L'Espresso 45

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Settimanale di politica cultura economia N. 45 • anno LXVIII • 13 NOVEMBRE 2022 Domenica 3 euro L’Espresso + La Repubblica In Italia abbinamento obbligatorio alla domenica. Gli altri giorni solo L’Espresso 4 euro USA Allarme Midterm: populisti minaccia per l’Europa CLIMA I movimenti dal basso che la politica ignora IDEE Murgia-Vendola, Dialogo sulla fede Ha scelto Giorgia Meloni e abbandonato Matteo Salvini. E ora il cuore produttivo del Paese presenta il conto al governo. Chiede più lavoratori migranti e meno tasse. Dice sì al reddito di cittadinanza mentre il contante non è un problema Nordestra Poste Italiane s.p.a.sped.in A.P.-D.L.353/03 (conv.in legge 27 /02/04 n.46) art.1comma 1-DCB RomaAustriaBelgioFranciaGerm aniaGreciaLussemburgoPortogalloPrincipato di MonacoSloveniaSpagna € 5,50C.T. Sfr. 6,60Svizzera Sfr. 6,80Olanda € 5, 90Inghilterra £ 4,70
Altan 3

Editoriale

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Le domande nel vuoto su Regeni e Zaki Lirio Abbate 11

Prima Pagina

Opinioni

Rubriche

Meloni, il conto del Nordest

Carlo Tecce 12 Buio a Mezzogiorno

Antonio Fraschilla 22 Così il Sud perde il treno Gianfrancesco Turano 30 Lombardia: pochi, costosi e in ritardo Gloria Riva 32 Le comunità resistenti Diletta Bellotti 36 Evasori mission impossible Vittorio Malagutti 42 Spuntare le armi ai Tar non sblocca i cantieri Gia Serlenga 45 Cronaca di un Paese disumano Max Cavallari 46 Violenze e torture in Libia, l’Italia ha speso un miliardo Gabriele Bartoloni 48 I nostri porti come rampe del ‘900 Donatella Di Cesare 52 I trafficanti della disperazione Bianca Senatore 54 Riparte la corsa alla Casa Bianca e per Trump si fa più dura Alberto Flores d’Arcais 59 Allarme americano Noëlle Lenoir 60 Mosca prepara la via d’uscita Sabato Angieri 64 Il bluff bielorusso Giuseppe Agliastro 66 Amazzonia ultima chiamata Elena Basso 68 Trading truffa, rubati 60 milioni Alessandro Longo 72 Mattei e Ustica misteri francesi Gigi Riva 76

Idee

Queer e così sia colloquio con Michela Murgia e Nichi Vendola di Sabina Minardi 80 Rosi, una vita contro la retorica Marco Tullio Giordana 88 Sul palco la rabbia di PPP Valeria Verbaro 91 Donne in movimento Laura Pugno 92 Pensare l’impensabile colloquio con Bruce Sterling di Valeria Verbaro 96 Il falò dei consumi Maurizio Di Fazio 100 Il mio barista ama la guerra colloquio con Giuseppe Battiston di Claudia Catalli 102

Storie

Le sentinelle della natura contro i crimini ambientali Tommaso Giagni 106 Il vino artigianale dei siciliani di ritorno Alan David Scifo 110 La matematica geniale che è riuscita dove Keplero fallì Roberto Orlando 114

Altan 3 Makkox 8 Manfellotto 20 Vicinanza 27 Serra 29 Cacciari 122

La parola 7 Taglio alto 41 Bookmarks 105 Ho visto cose 118 #musica 118 Scritti al buio 119 Noi e voi 120

COPERTINA Foto di Antonio Scattolon/ FotoA3

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sinistra

Una volta la sinistra si considerava l’agente del futuro nel presente. L’idea dell’anticipazione del tempo aveva a che fare non solo e non tanto con una concezione messianica della storia, quanto con la nozione del tutto mon dana del progresso. Il progresso era fi glio dell’Illuminismo, della convinzio ne che gli umani, grazie alla capacità di giudizio e alle scoperte della scienza, fossero in grado di forgiare il loro destino in modo da abolire la miseria, l’oppressione, lo sfruttamento, la disu guaglianza e la guerra. Ma il futuro, a pensarci bene non esiste, a meno che non sia costruito come azione colletti va frutto dell’immaginazione unita alla pratica di solidarietà. La solidarietà si gnifica la trasformazione dell’empatia (un sentimento connaturato) in soste gno a chiunque si batta per la libertà e per la giustizia.

Ma oggi il progresso è in crisi. Abbiamo conosciuto - a partire dalle camere a gas, dalla bomba atomica, dalla hy bris del colonialismo e del comunismo realizzato - i suoi pericoli. Avvertiamo

quello che il filosofo Günther Anders chiamava la discrepanza fra l’immagi nazione umana e le capacità della tec nica: siamo in grado di fare cose le cui conseguenze non possiamo immaginare. Così il futuro anziché una promessa è diventato una minaccia.

La società poi, da una società di classi è diventata di massa: individui soli, e dove i diritti sono percepiti come privilegi. Si è fatto largo un umore (più che un pen siero) reazionario, che perfino a sinistra ha i suoi adepti, con i riflessi nostalgici (per il mondo prima della caduta del Muro e per l’Uomo forte dell’Est), e con lo smarrimento dovuto alla perdita di immediato riferimento di classe.

E allora, la sinistra può rinascere? Sì. A partire dall’affermazione di linguaggi (gentili e inclusivi), valori (uguaglianza, sorellanza), sentimenti (empatia) e capacità di rivolta contro le ingiustizie. In fondo si tratta pur sempre di linguag gi e valori di stampo illuminista e della restituzione dell’idea di un futuro come Bene comune.

7 La parola
© RIPRODUZIONE RISEVATA WLODEK GOLDKORN
Cronache da fuori 8 13 novembre 2022
Makkox 13 novembre 2022 9

Le domande nel vuoto su Regeni e Zaki

Nell’incontro con al-Sisi l’attesa di giustizia dell’Italia è stata confinata in una nota a margine della comunicazione sulle partnership commerciali. Eppure era proprio Meloni, nel 2019, a invocare verità sul ricercatore ucciso dai pretoriani del regime

Dopo sei anni e mezzo di prese in giro, depistaggi e sfregi isti tuzionali che l’Egitto ha riser vato all’Italia e alla giustizia del nostro Paese, ci aspettava mo che nel faccia a faccia fra la premier Giorgia Meloni e il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi, venisse fuori la piena collaborazione degli egiziani a far proces sare i quattro imputati per l’omicidio di Giulio Regeni. E invece nulla. Solo parole diplomatiche affidate ad un freddo co municato. Freddo come il marmo su cui è stato adagiato il corpo martoriato di Giulio, nel 2016, esposto al faticoso rico noscimento dei familiari che hanno visto i segni di tutte le crudeltà che il nostro giovane ricercatore ha subito da parte di agenti egiziani.

Al-Sisi è responsabile di quello che è successo al giovane ricercatore e lo è pure per la vicenda che ha interessato lo stu dente Patrick Zaki.

Nell’esordio sulla scena mondiale a Sharm el-Sheikh, nella cornice della Cop27, Giorgia Meloni ha perso una gran de occasione, perché ha pensato più agli affari italiani che non a fare rispettare gli italiani. E ad avere giustizia. Quella che lei stessa, nel gennaio del 2019, da leader di Fratelli d’Italia, urlava sui social e scri veva nei comunicati: «Giustizia per Giulio Regeni. Dopo tre anni, il popolo italiano reclama il diritto di sapere la verità e co noscere chi è responsabile del sequestro, della tortura e dell’omicidio di un nostro connazionale. Basta omertà: l’Italia pre tende risposte immediate». Così parlava Meloni. Mi chiedo se davanti al dittatore egiziano quelle parole la premier adesso le abbia ripetute, perché davanti a lei c’era proprio l’uomo che è responsabile di quello che è avvenuto a Giulio. È la persona che

può rispondere a quelle domande che la le ader di Fratelli d’Italia si poneva nel 2019. Lo ha fatto adesso? E lui ha risposto? Sap piamo che il faccia a faccia tra la premier e al-Sisi «ha dato occasione al presidente Meloni di sollevare il tema del rispetto dei diritti umani e di sottolineare la forte attenzione dell’Italia sui casi di Giulio Re geni e Patrick Zaki», come ha sottolineato una nota di Palazzo Chigi, aggiungendo che «durante l’incontro si è parlato di ap provvigionamento energetico, fonti rin novabili, crisi climatica e immigrazione». Il comunicato stampa diffuso dalla parte egiziana ha confermato che nel colloquio tra Meloni e al-Sisi si è discusso «della co operazione per ottenere verità e giustizia» sul caso Regeni. Ma la presidenza del Paese delle piramidi non ha menzionato Patrick Zaki, lo studente egiziano dell’Università Alma Mater Studiorum di Bologna, a lun go detenuto in carcere in Egitto e rilasciato lo scorso dicembre, ancora sotto processo con l’accusa di aver diffuso «false notizie». La prossima udienza sul caso Zaki, peral tro, è stata fissata al 29 novembre.

Insomma, Meloni con il presidente egi ziano si è fermata a lungo a parlare. Si so no guardati in faccia. Si sono stretti le mani. Hanno scattato foto di rito sorri denti. E di certo è emerso che i rapporti tra i due Paesi sul piano commerciale non sono mai venuti meno, compresa la colla borazione in campo energetico. E da mesi l’Egitto sta inviando segnali di distensio ne all’Italia. Tranne che sulla disponibili tà a far processare a Roma i quattro fun zionari egiziani. È opportuno quindi che la presidente del Consiglio dica chiara mente come stanno le cose sul processo Regeni e su Zaki. Ma soprattutto, spieghi agli italiani, come si comporta il governo con i Paesi non democratici.

Editoriale Lirio Abbate 11
Il Paese reale MELONI IL CONTO DEL NORDEST PIÙ OPERAI IMMIGRATI, MENO TASSE SUL LAVORO. SÌ AL REDDITO DI CITTADINANZA E IL CONTANTE NON È UN PROBLEMA. IL CUORE PRODUTTIVO D’ITALIA HA PREFERITO FDI ALLA LEGA MA HA UN’AGENDA DIVERSA DA QUELLA DEL GOVERNO DI CARLO TECCE

La fusione dell'oro in un’azienda di Mussolente (Vicenza)

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2022 13 Prima Pagina
novembre

asciate ogni retaggio, stereo tipo, luogo comune, voi che entrate nel nord est d’Italia. Quello puntellato da vigneti, rimesse, botteghe, capanno ni, altiforni, interporti, villet te. No, sbagliato, pregiudizi dozzinali: industriali e arti giani veneti non invocano il blocco dei mi granti economici, non sbraitano contro il reddito di cittadinanza, non bramano l’uti lizzo illimitato dei contanti. Sì, corretto, tendenza consolidata: industriali e artigia ni veneti sentono distante e cacofonica la Lega nazionale di Matteo Salvini e più con tigua e lineare Giorgia Meloni e di riflesso Fratelli d’Italia.

La famiglia di Raffaele Boscaini, presi dente di Confindustria Verona, duemila aziende associate di cui 100 multinazionali

per un totale di 73 mila addetti, campione regionale di imprese con più di 250 dipen denti, cura la cantina Masi da oltre sette generazioni. La Masi esporta il 75 per cento dei suoi iconici vini della Valpolicella - ca pofila l’Amarone - per un fatturato com plessivo di 66 milioni di euro, eppure Bo scaini parte da ciò che si osserva semplicemente sporgendosi dal balcone imbandierato del suo uffi cio: «Le nostre esigenze non sono unicamente indi viduali o di categoria. Anzi i nostri interessi coincidono con quelli dei veronesi. Più infrastrutture funzionali al

trasporto di gente e merci, e cioè l’alta velo cità ferroviaria, l’autostrada del Brennero, il filobus cittadino, aiutano il nostro territo rio a essere più accogliente per le imprese e i cittadini. Queste sono priorità che unisco no davvero». La ragione, e la convenienza, sta nel benessere collettivo: «Il mercato ci impone di avere uno sguardo ampio per portare fuori i nostri prodotti e importare dentro le conoscenze e gli investimenti al trui. Bisogna essere attrattivi. Come dimo stra il progetto di Intel, multinazionale del la tecnologia, che ha deciso di aprire un suo polo qui. Per non scoraggiare gli stranieri ci vogliono regole semplici e non flessibili». A quelli di Intel, per intenderci, non frega niente che nei portafogli ci possano entrare 5 mila euro e non più mille o duemila e ne anche che gli indigenti siano assistiti dallo Stato: «Vi può sorprendere, ma noi indu striali di Verona non siamo favorevoli né all’aumento del tetto del contante, misura per noi irrilevante, né all’abolizione del red dito di cittadinanza. E le dico di più: vor remmo più migranti economici, con flussi controllati e guidati certo, ma chiudere i confini non aiuta nessuno. C’è bisogno di

14 13 novembre 2022 Il Paese reale
ABBIAMO BISOGNO DI MANODOPERA STRANIERA E DI POTERLA FORMARE. NON È UNA QUESTIONE DI ITALIANI CHE NON VOGLIONO PIÙ FARE CERTI MESTIERI. È UNA QUESTIONE DEMOGRAFICA
L
Carlo Tecce Giornalista

forza lavoro. Nei campi per la vendemmia e la potatura i miei prestatori d’opera sono tutti provenienti dall’est Europa o dallo Sri Lanka e sono disciplinati, preparati e pro fessionali». Pausa. C’è un messaggio per il governo che all’Istruzione ha affiancato un equivoco “merito”: «Questo non significaprecisa - che le scuole vadano trasformate in uffici di reclutamento di operai perché i ragazzi italiani rinunciano a fare alcuni me stieri. Lasciamo ai nostri ragazzi la possibi lità di ricredersi sempre e avere una terza o quarta occasione nella vita, magari si spen da di più per la formazione e si faccia in modo che cresca l’interazione tra le indu strie e gli istituti tecnici». Boscaini produce il vino come si produceva due secoli e mez zo fa - anno della vendemmia d’esordio di Masi, onorato a maggio da una visita del presidente Mario Draghi - e lo vuole vende re nei mercati più esotici come lo si voleva vendere anche prima di due secoli e mezzo fa. La differenza è che adesso c’è uno Stato che può scortare e introdurre le aziende all’estero e fornire gli strumenti adeguarti per competere: «Il fisco più leggero non è un mantra degli imprenditori che vogliono

MECCANICA

Lavoratori in fabbrica in un’azienda meccanica nel Veneziano

aumentare i profitti. Non deve essere un fi ne, ma un mezzo. Il cuneo fiscale (l’insieme delle tasse sul reddito dei lavoratori, ndr), per esempio, è uno strumento per dare più soldi ai dipendenti e più agio alle imprese che devono e possono migliorarsi. Il mini stero del made in Italy è una buona premes sa. Vedremo. Noi abbiamo bisogno di un governo che ci accompagni e ci tuteli all’e stero come accade ai nostri vicini francesi e tedeschi. I soldi per la promozione ci sono e prevedono un impegno combinato tra aziende e ministero, si faccia in modo di ri durre gli sprechi e avere una voce sola nel mondo. Com’è possibile che il vino italiano in Cina sia considerato il quinto per impor tanza dopo i tedeschi?». Verona è polifor me, il sindaco Damiano Tommasi è di sini stra (non centrosinistra), il presidente re gionale Luca Zaia è leghista (non salvinia no), il partito nazionale più votato è Fdi con circa il 30 per cento (il Carroccio ha dimez zato). Boscaini la spiega così: «I cittadini hanno un rapporto disilluso ma parecchio maturo con la politica. A Verona c’è ampio sostegno per il sindaco Tommasi e per il presidente Zaia. I cittadini approvano le lo ro amministrazioni, comprendono le moti vazioni. Ecco la Lega nazionale ha perso invece la sua storica connessione con la cit tà e gli elettori, che per la maggior parte fre quentano il centrodestra, hanno preferito attribuire la loro fiducia a Giorgia Meloni più che al partito Fratelli d’Italia. Un credi to con una data di scadenza non troppo lontana nel tempo».

Riporre le immagini bucoliche di grappo li, rovere, foliage, rametti e pensare a un pa norama piatto, brumoso, essenziale. In quel tipo di posti si manifesta il nord est d’Italia con le sue ambizioni internazionali. Enrico Carraro è un duplice presidente: del gruppo Carraro, fabbrica di macchine agri cole e di componenti meccanici per le auto mobili con 4.000 dipendenti fra Padova e la Cina, l’India, l’Argentina e di Confindustria Veneto con 8.750 imprese associate e 422.000 addetti con 70 miliardi di euro in

13 novembre 2022 15 Prima Pagina Foto pagine 12-13:Brogioni / Contrasto. Foto pagine 14-15 : T. Bonaventura / Contrasto

Il Paese reale

esportazioni. La richiesta degli indu striali veneti è sempre la stessa: ci servono lavoratori formati. «Oggi il Veneto è in cam mino verso una nuova dimensione che su peri il piccolo e bello. Noi dobbiamo coniu gare - afferma Carraro - le eccellenze del territorio e il mercato domestico con una maggiore propensione internazionale. Il fi sco resta ovviamente un obiettivo, ma il no stro punto debole è la manodopera. Il crol lo demografico non può essere compensato dai tagli alle tasse. La politica deve aiutare le famiglie e le donne a risollevare l’indice di natalità e soprattutto deve incentivare l’immigrazione. Non sperperiamo risorse mentali e fisiche in battaglie da campagna elettorale o in norme che ci lasciano indif ferenti come quella sul contante». Per Car raro la crescita va cercata altrove assieme allo Stato: «Assodato che le bollette energe tiche sono la maggiore emergenza in asso luto del periodo, la crescita va sollecitata con gli investimenti sulle persone, sulla ri cerca, sulla competitività. Capita spesso di andare all’estero e avere la brutta sensazio ne di essere arrivati in ritardo. La Germa nia, per dirne una, è sempre molta attiva in Cina. Noi sbarchiamo in aeroporto e un cancellerie tedesco è già passato. Non è un caso che il presidente Xi Jinping abbia ri preso i suoi bilaterali a Pechino con il can celliere Scholz». Altra botta alle convinzio ni sbagliate che hanno ispirato diversi pro grammi politici di centrodestra: «Non chie diamo di abolire gli aiuti alle famiglie in difficoltà, ma chiediamo di rivedere le mo dalità di erogazione del reddito di cittadi nanza affinché sia più efficace e svincolato dalle politiche attive del lavoro. Chi ha biso gno va sostenuto. Il reddito di cittadinanza non è il buco nero che ha inghiottito un te soro. Al contrario chiediamo denaro per l’innovazione recuperando capitale dalle inefficienze pubbliche senza produrre ulte riore debito. Il modello di riferimento è il piano “industria 4.0”». E dunque in attesa di capire che farà il governo in carica, la Confindustria veneta è ancora irritata con la Lega per la caduta del governo preceden te: «Chi ha provocato la fine del governo di Mario Draghi non ha ampliato il suo con senso fra gli industriali del Veneto. Draghi era un elemento rassicurante per chi inve ste in Italia e per noi italiani presenti sui mercati esteri. Spero che la presidente Me

LA VERA EMERGENZA SONO LE BOLLETTE E IL COSTO DEL DENARO. STIAMO A VEDERE COSA FARÀ IL GOVERNO. CHI HA FATTO CADERE DRAGHI È STATO PENALIZZATO NELLE URNE

loni si avvicini ai temi di politica economi ca portati avanti dal governo Draghi. Dopo anni di grossa incidenza e quasi predomi nio anche fra gli industriali veneti, la Lega ha scontato nelle urne le decisioni avventa te sul destino di Draghi».

