Arance, Avocado, Banane, Datteri, Cachi, Castagne, Cedri, Fichi, Fichi d’India, Giuggiole, Kiwi, Limoni, Mandaranci, Mandarini, Melagrane, Mele, Meloni , Mirtilli, Nocciole, Noci, Pere, Pesche, Pistacchi, Pompelmi, Ribes, Susine, Uva
PRODOTTI DEL TERRITORIO
è tempo di porcini!
I funghi dal gusto intenso e versatili in cucina! di Elena Castiglione e Sabrina Tocchio L'autunno è tipicamente la stagione dei funghi porcini soprattutto nei mesi di settembre e ottobre. Porcino è il nome comune di alcune specie del genere Boletus, l'esatta traduzione del termine Suillus che gli antichi romani gli attribuirono per loro aspetto tozzo e massiccio. Alcuni esemplari non disdegnano di arrivare a un chilo o due di peso! Crescono soprattutto nei boschi di querce e di castagno, di faggi, abeti e pini, tra i 700 e o 1300 metri di altitudine. 8
FUNGHI PORCINI I FUNGHI PORCINI DEL LAZIO Pochi, ma buoni! Infatti nella nostra regione non sono moltissime le zone dove ricercarli, tuttavia il nostro territorio ne offre ampia varietà e qualità. Le zone più ricche sono: il Parco Regionale dei Castelli Romani, i Monti Simbruini, i Monti Lepini, soprattutto nella zona di Monte Lupone – dove se ne trovano anche esemplari di grandi dimensioni – e di Carpineto Romano, San Felice Circeo, la zona delTerminillo, il Comune di Filettino, soprattutto nella zona di Val Granara.
NON TUTTI SONO ABILITATI ALLA RACCOLTA DEI FUNGHI!
Infatti bisogna essere in possesso del tesserino di idoneità che viene rilasciato solo dopo un corso di formazione micologica e relativo attestato di frequenza (L.R. 05.08.1998, n.32 Capo I art.4)
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PULIRE E CONSERVARE I FUNGHI PORCINI
PULIRE I FUNGHI PORCINI 1. MAI PASSARLI SOTTO L'ACQUA O ADDIRITTURA METTERLI A BAGNO!!! Essendo porosi assorbirebbero l'acqua che verrebbe rilasciata in fase di cottura a discapito del sapore. Eliminate quindi la parte terrosa alla base del gambo, raschiandola bene con un coltellino affilato. 2. Tagliate via o raschiate bene anche i residui di terra su tutto il gambo. In alternativa potete passarli delicatamente con con uno strofinaccio appena umido. 3. Infine pulite la testa utilizzando un pennello morbido su tutta la superficie e tra le lamelle sottostanti.
CONSERVARE I FUNGHI PORCINI 1. ESSICATI
ESSICCAZIONE AL SOLE Pulite i funghi con il metodo sopra esposto. Tagliate a fettine verticali sottili funghi, gambi e cappelle. Sistemate, senza sovrapporle, le fettine di funghi su una tavola ricoperta di carta assorbente e deponetele al sole. Per evitare polvere e insetti ricoprite con un telo forato. Rigirate ogni tanto le fette fin quando ogni traccia di umidità sarà scomparsa. Di notte ritirate i funghi in casa per evitare l'umidità. In genere sono sufficienti dai tre ai 5 giorni per una essiccatura completa. A questo punto riponeteli in sacchetti di plastica per alimenti e richiudete ermeticamente avendo cura di far uscire tutta l'aria. ESSICAZIONE IN FORNO O CON L'ESSICCATORE Stesso metodo di pulizia e affettatura poi sulla leccarda su carta forno cuocete i funghi a 50°C per un’ora. Ricordatevi di rigirarli a metà percorso. Altro sistema, per chi ce l’ha, è l’essiccatore. Stesso procedimento per la pulizia e per l’affettatura. I tempi sono indicativi, il mio con una nottata acceso ha svolto il suo egregio compito.
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PULIRE E CONSERVARE I FUNGHI PORCINI
ESSICCAZIONE AL MICROONDE Metodo sicuramente più veloce, ma da fare con attenzione è il microonde. Dovete impostare la massima temperatura per un paio di minuti da un lato e altri due minuti dall’altro, ma fate attenzione a posizionarli sul piatto girevole coperto da carta forno e controllare la temperatura. Ogni forno ha una sua procedura di cottura, cercate di non farli troppo sottili altrimenti anneriscono subito. Al momento del loro utilizzo fate rinvenire i funghi tenendoli in ammollo per qualche minuto in acqua tiepida, poi sarà sufficiente scolarli, e sciacquarli prima di utilizzarli nelle vostre ricette. Ricordate di conservare l'acqua dove sono stati fatti rinvenire, perché è molto saporita e dopo averla filtrata potete utilizzarla per insaporire e impreziosire di sapore i vostri piatti.
2. CONGELATI
Uno dei metodi per tenere sempre a portata di mano dei buoni funghi porcini per utilizzarli nelle nostre ricette è quello di congelarli. La prima cosa in assoluto da fare è pulirli seguendo il metodo esposto sopra.Affettateli o tagliateli a cubetti e poi sbianchiteli gettandoli in acqua in ebollizione per per 3 minuti. Scolateli e fateli raffreddare su un canovaccio prima di riporli a congelare. Consigliamo di non scongelare i funghi prima di cucinarli nelle ricette che preferite.
3. SOTT'OLIO
Preparare i funghi porcini sott’olio è sicuramente più elaborato come metodo di conservazione, ma potrete goderne per antipasti sfiziosi e bruschette deliziose. Il metodo di pulizia è sempre lo stesso: evitate l’acqua e per pulirli utilizzate una stoffa bagnata e un pennello per spolverare via la terra dalla spugna sottostante il cappello. Eliminate la parte a contatto con la terra e grattate con un coltello il gambo se lo vedete un poco scuro. Nel frattempo avrete già sterilizzato i barattoli in microonde o anche nel forno. Tagliate, poi, a pezzi i funghi, sbollentateli in acqua e aceto (1 litro di acqua e 300 ml di aceto) per una decina di minuti. Scolateli e lasciateli asciugare su un canovaccio, inserite i funghi cercando di sistemarli bene per evitare grandi spazi vuoti. Cercate di invasarli ancora caldi. Aggiungete l’olio extravergine di oliva fino a coprirli al limite del tappo. L’olio dovrebbe essere, non solo di ottima qualità, ma possibilmente delicato proprio per non sovrastare il sapore dei porcini. Cercate di far salire le bolle che si formeranno tra gli spazi e poi chiudete con capsule nuove. Metteteli a testa in giù fino a completo raffreddamento. A piacere potrete aggiungere qualche spicchio di aglio, del peperoncino e anche una foglia di alloro. Il mio consiglio è di tenere i barattoli al buio e una volta aperti conservateli in frigo. Non superate comunque i tre mesi per utilizzarli. Non buttate via l’olio una volta finiti i funghi ma tenetelo per condire verdure, patate lesse o bruschette.
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FUNGHI PORCINI
pappardelle ai funghi porcini di Candida De Amicis Alla fine della scorsa estate, durante una bella passeggiata nei boschi, abbiamo raccolto dei favolosi funghi porcini, turgidi , freschi , appena spuntati. Erano un po’ troppi da consumare subito per cui ne abbiamo surgelati alcuni per poter condire una pasta con i porcini "freschi" (non secchi) anche quando non è la loro stagione . Questa volta ho fatto delle pappardelle all'uovo e le ho condite semplicemente con i funghi spadellati...ottime. Il condimento si prepara molto velocemente, il tempo di cuocere la pasta; è importante , però, cuocere i funghi senza farli scongelare altrimenti, a causa dell'alto contenuto di acqua , diventeranno mollicci! INGREDIENTI PER 3 PERSONE Per le pappardelle • 125 g di farina 00 • 1 uovo intero • 2 tuorli Per il condimento • 2 funghi porcini (350 g) • 1 spicchio di aglio • q.b. di prezzemolo • q.b. di olio evo • q.b. di sale • q.b. di pepe • scaglie di parmigiano
PREPARAZIONE Per le pappardelle • Impastate gli ingredienti fino ad ottenere una pasta liscia ed uniforme; formate una palla e lasciate riposare, coperta a campana, per almeno 30 minuti. • Stendete la pasta sulla spianatoia di legno con il mattarello fino ad ottenere una sfoglia sottile ed uniforme. • Tagliate delle strisce di pasta della larghezza di 2.5 cm Per il condimento • Fate saltare, in una padella con l'olio e a fiamma vivace, uno spicchio di aglio e i funghi porcini tagliati a pezzi. Salate e pepate leggermente. • Quando saranno cotti ed assumeranno un aspetto dorato, fate saltare le pappardelle, che nel frattempo avrete lessato in acqua bollente salata per pochi minuti, completando la cottura. Impiattate, spolverate con il prezzemolo tritato e con le scaglie di parmigiano.
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FUNGHI PORCINI
conchiglioni ripieni al gruyère con salsa di porcini e prosciutto cotto di Elena Castiglione I conchiglioni ripieni fanno parte di quei ricordi del cuore che riportano alla mente le domeniche passate con a famiglia riunita intorno al tavolo. Un lavoro a catena , spesso. Ognuno faceva un passaggio... e tanta allegria e la voglia di stare insieme!
INGREDIENTI PER 4 PERSONE • 16 conchiglioni • 160 gr di gruyère switzerland dop Per la salsa di funghi porcini: • 320 gr di funghi porcini • 160 gr di prosciutto cotto • 3 uova • Qualche cucchiaio di panna • 1 piccolo scalogno
PREPARAZIONE 1. Lessate molto al dente i conchiglioni, scolarli su un telo ben pulito e lasciate raffreddare.
con qualche cucchiaio di panna
Per la crema di porcini e cotto
circa 5 minuti facendo addensare la
2. Scaldate i due cucchiai di olio e insaporitevi lo scalogno tritato finemente. Unite i funghi porcini tritati, mescolate, salate, pepate e cuocete per alcuni minuti.
salsa.
3. Nel frattempo sbattete le uova Aggiungetelo ai funghi e cuocete per
4. Tritate il prosciutto cotto e aggiungetelo ai funghi, mescolate bene e togliete dal fuoco. 5. Riempite i conchiglioni con un paio di cubetti di gruyere e la crema di funghi e cotto. Cospargete con il gruyere tritato grossolanamente nei fori larghi. 6. Infornate in forno caldo a 180°C per circa 20 minuti, fin quando si fonde il formaggio e si forma una crosticina croccante.
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FUNGHI PORCINI
LENTICCHIE E FUNGHI PORCINI di Laura Becchis La zuppa di lenticchie e funghi porcini è un primo piatto non solo tanto comfort food, ma anche tanto buono e appagante. È una ricetta che non presenta alcuna difficoltà o lavoro e, nella sua semplicità , regala un contrasto di consistenze e di aromi indimenticabili. La versione originale di Mikichef prevedeva il pane tostato condito con olio extravergine di oliva ; ho preferito non condire il pane tostato e aggiungere quel filo di olio extravergine di oliva per ultimo, una volta versata la zuppa nei piatti individuali.
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INGREDIENTI PER 2 PERSONE 200 g di lenticchie secche sedano carota cipolla pomodori ciliegino una manciata di funghi porcini secchi 1 spicchio d'aglio timo fresco 1 fetta di pane di Lariano 1 fungo porcino PREPARAZIONE
1. Tritate a coltello in brunoise (dadolata piccola) sedano carota e cipolla. 2. Mettete a bagno in acqua tiepida i funghi porcini secchi . 3. Versate in una pentola le lenticchie sciacquate, ricopritele abbondantemente di acqua aromatizzata con il trito di sedano, carota e cipolla.
4. Portate a cottura le lenticchie calcolando una ventina di minuti dal bollore dell'acqua. Salate a metà cottura. 5. Mentre le lenticchie cuociono, scolate dall'acqua di infusione i funghi secchi ( non buttate l'acqua), strizzateli delicatamente e saltateli in una padella insieme ad un filo di olio extravergine di oliva e uno spicchio d'aglio. 6. Frullate i funghi insieme a qualche cucchiaiata della loro acqua d'infusione tenuta da parte. Salateli e trasferiteli nella zuppa di lenticchie.
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Regolate di sale ed aggiungete, a piacere, un pizzico di peperoncino e qualche fogliolina di timo fresco. 7. Cuocete in padella per pochi minuti il fungo porcino ben pulito e tagliato a fette spesse. Salate. 8. Servite la zuppa di lenticchie completando con il fungo porcino a fette, il pane tostato tagliato a tocchetti, un filo di olio extravergine di oliva, dei germogli di porro (non li avevo!) e una grattata di pepe nero tostato e pestato di fresco.
