sala&cucina magazine di ristorazione - Marzo 2022

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sala&cucina n. 57 marzo 2022 - Poste Italiane Spa - CN/BO - Edizioni Catering srl – Via Margotti, 8 – 40033 Casalecchio di Reno (BO) - contiene I.P. - costo copia euro 3,50

Marzo 2022

Quali elementi definiscono la figura dello chef? Le scuole alberghiere sono indispensabili I valori della ristorazione italiana

Casa Mazzucchelli Un format unico e innovativo




LA REDAZIONE

Mario Benhur Tondini presidente Edizioni Catering srl

Imprenditore nel settore della distribuzione alimentare, gestisce con il fratello Oscar l’azienda di famiglia a Cavriana (MN), dove ha svolto anche l’incarico di sindaco. Le competenze maturate sul piano professionale e su quello amministrativo lo hanno portato alla convinzione che il principio della condivisione sia la miglior modalità di crescita. Molte sue iniziative, anche all’interno del gruppo Cateringross (che detiene la titolarità della casa editrice), di cui è consigliere d’amministrazione, vanno in questa direzione. A questo affianca una forte sensibilità per ogni azione che dia valore al suo territorio.

Luigi Franchi Direttore responsabile

Prima fotografo di cibo e territori, poi comunicatore, autore di numerosi libri di enogastronomia e di turismo enogastronomico. e infine giornalista di enogastronomia. Tra le sue principali pubblicazioni, scritte e/o coordinate: La prima edizione della Guida al turismo del vino in Italia, per conto del Movimento Turismo del Vino, (1997), I parchi e il turismo enogastronomico (2004), Il marketing delle Strade del Vino edizioni Agra – Rai Eri (2005), Atlante Alimentare Piacentino, con Valentina Bernardelli (2007), “cuo chi, due anime in cucina”, con Alessandra Locatelli, GL.Editore (2009), Dalle Terre Traverse al Po, GL.Editore (2010), ideatore e coautore dei Maestri del lievito madre, Edizioni Catering (2014), coautore della guida online dedicata alla ristorazione Meglio Prenotare, Edizioni Catering, Le interviste (2018) editore Mediavalue. Co-direttore di Food & Book, festival nazionale di editoria enogastronomica

benhurtondini@salaecucina.it

luigifranchi@salaecucina.it

Marina Caccialanza

Simona Vitali

Redazione

Milanese, un passato come traduttrice, da diversi anni giornalista e redattrice per riviste del settore alimentare rivolte al mondo dell’artigianato e all’industria, in particolare nel campo della ristorazione, del dettaglio specializzato e della ricerca. Contribuisce alla realizzazione di importanti libri di comunicazione gastronomica in Italia e all’estero diretti ai professionisti e ai consumatori. Collabora con le redazioni di sala&cucina, Ecod e Trenta Editore.

marina.caccialanza@gmail.com

Giulia Zampieri Redazione

Ricorda con esattezza il profumo del primo pane preparato all’età di sette anni. Forse il suo primo traguardo e, soprattutto, l’inizio di una grande passione: per le cose semplici, per la genuinità, per gli alimenti che crescono e prendono forma. Dopo la Laurea in Scienze Gastronomiche, la specializzazione in comunicazione enogastronomica, e un periodo di alternanza nelle cucine, ha chiara la missione: scrivere per comunicare. Come? Utilizzando gli strumenti di oggi e la curiosità di sempre. Gionalista pubblicista, collabora anche con le guide del Gambero Rosso e Identità Golose.

giuliazampieri@salaecucina.it

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Redazione

Laureata in filosofia, ha lavorato nella comunicazione e organizzazione di grandi eventi a Parma. Ha ricevuto una prima inconsapevole educazione al gusto per il cibo grazie all’ indimenticato oste dell’Osteria di Felino (PR), il nonno materno Massimino. Con gli studi umanistici è poi arrivata seconda, consapevole, educazione al gusto per l’utilizzo delle parole secondo il loro significato. La usa a piene mani anche per chi di parole non ne riceve mai troppe. La sua amorevole attenzione va alla linfa della ristorazione, il mondo delle scuole alberghiere, e in generale alle storie intrise di valori e buoni esempi.

s.vitali@salaecucina.it

Gabriele Adani Grafico

Modenese, appassionato di arte figurativa, fotografia e linguaggi di comunicazione visiva. Nel 1992 inizia il suo percorso professionale presso una casa editrice. Lavora poi in uno studio grafico e fonda una piccola agenzia di comunicazione in cui ricopre il ruolo di direttore creativo per 18 anni. Viaggiatore, utilizza i frequenti viaggi a Londra e nel Sud Est asiatico per arricchire il suo bagaglio culturale e placare la sua innata curiosità per le altre culture. Dal 2019 lavora in proprio, occupandosi di fotografia, grafica e consulenze nel campo della comunicazione.

grafica@salaecucina.it

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SOMMARIO 7

LETTERA APERTA|

Le scuole alberghiere sono indispensabili | Luigi Franchi 9 EDITORIALE I valori della ristorazione italiana | Benhur Tondini

Marzo 2022

sala&cucina n. 57 marzo 2022 - Poste Italiane Spa - CN/BO - Edizioni Catering srl – Via Margotti, 8 – 40033 Casalecchio di Reno (BO) - contiene I.P. - costo copia euro 3,50

10 PARLIAMO CON Aurora e Massimo Mazzucchelli | Luigi Franchi 15 VENDI CON SUCCESSO 5 è il numero perfetto del menù | Lorenzo Dornetti 17 L’OLIO AL CENTRO Più che l’etichetta può l’assaggio | Luigi Caricato 19 LAVOROTURISMO.IT Un minuto per creare Il CV. Un’ora per trovare lavoro. Una vita per pentirti | Oscar Galeazzi

Quali elementi definiscono la figura dello chef? Le scuole alberghiere sono indispensabili

20 FARE RISTORAZIONE Quali elementi definiscono la figura dello chef? | Giulia Zampieri 24 EVENTI HoReCoast 2022, dal 16 al 18 marzo a Paestum | Guido Parri 30 TURISMO Ospito, un nuovo consorzio turistico per Monopoli | Luigi Franchi 32 PIZZERIE Chiere – pane, pizza a Piacenza | Simona Vitali 36 EVENTI Hôtellerie e ristorazione tra ultimi trend e formazione | Guido Parri 38 FARE RISTORAZIONE L’imbarazzo della scelta | Giulia Zampieri 44 FORMAZIONE A A A Tecnici dell’industria alimentare in formazione | Simona Vitali 48 PERSONE Joan crous e piatti di ‘Servito’ | Bruno Damini

I valori della ristorazione italiana

Casa Mazzucchelli Un format unico e innovativo

N° 57 marzo 2022 EDITORE Edizioni Catering srl Via Margotti, 8 40033 Casalecchio di Reno (BO) Tel. 051 751087 – Fax 051 751011 info@salaecucina.it - www.salaecucina.it PRESIDENTE Benhur Mario Tondini benhurtondini@salaecucina.it DIRETTORE RESPONSABILE Luigi Franchi luigifranchi@salaecucina.it

54 FARE RISTORAZIONE Torino, riservata ma dal cuore grande | Marina Caccialanza

COLLABORATORI ESTERNI Paolo Baracchino, Luigi Caricato, Bruno Damini, Lorenzo Dornetti, Oscar Galeazzi, Guido Parri

56 PIZZERIE Pizzeria Avalon, il sogno si avvera | Marina Caccialanza 58 RISTORANTI Hagakure, internazionale con tendenza all’asiatico | Marina Caccialanza 60 RISTORANTI Hotel Belvedere San Genesio, un luogo di benessere e piacere | Giulia Zampieri

FOTOGRAFIE Archivio sala&cucina, Paolo Picciotto, H Studio. * L’editore è a disposizione per eventuali crediti fotografici di cui si ignora la fonte

62 TREND Estate 2021, come è andata? | Luigi Franchi 66 PRODUZIONE Surgital presenta CONFONDENTE | Guido Parri

RIVISTA PARTNER dell’Associazione

69 LIBRI Cin Cin Italia - Storie e sapori di Sicilia | Luigi Franchi

PUBBLICITÀ Tel. 331 6872138 marketing@salaecucina.it www.salaecucina.it

70 PRODOTTI Dai mari del nord in tavola: merluzzo, baccalà o stoccafisso | Marina Caccialanza 75 ASSOCIAZIONE GASTRONOMI PROFESSIONISTI Il Premio dell’Associazione Gastronomi Professionisti | Guido Parri 77 NOVITÀ L’Aberdeen Angus Sired, una continua ricerca all’insegna della qualità superiore e del buon gusto. Un’eccellenza Unika. | Guido Parri 80 ABBINAMENTO Tortello di grano saraceno farcito di colombaccio leggermente affumicato alle spezie di Aimo e Nadia accompagnato al Barolo Sandrone Le Vigne, annata 2001 | Paolo Baracchino

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PROGETTO GRAFICO Gabriele Adani - www.gabrieleadani.it STAMPA EDIPRIMA s.r.l. – www.ediprimacataloghi.com TIRATURA E DISTRIBUZIONE – 28.900 copie Ristoranti, trattorie e pizzerie 20.700 – Bar, pub e birrerie 4.000 – Hotel 3.100 – Grossisti e distributori f&b 1.100 Costo copia mensile: 3,50 euro abbonamento annuo 30,00 euro Per abbonarsi: info@salaecucina.it

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IL MONDO DELLA FRITTURA CAMBIA PER SEMPRE.

Ideato assieme allo Chef PASQUALE TORRENTE

DA SEMI 100% ITALIANI

LA SOLUZIONE CHE CHEF E RISTORATORI ASPETTAVANO DA TEMPO. Massima stabilità alle alte temperature, riduzione di schiuma e cattivi odori: Frienn permette di ottenere fritti croccanti, asciutti e dal colore chiaro, rispondendo al meglio a tutte le esigenze della ristorazione di alta qualità. Nato da una formulazione specifica per tutti i tipi di frittura, non trasferisce né colore né sapore ai cibi. Con Frienn friggi a lungo e ottieni sempre risultati perfetti. www.olitalia.com


LETTERA APERTA Luigi Franchi

direttore responsabile

Le scuole alberghiere sono indispensabili

Stiamo finalmente uscendo dalla pandemia che ha tenuto in scacco tutto il mondo, mettendone a dura prova l’economia e, soprattutto, le relazioni sociali che, in questi ultimi mesi, si sono ulteriormente inasprite. Ci saranno strascichi di questo lungo periodo di cui non conosciamo la portata, non sappiamo nulla di quello che ha lasciato nelle menti, di come cambieranno modi e metodi di lavorare, studiare, vivere il tempo libero e le relazioni sociali. Non possiamo che sperare nell’intelligenza delle persone per cercare di disegnare un mondo nuovo. In questi anni, in modo particolare negli ultimi mesi, abbiamo assistito al generale fenomeno di migliaia di persone che hanno abbandonato il loro lavoro. Questo è avvenuto in diversi settori, quasi tutti connotati da un metodo di lavoro arcaico, faticoso, senza forte progettualità sul futuro. La ristorazione ne ha pagato, forse, le conseguenze più pesanti; nel momento in cui i ristoranti, i bar, le pizzerie hanno riaperto, con un folto numero di ospiti che frequentavano i locali (ricordate l’estate scorsa?), il servizio ha risentito della notevole carenza di personale. Ne abbiamo indagato più volte i motivi e, di certo, non era per colpa del reddito di cittadinanza ma per la consapevolezza che un lavoro come quello della ristorazione non è come lo si vede nei film e nei contest televisivi: è ancora un lavoro durissimo, con ore

che superano ogni logica nel terzo millennio, in molti casi con richieste assurde da parte della proprietà che esulano dalla componente per cui si era stati chiamati a svolgere quella mansione. Ancora una volta la risposta è stata quella tipica di chi non ha una visione moderna di impresa: ma cosa vogliono di più? Non vogliamo fare del sindacalismo, non è questo che ci interessa. Ci interessa fornire, dal nostro punto di vista, alcuni spunti di riflessione, a cominciare dalla scuola. È lì, negli istituti alberghieri, che si formano le persone che, domani, terranno in vita la ristorazione, un settore che, almeno nel nostro Paese, ha molto da dire e da dare: ad esempio, è uno dei principali motivi di scelta del turismo internazionale! Eppure gli istituti alberghieri sono considerati dalle famiglie come un rifugio peccatorum se i loro figli non hanno voglia di studiare; dai professionisti del settore, ovviamente non tutti, come scuole che non insegnano il mestiere e quindi controproducenti. Sicuramente va ripensata come modello ma resta l’unica scuola, per ora, che indirizza al mestiere di ristoratore, quindi ridisegnamone le competenze, favoriamo docenti e dirigenti che fanno del loro meglio per rendere i loro istituti dei modelli da seguire, facciamo ogni cosa possibile per farli uscire dal ghetto dell’istruzione e della società e, soprattutto, non mortifichiamone l’esistenza. Solo partendo da una scuola efficiente, moderna, ricca di prospettive (e l’alberghiero è un potenziale contenitore di prospettive di lavoro che vanno ben oltre la ristorazione o l’hotellerie, investendo larga parte della filiera agroalimentare) possiamo dar vita a un nuovo stile di ristorazione che significa ridurre gli orari facendo due brigate di lavoro, avere locali sempre in ordine perché non chiederemo più al cameriere di turno, quando finisce il servizio, di dare una pulita ai vetri del locale (visto con i miei occhi più di una volta), e infine vivere il lavoro con quella passione che porta dritto alle enormi soddisfazioni che può dare fare il bene degli altri.

luigifranchi@salaecucina.it | marzo 2022

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L’Italia nel piatto.

Ricetta di Fabio Potenzano

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EDITORIALE Benhur Tondini

presidente sala&cucina

I valori della ristorazione italiana “Le taverne, osterie, locande, trattorie, pizzerie, caffè, ristoranti, gestiti da imprenditori consapevoli sono o possono diventare delle vere e proprie ‘agenzie’ di tutela e valorizzazione del territorio. Imprese che con il lavoro e il loro impegno, possono contribuire a sostenere e promuovere le economie e le diversità culturali della propria regione. Questo è il cambiamento profondamente culturale a cui tutti siamo chiamati”. Questa citazione è uno dei passaggi fondamentali della Carta dei valori della ristorazione italiana presentata dalla FIPE nel novembre scorso, uno strumento che mette in luce, in maniera estremamente chiara, il ruolo che la ristorazione, tutta, ha nel vissuto del nostro Paese in questo momento storico. Per fare questo, per diventare agenzia di tutela e valorizzazione del territorio c’è bisogno, oggi più che mai che tutta l’intera filiera che ruota attorno alla ristorazione venga coinvolta in questo progetto culturale ed economico. Perché affermo questo? Per diversi motivi, il primo dei quali porta proprio il ruolo dei distributori nel food service a diventare, sempre di più, partner della ristorazione; a sviluppare un rapporto con il cliente ristoratore che vada ben oltre la semplice gestione di un ordine. Dietro a quell’ordine, infatti, ci sta un lavoro di selezione di piccoli produttori locali che, senza il coinvolgimento

del distributore, non riuscirebbero mai a fornire i loro prodotti a una rete diffusa di ristoranti. Così come per le grandi aziende dell’alimentare italiano che dovrebbero adottare strategie complesse e onerose per raggiungere la ristorazione, molto più parcellizzata del settore retail e GDO. Il distributore del food service aiuta quindi la ristorazione ad adottare prodotti che sostengono l’economia dei territori, ma anche a raccontarne il valore. Fare rete significa anche questo. I due anni trascorsi ne hanno evidenziato l’importanza; i distributori, da soli, non sono riusciti ad avere ascolto per le loro problematiche; i ristoratori, a parte ristori non adeguati e una distratta attenzione da parte della classe politica non hanno saputo affermarsi come categoria. Se, invece, avessimo creato le condizioni per parlare una sola lingua forse saremmo riusciti a far capire che questo è un settore fondamentale per la società. Andare al ristorante, infatti, non significa più solamente fare qualcosa nel tempo libero; significa dare risposte a bisogni concreti delle persone che lavorano e, molte volte, non hanno neppure il tempo di prepararsi una cena come si deve, ovvero con prodotti sani; significa avere luoghi di socialità diffusa, indispensabili in questo tempo incerto che ci siamo trovati addosso; vuol dire affidarsi a dei professionisti che sanno dare valore a ciò che mangiamo, contenendo gli sprechi. Sono solo alcuni esempi di cosa voglia dire fare ristorazione oggi in Italia e la necessità di creare rete tra i produttori, i distributori, i ristoratori, diventa fondamentale. Siamo in tempo a gettare le basi per un dialogo più costante. Sappiamo che non è facile condurre a sintesi settori che, fino a ieri, ragionavano solamente sul miglior prezzo da spuntare, ma se c’è la volontà di cambiare, o meglio la necessità di farlo, per competere tutti su un mercato globale e, nel contempo, diventare agenti culturali del territorio italiano, con tutte le sue peculiarità, il momento è questo. E la Carta dei valori della FIPE può rappresentare un’ottima base di partenza.

benhurtondini@salaecucina.it | marzo 2022

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PARLIAMO CON Parliamo con… Aurora e Massimo Mazzucchelli, titolari di Casa Mazzucchelli a Sasso Marconi (BO). Prima il loro ristorante si chiamava Marconi, aveva una stella Michelin, con Aurora in cucina, miglior chef donna per la guida Michelin 2019, e Massimo in sala, in qualità di sommelier e direttore di sala.

UN FORMAT UNICO E INNOVATIVO

Casa Mazzucchelli

Massimo Mazzucchelli

Aurora Mazzucchelli

Aurora e Massimo Mazzucchelli inventano un nuovo modo di fare ristorazione Autore: Luigi Franchi 10

www.casamazzucchelli.com | marzo 2022


Come si affronta il cambiamento? Aurora, Mascia e Massimo Mazzucchelli ci avranno pensato mille e mille volte, poi è arrivato il Covid che ha cambiato, all’unisono, la vita di milioni di persone. Ed è proprio nei momenti di crisi che la famiglia Mazzucchelli ha sempre trovato la determinazione per guardare avanti, come ci racconta Massimo: “Nel 1983 nostro padre venne a Sasso Marconi per aprire un classico ristorante di pesce che faceva 15.000 coperti all’anno. Un incendio lo distrusse e alla riapertura, con Aurora in cucina, cambiammo impostazione. Le nuove idee di Aurora, sostenute dai nostri genitori, diedero vita al Marconi, i coperti diventarono 4.000 ogni anno ma non importava. Ciò che contava era la soddisfazione di fare una cosa nuova, piena di stimoli, che ci portò la stella Michelin nel 2008, la premiazione di Aurora come Cuoca dell’anno 2012 per la guida di Identità, ancora Aurora come miglior che donna per la Michelin nel 2019. Ora la trasformazione dello stellato Marconi in Casa Mazzucchelli. Una scelta dettata solo dalla necessità di fare bene quello che siamo capaci di fare e che ci infonde nuova energia”. In molti, nei mesi scorsi, hanno definito Casa Mazzucchelli una pizzeria che può arrivare alla stella Michelin, ma credo che sia un’interpretazione sbagliata di un progetto che ha ben altri obiettivi. Innanzitutto ci piace sapere se questa scelta è stata condivisa da entrambi o se uno di voi ha primeggiato sull’altro? Aurora – “Rispondo subito alla domanda confermando che, da sempre in questi trent’anni di lavoro, io e mio fratello abbiamo condiviso ogni decisione, ogni scelta conseguente. Questa è arrivata dopo un percorso iniziato nel 2016, con l’apertura, adiacente al Marconi, di forno Mollica. Mollica lo abbiamo aperto con due motivazioni: la prima era la mia grande passione per i lievitati. Per le origini siciliane della nostra famiglia il pane è sempre stato un componente privilegiato della tavola e, partendo da lì, mi sono messa d’impegno per migliorarne la conoscenza, ho fatto corsi, ho fatto sbagli, ma ora posso dire che la gioia mattutina del profumo del mio pane è persino difficile da raccontare. Bisogna esserci, ogni mattina. La seconda motivazione arriva dalla necessità di avere un rapporto più diretto con questo territorio, con la vita del borgo, con le sue persone. Il ristorante era stato aperto da nostro padre a Sasso Marconi perché era un luogo ancora vergine sul piano ristorativo, lo aveva chiamato Marconi perché la prima sede era vicina al mausoleo dedicato a Guglielmo Marconi, ma non è mai stato integrato con il territorio. La gente veniva, anche numerosissima, ma erano prevalentemente turisti o, con la mia cucina, dei gourmet che girano per ristoranti”. Massimo – “La passione di Aurora per i lievitati che, dal 2016, la porta a svegliarsi ogni giorno all’alba per fare il pane e poi in cucina, è la chiave di lettura del progetto di Casa Mazzucchelli. Gli anni del Covid ci hanno permesso di guardarci dentro, di ragionare sul cambiamento, sulla necessità, che avvertivamo, di rinnovarci con le nostre competenze. La voglia di sperimentare un nuovo modello di cucina, di andare oltre, ci ha portato a questo nuovo | marzo 2022