Le necessità sono diverse, il vocabolario è simile. Le piccole imprese venete con meno di 50 dipendenti sono 388.289 e occupano 1,062 milioni di persone e contribuiscono alle esportazioni regionali con 30 miliardi di euro. Roberto Boschetto (edilizia) è il presi dente del variegato sistema del Confartigia natoVeneto.Ilsuoassilloèladisponibilitàdi denaro fra inflazione, interessi, debiti: «Le ripercussioni sulle imprese della stretta mo netaria sono pesanti. Gli ultimi tre aumenti

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dei tassi, per le micro e piccole imprese fino a 20 addetti, da una nostra stima, avranno già un impatto sul costo del credito di 2 mi liardi e mezzo di euro e per le imprese venete si tratta di 267 milioni di euro di maggiori costi. Siamo la seconda Regione più penaliz zata dopo la Lombardia (491 milioni). I no stri associati sono preoccupati anche dal costo del denaro. Con queste bollette po trebbero fermare le produzioni e ridurre il numero dei dipendenti. Una nostra rileva zione mette in evidenza che gli aumenti del prezzo dell’energia, per le piccole aziende con consumi non superiori a 2 mila Mwh, si traducono in Veneto in un maggiore costo tra settembre 2021 e agosto 2022 di 2,1 mi liardi di euro. I settori più colpiti sono quelli

POLITICI

Luca Zaia, presidente della Regione Veneto, Federico Sboarina, ex sindaco di Verona, e la presidente del Consiglio Giorgia Meloni. Sopra: comizio elettorale di Giorgia Meloni a Mestre. Nella foto grande: il reparto filatura in un’azienda tessile del Padovano

di vetro, ceramica, cemento, carta, metallur gia, chimica, tessile, gomma, plastica e ali mentare. Le richieste che riguardano le pra tiche per accedere ai meccanismi di cassa integrazione iniziano a essere più frequenti. Gli artigiani veneti mettono a disposizione del governo i capannoni per impiantare i pannelli fotovoltaici. Vogliamo la transizio ne ecologica?».

Il superbonus 110 per cento per il cosid detto “efficientamento energetico”, varato dal governo giallorosso di Giuseppe Conte, ha armato le opposizioni di centrodestra, ma ovviamente per Boschetto e colleghi è una fonte opulenta di guadagni che sta per spegnersi: «Il superbonus ha risollevato l’e conomia veneta e il 60 per cento si è con centrato sulle case singole o villette. Per il 2023 il superbonus è limitato ai condomini. Il governo deve considerare le differenze territoriali». Provocazione: gli artigiani preferiscono il contante per evadere le tas se. Boschetto è perentorio: «È falso che per gli artigiani sia necessario il contante per arricchirsi con l’evasione fiscale. Per esem pio, ormai nell’edilizia il 70 per cento degli introiti deriva da lavori legati ai bonus e

13 novembre 2022 17 Prima Pagina Foto: R. Caccuri / Contrasto, F. Venezia / Ansa, F. Rossi / Errebi

perciò la fattura è obbligatoria. Più che intervenire sul contante, il governo dovreb be portare la tassazione forfettaria da 65.000 a 100.000 euro circa». Confartigiana to registra qualunque scossone politico e sociale, è un sismografo preciso. Allora la fuga dal Carroccio era prevedibile: «Questa volta gli artigiani veneti - afferma Boschet to - non hanno votato in massa la Lega per ché non l’hanno ritenuta in grado di risol vere i loro problemi. Non l’hanno ricono sciuta. Non è un addio, nulla di definitivo, ma è un messaggio. Le piccole imprese ve nete hanno voglia di regole, sicurezza, fer mezza, coerenza. Cose che, almeno a livello nazionale, la Lega non garantisce più».

Fratelli d’Italia ha preso più del doppio dei leghisti in Veneto (32,7% e 14,5) e più del triplo in Friuli Venezia Giulia (31,3% e 10,3). Per annotazione scolastica: i presidenti re gionali Zaia e Fedriga sono leghisti. Anche Graziano Tilatti, presidente di Confartigia nato Friuli, è un costruttore. Tilatti gestisce una struttura ancora più parcellizzata con 27.266 aziende artigiane e 64.000 impiegati che apporta 4,5 miliardi di euro al prodotto interno lordo regionale. «Per noi è urgente

VIGNETI

Sant'Ambrogio di Valpolicella (Verona), vigneti nel cuore della Valpolicella Classica. Sopra: Raffaele Boscaini, presidente di Confindustria Verona. Nella foto grande: la zona Industriale di Agugliaro (Vicenza)

una moratoria finanziaria e fiscale per avere più liquidità e per rateizzare le imposte e i debiti in generale. Le imprese non vanno soffocate in un contesto non gigantesco co me il nostro. La pandemia ha distrutto il set tore dei servizi alle persone e la carenza di manodopera ha imposto la serrata a decine di aziende di meccanica. Questo ci riguar da. Invece il contante non è un tema princi pale». Tilatti non dà troppa importanza alle dinamiche politiche: «Il gradimento per Draghi era alto come lo è per Fedriga. La gente ha virato su qualcosa di nuovo. È una prova per Meloni dopo averne percepito la determinazione». Insomma nulla di impe gnativo. Chissà se duraturo.

Prima Pagina 18 13 novembre 2022
Il Paese reale
Foto: M. De Mayda

Migranti e deficit pubblico un’unica partita in Europa

Tutto sommato una Giorgia Meloni a trazio ne salviniana era più che prevedibile. C’era da aspettarselo, dai. La verità è che gli alleati ri ottosi, rabbiosi o spodestati pesano, condizio nano ogni scelta, o magari costringono, come dire?, a uscire al naturale, a far emergere ciò che è represso o ma scherato. Perché alla fine, gratta gratta, sotto i sorrisi, la prudenza nell’avviare la manovra economica e l’altalena dei rapporti con Bruxelles si nasconde una destra-destra sovranista, populista, antieuropea.

Lo ha colto subito Viktor Orbán, l’amico mai rinnegato che il Parlamento di Strasburgo ha bollato come un au tarca, peggio, una “minaccia sistemica”: «Finalmente! Un grande ringraziamento a Meloni per la protezione dei confini dell'Europa»; e prima e più degli italiani lo hanno capito gli americani: «Giorgia è più coraggiosa dei repub blicani», si è esaltato Tucker Carlson, notissimo e super trumpiano anchorman di Fox Tv. Altro che “Giuseppi”...

Adesso però la strategia meloniana, già arrivata alla sua terza fase, è a un punto di svolta: stare in equilibrio è sempre più diffi cile. Tutto è cominciato con una campagna elettorale - la fase unodurante la quale Giorgia ha centelli nato un’immagine di sé assai rassi curante. Per incassare il dividendo di anni di opposizione e accaparrarsi i consensi dei delusi da un Salvini di lotta e di governo ma anche da un Berlusconi in disarmo, Meloni ha esaltato la sua biografia da “underdog” che ce l’ha fatta, abbassato i toni in tv, fatto trapelare le sue telefonate a Mario Draghi, attenuato gli spigoli autarchici e naziona listi, ripetuto il suo rispetto per i diritti, e ci manchereb be, cercato per l’Economia un super tecnico che non di spiacesse al premier uscente e dopo aver ricevuto una valanga di “no” ha ripiegato sul più draghiano e meno salviniano dei ministri uscenti. Tale è stata la melassa buonista sparsa per settimane da far dimenticare perfi no quel comiziaccio senza freni e senza rete a Barcellona dove, davanti al popolo post franchista di Vox, Meloni era Meloni.

La seconda faseè stata per Giorgia la più difficile per

ché, conquistato Palazzo Chigi, si è cimentata nel tenere insieme governo e piazza, i conti e la pancia, l’identità e i vincoli di Bruxelles, Giorgetti e Salvini. Tacco e punta: con l’uno si frena, con l’altra si accelera. Da subito ha lan ciato precisi messaggi identitari (L’Espresso n. 44): rassi curanti per i no vax, concilianti con i fan del denaro con tante, complici con gli evasori fiscali in attesa di condo no, generosi con le partite Iva a forfait (il solito Salvini che freme e preme), comprensivi per gli obiettori antia bortisti. Un chiaro “liberi tutti” anche per compensare il poco fieno in cascina e l’inevitabile prudenza nella gestione dei soldi pubblici.

Tutto questo sembra figlio di un progetto più ampio: fare da punto di riferimento di un vasto blocco sociale probabilmente nascosto anche nel non voto e nell’anti politica, oggi sparso e diviso ma unito da bandiere co muni (no vax, no tax, no rave, no aborto) e sensibile alle sirene del populismo sovranista. Pare proprio che Me

loni voglia giocare questa partita in prima persona e da sola. Blindandosi. Tale è la preoccupazione per i nemici che ha in casa da spingerla non solo a tenere gli alleati più ingombranti lontani dai ministeri caldi, ma anche ad accentrare alcuni dossier spinosi a Palazzo Chigi, sotto il controllo suo e dei suoi fedelissimi: la delega per i servizi segreti ad Alfredo Mantovano, per i balneari a un comitato interministeriale da lei presieduto, quella per la gestione dei progetti legati al Pnrr - quasi 200 mi liardi che fanno gola a molti - a Raffaele Fitto. La pre mier si barrica, e in qualche modo si isola.

La terza fase si è consumata infine sul molo di levante del porto di Catania dove ha ormeggiato la Humanity, e

Il commento di BRUNO MANFELLOTTO
CON
FUNZIONARE COME PROPAGANDA. MA RISCHIA DI PREGIUDICARE L’ATTEGGIAMENTO DI BRUXELLES 20 13 novembre 2022
IL PUGNO DURO DEL GOVERNO MELONI
LE NAVI DELLE ONG PUÒ FORSE

poi davanti ad Al Sisi dove, con buona pace del diritto e dei diritti, della sovranità nazionale sbandierata a cor rente alternata e del ruolo internazionale dell’Italia in vocato a chiacchiere è stato dimenticato ancora una volta il povero Giulio Regeni. Gli applausi di Orban, la soddisfazione di Matteo Salvini e i diktat di Matteo Pian tedosi sul «carico residuale» hanno chiuso il cerchio confermando le contraddizioni e gli umori profondi del melonismo. Costretto poi a chinare la testa dinanzi ai richiami della commissione europea a rispettare le leggi, e a far sbarcare tutti i migranti di Catania.

È ovvio e giusto chiedere che l’Europa si muova per ché altrimenti è impossibile controllare i flussi migratori, ma bisognerebbe farlo senza violare leggi nazionali, eu ropee e del mare. Poi, mentre la Francia dà una mano, si preme sulla Germania (che ha accolto un milione di ucraini), ma si finge di dimenticare che della questione si parla invano da anni anche perché – forza del paradosso e del contrappasso – paghiamo il fatto che ognuno fa il sovranista a casa sua, proprio come vorrebbe Giorgia, e come fanno gli amici di Visegrad che si sono sempre op posti a una redistribuzione obbligatoria degli immigrati,

sostenuti in questa battaglia proprio da Meloni e Salvini. Dietro la tragedia dei migranti, trasformata in mer cato della fragilità e della sopravvivenza e destinata inevitabilmente a ripetersi, si nasconde un’intera parti ta. La filosofia del pugno duro, annunciata con «la pac chia è finita» e poi sperimentata nel Mediterraneo (con figuraccia finale), può forse conquistare nell’immedia to il consenso più vasto - mica possiamo prenderli tutti, aiutiamoli a casa loro, si muova Bruxelles: lo dice anche il Papa… - ma nella delicata rete di alleanze europee conduce l’Italia all’isolamento, alla marginalizzazione, o la trascina verso Paesi che come Polonia o Ungheria stanno in Europa solo per non pagare il prezzo di star ne fuori. Se l’Italia chiede agli altri un comportamento diverso da quello che pratica qui, si mette nella condi zione peggiore. È come pretendere dai soci del club Ue più soldi per il Pnrr (e ne abbiano avuti più di tutti) o un nuovo debito comune per affrontare la crisi energetica mentre facciamo poco o niente per abbattere il debito o per legare i fondi del Pnrr alle riforme per le quali ci siamo impegnati. Ma questa è tutta un’altra storia, dirà qualcuno. E invece, ahimè, è la stessa.

Foto: A. Serranò –Agf
13 novembre 2022 21 Prima Pagina
La cerimonia della campanella per il passaggio di consegne tra l’uscente Mario Draghi e la nuova premier Giorgia Meloni

DI ANTONIO FRASCHILLA

edotti e abbandonati. Elettori di centrodestra e classe dirigente del Mezzogiorno in queste ore si sentono lasciati al loro destino dai partiti e dal duo trainante del governo, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, di Fratelli d’Ita lia, e il vicepresidente e ministro strapar lante Matteo Salvini, della Lega. Un Sud abbandonato non solo nelle scelte recenti per la formazione del governo, con appena quattro ministri che vivono al di sotto di Roma, ma anche nella compagine dei sot tosegretari e nella guida dei gruppi parla mentari. In soldoni, non ci sono esponen ti delle regioni meridionali nelle stanze dei bottoni e anche l’agenda politica non sembra delle migliori: taglio del reddito di cittadinanza, spesso unica risorsa nelle aree dove non c’è lavoro vero; autonomia differenziata in stile leghista spinto; rimo dulazione del Pnrr che andrebbe in danno alla quota del 40 per cento stanziata per il Mezzogiorno, tanto che i sindaci meridio nali stanno protestando a Bruxelles. Ma anche il fantomatico Ponte sullo Stretto sembra più un favore alle grandi imprese del Nord che non a Calabria e Sicilia, che non hanno oggi infrastrutture stradali e ferroviarie degne di un Paese moderno. In

somma, il messaggio del governo Meloni sembra chiaro: addio Sud, terra di 5 stelle e di pessima classe politica e dirigente.

MATTEO E LA RIDOTTA LOMBARDA

Il segretario della Lega, dopo il flop elet torale, è stato commissariato dai lombar do-veneti Giancarlo Giorgetti, Luca Zaia e Massimiliano Fedriga, ma anche dal mini

22 13 novembre 2022 Governo alla prova dei fatti
S FUORI DAI GIOCHI: GRANDI OPERE APPANNAGGIO DEL NORD, QUESTIONE MERIDIONALE ASSENTE. E SALVINI ABBANDONA L’IDEA DI IMBARCARE PEZZI DI CLASSE DIRIGENTE DEL SUD BUIO A MEZZOGIORNO

stro Roberto Calderoli che tiene ancora i rapporti con i bossiani. Il concetto che in incontri riservati hanno trasmesso a Sal vini è semplice: «Adesso concentrati sul Nord e metti da parte il progetto del parti to nazionale». E così è stato: Prima l’Italia, il contenitore che è servito in questi anni per imbarcare politici ed esponenti della società civile meridionale, al momento è stato messo da parte. Non se ne parla più. E nelle scelte di go verno Salvini ha tracciato una strada chiara: cinque ministri su cinque sono lombardi. Oltre a lui, Giu seppe Valditara di Milano, Roberto Calderoli di Ber

COABITAZIONE

Matteo Salvini, vicepremier, ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti e leader della Lega, bisbiglia a Giorgia Meloni, presidente del Consiglio e leader di Fratelli d'Italia

gamo, Alessandra Locatelli originaria di Como e Giorgetti di Varese. I viceministri della Lega sono Edoardo Rixi di Genova e Vannia Gava di Pordenone. Dei nove sottosegretari, solo una vive al di sotto di Roma, Giuseppina Castiello, con la delega ai rapporti con il Parlamento: «Una dele ga che non prevede nemmeno un ufficio, aria fritta», dice un leghista del Sud eletto al Parlamento, ma rimasto fuori da tutti gli incarichi.

Tra i sottosegretari non proprio del Nord in quota Lega c’è Luigi D’Eramo, abruzze se dell’Aquila, ma nelle chat leghiste si sot tolinea come sia un nome voluto da Massi mo Casanova, il titolare del Papeete di Mi lano Marittima. Locale nel cuore del Capi tano, che da lì ha fatto cadere il governo

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Foto: Antonio Scattolon / FotoA3 Antonio Fraschilla Giornalista

Governo alla prova dei fatti

Conte I tenendo in mano un cocktail e ballando sulla sabbia. Perfino nelle scelte dei vertici dei gruppi parlamentari della Lega non c’è traccia di eletti al di sotto di Napoli se non per uno dei quattro vicepre sidenti del gruppo alla Camera, Domenico Furgiuele di Lamezia Terme. «La trazione del Nord mi piace: presidente della Came ra, capigruppo, ministri, tutti del Nord», ha esultato l’assessore regionale del Ve neto Roberto Marcato. «La verità è che Salvini ormai non risponde nemmeno al telefono», dicono i leghisti meridionali. Di certo tra i delusi ci sono vari deputati arrivati da famiglie storiche di centristi e democristiane, come il segretario della Le ga in Sicilia Nino Minardo o il collega della Campania, Gianpiero Zinzi, ma anche l’av

TRA LE MISURE MALVISTE DA ROMA IN GIÙ, IL TAGLIO DEL REDDITO DI CITTADINANZA, L'AUTONOMIA

Nord è rimasto con un pugno di mosche in mano; al punto che nelle chat riservate dei leghisti meridionali s’inizia a parlare di «fare qualcosa» prima del fantomatico congresso della Lega: fondare una corren te che possa poi diventare un partito a tra zione meridionale, per esempio.

