L'ESPRESSO 30

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L’analisi di MARCO CATTANEO

Sul clima serve la scienza non la Provvidenza

E

ppure, era tutto già scritto. Bastava leggere le pagine sul Mediterraneo del sesto rapporto dell’Ipcc, oppure sfogliare gli scenari delineati dalla Fondazione Centro euro-mediterraneo sui cambiamenti climatici per il nostro Paese. Scenari, non previsioni, vale a dire futuri possibili anche in relazione alle azioni di mitigazione e adattamento che sapremo mettere in campo per limitare i danni. In tutti questi documenti è già chiaro che l’area mediterranea è un hot spot del cambiamento climatico, vale a dire una delle regioni in cui la temperatura aumenta più rapidamente, quasi il doppio rispetto alla media globale. Le ragioni vanno dalle caratteristiche stesse del Mediterraneo, che essendo un mare chiuso si scalda più rapidamente degli oceani, ai complessi sistemi di circolazione atmosferica che trasferiscono aria calda dall’equatore verso le regioni tropicali. E che si stanno espandendo a latitudini sempre più elevate a causa del riscaldamento globale. È lì che ci siamo noi, per capirci.

Così, in una proiezione al periodo 2036-2065, dicono gli scenari, aumenteranno in tutta Italia i giorni con temperature massime superio-

ri ai 35 gradi, e diminuiranno sulle Alpi quelli con temperature inferiori agli zero gradi, con ovvie conseguenze sulle precipitazioni nevose. Quanto alle piogge, si prevede che aumentino – sia pur di poco – al nord e che si riducano ulteriormente al centro-sud. Con un incremento, però, degli eventi estremi, vale a dire precipitazioni intense e violente di breve durata. Sappiamo, dunque, che in certe aree ci saranno periodi senza piogge più lunghi e scarsità di risorse idriche, oppure che arriveranno temporali disastrosi e inondazioni più frequenti, ma non possiamo dire a lungo termine – in senso climatologico, non meteorologico – quando si manifesteranno questi fenomeni. In quest’ottica, il 2022 sembra essere solo un antipasto di quello che ci aspetta, con maggiore frequenza e intensità, nei decenni a venire. Dopo mesi di un inverno mite e senza neve, seguito da una primavera calda e secca, con l’inizio anticipato di un’estate fin qui torrida, il 22 luglio nella frazione di Pontelagoscuro, a Ferrara, l’autorità di bacino registrava una portata del Po di 114 metri al secondo, in costante diminuzione, appena il 10 per cento della media. E se esattamente un anno prima una tempesta

SCENARI, NON PREVISIONI, DICONO GIÀ CHE IL MEDITERRANEO È UN HOT SPOT DEL CAMBIAMENTO

di ghiaccio devastava un migliaio di ettari di frutteti e vigneti nel Trentino, oggi gli agricoltori della pianura mostrano pannocchie di mais e acini d’uva rinsecchiti, lontanissimi dalla maturazione. È soprattutto per questo che i rapporti non si fermano alle conseguenze del cambiamento climatico, ma sottolineano l’urgenza di mitigazione e adattamento, vale a dire di azioni che da una parte riducano il nostro impatto sul clima con una graduale ma rapida rinuncia ai combustibili fossili e dall’altra ci permettano di affrontare il futuro limitando i danni. A questo proposito, in qualche cassetto del ministero per la Transizione ecologica giace un Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici in attesa di approvazione della Valutazione ambientale strategica. Dal 2018. E, guarda caso, tra i punti più rilevanti ci sono indicazioni strategiche per attuare azioni di adattamento in un’area considerata di elevata priorità: il bacino del Po. Infine, è arrivata la pioggia, almeno al Nord, attesa come una benedizione e accolta come un dono di divinità capricciose ma benevole, a giudicare dalle migliaia di post liberatori che si leggevano in questi giorni sui social network. Non possiamo sapere se basterà a salvare i raccolti e la vendemmia, ma dice molto di noi. E di come ancora siamo più inclini ad affidarci alla provQ videnza anziché alla scienza. ©RIPRODUZIONE RISERVATA

31 luglio 2022

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