L'Espresso 43

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Re Giorgia

MELONI, IL FASCISMO E L’OMBRA DI FINI U DI SUSANNA TURCO

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30 ottobre 2022

L’ASCESA

La neopresidente del Consiglio arriva a Palazzo Chigi dopo trent’anni di marcia e di scontri politici con i vecchi capi dell’MsiAn che l’hanno prima scelta e poi subita. Dalle catacombe di Colle Oppio al vertice dello Stato

provocazione: anzi è la spiegazione che, in maniera abbastanza sorprendente, viene offerta più spesso quando si affronta la questione parlando con gli stessi mondi ex aennini, tra la gente di Fratelli d’Italia. Il rischio di essere anche solo vagamente accostabile all’ultimo segretario di An a Meloni stronca i passi. Eppure c’è qualcosa di incongruo. Gianfranco Fini si è ritirato dalla vita politica da anni. Dopo il 2013 non si è più candidato, non ha un partito né un movimento. Sparito dai radar dal 2017, a processo dal 2018 per riciclaggio nella vicenda della casa di Monte-

MEZZA POLITICA, MEZZA INFLUENCER. UN GIANO BIFRONTE. ARRIVA IN LIBRERIA LA PRIMA BIOGRAFIA (NON AUTORIZZATA) DELLA PREMIER. ANTICIPIAMO QUI IL CAPITOLO SUI CONTI CON LA STORIA carlo comprata a prezzo di saldo dal cognato Giancarlo Tulliani, non fa l’opinionista, né per iscritto né in tv. E come mai questo Fini, politicamente ridotto a nulla e quasi del tutto silente da anni, fa così tanta paura a Meloni che per il resto pare non temere quasi niente – a parte forse gli scarafaggi? Risposta: se Gianfranco Fini ha archiviato il fascismo come «male assoluto», lei, che pure nel 2003 non si dissociò da quella presa di posizione, ha finito per archiviare come male assoluto proprio lui: il capo che l’ha apprezzata come giovane promessa, che l’ha scelta

Foto: Valli e Santini / Cesura

no strano testacoda avviene dentro Fratelli d’Italia, forse proprio dentro la testa della sua leader. È una specie di triangolazione senza uscita tra Giorgia Meloni, Gianfranco Fini e la complessa questione che va sotto il titolo: i conti col fascismo. Moltissime volte, in questi anni, alla leader di FdI è stato rimproverato di non recidere abbastanza di netto quel legame, di non prendere sufficienti distanze da quella catena che si stende tra regime mussoliniano e personaggi come il “barone nero” Roberto Jonghi Lavarini, tra il Ventennio e il saluto romano di Augusta Montaruli a Predappio, passando per la Repubblica di Salò, Giorgio Almirante, l’Msi, An, il nostalgismo, eccetera. Equilibrismi, dribbling, bilancini, un continuo e impercettibile scartare di lato. (...) Perché Meloni, che pure è passata in pochi anni dall’1,90 al 26 per cento, non riesce a fare il passo decisivo per archiviare la storia da quale viene? Perché se Giuliano Castellino assalta la sede del principale sindacato italiano lei fatica a prendere le distanze, pronuncia equilibrismi come «non so quale sia la matrice», e in privato aggiunge che le scoccia fare così con una persona che conosce sin da ragazzina? La risposta, andando al sodo, può apparire bizzarra: perché ha paura di fare la fine di Gianfranco Fini. PerSusanna Turco ché ha paura di somigliargli. Giornalista Non è una deduzione, o una


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