GIORGIA LA NORDISTA

vocato Giacomo Saccomanno in Calabria. Sono tanti i delusi tra i provenienti dal mondo centrista, tutti speravano in un po sto al sole che Salvini ha riservato soltanto a una stretta cerchia di fedelissimi. Il Capitano però non solo ha chiuso il pro getto Prima l’Italia, ma per stare in piedi ha dato carta bianca a Calderoli per lo sciagurato progetto di legge sull’autono mia differenziata che di fatto condanna le regioni più povere e con meno servizi e tra sferimenti dallo Stato a rimanere periferia d’Europa. Per compensare mediaticamen te l’autonomia Matteo sta rilanciando il progetto del Ponte, rimettendo in pista le aziende che avevano già vinto la gara con i governi Berlusconi: colossi come Webu ild del gruppo Salini. Anche qui la spinta del Nord, mentre sul fronte ferroviario e stradale Calabria e Sicilia sono indietro di decenni e non sanno cosa sia l’alta veloci tà. Per essere chiari: anche le linee nuove previste nel Pnrr, come la Catania-Paler mo, non sono ad alta velocità. Ma tant’è, chi pensava al partito naziona le di Salvini e all’addio alla vecchia Lega

EX GOVERNATORE

Sebastiano Musumeci, per tutti Nello, è il ministro per il Sud e il mare del governo Meloni. Nell'ultima legislatura è stato presidente della Regione Sicilia

A sorprendere elettori e dirigenti meridio nali, alcuni saliti in fretta anche sul carro di Fratelli d’Italia, sono in generale le pri me scelte e gli annunci del governo Meloni che riguardano il Mezzogiorno.

A partire dalla squadra di governo: tredici ministri hanno radicamento in regioni del Nord, appena quattro quelli che davvero vivono sotto Napoli o ci hanno vissuto di recente. Nello Musumeci, che ha avuto la delega al Sud, Raffaele Fitto, che ha avu to la delega agli Affari europei, politiche di Coesione e Piano nazionale di ripresa e resilienza, il campano Gennaro Sangiu liano alla Cultura e la sarda Marina Elvira Calderone che si occuperà di Lavoro e po litiche sociali.

Difficile considerare del Sud Adolfo Urso, che da anni ormai vive fuori dalla Sicilia con la sua famiglia e non ha alcun collega mento elettorale con l’isola. Stesso discor so per il presidente del Senato Ignazio La Russa, milanese d’adozione e con il figlio che è socio in aziende della galassia Berlu sconi. Dunque, pochissimo Mezzogiorno a Palazzo Chigi. Ma il segnale chiaro del disinteresse al

Prima Pagina 13 novembre 2022 25 Foto: Francesco Fotia / AGF
DIFFERENZIATA IN STILE LEGHISTA SPINTO, LA RIMODULAZIONE DEL PNRR

Governo alla prova dei fatti

ne che per alcune eccezioni per le quali si fa riferimento a livelli essenziali delle pre stazioni tutti ancora da definire.

Il governo Meloni ha già annunciato an che altre azioni che non premiamo i terri tori più fragili: il taglio al reddito di citta dinanza per gli idonei al lavoro, che nelle aree senza imprese e produzione resteran no comunque disoccupati. Un tema chia ve per la tenuta sociale di periferie e città meridionali che non può essere affrontato senza strategie complesse e organizzate. Il governo sul reddito di cittadinanza vuole andare dritto, come ha detto la presidente Meloni. C’è poi un altro spauracchio per le regioni meridionali: l’annunciata rimodu lazione del Pnrr, che rischia di andare in danno alla quota 40 per cento fissata per il Mezzogiorno.

tema è lo svuotamento del ministero del Sud: Musumeci non ha le deleghe prin cipali che avevano i suoi recenti predeces sori, Giuseppe Provenzano e Mara Carfa gna, e cioè quelle alla Coesione territoriale e al Pnrr per le regioni meridionali. Ha il compito di redigere un Piano Sud in rac cordo con altri ministeri e siederà al tavo lo interministeriale sul mare e sulle spiag ge, lasciate da Daniela Santanchè perché in palese conflitto d’interesse visto che possiede quote nel Twiga di Flavio Bria tore a Forte dei Marmi. Musumeci come contentino potrebbe avere la delega alla Protezione civile, che non riguarda certo politiche per il Mezzogiorno. Difficile in queste condizioni, e senza maneggiare alcuna leva economica, che possa contra stare alcune politiche che invece porte ranno avanti i colleghi lombardi. A partire dall’autonomia differenziata. Negli ultimi giorni è circolata la bozza scritta dal collega Calderoli e che nelle in tenzioni del ministro per gli Affari regio nali e le autonomie deve essere approvata senza correzioni da parte di Palazzo Chigi e del Parlamento. Una bozza condivisa da Calderoli solo con i governatori di Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna, due su tre leghisti, ma con il democratico Stefa no Bonaccini che sul tema è sulla stessa lunghezza d’onda della Lega. Un testo che non è stato discusso in alcuna commis sione parlamentare, tra l’altro. Una bozza che di fatto non dà regole chiare e prevede sempre il criterio della spesa storica, tran

LOMBARDO-VENETI

In alto: il bergamasco Roberto Calderoli, ministro per gli Affari regionali e le autonomie del governo Meloni.

Sotto: Massimiliano Fedriga, presidente della Regione FriuliVenezia Giulia

A proposito: il governo Draghi ha sì fissato questa quota, di poco superiore a quello che spetterebbe comunque in base alla popolazione e insufficiente per ridurre i divari di cittadinanza, ma non ha fatto nulla per aiutare le amministrazioni meri dionali ad avere professionalità in grado di redigere progetti per partecipare ai bandi. Così le risorse al Sud non stanno arrivan do nella quota prefissata e il sindaco di Milano Beppe Sala in tempi non sospetti ha detto: «Siamo pronti a spendere le ri sorse non utilizzate del Pnrr». Cioè quelle del Sud.

Contro la riscrittura del Pnrr si stanno mobilitando molto sindaci meridionali confluiti nella rete Recovery Sud, che rag gruppa quasi cento Comuni. «Non accet tiamo l’assalto ai finanziamenti del Pnrr che i Comuni e le lobby politico-econo miche del Nord stanno lanciando contro un piano che già di per sé è insufficiente a colmare i divari storici che ci condannano agli ultimi posti nelle classifiche europee su Pil, occupazione, infrastrutture e servi zi sociosanitari», dice il sindaco di Acqua viva, Davide Carlucci.

Il governo Meloni-Salvini sembra però pensare a tutt’altro che al Mezzogiorno. Mentre per quanto riguarda il ministro della Lega la sorpresa sarebbe in fondo stata se avesse agito al contrario, la sor presa vera è Meloni: che voglia così un po’ punire le regioni feudo dei grillini di Giu seppe Conte?

Prima Pagina 26 13 novembre 2022 Foto: Francesco Fotia / AGF , A. Casasoli / fotoA3

di LUIGI VICINANZA

Perché Cinque Stelle è un partito sudista

Patriota. Non meridionalista. Se le parole hanno ancora un senso - e viene da dubi tare - l’approccio di Giorgia Meloni nei confronti di un territorio in cui si concentra un terzo della popolazione italiana, la più svantag giata, è di tipo negazionista. Il Mez zogiorno d’Italia non esiste come questione nazionale. Semmai, per il suo governo a trazione nordista, si ripropone di nuovo la questione set tentrionale. Sublimata con la canni balizzazione del consenso leghista. Operazione perfettamente riuscita nelle urne il 25 settembre. Patriota, non meridionalista, è la definizione che ha dato di sé stessa la presidente del consiglio quando era ancora in campagna elettorale e vedeva avvicinarsi il traguardo di Pa lazzo Chigi. Lo ha gridato il venerdì prima del voto a Napoli, nel comizio conclusivo organizzato sull’arenile di Bagnoli, quartiere simbolico, un tempo fucina dell’aristocrazia ope raia partenopea, ora monumento all’immobilismo urbano.

L’antica e orgogliosa capitale del Sud ha così ricambiato il negazio nismo meridionalista della Meloni consegnandole un modesto 12,3 per cento. Appena un po’ meglio è andato il Pd, 16 per cento. Mentre il resuscitato Movimento 5 Stelle di Giuseppe Conte, con un corposo 43 per cento, si manifesta come un ine dito difensore civico di un Sud che si considera bistrattato, percepito come zavorra dall’establishment nazionale.

Nelle analisi del dopo-voto il succes

so sudista dei Cinque Stelle è stato ghettizzato come una forma più raffinata di voto di scambio, basata sul reddito di cittadinanza. Certo, il reddito ha pesato, eccome. Ma non è l’unico motivo del consenso. Nel la versione fuori dal Palazzo, Conte consegnandosi alla piazza ha inter cettato un sentimento che da sem pre serpeggia, più o meno sottotrac cia, in ampi strati popolari delle aree urbane meridionali. Un Sud contro. Diffidente verso quella modernizza zione che mira a concentrare risorse, investimenti, infrastrutture da Roma in su. Salvo riesumare il mitico ponte sullo Stretto, come ha prontamente fatto il ministro e vicepremier Matteo Salvini. Negli ultimi trent’anni, dalla nascita della Seconda Repubblica, il Mezzogiorno è stato trascurato più o meno da tutti. Con qualsiasi pre mier e con qualsiasi maggioranza di governo. In attesa che spuntasse il sol dell’avvenire, il reddito di cittadi nanza è apparso come un intervento concreto di contrasto alla povertà. Avvertito nella sua immediata spen dibilità anche da chi non lo ha incas sato. Un esempio?

Quei segmenti di ceto medio ter rorizzati di precipitare nella miseria per effetto di inflazione, caro-bollet te, crisi internazionale. Un bisogno di autotutela in cui si rispecchiano poveracci senza lavoro e non garan titi dal lavoro autonomo. Un partito sudista, dunque - con tutta l’ambi guità contenuta nella parola sudista - in grado di rivolgersi a chi affolla le periferie urbane, sociali e persino esistenziali del Mezzogiorno.

È un ritorno alla lotta di classe. Ma al contrario. Di chi ha di più contro chi ha di meno. Di chi tutto sommato ha raggiunto una posizione di benesse re e non crede che esistano ancora povertà e indigenza. Che cosa è, se non questo, l’autonomia differenzia ta tra le regioni a cui sta lavorando a tutta velocità il ministro Roberto Calderoli: più soldi alla parte ricca del Paese, a discapito delle regio ni più deboli. “Il Mattino” di Napoli ha calcolato che, se passasse l’au tonomia anche per la competenza dell’istruzione scolastica, prevista nella bozza Calderoli, le scuole del le regioni meridionali perderebbero un miliardo e 400 milioni di fondi statali. Con l’unica colpa di avere un personale docente più anziano della media, dunque con stipendi (di fa me) più alti.

Il Pd sull’autonomia differenziata vive l’ennesima contraddizione: al Sud si professa contrario; ma Ste fano Bonaccini, presidente dell’E milia-Romagna, possibile futuro segretario nazionale dem, ne è un convinto sostenitore. In compagnia dei leghisti Luca Zaia e Attilio Fonta na. Un cortocircuito comunicativo e politico totale. In molti quartieri po polari di Napoli il Pd è ridotto a per centuali a una cifra. Incubo francese, il rischio di sparire come è accadu to al Partito socialista di Hollande. Un’eventualità su cui si proietta Conte, in attesa di completare la sua trasfigurazione nel Mélenchon itali co: dal Sud all’opzione su ciò che re sta a sinistra.

13 novembre 2022 27 Prima Pagina L’intervento
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Arriva la Moratti e la sinistra non c’è più

L’

abbattimento della sinistra renderebbe molto più agevole rimpiazzarla con altre forme di organizzazione umana più razionali, più efficienti, più in sintonia con i tempi. «Si trat ta di macerie novecentesche, alcune risalenti addirittura all’Ottocento», spiega l’architetto del paesaggio Manolo Le vi-Pumpkin. «Vanno assolutamente rimosse, avendo cura di evacuare per tempo gli eventuali abitanti, e recuperando i pochi edifici di pregio e di interesse storico: suggerisco un paio di bocciofile, una casa del po polo, un cinema d’essai, una libreria, un ombrellone a Capalbio, la casa natale di Altan e poco altro».

La Fondazione Anche gli intellettuali di destra riuniti nella Fondazione Ossimo ro, dopo una giornata di studi di un’ora, con intervallo di un quarto d’ora, hanno raggiunto conclusioni molto simili: la si nistra non ha ragione di esistere, la destra invece sì. Richiesto di maggiori chiari menti, il portavoce della Fondazione ha detto di non voler rispondere alle provo cazioni.

L’evacuazione Come è facile capire, il problema logistico più serio è il trasferi mento di almeno dieci milioni di italiani dal loro habitat abituale. A questo scopo, in via sperimentale, si era pensato di can didare Letizia Moratti in Lombardia, per agevolare la fuga degli elettori di sinistra in Svizzera, o alla macchia, o addirittu ra nel Terzo Polo. Quest’ultimo è nato, su brevetto di Renzi e Calenda, proprio per sperimentare uno scenario nazionale fi nalmente privo di una sinistra. Secondo questa prospettiva, osservando l’Italia da qualunque punto di vista, si distin guerebbero nitidamente una destra e un centro. Nel luogo dove prima si trovava la sinistra, ecco una vasta zona di vuoto, fi no ad oggi suggerita solamente da alcune opere dell’arte informale, da alcuni auda ci edifici sospesi sul precipizio e dal Movi mento Cinque Stelle.

Il fallimento Ma evacuare tutte quelle persone in poco tempo non sembra così

Annunciata la candidatura

Lombardia,

semplice. Un precedente tentativo, molto ingegnoso, è fallito. È stato quando Mat teo Renzi è diventato segretario del Pd. In un primo momento era sembrato che il tentativo potesse avere successo: tro vandoselo in casa, alcuni dirigenti si sono allontanati alla spicciolata, chi abban donando l’edificio, chi buttandosi dalla finestra. Altri hanno pensato: dopotutto questa è casa mia, e per giunta non saprei proprio dove andare a dormire stanotte. E dunque hanno pensato che fosse più lo gico buttare fuori Renzi. La formula Mo ratti è un aggiornamento più prudente: non è necessario diventare segretario del Pd per distruggerlo.

La logica Il professore di logica Mark V. Lauricella, ordinario a Princeton, con sidera «la sinistra un elemento solo con cettuale del discorso. Se vi girate verso sinistra, ecco che diventa subito il centro della vostra osservazione. Dunque la sini stra, nel momento stesso in cui la osservi, è il centro. Per tutta la vita io non ho visto altro che centro». Il professor Lauricella stava elaborando uno studio simile anche sulla destra, ma non ha potuto portarlo a termine a causa di un incidente d’auto. «Non avete idea di come guidava male mio marito», ha detto la moglie in lacri me.

La natura Ma esistono, in natura, or ganismi composti solo da un centro e da una destra? Esistono. Il raro camaleonte cicatrice (Camaleo Cicatrix) ha le quattro zampe tutte sulla destra del corpo, e a sinistra una lunga cicatrice che testimonia come l’evoluzione gli abbia suggerito di rinunciare alla sim metria, per lui inutile visto che cammina solo in cerchio, stordendo la preda grazie all’assurdità dei suoi movimenti. Anche il variopinto airo ne delle rapide è munito della sola ala destra. Non può volare, ma se ne serve come timone lasciandosi trasportare dai fiumi, ingoiando pesci ed essendo a sua volta ingoiato dalle rapide: ennesimo segno della per fetta armonia della natura.

Satira Preventiva Michele Serra 13 novembre 2022 29 Illustrazione: Ivan Canu
in
gli elettori progressisti si sono dati alla macchia, sono emigrati in Svizzera o fuggiti nel Terzo Polo.
L’operazione si è rivelata più efficace della segreteria Renzi

COSÌ IL SUD PERDE

QUARANTA PER CENTO DEI FONDI DOVREBBE

DI GIANFRANCESCO TURANO

la “quota Mezzogiorno” appli cata alle ferrovie. Fatto cento il Pnrr, il quaranta dovrebbe andare a Sud. Le Fs hanno au mentato al quarantacinque. Con una dozzina di miliardi di euro da spendere da qui al dicembre 2026 il colosso di Villa Patrizi punta a ridurre un divario cresciuto a dismisura dai tem pi della Napoli-Portici, prima ferrovia ita liana inaugurata nel 1839 da Ferdinando II di Borbone.

Questa è l’idea. Poi c’è la realtà, con le gare fatte e rifatte sull’alta velocità Paler mo-Catania-Messina, la progettazione affidata a Italferr in difficoltà, le imprese ingolfate di lavori che preferiscono il Nord delle amministrazioni efficienti. Giorgia Meloni ne ha preso atto in vista delle prossime milestone, come vengono chiamati a Bruxelles gli stati avanzamen to lavori necessari a ottenere i fondi Ue, programmate a fine marzo e a fine giu gno 2023.

Perdere i soldi non è un’opzione accettabile per la presidente del Consi glio. Nello stesso modo Ursula von der Leyen, che guida la commissione eu ropea, non intende conce dere proroghe. Quindi, grazie a una certa confu

sione tra denaro del Pnrr, fondi comple mentari, fondi strutturali, fondi ordinari, aiuti vari, l’idea del governo è usare i fi nanziamenti in modo flessibile attraver so il gruppo Fs, maggiore stazione appal tante del paese con circa 24 miliardi da spendere di solo Pnrr, altri 25 di budget Rfi e un piano industriale 2022-2031 che sfiora i 190 miliardi di euro.

Nell’immediato i soldi della ricostruzio ne post-pandemica andranno a chi è pronto. E qui la quota Mezzogiorno ri schia di ridursi parecchio. È al Sud che si concentrano le amministrazioni incapaci di spendere segnalate dalla Corte dei con ti nella delibera 47 dello scorso 8 agosto.

I cantieri corrono sull’Av Brescia-Pado va e sull’asse di nordovest, con il Terzo Valico dei Giovi e il nodo di Genova. Ci si aspetta rapidità anche per la circonvalla zione ferroviaria di Trento, da collegare al tunnel del Brennero, che vale 970 mi lioni di euro di cui 930 dal Pnrr. La gara è stata bandita a fine settembre.

Sotto Roma, la Napoli-Bari procede e l’apertura della linea diretta è prevista nel 2024. Ma era partita prima della pande mia e del Pnrr ed è certo che sarà finita nel 2027-28 anziché nel 2026. Non è stata ancora assegnata la galleria Hirpinia-Or sara, un sub lotto che unirà le provincie di Benevento e Foggia. È un’opera che da sola costa 1,5 miliardi di euro per 25

30 13 novembre 2022
I binari del futuro
Foto: Universal Images Group, F. Cavassi –Agf, A. Casasoli –A3
IL
TOCCARE AL MEZZOGIORNO. MA TRA RITARDI DI SPESA, PROGETTI IMPROBABILI E PREFERENZE PER IL NORD, MOLTI MILIARDI RISCHIANO DI ANDARE IN FUMO È
Gianfrancesco Turano Giornalista La stazione ferroviaria di Napoli Afragola

ERDE IL TRENO PNRR

13 novembre 2022 31 Prima Pagina

I binari del futuro

chilometri con un risparmio di mez z’ora in tempi di percorrenza. L’inaugura zione del 2024 si farà con una parte di vecchia linea, come succedeva ai tempi dell’autostrada Salerno-Reggio, data per compiuta nel 2016 e tuttora in rifacimen to a sud di Cosenza e a Pizzo Calabro. A proposito di Calabria, la regione fra le più arretrate economicamente d’Euro pa non vedrà un euro dai fondi Pnrr in strutture ferroviarie. La Salerno-Reggio dell’alta velocità è dotata di un finanzia mento da 1,8 miliardi di euro per il lotto 1 che da Battipaglia si addentra verso l’Ir pinia, e si ferma a Romagnano al Monte (Salerno). Con i lotti successivi, senza co pertura finanziaria, dovrebbe sterzare una prima volta verso sud, una seconda verso est a Tarsia in Calabria e poi di nuo vo a ovest verso Paola o forse Lamezia Terme.