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tartufi
TARTUFI
di Laura Becchis IL TARTUFO BIANCO IN CUCINA Quando si parla di tartufo bianco in cucina il riferimento è ad una vera prelibatezza culinaria, un ingrediente d’accento per insaporire in maniera assoluta primi e secondi piatti. È un fungo ipogeo che cresce sotto terra, pregiatissimo e dal profumo inconfondibile, che non a caso viene indicato anche con l’appellativo di diamante bianco. Quando lo si trova e lo si raccoglie la sua fragranza si presenta nel pieno dell’intensità. Ma attenzione, la fragranza è destinata a svanire nel giro di una settimana all’incirca. Consumare il tartufo bianco, appena raccolto e fresco è dunque la cosa migliore da fare per garantire un risultato culinario sopraffino. Il tartufo bianco cresce nei terreni umidi, sviluppando una totale simbiosi con alcuni tipi di alberi: pioppi, lecci, querce e salici. La sua diffusione nel Belpaese oramai tocca diverse regioni. Prima fra tutte il Piemonte, famoso per il suo tartufo bianco di Alba. Umbria, Marche e Toscana sono comunque regioni d’Italia altrettanto floride per il diamante bianco. Il periodo migliore per la raccolta è fra il 1° ottobre e il 31 dicembre: la maturazione del
tartufo bianco raggiunge in queste settimane l’eccellenza, sia per la consistenza della polpa che per le sue dimensioni. Trattandosi di un prodotto della terra estremamente raro e pregiato non si può non considerare la spesa non indifferente a cui andiamo incontro.II suo prezzo varia al variare dei fattori stagionali, di mercato e ambientali. E’ sufficiente però impiegarne una quantità molto ridotta per poter insaporire correttamente ed in maniera egregia le diverse portate. Una scelta, un acquisto, comunque, che non delude mai: l’effetto "wow" con il tartufo bianco è sempre assicurato! Il momento dell’acquisto del tartufo bianco è fondamentale dunque; la scelta fatta in questo momento si rifletterà poi sulla resa finale delle nostre ricette di cucina. COME PULIRE IL TARTUFO Per ottenere la perfetta pulizia del tartufo bianco, occorre precisare che – diversamente da quanto si potrebbe pensare – procedere al suo lavaggio lasciandolo sotto l’acqua corrente non è poi un errore tanto grave. Diversamente da quanto accade con i fun-
Zone tartufigene del Lazio
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ghi, infatti, il tartufo bianco non finisce con il bagnarsi e impregnarsi d’acqua. Certo è che non si tratta del metodo più corretto per trattare questo alimento tanto prezioso: facendoci scorrere sopra l’acqua possono essere lavate via anche molte sostanze che regalano l’inconfondibile ed iconico profumo. Volete sapere come procedere al meglio? Munitevi di uno spazzolino per i denti, un panno ed un pennellino. Con l’aiuto dello spazzolino eliminate la terra eccedente, passate quindi il pennello per eliminare completamente residui e polvere. Accarezzate infine il tartufo bianco con il panno inumidito: se non vedete più macchie la pulizia è completa. Viceversa, se ancora presenti le macchie, ripetete l’operazione utilizzando lo spazzolino inumidito. Eliminate qualsiasi punto che vi appare danneggiato utilizzando un coltello spelucchino dalla lama curva. A questo punto il vostro tartufo bianco è davvero pronto per essere utilizzato in cucina. Ricordate però sempre che il tartufo bianco non deve essere pulito fino al momento del consumo. Lo strato di terra che lo ricopre consentirà di conservarne più a lungo la sua fragranza.
TARTUFI
pasta con funghi e salsiccia profumata al tartufo di Laura Becchis Per la preparazione di questo piatto ho usato la gramigna , ma voi potete utilizzare il formato che più gradite . è un primo semplice da preparare ma che vi colpirà per il suo aroma , la sapidità e il profumo ! Il tartufo, con il suo profumo di bosco e venatura dolciastra si rivela l'incastro vincente . Un primo piatto di pasta che nella sua essenzialità regala tutti gli aromi di questa stagione . INGREDIENTI PER 4 PERSONE • • • • • • • • • • •
360 g di gramigna o altra pasta 4 salsicce fresche una manciata di funghi porcini secchi 1 piccolo tartufo nero di Norcia olio extravergine di oliva aglio 1 foglia di alloro 2 o 3 cucchiai di latte vina bianco q.b. parmigiano reggiano q.b. per mantecare burro per mantecare PREPARAZIONE
1. Mettete a bagno i funghi secchi in una ciotola con dell'acqua tiepida. Spellate la salsiccia e, dopo aver appena unto il fondo di un tegame con un filo di olio extravergine di oliva, sgranatene la carne con l'aiuto di una forchetta. Non serve tanto olio, la salsiccia è già di suo piuttosto grassa. 2. Rosolate la salsiccia a fiamma medio alta, mescolando spesso perché si colorisca in modo uniforme. 3. A metà rosolatura aggiungete anche lo spicchio d'aglio, sbucciato, diviso in due e privato dell'anima. 4. Una volta che la salsiccia è ben
rosolata sfumate con due dita di vino bianco secco, aspettate che evapori la parte alcolica e unite i funghi strizzati e grossolanamente tagliati a coltello, 2 o 3 cucchiai di latte e la foglia di alloro. Mescolate bene per amalgamare il tutto e bagnate con l'acqua in cui avete "rinvenuto" i funghi. 5. Abbassate la fiamma, coprite a metà il tegame e fate cuocere per 15 minuti circa; il sugo si deve restringere abbastanza. 6. Lessate la gramigna in acqua non eccessivamente salata e scolatela due
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o tre minuti prima del tempo di cottura indicato sulla confezione. 7. Mentre la pasta cuoce trasferite due o tre tazzine della sua acqua di cottura nel tegame della salsiccia, unite anche la pasta una volta scolata e portatela a cottura. 8. A cottura raggiunta allontanate dal fuoco, unite una noce di burro, una grattata di parmigiano e mantecate mescolando bene. 9. Servite la gramigna salsiccia e funghi completato con il tartufo tagliato a fettine molto sottili.
TARTUFI
risotto ai funghi porcini aromatizzato al tartufo di Elena Castiglione Funghi porcini e un pizzico di tartufo bianco. Un connubio perfetto !
INGREDIENTI PER 2 PERSONE • • • • • • • • • •
180 g di Riso Carnaroli una manciata di funghi porcini secchi 1 spicchio di aglio prezzemolo: q.b. sale e pepe: q.b. una grattugiata di tartufo bianco olio extravergine di oliva 2 cucchiai di parmigiano reggiano Brodo: q.b Latte per ammollo dei funghi secchi
PREPARAZIONE 1. Mettete i funghi a bagno in un po' di latte per una ventina di minuti. 2. Imbiondite l'aglio in qualche cucchiaio di olio extravergine di oliva e poi toglietelo dal tegame. 3. Aggiungete il riso Carnaroli fatelo tostare un po'. 4. Aggiungete i funghi porcini secchi rinvenuti e strizzati e un mestolo di brodo. 5. Unite altro brodo man mano che si asciuga fino a cottura del riso. 6. Unite un paio di cucchiai di parmigiano reggiano e mantecate a fuoco spento.
7. Impiattate, cospargendo un po' di prezzemolo tritato finemente e una spolverata di tartufo..
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PRODOTTI DEL TERRITORIO
UNA MELA . . . o n r o i al g di Elena Castiglione Ricche di numerose proprietà, si consumano abitualmente crude, ma in cucina si prestano nella preparazione di svariati piatti: cotte al forno, lesse, al vapore o fritte sono sempre buone e confortevoli! Consumatissime le torte di mele, le confetture e le gelatine. Ottime anche le insalate e le salse e associate a piatti di carne di maiale o selvaggina. 20
MELE LE PROPRIETÀ DELLE MELE... ELISIR DI LUNGA VITA! Ricche di vitamina A, B e C, di acido folico, contengono sodio, potassio, ferro, calcio fosforo e zinco. In pratica uno scrigno che racchiude proprietà antiossidanti e antitumorali. Consigliate per le diete, proteggono dalla gotta e dai reumatismi... utili per la vista, regolano l'intestino, abbassano il colesterolo cattivo. Insomma... è proprio vero che una mela al giorno toglie il medico di torno!
MOLTE VARIETÀ DI MELE Avere un quadro completo di quante varietà di mele esistano è praticamente impossibile. C’è chi azzarda la cifra di 7000. Noi ci accontentiamo delle nostre mele autoctone anche se negli ultimi anni alcuni produttori hanno provato, con successo, a coltivare varietà diverse dalle nostrane. Ancor più affascinante è sapere che esistono alberi secolari abbandonati e incolti che sono stati riportati alla luce da giovani volenterosi. Con le loro cure e la pazienza di chi coltiva la terra hanno ottenuto ottimi risultati riportando alla luce varietà ormai scomparse. Noi nella Sabina abbiamo trovato le Cerine gialle, le Fiorine, le Modì e leLimoncelle e chissà quante altre ancora cene saranno!
MELE TIPICHE DEL LAZIO Mela Agre, coltivata nella zona di Latina e Gaeta. Mela Ciminella, dal sapore acidulo, coltivata nella zona di Viterbo e dei Monti Cimini. Mela Mbriachella, è una varietà molto antica tipica della Sabina. È a maturazione tardiva (prima metà di Ottobre). È di piccole dimensioni e appiattita. Il colore è rosso con striature verdi con la polpa bianca e dal sapore acidulo e gradevole.
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MELE
risotto alla mela con fontina e polvere di porcini di Candida De Amicis INGREDIENTI PER 4 PERSONE • 300 g di riso Carnaroli • olio evo • 1 cipolla • ½ bicchiere di vino bianco • 1 mela • q.b. di brodo vegetale • 180 g di fontina valdostana • q.b. di pepe • 3-4 g di polvere di porcini
PREPARAZIONE 1. Sbucciare la mela, tagliarla a pezzetti e cuocerla un paio di minuti in acqua bollente, scolarla e ridurla in purea. Mettere nel mixer i porcini secchi e ridurli in polvere..
pezzetti, parte della polvere di porcini e mantecare mescolando fino a quando risulterà cremoso.
6. Impiattare il riso, mettere al centro una striscia di polvere di porcini e una 2. In una pentola far stufare dolcemen- spolverata di pepe te la cipolla tritata in 3-4 cucchiai di olio, senza farla bruciare, aggiungere il riso e farlo tostare. 3. Sfumare con il vino bianco, lasciar evaporare e poi aggiungere il brodo vegetale caldo poco per volta. 4. Unire la purea di mela poco prima di ultimare la cottura. 5. Fuori dal fuoco unire la fontina a
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MELE
Polpette di carne e mela renetta MORBIDE E PROFUMATE! di Laura Becchis
INGREDIENTI • 300 g di carne di manzo macinata • 200 g di carne di maiale macinata • 1 mela renetta piccola • la buccia gratta di mezzo arancio bio • una punta di cucchiaino di cannella • 2 cucchiai di parmigiano reggiano • mollica di pane raffermo q.b. • latte q.b. • prezzemolo tritato a coltello • sale • pangrattato se serve • 400 g di di polpa di pomodoro • 1 pezzetto di porro o di scalogno • olio extravergine di oliva • sale PREPARAZIONE 1. Eliminate l'eventuale crosta al pane, spezzettate la mollica e raccoglietela in una tazza. Copritela con il latte e tenete da parte per una decina di minuti. io ho utilizzato la mollica di due fette di pane. Se decidete di utilizzare 1 uovo, riducete la mollica di pane. 2. Preparate nel frattempo l'impasto delle vostre polpette: raccogliete in una ciotola la carne macinata, unite la mela renetta sbucciata e tagliata a pezzettini. A seconda della grandezza della mele, tutta potrebbe essere troppa, regolatevi voi. 3. Unite all'impasto il parmigiano reggiano, la mollica di pane oramai ammorbidita e ben strizzata dal latte, la buccia di arancio grattata, la cannella,
il sale ed il prezzemolo tritato a coltello. 4. Mescolate bene per amalgamare tutti gli ingredienti; assaggiate con un dito per regolarvi di sale e cannella. La cannella deve giusto percepirsi ma non dominare. Aggiungete, se serve del pangrattato, quel tanto necessario per rendere più compatto il composto. Ne ho aggiunto neanche un cucchiaio. 5. Ponete la ciotola in frigorifero per 30 minuti circa. 6. Passato il tempo formate le polpette della grandezza che preferite allineatele via via su di un tagliere. 7. Scaldate in tegame basso e largo possibilmente con il doppio fondo - un filo di olio extravergine di oliva e appassite del porro affettato. In mancanza
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del tegame con il doppio fondo usate lo spargi fiamma, eviterà che il fondo si bruci e che la salsa si asciughi troppo in fretta. 8. Versate la polpa di pomodoro e, mantenendo la fiamma piuttosto vivace, fatele prendere il bollore e iniziare appena a restringersi 9. .Unite le polpette, rigirandole un paio di volte per farle colorire in modo omogeneo. 10. Abbassate la fiamma, coprite a metà con il coperchio e lasciate andare così per una ventina di minuti. Se il sugo inizia a restringersi troppo allungatelo con due dita di brodo vegetale. Dopo 20 -25 minuti di cotture le polpette sono pronte per essere servite.