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progetto. Lo abbiamo comunicato alle guide, alla Michelin che stava andando in stampa e ci hanno ringraziato per l’attenzione, altrimenti sarebbe uscita una guida con la stella al Marconi. Invece ora ci chiamiamo Casa Mazzucchelli, non abbiamo la stella ma un nuovo progetto di cucina che vogliamo perseguire con la passione di sempre, Quindi, per tornare alla tua domanda, non siamo una pizzeria gourmet, non pensiamo alla stella Michelin come obiettivo principale, vogliamo semplicemente dare nuova vita a un luogo dove le persone possano solo star bene con i nostri piatti e la nostra ospitalità. Non è casuale che nel nome ci sia la parola casa”. La vostra, per ora, è un’idea unica: l’alta cucina sui lievitati. Non è facile comunicarla, infatti solo venendo qui si trova una risposta precisa… Massimo - “Aurora si chiede sempre se la strada che sta percorrendo sia quella giusta. Se lo chiede da quando la conosco e, in questo modo, non sta mai ferma, sempre alla ricerca di un continuo miglioramento e anche questo nuovo progetto rientra nel suo, nel nostro, modo di intendere questa professione. Le persone, gli ospiti del Marconi non ci chiedevano di cambiare. È stata una nostra decisione e chi ha provato ne è entusiasta. Meno orpelli, un maggior piacere nello stare seduti in una sala più essenziale ma ugualmente bella, piatti originali abbinati a vini altrettanto originali. Siamo convinti di aver fatto la scelta giusta: di 12

aver dato inizio a un concetto di ospitalità e cibo che ci rappresenta meglio”. Cosa vi soddisfa di questo nuovo progetto e cosa vi manca di prima? Massimo – “Di prima non ci manca nulla perché l’attenzione e la dedizione sono le stesse di sempre. Ci soddisfa, e molto, vedere le persone che, nelle ore passate a Casa Mazzucchelli, sono stupite e felici. Una felicità diversa rispetto a prima, più serena, meno formale, più vera. La frase ricorrente è: non avevamo dubbi che avreste fatto qualcosa di così bello e buono”. Aurora – “All’inizio ho avuto il timore che non ritrovassero più la mia identità di chef. Invece questa è un’esperienza che fa emergere ancora di più la mia mano, infatti sto creando nuove ricette e portando quelle mie storiche in una diversa dimensione, più difficile dal punto di vista tecnico perché c’è un ingrediente sempre presente, il lievitato, che fa gestito con cura, dando vita a un equilibrio di sapori che è completamente nuovo. Oltre a questo c’è un altro aspetto che sto studiando con attenzione: l’estetica del piatto. Una ricetta che si appoggia su una fetta di pane ha una complessità dal punto di vista visivo che sto cercando di migliorare ogni giorno”. E la vostra qualità di vita è cambiata? Aurora – “Sono aumentate le ore dedicate al lavoro, facendo il pane ogni mattina non più e solo per il ri| marzo 2022


storante, ma il piacere di sentirsi integrati con il territorio fa superare ogni fatica. Il lievitato è uno studio costante e continuo che porta via energia ma diverte tanto”. Massimo – “Per me non è cambiato molto rispetto a prima se non per un rinnovato entusiasmo. Ho capito quanto la scoperta del nuovo sia una motivazione molto forte, ogni giorno”. Cosa significa il pane per Aurora? Aurora – “Significa vita. La passione per il morso, la masticazione, il crunch sono elementi fondamentali nel mangiare. E mangiare, al di là dell’esperienza di una buona cucina, significa vivere. Mangiare bene significa vivere bene e a lungo. Una responsabilità che ci appartiene come cuochi. Forse difficile da spiegare ma semplice da vivere. La panificazione ti permette, inoltre, di entrare nelle cose, ti stimola nuove idee ogni volta, ti porta a sperimentare, a provare, a tenere viva la mente. L’emozione è quella di addentrarsi in un mondo parzialmente nuovo. In questi mesi sto vivendo un forte desiderio di futuro, con tante incognite che stimolano ad andare avanti”. Massimo, qual è il tuo pensiero, oggi, rispetto al vino? Massimo - “Nella cantina di Casa Mazzucchelli riposano 5.000 bottiglie per circa 600 etichette. Un patrimonio che ho creato anno dopo anno e che si rinnova costantemente grazie al rapporto diretto con i produttori e ascoltando gli ospiti del ristorante. C’è infatti più conoscenza da parte dell’ospite, in questi anni si è elevata e non bisogna stupirsi quando ti portano una bottiglia che hanno trovato nel loro viaggiare. Oggi c’è molta più libertà di bevuta ma anche una diversa visione del vino rispetto al cibo. Mangiare è un atto quotidiano obbligatorio e, come tale, un gesto acquisito.

Da sinistra Mascia, Massimo e Aurora Mazzucchelli

Nel vino, invece, come per la cultura, devi acquisire conoscenza, deve diventare una passione che ti porta ad applicarti per capire di più. E questo non è mai un compito facile, ma è molto bello quando scopri di potercela fare, ti si apre un mondo senza fine. La nostra cantina è pensata per questo, per dare emozione, ed è fatta per portare, anche con una bottiglia di vino, identità in sala perché questo è il compito dell’oste: farsi ricordare per i gesti, le parole e quello che ci ha proposto di bere. L’abbinamento con la nuova cucina di Aurora è facile per la grande varietà di proposte che abbiamo”. Quali sono gli ospiti di Casa Mazzucchelli? Massimo - “I nostri clienti di sempre non ci hanno abbandonato ma abbiamo anche ospiti che prima non venivano e che ci hanno scelto per una cucina più disinvolta, per qualche bottiglia importante e alcune piccole rarità, perché qui il cibo e il vino sono ingredienti sani”. Aurora – “L’ospite di questo nuovo corso svolge un ruolo fondamentale. Se ne va sempre entusiasta. Lo vedi da come approcciano al menu, all’inizio con un po’ di dubbio, una volta assaggiato il primo spicchio si lasciano coinvolgere dal gioco dei sapori e ne diventano i principali testimonial”. Come chiamare Casa Mazzucchelli? Concept restaurant, pizza con cucina, alta cucina e arte bianca, cucina e lievitati? La definizione è probabilmente ancora da inventare ma il luogo fisico c’è e vale davvero il viaggio.



VENDI CON SUCCESSO Lorenzo Dornetti ceo Neurovendita

5 è il numero perfetto del menù Il menù, ormai diventato protagonista assoluto anche online, sappiamo bene che ricopre un ruolo centrale nella costruzione dell’esperienza del cliente. Ha un impatto comunicativo, ovvero presenta al cliente l’identità del locale e dell’offerta. È persuasivo, nel senso che può influenzare la scelta dei piatti. Ha una ricaduta organizzativa, il numero di proposte impatta sulla velocità e la qualità dell’offerta. Ma quanto deve essere lungo il menù? Fuori dalle mode e dalle strategie, esiste una lunghezza ideale? Quante opzioni devo inserire nella categoria antipasti? Quanti dolci è meglio proporre prima del caffè? Le neuroscienze hanno dimostrato che il cervello può elaborare, quando sta prendendo una decisione, 7 più o meno 2 opzioni. Il cervello umano riesce a valutare un numero di opportunità non superiore a 9. È il numero di Miller. Qualcuno lo chiama ‘Magic Number’. Quando il cliente si trova a decidere tra dieci antipasti, il cervello va in sovraccarico. È richiesto un lavoro extra alle cortecce e questo genera un senso di affaticamento. L’articolo uscito nel 2000 di Lepper aveva questo titolo: ‘When choice is demotivating’. Tradotto: ‘Quando la scelta è demotivante’. Il numero di Miller fornisce un range ampio, tra 5 e 9. Meglio proporre 5 alternative o 9 alternative? Oggi la tecnologia ci permette di essere estremamente accurati nel rispondere a questa domanda. La risposta è nel TAR. Si tratta di un indi-

ce che rielabora l’attività elettrica del nostro cervello a partire dall’elettroencefalogramma. Il TAR (Theta Alpha Ratio) è il rapporto tra onde theta (attività elettrica dell’area frontale) e le onde alpha (attività elettrica dell’area parietale). L’aumento di questo indice è collegato all’aumento del carico cognitivo. In pratica la rielaborazione dell’elettroencefalogramma ci dice che più questo TAR cresce, più il nostro cervello sta facendo fatica per scegliere tra più opzioni disponibili. Nel Brain Fitness Lab di NEUROVENDITA abbiamo studiato l’attività elettrica di soggetti di fronte a diversi menù con diverse lunghezze. L’obbiettivo era capire se il numero di Miller, che indicava una forbice, andava considerato nella parte alta o bassa. Meglio avvicinarsi quindi a 5 o a 9? Cosa abbiamo scoperto? Meglio porsi nella parte bassa, non superando le 6 proposte per ogni categoria. Si osserva che su 5/6 proposte, il cliente ne esclude subito 3. Il 50%. Cosa succede all’indice di carico cognitivo a questo punto? Se resta in dubbio tra 2/3 opzioni l’attività elettrica cresce ma è compatibile con una scelta serena. Portare il cliente a scegliere tra più opzioni, accresce il carico cognitivo, generando malessere. Il risultato è che il cliente consuma meno. Vive un’esperienza meno piacevole. Sviluppa un ricordo negativo. Quindi per chi ha menù lunghi il consiglio è di arrivare a 5 proposte per categoria. 5 antipasti, 5 primi, 5 secondi, 5 dolci. Il top per il cervello del cliente! Un consiglio targato NEUROVENDITA: prendere in mano le ‘forbici’ per tagliare le proposte del menù. Il cervello dei vostri clienti ringrazierà!

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L’OLIO AL CENTRO Luigi Caricato oleologo

Più che l’etichetta può l’assaggio Leggere l’etichetta di un olio extra vergine di oliva, nell’atto di compiere una scelta quando lo si acquista, è importante e necessario, certo, ma, soprattutto, ben più fondamentale è imparare ad annusare e degustare gli oli, scoprendone le peculiarità e bontà. Sarebbe in realtà consigliabile provare più oli, prima di procedere con l’acquisto. E sarebbe pure consigliabile prendere in esame più tipologie di oli (in funzione dell’intensità delle note fruttate, o in funzione degli impieghi, se destinati in cottura, frittura, o a crudo). L’etichetta serve per tutelare l’acquirente circa la veridicità di quanto riportato dalle aziende olearie rispetto al contenuto presente nel contenitore; tuttavia, la vera lettura critica di un prodotto, e dunque la sua interpretazione può avvenire solo attraverso l’assaggio. Non date retta a coloro che vi parlano dell’etichetta come fosse la verità incarnata, la voce del verbo, la verità. No, l’etichetta è solo uno strumento giuridico utile per individuare la categoria merceologica di appartenenza, nel caso specifico se si tratta di olio extra vergine di oliva. Ci aiuta a capire la provenienza, se 100% italiano o di altra origine, se Dop o Igp, se da agricoltura biologica o convenzionale, eccetera eccetera. Sono inoltre riportate le indicazioni del volume (la quantità netta), se litro o mezzo litro o altro. Vi sono informazioni nutrizionali (che nessuno però legge), indicazioni ambientali (dove

si chiarisce che la bottiglia in vetro va smaltita nel vetro, etc.). Insomma, in etichetta c’è quanto è giusto che vi sia, tra indicazioni obbligatorie e facoltative. Per esempio - importante - il riferimento all’azienda, per sapere da chi e dove l’olio sia stato prodotto e\o confezionato, con tanto di ragione sociale e sede dell’impresa; il numero di lotto di confezionamento, che in caso di problemi sul prodotto è utile per risalire al lotto in questione, per le opportune verifiche. C’è inoltre il termine minimo di conservazione (ricordando tuttavia che non esiste una scadenza, ma vale la formula “Da consumarsi preferibilmente entro…”). Quanto alla conservazione, si trovano i soliti consigli, ma che in pochi purtroppo seguono: conservare lontano da fonti di calore e luce, non lasciare la bottiglia aperta…). Poi ci sono le indicazioni obbligatorie ma superflue (inutili): per gli extra vergini, si deve integrare con il seguente testo: “Olio di oliva di categoria superiore ottenuto direttamente dalle olive e unicamente mediante procedimenti meccanici” (quanto spreco di avverbi!). Insomma, l’etichetta ci apre lo sguardo ma da sola non serve per effettuare l’acquisto giusto. Occorre imparare a prendere confidenza con l’olio. Il mio consiglio è di frequentare un corso di assaggio e di presenziare alle varie sedute di assaggio utili per prendere sempre maggiore confidenza. Lo si fa con i vini, i cui corsi e le occasioni di assaggi guidati sono così frequenti, perché allora non farlo con gli oli? Servirebbe per migliorare la qualità e anche la convenienza in termini di risparmio una volta acquisita la capacità di individuare il miglior rapporto qualità/prezzo/rendimento. Il significato del rapporto qualità/prezzo è comprensibile a tutti, ormai, ma la voce ‘rendimento’ è la meno compresa, ma significa semplicemente questo: che pur con un prezzo in apparenza più elevato, un olio di alta qualità garantisce sia delle ottime performance, a vantaggio delle varie preparazioni cui si sta lavorando, sia il ricorso a quantità nettamente inferiori da utilizzare, per via dell’alto effetto condente, ma su quest’ultimo aspetto ritorneremo più avanti.

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LAVOROTURISMO.IT Oscar Galeazzi

amministratore Lavoroturismo.it

Un minuto per creare il CV. Un’ora per trovare lavoro. Una vita per pentirti.

Sempre più siti, società e consulenti propongono servizi adeguandosi al trend del FACILE, RAPIDO, IMMEDIATO; anche quando questo riguarda scelte di vita importanti come un lavoro. Scrivere poco, leggere poco e click immediati; non pensare, non riflettere… azione, azione, azione. Poco tempo fa, un sito di ricerca di lavoro si vantava di questo: ti registri in un minuto, trovi lavoro in un’ora. Ma perché? Perché devi dedicare solo 60 minuti per un’attività alla quale dedicherai gran parte della tua giornata? Non puoi fermarti a pensare e riflettere, elaborare, costruirti un progetto…? In LavoroTurismo combattiamo da 20 anni questo pensiero e questo modo di operare. Spesso risultiamo antipatici, perché obblighiamo gli iscritti a inserire il CV all’interno del sito, con tutti i dati nei relativi campi; questo richiede tempo, impegno, riflessione, elaborazione…, concetti che appaiono superati. Altri siti – anche ben più importanti di LavoroTurismo – condividono la nostra politica, seppur nel contesto rappresentino comunque una minoranza. “Perché devo perdere il mio tempo nell’inserire i dati nel sito, se ho un CV già pronto che posso allegare in pochi secondi?” L’inserimento del CV nel sito - e non allegato – ha moltissimi vantaggi, sia per le persone, sia per le aziende che vedono tutti CV uguali, con informazioni nello stesso posto, con dati confrontabili, sia per

le persone: CV che aggiorni in 30 secondi, CV professionale scaricabile che puoi anche inviare ad aziende esterne al sito, servizi aggiuntivi per evidenziare il tuo profilo ecc. Tante persone dedicano ore per guardare la TV o utilizzare i social, ma guai a chiedere loro di dedicare 60 minuti per fare un CV eccellente e dettagliato! La ricerca di un lavoro, in particolare di un nuovo lavoro, è una decisione che richiede riflessione, valutazione del proprio futuro, del proprio percorso professionale. Spesso solo a distanza di anni riusciamo a percepire l’influenza – positiva o negativa – che ha avuto nella propria vita un’esperienza di lavoro, in termini professionali ma anche personali e psicologici. Nella dolorosa scelta di abbandonare la propria professione, una parte significativa delle cause deriva da scelte professionali sbagliate, in primis le esperienze di lavoro. Cambiare settore professionale a volte è una liberazione, ma è anche una sconfitta, il risultato di una serie di azioni legate a formazione ed esperienze lavorative. È un danno oltre che per la persona stessa, per la società, come anche per il settore. Un professionista che a 40-50 anni cambia settore, difficilmente torna nel settore di provenienza. Mentre gran parte delle persone sottovalutano il valore delle esperienze professionali e dell’utilizzo ottimale degli strumenti per cercare lavoro, dall’altra parte prosperano: - consulenti che insegnano a usare Linkedin per sfruttarlo al meglio, un’attività che richiede molte ore di attività; - servizi a pagamento per la realizzazione dei CV (su LavoroTurismo il servizio è gratuito); - coach e psicologi del lavoro che insegnano a individuare, far crescere e valorizzare il proprio potenziale professionale. Mentre la maggioranza delle persone non fa nulla, c’è una minoranza che ha capito il valore di certe azioni e di determinati comportamenti. In LavoroTurismo lavoriamo affinché quella piccola percentuale, aumenti sempre più. | marzo 2022

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FARE RISTORAZIONE Autrice: Giulia Zampieri

Sto sfogliando le pagine di un libro edito da Rizzoli nel 1982, A tavola al San Domenico. Si parla naturalmente di lui, il San Domenico di Imola, un ristorante che non ha bisogno di presentazioni. Lì, dove ancora oggi brillano due stelle Michelin, si è scritta la prefazione della cucina italiana e, per quanto già sia stato raccontato, ci sarebbero sempre parole nuove da spendere per elogiare questo inenarrabile palcoscenico di vite e buona cucina. Il libro porta la firma di Gianluigi Morini, rivoluzionario fondatore, lungimirante sognatore, amante del bello e del buono; mentre l’altra metà della pubblicazione accoglie, suddivise per stagioni, le ricette di Valentino Marcattilii, chef per una vita al San Domenico. Inizia proprio dalle parole di Valentino la nostra piccola indagine per definire alcuni tratti indispensabili per essere chef. La sua è una figura di riferimento per il panorama della ristorazione italiana, in Italia e nel mondo. Ha firmato piatti iconici, formato giovani, e trasferito con intelligenza a chi ora ha preso il suo posto, il nipote Massimiliano Mascia.

Valentino Marcattilii La storia di Valentino Marcattilii è talmente densa che porgli delle domande dirette, circoscritte, è perdersi metà del racconto. Bisogna lasciarlo andare. In cucina ci è finito per caso, complice il desiderio di lavorare con il fratello Natale, da poco assunto in sala al San Domenico - un luogo che ancora non aveva un’identità ma prometteva bene - e complice pure la volontà di andare oltre il lavoro nel bar della piazza, forse non abbastanza per uno che dentro covava tanta determinazione e voglia di mettersi in gioco. E dunque, il 18 Luglio 1972, inizia una storia straordinaria. Negli occhi di Valentino si legge ancora la luce di quel primo ingresso in cucina e degli anni a venire, ricchi di incertezza ma segnati da tanta caparbietà e da momenti indimenticabili. “Non sapevo nulla di cucina, eppure facevo. Ascoltavo lo chef dell’epoca, Romani Visani, e cercavo di stargli dietro imparando in fretta. Ero l’apprendista di cucina. Questo mestiere era tutt’altra cosa, c’era molto rigore, non aveva il fascino di oggi” dice. Dopo qualche anno è giunto il Maestro Nino Bergese, il re dei Cuochi, o il cuoco dei re, com’era definito da molti, convocato da Morini per scrivere un capitolo nuovo del ristorante, poi dilatatosi nel tempo, fatto di innovazioni, basi francesi e di tanta tecnica. Arrivava dalle cucine dei nobili italiani. “La curiosità di apprendere le preparazioni da Bergese era così forte che non vedevo l’ora finisse il servizio per iniziare a provare il pan di Spagna, o le altre ricette che, all’epoca, mi sembravano un sogno. Qui fino al suo arrivo si facevano tortelli alla salvia e fesa di vitello, piatti semplici, che avevamo imparato. Volevo provare, capire dove potevamo arrivare. Ho sentito un autentico

Quali elementi definiscono la figura dello chef?

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Valentino Marcattilii

trasporto per questo mestiere, un senso di attaccamento vero”. L’interesse, l’entusiasmo per il nuovo, elementi importanti, ma non gli unici che servono per essere chef. Valentino continua. “Bergese mi ha insegnato cos’è la tranquillità in cucina, un atteggiamento fondamentale, che ho cercato di trasferire a mia volta. Le ore di lavoro sono tante, i picchi di stress sono frequenti, bisogna saperli gestire. Con il tempo ho imparato anche ad allargare la mente, a far entrare tutto ciò che incontravo, in particolare nell’esperienza del San Domenico a New York, che mi ha affacciato al mondo. Ho cucinato per attori, personaggi illustri, ma non ho mai perso la dedizione per la casacca e per il locale. Quand’ero qui a Imola volevo essere sempre il primo ad aprire”. Oltre all’emozione e all’impegno, di Valentino stupisce la memoria: gli episodi, gli aneddoti, i piatti proposti, i menu, ogni cosa è impressa nel dettaglio nella sua mente. “E sarebbe un guaio se non fosse così! Sono momenti che ho vissuto con molta intensità, non po-

Gianfranco Pascucci

trei dimenticarli. Quel mattino di metà luglio non lo avrei mai immaginato, ma questo, che sembrava un lavoro come un altro, è diventato la mia vita”.

