Septemvriana Aykan Erdemir
Sono trascorsi 60 anni prima che si commemorassero le vittime del pogrom contro la minoranza greca che era avvenuto a Istanbul fra il 6 e il 7 dicembre 1955. La cerimonia si è svolta il 6 settembre 2015 nella chiesa di Santa Maria dei Mongoli (in greco Panaghia Muchliótissa), l'unica chiesa bizantina di Istanbul che non sia stata trasformata in una moschea. Nella notte fra il 6 e il 7 dicembre 1955 vennero danneggiati o distrutti 71 chiese, 41 scuole, le sedi di otto quotidiani, oltre 4000 negozi e 2000 abitazioni. Il costo umano fu ancora più grave, perché morirono 30 persone, 300 rimasero ferite e 400 donne vennero violentate. La minoranza greca di Istanbul ricorda questa tragedia col termine Septemvriana. Come ha detto recentemente un esponente della comunità greco-ortodossa, il pogrom ha dimostrato nel modo più chiaro che la Turchia non poteva e non voleva riconoscere a tutti gli stessi diritti. Alle minoranze non musulmane questi diritti restavano negati. Quello che accadde nel 1955 non fu uno scontro di civiltà fra musulmani e cristiani. Al contrario, proprio mentre crescevano le tensioni greco-turche sulla questione cipriota, i tumulti furono accuratamente pianificati dal governo turco per spazzare via i 100.000 greci della città, scampati allo scambio di popolazioni del 1923-1924. I nazionalisti violenti, come la storia ha dimostrato più volte, sono preziosi in casi come questo. Come uno di loro ha detto a una vittima del pogrom, "il loro compito non era quello di uccidere, ma soltanto di fare danni". Ma il giorno dopo, appena fu entrata in vigore la legge marziale e fu imposto il coprifuoco, si contarono 30 morti. Soltanto il 59% dei negozi devastati appartenevano ai greci, mentre gli altri erano di armeni e di ebrei. In Turchia questo crimine contro l'umanità è stato occultato fino a poco tempo fa. Come era accaduto per i pogrom realizzati nel 1934 contro gli ebrei turchi della Tracia e gli innumerevoli massacri contro gli aleviti, i tragici fatti del 1955 non sono mai comparsi sui libri di storia. Le famiglie greco-ortodosse hanno perfino evitato di parlarne in privato per paura, perché come mi disse un amico, "anche i muri possono sentire". Negli ultimi anni, fortunatamente, le cose stanno cambiando. Nell'era della comunicazione globale lo stato non è più capace di occultare le macchie del proprio passato. Oggi in Turchia esistono molte associazioni che parlano delle atrocità compiute contro le minoranze, si tratti di Armeni, Aleviti, Assiri o Greci. L'anno scorso, per esempio, un blogger ha messo in rete oltre 200 foto del pogrom del 1955, facendo conoscere queste atrocità meglio di come avrebbe potuto fare qualsiasi libro. Una decina di anni fa, una mostra fotografica organizzata a Istanbul per il cinquantenario del pogrom era stata attaccata da alcuni teppisti dell'estrema destra. Nella battaglia delle idee, quattro hooligan armati di bastoni non possono reggere il confronto con migliaia di persone che usano Facebook e lo smartphone. Il fatto che il pluralismo e l'uguaglianza di diritti si stiano radicando nella popolazione è sicuramente positivo. Comunque spetta al governo diffondere un clima armonioso che renda impossibile la ripetizione di tragedie simili a quella del 1955. Il partito islamista al potere (AKP, il partito di Erdoğan) ha sempre avuto un atteggiamento ambiguo nei confronti delle minoranze. Nel 2011, quando Erdoğan era Primo Ministro, la sua legge sulla restituzione delle proprietà confiscate alle minoranze è stata considerata un passo avanti, seppur modesto. Ma l'attuazione di questa legge incontra notevoli difficoltà, come lamentano varie minoranze. Come se questo non bastasse, gli esponenti dell'AKP, come i loro predecessori, utilizzano le minoranze come merce di scambio per garantire maggiori diritti ai turchi che vivono all'estero. Il seminario di Halki, la principale scuola ortodossa di Istanbul, è chiuso dal 1971, ed Erdoğan ha detto chiaramente che sarà riaperto soltanto quando ad Atene verrà aperta una moschea. Questo pro20