MELE
torta di mele E UVETTA
di Laura Becchis E come può essere freddo senza una torta di mele? E se poi facciamo la torta di mele con uvetta e cannella in un croccantissimo guscio di impasto alla vaniglia direi che i profumi che inebriano casa sono quelli perfetti. Scaldano l’ambiente, scaldano l’animo, scaldano il cuore. La torta di mele non stanca mai, nelle sue mille versioni e formati, i suoi colori e aromi rappresentano in tutto e per tutto l’autunno. Questa versione di torta di mele e uvetta – la ricetta è di Donna Hay – ha un gioco di aromi e consistenze svenevoli. Il guscio croccante alla vaniglia racchiude il sapore acidulo delle mele Granny Smith smorzato da uvetta e avvolto nell’aroma della cannella e farina di mandorle. Da provare per capire di cosa sto parlando. Peccato davvero che il web non consenta di trasmettere profumi e consistenze. Ottima tiepida . INGREDIENTI per 1 stampo da 22 cm Per il guscio croccante: • 250 g di farina • 1 cucchiaio di zucchero • 1/4 di cucchiaino di lievito • 180 g di burro freddissimo • 80 ml di acqua ghiacciata • 1 cucchiaino di estratto di vaniglia Per il ripieno: • 12 mele Granny Smith • 1 cucchiaio e 1/2 di succo di limone • 110 g di zucchero • 1 cucchiaino di cannella • 80 g di uvetta • 40 g di farina di mandorle Per completare: • 1 albume • zucchero
PREPARAZIONE 1. Preparate l'impasto di copertura: raccogliete nel robot da cucina la farina, lo zucchero ed il lievito. 2. Unite il burro a pezzetti e lavorate l'impasto sino a quando assume la consistenza di briciole di pane. 3. Aggiungete, continuando a lavorare l'impasto, l'acqua e l'estratto di vaniglia. Dovete ottenere un impasto liscio. Occorrono pochissimi minuti. 4. Avvolgete con pellicola trasparente e riponete in frigorifero per almeno 30 minuti. 5. Accendete il forno a 180° 6. Pelate ed affettate le mele e raccoglietele in una padella antiaderente con il succo di limone. Coprite con un coperchio e, mantenendo la fiamma bassa, scuotendo di tanto in tanto, cuocete per 6-7 minuti; devono risultare tenere. Spostate dal fuoco e lasciatele raffreddare. Unite quindi lo zucchero, la cannella, la vaniglia e l'uvetta. Mescolate per amalgamare il tutto e tenete da parte. 7. Trascorso il tempo tirate fuori dal frigorifero l'impasto, dividetelo in due e tirate le due parti in due dischi di uno spessore di circa 3 mm. 8. Ricoprite la base dello stampo leggermente imburrato con uno dei due dischi; cospargete la base con la farina di mandorle e versate sopra il ripieno tenuto da parte. 10. Richiudete il tutto con il secondo disco cercando di sigillare bene fra loro i bordi e rifilando l'eventuale eccesso di pasta. 11. Praticate dei tagli sulla superficie, spennellate con l'albume leggermente sbattuto e cospargete con lo zucchero. 12. Infornate e cuocete per 35-40 minuti o sino a quando la superficie sarà bella dorata e croccante.
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MELE
confettura di mele renette e cannella
di Candida De Amicis Mele renette di montagna, appena raccolte, che la zia di Sabrina Tocchio le aveva regalato poco prima; non erano perfette, alcune grandi altre più piccole, alcune un po' rovinate , ma tutte mature e profumatissime! Le renette hanno una forma irregolare e la buccia un po' ruvida e rugginosa ma l'aroma che sprigionano e il gusto leggermente acidulo sono davvero notevoli. Sono ricche di antiossidanti naturali, i polifenoli, che rimanogono inalterati anche dopo la cottura dei frutti. La confettura di mele renette e cannella quindi, è buona, sana e salutare. Appena tornata a casa mi sono messa all'opera e ho preparato la confettura di mele renette e cannella. Ecco , questo accadeva lo scorso anno mentre eravamo a Borbona, ma questa confettura è così buona che quest'anno l'ho nuovamente preparata . La ricetta è di Igino Massari.
INGREDIENTI • 1 kg di zucchero • 1 kg di polpa di mele renette • 2 g di cannella in polvere • 1/2 baccello di vaniglia • 2 g di acido citrico in soluzione
PREPARAZIONE 1. Lavate le mele, sbucciatele, eliminate il torsolo e tagliatele a piccoli pezzi. Mettete mele e zucchero in una ciotola e riponete in frigorifero per tre ore. 2. Passate le tre ore mescolate, mettete in un tegame antiaderente e cuocete, mescolando di tanto in tanto, fino a 106°C, oppure mettete un cucchiaino di confettura su un piattino freddo, se scorre molto lentamente è pronta. Poco prima di togliere dal fuoco, aggiungete la cannella e la soluzione di acido citrico. 3. Mettete la confettura bollente nei barattoli di vetro sterilizzati e asciutti e chiudete immediatamente con il coperchio, capovolgete e lasciate raffreddare per creare il sottovuoto. È importante che i barattoli vengano chiusi prima che la temperatura
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della confettura si abbassi sotto gli 85°C, Nel caso in cui la confettura si raffreddasse durante l’invasamento è meglio mettere i barattoli chiusi, per cinque minuti, nel forno a 100°. 1. Sterilizzazione in pentola Lavate bene i barattoli, metteteli in una pentola larga insieme ai coperchi e versate acqua fino a coprirli di almeno 2-3 cm. Portate a ebollizione e fate bollire per circa 30 minuti. Estraete i barattoli dalla pentola usando una pinza e metteteli capovolti su un panno pulito, dopo capovolgeteli in modo che evapori l’umidità residua. 2. Sterilizzazione nel forno a microonde Mettete i barattoli, senza tappo, con all’interno acqua per circa un terzo, nel forno a microonde. Avviate alla massima potenza per un paio di minuti, fino a ebollizione e poi procedere come per la sterilizzazione in pentola.
MELE
gelatina di mele cotogne un rosso dolcissimo di Laura Becchis Se fate la confettura di mele cotogne,non buttate il primo liquido di cottura delle mele. Con quel liquido potete preparare la gelatina di mele cotogne. Una bellissima gelatina rossa che da gialla diventa davvero così rossa. Fare la gelatina di mele cotogne è stata una sorpresa continua, non si può perdere d’occhio, va mescolata spesso e sono stata con il naso sul tegame ad aspettare quel cambio di colore in cui non credevo davvero. Tanto è asprigna, dura e quasi insapore la mela cotogna cruda, tanto diventa dolce e piacevole facendone la gelatina . Non specifico le dosi, considera solo che il rapporto acqua di cottura delle mele e zucchero è di 1:1. INGREDIENTI • mele cotogne • zucchero
PREPARAZIONE 1. Lavate e tagliate in pezzi non troppo Per la giusta riuscita della gelatina di mele cotogne... piccoli le mele cotogne; raccogliete il tutto in un tegame basso e largo e ricoQuando la gelatina diventa rossa ti sembrerà anprite completamente con l'acqua. Porcora troppo liquida per esser invasata, ma se vela tate su fiamma e lasciate cuocere sino a il cucchiaio che hai usato per mescolarla, invasala, quando le mele non saranno tenere; per raffreddando si addensa più di quanto tu possa immaginare. me quando si spezzano sotto la presMeglio rischiare di invasarla troppo liquida – il sione leggera di un cucchiaio di legno. giorno dopo alla peggio sei sempre in tempo a Sono serviti poco più di 10 minuti. rimetterla sul fuoco – che troppo densa…raffreddando sarà durissima ed impossibile da spalmare. 2. Scolate le mele , tenendo da parte l'acqua di cottura. lasciate stiepidire l'acqua quindi filtratela e pesatela, trasferitela nel tegame ed aggiungete una pari quantità di zucchero. 3. Rimettete sul fuoco tenendo la fiamma bella vivace, mescolatela di tanto in tanto ed osservatela bene: quando diventa rossa e quando velerà il cucchiaio è pronta. Trasferitela nei barattoli santificati, chiudete ermeticamente e capovolgete sino a completo raffreddamento.
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MELE
mele cotogne in sciroppo di Sabrina Tocchio Mele cotogne in sciroppo... le adoro! Questa versione è semplicemente favolosa. La ricetta e il procedimento sono della mia chef Necci Bertini. Abbinarle ai formaggi... Non ve lo posso descrivere. Una bontà! In questo caso ho scelto un erborinato di bufala.
INGREDIENTI • 2 kg di mele cotogne • 2 litri di acqua • 1,500 kg di zucchero • 2 limoni
Come antipasto servito con ottimi formaggi sarà un successo!
PREPARAZIONE 1. Procuratevi dei vasetti di vetro sterilizzati. Potete sterilizzarli mettendo i vasi puliti (senza tappi, ovviamente) in forno già caldo a 150°c per pochi minuti. 2. Lavate bene le mele. Pelatele e togliete il torsolo centrale assicurandovi di non perdere i semini che ne usciranno. 3. Tenete da parte tutti gli scarti. 4. Dividete le mele in quarti e ogni quarto a metà. Per arginare il fenomeno dell’imbrunimento della polpa (che si presenta subito mentre si stanno pulendo) assicuratevi che le mele pulite siano coperte di acqua acidulata con il succo di due limoni. 5. Mettete, nel frattempo, in una pentola gli scarti e versateci sopra i due litri di acqua e lo zucchero. Fate scaldare a fuoco
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moderato fino a completo scioglimento dello zucchero e bollite il tutto per almeno 15 minuti. 6. Scolate le mele dall’acqua acidula e adagiatele in una capace pentola. 7. Filtrate il liquido e versatelo sulle mele. Tenetele sul fuoco basso a sobollire almeno per 3 ore, o fino a quando le mele con il loro sciroppo raggiungono una colorazione scura come vedete nelle foto a lato. 8. Invasatele sistemando delicatamente gli spicchi all’interno del vaso ricoprendole con il loro succo. 9. Chiudete e lasciate raffreddare i barattoli che, per effetto dello sciroppo bollente, creeranno il sottovuoto sul coperchio.
ANTICHE RICETTE
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LA FALIA
la falia di priverno
alla riscoperta di un pane dimenticato di Sabrina Tocchio Oggi vi racconto una storia legata alla nostra bellissima Regione: La Falia di Priverno, prodotto unico e tipico del territorio. Non è un pane e nemmeno una pizza è la Falia! Un delizioso involucro che può contenere di tutto e farvi sognare al primo morso. Sono venuta a conoscenza della Falia grazie ad un giovane ragazzo, un Maestro pizzaiolo e panificatore: Luca Mastracci. Lui è il proprietario di una pizzeria di Priverno che si chiama Pupillo Pura Pizza, ormai balzata alla vetta del successo grazie alla sua maestria nella preparazione degli impasti, alla semplicità e umiltà che traspare dai suoi occhi sorridenti. Luca, a seguito dell’emergenza sanitaria in corso per COVID-19 ha dovuto chiudere la sua attività come tutti, ma i suoi principi di valorizzazione del territorio lo hanno dirottato, insieme al suo staff, a studiare per trovare l’impasto perfetto dell’antica ricetta della Falia. Trovata la formula magica, grazie alla sua professionalità, Luca ha girato un filmato presso Alfa Forni, un’azienda familiare specializzata nella produzione di forni a legna e gas domestici e professionali, camini e mattoni refrattari. La sede centrale di Alfa Forni è situata ad Anagni in provincia di Frosinone, altra eccellenza della nostra Regione. Nel video Luca non solo esegue la ricetta ma racconta anche la storia di questo prodotto particolare.
La Falia sembra derivi da un pane/ pizza lavorato da una fornaia di Priverno di nome Lia e vista la particolare forma, la gente si chiedeva “Chi la fa questa pizza?” La risposta, di chi ne era a conoscenza, era “La fa Lia” e da qui il nome Falia. Luca, insieme al suo staff, ha cosi iniziato a proporla e distribuirla gratuitamente agli anziani di Priverno che nel periodo di isolamento hanno avuto difficoltà, sia ad incontrare i propri cari, che ad uscire da casa. La notizia però ha scatenato la curiosità di chi non conosceva questo pane e ne ha voluto scoprire le qualità, così la Falia si è diffusa al punto da essere venduta in zona. La sua bontà, grazie ai social, ha avuto ripercussioni tali che ora la Falia, da pane dimenticato, è diventato oggetto di curiosità non solo di giornalisti del settore enogastronomico, ma anche di panificatori amatoriali che grazie alle indicazioni del video di Luca, hanno potuto come me riprodurla a casa. Questo video mi ha permesso di vedere lo svolgimento della ricetta e seguire i preziosi consigli di Luca. Grazie alla sua esperienza sia nell’esporre che nell’esegui-
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re, non ho avuto difficoltà a realizzare la mia prima Falia. Con le sue dosi ne sono venute 3, due da 500 g e una un poco più grande di 650 g
LA FALIA
falia di priverno di Sabrina Tocchio DOSI PER 3 FALIE Due da 500 g e una da 650 g Per la biga • 500 g farina di tipo 00 w 300-320 • 220 g di acqua • 5 g di lievito di birra • Mescolare il tutto lasciando che l’impasto rimanga stracciato non omogeneo da lasciar riposare a 1820°C per 20/24 ore. Il risultato dopo il riposo sarà una fermentazione della biga e non una lievitazione, quindi non crescerà. Per il rinfresco • 500 g di farina tipo 1 w250 • 420 g acqua • 20 g di sale • 30 g olio extra vergine di oliva • 5 g di malto o zucchero (io ho utilizzato del miele di castagno) PREPARAZIONE 1. In una ciotola mettete la farina tipo 1 dove dovrete spezzettare la biga fermentata. Dopo averla spezzata tutta aggiungete l’acqua lasciandone una piccola parte per far sciogliere il sale. Mescolate con una spatola, fate assorbire bene la farina e ora inserite l’acqua dove avrete sciolto il sale, poi lo zucchero o il malto e l’olio in due fasi facendolo ben assorbire. Aiutatevi ora con le mani impastando e sbattendo la massa di pasta per attivare il glutine e rendere l’impasto elastico. Ora coprite l’impasto con pellicola e lasciate riposare per 4-5 ore (io 5 ore) a temperatura ambiente di circa 20°C sempre nella ciotola, durante le quali l’impasto raddoppierà. 2. Raddoppiato l’impasto, spezzatelo per realizzare 3 Falie di circa 500 g l’una (io ne ho realizzato 2 da 500 e l’ultima poco più grande di circa 650 g). Formate 3 palle di impasto cercando di chiuderle allungando i lembi fino a formare una palla liscia per poi arrotolarla a forma ovale (guardate il video di Luca). Lasciamo lievitare 1 ora 1 ora e mezza (io 2 ore le prime due Falie e 3 ore l’ultima Falia, perchè tutte e 3 nel forno non entravano). 3. Passate le 2 ore allargate l’impasto sulla tavola dando una forma ovale ma più grande senza schiacciare le bolle della lievitazione e con il palmo della mano, messo in verticale, fate i caratteristici solchi centrali che verranno irrorati di ottimo olio extravergine di oliva prima di infornarli. Io ho messo del sale di Maldon sopra.