Gianfranco Pascucci “A volte mi domando: sarei ugualmente felice se esercitassi la mia professione altrove?”. Il quesito che si pone Gianfranco Pascucci, patron e chef del ristorante Da Pascucci al Porticciolo, a Fiumicino, s’insidia in chiunque abbia a cuore il proprio lavoro e ricerchi nei progetti personali il senso dell’investimento. Per Pascucci l’altrove sarebbe lontano dal suo locale, dove da autodidatta si è formato e affermato con una delle più solide proposte di pesce della costa tirrenica. Altrove sarebbe in un posto non costruito secondo le proprie idee e il proprio gusto, ma secondo le direttive di qualcun’altro. Un luogo in cui magari non si lavorano i migliori pesci del mercato, o non si fa un lavoro di valorizzazione delle aree limitrofe come invece avviene, con massima dedizione, al Porticciolo, per esempio per nobilitare le risorse dell’oasi del WWF di Macchiagrande.


“La risposta è… no, probabilmente non sarei ugualmente felice. Essere chef nel proprio ristorante genera, almeno per me, una sensazione di ricchezza davvero prepotente. Non è una questione di poter impartire ordini o di prendere decisioni sugli altri. Queste penso, mi auguro, siano attitudini di supremazia in via di estinzione. Mi sento ricco nel poter scegliere ottimi ingredienti per la mia cucina, di poterli trasformare come meglio credo; di orientare lo stile e gli abbinamenti attingendo dalle esperienze che faccio. Penso che uno chef debba avere, tra le doti, una grande propensione ad esprimersi. Deve riuscire a veicolare agli altri un pensiero attraverso scelte e preparazioni, siano esse semplici o complesse. Per questo mi ritengo fortunato: qui posso esprimermi!”. Per Gianfranco la capacità espressiva non è, ovviamente, l’unico tassello che serve a chiunque voglia affrontare questo lavoro. “La passione, checché se ne dica, non può mancare. Questa è una professione che richiede passione sia per essere mantenuta, sia per essere coltivata. Avere il fuoco dentro, la fiamma viva, aiuta a superare i ritmi duri,

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ma anche spinge a cercare nuove risorse per la cucina, a studiare le tecniche di ultima generazione, a confrontarti con i colleghi. La curiosità verso il mondo non può essere legata solo alla cucina e agli ambienti del ristorante: bisogna essere aperti, attenti alle sensibilità, alle culture che corrono. Se non si tiene conto di questi aspetti mancherà qualcosa nei piatti, nel modo di accogliere, di raccontare. La cucina di un ristorante non è il luogo in cui si soddisfano meri bisogni nutrizionali, ma in cui convergono tantissimi fattori sociali, uno chef oggi deve avere sete di conoscenza. Da unire alla motivazione, alla tecnica, alla propria identità.”.

Marco Caputi Ha trentadue anni e da sette lavora al Maeba Restaurant, ad Ariano Irpino (AV) un ristorante costruito in un vecchio frantoio del 700. Marco Caputi, diplomato all’istituto alberghiero, si è formato sul campo attraversando svariate cucine, ma una l’ha segnato: Casa del Nonno 13, a Sant’Eustachio, in provincia di Salerno. “Lì ho capito cosa significa amare questo lavoro: essere attenti al cliente, ben organizzati, avere una certa solidità di pensiero, scegliere con coerenza i prodotti che intendi preparare e valorizzare. Non elevo questa esperienza rispetto alle altre, credo che tutto aiuti a fare le ossa, ma sicuramente se incontri le persone giuste, il locale d’esempio, ti arricchisci molto. Per diventare chef occorre però una buona predisposizione ad accogliere, altrimenti può piombarti addosso anche il ristorante migliore del mondo ma non riesci a cambiare marcia”. È curioso chiedergli quando e perché ha deciso di intraprendere la strada da solista. “Se hai voglia, se senti di poter costruire un tuo progetto, quello è il momento giusto. Non sei più un cuoco in quel momento, vuoi assumerti più responsabilità. Così è stato anche per me quando ho deciso di sposare il progetto Maeba. La parte tecnica e quella esecutiva sono rimaste, ma si sono aggiunti molti altri requisiti, come la capacità gestionale, la misura, il coraggio di far uscire la propria identità in un ristorante in cui la tua cucina è protagonista ma deve essere complementare alla sala. Quando diventi chef passi dal replicare un piatto a scriverlo di tuo pugno. Sono entrambi operazioni complesse, se non si ha esperienza e talento non si ha il risultato, ma nel secondo caso bisogna avere anche qualcosa da dire!” Marco non si è fermato, consapevole che la personalità di uno chef debba essere sempre alimentata da nuove esperienze. “Da Alessandro Gilmozzi, a El Molin di Cavalese, dove sono andato qualche mese per uno stage. Ho imparato davvero tanto. Quando, da chef, decidi di trascorrere del tempo in un’altra cucina non ci vai cer-

to per soffiare le ricette, ma per trarre spunti, capire le modalità, la gestione dei flussi. Ho apprezzato tantissimo lo chef Alessandro che mi ha trattato esattamente come fossi uno dei suoi ragazzi. In quei giorni ricoprendo una carica inferiore a quella a cui ero abituato nel mio ristorante non ho fatto passi indietro, ma dieci in avanti!”

“Non è soltanto l’esaurirsi della prima introvabile edizione del 1982 che mi spinge a riproporre una nuova versione di questo libro, ma anche il desiderio di offrire a chi si sveglia la mattina folgorato dalla strada della “padella facile” la testimonianza di quanto valgano lo studio, la fatica, la volontà per gratificare sé stessi e far felici gli altri, misurandosi con l’utopia e credendo nella sua fertilità”. Scriveva così Gianluigi Morini in una successiva edizione del libro A tavola al San Domenico. Un pensiero che, unito alle esperienze sopracitate, aiuta a definire oneri, onori e valori della figura dello chef.

Marco Caputi

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EVENTI

HoReCoast 2022,

dal 16 al 18 marzo a Paestum La fiera evento dedicata al mondo Ho.Re.Ca. torna in presenza Autore: Giudo Parri

L’appuntamento professionale dedicato agli operatori dei mondi food e Ho.Re.Ca. ritorna in presenza. Il 16, 17 e 18 marzo 2022 all’Hotel Ariston di Capaccio Paestum (Sa). Durante la fiera evento HoReCoast saranno svelati trend e tecniche post Covid per affrontare efficacemente i rinnovati mondi della ristorazione, dell’ospitalità e dell’accoglienza. Dopo la digital edition 2021, nella tre giorni di marzo 2022 HoReCoast tornerà, dunque, nella sua forma ufficiale. Workshop, seminari, conferenze, convegni, show cooking, cooking match, laboratori dedicati ai mondi dell’arte bianca, del food, della prima colazione, della pasticceria, della pizza, del mixology, aree espo-

Hotel Ariston di Capaccio Paestum, sede di HoReCoast 2022

sitive e tanto altro ancora caratterizzeranno l’VIII° edizione della fiera evento più attesa nel sud Italia dai professionisti del settore. Saranno giornate intense e ricche di appuntamenti, dunque. Ma, soprattutto, sarà un’occasione per presentare alla platea di professionisti e operatori Ho.Re. Ca. soluzioni innovative per rispondere in maniera efficiente e adeguata ai rinnovati mondi food ed Ho.Re.Ca. in generale.

Cos’è HoReCoast? HoReCoast è la business community rivolta ai professionisti e agli operatori del mondo Ho.Re.Ca., organizzata dal Consorzio HoReCoast, costituito dalle aziende


Lamberti Food, De Luca attrezzature per la ristorazione e MTN Company. “Il Consorzio HoReCoast - spiega il Presidente Carlo De Luca - nasce dalla volontà di amici imprenditori che hanno deciso di unire le forze per proporre soluzioni e idee innovative nell’ambito del food e del mondo Ho.Re.Ca. Con la propria esperienza e competenza nei settori delle attrezzature per la ristorazione e del food, del catering e dell’accoglienza, ogni anno organizziamo la fiera evento HoReCoast, un vero e proprio momento d’incontro e di confronto tra operatori e professionisti della categoria”. La fiera evento ha fin qui vissuto già sette edizioni, e sin dal 2014 si pone come progetto itinerante, nel senso che ogni anno approda in nuovi territori ponendosi come luogo d’incontro tra tutti gli operatori della filiera. Per l’VIII° edizione la location scelta è Paestum: sito archeologico di estrema importanza riconosciuto dall’Unesco Patrimonio dell’Umanità, nonché terra di rilevanti eccellenze gastronomiche. La location individuata è l’intero Centro Congressi dell’Hotel Ariston, sito in via Laura 13 - Capaccio Paestum (Sa).

Le novità 2022 Nell’edizione del prossimo marzo HoReCoast triplicherà. Diversamente dal format tradizionale, per la sua VIII° edizione la fiera evento si estenderà su tre giornate, non più solo due. Nello specifico la giorna-

ta del 18 marzo, ribattezzata HoReCoast Student, sarà dedicata agli studenti delle classi V degli Istituti Alberghieri del Centro Sud Italia. Dalle 10.00 alle 13.00, presso la Sala Teatro dell’Hotel Ariston, i professionisti Ho.Re.Ca. del futuro si confronteranno con esperti del settore, chef e maestri pasticceri sui segreti della loro futura professione per ricevere suggerimenti, indicazioni e orientamenti utili per affrontare con sagacia il mestiere che li accompagnerà nel percorso di vita umana e professionale. Sono attesi all’Hotel Ariston di Paestum (Sa) Sal De Riso (per il mondo pasticceria), Luigi Vitiello (Presidente Unione Regionale Cuochi Campania), Alfredo Folliero (per il mondo pizza), Angelo Donnaiola (per il mondo mixology), Benhur Tondini (Presidente Sala&Cucina) e tanti altri ospiti. Le giornate del 16 e 17 marzo, invece, saranno caratterizzate da spazi espositivi, dove aziende del food e della ristorazione (e anche altre di servizi affini al mondo Ho.Re.Ca.) presenteranno i propri prodotti e le proprie attrezzature, laboratori di food, di pizza, formaggi, vino e salumi. Ed ancora mixology lab e speech dedicati al mondo della prima colazione e dell’accoglienza turistica oltre che convegni. Tutti i dettagli, le novità e gli approfondimenti sulla fiera evento promossa dal Consorzio HoReCoast possono essere consultati sul sito web www.horecoast.it.

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Sal De Riso

Ad HoReCoast gli chef della FIC si sfidano nel Concorso Nazionale di Cucina Quest’anno a HoReCoast il cooking match a cura dell’Unione Regionale Cuochi della Campania (URCC), presieduta dal prof. Luigi Vitiello, in collaborazione con la Federazione Italiana Cuochi (FIC) e l’Associazione Cuochi Salernitani, guidata dal prof. Luigi Di Ruocco, assume un carattere nazionale. Dopo la felice esperienza dell’ultima edizione vissuta in presenza (nel 2019 all’Hotel Pietra di Luna a Maiori - Sa), che vide l’apertura agli chef iscritti alla FIC di tutte le regioni del centro-sud Italia, giovedì 17 marzo 2022 il cooking match “V° Trofeo HoReCoast” diventerà un Concorso Nazionale di Cucina. Per la prima volta, dunque, parteciperanno alla gara chef e commis di cucina iscritti alla Federazione Italiana Cuochi di tutta Italia. Intitolato “L’uomo è ciò che mangia, mangiare è una necessità, cucinare intelligentemente è un’arte… solo chi ama il cibo non lo spreca…”, il Concorso Nazionale di Cucina è finalizzato a creare momenti di confronto, di crescita e a stimolare la creatività dei cuochi e dei giovani che si approcciano al mondo della cucina. «Nello specifico - spiega Luigi Vitiello, Presidente dell’Unione Regionale Cuochi della Campania - si vuole sensibilizzare e attenzionare la categoria alle 26

nuove sollecitazioni. È il momento di voltare pagina e d’imparare a mangiare e cucinare in un modo nuovo, che coniughi le più recenti scoperte scientifiche e un minore consumo di risorse naturali con maggiori benefici per salute, ambiente e risparmio, progetti di sostenibilità, chef impegnati nel recupero di tradizioni e nel rispetto delle popolazioni locali, agricoltori, imprenditori, ricercatori e scienziati». Il Concorso Nazionale di Cucina si svolgerà giovedì 17 marzo 2022, a partire dalle ore 9.00 con cerimonia di premiazione in programma alle ore 17.30. La giuria, che valuterà i piatti in base a difficoltà di preparazione e pulizia, presentazione e sapore, decreterà dunque i primi tre classificati, ai quali andranno trofei artistici e buoni spesa per l’acquisto di attrezzature professionali. Alla giuria sarà, inoltre, demandato il compito di assegnare il IV Trofeo “Don Lorenzo Perrino” (che verrà conferito allo chef maggiormente distintosi per impegno professionale) e – novità di quest’anno – il Trofeo | marzo 2022


“Chef Giancarlo Erba” (che verrà assegnato allo chef che si sarà distinto per il rispetto totale della tematica “L’uomo è ciò che mangia, mangiare è una necessità, cucinare intelligentemente è un’arte… solo chi ama il cibo non lo spreca…”).

Trofeo miglior allievo Istituti Alberghieri della Campania e Trofeo miglior professionista Lady Chef Altre importantissime di novità di HoReCoast 2022 saranno il Trofeo miglior allievo Istituti Alberghieri della Campania, competizione destinata agli Istituti Professionali per i Servizi di Ospitalità Alberghiera della Campania, e il Trofeo miglior professionista Lady Chef, rivolto alle chef professioniste aderenti all’Unione Regionale Cuochi della Campania. Promosse dall’Unione Regionale Cuochi della Campania, presieduta dallo chef Luigi Vitiello, in collaborazione con la Federazione Italiana Cuochi, queste competizioni (che si svolgeranno in parallelo) vedranno la mattina del 16 marzo gli allievi degli Istituti Alberghieri regionali e le chef aderenti all’U.R.C.C. lavorare in cucina per la preparazione dei piatti, che saranno poi presentati e valutati dalla giuria nel pomeriggio, fino a decretare i vincitori ufficiali delle rispettive gare. Per quanto riguarda il Trofeo miglior allievo Istituti Alberghieri della Campania il primo classificato accederà alla Fase Nazionale, andando a sfidare i colle-

ghi provenienti dalle altre regioni d’Italia.

I convegni di Horecoast Tutti gli operatori dei settori ospitalità e ristorazione sono quindi chiamati a ripensare le proprie modalità di lavoro e ad HoReCoast, mediante anche i tanti momenti convegnistici collaterali alla fiera (moderati da Luigi Franchi, direttore di sala&cucina, e tutti in calendario nella Sala Teatro dell’Hotel Ariston di Paestum), verranno forniti consigli, suggerimenti e indicazioni su come prepararsi al meglio al futuro che ci aspetta. Un primo momento di confronto si terrà mercoledì 16 marzo 2022 a partire dalle ore 9.30. Saranno presenti il sindaco di Capaccio Paestum Franco Alfieri, la responsabile dell’ufficio stampa del Parco Archeologico di Paestum e Velia Rossella Tedesco, il presidente del Consorzio HoReCoast Carlo De Luca, l’amministratore di Lamberti Food Vincenzo Lamberti, il responsabile della divisione attrezzature di De Luca attrezzature per la ristorazione Pietro De Luca, il CEO di MTN Company Carmine D’Alessio, il presidente dell’Unione Regionale Cuochi della Campania Luigi Vitiello ed il presidente dell’A.I.B.E.S. Angelo Donnaiola. A seguire con il dott. Michelangelo Lurgi, presidente di Rete Destinazione Sud, si discuterà di sviluppo e promozione territoriale attraverso i “PNRR Borghi”. Su questa scia, nel primo pomeriggio del 16 marzo, si parlerà di “Agevolazioni e incentivi per le imprese” con Andrea Ferraioli, presidente del Gruppo Alberghi di

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Confindustria Salerno, e Ciro Romano, Amministratore della Alden Consulenti d’impresa. A chiudere i momenti convegnistici di mercoledì 16 marzo 2022 sarà l’appuntamento delle ore 16.30 dal titolo “Il cibo come valorizzazione del territorio”, a cui parteciperanno Orlando Paciello, presidente dell’Ordine dei Medici Veterinari della provincia di Salerno, Vincenzo D’Amato, presidente del C.Ri.P.A.T. (Centro di riferimento regionale per la sicurezza della ristorazione pubblica e collettiva e delle produzioni agroalimentari tradizionali), Claudio Mucciolo, dirigente veterinario dell’ASL Salerno, Giuseppe Pagano, patron dell’Azienda Agricola San Salvatore di Paestum, Milena Pepe della Tenuta Cavalier Pepe e Pietro Aloisio, consulente di analisi sensoriale. Ad aprire la giornata di giovedì 17 marzo 2022 sarà, invece, il convegno dal titolo “Food 4.0 Personas and Scenarios” delle ore 9.30, che coinvolgerà professionisti della comunicazione ed esperti del settore tra cui Carmine D’Alessio, CEO di MTN Company, Antonella Petitti, giornalista e consulente per l’agroalimentare, Giuseppe Corsini fotografo, Giuseppe Calabrese, amministratore delegato di Mastroberardino, Marco Contursi, giornalista gastronomico, Virgilio Gay, project manager presso Cooperativa Sociale La Torre Idee in azione, e Franco Cioffi, consulente aziendale, Vincenzo La Croce, esperto di Marketing e internazionalizzazione, Ida Paradiso, consulente di food marketing e digital marketing, e i Villa Perbene . Alle ore 11.30 si discuterà invece di “Terzo Settore e sociale” con il progetto di MAD Consulting che raggruppa e fa da capofila ad alcune cooperative come “Al dil à dei sogni”, “La forza del Silenzio” e l’associazione “A Braccia Aperte”. MAD si occupa da diversi anni di promuovere e affiancare attività del terzo settore legate, in modo specifico, al mondo dell’agroalimentare per formare e inserire le persone con disabilità nel mondo dell’Ho.Re.Ca. Diversi i progetti di ripristino di beni confiscati alla camorra che vengono convertiti in centri produttivi in cui i ragazzi diversamente abili acquisiscono una dignità lavorativa. E infine nel pomeriggio (dalle ore 14.30) spazio all’iniziativa “I professionisti si raccontano” con l’amico di HoReCoast Sal De Riso, che tornerà anche per l’VIII edizione a portare la sua testimonianza di professionista. Oltre al maestro pasticcere De Riso è prevista la partecipazione di altri esperti di categoria, anch’essi di caratura nazionale e internazionale, che saranno svelati successivamente.

Registrati gratuitamente per partecipare come visitatore su www.horecoast.it

Ad HoReCoast Gaetano Barbuto con il suo percorso formativo sulla prima colazione Un graditissimo ritorno ad HoReCoast si vivrà quest’anno con Gaetano Barbuto, consulente per breakfast e buffet con “Officina del breakfast”, che mercoledì 16 e giovedì 17 marzo 2022 terrà dei laboratori dedicati al mondo della prima colazione nell’area Bar & Breakfast Lab (Sala Nettuno) dell’Hotel Ariston di Paestum (Sa).

Ad HoReCoast il “Trofeo Pizza di Qualità” Mercoledì 16 e giovedì 17 marzo 2022 in HoReCoast si terrà il “Trofeo HoReCoast Pizza di Qualità”, con la direzione di Mario Folliero (Direttore Generale) e di Alfredo Folliero (Presidente Dr. Cavaliere). La competizione è aperta a tutti i pizzaioli/e appartenenti a qualsiasi Associazione di categoria. Si può partecipare a titolo personale o in rappresentanza della propria attività. L’età minima è dai 16 anni compiuti in su, per i minorenni è obbligatorio l’accompagnamento di un tutore o un responsabile.

La finale del Concorso Regionale A.I.B.E.S. Campania e la Finalissima Nazionale X edizione “Barmen in Passerella” Ad impreziosire l’VIII edizione di HoReCoast sarà il 45° Concorso regionale A.I.B.E.S. (Associazione Italiana Barman e Sostenitori). In programma dalle ore 10.00 alle ore 17.30 di mercoledì 16 marzo 2022, presso la Sala Mixology del Centro Congressi dell’Hotel Ariston. Ma le sorprese dell’A.I.B.E.S. non finiscono qui. Grazie al grande impegno del Fiduciario A.I.B.E.S. Campania Luigi Gargiulo, HoReCoast si arricchirà quest’anno di un altro importantissimo evento: la finalissima nazionale della X edizione di “Barmen in Passerella”, in calendario giovedì 17 marzo dalle ore 10.00 alle ore 16.00 sempre presso la Sala Mixology del Centro Congressi dell’Ariston. Sarà una vera festa, con barmen di tutta Italia che si cimenteranno nella realizzazione di cocktail inediti, creati da loro per l’occasione.