È una follia progettistica da 22 miliardi di euro, 30 miliardi secondo altri, che al lungherebbe il percorso attuale di 45 chi lometri. Lo hanno segnalato in sede di dibattito pubblico vari ingegneri e il do cente di trasporti dell’Unimed Francesco Russo, ex vicepresidente della giunta Oli verio. Sulle probabilità di completamen to entro metà secolo sono scettici persi no in Fs.

Anche in Sicilia i tecnici hanno conte stato la definizione di alta velocità per una linea che toccherà punte massime di 180 km/h. Mercoledì 8 novembre le Fs hanno dato la notizia della nuova gara assegnata su un tratto della Palermo-Ca tania-Messina. È la Caltanissetta Xir bi-Lercara da 1,7 miliardi di cui 470 mi lioni Pnrr. Ma l’annuncio non ha fatto di menticare la polemica più recente sui Frecciabianca fra Palermo e Catania, eli minati a settembre per carenza di passeg geri dovuta a scarse prestazioni: 3 ore per 200 km.

La nuova Av siciliana è un caso esem plare di finanziamento misto dato che ha ricevuto 101 milioni di fondi regionali ol tre agli extracosti coperti dal Decreto aiuti. La proroga degli aiuti al 2023 è stata invocato da Federica Brancaccio, presi dente dei costruttori dell’Ance, in una let tera spedita alla premier dove si prospet ta il blocco dei cantieri e la conseguente perdita dei fondi Ue.

VERTICI

L’amministratore delegato di Ferrovie dello Stato Luigi Ferraris. A destra: Lonato (Brescia), i lavori sulla linea ferroviaria ad alta velocita

LOMBARDIA: POCHI, COSTOSI E IN RITARDO

DI GLORIA RIVA

A gennaio Trenord, l’azienda che gestisce i convogli lombardi, annunciava l’arrivo di nuovi treni svizzeri da impiegare entro l’estate sulla scalcagnata linea BresciaParma. Dove continuano a viaggiare gli inquinanti Aln 668, risalenti agli anni ’70 e in grado di sprigionare nel cielo nubi nere e pestilenziali degne di una ciminiera dickensiana. Sono così vecchi che ormai non funzionano più, tanto che la probabilità di incappare in un ritardo è del 22 per cento, sempre che si riesca ad arrivare a destinazione: la settimana scorsa un convoglio ha preso fuoco, i pendolari sono scesi in fretta e furia dai vagoni in fiamme e il macchinista ha cercato di spegnere l’incendio. Questo perché, ovviamente, i nuovi treni svizzeri, i Colleoni Atr 803, non sono mai arrivati. O meglio, uno è arrivato a settembre, ma non è stato un grande successo: all’inaugurazione il nuovo bolide è partito puntuale da Parma ma è arrivato con mezz’ora di ritardo a Brescia fra l’imbarazzo e l’incredulità delle autorità alla stazione ad aspettarlo. I ritardi sono poi aumentati a dismisura, i

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Gloria Riva Giornalista

Rischiano di finire fuori tempo massi mo anche i nove hub intermodali e le 45 stazioni ferroviarie del sud da rinnovare entro il 2026 con il sostegno di 700 milio ni di euro del Pnrr.

Come non bastasse il caro-acciaio, se si dà un rapido sguardo alla nuova forma zione del governo, il Sud ha poco da stare sereno. Alla testa del ministero delle In frastrutture, che dovrebbe tornare a chia marsi Mit dopo la parentesi Mims, c’è il nordista Matteo Salvini che per lo più si occupa di migranti e che è tornato ad agi tare il colossale specchietto per le allodo

le del ponte sullo Stretto sostenuto dai presidenti delle due regioni e, un po’ a sorpresa, dal consiglio nazionale degli in gegneri. Il suo vice e compagno di partito è il genovese Edoardo Rixi, alle prese con gli investimenti in arrivo nella sua città. Oltre all’Av, c’è la nuova diga foranea del porto e forse un ritorno di fiamma per uno dei progetti della Gronda. Infine il sottosegretario Fdi Galeazzo Bignami, bolognese, finora si è segnalato per le go liardate con svastica e le battaglie politi che a favore dei balneari contro la diretti va Bolkestein.

pendolari si sono infuriati e Trenord ha prima ritirato il treno, poi ha dato la colpa a Rfi, ovvero alla società delle Ferrovie dello Stato che gestisce i binari, infine il 20 ottobre ha comunicato di aver bloccato le consegne e i pagamenti alla Stadler, cioè all’azienda svizzera che produce i Colleoni. Ma forse il blocco è stato solo una boutade, perché due giorni dopo Trenord ha annunciato con entusiasmo l’arrivo di altri due nuovi treni proprio dalla Stadler. Succede in Lombardia, motore economico del Paese, dove tutto va alla velocità della luce, tranne i treni, tallone d’Achille della giunta leghista di Attilio Fontana, che imperterrito continua a dire che va tutto bene e che si andrà avanti così per altri dieci anni. Sempre che le elezioni regionali del 2023 non gli diano torto. A dire che va tutto bene è anche l’assessore leghista ai Trasporti, Claudia Terzi, che ha annunciato l’intenzione di affidare direttamente il servizio ferroviario a Trenord per altri dieci anni, senza passare da una gara d’appalto, come invece indicato da una direttiva europea. Meglio l’autarchia ferroviaria, che vige in Lombardia da undici anni, ovvero

dalla fusione fra LeNord e Trenitalia per dare vita a Trenord, società partecipata al cinquanta per cento da Regione Lombardia e Ferrovie dello Stato, con accordi parasociali secondo i quali il controllo effettivo è nelle mani di Regione Lombardia che è allo stesso tempo programmatore, fornitore e compratore dei servizi ferroviari, nonché proprietario di Fnm, ovvero la capogruppo di Trenord, di cui nomina il management. Non a caso a capo di Fnm c’è il leghista Andrea Gibelli, mentre il direttore generale è Mario Giovanni Piuri, in quota Comunione e Liberazione. Nonostante gli indici di puntualità di Trenord siano largamente inferiori alla media nazionale (quest’estate si è verificato un record assoluto, come dimostra la tabella pubblicata a pagina 37 e realizzata per l'Espresso da Traspol, Laboratorio di Politica dei Trasporti del Politecnico di Milano); nonostante il numero delle corse si sia ridimensionato del cinque per cento negli ultimi cinque anni, con linee tagliate fino all’80 per cento o eliminate del tutto, sforbiciate alle corse serali e nei weekend; e

13 novembre 2022 33 Prima Pagina
Foto: F.
–Agenzia FOTOLIVE
Venezia
7,46
MILIARDI DI EURO 9,5 Brescia - Padova MILIARDI DI EURO 22 Salerno - Reggio Calabria MILIARDI DI EURO 5,8 Salerno - Reggio Calabria MILIARDI DI EURO LE CIFRE 10 9 8 7 6 5 4 3 2 1 0 TRENORD: RECORD DI RITARDI Percentuale di treni in ritardo o sospesi (Fonte: Traspol) 2016201720182019202020212022 Media di ritardo tollerabile mese per mese
Terzo Valico Milano-Genova

Molte delle opere ferroviarie che in teressano il Sud somigliano a reti a stra scico lanciate nel futuro remoto da politi ci che, per quel tempo, saranno altrove. Poi però ci sono le scadenze immediate. È vero che il tandem di testa nel gruppo Fs, formato dalla presidente Nicoletta Gia drossi e dall’ad Luigi Ferraris, è stato no minato alla fine del 2021 e dovrebbe arri vare fino al 2024. Ma nel breve-medio pe riodo il centrodestra ha a disposizione un bel lotto di nomine. Anche lo spoil system rischia di rallentare le procedure con am ministratori vecchi che si sentono a fine corsa e amministratori nuovi poco pa droni della macchina.

All’approvazione del bilancio 2022, da qui a meno di sei mesi, il governo potrà agire sulle due controllate principali Rfi e Trenitalia, che nel frattempo Ferraris ha messo a capo dei nuovi poli infrastruttu

Il viceministro leghista delle Infrastrutture, Edoardo Rixi.

A destra: Maddaloni (Caserta), il tunnel Monte Aglio sulla linea ad alta velocità Napoli-Bari

nonostante il costo del servizio regionale sia il più elevato d'Italia (22 euro al chilometro contro una media nazionale di 12 euro), la Regione ha già notificato il ri-affido decennale a Trenord ma, non avendo ancora trovato un’intesa sulle richieste economiche dell’azienda, continua a rinviare e, parallelamente, usando la scusa dello “stato d’emergenza” ha prorogato per quattro volte il contratto in essere con Trenord, scaduto nel 2019. «Per vent’anni la Lombardia si è ispirata al modello bavarese, che per conformazione geografica e dinamicità è simile al nostro. I numeri sono inizialmente cresciuti, passando dai 400mila passeggeri del 2000 agli 820mila del 2019, ma negli ultimi quattro anni Trenord ha iniziato a tagliare le corse perché l’organizzazione industriale e le relazioni sindacali non consentivano di tenere il ritmo», racconta Paolo Beria, professore di Economia dei Trasporti al Politecnico di Milano. Infatti, nei primi dieci mesi dell'anno i pendolari lombardi hanno fronteggiato 16 giornate di sciopero: «Per lo più indetti per una vertenza sui turni. E in ferrovia se il tre per cento del personale aderisce alla protesta, si ferma tutto», conferma Dario Balotta, presidente dell'Osservatorio Nazionale Liberalizzazioni Infrastrutture e Trasporti. Trenord, in un comunicato di febbraio dice che «la produzione del 2018, quando circolavano oltre 2.300 treni al giorno era un record effimero. Un così elevato numero di treni non è sostenibile e non consente di garantire un servizio di qualità: in Lombardia le infrastrutture sono sature, i binari non reggono tanto traffico ferroviario», lasciando intendere che la colpa è di Rfi, cioè delle Ferrovie dello Stato, che gestisce i binari e quindi l’inefficienza sta in capo a Roma.

re (110 miliardi di euro di investimenti più 50 dell’Anas) e passeggeri (15 miliardi di investimenti). Altri due poli, urbano e merci, sono stati creati in un progetto di aggregazione verticale fra le tante anime del leviatano Fs.

I vertici di Trenitalia hanno scarsissime probabilità di sopravvivere. Nessuna, per meglio dire. Il presidente Michele Pom peo Meta è stato assessore e deputato Pd, oltre che capo della segreteria di Nicola Zingaretti. L’ad Luigi Corradi, nonostante una dimensione tecnica acquisita nella francese Bombardier, era stato suggerito al Tesoro nel dicembre 2020 dal grillino Riccardo Fraccaro, sottosegretario del presidente del consiglio Giuseppe Conte.

Anche le manager al comando di Rfi so no state nominate a dicembre di due anni fa dal governo giallo-rosa. Non sarà con fermata la presidente Anna Masutti, do

«Di fatto c’è stato un taglio del cinque per cento dell’offerta rispetto al 2017, che per un’azienda che nel 2009 è stata creata per fare economia di scala e per dare corpo ai progetti regionali di aumento dell’offerta, non è proprio un gran risultato», commenta Beria, che continua: «Negli anni si sono fatti tagli soprattutto alle linee minori, quelle con meno passeggeri, per risparmi sui treni e sul personale da impiegare sul resto della rete. Il problema è che a fronte di questi tagli, non c’è stato alcun miglioramento sulla qualità e sulla produttività complessiva». Post covid lo scenario cambia nuovamente: i passeggeri sono diminuiti di un terzo, come è avvenuto negli altri paesi. Ma mentre in Spagna e in Germania si è scelto di promuovere i mezzi pubblici abbassando il costo del biglietto, in Lombardia da questo mese viaggiare costa il 3,82 per cento in più a fronte di un ulteriore ridimensionamento delle corse. «La decisione di tagliare i treni più vuoti, quelli serali e festivi va a scapito degli obiettivi della Regione, che nei suoi piani puntava a offrire un servizio continuo e regolare lungo tutta la giornata e che finora ha funzionato. Inoltre, non essendo visibile una riduzione dei costi nei bilanci, il servizio diventa meno efficiente, poiché a fronte di sussidi pubblici invariati e biglietti aumentati, i treni sono sempre meno numerosi». Tra il 2010 e il 2021 i ricavi sono passati da 613 a 760 milioni, ma i costi sono aumentati in egual misura. La voce che più è cresciuta è quella degli ammortamenti relativi alla manutenzione dei treni, vecchi e malandati o nuovi, complessi e costosi. «Questo significa che il costo al chilometro è al più costante, quindi con l’operazione

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I binari del futuro

Trenord non c’è stato né efficientamento, né economia di scala», tira le somme Beria. Ce n’è abbastanza per far sorgere qualche dubbio sull’imminente affidamento diretto a Trenord, eppure l'assessore ai Trasporti, Claudia Terzi tira dritto, perché «non si vorrà certo consegnare il servizio ferroviario regionale in mano a compagnie straniere, magari con sede a Parigi e Berlino». Del resto, l'avversione leghista per gli stranieri è nota. Eppure, fa notare Dario Balotta, «che male ci sarebbe? Uscire dalla logica monopolistica ed entrare nella liberalizzazione ferroviaria ha giovato in tutta Europa. In Germania numerose linee sono gestite dalla multinazionale Arriva. La stessa Trenitalia gestisce ferrovie in Germania, Inghilterra e Grecia, e alla milanese Atm è affidata la metropolitana di Copenaghen oltre ad essere in corsa per una linea parigina». Anche il professor Beria è della stessa idea: «La soluzione è dividere il servizio ferroviario in più lotti e metterli a gara separatamente. Dati i numeri in gioco, ogni lotto sarebbe sufficientemente grande da generare il massimo di economie di scala esistenti. C’è poi una soluzione più “protezionistica”, e quindi più gradita alla giunta regionale, che non risolve il conflitto di interesse ma almeno eviterebbe di vincolare i piani della regione all’insufficiente capacità produttiva di Trenord. In pratica, si lascia temporaneamente a Trenord quello che è in grado di gestire efficacemente e si affidano con gara le linee che invece l’azienda ha dimostrato di non volere (o potere) più gestire. Lasciare la situazione così com’è sarebbe insostenibile, soprattutto per chi fa vita da pendolare».

cente di Diritto della navigazione aerea prestata ai binari. Potrebbe avere qual che chance in più l’ad Vera Fiorani, entra ta in Fs nel 1995, non fosse altro che per spegnere il malcontento interno nei con fronti dei tanti manager assunti sul mer cato dal settore energia. Dei dodici diri genti della prima linea, sei arrivano da Enel-Terna. Oltre allo stesso Ferraris, so no Marco Fossataro, Roberto Tundo, Massimo Bruno, Luca Torchia e Carlo Pa lasciano Villamagna. La settima dell’e lenco è la presidente Nicoletta Giadrossi, ex Technip, Ge Oil&Gas e Falck re newables.

In attesa che Meloni e Salvini si metta no a distribuire le carte del nuovo corso, il gruppo attualmente al comando sta spostando e assumendo manager con lo stesso dinamismo con il quale organizza poli e annuncia piani industriali.

Il cfo Fossataro è arrivato a settembre dopo due anni nella cinese Haier. Ancora più recente è il trasferimento dalla con trollata Anas di Roberto Massi, ex gene rale della Guardia di Finanza trasferito in ottobre per occuparsi di security and ri sk, la casella che era occupata da un altro ex finanziere, l’ex capitano Franco Fiu mara, in antichi rapporti con il coman dante generale Giuseppe Zafarana oltre che con il concittadino e coetaneo Paolo Ielo, procuratore aggiunto a Roma.

Per Fiumara, gestore dell’intricata vi cenda delle polizze assicurative che ha coinvolto il precedente ad Gianfranco Battisti, è stata costituita ex novo ai pri mi di ottobre la Fs security project con una cessione di ramo d’azienda che sta creando qualche resistenza nel sindacato dei trasporti Orsa.

Anche le relazioni fra il gruppo Fs e il ministero potrebbero essere reindirizza te presto su nuovi interlocutori. Il capo della missione tecnica del Mims, una fi gura chiave nel coordinamento fra mini stero e Fs, è Giuseppe Catalano. L’inge gnere e docente foggiano è stato nomina to dal ministro pd Graziano Delrio nel luglio 2017, confermato due anni dopo dalla ministra Pd Paola De Micheli e mantenuto nel ruolo dal governo Draghi a marzo del 2021. Resisterà? Difficile. Non è un Pnrr per meridionali.

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Foto:
–Zuma –Splash News / IPA
F. Sasso

appare ciò che si mobili ta, che emerge, che si co ordina e, soprattutto, ciò che resiste, non può es sere, neanche lontana mente, esaustivo; al con trario, la necessità di mappare viene pro prio dal voler fotografare la propria limita tezza nel percepire le cose del mondo. Tutto ciò che accade freneticamente, si multaneamente, talvolta violentemente e, spesso, lontano da noi. La limitatezza del nostro sguardo esemplifica anche la limi tatezza di sopportare emotivamente lo scibile dell’ingiustizia. In altre parole, mappare rappresenta la necessità di ri specchiare onestamente le proprie urgen ze, le proprie bolle d’interesse; situare, so

36 13 novembre 2022 Foto:
/ NurPhoto via Getty Images Movimenti dal basso
Mauro Ujetto
DI DILETTA BELLOTTI LE COMUNITÀ RESISTENTI IGNORATE DAI PARTITI E DAI MEDIA CONIUGANO LE BATTAGLIA SU CLIMA E AMBIENTE CON QUELLE SUL LAVORO E I DIRITTI. MAPPA DI UN PROTAGONISMO POLITICO CHE FA VERA OPPOSIZIONE M

prattutto, ciò che si percepisce individual mente come «politicamente rilevante». I bias che si incontrano nel fare un lavoro del genere sono sostanziali e palesi, ma più del metodo a volte conta l’urgenza. L’urgenza di sapere, in quest’ordine, che qualcosa si è smosso, che riecheggia in noi e che forse ci appartiene. Da Nord a Sud, da Est ad Ovest, e con lega mi più o meno stretti con resistenze oltre confine, qualcosa accade lontano dai riflettori del potere, lontano persino dalla pro paganda. La soglia di sbar ramento per ciò che è bot tom-up, movimenti e par titi, sembra essere l’atten

Attivisti per il clima di Fridays For Future a Torino in occasione dello sciopero globale sul clima il 25 marzo 2022

zione mediatica. Viviamo, sempre di più, in un’epoca in cui non ci sono ere, non ci sono eventi, ma solo “news” e il ruolo de mocraticamente necessario dell’informa zione pubblica si perde, sembra essere so stituito dall’elemosina o la svendita d’at tenzione. La consequenziali problematici tà di ciò non sono solo considerevoli ma ormai attualizzate in forma di governo. Tracciare linee complesse e localizzare con pazienza le istanze credo sia un lavoro delicato quanto vitale. Nel concepire que sta mappa ho osservato tre modalità in surrezionali di fluire sul territorio. Queste modalità, sovrapposte in molte pratiche, si dispiegano intorno a tre nodi: rifiutare il credo della società contemporanea, non volersi sacrificare per questa e aspirare a creare una società migliore.