4. Per chi la volesse riprodurre a casa deve portare il forno a 250-270°C e cuocere per 50 minuti. Io ho il forno a gas ed ho posizionato la teglia nella parte più alta del forno, ho acceso la ventola ed ho isolato la parte bassa, dove c’è la fiamma, con 2 teglie vicine (io ho il forno da 90 cm) per non far arrivare troppo calore. Ho portato la temperatura a 270°C ed ho lasciato le Falie dentro per 50 minuti. La più grande, la terza Falia da 650 g l’ho lasciata 1 ora. Son venute perfettamente croccanti.
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EVENTI SUL TERRITORIO RIETI 2021
Xa FIERA CAMPIONARIA MONDIALE DEL PEPERONCINO
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di Sabrina Tocchio
a X° Fiera Campionaria Mondiale del Peperoncino 2021 andata in scena dal 1° al 5 settembre 2021, è stato un vero successo! Forse mai come quest’anno la partecipazione, non solo è stata cospicua, ma è stata sentita. La gente aveva voglia di festeggiare, troppo tempo senza poter condividere o semplicemente uscire con spensieratezza. Con grande responsabilità e attenzione è stato allestito un percorso che ha permesso a tutti di poter usufruire di ogni servizio in tutta tranquillità. Le norme Covid sono state osservate da attenti operatori dedicati e dalla Protezione Civile, è stato un piacere, da turista, constatarne la gentilezza e la disponibilità. E’ stato anche allestito un presidio dalla ASL per poter effettuare un tampone rapido per tutta la durata della manifestazione. Impeccabile il lavoro di tutte le istituzioni locali e del Turismo della Regione Lazio, il Comitato Organizzatore, nella persona di Livio Rositani, che ne ha supervisionato ogni aspetto. Foto: Mauro Marinelli Come per gli anni passati anche quest’anno la qualità dei prodotti offerti e le manifestazioni organizzate in calendario sono state ricche e varie: dagli show cooking, alle conferenze fino alle esibizioni musicali. I peperoncini hanno colorato le piazze regalando ai presenti allegria e voglia di acquistare ogni preparato in tema. Il territorio Reatino ha fatto il resto, il turista proveniente da ogni dove ha potuto solo che godere di un territorio meraviglioso che offre qualsiasi aspetto si possa desiderare. Le varietà presenti di peperoncino provenienti da tutto il mondo sono state ben 500 e tra queste il peperoncino Sabino. Nato dall’incrocio di due peperoncini con caratteristiche differenti: il Diavolicchio Calabrese, piccante e dalla riconoscibile forma a cornetto, rosso fuoco; e il Brazil, peperoncino brasiliano dalla forma tonda che cambia colore man mano che arriva a maturazione, prima bianco, poi giallo, poi arancio, poi viola e infine rosso. Il peperoncino Sabino è una pianta piccante e profumata che si adatta perfettamente al clima e al territorio Reatino, resistente alle nebbie tardive e ai freddi precoci. Gli show cooking SpicyLab sono stati il punto di forza della manifestazione, dando lustro e nobiltà ai prodotti del territorio, ai piatti proposti, alle cantine presenti. La poliedrica presenza della chef Fabrizia Ventura, Direttore APCI Lazio (Associazione Professionali Cuochi Italiani), nonché organizzatrice dell'area show cooking, nella splendida location dei Giardini del Vignola, e del Presidente APCI delegazione Rieti Marco Pasquali, hanno dato vita a dei veri e propri show divulgativi senza oscurare la rappresentanza dei ragazzi dell’Alberghiero di Amatrice - Istituzione Formativa della Provincia di Rieti, Tu Chef, ELIS.org - Alberghiero SAFI, scelti per aiutare i vari ospiti che si sono succeduti durante i giorni della manifestazione.
Qualche numero: 5 giornate di gusto piccante. Oltre 2000 degustazioni servite, in orario continuato dalle 18,30 a notte inoltrata, anche grazie al supporto delle aziende partner, a tutti i professionisti Associazione Professionale Cuochi Italiani e ai produttori intervenuti. Illuminanti sono stati i laboratori degli chef, dei sommelier Stefano Saccoccio Secondario e dell'olio extravergine di oliva con Piero Palanti di EXTRAVOGLIO.
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PRODOTTI DEL TERRITORIO
le castagne... sono buone! di Elena Castiglione
Protagoniste indiscusse dell'autunno, le castagne si prestano a svariate preparazioni Per il loro alto potere nutritivo per molte generazioni sono state considerate cibo dei poveri perché la farina che se ne ricavava era ritenuta simile a quella di frumento, ottima per preparare pane, pasta e dolci, come il castagnaccio (mamma mia quanto era “bbono”!) quindi un ottimo sostituto del grano nelle annate di carestia. Addirittura erano considerate moneta di scambio in quanto venivano accettate in pagamento dai mezzadri. Al giorno d’oggi le cose sono cambiate, il loro prezzo è lievitato, ma per fortuna ne bastano veramente poche per preparare buone ricette gustose. Utilizzate non solo lesse o arrostite, ma anche nella preparazione di gustosi piatti tipici autunnali in abbinamento a funghi, mele, zucca, selvaggina e altre carni come l’agnello, il maiale e il pollo.
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CASTAGNE E MARRONI
come sbucciare le castagne
di Laura Becchis
Vi siete mai trovati a dover sbucciare le castagne e non sapere da dove cominciare…? Io si! Tant’è che dopo essere impazzita per sbucciare le castagne crude, avevo deciso che mai più lo avrei rifatto. Il tempo passa e ci si scorda del lato negativo delle cose e le si affronta in maniera più costruttiva e positiva. E così…eccomi qui a lasciare qualche consiglio su come sbucciare rapidamente le castagne non solo crude, ma anche cotte. COME SBUCCIARE LE CASTAGNE CRUDE 1. Mettete le castagne intere in ammollo per qualche ora. Vedrete che potrebbero restarne a galla alcune; ecco quelle sono marce per cui dovrete eliminarle. 2. Scolate dall’ammollo incidete la buccia con un coltellino con una taglio netto lungo quasi tutta (3/4) la circonferenza. 3. Portate a bollore l’acqua e tuffate le castagne che lascerete cuocere un paio di minuti. 4. Scolatele e trasferitele nella classica padella per caldarroste già calda e, coprendo con un coperchio, lasciatecele per 2′minuti. Come per magia le troverete tutte aperte, quasi sbucciate. 5. Una volta tiepide sbucciarle completamente sarà solo un gioco. Ho fatto con una comune padella ed ha funzionato benissimo!. COME SBUCCIARE LE CALDARROSTE 1. Anche in questo dovrete lasciare in ammollo per un paio d’ore le vostre castagne ed limare quelle che eventualmente rimangono in superficie. 2. Incidetele come scritto sopra e cuocetele nella classica padella. 3. Una volta cotte trasferitele ed avvolgetele in un panno per qualche minuto; l’umidità che si sviluppa ne facilita la sbucciatura. COME SBUCCIARE LE CASTAGNE LESSE Procedete anche in questo caso all’ammollo ed incisione delle castagne ed abbiate l’accortezza di aggiungere un goccio di olio extravergine di oliva nell’acqua di cottura. Sarà più facile e veloce sbucciarle.
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CASTAGNE
ZUPPA DI LENTICCHIE E CASTAGNE di Laura Becchis Una zuppa che avvolge e scalda come è richiesto ad un signor comfort food: i sapori si mescolano, si intensificano, si sinergizzano uno con l’altro, in un’esplosione di gusto e profumi . Volendo si può completare con una fetta di pane
INGREDIENTI PER 4 PERSONE • 250 g di lenticchie • 200 g di castagne • 10 pomodoretti circa • 1 patata media • 1 carota • 1 costa di sedano • 1 piccola cipolla • 1 foglia di alloro • 4 fette di pane casereccio (facoltativo) • olio extravergine di oliva • sale e pepe
PREPARAZIONE 1. Incidi la base delle castagne con un taglio a croce; lessale in acqua bollente salata per circa 40 minuti, aromatizzando con una foglia di alloro. Unisci all’acqua di cottura 3 cucchiai di olio extra vergine di oliva che semplifica, rendendo più morbida la pellicina interna, la noiosissima operazione di sbucciatura delle castagne. Tieni da parte. 2. Lessa nel frattempo le lenticchie in acqua profumata con sedano carote e cipolla per circa 20 minuti. Io ho usato il dado fatto da me essiccando tutte le verdure e ho aggiunto anche una patata divisa in 4 per avere alla fine un zuppa un po’ più cremosa. 3. Mentre le lenticchie cuociono, taglia a brunoise (quadretti molto piccoli) la cipolla, il sedano e la carota; versa in un tegame alto un filo di olio extra vergine di oliva e, aggiungendo nella stessa successione ( cipolla, sedano e carote)
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fai appassire le verdure. Solo alla fine unisci i pomodoretti lasciandoli cuocere una decina di minuti. Frulla una parte di lenticchie e le patate e lasciane intere la maggior parte. Unisci al battuto le lenticchie scolate (senza buttare la loro acqua!) e falle insaporire per qualche minuto. 4. Versa sulle lenticchie tanta acqua di cottura quanto basta per avere la consistenza della zuppa che ti piace, aggiungi le castagne e lascia sobbollire per una decina di minuti, giusto il tempo che i sapori si amalgamino. 5. Servi la zuppa di lenticchie e castagne versandola nei piatti individuali in cui puoi disporre una fetta di pane casereccio raffermo; completa con un giro di olio extra vergine di oliva, una macinata di pepe nero e un pizzicone di prezzemolo tritato. Buon Appetito!
CASTAGNE
agnolotti ripieni di castagne di Elena Castiglione Gli agnolotti ripieni di castagne sono una ricetta tipica dei Castelli Romani, in particolare di Ariccia e Albano Laziale. Io ne ho preso spunto per prepararne una mia versione
INGREDIENTI PER 4 PERSONE Per la pasta sfoglia • 200 g di farina 00 • 200 g di farina di grano duro • 4 cucchiai di acqua Per il ripieno • 200 gr di castagne da bollire in acqua e alloro • latte q.b. • un pizzico di noce moscata Per il Condimento • 200 gr di guanciale di Amatrice • 400 g di funghi misti con porcini • cipolla • 1 spicchio di aglio • prezzemolo • olio extravergine di oliva • sale e pepe q.b.
PREPARAZIONE 1. Preparate l'impasto per la sfoglia come sapete fare. Lessate le castagne insieme a qualche foglia di alloro e 3 cucchiai di olio extravergine di oliva per facilitarne la sbucciatura. Sbucciatele, schiacciatele e ammorbiditele con qualche cucchiaio di latte. Aggiungete un po' di sale e la noce moscata. 2. Stendete la sfoglia dopo averla fatta riposare una mezz'oretta. Lasciatela asciugare un po' su una tovaglia. Tagliate dei cerchi e al centro mettete un cucchiaino di impasto di castagne e richiudete. Continuate fino alla fine degli ingredienti.
3. Soffriggete la cipolla con il guanciale tagliato a listarelle. 4. Imbiondite uno spicchio di aglio (che poi toglierete) in poco olio e fatevi cuocere il misto di funghi con porcini. Salate, pepate e a fine cottura, se gradito, aggiungete un po’ di prezzemolo. 5. Lessate gli agnolotti, scolateli e conditeli con il guanciale e i funghi. 6. Servite con una spolverata di parmigiano reggiano.
Una variazione della ricetta originale Per il condimento la ricetta originale dei Castelli Romani prevedeva l'uso di cipolla e salsicce. Io ho sostituito le salsicce con il guanciale di Amatrice e ho aggiunto i funghi misti con porcini (ho usato quelli surgelati.
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CASTAGNE
vellutata di castagne
LA RICETTA DI COPERTINA!
con zucca e funghi di Laura Becchis L’ho chiamata vellutata di castagne , anche se non è presente una parte grassa (panna , latte etc). È un primo piatto appagante, delicato ed intenso. Il tripudio di ciò che l’autunno ci regala in un piatto: castagne zucca e funghi. Ogni cucchiaiata è setosa al palato, delicata, regala un’esplosione di aromi pazzeschi ed un contrasto di consistenze davvero elementare. Si, setosa anche se non ci sono panna o latte, il merito è lasciato solo alle castagne, la zucca ed i funghi secchi trifolati Nulla vi vieta di usare i funghi porcini freschi, ma anche con quelli secchi il risultato è eccellente. Potete frullare i funghi trifolati insieme alla zucca e castagne o aggiungerli interi nei piatti individuali. Ho preferito metterli interi nei piatti per creare quel contrasto di consistenze che sta benissimo insieme alla croccantezza del pane tostato.
