La causa dei popoli 1-2 (seconda serie)

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La vendetta di San Giorgio Alessandro Michelucci

Probabilmente il referendum che ha sancito l'uscita del Regno Unito dall'Unione Europea cancellerà il pessimo vizio di chiamare "Inghilterra" quella che invece porta il nome di "Gran Bretagna". Mai come stavolta, infatti, è apparsa chiara la distinzione fra le regioni inglesi e il resto del paese. Sono state le prime, salvo Londra e poche eccezioni localizzate, a decretare la vittoria del Leave. Le altre (Irlanda del Nord e Scozia) hanno votato invece per restare nell'UE. A queste bisogna aggiungere Gibilterra, unica colonia britannica in Europa. La Gran Bretagna è il primo stato membro che decide di abbandonare l'Unione Europea. Il processo che dovrà definire le innumerevoli implicazioni di questa frattura si annuncia lungo e complesso. Qualsiasi previsione potrebbe essere smentita. Quello che ci interessa, invece, è cercare di capire come si sia sviluppato il processo che ha indotto il Regno Unito a compiere questo passo. Per farlo bisogna partire dalla sua struttura politica e geografica. Il paese si compone di quattro entità territoriali e culturali ben distinte: Inghilterra, Scozia, Galles e Irlanda del Nord (l'elenco tiene conto della grandezza in ordine decrescente). A queste si aggiungono le isole della Manica (Guernsey e Jersey) e l'isola di Man, che non fanno parte del Regno Unito in senso stretto, ma sono alle dipendenze dirette della Corona. Lo stesso vale per i 14 territori d'oltremare, fra cui la suddetta Gibilterra, in altre parole quello che resta del grande impero coloniale britannico. La fine del centralismo Per lungo tempo il paese ha conservato una struttura fortemente centralizzata che ruotava attorno a Londra. I primi segnali del mutamento risalgono alla metà del secolo scorso. Negli anni Sessanta, per due volte, De Gaulle si oppone all'entrata della Gran Bretagna nel MEC. Il presidente francese motiva questa posizione evidenziando che l'economia britannica si basa soprattutto su attività commerciali e industriali, mentre quelle agricole – fondamentali nel MEC – hanno un ruolo secondario. Inoltre teme che il paese possa essere un veicolo degli interessi americani. Intanto qualcosa si sta muovendo anche a livello interno. Nel 1966 le elezioni suppletive di Carmarthen segnano la vittoria di Gwynfor Evans, il primo membro del Plaid Cymru (il partito nazionalista gallese) che diventa membro del Parlamento britannico. L'anno dopo è la volta di Winnie Ewing, esponente dello Scottish National Party (SNP), che guadagna un seggio parlamentare con le elezioni suppletive di Hamilton. Il partito separatista inaugura così una presenza stabile a Westminster. Questo aprirà un dibattito sull'indipendenza della Scozia, un tema rimasto a lungo nella marginalità. Con la morte di De Gaulle (1970) viene meno il veto francese: il 1º gennaio 1973, sotto il governo conservatore guidato da Edward Heath, la Gran Bretagna entra a far parte del MEC insieme alla Danimarca e all'Irlanda. Si tratta del primo allargamento della struttura comunitaria, fondata nel 1958 da Belgio, Francia, Germania Ovest, Italia, Lussemburgo e Paesi Bassi. Ma l'adesione non viene accettata da tutti: sia fra i laburisti che fra i conservatori rimase una fronda consistente. Il governo laburista nato in seguito alle elezioni politiche del 1974 decide perciò di indire un referendum che confermi la permanenza del Regno Unito nel MEC. Il 67% dei votanti si esprime positivamente. In ogni caso l'opposizione nei confronti delle strutture europee si manifesterà a più riprese negli anni a venire, fino a sfociare nel referendum che si terrà nel 2016. Un altro tema che sta emergendo con prepotenza è quello della devolution (decentramento amministrativo) alla quale aspirano la Scozia e il Galles. Nel 1979, dopo lunghe pressioni e resistenze, si 51


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