Per info e contatti Segreteria Organizzativa HoReCoast, tel. 089.3122124-125 (MTN Company) www.horecoast.it info@horecoast.it www.facebook.com/Horecoast


TURISMO Autore: Luigi Franchi

Ospito, un nuovo consorzio turistico per Monopoli

È nato a dicembre 2021 con un obiettivo preciso: organizzare i posti letto del territorio, collegarli con i servizi di promozione ma in un periodo molto preciso dell’anno, quello di bassa stagione, dal 15 settembre al 31 maggio. Stiamo parlando di Ospito, un consorzio privato di imprese che operano nel turismo a Monopoli (BA): “Parliamo di sistema, intendiamo il turismo come un network di servizi e di imprese che hanno l’aspirazione di far diventare il nostro territorio una destinazione vera e propria, non potendoci più accontentare dei canonici 120 giorni di stagione e, soprattutto, avendo la voglia e le potenzialità per fare molto ma molto di più”, è con queste parole che Enzo Diroma, il presidente del consorzio, ha reso pubblica la sua costituzione; 25 aziende, tra le più disparate, dai piccoli bed&breakfast ai tour operator locali, dalle imprese di distribuzione nel food service come Erredi Distribuzione ai gestori di lidi, hanno deciso di unire le forze e mettere a disposizione le proprie competenze per dare una nuova identità al territorio, in grado di attrarre turisti anche al di fuori dei classici 120 giorni d’estate.

L’offerta turistica di Monopoli “1.200 stanze, molto frammentate tra B&B, piccoli hotel, case vacanze. Questo è ciò che offre Monopoli per quanto riguarda l’ospitalità. Le grandi strutture alberghiere hanno lasciato il campo ad 30

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una tipologia di accoglienza che si sposa sicuramente meglio con la dimensione e la tradizione di questa città. Proprio questa frammentazione, però, va codificata in un linguaggio nuovo, quello di un turismo affine al territorio, che ne sappia capire le peculiarità. Per questo abbiamo dato vita ad Ospito”, racconta Umberto De Marinis, membro del consiglio d’amministrazione del consorzio. Monopoli è un luogo che, per certi aspetti, ha ancora la magia dei borghi marinari del sud Italia: case bianche, vicoli ricchi di mercanzie, un’offerta gastronomica di qualità, abitanti aperti all’ospitalità. Condizioni che ne fanno una metà privilegiata nel periodo estivo ma che può tranquillamente puntare ad una forte destagionalizzazione. “Non a caso, tra i nostri obiettivi – dichiara il presidente Diroma – c’è il coinvolgimento, tra i soci, di un teatro per organizzare attività convegnistiche. Oltre al preciso impegno di raddoppiare, in poco tempo, le aziende associate al consorzio”.

Le azioni del Consorzio Ospito Tra le prime azioni del consorzio c’è un workshop a maggio, con 25 operatori turistici del centro e dell’est europeo che arriveranno a Monopoli per visitare la città, valutarne le strutture, al fine di fare incoming diretto sul territorio. Queste aree dell’Europa sono privilegiate perché hanno vettori sugli aeroporti di Bari e di Brindisi e quella tipologia di turista non si pone il problema della classica vacanza da spiaggia e ombrellone. Ha un’elevata capacità di spesa, non si muove in gruppo, o almeno non in gruppi numerosi, e apprezza il ritmo lento dei luoghi e la buona cucina mediterranea. Diventa quindi strategico per gli obiettivi del consorzio che punta a destagionalizzare un turismo che, in estate, è più rivolto alle famiglie italiane, con presenze che arrivano prevalentemente da Campania e Lazio, oltre al turismo di ritorno degli emigrati. Dopo metà settembre il turismo riprende proprio dall’estero che apprezza i nostri B&B di altissimo livello. Il Consiglio di amministrazione di Ospito

Perché il consorzio ha una base così diversificata Ospito è nato con una composizione abbastanza singolare; intanto non ha aspettato il contributo pubblico ma è stato voluto da imprenditori e professionisti che vogliono valorizzare il loro lavoro e il loro territorio. Le attività si finanziano con le quote degli associati e con sponsorizzazioni private. Il workshop verrà realizzato in collaborazione con Puglia Promozione, l’agenzia di promozione turistica regionale. Con le istituzioni locali il rapporto è buono e la collaborazione con loro si baserà, ad esempio, nel mettere a disposizione il castello della città quando si svolgerà il workshop a maggio. L’idea di Ospito è quella di aprirsi anche ad altri territori confinanti, mantenendo però il focus sulla città erede di Egnatia. La composizione del consorzio è stata voluta dagli imprenditori per mettere in comunione diverse opportunità di servizi. Pensiamo, ad esempio, a un’azienda come Erredi Distribuzione; essa può favorire acquisti di derrate alimentari per i ristoranti e gli hotel aderenti con listini dedicati. “Ciascuna impresa ha scelto di scommettere sul ruolo della rete, sulla capacità contrattuale di un soggetto che aggrega posti letto, servizi, esperienze e prodotti al fine di rafforzare e implementare l’economia che viene dal turismo”, questo è l’auspicio del presidente Enzo Diroma. Non può essere altrimenti quando si affrontano mercati globali.

Enzo Diroma, presidente di Ospito


PIZZERIE Autrice: Simona Vitali

Chiere pane, pizza a Piacenza Un indirizzo di cui prendere nota

Stefano Chieregato

Ha costruito la sua artigianalità, tassello su tassello, partendo dal processo inverso rispetto a ciò a cui siamo abituati. Stefano Chieregato, oggi ha 29 anni e giusto due anni fa ha aperto Chiere- pane, pizza Piacenza, laboratorio di panificazione a tutto tondo con annessa una sala per la degustazione, dopo aver intrapreso un percorso che sembra costruito a tavolino: dagli studi all’Università di Pollenzo, che lo hanno reso gastronomo sensibile alla filiera, a un corso di panificazione moderna con Ezio Marinato, presso Alma, e due stage: uno a Casa Vissani e l’altro presso il Panificio Moderno di Rovereto. Poi l’approdo a Casadonna Reale, dove di sua spontanea volontà è andato a pranzo e si è presentato a Niko Romito, che gli ha detto “Mandami il tuo curriculum”. Non è trascorso molto tempo che Stefano si è trasferito a Castel di Sangro. Ora, però, riavvolgiamo il nastro e ripercorriamole queste tappe, che la vita non regala nulla.

Una soppesata ricerca della propria strada Tutto ha inizio da una cena presso I Tigli, dove Stefano conosce la pizza di Simone Padoan, che gli allarga gli orizzonti: “Ma allora esiste - si dice - un modo alternativo, ragionato, di fare la pizza!”. A colpirlo non è solo il tipo di impasto ma anche gli ingredienti


che vanno a creare il topping della pizza, selezionati e accostati con cura. Così ci prende gusto nello sperimentare impasti in casa, sentendo già, dentro di sé, che quello avrebbe potuto diventare un lavoro. Comincia ad informarsi ma non è facile trovare corsi sulla pizza, finché, nonostante il suo interesse non verta sul pane, non si convince di seguire il corso di Ezio Marinato ad Alma, attratto dall’approccio moderno alla panificazione, anche per via di quella tecnologia che consente di migliorare la qualità della vita oltre che del prodotto. Gli stage a Casa Vissani, nella brigata pane, pasta fresca e dolci, e al Panificio Moderno di Rovereto, gli restituiscono una visione ampia del mestiere. Fino a quell’approccio con Niko Romito, che suona come il coronamento di un percorso voluto, soppesato. Sei mesi nella cucina del Reale poi il passaggio al laboratorio di panificazione, ultimato in quel periodo, dove inizia un’esperienza che lo porta a diventarne responsabile. Nel frattempo prende forma anche Alt, che “inizialmente - racconta Stefano - doveva essere il punto vendita del laboratorio, in realtà, per la grande lungimiranza di Niko Romito, è diventato molto di più”. Così è chiamato a fare formazione anche allo staff del nascente Alt, dove conosce Erika, la sua attuale compagna, che lavora in sala. Con Niko Romito si vive un presente e un futuro, i progetti non mancano e in quel periodo c’è una bella

programmazione di iniziative, anche fuori dall’Italia.

Storia di un progetto Intanto però Stefano inizia a cullare il desiderio di creare un suo spazio, che inizialmente vorrebbe essere una pizzeria. Ne parla con Niko, ci tiene a precisare che non andrà altrove ma farà qualcosa di suo, e lui gli risponde “Ricorda che avrai sempre problemi con il personale!”. Ma dove aprire? La scelta cade su Piacenza, città vicina all’Oltrepo Pavese, sua terra di origine, dove individua un locale, non troppo distante dal centro, da cui ricavare un laboratorio come si deve ma anche uno spazio di degustazione. Farà non solo pizza ma anche pane, considerando che le competenze in materia ci sono e che in città un certo tipo di pane a lievitazione naturale non lo si trova facilmente. È il 19 gennaio 2020 quando Chiere – pane, pizza Piacenza- che riunisce in sé le due anime di Stefano Chieregato, quella artigianale e quella di gastronomo, apre i battenti. Solo un mese dopo si entra in lockdown. Così un giovane che ha investito sulle tecnologie più avanzate, contando solo sulle sue forze e sul supporto della famiglia per avviare la sua prima attività, e che non vede l’ora di portare le sue idee ai clienti, si trova ad affrontare l’imprevisto, peraltro in una città che non è la sua, per cui non lo conosce nessuno, con un prodotto e relativi co| marzo 2022

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sti diversi dallo standard a cui i piacentini sono abituati, perché ha scelto di perseguire una certa qualità.

Essere comunicatori instancabili “In quel periodo – racconta Stefano – mi sono avvalso dei social per mostrare quello che facevamo ogni giorno tra pizze, pane e dolci, dando la nostra disponibilità a fare la consegna a casa, gratuitamente su tutta la città di Piacenza. Fortunatamente c’è stata risposta. La gente chiamava soprattutto nei week end. In questo modo abbiamo iniziato a farci conoscere. In quell’estate, nel nostro lavoricchiare, abbiamo incontrato le prime difficoltà con chi ancora aveva una concezione tradizionale di pizza ma anche qui non ci siamo persi d’animo, raccontando il nostro lavoro. Dobbiamo essere comunicatori instancabili, quando facciamo un prodotto di qualità bisogna che spieghiamo da dove arrivano le materie prime e il lavoro che c’è dietro”. Sono trascorsi due anni, Chiere è frequentato da una clientela eterogenea, che ha capito l’offerta di questo locale e si diletta fra la degustazione in loco di pizze, spicchi e scarpette e l’acquisto di prodotti, pani e dolci, da consumare a casa. Tuttavia, ci racconta Stefano:” C’è ancora molto lavoro da fare: per tanti la pizza è ancora un disco di pasta, lo sgarro alimentare della settimana, un modo veloce di cenare con gli amici spendendo poco. É questo con cui si trova a combattere chi, come me, cerca di lavorare in un certo modo”.

La pizza E ora parliamo della pizza di Stefano Chieregato, che ci ha conquistato al primo assaggio per quell’impasto croccante e leggero. “Non avendo alle spalle un background come pizzaiolo, mi sono sentito libero di creare il prodotto che piaceva a me. Quando andavo in pizzeria cercavo una pizza da non piegare per poterla mangiare, da non reggere con la forchetta e da non tagliare. Il mio impegno è stato di realizzare una base super croccante ma anche scioglievole, che si volatilizzasse in bocca, con un metodo di lavoro moderno, che tra l’altro consente di mantenere sotto controllo gli sprechi. In questo momento (è pomeriggio) sto preparando le basi per stasera e questo grazie a una tecnologia che mi consente di realizzare un prodotto di qualità costante e pure di farmi concentrare, nell’ora del servizio, sul topping, come ho visto fare a Padova, come fanno molti altri e come la cucina stellata mi ha insegnato. L’importante è che ogni singolo ingrediente che utilizzo sulla pizza si senta e se ne percepisca la qualità.

formaggi, i vini dei colli...per il resto guardo alle eccellenze nazionali. Cambio menù almeno un paio di volte ogni stagione, giusto perché ci sono prodotti che non durano nemmeno il tempo di una stagione”. Oltre alla pizza tonda, servita in teglia già tagliata a spicchi, Stefano ha studiato proposte meno impegnative, particolarmente apprezzate a pranzo, dove si è portati a mangiare meno. La prima è lo spicchio - due triangoli di soffice pizza arricchiti di alcune combinate di ingredienti, come coppa e insalata russa o scarola, uvetta e pinoli, per esempio -, la seconda è la scarpetta, in omaggio al “rito nazionale più appagante” come recita il menù. Vale a dire alcune fette di pane a lievitazione naturale, servite con una ciotola di ragù alla bolognese o caponata di verdure.

Il pane Il pane, o meglio, i pani sono l’altra creatura a cui Chiere, come lo soprannominano gli amici, si dedica. A lievitazione naturale, realizzati con diversi tipi di fermentazione, variano a seconda delle stagioni. Nel periodo della vendemmia al laboratorio si può trovare il pane anarchico realizzato con il mosto d’uva (“mi dà lui i lieviti e i batteri per fare fermentare la farina” dice Stefano), d’estate c’è il pane con il limone, d’autunno con le noci ma anche di zucca, che a Piacenza c’è la zucca Berettina. Al momento vengono serviti tre ristoranti in modo continuativo più altri spot e non manca la vendita al dettaglio nella fascia dilatata di apertura. C’è anche chi acquista dopo pranzo o dopocena. “Il nostro pane dura una settimana -spiega Stefano- e può essere acquistato in ogni momento della giornata, non necessariamente al mattino. Stiamo lavorando anche sulla pasticceria, dai grandi lievitati ai maritozzi, babà, tortini e torte...ma qui siamo solo all’inizio, c’è ancora tanto da fare”. Entriamo nel laboratorio per sbirciare. Effettivamente non manca di nulla, tra celle di fermentazione, abbattitore, coppa che purifica l’aria... Sotto il grande piano di lavoro ci sono sacchi e sacchi di farine incasellati in lindi contenitori bianchi. Stefano allunga la mano e ne afferra una manciata, facendola passare fra le dita. Conoscendo i processi di reazione, lui continua a sperimentare e confessa candidamente che la pizza di due anni fa non esiste più! A noi questo ragazzo convince.

Chiere - pane, pizza Via Giovanni Antonio da Pordenone, 1/a Piacenza Tel.351 615 2292

La scoperta del territorio piacentino Ho scelto Piacenza ed è con questo territorio che voglio lavorare. Mentre stavo seguendo i lavori per l’apertura del laboratorio, ho cominciato ad andare per contadini e artigiani, scoprendo ortaggi ricchi di sapore, salumi,

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EVENTI

Hôtellerie e ristorazione tra ultimi trend e formazione Appuntamento a Riva del Garda dal 21 al 24 marzo 2022 con la fiera Hospitality Autore: Guido Parri

Grande attesa per la 46esima edizione di Hospitality – Il Salone dell’Accoglienza, la più completa fiera italiana dell’Ho.Re.Ca., che dal 21 al 24 marzo torna in presenza a Riva del Garda con una proposta business oriented ancora più ampia. Un’esperienza unica e completa per fare networking, oltre a numerose opportunità di formazione e aggiornamento professionale.

Alle storiche quattro aree tematiche - Contract & Wellness, Beverage, Food & Equipment e Renovation & Tech – e alle ormai consolidate aree speciali Solobirra e RPM-Riva Pianeta Mixology dedicate al birra artigianale e al bere miscelato, quest’anno Hospitality riserva uno spazio all’enoturismo con Winescape: dieci selezionate cantine che uniscono alla produzione

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vitivinicola una proposta turistica attraverso forme di ospitalità in vigna e la valorizzazione del patrimonio culturale, paesaggistico ed economico locale. Non mancherà una vasta esposizione di aziende dell’area Food&Equipment e la collaborazione con FIC - Federazione Italiana Cuochi, che durante i quattro giorni di fiera offrirà un percorso di alta formazione per chef e gli appuntamenti con le scuole per giovani cuochi. In collaborazione con AIC - Associazione Italiana Celiachia del Trentino andranno in scena la serie di eventi dedicati a tutti i professionisti dell’Ho.Re.Ca. per scoprire come offrire al meglio il senza glutine. Tra le novità di questa edizione anche i business tour per intercettare le migliori aziende future oriented in 3 categorie di prodotto: Smart Solution; Prodotto sostenibile; Made in Italy che completano i percorsi tematici dedicati alle diverse abitudini alimentari come Gluten e Lactose Free, Bio, Vegan, Halal e Kosher. Alle iniziative esperienziali con show-cooking, masterclass ed educational e all’articolato programma formativo di Hospitality Academy, realizzato in colla-

borazione con Teamwork, si aggiungono gli incontri di Winescape che affronteranno, tra gli altri, gli aspetti produttivi, legali ed economici delle indicazioni geografiche e il rapporto con l’offerta turistica del territorio. Imperdibili le degustazioni guidate de I Colori di Bacco che coinvolgeranno tutte le cantine presenti in un’esperienza unica di food pairing tra eccellenze vinicole e finger food cromatici.

Il programma di Hospitality 2022 Online su www.hospitalityriva.it tutte le informazioni per esporre e visitare la fiera, oltre a HTrends, un blog aggiornato ogni settimana con trend e dati di mercato, case history, testimonianze di esperti del settore, strategie di marketing e digitali, sostenibilità per l’ospitalità e la ristorazione.

Hospitality Digital Space, la piattaforma di business matching Grazie alla piattaforma virtuale di business matching, disponibile sia online che tramite app dedicata per Android e iOS, espositori e visitatori hanno la possibilità di fare networking, visionare il dettagliato catalogo, organizzare in anticipo la propria presenza in fiera e prolungare l’esperienza anche post evento. | marzo 2022

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FARE RISTORAZIONE

L’imbarazzo della scelta Autrice: Giulia Zampieri

Consommé di finocchio, limone, zenzero e molluschi Credits Hstudio

Lo avrete letto, detto, ascoltato, provato. L’imbarazzo della scelta è un modo di dire che spesso ricorre nel nostro settore. In particolare s’infila nelle recensioni, siano esse di guide autorevoli o di semplici clienti che si esprimono dopo essere stati ospiti in un locale. Sta ad indicare l’abbondanza dell’offerta di un ristorante, bar, bistrot o hotel che sia, al punto che la persona, di fronte a cotante opportunità, non sa che scegliere. Una cosa che, fino a qualche hanno fa, poteva essere sinonimo di strategia per alcuni ristoratori, o sintomo di insicurezza per altri. E che, in ogni caso, alle generazioni passate piaceva perché l’opulenza dopo gli anni difficili, in cui si era patita la fame, generava puro godimento. Dentro quest’espressione pare esserci oggi una forte discrasia rispetto agli sforzi che molte attività compiono (o dicono di compiere) in materia di


Nicolò De Pol e Luca Tartaglia, i fondatori di Pierre Trattoria Sartoriale

sostenibilità e rispetto ambientale. Bisognerebbe chiedersi se nei locali in cui la produzione è copiosa, o in cui circolano prodotti in numero abbondante, vengano rispettati i principi legati all’attenzione all’ambiente, all’etica, allo gestione e riduzione dello spreco alimentare, magari annunciati nel sito web, nel menu o in una locandina appesa sulle pareti. Non serve poi un occhio così esperto per capirlo: una lista infinita di piatti, con prodotti non di stagione e quasi esclusivamente esotici, dovrebbe far venire qualche sospetto sui fondamenti che governano la spesa e sul modo di agire di quel ristorante.

Pierre Trattoria Sartoriale a Treviso Ne abbiamo parlato con Luca Tartaglia, chef di Pierre Trattoria Sartoriale, insegna aperta poco meno di un anno fa in centro a Treviso. Abbiamo scelto Luca perché l’approccio della sua cucina è misurato. In una parola: quotidiano.