INGREDIENTI PER 4 PERSONE • 500 g di castagne da sbucciare (350 g pulite) • 300 di zucca con la buccia • 1 piccola cipolla rossa • brodo vegetale q.b. • sale • olio extravergine di oliva • 3 fettine di pane in cassetta • rosmarino q.b. Per i funghi trifolati: • 20 g di funghi secchi porcini • 1 spicchio d'aglio • vino bianco secco • olio extravergine di oliva
PREPARAZIONE 1. Sbucciate le castagne come descritto nelle pagine precedenti. Tagliatele in 3 o 4 pezzi. 2. Eliminate i filamenti ed i semi alla zucca, sbucciatela e tagliatela a tocchetti. 3. Affettate sottile la cipolla. 4. Mettete i funghi secchi a bagno in un po' di acqua tiepida. 5. Ungete il fondo di un tegame con un filo di olio extravergine di oliva, unite la cipolla affettata e, tenendo la fiamma bassa, fatela ammorbidire aggiungendo, se necessario, un dito d'acqua per evitare che bruci. 6. Quando la cipolla è appassita aggiungete la zucca e le castagne, mescolate bene per amalgamare il tutto e, alzando la fiamma, fate insaporire. Ricoprite a filo con del brodo vegetale caldo e fate prendere bollore. Salate. Coprite a metà con il coperchio e fate cuocere per 30' circa. La zucca non deve spappolarsi. 7. Trifolate i funghi: versate in un padellino un pò di olio extravergine di oliva e fate imbiondire uno spicchio d'aglio vestito. Strizzate
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i funghi per eliminare l'eccesso d'acqua – senza buttare la loro acqua! – ed aggiungeteli nel padellino. Mescolate velocemente, sfumate con un dito di vino bianco e quando la parte alcolica è evaporata copriteli a filo con un pò della loro acqua tenuta da parte. Abbassate la fiamma e fate cuocere per 10'. State attenti che a che non si asciughino troppo e non si attacchino sul fondo del padellino. 8. Frullate con il frullatore ad immersione la zucca e le castagne aggiungendo la restante acqua di ammollo dei funghi. Regolate la consistenza della vellutata: se troppo densa aggiungete ancora un pò di brodo vegetale; se troppo liquida fatela restringere su fiamma alta e a tegame scoperto. Regolate di sale. 9. Trasferite la vellutata di castagne e zucca nei piatti individuali, distribuite su ogni piatto qualche fungo trifolato e completate con il pane in cassetta tagliato a cubetti ed abbrustolito in un tegame con fondo antiaderente senza alcun grasso aggiunto.
CASTAGNE
muffins alle tre castagne di Sabrina Tocchio
La castagna in tre varianti: lessata, in farina e in confettura!
INGREDIENTI PER 4 PERSONE • 100 g di burro a temperatura ambiente • 100 g di zucchero di canna • 100 g di castagne lesse • 2 uova • 100 g di farina 0 • 100 g di farina di marroni • 8 g di cremor tartato • 1/2 cucchiaino di bicarbonato • 1 pizzico di sale • 100 g di latte intero • 4 cucchiai abbondanti di confettura di marroni • 1 cucchiaio di estratto di vaniglia • un bicchierino di caffè di rum
PREPARAZIONE 1. In una ciotola mescolate il burro con lo zucchero.
5. Formate una fontana e versate la parte liquida.
2. Unite le uova mescolando con una frusta, aggiungete il liquore, la confettura di marroni e la vaniglia.
6. Amalgamate il composto brevemente con non più di 10-11 giri. Il composto dovrà risultare grumoso.
3. In un’altra ciotola setacciate gli ingredienti secchi le farine, il sale, il lievito e le castagne bollite sbriciolate.
7. Riempite i pirottini per 2/3 dal bordo infornare a 180°C per 20-25 minuti.
4. Mescolate bene in modo che le castagne lesse siano ben ricoperte di farina così da non calare verso il basso in cottura.
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LG in To ur
VALLERANO
la perla del Cimino
di Sabrina Tocchio Vallerano è un grazioso paese della provincia di Viterbo, una zona collinare estesa sul versante meridionale del Monte Cimino. È un bellissimo borgo medievale circondato da mura antiche con deliziosi vicoli, archi, scalette e piccole piazze. Le origini di Vallerano sono molto antiche: le prime tracce di stanziamento umano risalgono all’età del bronzo e successivamente diventeranno territorio etrusco come dimostrano le numerose tombe presenti sul territorio. Vallerano in autunno vi accoglierà con i suoi meravigliosi colori, profumi e sapori! È il paese delle castagne e dei marroni dop e se avete la possibilità di visitarlo in questa stagione, rimarrete inebriati dai colori della natura: il verde intenso delle foglie del castagno lasciano il posto alle varie tonalità di giallo, a quelle brune e rossastre. Boschi, antichi castagni, noccioleti e vigneti coloreranno il paesaggio con i loro caldi colori E passeggiando tra le vie e le piazze del borgo il profumo delle castagne che cuociono nei braceri vi inviteranno a gustare un "cartoccio" di caldarroste, dal sapore antico, quello di un tempo che sembrava non esistere più!
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Per queste peculiarità Vallerano ha una tradizione gastronomica di tutto rispetto, tra i vicoli e le piazzette potrete trovare cantine e osterie dove non mancano mai lunghe tavolate con soffitti a volta e pareti in pietra. Molti sono i motivi golosi per recarsi a Vallerano, soprattutto in questo periodo autunnale, ci sarà dal 16 ottobre al 1 novembre la Sagra della Castagna dove potrete trovate, oltre ai prodotti locali, le famose castagne in tutte le loro declinazioni e gli enormi callari che in piazza dispensano calore, gioia e castagne arrostite. Le Castagne di Vallerano sono un prelibato frutto che per le sue caratteristiche ha ottenuto il marchio DOP. Ottime per tutto: dai dolci, alle zuppe, alla farina e mangiate arrostite esaltano al massimo il loro sapore che sembra dovuto alla curatura a freddo, all’interno di grotte di tufo secolari, che avviene dopo la raccolta. A proposito di raccolta, vi invito a prenotare una passeggiata nei boschi che circondano Vallerano con L’Associazione Amici della Castagna di Vallerano (amici.castagnadop@libero.it) nella persona di Giovanni Narduzzi (gio_nar@libero.it), chiedete alla Proloco per informazioni www.castagnavallerano.it. Sarà un’esperienza unica, Giovanni vi racconterà di castagne
VALLERANO (VT)
e castagni, vi indicherà l’età delle piante, vi illustrerà la differenza tra castagna e marrone e soprattutto non potete perdervi quella meravigliosa sensazione che il foliage, in questo periodo, regala agli occhi e all’anima. Visto che ne abbiamo parlato diamo una piccola anticipazione: qual è la differenza tra le castagne e marroni? Sembrano uguali ma in realtà sono due frutti differenti anche se parenti. Non è solo una questione di gusto, ma anche di forma, dimensioni e colore della buccia. La castagna ha origine da una pianta selvatica cresciuta spontaneamente. Un tempo era considerata il pane dei poveri, perché ricca di amidi e carboidrati che dopo essiccate si poteva ottenere una farina per diversi usi. Nel tempo però, grazie agli innesti sono nate nuove cultivar di qualità superiore, appunto i marroni. Altra differenza è il riccio, il contenitore delle castagne, quando troviamo fino a un massimo di tre frutti abbiamo davanti i marroni, ma se all’interno del riccio troviamo fino a sette frutti, beh, quelle sono castagne. Per quanto riguarda il gusto nella castagna è meno deciso mentre il marrone è più dolce e croccante adatto, per esempio, per fare i marrons glacés. Comunque, è ormai lontano il tempo in cui la castagna era cibo per poveri, adesso tra riconoscimenti DOP e IGP sia le castagne che i marroni hanno ottenuto negli anni premi e riconoscimenti tali che sono diventati prodotti d’eccellenza nella nostra gastronomia e anche i prezzi sono lievitati. Mentre sgranocchiate qualche castagna arrostita non dimenticatevi delle bellezze artistiche di Vallerano. Il centro di Vallerano è racchiuso da mura
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e torrioni e gode di moltissimi monumenti di interesse tra cui il Santuario Maria SS.ma del Ruscello e la Chiesa di San Vittore risalente al 1450.
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PRODOTTI DI STAGIONE
cuciniamo la zucca... tra un dolcetto e uno scherzetto!
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ZUCCA
CREMA DI ZUCCA
CON BISCOTTO AL PARMIGIANO di Candida De Amicis Quando mi hanno regalato una bella zucca mantovana ho pensato subito che avrei preparato il biscotto salato di parmigiano di Pietro Leemann per accompagnare la crema che avrei cucinato.
INGREDIENTI PER 4 PERSONE Per il biscotto al parmigiano • 15 g di farina di nocciole • 15 g di farina di mais • 70 g di farina bianca • 40 g di burro • 24 g di parmigiano grattugiato • 1 cucchiaio di acqua Per la crema di zucca • 500 g di zucca mantovana pulita • 200 g di patate sbucciate • 1 cipolla rossa • 1 rametto di rosmarino • olio extra vergine di oliva • di sale e pepe
PREPARAZIONE Per il biscotto 1. Mescolate le farine, unite il parmigiano e il burro a pezzetti e impastate con un cucchiaio di acqua. 2. Fate riposare 30 minuti in frigorifero e poi stendete ad 1 cm di spessore. 3. Coppate e cuocete in forno caldo a 180C° per 10-15 minuti. Per la crema di zucca 1. In una una pentola bassa versate due cucchiai di olio extravergine di olive, unite la cipolla finemente affettata e mettete sul fuoco con la fiamma media. Quando la cipolla sarà appassita (non deve colorire, se serve aggiungete qualche cucchiaio di acqua), unite la zucca e le patate tagliate a dadini, salate, mescolare bene, aggiungete poca acqua e coprite. Mescolate ogni tanto controllando che non si asciughi troppo, eventualmente aggiungere poco brodo vegetale. 2. Verso la fine della cottura unite il rametto di rosmarino. Deve cuocere per circa 30
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minuti. A fine cottura togliete il rosmarino e riducetee in crema con un mixer ad immersione. Versate la crema in quattro ciotole, condite con una macinata di pepe e un giro di olio e servite accompagnando con il biscotto di parmigiano.
ZUCCA
risotto
CON zucca e salsiccia di Elena Castiglione
Non mi ero mai cimentata nella preparazione del risotto con la zucca . Un'idea nata dalla curiosità e anche dall'esigenza di smaltire altri ingredienti che avevo in frigorifero. Quindi ... per caso ! Ma da allora però lo preparo sempre così , perché il risultato ha superato le aspettative : un risotto cremoso, un mix di sapori che ben si amalgamano tra loro in perfetto equilibrio. Ognuno potrà apportare varianti secondo le proprie esigenze .
INGREDIENTI PER 4 PERSONE • 360 gr di riso superfino arborio • 400 g di zucca pulita • 300 gr di salsiccia • 100 gr di speck • 4 fette di lardo tipo Colonnata • un pezzetto di scalogno • 1 cuchiaio di burro • 2 cucchiai di olio extravergine di oliva • brodo q.b. • 1/2 bicchiere di vino bianco • rosmarino • sale e pepe q.b. • 4 cucchiai di parmigiano
PREPARAZIONE 1. Fate soffriggere scalogno, salsiccia, speck con il burro e l'olio e poi sfumate con il vino bianco. 2. Aggiungete la zucca tagliata a pezzi e fate cuocere una decina di minuti. 3. Versate il riso, fatelo tostare e poi aggiungete il brodo un poco alla volta, fino a cottura del riso. 4. Poco prima del termine di cottura aggiungete il rosmarino. 5. Mantecate con il parmigiano.
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RITRATTI
MARIA GIUSEPPINA TRUINI PALOMBA l'autrice de "La cucina sabina" di Sabrina Tocchio
“Cecamariti, codelle, curioli, falloni, fatti e tagliati, frascarelli, fregnacce, frigulozzi, ciufulitti, gnucchitti pilusi, jacculi, mafriculi, ngritoli…” non è un delirio verbale…
Queste le premesse del libro “La Cucina Sabina” di Maria Giuseppina Truini Palomba di Franco Muzzio Editore. Lei è la professoressa per me, da lei ho imparato che quei termini strani sono i formati di pasta tipici della nostra regione e in particolare della Sabina. Qui in questa ridente e verdeggiante zona dell’Alto Lazio, più abruzzese che laziale, c’è tanto da imparare, tanta tradizione in cucina e lei ha avuto la lungimiranza di farsi raccontare, dalle massaie, le ricette di famiglia e trascriverle in questo libro. La Professoressa se ne è andata quest’anno a settembre ed è stato un grande dispiacere per noi, per i suoi
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MARIA GIUSEPPINA TRUINI PALOMBA conoscenti e un grave lutto per la famiglia alla quale rinnoviamo le nostre più sentite condoglianze. Maria Giuseppina Truini Palomba era nata a Borbona in provincia di Rieti ai confini con l’Abruzzo il 25 agosto del 1935. In queste pagine non voglio parlare della sua vita o della sua carriera di avvocato, anche se è stata la prima avvocato donna del Tribunale di Rieti, una delle prime avvocatesse a difendere le donne vittime di reati sessuali in diversi processi e come esperta in diritto di famiglia ha curato tantissime cause di separazioni, divorzi e adozioni. Qui voglio parlare della Professoressa appassionata di gastronomia e nello specifico delle tradizioni gastronomiche della provincia di Rieti. Personalmente ha visitato ogni luogo della Sabina, per raccogliere più informazioni possibili sulle usanze e le ricette delle famiglie di contadini che lavoravano e producevano i prodotti di zona. Quello che emerge dal suo libro è la grande varietà di ricette provenienti dalle influenze delle regioni limitrofe come l’Abruzzo, l’Umbria, la Marsica e il resto del Lazio. I suoi interlocutori sono state le signore non più giovani, quelle che cucinavano ad occhio, con le loro mani esperte sapevano dosare ingredienti e tempi di cottura solo dal profumo, dallo sguardo e dalle consistenze. Con le descrizioni delle ricette, le ha riportate indietro nel tempo con la memoria, al bel tempo passato. La povertà all’epoca era dilagante, ma il piatto a tavola non mancava mai. La cucina era composta da pochi ingredienti, che le massaie sapevano far fruttare molto bene; le famiglie erano numerose, il lavoro nei campi era duro e la fame tanta. Pensate che le uova erano ritenute merce di scambio e servivano per procurarsi altri beni di cui non si disponeva. La pasta da mettere a tavola era, quindi, composta di acqua e farina o cuocevano la pasta lievita del pane. Solo durante le festività o per qualche ricorrenza si preparava la pasta all’uovo.