COMUNITÀ SCONFESSATE

Se una persona a noi cara si suicida, proba bilmente ci sentiremo in colpa. Noi, pro prio noi, potevamo salvarla. Questo non è quasi mai vero. Sul tema, si può intuire che se il suicidio è considerato peccato la ragio ne storica è forse legata al rifiuto di appar tenere a una comunità. Infatti, se poni fine alla tua vita, espliciti il fatto che ciò che io, organo di potere, ho creato per te, quest’u niverso di valori e costumi, per te non ha significato. Ti sfili dal contratto sociale. E io questo non posso permettertelo, perché così neghi il mio potere: io decido quando e come si deve morire. In altre parole, negare il diritto al suicidio o renderlo peccato è biopolitica. Dall’altro lato è vero che la co munità salva. Se qualcuno a noi caro si to glie la vita, non abbiamo fallito in quanto individui affettivi, ma abbiamo quasi sicu ramente fallito in quanto comunità. La co munità ha il ruolo di produrre significato, di creare risposte, reti di cura e ascolto, an che, e questo è essenziale, una comunità che sia senza Stato, senza religione e senza famiglia, tradizionalmente intesa. Ecco, forse appartenere a una comunità significa accettare di sopravvivere. In questo mo mento storico, c’è una comunità, diffusa, frammentaria e globale, che porta avanti questo tipo di rivendicazione. Per poterlo fare deve convincere le altre comunità che anche loro vogliono sopravvivere. È un’ope ra di convincimento molto strana perché si cerca di trasmettere la volontà di com

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Diletta Bellotti Attivista

SVIZZERA

EVENTI LOCALI

LEGENDA

Occhi puntati su situazioni critiche

Iniziative in corso (assemblee, manifestazioni)

Proteste organizzate

LOMBARDIA

Milano

Il 29 Novembre iniziative da parte di Giovani Palestinesi

Milano TRANS* LIVES MATTER

PIEMONTE

Torino

“ESSENON” non molla contro la cementificazione

Val di Susa Da trent’anni continua la lotta No TAV

LOMBARDIA VALLE D’AOSTA

Aosta Novara Como Bergamo

PIEMONTE

Val di Susa Torino

FRANCIA

TOSCANA

Firenze

Continua e si estende la lotta del Collettivo di Fabbrica GKN

Prato Presidio permanente davanti alla Iron&Logistic

Prato

“Movimento 8x5” per i diritti nel distretto tessile

Piombino Occhi puntanti sul rigassificatore

Empoli Occhi puntati sull’inceneritore

Coltano (PI) “No Base” contro la costruzione della base militare

SARDEGNA

Bauladu (OR)

13 Novembre assemblea contro l’occupazione militare

Sant’Anna (OR) nasce “Sardegna chiama Sardegna”

ALTO ADIGE TRENTINO

Trento

FRIULI VG

LIGURIA

Bolzano Treviso Verona

Ferrara Modena Parma Asti

Olbia Sassari

Prato Piombino

VENETO

Venezia Pisa

Bauladu

Sant’Anna

Cagliari

Bologna

Udine Siena

EMILIA ROMAGNA TOSCANA

Ancona

Empoli

Arezzo

MARCHE

Perugia

UMBRIA

LAZIO

Civitavecchia Roma

Valle Galeria

Coltano Firenze Colleferro

LAZIO

Roma

26 novembre: sciopero transfemminista Colleferro (RM)

Ravenna Genova SARDEGNA

“Rifiutiamoli” contro la costruzione di un nuovo biodigestore Valle Galeria (RM) “Giovani della Valle Galeria Libera” per la bonifica di Malagrotta

Civitavecchia Fridays For Future per la gestione sostenibile della centrale a carbone

SICILIA

Palermo

SOS Ballarò per l’emergenza crack

Niscemi Continua il comitato “NO Muos”

Palermo

0
50 100 150 km
AUSTRIA
L’aquila MAR M E D I T E R R A N E O Milano
38 13 novembre 2022 Movimenti dal basso

TRENTINO ALTO ADIGE

Trentino Alto Adige Il coordinamento No Valdastico Nord contro l’A31

SLOVENIA

Pescara

ABRUZZO

MOLISE

VENETO

Venezia 19 Novembre manifestazione cittadina “NO AL TICKET D’INGRESSO!”

EMILIA ROMAGNA

Bologna

18-19-20 Novembre Extinction Rebellion contro l’inazione climatica e il greenwashing della Regione

Bologna

Da via Oberdan 16 occupato il Laboratorio Cybilla

ABRUZZO

Pescara

Il Collettivo Fucsia lancia giornate transfemministe

PUGLIA

EVENTI

NAZIONALI

Occhi puntanti sulle reazioni durante la Cop27 in Egitto

18 Novembre Giornata di mobilitazione studentesca nazionale

20 Novembre Transgender Day of Remembrance (TDoR)

2 Dicembre Sciopero dei Sindacati di Base Contro il carobollette Nasce “Noi Non Paghiamo”

Proteste dei precari della ricerca con Restrike

Occhi puntati sulle realtà politiche e le accuse di “associazione a delinquere”

Continua “Giudizio Universale:” in causa contro lo Stato Italia per inazione

Benevento

Foggia

Napoli È nato: “Giovani Contro Meloni”

Campania

CAMPANIA

Napoli

Caserta Potenza Matera

Messina

Brindisi Lecce Taranto

“Stop Biocidio” contro la violenza ambientale nella terra dei fuochi

San Foca

CALABRIA

Vibo Valentia

Barletta Salerno BASILICATA SICILIA

Catanzaro

Crotone

Reggio

Bari Niscemi

Calabria Catania Siracusa

BASILICATA

Basilicata

Continua l’impegno contro le trivelle: “NO TRIV”

PUGLIA

Bari

“Non Solo Marange” persevera contro l’inceneritore

San Foca (LE) Non si ferma il movimento “No TAP”

battere contro qualcosa che non si ha ancora unitariamente interiorizzato come reale: il collasso climatico in tutte le sue cause e conseguenze. In più, mobilitarsi è difficile perché si è spesso precari, depressi e soli mentre dentro di noi l’intuito del col lasso climatico è violento, pervasivo e onni presente. Tuttavia, le persone nella nostra vita che lo vivono con l’urgenza che merita si contano sulle dita. Nelle proprie bolle si sta di lusso perché rimangono in piedi i va lori “borghesi”, ovvero quelli vigenti, che continuano, e temo continueranno proprio fino alla fine, a dare adito a chi, sull’orlo del burrone, si aggrappa con le unghie e con i denti al delirio che questo sia il migliore dei sistemi possibili. Sostare lì è quantomeno confortante, ed è normale che si preferisca il comfort alla realizzazione che tutto è (quasi) perduto. Dall’altro lato, poche cose sono violente come sentire un’urgenza e non percepirne neanche il seme negli occhi dell’altro; nelle sue abitudini, nelle sue prio rità. In altre parole, quello sguardo vacuo ci sta dicendo che la nostra realtà non ha sen so e tantomeno quello che ne abbiamo trat to come degno di essere salvato. Se questo accade, uno deve decidere dove sostare: nel proprio intuito (il mondo muore) o con la farsa (il mondo continua); decidere, quindi, da quale realtà essere scollati, da chi disso ciare. Abbandonare il credo secondo cui la comunità a cui si appartiene ci proteggerà non è facile: l’insurrezione è una specie di suicidio valoriale collettivo poiché l’insur rezione «destabilizza il presente e lo rende fragile, diffamando la coerenza con cui di solito si presenta» (Holston, 2008).

Chi sono quindi le comunità sconfessa te? Nella lettura di questa mappa sono gli agenti politicizzati che iniziano una prati ca politica ripudiando un credo. Un esem pio di comunità sconfessata è “Giudizio Universale”, lanciata da circa duecento soggetti sul territorio italiano: 24 associa zioni e 193 individui. La campagna ha l’o biettivo di condannare lo Stato italiano per la violazione del diritto umano al cli ma. Questa lotta ha una potenza unica proprio perché ritratta il ruolo dello Stato come entità intoccabile. Ancora più affa scinante del percepire lo Stato come reo è, a mio parere, proprio percepire lo Stato come entità di riferimento. In questo sen so, alla campagna sta anche il ruolo di

Ragusa
M A R TIRRENO M A R E A D
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CAMPAGNA
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Movimenti dal basso

dover ridefinire, pubblicamente, i dove ri dello Stato e, poi, di procedere con l’ac cusa. Sicuramente le storie di successo in altri Paesi europei, come il caso dei Paesi Bassi con l’associazione Urgenda, ci danno speranza, ma ci si chiede se qui in Italia non si debba passare dalla sconfessione prima dell’imputazione.

LE COMUNITÀ INOPEROSE

Dall’altra parte, sono quelle comunità che non accettano, per esempio, il compro messo lavoro-salute. Sono quelle che spes so vengono additate di fannulloneria e pi grizia. Sono quegli “ingrati” delle aree in terne che non si piegano alle opere pubbli che, private o, spesso , volutamente vaghe. Cittadini per cui il ricatto del lavoro preca rio in una discarica non attecchisce, così come non lo fa la minaccia di esproprio di terre per una base militare o una linea fer roviaria. Gli esempi di queste comunità si moltiplicano e resistono da decenni in tut ta la penisola. A Torino, da parecchi mesi vediamo il comitato EsseNon lottare con tro la cementificazione e la privatizzazio ne di uno spazio pubblico a pochi passi da Porta Susa. Le comunità inoperose sanno che «il dio della produttività uccide anche i suoi umili servitori» (Bonanno, 1977). Queste comunità condividono molto con le lotte oltreconfine contro i sistemi estrat tivisti e neocoloniali; bisognerebbe conta minarsi nella prassi.

LE COMUNITÀ “TERRIBILI”

Sono quelle che vogliono una vita bella. Lot tano «per questo, per altro, per tutto». Sono quelle che sottolineano l’intersezione tra lot te apparentemente diverse e lontane: sma scherano la struttura comune d’oppressione.

Sì, l’ambiente sovversivo è misero: sono d’accordo con lo scritto anonimo del 2003 che propone una disamina della deriva di certi ambienti politici. Sicuramente nel 2003 le comunità “terribili” si inceppavano in dinamiche di potere patriarcale: si per devano in narcisismi e personalismi, reite ravano ciò che combattevano. Lo fanno ancora oggi. Il tutto, bisogna dirselo, è ag gravato dal fatto che queste comunità abi tano castelli di sabbia nella bufera della fi ne del mondo. Mondo che, oltre a finire, nel frattempo, usa comunque le ultime energie per privatizzare, sgomberare e reprimere. È

DA NORD A SUD, SPESSO IN COLLEGAMENTO CON ALTRE REALTÀ INTERNAZIONALI, CONDIVIDONO LA CRITICA A UN SISTEMA PRODUTTIVO CHE CONSUMA RISORSE, VITE E FUTURO

anche vero, però, che l’ambiente sovversivo sta radicalmente cambiando: si decostrui sce e si emancipa dai ruoli che, anche da sovversivi, bisognava tradizionalmente oc cupare. Si cacciano i maschi, intesi come categoria politica oppressiva e patriarcale, dagli ambienti; si pretendono regimi ali mentari che rispettino l’ambiente e gli ani mali non-umani. Si richiede che gli spazi siano accessibili per chiunque li attraversi; che si usi un linguaggio inclusivo, non-vio lento. Pretendere, in contesti di questo ti po, significa opporsi alla prassi fornendo degli strumenti per cambiare il presente. Dunque, per uscire dalla miseria bisogna rendere sovversivi, radicali e inclusivi gli spazi, fisici e mentali, che per troppo tempo sono stati appannaggio di una sinistra in toccabile. Nel frattempo la forza fagocitan te e centrifuga del potere ha rosicchiato

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IN MARCIA

I lavoratori Gkn protestano a sostegno dei lavoratori di Alitalia. Sotto, manifestazione contro la discarica di Ponte Galeria, a Roma. Nell’altra pagina, sopra, una manifestazione contro l’alta velocità Lione-Torino nel 2017 e, sotto, attivisti per il clima a sostegno del caso Urgenda nei Paesi Bassi

tutt’intorno, ha portato il nostro sistema globale al collasso, le nostre reti di resisten za a sfaldarsi. Queste comunità terribili al lora, assodata la loro pregressa miseria, se pretenono di appartenere alla Storia, devo no coltivare e collettivizzare la rabbia, la paura, l’impotenza. Ora, un altro mondo non è solo possibile, ma necessario: la fine del mondo e la fine del mese sono la stessa lotta. Le comunità “terribili”, ormai sono un po’ ovunque e pretendono casa, reddito, autodeterminazione.

Queste tre macro-categorie di comunità si intrecciano e si mischiano fisicamente e ide ologicamente. Ovviamente sono frammen tate e frammentarie: esagerando si potrebbe dire che in Europa non si ha avuto altro pia no politico costante nei decenni se non quel lo di reprimere, con tutta la violenza possibi le, l’opposizione al sistema neoliberista. Le resistenze contemporanee non hanno altra opzione che abitare l’opposizione a tutto ciò che ci ha portati a un punto di non-ritorno. Insorgere, a questo punto, è sfilarsi dal con tratto sociale per crearne uno non creato dal sangue, è portare avanti una rivoluzione in tima, ancor prima che collettiva, ma non per funzionare, non per “essere felici”, ma per vedere la fine di questo mondo violento e in giusto, con un senso di pace, di riconciliazio ne, senza complicità. Insomma: s’è fatta l’I talia, s’è fatto il governo, che ora si faccia opposizione.

TAGLIO ALTOMAURO BIANI

13 novembre 2022 41 Prima Pagina
Foto: Getty Images (2), Agf (2)

EVASORI MISSION IMPOSSIBLE

iorgia Meloni non ha perso tempo. Prima ancora di entrare a Palazzo Chigi, nel di scorso per il voto di fiducia alla Camera, ha messo in chiaro quale sarà la rotta del nuovo governo nella lotta all’evasione fi scale. Si partirà da «grandi imprese e gran di frodi sull’Iva», ha scandito Meloni. La “mission” è chiara: il mirino di controlli e verifiche va orientato verso i bersa gli più grossi, nella convinzione che il buco nero delle tas se, quei 100 miliardi di euro circa che ogni anno mancano all’appello nelle dichiarazioni dei redditi, sia in primo luo go l’effetto delle manovre di un numero relativamente ri stretto di società capaci di occultare i loro profitti nei modi più svariati.

«Il nostro motto sarà non disturbare chi vuole fare», ha promesso la presidente del Consiglio. Parole che suonano come l’annuncio di una tregua sul fronte delle imposte per un esercito di partite Iva, professionisti, artigiani, commer cianti, un blocco sociale che vale milioni di voti per il cen trodestra. Caso vuole che giusto un paio di settimane dopo

il discorso di Meloni in Parlamento, il governo abbia reso pubblico l’annuale rapporto sui risultati del contrasto all’e vasione fiscale. Il documento, più di cento pagine fitte di numeri e tabelle, descrive una realtà molto diversa da quel la raccontata in Parlamento dalla leader di Fratelli d’Italia.

Una parte dell’analisi si concentra sul cosiddetto “tax gap”, cioè il valore delle imposte non pagate sul totale di quelle che potenzialmente potrebbero essere riscosse. Eb bene, come già negli anni scorsi, il rapporto torna a segna lare che il grosso dell’evasione si concentra sull’Irpef a cari co del lavoro autonomo e d’impresa. Un dato su tutti: in base alle stime preliminari del 2020, le ultime disponibili, il 68,7 per cento dell’Irpef potenziale non viene incas sata. Significa che i lavoratori autonomi non hanno pagato 27,6 miliardi di euro do vuti al Fisco. Un buco nero che vale circa l’1,7 per cento del Pil nazionale.

È in rosso anche il bilancio dell’Iva, un altro tributo che per una quota rilevante

42 13 novembre 2022 Conti
pubblici
G
Vittorio Malagutti Giornalista
SFUGGONO AL FISCO SOPRATTUTTO I REDDITI DI ARTIGIANI E PROFESSIONISTI. IL GOVERNO SI VUOLE CONCENTRARE SULLE GRANDI IMPRESE, MA DA LÌ SI RECUPERA POCO. E L’EUROPA PREME
DI VITTORIO MALAGUTTI

IVA, BUCO NERO ITALIA

grava su liberi professionisti, artigiani e commercianti. Qui le imposte evase ammontano a 23,1 miliardi, che corri spondono a un tax gap del 19,3 per cento. Sul fronte dell’I va, però, la situazione è in graduale miglioramento ormai da anni. Merito in buona parte dell’introduzione di misure come l’obbligo di fatturazione elettronica e lo split pay ment. Nel 2019, la quota di imposta sul valore aggiunto non pagata superava il 20 per cento (20,3) e nel 2016 si viaggiava intorno al 26 per cento (26,1).

Nonostante questi progressi, l’Italia resta però in grave ritardo rispetto a gran parte dell’Europa. Le statistiche del la Commissione di Bruxelles rivelano che soltanto in quat tro Paesi dell’Unione (Romania, Grecia, Malta e Lituania) il dato sull’evasione dell’Iva è maggiore di quello italiano. Il tax gap della Francia si aggira intorno al 7 per cento e quel lo tedesco è inferiore al 9 per cento, meno della metà rispet to all’Italia. A conti fatti, se si somma il valore dell’evasione di Irpef e quello dell’Iva si arriva a circa 50 miliardi di euro nel 2020, 10 miliardi in meno rispetto al 2019. Va però tenu to presente che due anni fa l’attività economica e quindi

anche i redditi dei contribuenti, hanno subìto una contra zione per effetto della pandemia. Di conseguenza si è ridot to anche il giro d’affari potenziale dell’evasione. Il dato da considerare è quello del tax gap percentuale e qui i valori restano molto elevati. Nel caso dell’Irpef, come detto, la quota sfuggita all’Erario è addirittura aumentata tra il 2020 e il 2021.

