Il turco più odiato Intervista a Orhan Pamuk
Lo scrittore Orhan Pamuk ha ricevuto il Premio Nobel nel 2006, ma era già famoso da tempo. Non solo per i suoi romanzi, ma anche perché era stato uno dei pochi intellettuali turchi a denunciare il genocidio armeno. L'aveva fatto in un'intervista rilasciata a Das Magazin, supplemento culturale del quotidiano zurighese Tages Anzeiger (5 febbraio 2005). Ne proponiamo la traduzione italiana, mai apparsa prima sebbene l'intervista fosse stata spesso citata dalla nostra stampa. Oggi Pamuk non è più "il turco più odiato", ma la sua posizione nei confronti del governo turco resta molto critica. Ringraziamo il giornalista Peer Teuwsen, che ci ha gentilmente permesso di pubblicare l'intervista, e Alessandra Senzani, che ne ha curato la traduzione. L'uomo che divide il paese sta preparando il caffè. La finestra del suo studio nel quartiere intellettuale di Cihangir a Istanbul si affaccia sul Corno d'Oro. I gabbiani stridono, le sirene delle navi risuonano, le strade e i canali sono trafficati. È uno degli ultimi giorni dell'anno e il sole è timido. Orhan Pamuk, il più famoso e più letto tra gli scrittori turchi viventi, serve il caffè con molto zucchero e si siede su una rigida sedia di legno, lasciando la poltrona per l'ospite. Il cinquantaquattrenne ha scritto un libro, Kar (İletişim Yayınları, 2002, ed. it. Neve, Einaudi, 2004), di recente tradotto anche in inglese, che ha infiammato gli spiriti dell'area anglosassone. Margaret Atwood e John Updike ne hanno tessuto le lodi. Finora nessuno dei romanzi di Pamuk era ambientato nell'attualità, mentre con Neve lo scrittore turco si è buttato nell'occhio del ciclone, nel pieno della guerra tra islamisti e secolaristi, nel mezzo di questa lotta al cui termine dovrebbe realizzarsi l'entrata nell'Unione Europa e quindi in Occidente. Neve racconta la storia del poeta Ka, che dopo aver vissuto dodici anni a Francoforte torna in patria incaricato da un giornale di scrivere su una strana serie di suicidi che si sono verificati nella piccola città anatolica di Kars. Ma il vero motivo del suo viaggio è un amore giovanile, Ipek. Ka è tra gli ultimi che riescono a entrare nella piccola città prima che venga tagliata fuori dal resto del mondo. Kars sprofonda in un caos che raggiunge il suo apice nel piccolo teatro cittadino. Ka finisce tra due fuochi, gli occidentali da una parte e gli islamisti dall'altra, che si contendono lo straniero cercando di guadagnarlo alla propria causa. Il poeta Ka è incapace di decidersi. Neve diventa così un appello a capire i fondamentalisti restandone sempre alla dovuta distanza. Un libro simile finisce per insospettire entrambe le parti. Pamuk subisce offese e minacce di morte. "Io sono scomodo per tutti" dice avviando la conversazione. Parla velocemente, reagisce con forza alle critiche e si lascia trascinare dalla passione. Essere scrittore in Turchia è tutt'altra cosa che esserlo in Svizzera. Signor Pamuk, raramente ho incontrato qualcuno che attira tanto odio. Come se lo spiega? Domanda difficile. Spesso critico il nazionalismo turco, e molti nazionalisti non lo accettano. Inoltre sono uno che gira per il mondo; promuovo i miei libri, un'intervista a New York un giorno e un'altra a a Tokyo il giorno dopo, ma non sventolo la bandiera turca come un campione olimpionico; al contrario sono critico e questo irrita molti turchi. Gran parte dei miei connazionali non ha ancora accettato di aver perso l'impero. Pensano che tutto il mondo congiuri contro di loro. Sono sentimenti comprensibili, una nostalgia che ho descritto nel mio libro Istanbul. Ma oggi, dopo un secolo, i Turchi dovrebbero essere in grado di bussare alla porta dell'Europa con una sana fiducia in se stessi. Disprezzo questi nazionalisti che vedono complotti ovunque. E loro disprezzano me. Si tratta addirittura di odio. Il suo compatriota, lo scrittore Hilmi Yabuz la chiama "lo spione dell'Occidente", un "intelletuale imperialista". E non è il solo. Perché delle parole così dure? Se tira fuori certi nomi, interrompo la nostra conversazione immediatamente. Non commento certe affermazioni, non mi occupo di uomini cosí mediocri. Mi stupisce soltanto che vengano usate tali espressioni. Un tono simile sarebbe impensabile in Svizzera. E leggendo il libro che presenta gli i46