Anche il pane bianco era un lusso, di solito era scuro, perché prodotto con la semola oppure impastato con la farina di granturco o di orzo e altri cereali. Per renderlo più morbido si univano le patate all’impasto. Il pasto era un piatto unico come una minestra calda la sera, con verdure o legumi e sempre con pezzi di pane dentro. Me lo ricordo ancora, come se fosse oggi: nonna aveva sempre “lu callaro” sul fuoco della “cucina economica”, quella con gli anelli in ghisa, e la sera c’era sempre la minestra a tavola. Mangiare la carne, soprattutto quella bovina, era roba da ricchi. I piatti di carne, riservati alle grandi occasioni, erano di maiale, animali da cortile, oppure pecora, montone, castrato e abbacchio. Solo di recente è entrata nell’uso quotidiano la carne bovina. Altro alimento tipicamente locale sono le trote, molto apprezzate e un tempo venivano pescate nei fiumi ricchi sia di trote che di gamberi neri. Le verdure occupano e hanno occupato un posto fondamentale nella cucina Sabina. Oltre ad essere la fonte principale di sostentamento negli orti di ogni famiglia, riempivano la tavola nella loro infinita versatilità. Ricordo nonna che durante l’inverno, momento difficile per l’orto per via della neve abbondante, presente per lunghi mesi, aveva sempre i cavoletti di Bruxelles nell’orto, perché resistevano benissimo alle temperature basse ed erano un degno accompagnamento al maiale. Con le verdure e le uova si preparavano innumerevoli frittate, rigorosamente con la padella di ferro con il lungo manico che non si lavava mai, guai! Si puliva con la carta paglia o addirittura con la carta del giornale, perché le nonne dicevano che se la padella veniva lavata poi non “ti ridà” la frittata (al momento di girare la frittata non si sarebbe staccata da una padella pulita). L’olio d’oliva ha sempre avuto un posto importante nella cucina sabina, infatti questa zona è sempre stata ricca di uliveti e di un ottimo olio, ricco di sostanze utili alle nostre arterie e molto digeribile.
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I dolci sono legati alle festività religiose o a tradizioni popolari: crostate, ciambelloni, pan di spagna, ciambelle, biscotti e la famosa zuppa inglese. Nonna la preparava sempre quando stavamo tutti insieme, era talmente alta e bagnata di alchermes e crema che sembrava un budino. Era buonissima! La frutta chiudeva sempre un pasto, sia a pranzo che a cena ed erano prevalentemente mele, si raccoglievano e si tenevano, per terra, in cantina al fresco tra quattro tavole di legno. Erano le melette invernali quelle che rimangono intatte per mesi con polpa bianchissima e dolcissima, le renette, le agostinelle, mele giallo pallido con una buccia finissima, polpa bianca, dolci e succose e le limoncelle che ormai credo siano quasi introvabili. Poi la frutta secca come nocciole, mandorle, soprattutto noci e i fichi secchi. La professoressa Maria Giuseppina dedica sul libro, una menzione speciale alle acque, infatti tutto il territorio è ricco di acque minerali. Talmente ricco che si potrebbe tracciare un itinerario della salute: Fonte Cottorella, migliore di quella di Fiuggi, leggerissima adatta per le cure renali; Le sorgenti del Peschiera; la sorgente le Campore, vicino Montopoli; Cotilia con le sue acque bicarbonato-solfuree; Fonte Lupetto presso Greccio; le acque di Antrodoco dove esiste uno stabilimento termale. Non si può infine parlare di Rieti e della sua Provincia senza rendere omaggio a San Francesco d’Assisi che soggiornò in queste terre che presero il nome di “Valle Santa”. Il grande lavoro di raccolta di ricette della tradizione e notizie turistiche, svolto dalla Professoressa Maria Giuseppina Truini Palomba è stato un tributo alle bellezze di questa terra, con l’intento di suscitare l’interesse a visitarla e a conoscerla attraverso le innumerevoli bellezze naturali e artistiche ma anche attraverso la cucina frugale e povera, ma varia, genuina, fragrante e appetitosa.
LG
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Lanuvio
Arte, cultura, storia e musica nel verde dei Castelli Romani di Girovagainside
Splendido borgo dal panorama mozzafiato, famoso per il vino, la musica e la sua storia antichissima.
Appena giungiamo nella piazza centrale, ad accoglierci, maestosa e imponente troviamo una stupenda e particolare fontana: è La Fontana Degli Scogli. Quest’ opera, di incredibile bellezza, palesemente ispirata alle fontane di Piazza Navona, fu realizzata e progettata da Carlo Fontana, artista a cui è dedicata la piazza antistante, allievo del Bernini. I cristallini zampilli di acqua, sembrano piccoli cristalli e il sommesso scroscio delle cascatelle fa da sottofondo alle voci allegre dei bimbi che giocano nelle vicinanze. Volgiamo lo sguardo verso l’ingresso del paese. Ad indicarlo, c’è l’austera Torre Maschia, dalla forma cilindrica, chiama-
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LG IN TOUR ta ancheTorre di Porta Romana. Simbolo della città, fungeva, a partire dal Medioevo, come torre di avvistamento per le truppe dei saraceni che cercavano di fare incursione sulle terre laziali.
Vicino alla sua entrata, ad attirare la nostra attenzione, è uno stemma bianco. È il simbolo del Pontefice Vittorio III, in carica nell’anno 1086, che secondo le fonti storiche, contribuì, durante il suo pontificato, alla ricostruzione del paese. Continuiamo a passeggiare fra i caratteristici vicoli del borgo che sembrano fermi nel tempo, conservando la genuinità e l’autenticità di un luogo le cui mura sono silenziose testimoni di innumerevoli vicende. La storia di Lanuvio, chiamata anticamente Civita Lavinia, si perde nella notte dei tempi. Sembra sia stata fon-
data da Diomede, compagno di Enea e, le prime testimonianze scritte della sua esistenza, risalgono ai tempi di Cicerone. Fu distrutta, bombardata e ricostruita dopo il secondo conflitto mondiale,
poiché ritenuta un importante snodo strategico. In seguito a questo evento la restaurazione della Collegiata di Santa Maria Maggiore, ha portato alla luce un mosaico, attualmente esposto nella chiesa, del IV secolo d.C. appartenente a una domus romana sulla quale venne costruito il luogo sacro. La Collegiata, principale edificio religioso del paese, conserva al suo interno ben sette altari e un dipinto attribuito al Domenichino. Sorge sull’omonima piazza, difronte al Palazzo Colonna, importante per aver dato i natali a Marcantonio Colonna, eroe della battaglia di Lepanto. Qui nacquero anche l’imperatore Antonino Pio e Commodo, perciò il paese castellano è anche chiamato “Città degli Imperatori“. Nella Piazza troviamo persino un marmoreo Sarcofago romano, risalente al III secolo d.C., ma non restiamo indifferenti nemmeno al meraviglioso paesaggio che, da qui, riusciamo ad ammirare.
L’azzurro mare all’orizzonte si fonde con il verde intenso della campagna, proprio quella che permette la nascita dell’ottimo Vino DOP Colli Lanuvini. La produzione del prodotto principe del paese, cominciò nell’antica Roma, quando, questo “nettare degli dei” veniva consumato durante le celebrazioni al dio Dionisio. Dopo aver goduto dello splendido panorama, ci incamminiamo verso
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via Quirino fino ad arrivare ai ruderi dell’antico Castello. Scorgiamo un’altra torre, ma lì dove ci sono i resti della cinta muraria, notiamo qualcosa di particolare: un anello di ferro.
Secondo una leggenda, il valoroso Enea, lo utilizzò per ormeggiare le sua barca una volta sbarcato sulle coste laziali. Non ci sono fonti che lo testimoniano, ma a noi piace pensare che sia vero. Da qui, risaliamo circolarmente, fino alla piazza dove prima ci aveva dato il benvenuto la grande fontana. Dietro di essa, c’è una salita. Percorrendola, arriviamo ad un lungo viale ombreggiato e alberato ottimo per una pausa rigenerativa. Lo chiamano “il Tranv”, perché ospita la carrozza di un vecchio Tram, ma in realtà è il Parco della Rimembranza, punto di ritrovo per piccini che scorrazzano in bici e per i grandi che vogliono
LG IN TOUR camminare, correre e utilizzare gli attrezzi messi a disposizione gratuitamente per poter svolgere attività all’aria aperta. Approfittiamo per fare una passeggiata. La strada ci conduce nei pressi dei resti del Tempio di Giunone Sospita. Questo luogo, era conosciutissimo in epoca remota non solo nell’antica Lanuvio, ma in tutto il territorio laziale, per la sua sacralità. Al suo interno, fu ritrovato un Alfabetario latino risalente al VI secolo a.C. Un ritrovamento davvero eccezionale per la sua unicità!
La struttura presenta un porticato dal quale partono una serie di cunicoli e sotterranei che portano ad una grotta: la Grotta del Serpente. Si dice che lì, dimorasse il rettile sacro alla dea, che la popolazione omaggiava con dei doni
per scongiurare le carestie. Delle fanciulle vergini, si dirigevano nei meandri della grotta per portargli come offerta una focaccia di farro, chiamata Maza. Se l’animale la accettava, il raccolto sarebbe stato abbondante, in caso contrario, solo un sacrificio umano poteva esorcizzare la miseria. Interessante sapere che, recentemente, nel mese di luglio è stato istituita una festa in ricordo di questa tradizione: il Festival della Maza. Dopo questa parentesi mitologica, riprendiamo la macchina e ci dirigiamo verso l’ultima tappa di oggi in questo bel paese, il cinquecentesco Santuario della Madonna delle Grazie! La chiesa ospita dal 1923 un quadro della Vergine, intorno al quale molte persone portano dei doni votivi. Chiedono miracoli e grazie, ritrovando in questo luogo un momento di raccoglimento e preghiera. Al suo interno è conservata la Statua della Madonna, che in ogni mese di maggio, da ben 135 anni, durante la festa a lei dedicata, viene portata in una solenne processione fino alla Collegiata di Santa Maria Maggiore dove resta per alcuni giorni prima di essere ricondotta al suo luogo d’origine. La nostra visita termina qui, ma torneremo di certo qui a Lanuvio, magari a giugno, con l’occasione di partecipare alla famosa Festa della Musica.
Panoramica di Lanuvio Foto: Edoardo Scialis, su Wikipedia
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COSA VEDERE •Fontana degli Scogli•Piazza Carlo Fontana •Torre di Porta Romana•Resti del Castello e Anello di Enea•Collegiata di Santa Maria Maggiore•Piazza Santa Maria Maggiore •Palazzo Colonna•Parco della Rimembranza •Il “Tranv”•Resti del Tempio di Giunone Sospita•Santuario della Madonna delle Grazie
EVENTI E FESTE •Festa della Madonna delle Grazie Processione e festa religiosa in onore Madonna (MAGGIO) •Festa della Musica - Evento musicale dove artisti emergenti si esibiscono nelle vie del paese illuminate da piccole fiaccole che rendono l’atmosfera ancora più particolare (GIUGNO) •Festival della Maza - Manifestazione storicoculturale-gastronomica (LUGLIO) •Sagra dell’uva e del Vino dei Colli Lanuvini DOP - Evento enogastronomico con degustazioni, musica e la tradizionale Corsa delle Botti (SETTEMBRE)
NEI DINTORNI:
•Parco regionale dei Castelli Romani •Genzano di Roma•Nemi•Velletri •Ariccia•Albano Laziale
IN VINO VERITAS
Un tour alla scoperta dei vini dei Castelli Romani
cantina emanuele ranchella di Candida De Amicis
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IN VINO VERITAS
conosciamo una cantina vinicola dei Castelli Romani
I Castelli Romani sono da sempre famosi per il paesaggio, per le residenze nobili e per essere un’area delle più antiche produzioni vitivinicole italiane; nel Settecento tappa del Gran Tour dei nobili rampolli dell’aristocrazia europea e dalla metà dell’Ottocento meta delle allegre gite fuori porta domenicali.
Ci fermiamo a Grottaferrata, a circa 20 chilometri dalla capitale, cittadina tra i centri storici più eleganti e antichi dei Castelli Romani, per conoscere un’azienda vinicola che rappresenta un’espressione interessante e di grande qualità di questo territorio: l’Azienda di Emanuele Ranchella, V generazione di una famiglia arrivata nel 1857 dalle Marche, come coloni pontifici chiamati dal Sindaco Passamonti, per popolare il giovane Comune Castellano. I Ranchella piantumano i primi vigneti, raggiungendo produzioni considerevoli e di grande pregio. Nonostante i difficili anni del dopoguerra, diventano i migliori fornitori di numerosi ristoranti romani sino ad essere scelti come fornitori privilegiati dalla Guardia Svizzera Pontificia. L’esperienza e la passione vissuta negli anni, li hanno portati alla continua ricerca e recupero dei loro vitigni autoctoni con risultati sorprendenti.