I numeri confermano che per l’Italia resta ancora molta strada da fare per avvicinare gli standard europei nella lot ta all’evasione fiscale. Il grave ritardo di Roma è conferma to anche dal Pnrr, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza da cui dipendono 191,5 miliardi di finanziamenti destinati al nostro Paese dalla Ue. Nell’ambito delle misure per la ri forma dell’amministrazione fiscale, che è una delle missio ni fissate dal Pnrr, è stata infatti inclusa anche la riduzione del tax gap. In pratica il governo italiano si è impegnato a tagliare la percentuale di tasse evase sul totale del gettito potenziale di tutti i tributi, escluse Imu e accise. La quota dovrà scendere dal 18,5 per cento del 2019 al 17,6 per cento del 2023 fino al 15,8 per cento che è l’obiettivo per il 2024. Non è una mission impossible, ma certo non sarà facile ri spettare la tabella di marcia fissata sulla carta, come si in tuisce da un semplice confronto con quanto è successo negli anni scorsi. Il tax gap, che era al 21,4 nel 2015, si è ri dotto di soli 3 punti percentuali nell’arco di quattro anni. Ebbene, adesso l’Europa chiede a Roma di dare un taglio netto di altri 2,7 punti entro il 2024. Non sono ancora dispo nibili i dati completi relativi al 2020, ma in base alle prime elaborazioni su Irpef e Iva è improbabile che nell’anno della pandemia ci siano stati passi avanti significativi nel percor so della riduzione del tax gap.

«Dobbiamo concentrare i nostri sforzi sui grandi evaso ri», va ripetendo Giorgia Meloni. A questo proposito, il

Foto: Tania / Contrasto 13 novembre 2022 43 5 10 15 20 25 BELGIO ITALIA GRECIA ROMANIA 34,9 25,8 20,3 12,3 11,3 8,9 8,8 7,4 6,9 4,4 OLANDA SPAGNA FRANCIA GERMANIA REGNO UNITO POLONIA
La sede centrale dell’Agenzia delle Entrate a Roma
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Evasione in percentuale sul totale del gettito potenziale (fonte: Commissione Europea)

documento pubblicato dal governo si occupa anche di Ires e Irap, le due principali imposte che gravano sui conti delle aziende. Proprio su questi tributi dovrebbero quindi concentrarsi in buona parte gli sforzi dell’esecutivo di cen trodestra, se davvero vorrà mettere in pratica quanto an nunciato il mese scorso da Meloni in Parlamento. Ebbene, in base al rapporto diffuso nei giorni scorsi dal ministero dell’Economia, per l’Ires la quota di gettito non riscossa ammonta nel 2020 al 23,7 per cento, mentre l’Irap è al 17,8 per cento. Le tabelle a corredo del docu mento segnalano anche che per le due im poste che gravano sulle imprese, due anni fa i mancati incassi da parte dello Stato hanno toccato i 13,5 miliardi di euro, circa 800 milioni in più rispetto all’anno prece dente. Anche qui ci sono ampi margini di miglioramento, ma se davvero nei prossimi anni il governo Meloni riuscisse ad arginare il flusso di denaro nero che gonfia i profitti di migliaia di aziende, i vantaggi per le cas se dello Stato ammonterebbero nella migliore delle ipotesi a una manciata di miliardi. Ben maggiori sono le somme che potrebbero essere intercettate con una più efficace lot ta all’evasione di Iva e Irpef. Per queste due imposte, come detto, il Fisco è chiamato a recuperare circa 50 miliardi di euro non pagati dai contribuenti nel solo 2020.

Di sicuro, nei prossimi mesi, l’Agenzia delle Entrate sarà chiamata ad allineare la propria attività alle nuove priorità stabilite dal governo. Passando dalle parole ai fatti, il mandato sarà quello di aumentare i controlli nei confronti dei pesi massimi, le grandi aziende, banche e multinazionali che secondo la presidente del Consiglio sarebbero le massi me responsabili della mostruosa evasione fiscale italiana.

Va detto che la macchina fiscale arriva da due anni, il 2020 e il 2021 segnati dalla pan demia, in cui le verifiche hanno marciato a passo ridotto. E infatti il valore delle impo ste riscosse per effetto delle misure di con trasto all’evasione è calato dai 19,9 miliardi del 2019 ai 12,7 miliardi del 2020 con un re cupero parziale a 13,7 miliardi fatto segna re nel 2021.

Resta da vedere, nella pratica, come ver rà riorganizzato il lavoro del Fisco in osse quio alle nuove direttive del governo. Negli ultimi anni è stato dato grande impulso alle cosiddette lettere di compliance, che per mettono al contribuente di regolarizzare in autonomia la propria posizione fiscale con pagamenti ridotti, senza atti di accerta mento o liquidazione. Con il cambio di rot ta nella strategia dei controlli, negli am bienti politici ora viene dato per molto pro babile un avvicendamento al vertice dell’A genzia delle Entrate. Potrebbe quindi uscire di scena il direttore Ernesto Maria Ruffini, in carica dal gennaio 2020, quando il governo Cinque Stelle-Pd lo ri chiamò a un incarico che aveva già ricoperto tra il 2017 e il 2018, ai tempi dell’esecutivo guidato da Paolo Gentiloni. Al ministero dell’Economia, invece, la regia degli inter venti sul fronte delle tasse dovrebbe essere affidata al vice ministro Maurizio Leo, un tributarista di lungo corso che è tornato alla Camera con Fratelli d’Italia dopo aver esordito in Parlamento nel lontano nel 2001 nelle fila di Alleanza

Nazionale. Leo, che è stato anche assessore al Bilancio a Roma con la giunta Alemanno tra il 2009 e il 2011, nell’ulti ma campagna elettorale ha indossato la divisa del militan te anti-tasse, del difensore di artigiani e professionisti ves sati dal Fisco iniquo. Tante promesse: dalla rottamazione delle cartelle esattoriali alla flat tax per le partite Iva fino a 100 mila euro di ricavi. Adesso, però, gli slogan devono fare i conti con la realtà dei conti dello Stato. E allora la tassa piatta per i lavoratori è confermata, per il momento, ma con tetto a 85 mila euro, mentre il saldo e stralcio dei vecchi debiti fiscali verrà scaglionato in base agli importi dovuti all’Erario. Di tutto il resto si parlerà più avanti. Forse.

44 13 novembre 2022 Conti pubblici
26,626,6 23,3
26,1 201520162017201820192020 20 30 40 50 60 70 EVASIONE IRPEF EVASIONE IVA 65,1 66,5 68 67,6 68,3 68,7 MANCANO ALL’APPELLO OLTRE 27 MILIARDI DI IRPEF. PIÙ DEL 60 PER CENTO DEL POTENZIALE TOTALE. UNA SOMMA CHE EQUIVALE ALL’1,7 PER CENTO DI PIL Prima Pagina IRPEF, EVASIONE DA RECORD Percentuale di imposta evasa sul totale da riscuotere
20,3 19,3

di GIA SERLENGA*

Spuntare le armi ai Tar non sblocca i cantieri

La pubblica amministra zione non funziona e i Tar bloccano i cantieri: sotto accusa controllati e con trollori.

Questo luogo comune, che diventa opinione diffusa senza risparmiare sacche di addetti ai lavori, rappre senta una facile via di fuga dalla re sponsabilità – politica – di non aver saputo creare un quadro di regole certe e comprensibili né saputo in vestire nella direzione giusta. Un corretto approccio alla que stione disvelerebbe due dati signi ficativi: meno del 2 per cento delle gare bandite è oggetto di impugna zione e – in questa materia - il giu dice amministrativo corre ad una velocità record (basti guardare le statistiche ogni anno declamate alle inaugurazioni dei TTAARR e del Consiglio di Stato); per altro verso, i fondi destinati alla forma zione nel settore dell’impiego pub blico hanno subito negli ultimi an ni tagli lineari incompatibili con prestazioni efficienti. Norme stra tificate (per non dire accavallate), produzione normativa isterica, assenza di risorse nei tantissimi Comuni italiani di piccole dimen sioni che rappresentano la spina dorsale dell’intero sistema, retri buzioni inadeguate ai rischi impli

cati dall’assunzione di responsabi lità, ben possono spiegare la paura di “firmare”.

Di certo la soluzione non è quella imboccata della riduzione delle tutele: non è quella di derubricare la responsabilità erariale del fun zionario pubblico cancellando la colpa, come si è fatto nel 2020 con l’art.21 del D.L. n. 76 convertito in legge n.120/2020; né quella di spuntare le armi al giudice ammi nistrativo, ultimo baluardo della legittimità dell’azione pubblica do po l’abolizione di tutti i controlli preventivi, come si è fatto nel 2021 con l’art.48 del D.L. n. 77, converti to in legge 128/2021.

È evidente che neanche in occa sione dell’ultima grande iniezio ne di capitali negli investimenti con il piano Marshall del XXI seco lo (il famigerato Pnrr di cui do vranno rispondere i nostri figli e nipoti) si è sfuggiti al corto circui to: al giudice amministrativo è sta to sottratto il potere di “interveni re” nella fase dell’aggiudicazione con un provvedimento inibitorio che individua e corregge –imme diatamente - l’eventuale violazio ne delle regole, riportando il pro cedimento sul corretto binario. Perché è esattamente questo che il

giudice amministrativo fa con la odiatissima “sospensiva” e che non potrà fare rispetto agli appalti fi nanziati dal programma straordi nario: corregge in tempo –quasireale la deviazione dal corretto procedimento; e lo fa sostenendo la decisione cautelare – quasi - im mediata con una corposa motiva zione (statisticamente non smen tita in sede di decisione definitiva), fissando la data della discussione per la soluzione finale della con troversia in un arco temporale molto ristretto anche per gli stan dard europei o, addirittura, lo fa decidendo la controversia con sentenza immediata, sottoposto a termini stringenti e mediamente osservati con scrupolo; tanto da non potersi ragionevolmente giu stificare l’accusa di «bloccare» i cantieri.

La riduzione di tutele non può essere la strada maestra in uno Stato di diritto; non può esserlo per gli interessi individuali di cit tadini e imprese, che finiranno per pagare di tasca propria errori e inefficienze lasciati andare né per la salvaguardia dello stesso inte resse pubblico.

Occorrerà quindi guardare con onestà intellettuale alla radice dei problemi, non inseguire soluzioni punitive, controllare l’ipertrofia normativa (less regulation for bet ter regulation) e spendere nella di rezione giusta.

*Presidente dell’Associazione nazionale magistrati amministrativi

13 novembre 2022 45 Prima Pagina L’intervento
Norme stratificate, produzione isterica, assenza di risorse, retribuzioni inadeguate al livello di responsabilità, possono spiegare la paura di “firmare”

CRONACA DI UN PAESE

Non ci state riportando in Li bia…vero?» mi chiede M. in un pomeriggio di attesa co me tanti. Sono a bordo della Humanity 1, la nave di soc corso di Sos Humanity, da esattamente un mese, con altri 28 membri della crew e 179 persone soccorse in mare in tre rescue, tra il 22 e il 24 ottobre. M. è arrivato durante il primo salvataggio, viene dal Kashmir, ha 29 anni, una moglie e una figlia che vorrebbe portare in Europa. «Sia mo in mare ormai da più di dieci giorni, se non troviamo un porto sicuro ci riporterete

in Libia?», chiede. Quanto le esperienze di vita devono aver incrinato la sua fiducia ne gli altri se M. arriva a dubitare del suo soc corritore? Rispondo che abbiamo poche certezze, ma no, in Libia non torneremo. Mi guarda con gli occhi di uno che si vuole fidare, non ha altra scelta.

Fino a poco prima dell’arrivo al porto di Catania, durante il briefing mattutino, mi salutava dicendomi: «Sento che oggi è il giorno buono, sento che ci saranno buone notizie». Non sapevo mai che rispondere. A 30 giorni dalle elezioni, la situazione è pro prio come avevo immaginato appena salito a bordo di Humanity 1. La destra sta metten do in pratica le promesse fatte in campagna elettorale: porti chiusi, politiche per fermare

i migranti che arrivano dal mare e nessun dialogo con le Ong. Anche se come ha affer mato proprio il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, solo il 16 per cento dei migranti arriva in Italia grazie alle Organizzazioni non governative. I restanti arrivano sponta neamente o attraverso la Guardia costiera italiana. Così la lotta portata avanti dal governo Meloni più che all’immigrazione clandestinasembraunabat taglia politica. Contro chi ha avuto la sfortuna di salire sulla nave sbagliata.

«Preferisco stare un an no su questa nave invece di passare ancora un giorno

46 13 novembre 2022 Esclusivo / Salvati e respinti
I SOCCORSI E LA CONTA DEI MORTI, L’ATTESA E LO SBARCO NEGATO. LE SBRIGATIVE DIAGNOSI A TERRA: CHI È GUARITO
BORDO. DIARIO
UNA VERGOGNA DAL
HUMANITY
TORNI A
DI
PONTE DI
1
Foto: S.O.S. Humanity
Max Cavallari Fotoreporter

PAESE DISUMANO

in Libia», mi ha spiegato, mentre ero di guardia sul ponte, L. che arriva dal Gam bia. Tutti gli altri stavano ancora dormen do, lui non riusciva. Era salito a bordo da pochi giorni, durante il rescue più com plesso dei tre: il gommone con 113 persone era già quasi sgonfio al nostro arrivo, ab biamo saputo solo dopo che gli scafisti gli avevano dato due pompe per rigonfiarlo, consapevoli, quindi, delle pessime condi zioni in cui li avevano abbandonati. «Quante persone avete contato sulla no stra barca?», mi chiede. Gli dico, per quan to ricordo a memoria, che erano in 113. «Abbiamo perso sei fratelli l’altra sera», mi risponde facendomi gelare il sangue. Qualche giorno dopo abbiamo celebrato i

Migranti soccorsi in mare dall’intervento della Ong Sos Humanity. Tra il 22 e il 24 ottobre prima dell’arrivo a Catania, domenica 6 novembre, sono stati effettuati tre salvataggi

morti con una commemorazione collettiva nel mezzo del Mediterraneo. «Questa è la terza volta che provo a lasciare la Libia», racconta ancora L.: «Le persone che ci dan no le barche per partire sono le stesse che poi, vestiti come militari, ci vengono a pren dere in mare e ci riportano indietro».

Come spiega David, responsabile del Care team della Humanity 1 la situazione è la stessa da anni. «Ho iniziato a lavorare nel Search and rescue nel 2019 con la nave Alan Kurdi. Erano gli anni in cui Matteo Salvini era ministro dell’Interno. Il periodo dei porti chiusi. Siamo rimasti in attesa 12 giorni e ci sembrava che il tempo non passasse mai. Ormai l’attesa, invece, è diventata parte della pianificazione della missione, la media è

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di una decina di giorni, a prescindere dal le condizioni delle persone a bordo. Ma sono io la persona che deve dire ogni mattina a 179 persone che ci sono le stesse novità del giorno prima, ovvero nessuna. Sono triste perché non sono più sorpreso di vivere ogni volta una situazione come questa». Ci inter rompiamo perché a gran velocità si stanno avvicinando due battelli non identificati. Non rispondono alla radio. Poi si fermano per un po’ a 2 miglia e si allontanano. «È la Guardia costiera italiana, non si capisce co me mai si sia avvicinata così tanto senza comunicare nulla», mi dice Samir compo nente dell’equipaggio con una lunga espe rienza. Riprendo a parlare con David: «So no 7 anni e più che questa storia va avanti. Prima almeno c’era collaborazione tra la Guardia costiera italiana e le Ong, ora si av vicinano a grande velocità per darci un si lente avviso che siamo troppo vicini alle coste italiane. In questo lavoro devi sempre chiederti qual è il tuo ruolo e qual è il con tributo che stai dando alla visione più gene rale del problema. Forse cercherò un altro lavoro ma sempre nella cooperazione. Pos so cambiare punto di vista ma non quello che vedo e penso. Il problema è qui, ai no stri confini, nei nostri quartieri, vicino alle nostre case». Gli chiedo cosa lo spinge a continuare: «Perché credi in quello che fai, perché sai che non potresti essere da nes sun’altra parte al mondo».

Poco dopo David deve sedare un’accesa discussione scoppiata tra le persone soc corse. Un motivo vero per litigare non c’è ma in 11 metri di larghezza la convivenza non è sempre facile. La stanchezza è tanta. E nelle notti di novembre sul ponte il freddo si fa sentire. Con vento forte e onde alte due metri chi è più esposto viene svegliato da secchiate di acqua salata e gelida che im pregna le coperte di pannolenci. Anche quando asciutte, trattengono il sale nel tes suto, lasciando quella continua sensazione di umido e colloso. «Dov’eri stanotte? Dor mivi?», mi chiede un ragazzo con cui spes so mi fermo a parlare. Avevo vergogna di dirgli che sì, dormivo. Poco dopo ci arriva quella che all’inizio era sembrata una buo na notizia: la capitaneria di porto ci conce de di attraccare, per «il disimbarco di don ne, minori e fragili». David ha qualcosa di positivo da comunicare. «Stiamo arrivando in Italia». Il ponte a quel punto esplode, di

VIOLENZE E TORTURE IN LIBIA L’ITALIA HA SPESO UN MILIARDO

L’ultimo giorno utile per interrompere la collaborazione tra il governo italiano e le autorità libiche era il 2 novembre scorso. Quel giorno il memorandum d’intesa tra i due Paesi è stato rinnovato tacitamente per la seconda volta in cinque anni. A poco è servita la protesta delle 40 associazioni scese in piazza per chiedere lo stop ad un accordo che «crea le condizioni per la violazione dei diritti» e che agevola «pratiche di sfruttamento e di tortura». I destinatari di queste operazioni sono i 100 mila migranti che dal 2017 (anno in cui è stato sottoscritto il memorandum) sono stati intercettati e riportati indietro dalla cosiddetta guardia costiera libica mentre tentavano la traversata verso le coste europee. Un’operazione supportata e finanziata da fondi provenienti dall’Italia e che ogni anno vengono destinati al Paese nordafricano. In tutto, nel giro di cinque anni è stato stanziato più di un miliardo di euro in fondi pubblici (1,16 per l’esattezza), tra missioni finalizzate alla stabilizzazione, lotta al traffico di esseri umani e supporto alla marina libica, spesso collusa con i trafficanti stessi. «Nessuna delle missioni ha come mandato specifico

48 13 novembre 2022
Esclusivo / Salvati e respinti
DI GABRIELE BARTOLONI

SOLO

IL 16 PER CENTO DEI MIGRANTI ARRIVA GRAZIE ALLE ONG: LA LOTTA DEL GOVERNO MELONI È UNA BATTAGLIA

POLITICA CONTRO CHI HA LA SFORTUNA DI SALIRE SULLA NAVE SBAGLIATA

venta una massa informe di corpi agitati che danzano e si stringono. E di volti defor mati dalle urla di felicità.