Ortaggi freschi, in cucina da Pierre Trattoria Sartoriale

Ad animare il locale sono in due, entrambi di bell’esperienza se pur giovani; Luca si occupa della cucina, Nicolò De Pol della sala. Propongono un menu a la carte e un menu degustazione alla cieca. Il secondo viene scelto quasi dalla totalità dei clienti, che si affidano alle ispirazioni della cucina al massimo fornendo qualche indicazione su gusti e intolleranze alimentari. “Da Pierre abbiamo poco spazio e siamo solo in due a condurre il locale, ma abbiamo trovato la formula giusta fondata su un approvvigionamento pressoché quotidiano. I nostri clienti sanno che la presenza di pochi piatti nel menu è, nel nostro caso, sinonimo di freschezza delle materie prime. Ogni giorno sentiamo i nostri fornitori, quello del pesce, della carne, delle verdure, per capire quali sono i migliori prodotti che il mercato può offrirci. E quindi, dopo aver valutato, scegliamo. Se troviamo dell’ottima cacciagione non è detto che prenderemo anche il pesce. Se troviamo dei funghi freschi non è detto che acquisteremo del tartufo,


e così via. Non è la soluzione più semplice perché lavorare con forniture giornaliere, senza una lista della spesa prestabilita, richiede grande adattabilità e creatività. Ma il risultato è spreco inesistente e qualità garantita degli ingredienti impiegati”. Hanno anche adattato lo stile della cucina per facilitare il cliente nella scelta. Ce lo spiega. “Adeguarsi alla clientela non vuol dire snaturare il proprio pensiero, significa capire quali sono le preferenze delle persone e agire di conseguenza. A molti non piacciono l’acidità o il sapore deciso di alcune frattaglie? Non ha senso fermarsi su quel registro se le persone preferiscono sapori più morbidi. Dopotutto, come già stanno dicendo in tanti, la cucina non è esercizio di stile, deve piacere”. Per Luca questa si sta rivelando una bella palestra anche per l’improvvisazione. “Non improvviso nel rigido senso del termine, ma cucino ascoltando le preferenze espresse dall’ospite o, nel caso si tratti di una persona che conosco, proponendogli ciò che gli piace utilizzando i prodotti che ho a disposizione. È proprio da questo concetto che nasce la locuzione trattoria sartoriale, cioè un locale in cui la cucina è cucita sulla persona”. Il metodo di Pierre Trattoria Sartoriale è apprezzato soprattutto dai giovani, più sensibili, probabilmente, ai temi della sostenibilità. “Ammetto che le nuove generazioni sembrano capire di più queste decisioni. Altri pensano, invece, che il menu corto sia un’imposizione, magari dettata dalla pigrizia o

dalle scarse risorse del ristorante. I ragazzi, invece, lo apprezzano, e vivono l’esperienza a tavola per ciò che dovrebbe essere: piacere, curiosità, equilibrio, senza eccessi, senza l’esigenza di menu biblici”.

Soj a Parma Ci spostiamo di circa trecento chilometri per confrontarci con un’altra nuova apertura, Soj nel centro storico di Parma. Anche qui sono in due: Eugenio Restivo, di origini siciliane e radici modenesi, e Federico Capocasa, figlio di marchigiani ma cresciuto a Parma. Qui addirittura non c’è personale di sala, ogni volta che un piatto è pronto lo consegnano loro al cliente, a turno, entrambi partendo dai fornelli. Questo è possibile perché cucina e sala si trovano in un unico ambiente, senza muri in cartongesso o vetrate a marcare il confine, e perché il numero di coperti è ridotto (sedici). Nella gestione dell’attività e nella strutturazione del menu Eugenio e Federico hanno scelto una strada poco diffusa tra chi fa ristorazione, almeno da queste parti, ma a pochi mesi dall’avvio dell’attività bisogna dar loro ragione. Lavorano con metodo utilizzando pochi ingredienti scelti da fornitori che conoscono. Al posto del menu con la ripartizione canonica - antipasti, primi, secondi - c’è una lista corta di vivande che spaziano dalla carne di bassa corte al pesce d’acqua dolce, dai vegetali alle paste, per un totale di circa diciotto voci, dolci compresi.

Sarde on saor di rose e spezie Credits treelabagency

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Federico Capocasa e Eugenio Restivo di Soj, a Parma

di pietanze, in alcuni si ripetevano gli stessi identici ingredienti. In altri menu, invece, era evidente che non ci fosse materia prima fresca. Utilizzare pochi ingredienti freschi, mantenendo un’alta rotazione, ci fa ovviare da queste scelte poco sostenibili e garantire una qualità più alta dei prodotti”.

Impiattamento sul pass di Soj

Troppo poco per un ristorante in centro città? No, il giusto. Lo testimoniano il locale pressoché sempre pieno, il fatto che non vi sia spreco di risorse, e che la materia prima sia sempre fresca. Non compaiono i classici della tradizione parmigiana, ricorrenti nella stragrande maggioranza delle insegne a Parma, ma proposte curate e godibili. “Ci siamo slegati dai canoni tradizionali per costruire un progetto che piacesse a noi e potesse portare novità in questa città. Abbiamo tolto il menu pur mantenendo i primi piatti, perché crediamo che in Italia non si possano abolire, ma derivano da ispirazioni diverse dai classici e sono posti alla fine della lista. L’idea di fondo è che ogni cliente possa costruire un breve percorso di assaggi nell’ordine che sente più suo, senza pensare a cosa venga prima o dopo, in base al momento, al giorno, alla fame, alla ricorrenza”. - spiega Federico. “In passato molti ristoranti presentavano lunghe liste

Accade quasi sempre che i clienti di Soj aggiungano, durante la cena o il pranzo, uno o più piatti da condividere. Confermo, anch’io ho rispettato la tendenza, e non perché le porzioni siano scarse. Anzi, le quantità sono ragionate e adeguate a riempire senza appesantire. “Abbiamo pensato a una cucina che sazi con le giuste quantità, ma anche che sia anche golosa. Capita spesso che ci venga chiesto di aggiungere altri assaggi durante il percorso. Molti li dividono solo per la curiosità di provare quel piatto, di assaggiare quel prodotto che magari non hanno mai provato. L’ordine in più è il miglior complimento che ci possano fare!”. Se esistono realtà come Pierre Trattoria Sartoriale e Soj significa che la ristorazione sta prendendo altre rotte, più vicine alla qualità, più lontane dalle esagerazioni. Merito della dimensione mediatica raggiunta della cucina, sicuramente; merito della sensibilizzazione generale su alcuni temi. Ma il cambiamento del pensiero dev’essere radicale e riguardare tutti, anche chi in questo settore sta dalla parte dei comunicatori. | marzo 2022

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A A A Tecnici dell’industria alimentare in formazione È estesa la filiera dell’agroalimentare, di cui – a ben ricordare – la ristorazione è solo uno spicchio. Sono molte le figure professionali necessarie perché tutto il sistema funzioni nel migliore dei modi, anche a beneficio della ristorazione stessa. E siccome le informazioni utili noi le vogliamo far circolare, oggi racconteremo di un istituto professionale, il J.P. Beccari di Torino, che si occupa di formare tecnici dell’industria alimentare, ossia figure che modellano il loro sapere fra laboratori di chimica e di trasformazione con impianti semi-industriali, arrivando ad avere una buona conoscenza delle materie prime, degli alimenti e della preparazione degli stessi. Perché il pensiero del dirigente, Pietro Rapisarda, è che questi ragazzi facciano sul serio.

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Aziende produttive e chiunque si dedichi allo studio e alla sperimentazione in campo agroalimentare, anche in cucina: qui ci sono studenti che si stanno formando in questa direzione, dentro un percorso che ricorda, con le dovute proporzioni, quello universitario di Scienze e Tecnologia Alimentare.

La curiosa storia di un indirizzo unico nel suo genere in Italia L’istituto J.P. Beccari di Torino ha una lunga storia alle spalle. Nasce infatti nel 1918 come Regia Scuola tecnica per l’Arte Bianca e l’industria Dolciaria. Con i suoi laboratori chimici e gabinetti sperimentali di analisi e ricerche, l’installazione di un complesso di macinazione didattico sperimentale per la molitura del grano tenero, la predisposizione di un laboratorio per produzione di pasticceria e biscotti, la scuola è rimasta per lungo tempo in Italia l’unica ad operare nei settori artigiani e industriali specifici. È il 2010 quando, con una robusta riforma scolastica, la Scuola di Arte bianca cessa di esistere ma non ci si arrende così facilmente a perdere quella peculiarità, che troverà una sua sistematizzazione nel 2017, grazie ad un’altra riforma che prevede la possibilità di istituire un nuovo corso, Made in Italy, con una base di materie comuni e molte ore di laboratorio, le cui discipline non sono predeterminate ma lasciate

alla scelta dell’istituto, in funzione della lavorazione del Made in Italy prescelta. Così all’Istituto Beccari, accanto ad Enogastronomia, viene data forma a un secondo indirizzo, unico nel suo genere in Italia: Industria e Artigianato per il Made in Italy, volto a formare Tecnici per l’industria alimentare, in un edificio scolastico dotato strutturalmente di una grande ricchezza di laboratori chimici, avendo ospitato fino a inizi 2000 un istituto tecnico industriale per tessili e chimici tintori. Gli studenti affronteranno infatti un vero e proprio percorso impregnato di chimica, cioè dovranno sapere cosa succede per poter intervenire nei processi. L’edificio scolastico è occupato per metà da laboratori di cucina, panificazione, pasticceria, sala bar (indirizzo di Enogastronomia) e per l’altra metà da lindi laboratori di chimica con lunghi banconi, microscopi, attrezzature di analisi e spazi allestiti con veri e propri impianti di produzione (indirizzo Made in Italy). Il percorso che gli studenti affrontano parte dall’analisi delle materie prime, passando alla trasformazione, fino ad arrivare al prodotto finito, con tanto di studio di packaging ed etichetta.

Un parco attrezzature importante per una scuola Il passato di questo istituto ha portato in dote una forte

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Prof. Giorgio Fattor

Da sinistra Alessandra Deligia, Alessia Braghini, prof. Michele La Zazzera e Dario Tutino

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specializzazione in materia di farine, con un intero laboratorio dotato di preziose attrezzature quali l’alveografo, l’estensografo, il farinografo che consentono una valutazione non solo delle farine ma anche dell’impasto. Diversi anni addietro era attivo anche un molino didattico, dismesso dal Ministero dell’Agricoltura e donato all’istituto, che oggi svetta in tutta la sua bellezza in una sezione della scuola, in attesa di avere l’ok per ripartire. C’è un parco attrezzature importante in questo istituto che il dirigente sta contribuendo ad alimentare seguendo una logica ben precisa “Io non amo comprare giocattoli per la scuola – spiega Rapisarda prima che inizi il nostro tour per i laboratori - ma attrezzature vere, industriali, di produzione, che i ragazzi potrebbero trovare nei luoghi dove si produce o anche solo ,limitarsi ad acquisire quei parametri fondamentali per interagire con i processi produttivi”. Basta guardare all’ impianto per la birra, con una capacità produttiva di 100 lt di prodotto. “Non ci atteniamo a uno standard – raccontano Michele La Zazzera, docente di Scienze dell’alimentazione e Dario Tutino, tecnico pratico di laboratorio – ma siamo per provare miscele nuove. A Natale abbiamo realizzato una birra con spezie tipiche di queste festività: zenzero, cardamomo, cannella, scorza d’arancia e caramello. Oggi invece ci cimenteremo in una birra rossa, con malti e luppolo. Intanto i ragazzi, come vedete, stanno pesando gli ingredienti e c’è chi lava i tini, prima di iniziare la produzione”.

Gli scarti diventano parte di un nuovo processo produttivo “In questo processo – come ci fa notare il prof. Giorgio Fattor, docente di Tecnologie applicate ai materiali e processi produttivi – il nostro impegno è di recuperare gli scarti della birra per renderli parte di un nuovo processo produttivo, elevandoli a nuova materia prima per pane, taralli, pasta fresca e altri prodotti alimentari. Questo ci ha fatto vincere un concorso nazionale, promosso dal Gruppo Greenthesis, lo scorso anno”. In un altro laboratorio troviamo un’ulteriore attrezzatura molto utilizzata: l’impianto per le conserve, pure questo semi industriale, che lavora a bassa pressione, consentendo di realizzare confetture e conserve (ultimamente anche il ketchup) che mantengono proprietà nutritive inalterate. Prima del lockdown era attivo un progetto definito ‘senza moneta’ con un paio di aziende agricole del territorio, che si avvalevano di questo impianto per realizzare il proprio prodotto e in cambio ne lasciavano una parte alla scuola, oltre a far vivere un momento formativo ai ragazzi.

“Per il Consorzio dell’asparago di Santena abbiamo sperimentato metodi diversi a temperature diverse per conservare gli asparagi. A breve partirà un complesso progetto denominato Orti urbani, che vedrà coinvolti più attori su Torino, a cui i ragazzi contribuiranno, fra le altre cose, per mostrare come sia possibile conservare e trasformare frutta e verdura, a fronte di grossi quantitativi di prodotto non tutti immediatamente utilizzabili”.

Aziende che contribuiscono alle attività della scuola Grazie a una macchina per la produzione di pasta fresca e secca, che ha una capacità produttiva di 6 kg all’ora, i ragazzi riescono a prendere confidenza anche con questo tipo di produzione, potendo sperimentare nell’impasto anche l’utilizzo di aromi alimentari, che l’azienda Maraschi & Quirici, produttrice di aromi per l’industria alimentare, mette a disposizione dell’Istituto. Anche la gelateria diventa un percorso molto serio, dal momento che non si è lesinato nella scelta della gelatiera e potendo beneficiare anche dell’apporto formativo di un’azienda del calibro di Gelati Pepino, che dal 1884 produce gelati di alta qualità a Torino. È in arrivo un’attrezzatura importante per i grandi lievitati. Scelte che il dirigente Pietro Rapisarda ci spiega: “Noi mettiamo in contatto i nostri studenti con una serie di sistemi produttivi, se si appassionano anche ad uno di questi si trovano un mestiere fra le mani. La nostra idea è quella di fornire loro strumenti per essere autonomi, per crearsi volendo anche un’aziendina. Con la produzione di conserve, birra, pasta fresca, gelato... ci vivi”. Di fatto con la conoscenza acquisita in materia di trasformazione alimentare si possono trovare diversi tipi di impiego nel comparto agroalimentare, oltre a proseguire gli studi per approfondire quanto appreso”. Ci affacciamo ad un grande laboratorio dove i ragazzi sono suddivisi in due gruppi: il primo sta lavorando alla preparazione dello yogurt, rigorosamente con latte in scadenza, e salsa di pera, ricavata da frutta troppo matura per essere consumata diversamente. Una volta pronto il prodotto, verrà fatto un panel test al bar della scuola, si raccoglieranno le osservazioni, si modificherà la ricetta per poi passare alla produzione definitiva e alla vendita, a un prezzo morigerato, nel bar della scuola stessa. Un altro gruppo di studenti sta producendo sapone e assembla olio esausto proveniente dalle cucine e opportunamente filtrato, e luppolo di scarto nella produzione della birra, a cui viene aggiunto idrossido di sodio, che è l’unico piccolo costo da sostenere, essendo tutto il resto di recupero, come è di regola in questo istituto.

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PERSONE

Joan Crous e piatti di ‘Servito’

Un artista del vetro al servizio dell’alta cucina www.servito.eu www.joancrous.eu www.etabeta.coop

Autore: Bruno Damini

“Ho provato una grande emozione nel vedere i fratelli Roca dar forma alle loro ricette sui piatti in vetro che ho realizzato col mio piccolo staff di artigiani vetrai. La grande occasione è stata il pranzo inaugurale della COP 25, Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici tenutasi a Madri nel 2019”. Così Joan Crous, artista del vetro di fama internazionale, che quei piatti ha portato personalmente a destinazione: Bologna-Madrid! 500 piatti in vetro, 1700 km, 8 panini e qualche pieno di carburante. Ricorda anche con orgoglio di essere stato successivamente a cena al Celler de Can Roca e nel menu di

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14 portate sei piatti erano stati realizzati da lui in vetro. Catalano di nascita e formazione, arriva a Bologna alla fine degli anni ‘80 per completare la sua tesi universitaria e il dottorato in storia dell’alimentazione con Massimo Montanari, al quale lo lega tuttora una grande amicizia. Ed è proprio il suo professore, una volta terminati gli studi, a consigliargli di privilegiare il lavoro in ambito artistico individuando nel suo fare creativo un percorso dominante rispetto a quello dello studio. Lui si integra a tal punto nella vita della città che decide di continuare a viverci e a lavorarci. A Bologna Joan conosce la ragazza che diventerà sua moglie, Giovanna Bubbico, laureata in filosofia e in estetica dell’arte, con la quale sviluppa un sodalizio culturale che unisce i comuni interessi artistici alla propensione di lei per l’impegno sociale.

La nascita di EtaBeta, cooperativa sociale Così, nel 1996 fondano la cooperativa sociale EtaBeta che nella lavorazione artistica del vetro ha tutt’ora il suo nucleo originario ma ha allestito anche laboratori per la lavorazione della ceramica, del mosaico e infine del legno per la realizzazione di giochi steineriani e montessoriani per l’infanzia. Oltre a ciò ha sviluppato branche diversificate che vanno dalla vivaistica all’agricoltura biologica alla trasformazione dei prodotti agricoli gestendo un mercatino alimentare denominate “del Novale”, fino alla lavanderia e alla sanificazione. Recuperando attraverso l’autocostruzione una casa colonica del Comune, il Battirame, si dedicano anche alla ristorazione con attività di catering, ospitando lungo tutta l’estate 2021 lo chef Massimiliano Poggi in un progetto di cucina sostenibile condiviso con EtaBeta all’insegna del principio “Quel che c’è quando c’è”. Joan e Giovanna, nel complesso ramificarsi delle loro attività, hanno dato vita nel tempo a un progetto inedito che attualizza in modo innovativo l’idea di base di Arts and Crafts conferendo alle arti applicate e al lavoro artigianale una funzione terapeutica per il recupero e il riscatto sociale dalle tossicodipendenze e dal disagio psichiatrico, in stretta collaborazione con ASL e Comune di Bologna. In questo modo sono riusciti a creare lavoro qualificato e gratificante perché la miglior terapia è la bellezza. La cooperativa attualmente occupa una cinquantina di dipendenti in maggioranza ‘svantaggiati’ cui si aggiungono una trentina di tirocini formativi. Ma torniamo al settore del vetro che è il cuore da cui origina EtaBeta e dà occupazione a una quindicina di persone, fra cui una decina di ragazzi con problematiche sociali. Due sono le linee di lavo-

razione adottate: una ricicla il vetro industriale con progettazione e produzione seguita dal figlio di Giovanna e Joan, Giacomo, che studia antropologia, mentre il progetto “Servito”, piatti d’autore per l’alta cucina, con lavorazione artistica della pasta in vetro proveniente da Murano, vede Valentina Verde alla cura della parte organizzativa e di controllo della qualità oltre al rapporto con i clienti, e Radovan (Rado) Raiyc occuparsi con lei della parte pittorica del processo di produzione dei piatti.

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Joan cura il coordinamento di tutto il progetto “Servito” che nasce dalla sua esperienza d’artista innovativo nell’arte del vetro la cui fama è stata coronata dall’importante Glass Venice Prize, premio internazionale che viene assegnato una volta all’anno a un artista del vetro e a un maestro vetraio di Murano.

La simbologia alimentare I suoi studi universitari sulla simbologia alimentare si sono coniugati da lungo tempo con l’arte del vetro

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attraverso una tecnica rivoluzionaria da lui ideata cristallizzando i resti della tavola fino a renderli simili a fossili, fragili e senza tempo. Poi, coniugando la sua profonda conoscenza tecnico-artistica con l’alta cucina, anni fa ha cominciato a collaborare con quasi tutti gli chef stellati catalani, i fratelli Roca, Ferran Adriá, Santi Santimaria, purtroppo scomparso, sviluppando con loro dei progetti artistici capaci di dialogare con le loro realizzazioni gastronomiche. In un confronto fra l’artista-artigiano e gli chef nasce il progetto “Servito” nella consapevolezza che il modo di presentare oggi la preparazione ha assunto un’importanza pari quasi al processo di lavorazione. Si tratta di piatti in vetro di Murano “tailor made” e tantissimi anche in Italia sono gli chef coi quali ha collaborato per realizzare, col suo piccolo staff di artigiani del vetro, dei servizi esclusivi creati pezzo per pezzo in modo artigianale: Maria Grazia Soncini, Aurora Mazzucchelli, Viviana Varese, Luca Marchini, Piergiorgio Parini, Gianluca Gorini, Enrico Crippa, Igles Corelli, Antonia Klugmann, Massimiliano Poggi, Domenico Cilenti… Joan è partito dall’idea di dire agli chef: venite, discutiamo su come possiamo fare il piatto adatto per voi e se ne dobbiamo fare solo cinque ne facciamo cinque, non dovete sentirvi legati a un numero per poterli avere. Nascono così oggetti adatti all’alta ristorazione ma anche all’uso quotidiano domestico. Hanno tutti un costo da artigianato medio perché non si pensa di vendere oggetti di design o che questi piatti siano dei quadri, sono dei supporti sui quali lo chef può comporre la propria creazione, al servizio dello chef, non viceversa, magari finendo per stimolare la sua immaginazione e influenzando talvolta l’ideazione della preparazione che avrebbe “ospitato”. Ogni piatto è diverso dall’altro e ciascuno ha una propria identità e racconta la persona che lo ha realizzato a mano. È questo il valore dell’artigianato. Il laboratorio può svilupparli nelle dimensioni, forma e colori più adatti alle idee degli chef, giocando sulla texture con gli opachi, i neutri, sabbiature e inserimenti di colori più o meno vivaci, lavorando sulla forma, sull’effetto inusuale e sulla sorpresa. Sono riusciti a creare piatti che sembrano schiuma che si possa sciogliere tra le mani, altri che possono valorizzare la durezza di un gusto con un vetro simile a una pietra preistorica o un marmo, altri ancora richiamano il legno bruciato perché il cuoco magari decide di usarli per carni o pesce arrostiti o affumicati. Come è stato possibile far nascere e sviluppare tutto questo nel più ampio e complesso disegno del progetto EtaBeta? Giovanna e Joan amano affermare: “Non sapevamo che era impossibile per questo lo abbiamo fatto!”. È d’altronde noto che la struttura alare del bombo, in relazione al suo peso, non è adatta al volo, ma lui non lo sa e vola lo stesso.

