La minoranza silenziosa Yavuz Baydar
Fino a qualche anno fa i Circassi erano stati una minoranza silenziosa, ma negli ultimi tempi sono usciti allo scoperto. In Turchia questo popolo di origine caucasica è una minoranza piuttosto consistente, ma dispersa in varie regioni. Il governo non ha mai fornito cifre precise, ma secondo le stime più attendibili sarebbero fra i due e i tre milioni di persone. Secondo i dati forniti dalla comunità circassa, invece, sarebbero addirittura quattro milioni. Noti anche come Adighè, questi fieri montanari si erano opposti al dominio russo per un secolo prima di essere massacrati e deportati nei territori ottomani durante l'ultima guerra fra i due imperi (1860-1864). In questo modo persero la propria terra, la propria cultura venne cancellata e subirono enormi perdite umane. Molti affermano, probabilmente a ragione, che questo fu il primo genocidio moderno, almeno secondo i criteri della Convenzione approvata nel 1948. Fu il modello che avrebbe ispirato atrocità simili nei confronti dei Filippini, degli Herero e degli Armeni. Il popolo circasso è riuscito a restare unito pur essendo disperso in molti paesi. Nel Caucaso settentrionale ne è rimasto soltanto mezzo milione, mentre la più grande comunità della diaspora si trova in Turchia. Gruppi meno numerosi sono presenti in Giordania, Israele e Siria. I Circassi hanno avuto un ruolo importante nella formazione della Turchia. Noti e temuti per le loro virtù belliche, hanno potuto esprimerle nel modo migliore dopo che erano stati cacciati dalle loro terre e si erano stabiliti a Istanbul, Samsun e Trabzon (Trebisonda). Entrati nell'esercito ottomano e poi in quello turco, hanno svolto un certo ruolo anche nella formazione dei servizi segreti repubblicani. Nonostante questo, come accadde ai Kurdi, i kemalisti chiusero le loro scuole, proibirono l'uso della lingua e imposero che i loro nomi venissero turchizzati. Anche i nomi delle loro città furono cambiati. Però, anche in questo caso come coi Kurdi, la politica assimilazionista della repubblica si rivelò fallimentare. I Circassi restavano in silenzio, apparentemente allineati, ma l'attaccamento alla propria cultura e la nostalgia per la terra perduta ha permesso loro di mantenere viva la lingua tramandandola da una generazione all'altra. "La nostra cultura sta morendo" ho sentito dire più volte dai circassi che si erano riniti nella provincia di Kocaeli, a est di Istanbul, per un affollato convegno dedicato ai loro problemi. È stato nel 2011 che hanno fatto sentire la propria voce per la prima volta, anche se per poco tempo. Prima si erano riuniti a Istanbul e ad Ankara. Il terzo incontro avrebbe dovuto tenersi a Eskişehir, dove esiste una comunità circassa numerosa, ma le autorità l'hanno vietato. Il convegno di Istanbul mi ha permesso di conoscere una cultura che ignoravo. Parlavano la propria lingua con orgoglio, parlavano della propria storia e della lotta silenziosa che combattono per conservare la propria identità culturale. Avevano anche un approccio critico nei confronti della propria storia recente. Le persone presenti ritenevano insufficienti le aperture di Erdoğan e si sentivano ignorate da Ankara. "Nessun membro del governo si è preso la briga di contattarci come ha fatto con i Kurdi, gli aleviti e i non musulmani" ho sentito dire da alcune persone. Negli ultimi tempi, riuniti sotto la sigla Iniziativa per i diritti dei Circassi, hanno diffuso una dichiarazione molto incisiva. Quando l'ho letta ci ho ritrovato una retorica simile a quella dei Kurdi. Il documento deplorava l' abolizione dei loro diritti culturali (istruzione e uso della lingua madre) e la "liquidazione dei valori dell'identità circassa". Nel punto in cui si accennava ai fondatori della repubblica, e in particolare a Mustafa Kemal Atatürk, non venivano usati giri di parole: "Questi uomini hanno ingannato i fratelli circassi, li hanno ridotti al silenzio, li hanno esiliati per costruire un paese di soli turchi. Siamo stati demonizzati perché durante la guerra alcuni di noi avevano contestato l'autorità di Atatürk". Cosa vuole questa minoranza? "Il riconoscimento della nostra diversità culturale. Lo stesso che 43