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IN VINO VERITAS Emanuele Ranchella è agronomo, vignaiolo, erede anche della grande passione per le sue vigne. La superficie totale dell’azienda è di circa 15 ettari, composta da due appezzamenti: uno sulla via Anagnina in località Villa Senni, nella zona delle Catacombe ad Decimum; l’altro nel cuore di Valle Marciana, sotto le pendici dell’abbazia di San Nilo e del Castello Savelli. La zona di Valle Marciana era in origine uno dei tanti crateri del Vulcano Laziale, divenuta poi lago e in seguito, prosciugandosi, terra fertile e ricca di minerali utili per lo sviluppo della viticoltura. Le grotte antiche, presenti in cantina, sono scavate nella stratificazione dell’antico vulcano, a circa 12 metri di profondità, per mantenere i vini ad una temperatura gradevole e costante. Nel tenimento di A.D. Decimum, si trovano ulteriori grotte antiche romane, risalenti al primo secolo A.C, che fanno parte dell’antica Villa di Opimiano, in cui sono presenti vasi vinari e botti in castagno una volta molto in uso nella zona, in cui si stanno realizzando lavori per renderle, a breve, visitabili e per realizzare degustazioni ed eventi. Il legame con la terra d’origine è sempre presente, infatti un posto di primo piano è ricoperto dal Trebbiano Verde che, dalle verifiche condotte dall’Arsial sul patrimonio genetico di questa varietà locale, si è ufficializzata una corrispondenza con la cultivar Verdicchio Bianco. I Ranchella lo avevano sempre coltivato e Emanuele lo ha ritrovato casualmente 15 anni fa in un vigneto di famiglia di 90 anni. “Crediamo nei potenziali dei vitigni coltivati con dedizione e caparbietà dai nostri padri, mantenendo integra una tradizione che ci rende, al momento, pionieri con due vini bianchi: Ad Decimum e Virdis.” racconta Emanuele ” La nostra passione e vocazione, che si tramanda da oltre sette generazioni, ha un credo: “dalla terra la vita, dalla vite ogni bene”.
Ad Decimum Doc Roma Classico Bianco. Vitigni: Malvasia puntinata, Trebbiano Verde, Trebbiano Giallo. Insignito dei 4 grappoli nel millesimo 2017. Il nome deriva dalla posizione del tenimento di A.D. Decimum che si trova al decimo miglio della via Latina, che da porta Capena arrivava all’antica Tuscolo in coincidenza delle omonime catacombe risalenti al I sec. D.C . Note organolettiche: colore giallo paglierino, luminoso, profumi di frutta matura, floreale, pieno, avvolgente e di lunga persistenza.
Virdis Vino bianco IGT Lazio. Trebbiano Verde in purezza. Insignito dei 5 grappoli 2021 per l’annata 2018. Prodotto nella Valle Marciana. Gli antichi romani chiamavano ‘virdis’ sia il Trebbiano Verde che il Verdicchio, grazie al colore caratteristico degli acini. Note organolettiche: Colore giallo con riflessi verdi caratteristici del vitigno. Profumo agrumato, floreale, gusto sapido fine. La Cantina Emanuele Ranchella si trova a Grottaferrata, con sede in via Campi di Annibale 69 – https://www. emanueleranchella.it/
TREBBIANO VERDE
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PRODOTTI DEL TERRITORIO
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NOCCIOLA ROMANA
La nocciola romana di Elena Castiglione
La nocciola Romana dal 2009 ha avuto il riconoscimento dop e igp. Caratteristico il guscio subsferoidale con l'apice leggermente a punta, di dimensioni dai 14 ai 25 mm di medio spessore, color nocciola poco lucente, e numerose striature. Rientrano in questo disciplinare la nocciola tonda gentile e il nocchione e in minor misura la tonda di Giffoni e la Barrettona. Croccante senza cedimenti alla masticazione, tessitura compatta e sapore finissimo e persistente. Il profumo è tipico della nocciola fresca. La zona di produzione è nelle provincie di Roma e di Viterbo, in particolare Barbarano Romano, Bassano in Teverina, Bassano Romano, Blera, Bomarzo, Calcata, Canepina, Capranica, Caprarola, Carbognano, Castel Sant'Elia, Civita Castellana, Corchiano, Fabrica di Roma, Corchiano, Fabrica di Roma, Faleria, Gallese, Monterosi, Nepi, Oriolo Romano) Orte) Ronciglione, Soriano nel Cimino, Sutri, Vallerano) Vasanello, Vejano, Vetralla, Vignanello, Villa San Giovanni in Tuscia, Vitorchiano, Viterbo; Bracciano, Canale Monterano, Manziana, Rignano Flaminio, Sant'Oreste, Trevignano. La croccantezza e la tessitura compatta si mantengono sia allo stato fresco che conservato derivano direttamente dai fattori ambientali della zona di produzione. In particolare il suolo dei Monti Cimini e dei monti Sabatini dai terreni di origine vulcanica favoriscono la sua coltivazione.
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NOCCIOLE
farfalle
caprino caffè e nocciole di Sabrina Tocchio Un primo piatto gustoso, particolare le Farfalle con caprino, nocciole e polvere di caffè. È una ricetta inserita in un libricino di almeno 10 anni fa della Lavazza iallegata alla rivista Sale&Pepe, io l’ho cambiata aggiungendo il caprino al posto della panna, perchè vedevo la ricetta poco bilanciata. Troppi sapori dolci (nocciola, panna, cannella…) non mi convinceva e sostituendo il caprino alla panna ho inserito una nota di acidità che ci sta! Buona, mantecata a mestiere è venuta una cremina deliziosa e il pangrattato ha dato la nota croccante. Ottima la scelta delle farfalle rigate che raccolgono la crema come pasta comanda.
INGREDIENTI PER 4 PERSONE • 320 g di pasta formato farfalle (io rigate) • 50g di nocciole romane sgusciate, tostate e spellate • 100 g di formaggio caprino • 50 g di pangrattato • 1 cucchiaino di caffè in polvere • 100 g di burro • noce moscata, cannella in polvere, pepe e sale • Fili di erba cipollina
PREPARAZIONE 1. Cuocete la pasta in acqua in ebollizione, per le farfalle rigate c’è scritto 10 minuti, ma io qualche minuto in più le terrei perché al centro rimangono molto dure. 2. Nel frattempo sminuzzate grossolanamente le nocciole, trasferitele in una ciotola con il caprino, 70 g di burro appena sciolto, una grattatina di noce moscata, una punta di cucchiaino di cannella e la polvere del caffè e regolate di sale e pepe. Mescolate il tutto e tenete da parte come condimento della pasta. 3. Sciogliete il burro rimasto in un padellino antiaderente a fiamma media e quando sarà spumeggiante, rosolatevi il pangrattato. 4. Scolate la pasta al dente e conditela con la cremina di caprino, nocciole e caffè, aggiungete qualche stelo di cipollina sminuzzato e il pangrattato tostato tenendone da parte un paio di cucchiai. Mantecate e servite nei piatti con un ultima aggiunta di pangrattato.
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NOCCIOLE
semifreddo alla nocciola di Candida De Amicis
Avevo comprato alcuni simpatici stampi in silicone per finger food , e li ho utilizzati per questi piccoli dessert: per soddisfare la voglia di dolce senza avere sensi di colpa... sono di dimensione così ridotta! Ho fatto anche delle sfere, ai due gusti e ricoperte di cioccolato, accoppiando due semisfere. Anche qui ho utilizzato la granella di nocciola, mi piace molto e dà una piacevole croccantezza. La ricetta del semifreddo alla nocciola è di Luca Montersino, il procedimento è più lungo di quello del semifreddo alla vaniglia o al limone, perché occorre preparare anche la crema pasticcera . Un piccolo dolce e fresco piacere da gustare in qualsiasi stagione!
INGREDIENTI
PREPARAZIONE
Per il semifreddo alla nocciola 500 g di panna montata 300 g di meringa italiana 100 g di crema pasticcera 100 g di pasta di nocciole
1. Iniziate preparando la crema pasticcera (con il metodo di Montersino): mettete a bollire il latte, nel frattempo montate bene i tuorli con lo zucchero. Quando il latte prende il bollore versate il composto di tuorli e zucchero, aspettate che si formino dei piccoli "vulcani", ovvero che stia nuovamente per bollire, e mescolate energicamente per circa 1 minuto. Versate la crema in un contenitore ben freddo, coprite con la pellicola a contatto e freddare.
Per la meringa italiana 210 g di zucchero semolato 56 g di acqua 124 g di albume 42 g di zucchero semolato Per la crema pasticcera 160 g di latte intero 40 g di panna 60 g di tuorli 60 g di zucchero 7 g di amido di mais 7 g di amido di riso q.b. di granella di nocciole
2. Preparate la meringa italiana. Cuocete sul fuoco a 121°C l'acqua con la prima parte di zucchero, quando arriva a 115°C iniziate a montare gli albumi con il restante zucchero. Unite a filo lo zucchero cotto a 121°C e montate fino a raffreddamento. È opportuno utilizzarla subito per evitare che perda volume e struttura. 3. In una ciotola amalgamate bene la crema pasticcera fredda e la pasta di nocciole, unite poi la meringa italiana mescolando delicatamente dal basso verso l'alto, aggiungete infine la panna semimontata continuando a mescolare sempre delicatamente e dal basso verso l'alto. 4. Riempite gli stampi, pareggiate la superficie con una spatola, inserite lo stecco in legno nell'apposito spazio e mettete subito in freezer. Per le semisfere affondate leggermente uno stecco nella crema, solo su metà delle semisfere, mettete subito in freezer. 5. Una volta congelate unitele a due a due, e immergetele velocemente nel cioccolato fuso per rivestirle completamente, poggiatele sulla carta da forno e rimettete subito nel freezer. Alcune sfere sono metà al gusto di vaniglia e metà nocciola. Qualche sfera e gli altri semifreddi li ho parzialmente rivestiti con cioccolato fuso e granella di nocciole tostate. 6. Come alternativa si possono preparare delle monoporzioni nel bicchierino oppure si può usare uno stampo grande e servire il semifreddo a fette.
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alici di Sabrina Tocchio
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Il “pesce azzurro” è una denominazione di uso generale e non corrisponde a un gruppo scientificamente definito specie. Un po’ come nel caso del “pesce bianco” o dei “frutti di mare”. Si definiscono azzurri quei pesci dalla colorazione dorsale blu scuro (ma spesso è presente anche un po’ di verde) e ventrale argentea. Generalmente abbondano nei nostri mari e questa prerogativa li rende decisamente economici. Il pesce azzurro ha grassi simili a quelli vegetali, caratterizzati cioè prevalentemente da composti “insaturi”, in particolare quelli delle serie omega 3, importanti per lo sviluppo cerebrale e protettori per cuore e arterie. Tra questi rientrano pesci come l’aguglia, l’alaccia, il cicerello, la costardella, il lanzardo, il pesce sciabola, la sardina, lo sgombro, lo spratto, il suro e l’alice.
alici fresche Le alici sono tra i pesci azzurri più comuni. Della stessa famiglia delle aringhe, questo pesciolino si muove durante tutta l’estate in banchi considerevoli, dopo aver trascorso l’inverno in profondità per riprodursi. Sono pesci gregari che si riuniscono in branchi e compiono notevoli spostamenti.
I mesi migliori per la cattura vanno da aprile a novembre, il periodo della riproduzione, quando si avvicinano a profondità minori. L’alice fresca è lunga 10-12 cm, ha l’occhio vivo e il corpo rigido ma fragilissimo. Una volta scartata la testa, è più facile estrarre i due filetti per liberarli dalle lische più grosse. Le alici condividono con il pesce azzurro la probabile presenza di un parassita l’anisakis, un vermicello che quando il pesce è vivo si annida nelle sue viscere per ossigenarsi ma quando il pesce è morto (pescato) si inserisce nella polpa dove trova ancora ossigeno per poter campare. Già dal luogo della sua presenza si intuisce se il pesce è freschissimo o di qualche ora di troppo. Per debellare questo parassita è necessario abbattere il pesce e un metodo casalingo è quello di congelarlo, dopo averlo eviscerato e spinato, per almeno, 4/5 gg. Altro metodo è la cottura immediata in forno o fritte o in padella. La marinatura con aceto o limone non elimina o uccide il parassita. Se ingerito dall’uomo può creare gravi malattie dell’apparato digerente con conseguenze nefaste.
Attratte di notte con i fari (le cosiddette lampare), utilizzate dai pescatori del Mediterraneo, le alici cadono a migliaia nelle grandi reti galleggianti.
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ALICI
alici marinate di Laura Becchis Le alici marinate sono in assoluto il piatto di pesce che più amo mangiare , le adoro proprio e , a forza di prepararle a casa , ho affinato la tecnica per la loro perfetta riuscita . Le alici devono ovviamente essere freschissime e carnose ; il buono delle alici marinate è sentire sotto i denti la consistenza della loro carne . Per evitare che domini troppo l’aroma dell’aceto, uso sempre l’aceto di mele senza neanche dover prolungare eccessivamente il tempo della marinatura . L’ultima volta che ho preparato le alici marinate , ho distribuito all’ultimo una dadolata di cuore di sedano… ci stava benissimo. Se sarà il pescivendolo a spinarle ed aprirle , compratene anche in eccesso… le alici marinate il giorno dopo sono ancora più buone.
INGREDIENTI PER 4 PERSONE • 500 g di alici fresche • olio extra vergine di oliva • aceto di mele • prezzemolo • aglio • sale • peperoncino
PREPARAZIONE 1. Disponete le alici, già pulite, lavate, aperte a libro e private della lisca centrale, su di piatto piano, in un unico strato, con il lato interno rivolto verso l'alto. 2. Salatele ed irroratele con l'aceto sino a coprirle a filo; lasciatele marinare così per un'oretta abbondante o sino a quando la carne non risulta "cotta" e schiarita dall'aceto. Magari ogni tanto spostatele un pò in modo che tutte le parti vengano a contatto con l'aceto. 3. Una volta che le alici risultano belle chiare, sciacquatele, trasferitele nel contenitore da portata condendole a coprirle con olio extravergine di oliva, sale, prezzemolo tritato, uno spicchio di aglio e, se piace, un pò di peperoncino sminuzzato.