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FARE RISTORAZIONE Autrice: Marina Caccialanza

Torino, riservata ma dal cuore grande

È difficile non cadere nei luoghi comuni quando ci si accinge a parlare di una città e dei suoi abitanti. Dei torinesi, si dice spesso che siano freddi e altezzosi, un po’ grigi e poco inclini alle novità: sarà vero?

Il mondo della ristorazione, a Torino, riserva grandi sorprese. Se, nell’immaginario comune, viene in mente uno stile nato dalla parsimonia e da una fantasia contenuta, ebbene, è ora di ricredersi. Torino sta attraversando un momento di grande vivacità, malgrado la pandemia, o forse proprio in seguito ad essa. Vive una sorta di rinascita intellettuale e imprenditoriale che annuncia innovazione e intraprendenza, ma sempre con buon senso. Basta fare un giro per la città per accorgersi che c’è fermento: chi arriva in treno a Porta Nuova si trova immerso in 2000 mq destinati all’ospitalità tra ristoranti, chioschi e spazi dove il cibo fa da padrone. È la novità eclatante di una riqualificazione della stazione ferroviaria che, recuperando il concetto di rigenerazione urbana in auge in molte città italiane, punta a offrire un insieme di pro-


poste che va oltre il bar per diventare aggregazione e esperienza turistica. In città altre novità si affacciano: Gino Sorbillo apre il suo ventesimo locale ed ecco la pizza napoletana più alla moda anche a Torino; la storica Focacceria San Francesco è attesa a breve. Ma è dalla ristorazione di alto livello che arrivano notizie succose, come l’apertura del nuovo ristorante della famiglia Alciati, dentro la Grande Enoteca di Eataly Lingotto; si chiama Giù da Guido e segue la filosofia dello stellato di Fontanafredda nel proporre la sua cucina pregiata, di altissima attenzione alle materie prime, curata nella forma e nella sostanza come i suoi indimenticabili plin.

Diana Beltran e Gianluca Marinelli

Dalla fiducia alla fedeltà “Il cliente torinese è un essere umano alquanto difficile, refrattario ai cambiamenti e diffidente delle novità, ma se lo conquisti, ti sarà fedele per sempre”. Luisa Pandolfi lo sa bene. Il suo ristorante – Le Vitel Etonné – in centro città, è uno dei ristoranti tradizionali storici di Torino e lei conosce i suoi concittadini; li accoglie nel suo locale da molti anni e loro non l’hanno

abbandonata, neppure durante la pandemia. “Tutti i locali torinesi presenti in città da molti anni – spiega Luisa – possono contare su una clientela estremamente fidelizzata: il torinese viene da noi perché si fida, e questa è stata la chiave di volta. Non ci hanno abbandonato ma supportato. Bisogna comprendere una cosa: il torinese è fondamentalmente

Vitello Tonnato Le Vitel Etonné

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La sala di The soul Kitchen. Photo: Giorgio Violino

cauto e diffidente, un po’ chiuso e riservato. Ma è capace anche di grande generosità, è affettuoso e disponibile. Chi riesce a scalfirne la corazza trova un cuore grande. Ognuno di loro si è dimostrato collaborativo, secondo le sue personali disponibilità, anche economiche, e ha sostenuto le iniziative di asporto, le modifiche alle modalità di consumo, anche a livello emotivo, dimostrando affetto e partecipazione. Questo è molto gratificante per noi, significa che hanno compreso il rapporto che abbiamo instaurato negli anni, fondato su rispetto e comprensione, e ci hanno contraccambiato con la fedeltà”. Discrezione e naturale riservatezza sono caratteristiche imprescindibili nella natura del torinese, eppure ci sono grandi novità e la città e i suoi abitanti evolvono in maniera sorprendente. Solo che nessuno lo sa perché nessuno lo dice. “Tanti giovani imprenditori stanno aprendo attività – conferma Luisa Pandolfi – e imprenditori più maturi pensano a raddoppiare la proposta. È un segno della vivacità di Torino, che si sta mettendo alla prova: se idee e iniziative passano in sordina è perché siamo schivi e spigolosi. Non è un difetto, dalla lentezza viene la fidelizzazione, e quella rimane”. Le Vitel Etonné non ha cambiato il suo modo di fare ristorazione, non ce ne è stato bisogno. “Non ho voluto fare delivery – spiega Luisa – non lo ritengo un modo soddisfacente di fare ristorazione. Ho proposto, già dal

2016, la vendita di pasta fresca, una delle nostre specialità, come un pastificio, e questo ha avuto successo, facendoci guadagnare visibilità. Per il resto ho mantenuto la nostra identità basata sull’accoglienza e la qualità”.

Voglia di sperimentazione e scoperta La tradizionalista Torino, dunque, si offre perfino in versione estroversa, vuole sperimentare e scoprire nuovi sapori e tendenze. È il caso di Maybu- Margaritas y Burritos - il nuovo format fast casual messicano aperto di recente da Diana Beltran, chef nata ad Acapulco e giunta a Roma una ventina di anni fa che insieme a Gianluca Marinelli (figlio di Diana e developer manager di Maybu) propone la sua cucina etnica che attinge al patrimonio etimologico, culturale, generazionale e cosmopolita di stampo Tex-Mex evoluto in chiave contemporanea, e lo fa in modo innovativo, con grande attenzione alle tematiche green. Curiosa la scelta di Torino, forse una sfida, come spiega Gianluca Marinelli: “Abbiamo scelto Torino perché ci è capitata l’ottima opportunità di prendere un bellissimo locale dentro alla nuova costruzione di piazzale Aldo Moro ma con affaccio su strada. Nel nostro progetto imprenditoriale c’era l’idea di espanderci nel nord Italia e abbiamo pensato che la pandemia avesse colpito di meno una città come Torino rispetto a Milano e Firenze che vivono anche di tu-

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Pont de Ferr

Luca André

rismo oltre che di vita propria; Torino ci è sembrata una scelta più solida e sicura. Inoltre Torino è una città incredibile”. E Torino e i torinesi apprezzano. Le recensioni sono entusiaste: “Soprattutto, la cosa più bella – racconta Gianluca - è vedere studenti universitari che provano i nostri prodotti a pranzo e poi tornano la sera con i genitori i quali, inizialmente titubanti, si manifestano felici alla fine della cena! Ovviamente è la prima città fuori Roma dove apriamo, quindi ci stiamo mettendo un po’ più di tempo ad attirare la clientela rispetto alle altre aperture che abbiamo fatto e fare previsioni, in un periodo del genere, è praticamente impossibile. Sarebbe come farsi fare un burrito, poi farlo chiudere, e sperare di indovinare cosa ci sarà nel primo boccone. Noi sappiamo solo che tutti gli ingredienti ci piacciono e che comunque vada sarà un successo”.

vanno di pari passo quando la proposta è studiata con convinzione. Luca André, chef e patron del ristorante, ne è convinto:” La mia clientela, pur fidelizzata, è cambiata negli anni seguendo i cambiamenti che ho proposto loro. La mia cucina vegetale si è evoluta nel tempo, diventando più sofisticata e ricercata, volutamente, perché ho voluto seguire le mie inclinazioni, i miei gusti, piuttosto che inseguire il consenso del pubblico. Questo lavoro di ricerca è stato apprezzato e oggi, con le difficoltà dei tempi che stiamo vivendo, posso affermare che la selezione che ho applicato su materie prime, ingredienti, processi e abbinamenti, ha raggiunto quella fascia di clientela che andavo cercando: colta, raffinata, di livello medo alto, molto curiosa e desiderosa di provare nuove esperienze, con un’apertura mentale in grado di comprendere il valore di quelle sensazioni ed emozioni che desidero comunicare”. In una Torino legata alle tradizioni ma aperta alle novità la clientela di The Soul Kitchen conta giovani e meno giovani, perché la voglia di provare esperienze nuove è per tutti: “In una fascia di clientela che comprende giovani e meno giovani, tutti sono accomunati dalla curiosità. I miei clienti non sono necessariamente vegetariani, anzi, la maggior parte di loro sono semplicemente in cerca di nuove esperienze e se stasera provano la mia cucina vegetale domani proveranno di sicuro qualcosa di totalmente diverso. È l’apertura mentale verso cibi e abitudini differenti a coinvolgerli: sono onnivori curiosi e amano una cucina gourmet ricercata, di prestigio”. Il ristorante di Luca André è rimasto chiuso diversi mesi durante la pandemia – “abbiamo approfittato per ristrutturare il locale” – e, coerente con il format scelto, lo chef non ha ceduto alla tentazione di rivoluzionare il suo metodo: “Non ho voluto reinventarmi tra delivery e food box, non mi piace. Ho visto troppi colleghi snaturare il loro stile per inseguire una tendenza che ritengo destinata a fallire. Ho ridotto i posti in sala, cosa già preventivata, anche a causa della difficoltà di trovare personale specializzato, e mantengo invariata la mia proposta di accoglienza: servizio di alto livello e proposte di valore, questa è la mia idea di ristorazione”.

Torino senza compromessi, che guarda avanti ma tiene i piedi per terra The Soul Kitchen è un esempio di come una ristorazione condotta secondo un programma ben definito e seriamente concepito possa conquistare una clientela sofisticata ed evoluta. Solidità e sperimentazione 54

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PIZZERIE Autrice: Marina Caccialanza

Pizzeria Avalon, il sogno si avvera Nel magico mondo di Avalon la vita è un sogno, è un viaggio che porta verso nuove esperienze 56

Al centro della Valle d’Aosta, a pochi chilometri dal capoluogo, Jovençan è un borgo immerso tra vigneti e frutteti. Un luogo accogliente, di pace e natura. Così deve essere apparso, a metà degli anni novanta, a Sonia Dal Molin, giunta dal Veneto con la famiglia per cominciare una nuova vita. “La nostra famiglia ha sempre avuto un’attività di pizzeria – racconta Sonia - fin dal 1978, in provincia di Vicenza, così quando ci siamo trasferiti nel luogo d’origine di mia madre ci è parso naturale continuare a fare quello che sapevamo fare meglio. L’abbiamo chiamata Avalon, come il magico regno delle fate, perché per noi in quel momento rappresentava il sogno di una nuova vita, e così è stato. Dal 2004, mio marito ed io siamo alla guida dell’attività e nel 2009 ci siamo trasferiti in questa struttura immersa nel verde delle colline. Facciamo solo pizza, e la facciamo con passione”. Non ci sono primi né secondi, ad Avalon; ci sono tante pizze, almeno un centinaio in carta, e sono pizze molto speciali. “La varietà del menù è frutto di anni di aggiornamenti e nuove idee; è frutto anche dei suggerimenti dei nostri clienti – spiega Sonia dal Molin - Proprio per | marzo 2022


questo, l’anno scorso, abbiamo creato una pagina delle novità, dove abbiamo raccolto le ricette create secondo i gusti dei clienti affezionati, le proposte che ci hanno fatto e che noi abbiamo messo in pratica. Fare solo ed esclusivamente pizze potrebbe essere un’arma a doppio taglio, c’è sempre qualcuno nella tavolata che preferirebbe qualcosa di diverso dalla pizza, ma noi siamo famosi proprio per questo: da noi si viene per mangiare pizza”. La prova del successo del locale è una clientela fedele che negli anni non è mai rimasta delusa e torna, ogni volta, con la certezza della qualità della proposta e dell’accoglienza. E la pizza di Avalon, non è certo una pizza qualunque, è una linea di produzione unica: impasto indiretto con biga, lunga lievitazione fino a 48 ore e una miscela di farine eccezionale perché elaborata personalmente e studiata con cura; farina di semolino, farina di riso, di soia e germe di grano. Le farine, da anni, sono Le 5 Stagioni e, miscelate sapientemente con lievito madre essiccato Naturkraft (pochissimo, ci tiene a precisare Sonia), danno origine a un impasto unico, tanto che la miscela è un marchio registrato perché esclusiva: “Con questa miscela e questo metodo di lavorazione, perfezionati da mio marito Jean Paul Quendoz, la nostra pizza è leggera, gustosa e digeribile da tutti. È il nostro biglietto da visita e ci identifica”. Solo una pizza vi pare poco? È tutto, in realtà, perché è il frutto di lunga esperienza e capacità unite a materie prime eccellenti secondo una filosofia di lavoro che premia la semplicità intesa come qualità ed essenza. Per questo, anche i topping sono creati secondo questa linea di pensiero, ci spiega Sonia Dal Molin: “Per gli ingredienti di base come mozzarella o pomodoro, naturalmente, ci affidiamo a prodotti tradizionali e marchi noti ma, per il resto, collaboriamo con diverse aziende agricole della zona, piccoli produttori che

ci forniscono verdure fresche di stagione, insalatine e rucola, ortaggi vari, per esempio le patate di Cogne, e formaggi tipici valdostani come la Fontina. Siamo orgogliosi di contribuire in questo modo all’economia locale, ci sembra giusto aiutare i membri della nostra comunità che sono anche amici oltre che produttori eccezionali”. Con questa filosofia in mente, la pizza di Avalon diventa qualcosa di insuperabile, ma non è l’unico pregio del locale di Sonia e Jean Paul. Quello che invita la clientela a tornare è anche l’atmosfera. La Pizzeria Avalon è il vero luogo d’accoglienza per le famiglie, un posto dove si sentono a casa, dove i bambini giocano e i grandi si rilassano. Non si viene ad Avalon solo per la pizza – è già è molto – si viene perché qui si sta bene. Racconta Sonia, con giusto orgoglio: “Lavoriamo tutto l’anno con la gente del posto e, in più, d’estate e nel periodo delle feste, anche con i turisti, soprattutto persone che hanno la seconda casa in zona. Ci sono clienti che scelgono la nostra pizzeria per festeggiare i compleanni, tutti gli anni; famiglie che tornano per trascorrere da noi la vigilia di Natale, e ormai è un’abitudine; altri che hanno il tavolo riservato, sappiamo che a una certa ora, arrivano. Tutto questo è motivo di soddisfazione, perché significa che si trovano bene con noi, e non solo per l’ottima pizza che sforniamo, ma per l’ambiente e l’atmosfera”. Si chiama “accoglienza” ed è l’essenza del “fare ristorazione”. Nel magico mondo di Avalon, si può.

Pizzeria Avalon Località Etral, 8 11020 Jovençan AO Tel. 0165-250300 www.pizzeria-avalon.it

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RISTORANTI Foto:Nicolangelo Sciacovelli

Autrice: Marina Caccialanza

Hagakure, internazionale con tendenza all’asiatico Il pesce come qualità della materia prima, il pesce come espressione ed evoluzione culturale: l’essenza del fusion d’alto livello

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La parola chiave per interpretare la personalità di Hagakure, format di ristoranti etnici fondato in Puglia da Vincenzo e Gianpiero De Giglio, è “pesce”. Non si tratta, però, come si potrebbe pensare, di semplice cucina di mare. Hagakure è l’evoluzione moderna della cultura del pesce nella cucina internazionale; una tendenza fusion basata sull’espressione più alta della materia prima. Vincenzo De Giglio ci spiega come nasce e perché: “Hagakure come società di ristorazione, è nata nel 2012 dalla consapevolezza della materia prima ittica e con l’obiettivo di portare sul mercato un prodotto di altissima qualità basato sull’approvvigionamento diretto. Infatti, mio fratello ed io, proveniamo da una famiglia che, in Puglia, ha fatto la storia della pesca e del pesce, armatori di pescherecci da oltre 40 anni”. Il mare e il pescato sono i mattoni coi quali

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si è costruita l’esperienza di Hagakure, ispirata alla passione per la cucina giapponese coltivata in anni di soggiorno in Oriente, attraverso la conoscenza del mondo ho.re.ca e l’analisi accurata delle potenzialità del mercato: “Non abbiamo fatto altro – spiega Vincenzo – che leggere e interpretare lo spazio di mercato evidente, sapendo di poter offrire un prodotto di qualità superiore a un prezzo evidentemente competitivo in quanto fruitori di una filiera accorciata”. 5 ristoranti lungo il tacco d’Italia, la Puglia: 3 locali a Bari, 1 a Taranto e 1 a Monopoli, per una clientela medio/alta che va dai 25 a 50 anni; un avventore colto, preparato, che ha voglia di sperimentare, sa come appagare la sua curiosità e apprezzare le sfumature dello stile Hagakure, complesso, forse sofisticato, ma dall’armonia fruibile e piacevole.

Una cucina internazionale moderna, con tendenza all’asiatico La cucina proposta da Hagakure non è catalogabile come semplice cucina etnica o in stile orientale; certamente non è catalogabile come cucina giapponese poiché la cucina giapponese risponde a dettami molto precisi ed è unica. La cucina di Hagakure è qualcosa che si sviluppa secondo un percorso di ricerca e approfondimento in costante evoluzione, spiega Vincenzo De Giglio: “Negli anni, la nostra filosofia si è evoluta; abbiamo cominciato, nel 2012, secondo un concetto di cucina fusion asiatica ma, col tempo, sia il mercato sia il palato stesso del cliente sono cambiati, seguendo l’evoluzione della gastronomia internazionale. Il menù si è ampliato e, oggi, possiamo affermare che i menù di Hagakuri sono l’espressione di una forma di cucina internazionale moderna con tendenza all’asiatico”. Uno dei piatti più rappresentativi di quello che Vincenzo De Giglio ama definire fusion evolution è il dumpling di black cod, un raviolo di merluzzo nero dell’Alaska marinato al miso, servito con verza al wok e beurre blanc alla francese. “Negli ultimi quattro anni – racconta Vincenzo – abbiamo lavorato molto lungo un percorso di valorizzazione delle nostre brigate di cucina, scegliendo personale tecnicamente preparato. Questo ci ha permesso di ottenere risultati tecnicamente studiati e piatti in grado di colmare quel gap difficilmente colmabile tra un buon piatto e un piatto perfettamente eseguito. Sono ricette difficili da realizzare, ma certamente al di sopra della media, che ci hanno fatto ottenere, recentemente, l’ingresso nella guida Gambero Rosso”. I ristoranti Hagakure sono declinati essenzialmente in tre format: Hagakure Fusion e Sushi, il primo realizzato, orientato metà su sushi bar e metà cucina; Hagakure Noh Samba, la punta di diamante, il ristorante gourmet dove l’executive chef Daniel Cavuoto ha

creato una sorta di laboratorio sperimentale per una cucina estremamente moderna e internazionale anche nel rapporto col sushi bar, elemento sempre presente, vero fil rouge intorno al quale ruota un concetto di cucina diverso, tecnico e studiato per creare un rapporto costruttivo col cliente gourmet, alla ricerca di un’esperienza gustativa che va oltre il convenzionale; infine, il Momi, più semplice, più street, per un target giovane dai 15 ai 40 anni. “Con questi tre format – conclude Vincenzo De Giglio – abbiamo raggiunto tutte le fasce di clientela possibile e soddisfatto diversi livelli di disponibilità di spesa, da chi si accontenta di un pokè a pranzo, fino al cliente sofisticato che sa apprezzare la cena gourmet”.

Hagakure Via Giovanni Amendola 203/205 70125 Bari Tel. 080 548 4792 www.hagakuresushi.it

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RISTORANTI Autrice: Giulia Zampieri Ci vogliono poco più di dieci minuti dal centro di Bolzano per arrivare a San Genesio, silenziosa cittadina delle Dolomiti altoatesine affacciata sulla Valle d’Isarco. Si tratta di pochi tornanti ma si sale di circa mille metri, quindi paesaggio e temperature cambiano notevolmente: le vie curate della città lasciano il posto a distese coltivate a fieno, sentieri panoramici e piccoli boschi di aghifoglie, a ridosso dell’Altopiano del Salto. É poco prima del centro di San Genesio, svoltando sulla destra, che s’incrocia la strada per l’Hotel Belvedere, una struttura di accoglienza di proprietà della famiglia Reichhalter-Leonhardy. In passato era gestito dalla signora Frieda, la vera fonte ispiratrice di questo luogo, oggi tra i più apprezzati per il modo di ospitare e ristorare.