L’arrivo al porto, scortati dalla guardia co stiera, è tranquillo. Al nostro arrivo, intorno alle 23.30, c’è meno polizia di quanto mi aspettassi ma anche nessuna struttura per la registrazione. Danno speranza i tre bus par cheggiati. La procedura è che le dottoresse con la divisa del ministero della Sanità e del la Croce rossa controllino insieme alla no stra dottoressa lo stato di tutti i soccorsi, la priorità è data alle tre donne minori, alla bambina di sette mesi e ai più di 100 uomini, minori anche loro, non accompagnati. In 143 vengono fatti sbarcare e caricati sui bus. Il problema inizia quando parte il controllo degli adulti: «È stata la notte peggiore della mia vita», mi racconta Silvia, la dottoressa di bordo mentre siamo seduti su un ormeg

I naufraghi sul ponte. A sinistra: Il team di Humanity 1 fa salire a bordo della nave i migranti.

quello di salvare vite in mare», spiega Giulia Capitani, policy advisor di Oxfam Italia. Ad oggi sono in tutto otto le operazioni finanziate dall’Italia e attive tra la Libia e il Mediterraneo centrale. Quella riguardante il sostegno alla guardia costiera di Tripoli ha subito una continua crescita di fondi. Dai 3,6 milioni del 2017 gli stanziamenti sono lievitati di anno in anno fino a raggiungere gli 11,8 milioni previsti dal decreto missioni approvato a luglio di quest’anno. Si tratta di una cifra che triplica lo stanziamento iniziale, la più alta mai raggiunta. La missione ha come base giuridica proprio il memorandum d’intesa tra Italia e Libia, firmato dal governo di centrosinistra guidato da Paolo Gentiloni. L’accordo impegna l’Italia ad «avviare iniziative di cooperazione» al fine di arginare «i flussi di migranti illegali». Tradotto in termini pratici, significa addestramento e fornitura di strumenti per l’intercettazione dei barconi nella zona di competenza libica. Lo scorso 25 ottobre, a pochi giorni dal rinnovo del memorandum, è stata chiusa una commessa che porterà all’invio di 14 imbarcazioni destinate alla Libia. Un partita da 6,6 milioni

di euro che, come denuncia il mensile Altreconomia, è stata finanziata attraverso i soldi europei provenienti dall’Africa Trust Fund. Un fondo cofinanziato dal Viminale, che dedica un linea specifica al contenimento dei flussi in partenza dal Nordafrica. L’ammontare è di 57,2 milioni di euro. L’obiettivo - si legge - è quello di «rafforzare la capacità delle autorità libiche».

Non è la prima volta che l’Italia decide di inviare mezzi navali alle forze di Tripoli. Da anni in territorio libico è presente anche un «dispositivo aeronavale» italiano con il compito di supportare e coordinare i guardacoste. Lo prevede una parte dell’operazione Mare sicuro, destinataria dal 2017 ad oggi di più di mezzo miliardo di euro. Non è chiaro quanti di questi fondi siano dedicati in maniera specifica alle attività di supporto alla marina libica. «Dei finanziamenti che ogni anno vengono decisi per la Libia si conosce lo stanziamento complessivo, ma non è chiaro chi e cosa vadano a finanziare nello specifico», dice Capitani. L’obiettivo di Mare sicuro, oltre al contrasto dei traffici illeciti, è anche quello di fornire «un centro operativo marittimo in territorio libico», strumento imprescindibile affinché Tripoli possa svolgere le azioni di contenimento dei flussi. Un’operazione che consiste nell’intercettazione dei barconi nella propria zona di competenza e il conseguente trasferimento dei migranti nei centri di detenzione governativi, all’interno dei quali - come da anni denunciano Ong e inchieste

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Foto:
Humanity
S.O.S.

gio senza neanche un’ora di sonno con i piedi a terra dopo 34 giorni di mare. «Quan do le dottoresse esterne, dopo aver control lato dalla testa ai piedi ogni adulto, mi dice vano che una persona era sana, rispondevo loro che era arrivata in condizioni di ipoter mia, con ferite purulente, infezioni, emato mi,senzacontareildannopsicologicoacau sa delle numerose torture vissute in Libia che il nostro specialista ha catalogato con me nei report. Mi sono sentita rispondere che non c’era giustificazione alcuna per far sbarcare chi risultava guarito. Volevo soltan to urlare. Mi sento come se avessi causato un problema più grande a chi ho curato bene. Mi sono vergognata. Tutto ciò è completa mente fuori dall’etica per cui ho deciso di essere un medico».

A mezzanotte siamo ancora in 64 sulla na ve al porto di Catania, oggetto di grandi di

Esclusivo / Salvati e respinti

Il portellone di accesso a bordo visto dal ponte superiore durante le operazioni di salvataggio

scussioni nazionali ed internazionali. Siamo nella zona grigia dove tutto si confonde e di cui capisci l’immensità standoci dentro. Do mani alle 6 inizia il mio turno di guardia. Ap pena aperti gli occhi guarderò fuori dall’oblò emiverràinmentequellafrasesuunacolon na del centro di Bologna, vicino a casa: «Il mondo è un casino ma l’alba è bellissima».

giornalistiche - i migranti vengono sottoposti a continue violazioni dei loro diritti. L’accusa è che l’Italia, con il supporto offerto a Tripoli, chiuda gli occhi davanti a violenze e maltrattamenti. Le testimonianze dei migranti sbarcati in Italia parlano di stupri, uccisioni e torture. Il tutto si somma alla scomparsa delle operazioni umanitarie nel Mediterraneo. «L’unica vera missione di salvataggio è stata Mare nostrum, finita nel 2014 e sostituita da altre missioni che non hanno specifici compiti di ricerca e soccorso», spiega Capitani. Si tratta di operazioni come Triton, Themis e Irini. Quest’ultima, a luglio del 2022, è stata rifinanziata con la dote più alta da quando è stata attivata: 40,3 milioni di euro. A coprire lo spazio lasciato dallo stop di Mare nostrum ci sono le Ong, «le uniche - sostiene la policy advisor di Oxfam - che nel Mediterraneo svolgono ancora attività di salvataggio». Non mancano i limiti. Dal 2018 la Libia, grazie al supporto dell’Italia, ha istituito una propria zona Sar. Un’area di mare che si estende per svariate miglia al largo delle coste nordafricane e all’interno della quale la cosiddetta guardia costiera svolge la sua attività di ricerca e soccorso, tenendo alla larga le navi che compiono attività umanitarie.

Nel luglio scorso anche il Partito democratico, per la prima volta, ha deciso di non votare la parte del decreto missioni riguardante il supporto alla marina libica. Una presa di posizione che non è riuscito ad imporre lo

stop ai finanziamenti, visto il sostegno delle altre forze politiche. Se nel centrodestra il sì al memorandum pare granitico, nel centrosinistra le posizioni vanno dallo stralcio tout court alla parziale revisione dell’accordo. Lia Quartapelle, responsabile esteri del Pd, è convinta che la strada migliore sia la seconda: «È necessario che vada modificato rendendo più stringenti le parti che riguardano il trattamento dei migranti in territorio libico». Rivederlo, dunque, senza stracciarlo. «Non possiamo gestire le migrazioni senza collaborare con i Paesi di provenienza e di transito».

Come conseguenza del tacito rinnovo, il memorandum rimarrà in vigore per altri tre anni. Durante questo arco di tempo il governo italiano avrà la possibilità di chiedere una modifica alla controparte libica. I problemi, però, non mancano. In primo luogo non è detto che Tripoli si dica disponibile a modificare l’accordo. Ma l’incognita più grande riguarda la volontà politica del nuovo esecutivo. I cui partiti non hanno mai messo in discussione la prosecuzione dell’accordo.

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Foto: S.O.S. Humanity

I NOSTRI PORTI COME

DI DONATELLA DI CESARE

L’

idea che sia lecito «selezionare» gli esseri umani significa voler trasformare le ban chine dei porti – zone di sbarco, simbolo di sicurezza – nella nuova versione delle ram pe novecentesche. Avevamo pensato di non dover mai più sentire quel terribile verbo, di non dover mai più vedere medici incaricati di sce gliere sulla base di criteri, tanto aleatori quanto arbitrari, tra chi è degno di salvezza e chi può essere lasciato in balia dei flutti. Chi decide sulla «fragilità»? Come se il capitolo più buio della nostra storia, quello in cui l’essere umano ha perso la sua dignità, non ci avesse insegnato nulla, come se

i nostri sopravvissuti non ci avessero ammonito, con le loro parole sofferte e limpide. E invece torna a risuonare, con accenti e termini diversi, quel freddo gergo burocratico-po liziesco con cui si può giungere a parlare di «carico residua le», gravame, zavorra, per la cosiddetta “umanità in ecces so”, i superflui, le scorie.

La questione è anzitutto etica, sia perché riguarda quel gesto quasi ancestrale dell’ospitalità che, già per gli antichi, era segno di mutuo riconoscimento, sia perché tocca i di ritti di coloro che non hanno protezione, che sono lì nella loro nudità e che per questo, non avendo una cittadinanza o una copertura statuale forte, avrebbero invece bisogno di un sovrappiù di soccorso e di tutela. Sta qui il grande tema dei diritti umani, in questo scontro del tutto sproporziona to fra un migrante e uno Stato nazionale. Le organizzazioni umanitarie cercano allora di mediare, puntando a sostene re esseri indifesi. Non saremo mai abbastanza grati a Medi ci senza frontiere e a tutte quelle ong che, salvando vite umane, salvano anche la nostra dignità.

Lo Stato sovranista è quello che pretende di esercitare senza scrupolo una sovranità imperiosa ai propri confini. Per far valere questo potere biopolitico, potere che consen te di vivere o lascia morire, non c’è nulla di meglio che ri chiamarsi a una selezione e a supposti cri teri che dovrebbero essere oggettivi. Non è un caso che proprio questo argomento sia stato uno dei pilastri della propaganda le ghista. Quando era ministro dell’Interno Matteo Salvini lo richiamava quotidiana mente. Ed ecco che oggi, con la destra al governo, rispunta la logica della selezione.

Da una parte ci sarebbero i «rifugiati» buoni, dall’altra i cattivi, i «migranti», da

Le operazioni di soccorso e sbarco dalla nave Humanity 1, nel porto di Catania

una parte i veri, dall’altra i falsi. Si distinguerebbe così legit timamente tra coloro che, fuggendo per motivi politici, po trebbero essere accolti e coloro che, avendo lasciato il loro Paese spinti da «mire economiche», o «dall’ambizione di migliorare la loro vita», andrebbero drasticamente respin ti. Se “rifugiato” è la categoria che sancisce la salvezza, “mi grante” è l’etichetta-frontiera con cui si viene respinti. Clandestino, nemico nascosto, profittatore subdolo, falso rifugiato, né perseguitato né vittima per cui si possa prova re compassione o solidarietà, il migrante – termine ormai spregiativo – designa questo nuovo povero a cui è stata tol ta anche l’antica dignità del povero. Versione ultima della miseria contemporanea, che oltrepassa perfino l’umilia zione economica, il migrante non esercita nessun fascino esotico. Nella sua nudità, oscura e illegittima, è lo spettro dell’ospite, è lo straniero spogliato della sua aura esotica, della sacralità. Eppure, avrebbe mille ragioni da far valere, mille motivi, spesso intrecciati e connessi, che lo hanno co stretto a partire.

Da anni si sa che ogni selezione è destituita di fondamen

52 13 novembre 2022 Il commento

to. Perciò si parla già da tempo di «flussi misti» per indicare l’arrivo di migranti che fuggono da guerra, violenza, fame. Si indica con questa formula l’impossibilità di appli care categorie rigide e obsolete. Nei nuovi, innumerevoli conflitti politici, etnici, reli giosi, la persecuzione può avere non solo il volto del terrorismo, ma anche quello della siccità. Chi abbandona per questo il pro prio Paese potrebbe, a torto, essere consi derato migrante economico. Come un rifugiato di guerra potrebbe essere stato mosso anche da un progetto econo mico, così un supposto migrante potrebbe aver subìto tutta la vita vessazioni politiche. Il criterio dell’appartenenza na zionale, che non è mai stato sufficiente, appare ormai del tutto inattendibile.

Ecco perché la distinzione tra perseguitati politici e mi granti economici non regge. Sarebbe come sostenere che l’impoverimento di interi continenti non abbia cause poli tiche. Sfruttamento, crisi finanziarie, fuga dei capitali, cor

ruzione, catastrofi ecologiche non sono motivi meno rile vanti della minaccia personale, della tortura, dell’arresto. Quel criterio antistorico è tenuto in piedi solo da un’ottusa volontà di respingimento.

Per affrontare un epocale problema umanitario serve umanità. E occorre politica, non polizia. La logica della selezione poliziesca, che moltiplica le barriere, che incre menta le procedure burocratiche, che favorisce all’esterno campi di detenzione, mostra da tempo tutte le sue falle. Anziché procedere verso una comune politica europea, do ve il nostro Paese deve essere protagonista e dare indica zioni, rischiamo di precipitare con il nuovo ministro Mat teo Piantedosi, di fede salviniana, in uno scenario da incu bo, come quello di qualche anno fa, che avremmo voluto lasciarci definitivamente alle spalle: migranti lasciati per giorni sulle navi, medici a bordo con scopi ambigui, magi stratura all’opera, ong ed equipaggi chiamati sul banco de gli imputati come se fossero trafficanti. Il tutto condito con un complottismo da quattro soldi, con cui si parla di «navi straniere», colpevoli di favorire la «immigrazione clande stina», cioè una sorta di invasione infida.

Non vogliamo più sentire termini ripugnanti come «sbarchi selettivi» oppure «carico residuale». Né tanto me no vogliamo azioni poliziesche ai nostri porti, a metà tra la piazzata farsesca e il gratuito gesto crudele. Prendere in ostaggio poveri esseri umani per biechi interessi politici è

una vergogna. Ma lo è ancor di più, se è possibile, farli passa re per corpi estranei, fuori posto, della cui superfluità non si sa come sbarazzarsi. Si risalga presto da questa china peri colosa, da questo abisso inquietante. Non è sulle banchine dei porti italiani che si affronta il problema della migrazio ne, ma nel consesso di Bruxelles, dove il nostro Paese, con gli strumenti della collaborazione, deve far valere le proprie ragioni e trovare gli accordi necessari. Questa è la strada po litica giusta. Non la spietatezza teatralizzata.

13 novembre 2022 53 Prima Pagina Foto: Max Cavallari
COME RAMPE DEL
LO STATO SELEZIONA CHI HA DIRITTO DI SBARCARE. SCEGLIE, CON CRITERI ALEATORI E ARBITRARI, CHI È DEGNO DI SALVEZZA E CHI PUÒ ESSERE LASCIATO IN BALIA DEI FLUTTI. UNA VERGOGNA
‘900

l prossimo partirà in serata, dipende dal meteo. Al più tardi domani notte». L’aria è limpida e tira un po’ di vento al porto di Tripoli, ma i vecchi pesca tori che filano le reti confermano che sta per al zarsi il mare. Siamo nel Nord del Libano e in parti colare nella zona di Mina, da dove salpano i barco ni diretti verso l’Italia. È la nuova rotta che si è aperta da circa cinque mesi e che già in estate ha condotto molti migranti sulle coste della Calabria.

A camminare tra i moli del porticciolo, non si direbbe mai che sia proprio qui che di notte i trafficanti di esseri umani fanno i loro affari, quasi come Hassan, che mentre curiosia mo qui e lì ci offre una gita sul suo peschereccio, per mo strarci le isole al largo. In realtà, le partenze avvengono più avanti lungo la spiaggia, in piccoli approdi poco illuminati. A raccon tarcelo è Brahim, libanese di 25 anni che ha tentato di andar via, ma la barca su cui era è affondata. «Negli ultimi mesi, in molti han no deciso di partire, perché la situazione è disperata. Non è solo questione di povertà, è che manca il rispetto della dignità umana. E allora, con mia madre, due mie sorelle e la mia fidanzata abbiamo organizzato il viag gio», racconta al tavolino di un caffè. Mentre parla si tor menta le mani. «Insieme ad altre persone abbiamo deciso di non affidarci ai trafficanti, ma di mettere insieme i soldi e affittare una barca. Però, mentre eravamo in mezzo al mare, la guardia costiera libanese ci ha aspettato, sembrava una trappola. Noi gli abbiamo spiegato che non eravamo trafficanti o cri minali ma loro hanno lo stesso attaccato la barca con i fucili. Perché non avevamo dato la tangente. Si sa, i militari si fanno pagare dai mediatori che organizzano i viaggi. Noi non avevamo dato la mazzetta e ci hanno affondato. E mia sorella e la mia fidanzata sono morte». Brahim ci mostra le foto del

naufragio, i video dei momenti di terrore a bordo. E la foto della sua ragazza, annegata insieme ad altre quattro perso ne, tra cui un bambino.