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ALICI
garganelli alici e pecorino di Sabrina Tocchio
Una ricetta semplice ed economica , con il mio caro pesce azzurro : economico, salutare e di gran sapore . L'ispirazione è nata tra le pagine del libro 365 ricette della cucina italiana , una ricetta al giorno, libro donato, qualche anno fa , dall’autore , Carlo Cambi , giornalista e autore televisivo e radiofonico.
INGREDIENTI PER 4 PERSONE Per i garganelli (400 g) • 200 g di farina 0 • 2 uova • 2 cucchiai di pecorino • un pizzico di sale Gli altri ingredienti • 1 kg di alici • 4 spicchi di aglio • 500 g di pomodori san marzano • una manciata di pinoli • un pugno di uva passa • farina • qualche fogliolina di basilico • 4 cucchiai di olio extravergine di oliva pecorino romano sale e pepe q.b.
PREPARAZIONE 1. Fate la fontana con la farina, rompete all’interno le uova aggiungendo il pecorino e il sale. impastate e fate riposare la pasta coperta.
6. Nel frattempo preparate una dadolata di pomodori san marzano, fateli soffriggere in padella unendo i pinoli tostati, l'vetta, il basilico e in ultimo le alici.
2. Passatela alla macchina per la pasta e tagliate dei quadrati di circa 4 cm per lato.
7. Lessate i garganelli in abbondante acqua salata, scolateli, fateli saltare in padella con il sugo preparato. infine impiattateli e spolverateli con del pecorino romano.
3. Arrotolate il quadrato su un manico di legno di una paletta e passate su un arriccia gnocchi. 4. Lavate e pulite le alici, sfilettatele e fatene dei piccoli dadi. 5. in un tegame rosolate l’aglio con l’olio extravergine di oliva, infarinate le alici e padellatele, aggiungete sale e pepe e a cottura ultimata fatele sgocciolare.
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ALICI
spaghetti
finocchietto e alici di Laura Becchis Una versione povera della pasta con le sarde , una versione decisamente più rapida , meno “complessa” nell’aroma e nei sapori , ma un piatto di pasta in cui i due ingredienti – alici e finocchietto selvatico – si sposano benissimo. Giusto il tempo di portare a bollore l’acqua e cuocere la pasta ed il piatto di spaghetti finocchietto selvatico e alici è in tavola . Pochi gli ingredienti , poco tempo di cottura per un piatto che profuma e avvolge il palato al primo morso. Il retrogusto di alici arriva a completare , integrare e contrastare quello del finocchietto selvatico e il tocco di peperoncino si fa amare . Piccoli accorgimenti durante la cottura del condimento eviteranno che l’aglio e /o le alici brucino ed i vostri spaghetti con finocchietto selvatico e alici saranno deliziosamente saporiti !
INGREDIENTI PER 4 PERSONE • 400 g di spaghetti • 10 - 12 alici sott'olio • 1 mazzetto di finocchietto selvatico • 1 spicchio d'aglio • peperoncino • scorza di lime grattata • sale • olio extra vergine di oliva
PREPARAZIONE 1. Mettete sul fuoco la giusta quantità di acqua necessaria per la cottura della pasta e portartela a bollore. 2. Preparate nel frattempo il condimento: versate in un padellino l'olio extra vergine di oliva, unite l'aglio sbucciato e privato dell'anima. Fate scaldare lentamente l'olio in modo che l'aglio si dori ma non si bruci; allontanate per un attimo il padellino dal fuoco e, dopo averlo inclinato un po' in modo che l'olio si raccolga, schiacciate bene con una forchetta lo spicchio d'aglio quindi eliminatelo. Non amo lasciare l'aglio nel condimento, se non avete questo problema, potete tranquillamente spezzarlo in 2 o 3 e lasciarlo nell'olio sino al momento di condire. Rimettete sul fuoco il padellino, quando è di nuovo
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caldo allontanatelo di nuovo ed aggiungete le alici ben scolate ed il peperoncino. Riducete in polpa le alici sempre lontano dal fuoco - se bruciano diventano amarissime ! - amalgamatele bene all'olio. 3. Quando l'acqua bolle, salate non troppo perché le alici già sono saporite, buttate la pasta e, a 5 minuti dalla cottura unite anche il finocchietto selvatico ben lavato e nettato. Tenete da parte un mezza tazzina di acqua di cottura. Scolate, trasferite nel tegame insieme al condimento preparato e ad un goccio di acqua di cottura tenuta da parte; mescolate bene per amalgamare il condimento alla pasta e vedrete che si formerà una cremina deliziosa. Servite, se vi piace, guarnendo con la buccia di lime grattata all'ultimo momento.
ALICI
fritto di alici cacio e pepe di Sabrina Tocchio
Per il mio fritto di alici cacio e pepe con zucchine marinate mi sono ispirate ad un nostro chef lazialeGianfranco Pascucci, maestro nel cucinare il pesce e non solo. Le mie origini laziali e romane mi hanno fatto fermare su una ricetta di cacio e pepe, tipico accostamento per la pasta, ma in questo caso abbinato magistralmente alle alici proprio per conferire una nota sapida al sapore dolce dell’alice fresca. Il libro da dove mi sono ispirata fa parte della collana de “Le guide pratiche del Gambero Rosso” dal titolo “Il pesce d’acqua dolce e salata. I consigli dello chef Gianfranco Pascucci“.
INGREDIENTI PER 4 PERSONE • 500 g di alici • 120 g di zucchine • 80 g di pecorino romano • 1 l di olio di semi di arachide • acqua frizzante fredda • 250 g di farina • 75 g di amido di mais • menta romana • 1 lime • olio extravergine di oliva • sale e pepe
PREPARAZIONE 1. Marinate le zucchine tagliate a strisce sottili in olio extravergine d’oliva, sale, menta romana, pepe e succo di lime. 2. Preparate la pastella per la tempura unendo la farina, l’amido e amalgamate con l’acqua frizzante fredda fino a ottenere un composto fluido. 3. Immergete le alici eviscerate, pulite, lasciando solo la coda, ben lavate e friggetele nell’olio a 170°C per 3 minuti.
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4. Ponete su carta assorbente e condite subito con abbastanza pepe e pecorino grattugiato, che deve fondere appena. 5. Servite le alici ben calde accompagnate dalle zucchine marinate.
TRA STORIA E LEGGENDA
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Tra storia e leggenda
i misteri della porta alchemica di Piazza vittorio di Elena Castiglione Quanti misteri nasconde Roma! Oggi vi faremo conoscere la storia della Porta Alchemica, nota anche come Porta Magica. Location: i giardini di Piazza Vittorio Emanuele – più semplicemente nota come Piazza Vittorio – nel cuore del Rione Esquilino, oggi centro di Roma, ma una volta zona suburbana, dove famiglie facoltose amavano dimorare, così come fece il personaggio principale di questa storia, Massimi-
liano Savelli Palombara, marchese di Pietraforte, che nella seconda metà del 1600 decise di risiedere nella sua Tenuta, Villa Palombara, che sorgeva pressoché dove oggi c'è Piazza Vittorio e dove resta a testimonianza una sola porta delle 5 originali: il resto della villa fu distrutto nel 1800 per ricostruire l'attuale piazza. Incontreremo altri personaggi, alcuni noti, altri meno, tutti legati dallo stesso interesse, quello dell'alchimia.
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Tra storia e leggenda, come solo la città Eterna sa fare, vi faremo fare un viaggio alla ricerca della Pietra Filosofale, quella pietra dotata di tre magiche virtù: conferire l'immortalità, acquisire conoscenza del passato e del futuro, del bene e del male e la capacità di trasmutare in oro qualsiasi metallo. Ma il mistero della Porta Magica, dopo oltre tre secoli... non è stato mai svelato!
TRA STORIA E LEGGENDA
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uando Villa Palombara fu demolita per fa spazio all'attuale Piazza Vittorio e ampliare la Stazione Termini, fu lasciata solo la Porta Alchemica che fu murata e ai suoi lati nel 1888 furono poste, come per farne la guardia, due statue gemelle – probabilmente
raffiguranti il dio egizio Bes – ritrovate durante gli scavi del Quirinale. La porta è un piccolo portale di pietra calcarea, sormontata da una stella di Davide e doveva con molta probabilità essere l'accesso a un laboratorio di alchimia, passione sfrenata del marchese. Caratteristica è la presenza
tutt'intorno di simboli e formule che riconducono all'alchimia, motivo per il quale è il monumento di Roma più conosciuto e studiato dagli amanti del mondo alchemico e esoterico. Il marchese Palombara infatti, era membro dell’ordine dei Rosacroce e spesso era ospite dell’ex regina di Svezia. Cristina di Svezia, discepola di Cartesio, era un'appassionata cultrice di alchimia e di scienza. Dopo aver abdicato al trono si trasferì a Roma, dove in Palazzo Riario (oggi Palazzo Corsini alla Longara), fondò un'Accademia con un avanzato laboratorio gestito dall'alchimista Pietro Antonio Bandiera. In questo palazzo sono passati personaggi illustri del Seicento come il medico esoterista Giuseppe Francesco Borri, l'astronomo Giovanni Cassini, l'alchimista Francesco Maria Santinelli, l'erudito Athanasius Kircher. Anche Villa Palombara diventò una meta di alchimisti e appassionati di scienze esoteriche. Secondo una delle leggende che circolano, una mattina nel giardino della Tenuta Palombara, fu trovato un pellegrino intento a raccogliere erbe. Ne cercava una in particolare, capace di produrre oro. La servitù condusse lo sconosciuto al cospetto del Marchese. L'uomo raccontò di essere un esperto alchimista e di poter dimostrare la
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trasmutazione di qualsiasi metallo in oro. Parole che non potevano lasciare indifferente il Marchese Palombara, che gli offrì l'accesso al laboratorio alchemico per le sue ricerche. Il marchese rimase letteralmente attonito davanti alla maestria dell'uomo. Costui chiese ospitalità per la notte in una camera adiacente il laboratorio per controllare il processo alchemico che stava facendo e – a patto di restare concentrato e in solitudine – promise di rispondere a tutte le domande del marchese appena terminato l'esperimento. Naturalmente il marchese accettò, ma la curiosità e l'impazienza ebbero il sopravvento e il mattino dopo non attese oltre e bussò alla porta del laboratorio poi alla stanza dell'ospite, senza ottenere risposta. L'uomo era scomparso, all'interno del laboratorio un crogiolo rovesciato, in terra un mucchietto d'oro puro e un manoscritto zeppo di formule magiche, simboli e frasi ermetiche di difficile interpretazione: le istruzioni per ottenere la famosa pietra filosofale. Convinto che il tutto fosse l'esito positivo dell'esperimento il marchese fece scolpire simboli e formule sulla famosa Porta Magica. Ma chi era il misterioso viandante? Di storie e leggende ce ne sono diverse. Secondo un'altra leggenda in realtà sembra che l'autore degli scritti e dei simboli fosse il medico esoterista e
TRA STORIA E LEGGENDA alchimista Giuseppe Francesco Borri (che abbiamo già incontrato nel salotto di Cristina di Svezia...). In realtà il marchese e il medico avevano già stretto amicizia durante la frequentazione dell'Accademia fondata dall'ex regina di Svezia. Il medico Borri era considerato il più grande alchimista di quel periodo. Palombara divenne membro dei Rosacroce (il leggendario ordine segreto ermetico cristiano), e queste sue frequentazioni lo appassionarono talmente tanto all'alchimia che allestì nella sua Tenuta un laboratorio per gli studi sulla trasmutazione dei metalli. Qui si tenevano vari convegni sull'esoteria e l'alchimia e le incisioni potrebbero essere state fatte proprio durante uno di questi convegni. Secondo altre leggende sembrerebbe che l'autore fosse proprio il Borri e che alla sua morte il marchese decise di far incidere i simboli sulla porta nella speranza che qualche studioso riuscisse a trovare il segreto della pietra filosofale. Ma ancora oggi... il mistero resta! Mentre per quanto riguarda Il medico, sappiamo certamente che fu arrestato per eresia. Non era la prima volta, ma stavolta terminò i suoi giorni nelle segrete di Castel Sant’Angelo. Ma tanto per non perderci un fantasma anche in questo numero, dopo appena tre anni dalla sua morte
ci sarebbe proprio lui dietro il mito del conte di Saint-Germain, vissuto nel XVIII secolo, grande alchimista e scopritore dell’elisir di lunga vita e il fantasma più famoso del mondo, avvistato nel corso dei secoli in varie località europee. Anche lui alchimista, sembrerebbe nei ritratti molto somigliante al Borri. Della porta resta tutto il suo mistero incastonato tra simboli arcani e frasi misteriose. Ve ne riporto alcune: «SI SEDES NON IS», «Se siedi non procedi» una frase palindroma che, letta al contrario, diventa «Se non siedi, procedi». Chissà forse sta proprio a indicare
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che per raggiungere la conoscenza devi sempre procedere, andare avanti...; «TRIA SVNT MIRABILIA DEVS ET HOMO MATER ET VIRGO TRINVS ET VNVS», «Tre son le cose mirabili: Dio e uomo, Madre e vergine, trino e uno»; «FILIVS NOSTER MORTVVS VIVIT REX AB IGNE REDIT ET CONIVGIO GAVDET OCCVLTO», «Nostro figlio, morto, vive, torna re dal fuoco e gode del matrimonio occulto». Noi vi invitiamo a visitarla, mirarla, e chissà se uno di voi riuscirà a tradurre le sue frasi sibilline e i suoi simboli arcani. Chi di voi riuscirà a svelare il mistero della Pietra filosofale?
vi diamo appuntamento tra pochissimo... inverno, festività natalizie e nuovo anno insieme con voi!
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