Hotel Belvedere San Genesio

un luogo di benessere e piacere

Tra i migliori hotel per architettura e design Una prima ricerca mi ha fatto scoprire che nel 2019 il Belvedere ha ottenuto il titolo come vincitore della categoria wellness per Hotel&Design, prestigiosa rivista di architettura e design per alberghi di lusso. L’estetica dell’edificio è dunque il primo, inconfutabile, biglietto da visita: costruito su più piani, è delimitato da linee moderne e grandi vetrate, rifinite con tinte tortora e ruggine, lontane dalle forme degli hotel tradizionali di montagna. Le sensazioni si fanno più morbide quando si arriva alla reception: all’interno vi è un’atmosfera accogliente, che riporta alla tipica “stube” altoatesina grazie alla massiccia presenza del legno, ma rimanda anche all’eleganza degli hotel internazionali grazie agli elementi di arredo e design, quali lampade, tavolini originali e sofà. Non è così improbabile che appena entrati abbiate subito il desiderio di accomodarvi per un aperitivo,


magari di fronte al camino, o sulla terrazza: un ottimo modo per inaugurare al meglio la permanenza. Anche le stanze e le suite sono state progettate nei minimi particolari, dotate di ogni comfort e servizio, qualunque sia il pacchetto scelto. Senza che chiediate un membro dello staff vi ci accompagnerà dopo una veloce visita a tutte le aree comuni dell’hotel, raggiungibili anche tramite ascensore.

Il benessere e le attività proposte dall’hotel L’inserimento ne La Relax Guide, la guida Gault Millau per i wellness hotel, è un buon indizio invece sulla qualità dei servizi di questa insegna, scelta indistintamente da famiglie o coppie per trascorrere un soggiorno di incontaminato relax. L’area spa offre sauna finlandese e danese, bagno turco, sauna con vista sulla valle, e una relax room che concilia il sonno (o la lettura, dipende!) in cui non mancano mai musica rilassante, tè e corroboranti infusi. L’altra protagonista è la piscina riscaldata, a sfioro, interna ed esterna, in cui vi si può immergere dalle prime ore del mattino fino al tardo pomeriggio, godendo di un panorama meraviglioso sulle Dolomiti. Oltre alla vista, l’altra fonte di piacere di questo angolo mite è l’acqua calda, un toccasana soprattutto per chi ha trascorso la giornata tra le piste da sci o i sentieri innevati usufruendo di una delle escursioni organizzate dall’hotel. Un servizio, quello delle uscite organizzate, fornito anche in primavera, con escursioni a cavallo, passeggiate, uscite in mountain-bike pensate per chiunque voglia scoprire siti e scorci naturali in Alto Adige. Per chi invece preferisce curare il proprio corpo, oltre ai corsi di yoga e alla possibilità di usufruire di una palestra, è disponibile un ricco listino di trattamenti e massaggi.

A pranzo o nel pomeriggio si può usufruire del bistrot, mentre la cena prevede un menu vero e proprio, scelto dai clienti, con proposte per tutti i palati e per tutte le esigenze alimentari. Genuinità e creatività sono le parole chiave, tradotte in cotture attente, utilizzo ridotto dei grassi, impiattamenti originali e misurati. La sensazione a fine pasto è di aver mangiato il giusto e bene, a meno che non abbondiate con il buffet di verdure che anticipa la cena! Molte attenzioni sono riservate anche per la carta dei vini, orientata sulle produzioni della zona, quindi su Pinot Noir e Lagrein, ma anche su etichette provenienti dall’Italia e non solo. Se avrete voglia di approfondire, i Reichhalter-Leonhardy organizzano anche visite nelle cantine vicine, come Muri-Gries, la cantina di Bolzano, la distilleria Walker. Grande merito va anche al personale, formato per relazionarsi con i clienti, fornire suggerimenti e nozioni su preparazioni e prodotti, come dovrebbe essere in ogni ristorante d’hotel che si rispetti. In inverno si cena all’interno (chiedete di riservarvi il posto panoramico); quando il tempo lo permette, invece, si può stare nel dehors soprastante la piscina e godere del sole e della brezza della montagna.

Un ristorante d’albergo all’altezza Potrebbero già bastare questi come presupposti per una vacanza perfetta, ma la famiglia Reichhalter-Leonhardy ha voluto garantire ai propri ospiti un’esperienza piacevole anche sul fronte eno-gastronomico. D’altronde il piacere in una vacanza, ne siamo e ne sono convinti, non può prescindere dal buon cibo e da un’accoglienza adeguata. Nella cucina dell’hotel Belvedere si lavorano prodotti freschi, per lo più biologici, locali e stagionali, acquistati da aziende e masi della zona, ponendo attenzione ai gusti territoriali, ma anche allo stile mediterraneo. La colazione è d’impronta internazionale, ma fortemente legata al luogo: burro fresco, confetture di ogni sorta e torte fatte in casa per gli amanti del dolce; uova e pancetta, salumi e formaggi per chi predilige il salato. E ancora una grande varietà di semi e frutta secca, frutti e ortaggi per estratti, yogurt da guarnire a piacere, bevande calde e succhi.

Hotel Belvedere Fam. Reichhalter-Leonhardy Pichl 15 , San Genesio 39050 Alto Adige , Italia Tel. 0471 354127 www.belvedere-hotel.it

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TREND Autore: Luigi Franchi

Estate 2021, come è andata? Il sondaggio di Lavoroturismo.it Lavoroturismo.it è nostro partner da diversi anni, con una rubrica mensile sulla rivista scritta da Oscar Galeazzi. Una collaborazione che ci ha visti, per il secondo anno consecutivo, partner del sondaggio sulla stagione estiva 2021. Un lavoro che aiuta a capire perché, ad esempio, la carenza di personale è stata così elevata. Il sondaggio ha riguardato sia gli imprenditori sia i lavoratori del settore, circa 1.650 persone. Uno dei dati che emergono, per quanto riguarda le risposte dei lavoratori stagionali, è quello del giorno di riposo: “nei prossimi anni le aspettative cresceranno

velocemente. Questa è dunque una raccomandazione alle aziende, affinché perseguano con determinazione ma anche con rapidità il loro percorso di crescita e di miglioramento delle condizioni di lavoro, perché quello che oggi è considerato positivo, accettato, tollerato, non è garantito che lo sia domani. – afferma Oscar Galeazzi - Un esempio di ciò che voglio dire, la mancanza del giorno libero: fino a pochi anni fa, nei lavori stagionali era la regola; oggi se non lo offri, oltre che essere fuori norma (questo anche prima!), hai seri problemi a trovare personale che venga a lavorare in azienda. Fra pochi anni, si porrà il problema di offrire

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a tutti, anche agli stagionali, due giorni liberi”. Sembra assurdo che, nel 2021, si debba ancora parlare di diritto al riposo ma così stanno le cose! Vediamo, nel dettaglio, i risultati del sondaggio.

Il problema del personale L’estate 2021 ha registrato un’elevatissima carenza di personale, valutata da alcuni per un 20% dell’occupazione, ad avviso di altri anche con percentuali superiori. Afferma Oscar Galeazzi: “Nell’estate 2021 si è verificata quella che io definisco la tempesta perfetta del lavoro nel turismo: specialisti che per insicurezza hanno cambiato settore, personale straniero che per paura o per restrizioni non è venuto a lavorare in Italia, persone che rifiutavano le offerte di lavoro, professionisti a casa e pagati dallo Stato perché in cassa integrazione.” Perché così tante persone non hanno trovato lavoro? Il sondaggio ha rilevato i principali motivi: 1. lo hanno cercato – come si fa normalmente - prima della stagione, quando ancora c’erano poche posizioni aperte per l’incertezza sul numero di assunzioni da parte delle aziende; 2. non hanno usato tutti i canali disponibili, in particolare quelli online; 3. hanno avuto proposte per periodi brevi (2-3 mesi), di poco interesse per chi si deve trasferire; 4. avevano - in parte ridotta - politiche di sostegno al reddito; 5. per altri fattori secondari. Contrariamente all’opinione comune, in particolare

tra gli imprenditori, la percentuale di persone con reddito di cittadinanza è risultato molto basso. (3%). Molte, invece, le persone, il 28%, che usufruivano della NASpi - Nuova Assicurazione Sociale per l’Impiego, ovvero l’indennità mensile di disoccupazione.

I fattori che determinano la scelta di un lavoro È stato chiesto alle persone quali sono i fattori di attrazione più importanti nella scelta di un lavoro rispetto a un altro. Fino a pochi anni fa, il denaro era l’elemento trainante; oggi non è più così. Ci sono elementi valutati più importanti. Non stupisce il primo posto del benessere sul posto di lavoro; interessante vedere al secondo posto la valorizzazione della persona e del suo lavoro, terza posizione lo stipendio, in quarta giorni liberi e buoni orari di lavoro. Questo un messaggio forte e chiaro: se un’azienda vuole attrarre dipendenti, non può agire solo sulla leva del denaro; deve agire contemporaneamente su altri fattori, e lo deve fare con tecniche di employer branding, di valore del marchio, visto che dall’esterno una persona ha difficoltà a valutare aspetti come il benessere sul lavoro e la valorizzazione della persona. Le pratiche di employer branding sono poco diffuse nei nostri settori, quasi sconosciute nelle aziende stagionali. L’employer branding sarà, invece, nei prossimi anni uno strumento determinante per acquisire collaboratori.

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Stipendi, orari e giorni liberi Se escludiamo chi risponde di non poter confrontare tra stipendio percepito nell’ultima stagione e stipendio precedente, è un segnale di allarme leggere che quasi il 32% dei partecipanti ha guadagnato meno. In merito agli orari di lavoro, escludendo chi ha lavorato in part time, oltre il 55% delle persone ha lavorato ogni giorno troppe ore: da 9 a più di 12. A questo aggiungiamo un altro dato, che rispetto all’anno precedente quasi il 40% dichiara di aver lavorato più ore. In merito al giorno libero settimanale di riposo, quasi un lavoratore su cinque non ha mai avuto giorno libero durante tutto il suo impiego lavorativo.

La voce degli imprenditori Alla domanda relativa alla ricerca e assunzione del personale si evidenzia come l’incertezza iniziale ha certamente influito nelle ridotte assunzioni di inizio stagione, ma poi le aziende hanno assunto e anche più del solito (43%). In realtà, avrebbero assunto molto di più, se avessero trovato il personale. Quasi il 70% delle aziende ha avuto molta difficoltà nella ricerca di personale. Secondo le aziende, tra le cause di questa carenza, troviamo due grandi tematiche: le ben poco apprezzate azioni di sostegno al reddito; l’ampiamente discusso Reddito di cittadinan-

za, rinforzato da Indennità di disoccupazione. La mancanza di voglia e passione per il lavoro e una formazione non adeguata. Presente anche se in misura notevolmente inferiore, un po’ di autocritica: quasi un’azienda su cinque ha evidenziato tra le cause di difficoltà di reperimento di personale la scarsa valorizzazione dei collaboratori. Circa una su sei comportamenti non corretti delle aziende. In merito ai settori nei quali la carenza di personale è più marcata, si confermano al primo posto il settore servizi di sala e bar, seguiti dalla cucina. Ma la rivelazione, la star del 2021, è il settore pulizie, che negli anni precedenti vedeva attenzioni ridotte, e che quest’anno invece ha evidenziato una fortissima carenza di cameriere ai piani. È evidente la discrepanza di analisi tra i lavoratori e gli imprenditori, una discrepanza che mette in risalto una mancanza di dialogo che è indispensabile per migliorare il settore.

Il dehor di Eataly a Milano

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PRODUZIONE Autore: Guido Parri

Surgital presenta CONFONDENTE il progetto dedicato ai professionisti della ristorazione per scoprire il volto nuovo del cioccolato in cucina e il connubio perfetto con la pasta senza eguali. Spiazzante, inaspettato, intrigante: Surgital ha deciso di trasformare il vissuto del cioccolato nelle cucine professionali, mantenendo il suo altissimo valore culinario e il contributo di texture e sapore proprio di questo ingrediente, ma cambiando il contesto in cui viene solitamente impiegato. Il risultato è Confondente, un progetto griffato Divine Creazioni®, linea premium dell’azienda, che si è tradotto anzitutto in un corso di alta formazione a cui, a partire da marzo, gli chef potranno accedere. A guidare i professionisti in questo viaggio alla scoperta del cioccolato, delle sue peculiarità e del modo in cui può rivelarsi un elemento perfetto per diverse portate del menù, sarà in ognuno degli appuntamenti in calendario uno chef APCI, partner dell’iniziativa. I partecipanti saranno introdotti al mondo del cioccolato, un ingrediente da sempre impiegato princi-

palmente nei dessert e quindi approcciato d’abitudine dai pastry chef: una contestualizzazione che Confondente mira a cambiare, ampliando il panorama delle sue interpretazioni alla scoperta delle sue molte potenzialità. Il corso prevede dunque di trasferire le conoscenze di base sul cioccolato e poi di guidare nella realizzazione pratica di alcune ricette estremamente raffinate che spaziano dall’antipasto, ai primi per concludersi con un dessert. Un viaggio nel sapore, nell’eleganza e nella creatività che promette agli iscritti di ricevere strumenti funzionali ad arricchire la proposta in menù dei propri locali, con una modernità di approccio in grado di renderli decisamente distintivi. Confondente avrà dunque grandi protagonisti d’eccezione: la pasta senza eguali di Surgital e il cioccolato di Barry Callebaut. L’eccellenza al servizio dell’eccellenza. Saranno nelle cuci-

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ne, palcoscenico degli appuntamenti in calendario, ma anche nel ricettario che, insieme a una esclusiva box con nove diversi tipi di cioccolato che i corsisti avranno modo di conoscere, tutti gli chef partecipanti riceveranno in omaggio. Come sempre Surgital ha messo a disposizione tutta la competenza e la creatività degli chef di De Gusto per studiare le pietanze contenute che fanno del cioccolato non un espediente meramente estetico o un puro esercizio di stile, ma un protagonista che insieme alle Divine Creazioni® e alle altre materie prime selezionate crea un virtuoso matrimonio di sapori e consistenze per una sublime esperienza sensoriale. Dodici ricette spiazzanti in grado di suggerire una visione nuova, sorprendente e stimolante per ulteriori personali interpretazioni. Da questo studio di Surgital sulle molteplici e inedite possibilità di incontro tra cioccolato e pasta è nata anche la nuova proposta della linea Divine Creazioni®: gli Scrigni con Gorgonzola DOP e cioccolato Ruby. Gli opposti si attraggono in questa Divina che è pronta a stupire: il cioccolato Ruby, che per la prima volta viene impiegato in una referenza salata, incontra il Gorgonzola DOP, un formaggio di grandissima personalità. A contenere l’abbraccio di questi due ingredienti speciali sono gli Scrigni®, il formato griffato Surgital che oltre ad avere un design speciale, riconoscibile perché unico e di grande valore estetico, ha la capacità di proteggere, custodire e poi far sprigionare al momento giusto tutto il suo raffinato contenuto. La nuova Divina offrirà anche l’occasione di vivere in prima persona un viaggio multisensoriale alla scoperta del connubio cioccolato e pasta: da aprile sarà attivo infatti il concorso “Divine Ruby- Vince chi Rosa” che metterà in palio alcuni week end extra lusso nella patria della pasta fresca e di Surgital e una visita esclusiva in azienda con una cena speciale dedicata i vincitori.

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una terra, una famiglia, una forma

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LIBRI Autore: Luigi Franchi

Cin cin Italia, guida agli spumanti italiani

Cin cin Italia guida agli spumanti italiani Piero Bolfo, Giuseppe Bozzini Mursia Editore pag. 197 lire 18000 euro 2 in un mercatino

“Le verità nel mondo del vino sono tante quante le persone che lo bevono”, lo scrivono Piero Bolfo, albergatore e oste, e Giuseppe Bozzini, giornalista, in una delle belle pagine di questo libro pubblicato nel 1983, che ho acquistato su una bancarella. Perché recensire un libro di 40 anni fa? Perché leggere la storia è sempre cosa utile, soprattutto quando questa è scritta nello stesso momento in cui si svolge. In quel periodo parlare di spumante italiano significava raccontare un mondo di soli 10 milioni di bottiglie prodotte con il metodo classico, mentre la produzione mondiale si aggirava su 1.400 milioni di bottiglie, di cui 260 milioni di Champagne che, due secoli prima, ne produceva 300.000 bottiglie). Un’epoca dove regnava indiscusso lo champagne e brindare con uno spumante italiano pareva una cosa da poveri. Tranne qualche nome noto come il Giulio Ferrari, erano poche le cantine che avevano il coraggio della sfida con il ben più famoso francese. A cominciare dal trovare un nome adeguato al lignaggio: si sprecavano le glorie patrie, i blasoni di duchi, marchesi, conti grondavano da ogni etichetta ma la difficoltà era trovare un nome univoco per quel tipo di produzione. Un fenomeno che si è trascinato per i decenni successivi ma mi fermo qui. Se lo trovate Cin cin Italia è una lettura da fare con gusto.

Storie e sapori di Sicilia Un libro bellissimo e fondamentale per chi vuole scoprire la Sicilia che Gaetano Basile, accademico della Cucina Italiana e compagno ideale di viaggio di Roberta D’Ancona, l’autrice, in questo volume la racconta così: “L’incontro con il nostro cibo rimane impresso nella memoria di ogni visitatore. Come un’esperienza trapunta di colori e aromi tipici che assimilerà al paesaggio sempre vario. Come i suoi abitanti, saranno piatti ricchi o poveri, sempre generati dalla fatica che si abbatte su un territorio talvolta aspro, in un paesaggio dai toni abbaglianti della luce, dai profumi inebrianti, le cui forme muteranno di continuo. Sotto i vostri occhi. Per non lasciarsi catturare mai. I suoi colori avranno tutte le gamme del Creato: dal verde della costa al giallo dell’entroterra, fino all’azzurro del mare e al nero della lava e dell’ossidiana”. Una descrizione della Sicilia che racconta di dominazioni greche, romane, arabe, normanne, angioine che hanno lasciato, ognuna, sapori e ricette che si sono mischiate fino ai nostri giorni, unendo, con l’arrivo dei monsù, cucina povera e aristocratica. Un viaggio storico, la descrizione delle tipicità di ogni provincia e, infine, diciannove chef con le loro ricette fanno di questo libro una pietra miliare della cucina siciliana.

Storie e sapori di Sicilia Roberta D’Ancona Bonfirraro editore Pagine358 Euro 27,50 www.bonfirraroeditore.it

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PRODOTTI Autrice: Marina Caccialanza

Dai mari del nord in tavola: merluzzo, baccalà o stoccafisso Il merluzzo è uno dei pesci più diffusi e utilizzati in cucina sia come alimento fresco sia nelle sue due varianti conservate, il baccalà e lo stoccafisso. 70

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Secondo la Dieta Mediterranea, il pesce è un alimento importante, principale fonte di proteine animali e acidi grassi omega 3. Numerosi studi hanno evidenziato che le popolazioni con un alto consumo di pesce sono meno esposte ai rischi di malattie cardiovascolari e tumori. La maggior parte delle proprietà salutari del pesce sono attribuite agli omega 3 e i pesci grassi come il salmone, il merluzzo, sardine, alici, trote e tonno sembrano essere i più indicati ad aumentarne l’apporto. Il merluzzo è un pesce che vive nell’Atlantico settentrionale, spesso confuso col nasello che invece vive nel Mediterraneo. Il suo utilizzo in cucina è vasto per l’ottima qualità della carne, inoltre si presta molto bene alla surgelazione e le sue uova, salate e affumicate, vengono commercializzate come sostituto del caviale. La carne del merluzzo è gustosa e di buona consistenza, per questo si presta ottimamente a svariate preparazioni e compare nelle ricette tradizionali di tutte le regioni d’Italia e nel resto del mondo. Possiamo citare lo stocco all’anconetana, lo stoccafisso alla trentina, il fritto in pastella alla lombarda, il baccalà alla messinese: i siciliani, che hanno imparato ad apprezzarlo grazie ai Normanni, lo chiamano piscistoccu (stoccafisso). Una delle prerogative più interessanti del merluzzo è la sua versatilità e adeguatezza ad essere conservato; prerogativa che è alla base della sua diffusione. Infatti, dobbiamo pensare che se oggi abbiamo a disposizione strumenti di refrigerazione che consentono la conservazione del pesce, come di ogni altro alimen-

to, un tempo non esistevano e il pesce, tra le materie prime più deperibili, non arrivava nelle zone territoriali interne. I pesci di laguna, come anguilla o carpa, erano trasportati vivi e pertanto il consumo dei pesci di acqua dolce poteva essere programmato; per i pesci di mare questo non avveniva e il suo consumo era puramente casuale e circoscritto.

Storia e diffusione Il 18 dicembre 1497, Raimondo de Raimondi spedisce da Londra a Milano una lettera a Ludovico il Moro dove racconta che Giovanni Caboto e i suoi compagni inglesi sono soliti portare dall’Islanda lo stockfish (stoccafisso) scoperto tra i banchi di Terranova. Intanto, i Baschi, pescatori di balene, si accorgono che la carne del merluzzo che pescano nei territori Vichinghi può essere conservata meglio di quella dei cetacei e poiché dispongono di una materia prima che al nord è pressoché inesistente, il sale, utilizzano la tecnica della salagione. Lo sfruttamento del prodotto, diventa, in questo modo, diffusione anche nella versione sotto sale col nome di bacalao per opera, principalmente, degli Spagnoli e dei Portoghesi che lo introducono perfino nelle zone dell’entroterra come la Francia centrale e la Pianura Padana. È il pesce salato, quello che riscuote maggior successo mentre lo stockfish rimane un prodotto norvegese per molto tempo ancora e distribuito soprattutto nel nord Europa.

