Il mio ricordo di Livio Marchesoni
FRANCESCO SPAGNOLLI Già Dirigente del Centro Istruzione e Formazione
Livio, in primo piano, ai laghi di Plitvice
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Ho conosciuto Livio Marchesoni il 2 ottobre 1966, da studente (non più “implume”) dell’ITA: allora il percorso tra S ed N era comune fino al terzo anno (proprio quello che ho frequentato nell’a.s. 1966-67) compresa quindi, tra le discipline di insegnamento, quell’agronomia generale, che, da provetto agronomo, era proprio la “Sua” materia. La prima impressione, tra l’altro mai mutata nel corso degli anni successivi, fu quella di un “distinto signore della cattedra”, insomma di un professore serio e competente nelle proprie materie di insegnamento e che sa trasmettere ai discepoli le sue conoscenze, ma nello stesso tempo non aveva nessuna ambizione di farsi sentire “dall’altra parte della barricata” (è uno dei tanti sinonimi di “cattedra”). Per lui i registri di classe e personali erano solo dei balzelli burocratici, un qualche cosa insomma che si doveva compilare per dovere d’ufficio, ma… alla fine della lezione, quindi proprio
quando si ha già “fatto” quello che poi si sarebbe andati a scrivere. Mai “cattedratico” nel senso meno nobile del termine, cioè quello di voler far pesare il proprio sapere, ma sempre disponibile con gli studenti ed al loro fianco per aiutarli, in particolare quando li vedeva in difficoltà. Per questo tutti gli volevano bene, sinceramente, e speravano che fosse proprio Lui ad accompagnarli nei viaggi d’istruzione, in particolare in quello di fine corso. Ebbene, io fui fortunato, perché ai primi di maggio del 1969 il mio “commiato dall’istituto” (dopo l’uscita, infatti, ci sarebbe stata soltanto la “volata” verso l’esame finale) ebbe come meta la Jugoslavia. Fu in quell’occasione che noi studenti cercammo di carpirgli la verità circa quella favoletta metropolitana (ammesso e non concesso che San Michele possa essere considerata una metropoli) circa l’argomento di un’interrogazione di agronomia generale proposto ad una studentessa,