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In Italia, baccalà e stoccafisso, vengono diffusi soprattutto attraverso l’alimentazione collettiva (albergo dei poveri, opere pie, conventi) sostituendo alla fine del ‘500 il costoso pesce fresco obbligatorio nei giorni di magro. Oggi, è importante, al momento dell’acquisto assicurarsi che il prodotto rispetti le direttive del Decreto Ministeriale datato 1997 che regolamenta e riserva la denominazione di “baccalà e stoccafisso” solo ai merluzzi delle specie Gadus morhua e Gadus macrocephalus (o merluzzo del Pacifico), commercializzati in forma salata (baccalà) o essiccata (stoccafisso).

La tecnica di conservazione del merluzzo mediante essiccazione all’aria e al vento è caratteristica dei mari del Nord, in particolare nelle isole Lofoten. Gli esemplari che arrivano alle isole tra gennaio e aprile vengono chiamati in norvegese skrei, un termine che si riferisce al moto compiuto dai pesci che si spostano in branchi. Il nome più comune di stoccafisso, invece, deriva dall’inglese stock fish cioè “pesce da stoccaggio”. Il pesce viene essiccato all’aperto, grazie all’azione del sole e del vento, su apposite rastrelliere; durante il periodo di essicazione si tiene sotto controllo costantemente la distanza tra un merluzzo e l’altro che deve essere tale da far circolare l’aria e impedire la formazione di macchie, muffa o residui di sangue. Al momento dell’acquisto, lo stoccafisso presenta il corpo rigido, privo di testa, forma schiacciata e spessore sottile. Prima di essere utilizzato deve essere accuratamente reidratato con un lungo ammollo finché non triplica di volume. A questo punto la polpa è morbida ed elastica e dopo un’accurata pulizia che consiste nell’eliminazione di tutte le parti coriacee come le pinne, la lisca centrale e le spine si può procedere alla cottura. La pelle si rimuove a piacere.

In Veneto, dove il consumo di stoccafisso è molto diffuso nella cucina popolare, il merluzzo essiccato si chiama “baccalà”, il che crea qualche confusione. In effetti, il famoso “baccalà alla vicentina” è un piatto a base di stoccafisso. Ma veniamo al baccalà. È merluzzo conservato sotto sale. Il termine deriva dallo spagnolo bacalao, derivato a sua volta dal fiammingo baccheliauw. Il baccalà si presenta all’acquisto privo di testa e aperto a libro. Prima dell’utilizzo deve esser sottoposto a un lungo ammollo allo scopo di reidratarlo e dissalarlo. Anche per il baccalà, prima della cottura si deve eseguire una pulizia accurata. Generalmente si preferisce lasciare la pelle perché dà sapore e densità ai sughi. Infatti, la preparazione più comune è quella in umido che ammorbidisce e arricchisce i tessuti del pesce ma le ricette sono molte e diverse, dalla semplice lessatura alla cottura arrosto, dalla frittura alla cottura in olio a fuoco bassissimo. Gli esemplari migliori di baccalà sono quelli di taglia media e colore bianco, mai giallastro. Per procedere all’ammollo bisogna immergere il baccalà in una bacinella di acqua fresca, spazzolare via il sale, sciacquarlo e tenerlo a bagno per almeno 48 ore cambiando l’acqua più volte, soprattutto nelle prime ore. Un piatto tipico della cucina basca è il bacalao al pil pil, cotto in una salsa a base di olio e aglio sbattuta fino a diventare una specie di crema molto vellutata. In Portogallo è molto popolare il baccalà cotto con patate e cipolle. Da noi, si cucina col pomodoro e i peperoni in Campania, fritto in Lombardia, con un intingolo ricco di pomodoro, olive e uvetta nel Lazio, ma le versioni sono infinite. Pellegrino Artusi ne esalta il valore e lo consiglia nella versione “baccalà alla fiorentina”: tagliato a pezzi larghi, infarinato, rosolato con olio e aglio e cotto con pomodoro.

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Conservabile e trasportabile: i suoi plus


Brandade di baccalà Ingredienti per 4 persone 1 kg di baccalà dissalato, 500 g di patate lesse, 1 cipolla bianca, 1 spicchio d’aglio, vino bianco, brodo di pesce, olio extravergine di oliva della riviera ligure, sale e pepe, 50 g di olive taggiasche, 50 g di capperi, Per l’olio in polvere 25 g di olio di oliva extravergine della riviera ligure, 100 g di maltodestrina Per 20 g di crema al prezzemolo un ciuffo di prezzemolo, 1 cucchiaio di xantana, 100 g di acqua Per 20 g di crema al pomodoro 2 pomodori rossi, 1 cucchiaino di xantana, 50 g di acqua

Frullate la cipolla e l’aglio e fate rosolare in un tegame con olio extravergine. Tagliate le patate a rondelle di circa 1 cm di spessore, unitele alla cipolla e cuocete il tutto per qualche minuto. Aggiungete il baccalà a pezzi. Fate rosolare, sfumate con il vino bianco e, quando sarà evaporato, versate un poco di brodo di pesce. Aggiustate di sale e pepe e ultimate la cottura. Passate il baccalà in una planetaria e, con l’aiuto del gancio a foglia, rendetelo simile a una crema. Fate l’olio in polvere emulsionando l’olio extravergine con la maltodestrina finché non assumerà, per l’appunto, una consistenza polverosa. Per la crema al prezzemolo, frullate il prezzemolo con l’acqua, passatelo al colino e unite un cucchiaino di xantana. Posizionate il baccalà caldo al centro del piatto, guarnite con l’olio in polvere, la crema di pomodoro e il prezzemolo, le olive e i capperi.

La ricetta è tratta da Il Piatto dei Desideri di Ivano Ricchebono – Trenta Editore, 2019 - foto Paolo Picciotto

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ISCRIVITI AL CANALE


ASSOCIAZIONE GASTRONOMI PROFESSIONISTI

Il Premio dell’Associazione Gastronomi Professionisti Autore: Guido Parri Tendere all’eccellenza, in un settore fatto di numerosi ambiti e tantissime professionalità diverse. Questa è da sempre la missione dell’Associazione Gastronomi Professionisti, e questo è l’obiettivo di tutte le attività che negli anni passati sono state promosse. Un’eccellenza che, dallo scorso anno, trova il momento di essere celebrata nel corso della serata di assegnazione del premio AGP, e poiché, come detto, gli ambiti investiti dalle Scienze Gastronomiche sono innumerevoli, l’associazione ha deciso che a essere insigniti del premio dovessero essere tre diversi professionisti attivi in altrettanti

settori dell’enogastronomia: comunicazione, ricerca e sviluppo e promozione internazionale della gastronomia italiana nel mondo. L’occasione per premiare queste personalità è stata la serata del 21 dicembre scorso presso nell’Auditorium Carlo Mattioli di Palazzo del Governatore in Parma, alla presenza di soci, personalità del mondo accademico ed enogastronomico e tanti curiosi, si sono tenute le premiazioni, nel corso di una piacevole serata all’insegna della cultura e della convivialità aperta dalla presentazione del libro “Il brodo di Natale in Emilia-Romagna” scrit-

Da sinistra, in una foto vintage, Valentino Marcattilii, Natale Marcattilii, Gianluigi Morini e Massimiliano Mascia


Da sinistra Tinto, Andrea Amedei e Fede

to da Irene Fossa e Mattia Fiandaca e illustrato da Lucia Catellani ed edito da Terrae Opificio Culturale Enogastronomico. Il libro, un viaggio di casa in casa lungo la via Emilia, da Piacenza a Rimini, alla scoperta delle ricette e dei ricordi legati al primo piatto in brodo del giorno di Natale, conduce il lettore, tra storie e aneddoti, alla conoscenza, tra gli altri, dell’anolino De.Co. di Fidenza, del tortellino tradizionale di Castelfranco Emilia e del cappelletto all’uso di Romagna n. 7 di Pellegrino Artusi, con un forte fine benefico che fa sì che parte del ricavato delle vendite vada a Il Tortellante, laboratorio di autonomia per ragazzi e adulti nello spettro autistico di Modena. Dopo l’intervento dei professori dell’Università di Parma Francesca Scazzina, Filippo Arfini e Daniele Del Rio, a suggellare l’importanza che il mondo accademico attribuisce a questa associazione che, in primis, si pone al servizio dei neolaureati, è stata quindi la volta delle premiazioni vere e proprie e il primo a essere insignito è stato Valerio Antolini, fidentino, laureato in chimica con indirizzo alimentare e in Scienze Gastronomiche all’Università di Parma, e docente in Scienza e cultura alimentare presso l’Istituto Superiore Alberghiero Giuseppe Magnaghi di Salsomaggiore Terme. Per il suo impegno nella ricerca gastronomica e nel recupero di antiche ricette - spesso sconosciute - nel riproporle in chiave più attuale si è

guadagnato il premio per la ricerca e lo sviluppo in ambito gastronomico. Il secondo premio, per la divulgazione gastronomica e la comunicazione, è stato assegnato agli autori e conduttori del programma radiofonico Decanter Rai Radio2, Federico Quaranta, Tinto e Andrea Amadei, per aver ideato e messo a punto un programma radiofonico ormai storico, basato su interessanti contenuti culturali, comunicati con maestria e, allo stesso tempo, abbinati a un tocco di immancabile ironia. A ritirare il premio è stato Andrea Amadei, che all’Università di Parma si è laureato in Scienze Gastronomiche e che ha frequentato, presso lo stesso Ateneo, il Master in Cultura, Organizzazione e Marketing dell’Enogastronomia Territoriale. A chiudere la serata è stato l’intervento del terzo premiato, in rappresentanza del mitico Ristorante San Domenico di Imola, due stelle Michelin e una storia tutta da raccontare, Valentino Marcattilii. Al San Domenico è andato infatti il premio Internazionale per la Gastronomia e ai fratelli Natale e Valentino Marcattilii, insuperati professionisti del settore, va il merito di tenere ancora oggi ben salde le redini, assieme allo chef Massimiliano Mascia, di questo straordinario tempio della gastronomia italiana fondato cinquant’anni fa per volontà di Gianluigi Morini, grande appassionato di arte e bellezza. Come da intenti dell’associazione questo appuntamento è stato un’importante occasione di scambio e di conoscenza reciproca tra eccellenze dell’ampio panorama enogastronomico nazionale, con lo scopo di creare un circuito sempre più virtuoso e stimolante per i soci e i componenti della filiera agroalimentare, una ricorrenza ormai consolidata per chiudere, sì, un anno, ma, soprattutto, per iniziare quello successivo con le migliori intenzioni.

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Valerio Antolini



NOVITÀ Autore: Guido Parri

L’Aberdeen Angus Sired, una continua ricerca all’insegna della qualità superiore e del buon gusto. Un’eccellenza Unika. www.unikaforchefs.com Il nostro Aberdeen Angus Sired UNIKA® è un viaggio alla scoperta dell’Irlanda, un paese dominato da immensi prati verdi, caratterizzato da un clima particolare, in cui le precipitazioni sono frequenti e influenzano la vegetazione, l’allevamento e tutto il territorio che la contraddistingue. E’ proprio da qui che è partito il nostro progetto, quando la nostra azienda ha cominciato a ricercare i migliori partner irlandesi dai quali acquistare le nostre scottone. Sono femmine di bovino che non hanno ancora filiato, distinguibili dall’inconfondibile e caratteristico manto nero, tipico della razza Angus. Dopo un primo periodo in Irlanda, le scottone di Aberde-

en Angus Sired vengono portate in Italia, dove, per almeno quattro mesi, la tradizione e l’innovazione dell’allevamento italiano vanno a completare il lavoro iniziato in Irlanda, dando vita ad un progetto e ad una carne unica nel suo genere. La fase di finissaggio in Italia è infatti cruciale per ottenere la tipica carne firmata UNIKA®: è il periodo in cui l’alimentazione si perfeziona per ottenere il giusto grado di inconfondibile marezzatura. Il prodotto che ne deriva è una carne marmorizzata, dal gusto deciso ma al contempo più delicato del gusto tipico dell’Angus. Un prodotto entrato a far parte della linea UNIKA® e che si spicca grazie alla sua storia ma soprattutto grazie ai risultati concreti che ne derivano: un sapore unico, ideale nell’alta ristorazione, per far vivere al consumatore finale un’esperienza gastronomica che va oltre la mera degustazione di carne. L’obiettivo, infatti, di questo ambizioso progetto è dare un prodotto di altissima qualità e dal gusto unico e trasferire nelle cucine dei migliori ristoranti e nei piatti dei clienti la passione di chi, ogni giorno, dedica tempo, cura e amore, emozioni che comunicano una storia da raccontare e gustare. Siamo sempre alla costante ricerca di innovazioni, miglioramenti, scoperte che possono dare un plus ai ristoratori. Vogliamo valorizzare il prodotto cogliendone tutte le sfumature e le peculiarità: per questo, oltre ai tagli tipicamente del roastbeef o della coscia, vogliamo proporre una gamma di tagli dell’anteriore del bovino dedicati a cotture nuove, a ricette originali e soprattutto dedicate ai trend del momento.

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ABBINAMENTI

È pressoché impossibile non conoscere Il luogo di Aimo e Nadia, un ristorante icona nel mondo della gastronomia italiana. Il fondatore, Aimo Moroni, classe 1934, nasce a Pescia, in Toscana, e nel 1946 va a Milano e lavora in vari ristoranti, fino a quando, nel 1955, prende in gestione, con la madre Nunzia, una trattoria in Milano, nei pressi della stazione centrale. Nel 1962, insieme alla moglie Nadia, aprono un ristorante in Via Montecuccoli e vi lavorano per altri 50 anni con creatività ed entusiasmo, fino ad ottenere riconoscimenti prestigiosi dalla stampa internazionale, oltre alle stelle della Michelin. Stefania, loro figlia, li ha sempre affiancati fino a subentrare, quando Aimo e Nadia hanno raggiunto l’età pensionabile, nella realtà imprenditoriale insieme ai due chef Alessandro Negrini e Fabio Pisani. Nel 2018 il ristorante viene completamente ristrutturato creando un nuovo spazio annesso al ristorante con una cucina aperta, il Theatrum dei sapori. È un luogo più vicino a un ambiente domestico che a un ristorante. Sempre nel 2018 il Luogo di Aimo e Nadia due stelle Michelin, si trasforma ulteriormente, dando vita ad altri due locali, sempre a Milano: il Bistro Aimo e Nadia, nato con la collaborazione di Rossana Orlandi ed Etro, nel quale si fondono design, piaceri del gusto e convivialità e Voce Aimo e Nadia, locale caffetteria e ristorante gourmet, accanto al polo museale della Galleria d’Italia. Il piatto da me scelto è il Tortello di grano saraceno farcito di colombaccio, leggermente affumicato alle spezie, che ho voluto abbinare al Barolo Le Vigne, annata 2001, dell’Azienda vinicola Luciano Sandrone.

Paolo Baracchino Fine Wine Critic info@paolobaracchino.com www.paolobaracchino.com

Tortello di grano saraceno farcito di colombaccio leggermente affumicato alle spezie, di Aimo e Nadia, accompagnato al Barolo Sandrone Le Vigne, annata 2001

Ristorante “Bistrot”,

Tortello di grano saraceno farcito di colombaccio leggermente affumicato alle spezie di Aimo e Nadia

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Ingredienti per 4 persone: due colombacci da 500 g l’uno, 200 ml vino di visciole, 50 g carote, 50 g cipolle, 50 g sedano, un rametto di rosmarino, una foglia di salvia, una foglia di alloro, 5 grani di pepe, 25 g olio evo, 20 g pane di farina 00 tostato, 20 g burro, 30 g Parmigiano Reggiano Per la pasta: 125 g farina di grano saraceno, 125 g farina tipo ‘00’, due uova, due tuorli d’uovo Per gli spinaci: 150 g spinaci novelli, un cucchiaio di olio evo Per le patate: 200 g patate, mezza cipolla dorata, 40 g salsa al pomodoro, 50 g panna fresca, sale marino, pepe di mulinello. Procedimento: Le patate: cuocere in un tegame a fuoco dolce per 2 ore le patate, la cipolla e la salsa. Frullare con la panna fresca e inserire in un sifone, caricato con due bombolette. Gli spinaci: saltare gli spinaci in padella con olio, acqua e sale. La farcia: spiumare i colombacci, eviscerarli, tenere polmoni e fegatini a parte ed eliminare zampe, testa e ali. Lavare e asciugare. Tagliare sedano, carota e cipolla a mirepoix (tenerne a parte mezzo cucchiaio), appassire con 15 g di olio in una padella, unire i colombacci rosolandoli bene. Sfumare con il vino, unire un litro di acqua, l’alloro, i grani di pepe e cuocere a fuoco moderato per 40 minuti, girandoli ogni 10 minuti. Filtrare il fondo e ridurlo a fuoco vivace. Aggiungere poco burro. Spolparli senza lasciare residui ossei. Tritare sedano carota e cipolla, far appassire in padella con cinque grammi di olio, unire i fegatini, i polmoni, il pane tostato e le erbe tritate. Passare al tritacarne e amalgamare con parmigiano, burro, pepe e due cucchiai del suo fondo. Aggiustare di sale, impastare e ottenere quattro sfere da 20g. La pasta: impastare gli ingredienti per 10 minuti in planetaria. Stendere l’impasto, piegarlo in tre, ripetere due volte, quindi riporre in frigo per due ore. Tirare la sfoglia molto sottile, ottenere otto dischi da sei cm, farcire quattro dischi e chiuderli con gli altri quattro. Cuocere per due minuti in acqua salata, quindi far insaporire in padella altri due minuti con pochissima acqua, 5g di olio e sale. Impiattare nell’ordine: gli spinaci, la crema di patate, il tortello e la salsa. Il luogo di Aimo e Nadia Via Privata Raimondo Montecuccoli 6, Milano tel 02 416886

Il Barolo Le Vigne, annata 2001 dall’Azienda vinicola Luciano Sandrone Di colore rosso granato. Dal bicchiere emergono profumi di ciliegia, menta, eucalipto, dolci, lievi, del legno, cannella, amarena candita, paglia, pepe nero, ciliegia sotto spirito, alloro, salvia, rosmarino, prugne secche, cioccolata, per terminare con sussurri di carruba ed elicriso (liquirizia). Il palato è accarezzato da tannini dolci, setosi e da un corpo medio. Sapori dolci che ricordano l’amarena candita. Alcool e freschezza sono in perfetto equilibrio tra loro e quest’ultima domina la prima. I tannini sono abbastanza larghi (5/6). Lunga è la sua persistenza gustativa con finale di ciliegia marasca candita. Il vino ha una buona dolcezza ed una piacevole beva. (94/100) L’azienda Sandrone è un’azienda familiare dove Luciano, il capostipite, da dipendente di un’azienda vinicola, con la sua determinazione e capacità, è riuscito a creare un’attività propria e ha coinvolto i suoi familiari: la moglie Mariuccia, il fratello Luca, la figlia Barbara e i nipoti, Alessia, Stefano e Giacomo. Luciano ha fatto 50 e più vendemmie, di cui 40 nella sua azienda dove tre sono i vitigni coltivati: Nebbiolo, Barbera e Dolcetto. Le vigne si trovano nella Langa e nel Roero e i vini prodotti sono sei. I vini storici sono i due barolo Le vigne e il Cannubi Boschis. Quest’ultimo è un vino più austero del primo e necessita di più tempo per esprimersi completamente. Il Cannubi Boschis dal 2013 si chiama Aleste che è l’unione dei nomi di battesimo dei nipoti di Luciano, Alessia e Stefano. Il vino da me abbinato al piatto scelto è stato il Barolo Le Vigne 2011. Questo vino si ricollega alla storica usanza di assemblare le uve di più vigneti utilizzando lieviti indigeni e tenendo separate le uve fino all’assemblaggio, anziché unirle già in fase di fermentazione. I vigneti sono: Baudana a Serralunga d’Alba, Villero a Castiglione Falletto, Vignane a Barolo e Merli a Novello. La fermentazione è spontanea mentre la macerazione e fermentazione alcolica avviene in tini aperti di acciaio. La fermentazione malolattica viene svolta in fusti di rovere francese da 500 litri. L’affinamento in bottiglia dura 18 mesi. La prima annata di produzione è stata la 1990. L’azienda ha uno stile proprio e i vini sono fatti non in modo tradizionale, ma neppure in modo troppo moderno: rappresentano una piacevole via di mezzo di entrambi. L’azienda Sandrone si trova a Barolo (CN), Via Pugnane n. 4, tel 0173 560023.

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