Tripoli è una delle città più povere del Mediterraneo e an cor più delle altre città del Libano ha risentito della crisi eco nomica. Non c’è lavoro, non ci sono strutture sanitarie. La corrente elettrica c’è solo un’ora alla settimana. Perciò, chi ha i soldi affitta dei generatori a circa 200 dollari al mese. Chi non può permetterselo, resta al buio. È per questo che la città è diventata il cardine delle partenze, non solo per i migranti, per i rifugiati, ma anche per i libanesi stessi. A camminare per le strade, la povertà la si scorge in piccoli dettagli: anziani che offrono ai bimbi un giro sul cavallo per pochi spiccioli,

ragazzini con carretti di latta che vendono noccioline calde, donne con abiti rattoppati. E in mezzo alla miseria più nera, il business dei viaggi verso l’Europa è diventata un’idea su cui riflettere. «Sa cos’è successo? Che molti hanno pensato di sfruttare la situazione e si sono trasformati in trafficanti. Ma gari con più scrupoli di altri, ma il risultato è lo stesso». Majdi Adam, palestinese di 45 anni, ci accoglie all’ingresso del campo di Shatila, a Beirut. Pochi giorni prima del nostro ar rivo è stato il quarantesimo anniversario del massacro com piuto dalle forze libanesi e dall’esercito israeliano tra il 16 e il 18 settembre 1982. Ma da allora la situazione del campo è peggiorata sempre di più. Addentrandoci tra i vicoli, entria mo nel cuore di questo ghetto palestinese e siriano, umido, cadente, a tratti puzzolente. «Le condizioni di vita sono

I barconi del Mediterraneo
I TRAFFICANTI DELLA DISPERAZIONE I
DI BIANCA SENATORE DA TRIPOLI (LIBANO) - FOTO DI CHRISTIAN FRANZ TRAGNI
SCAFISTI IMPROVVISATI E VIAGGI FAI-DA-TE: NEL LIBANO IN MISERIA SI È APERTA UNA NUOVA ROTTA VERSO L’EUROPA. E ARRIVANO A FROTTE I PALESTINESI DEL GHETTO DI SHATILA 54 13 novembre 2022
Bianca Senatore Giornalista
13 novembre 2022 55 Prima Pagina
L’interno del campo di Shatila, il ghetto per palestinesi e siriani

degradanti qui dentro», racconta Adam accogliendoci nella sede della sua associazione per i ragazzi. C’è il calcetto, libri, puzzle, quaderni per scrivere o disegnare. Qualunque cosa pur di impegnare i ragazzi. «Non possiamo lavorare fuori dal campo, ma qui dentro non c’è nulla. E le cose si sono aggravate da quando sono arrivati i siriani». Se la pagnotta è piccola, più arrivano commensali meno ce n’è per tutti. E si generano tensioni, spiega. «Per questo, molti hanno deciso di investire una somma intorno ai 10mila euro per comprare una barca e ne hanno ricavato anche oltre i 700mila euro».

Dallo scorso aprile, a Shatila si è generata una frenesia per le partenze verso l’Europa. E infatti, i costi per un posto su un barcone sono cresciuti. Prima andavano dai 3 ai 5mila dollari, mentre adesso si aggirano tra gli 8 e i 10mila. «Ci sono i vecchi trafficanti che hanno rincarato i prezzi e lavo rano moltissimo», spiega ancora Adam sorseggiando il tè. «Fanno pubblicità tra i vicoli, mostrando le foto della bellis sima barca che li porterà a destinazione. Sembrano guide turistiche. Ma è una bugia, perché la vera barca, in realtà, è troppo piccola per tutti e a volte è anche marcia. Per questo molti affondano e in tantissimi sono morti». A volte, per in gannare le persone, i trafficanti raccontano che la barca pic colina su cui stanno salendo serve solo per condurli al largo, dove li aspetta la vera nave che li porterà in Italia. Lo dicono perché nessuno si tiri indietro per paura. «Poi ci sono i traf ficanti improvvisati», racconta ancora: «Quelli che non so no spietati e magari davvero provano a fare arrivare tutti a destinazione, ma riempiono troppo la barca che, quindi, af fonda ugualmente». Nelle ultime settimane, ci sono stati diversi brutti naufragi, il più tremendo è quello al largo della città siriana di Tartus, in cui sono morte circa 81 persone ma decine e decine non sono ancora state ritrovate. In mez zo alla strada di Shatila incontriamo Mohammed, che in quella tragedia ha perso i suoi nipoti di 15 e 17 anni. Uno dei due è ancora disperso, l’altro è all’obitorio di Tartus, in atte sa del riconoscimento. «La Siria non si fida del test del dna fatto qui», racconta Mohammed nella penombra di casa

sua. È saltata la corrente. «Allora gli hanno strappato un dente e ce lo hanno mandato per accertarne l’identità». So lo allora qualcuno potrà andare a prendere il corpo, per por tarlo a Shatila, dalla sua famiglia. «Molti stanno capendo che il viaggio è rischioso, però la voglia di evadere da questo inferno è molto forte. Soprattutto dopo che è scoppiata la guerra in Ucraina»», dice Adam.

Il conflitto tra Mosca e Kiev è venuto fuori più volte du rante i racconti dei migranti, qui in Libano. E non solo per via delle conseguenze economiche, con i mancati riforni menti di grano che di nuovo, dopo i combattimenti in Cri mea, rischiano di bloccarsi. A convincere molti a partire è stata la grande accoglienza dell’Italia e di molti Paesi euro pei verso i profughi ucraini. Perché loro sì e noi no? E allora, pensando di approfittare di un moto di generosità improvvi sa, come se a spalancare i cuori verso gli ucraini si fosse fatto spazio anche per tutti gli altri, sono partiti. Rischiando la vi ta. Due bambinette si avvicinano per toccare la gonna e guardare il braccialetto. La madre le strattona e si scusa, ma sa che siamo lì per raccontare. «La verità è che il viaggio ver so l’Europa può cambiare la mia vita, ma soprattutto quella dei miei figli, che potranno avere un futuro. Se io muoio, mi basta che loro sopravvivano in un mondo migliore di questo, lontano dalla guerra, dallo schifo, dall’ignoranza». Se ci fos sero corridoi umanitari, quasi nessuno partirebbe illegal mente. Ma i flussi sono bloccati e a chi è disperato non resta cha la rotta via mare. Di migrazione ha parlato Giorgia Me loni nel suo discorso per la fiducia al Senato. «Dobbiamo impedire che la selezione di ingresso in Italia la facciano gli scafisti», ha detto la premier. E noi a Beirut ne abbiamo pro prio incontrato uno di scafista. Rashad (nome di fantasia, Ndr) era a Mina con la sua famiglia pronto a partire. Quando il mediatore ha chiesto chi ne capisse di motori, lui si è fatto avanti, avendo lavorato per dieci anni in un’officina mecca nica. E così, di punto in bianco, l’organizzatore del viaggio gli ha affidato il barcone, in cambio del viaggio gratis per lui, sua moglie e le sue figlie. Detto fatto, Rashad si è ritrovato a smanettare con un motore mezzo scassato che in mezzo al mare, a poche miglia da Cipro, è esploso e li ha lasciati in balia delle onde. «Siamo stati presi dai militari greci che ci hanno picchiati e riportati indietro», racconta. È rimasto scosso dal viaggio e infatti lo incontriamo alla presenza dell’assistente sociale del Centro libanese per i diritti umani. Il centro offre tutela a tutte le vittime di violazioni, torture, soprusi. Ma si occupa anche dei libanesi che negli ultimi an ni sono rimasti senza lavoro o si sono ritrovati con uno sti pendio equivalente a 100 euro. Anche la povertà estrema è diventata un pull factor, cioè una motivazione per lasciare la propria terra e mettere la propria esperienza, il proprio futu ro a disposizione di un altro Paese. Il Mediterraneo brucia, il nuovo governo ha già dichiarato guerra alle Ong ma appare sempre più chiaro che le vere motivazioni che muovono le migrazioni, i problemi che ci sono dietro non possono essere ridotti a slogan di propaganda.

I barconi del Mediterraneo
Prima Pagina 56 13 novembre 2022
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di ALBERTO FLORES D’ARCAIS

Riparte la corsa alla Casa Bianca e per Trump si fa più dura

Le elezioni di metà manda to negli Stati Uniti sono una sorta di referendum sulla Casa Bianca, con il partito di opposizione che tradizionalmen te (è sempre accaduto negli ultimi venti anni) conquista o riconquista il Congresso. Martedì 8 novembre i leader repubblicani hanno atteso l’e sito del voto nella convinzione (suf fragata dai sondaggi e dalla grande maggioranza degli opinionisti) che la tradizione sarebbe stata ampiamen te rispettata e che l’unica incertezza era su quanto ampia sarebbe stata la “valanga rossa” (il colore del Grand Old Party).

Non è andata così. Con l’affluire dei risultati si è visto come Mid Term abbia scosso le aspettative del Gop e sorpreso gli stessi democratici, i cui timori di un crollo totale al Con gresso si sono rivelati infondati. I repubblicani diventano maggioran za alla Camera dei Rappresentanti (stando a proiezioni e primi risultati, per quelli definitivi serviranno gior ni) ma meno nettamente di quanto sparavano, e al Senato le cose sono andatediversamente,anchegrazieal seggio conquistato dai democratici nella “battaglia della Pennsylvania” dove erano scesi in campo ben tre presidenti (Obama, Trump e Biden), anche se forse bisognerà attendere il ballottaggio di dicembre in Georgia per avere certezze.

Per Joe Biden i prossimi due anni saranno difficili. La perdita della Ca mera lo renderà un po’ “anatra zop pa” (come da lessico politico Usa), far passare leggi a lui care sarà più com

plicato ma al Senato potrebbe avere una sponda importante per gestire galleggiando gli ultimi due anni di mandato. Due anni che serviranno ai democratici anche per seleziona re un possibile candidato forte (sulla ricandidatura di Biden ci sono molti dubbi, legati all’età, alle condizioni fisiche e alla bassa popolarità) per le presidenziali del 2024.

La corsa alla prossima Casa Bian ca sarà fra due anni, le primarie inizieranno nel febbraio 2024, ma la campagna elettorale di fatto avrà inizio già martedì prossimo, quan do Donald Trump annuncerà la sua candidatura. Per l’ex presidente i risultati delle elezioni di metà man dato sono in chiaroscuro. Ha avuto un grande successo sul numero dei candidati suoi fans (oltre cento) che sono stati eletti al Congresso, il suo protetto J.D. Vance ha vinto il seg gio del Senato in Ohio (uno Stato decisivo) ma ha subito una cocente sconfitta in Pennsylvania e ha visto vincere in Georgia il Governatore e

il Segretario di Stato repubblicani che lui considera nemici giurati per non aver obbedito ai suoi ordini e dichiarato nulle le elezioni del 2020. Soprattutto ha visto rivincere in Flo rida il Governatore Ron DeSantis (da lui ignorato e a volte insultato), il repubblicano che non ha mai na scosto le sue mire presidenziali e che viene considerato come il suo più accreditato rivale per le prima rie del Grand Old Party.

Con questi risultati l’America resta profondamente divisa, già proietta ta sul 2024, ma in grado di resistere all’ondata conservatrice su temi co me i diritti, il clima, le questioni di genere. In diversi referendum locali gli elettori (grazie ad un’alta affluen zadelledonne)hannodifesoildiritto all’aborto e hanno chiesto più restri zionisullavenditadiarmi.InFlorida, grazie alla mobilitazione giovanile è stato eletto un democratico 25enne, primo deputato della generazione Z ad entrare al Congresso.

13 novembre 2022 59 Prima Pagina Foto: Chris Kleponis / Zuma Press / Agf Il commento
L’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump

Tornata dalla California, dopo avertenutoconferenzeindiver se università da Berkeley a Los Angeles e San Francisco, guar do con preoccupazione cre scente alla distanza che ho sen tito tra gli Stati Uniti e l’Europa. Dalla Califor nia, l’Europa è lontana, e solo pochi cittadini americani conoscono i Paesi europei al di là degli stereotipi.

Il disinteresse e la poca familiarità degli americani con l’Unione Europea non ci pos sono lasciare indifferenti. Da un lato i risulta ti delle recenti elezioni dimostrano che il si stemademocraticofunzionaancora.GliStati Uniti sono stati per molto tempo un modello, per gli europei innanzitutto, di organizzazio ne democratica: il cambio da un governo all’altro, da una maggioranza parlamentare alla successiva, sembrava quasi naturale e la costituzionegarantivalacorrettezzadellage stione democratica del Paese. Dall’altro lato, però, si osserva oggi una crescente instabilità istituzionale. Da quando Donald Trump, as siemeagranpartedelsuopartitorepubblica no, ha provato a scuotere le regole del gioco, non si può più essere sicuri della perennità del sistema. Dalle fake news alle menzogne, dalla rimessa in questione dei risultati delle elezioni alla fanatizzazione del suo pubblico - Trump non si fa scrupoli quando si tratta di conquistare o mantenere il potere.

Anche la posizione della Corte Suprema all’interno dell’architettura istituzionale sta cambiando, il che è particolarmente grave. La costituzione americana conferisce una posizione forte ai giudici supremi. Con la no mina a vita si voleva garantire un’indipen denza ideologica, e il finanziamento garanti to (la costituzione proibisce la diminuzione dei fondi dedicati alla Corte Suprema) per mette di lavorare in tranquillità. Durante la campagna elettorale di Trump invece, un an no prima delle elezioni, è stata ostacolata dai repubblicani la nomina di un giudice propo sto sotto Obama - un fatto mai visto, e fonda mentalmente anticostituzionale, che dimo stra a che punto la Corte Suprema venga ide ologizzataedunqueresaunostrumentopoli tico. Durante la sua campagna elettorale Trump aveva promesso di abolire il diritto federale all’aborto per accontentare il suo elettorato evangelista, sempre più fanatico. E infatti nel 2022 la Corte suprema ha revocato la decisione federale di permettere l’aborto

ALLARME AMERICANO

I risultati delle elezioni di Midterm devono preoccupare gli europei. Gli umori populisti e isolazionisti sono sempre forti e mettono a rischio il futuro dei rapporti

DI NOËLLE LENOIR

sotto certe condizioni, proprio grazie a una maggioranza di giudici repubblicani.

Detto questo, i risultati e le nuove maggio ranze nel Congresso e nel Senato dovrebbero destare preoccupazione. Più di cento dei de putati repubblicani rieletti si erano schierati conTrumpneltentativodievitarel’accessodi Biden alla Casa Bianca. Molto probabilmente il 15 novembre Trump dichiarerà la sua can didatura per il 2024, e il Partito Repubblicano non ha altre personalità da candidare con successo contro Trump nelle primarie. Il vec chiosistemadelbi-partitismobasatosull’arte del compromesso, un po’ come nell’Ue, non funziona più.

L’AUTORE

Noëlle Lenoir è stata ministra degli Affari Europei tra il 2002 e il 2004 all’epoca della presidenza di Jacques Chirac e prima donna giudice costituzionale in Francia

In quanto europei, dovremmo preoccu parci per due motivi: il primo riguarda i lega mi transatlantici tra Stati Uniti e Ue. Senza il piano Marshall nell’immediato dopoguerra l’Europa non si sarebbe rialzata dalle ceneri causate dalla guerra cominciata dal regime nazista tedesco. Senza la benedizione degli Stati Uniti la riunificazione tedesca e europea non si sarebbe realizzata. E senza il sostegno americano nell’attuale guerra in Ucraina gli europei farebbero fatica a resistere. Inoltre la concorrenza cinese sfida il ruolo di leader ship americano e il peso dell’Asia nelle consi derazioni strategiche degli Usa aumenta con

60 13 novembre 2022
Europa Oggi
CURA DI AMÉLIE
A
BAASNER

tinuamente. Non possiamo essere sicuri che il nostro partner storico mantenga con noi l’unità che dimostra oggi di fronte all’aggres sione russa. Che lo si voglia o no, in futuro dovremo essere preparati anche per organiz zarci e difenderci da soli.

Il secondo motivo di preoccupazione ri guarda la fragilità del nostro sistema demo cratico. Se l’America è stata precorritrice nel processo democratico fin dal Settecento, for se quello che vediamo oggi è una prefigura zione di quello che può accadere anche da noi. I populismi utilizzano strategie di comu nicazione simili al trumpismo e lo Stato di diritto, in alcuni paesi membri dell’Ue, è sotto pressione. Purtroppo la storia europea cono sce diversi esempi, soprattutto nel periodo tra le due guerre mondiali, di “scivolamenti” di sistemi democratici verso la dittatura - e questo non vale solo per il nazismo tedesco e il fascismo italiano, anche la Francia ha cono sciuto il suo momento critico di estrema de stra nel febbraio del 1934.

Infine dobbiamo anche tener presente che i recenti sviluppi negli Usa hanno conse guenze notevoli per la nostra economia, in particolare per i Paesi fortemente industria lizzati come l’Italia e la Germania, meno la Francia. La legge americana «anti inflation

IL TEMA

I risultati delle elezioni Midterm, anche se meno drammatici del previsto, dovrebbero preoccupare gli europei.

Gli Stati Uniti, per molto tempo un paese modello di organizzazione democratica, sono in crisi: il trumpismo mette a rischio la democrazia, come era successo in molti Paesi europei circa 100 anni fa

act» favorisce le ditte che producono negli Stati Uniti attraverso l’erogazione di sussidi importanti. La conseguenza è che investi menti rilevanti previsti in Europa, come ad esempio quelli nel settore delle batterie per l’e-mobility, rischiano di essere riorientati verso l’America. Questa tendenza all’ “Ame rica First” si trova nel campo dei repubbli cani tanto quanto in quello democratico. L’Ue deve reagire, e ci sta provando: è stato creato un gruppo di lavoro americano-euro peo per evitare conflitti giuridici davanti alla World Trade Organization. Il dialogo rimane l’approccio più promettente tra Paesi tradi zionalmente vicini e legati politicamente ed economicamente.

Il rapporto storico tra gli Stati Uniti e l’Eu ropa, un rapporto strettissimo fin dall’epoca della Rivoluzione francese, è troppo prezioso per essere trascurato. L’Europa deve fare due cose: cercare il dialogo con il partner transat lantico e rinforzare il proprio sistema demo cratico. Un’Europa più sovrana non significa abbandonare il rapporto fondamentale con gli americani, al contrario è una necessità per essere presi sul serio nelle trattative future.

Tradotto da: Amanda Morelli e Nicholas Teluzzi

13 novembre 2022 61 Foto: T. Brenner –Reuters / Contrasto
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Guerra in Ucraina /1

MOSCA PREPARA LA

DI SABATO ANGIERI

Ucraina, secondo il suo presidente Volo dymyr Zelensky, è pronta per una pace «equa e giusta». Ma dall’altra parte c’è un uomo, il presi dente russo Vladimir Putin, che ha sempre di chiarato «illegittimo» il governo di Kiev (e quin di invalidato alla base ogni possibilità di accor do tra le parti su un piano paritario). Dagli altri attori interna zionali, poi, iniziano a emergere segnali confusi che si discostano dal sostegno «fino alla vittoria e a ogni costo» per l’Ucraina.

Circa tre settimane fa il presidente francese, Emmanuel Macron, ha dichiarato in diretta televisiva che nell’eventualità di un attacco nucleare all’Ucraina il suo Paese non interverrà. L’intervistatore ha dovuto ripetere la domanda per avere una risposta netta, ma il capo dell’Eliseo non si è sottratto a quello che è sembrato un messaggio premeditato. Alcuni politici hanno criticato Macron per aver «mostrato debolezza» di fronte alla retorica aggressiva del Cremlino. Non è difficile im maginare il fastidio degli Usa che, al contrario, dall’inizio della guerra si sforzano in ogni modo possibile di dimostrare che l’Occidente è unito in un blocco solido e coeso. È Washington, del resto, che ha scelto di improntare il supporto all’Ucraina suunabaseideologica.Esisteun«noi»cheèsottoattacco,noi i Paesi democratici noi il mondo libero noi i difensori della li bertà, e un «lui» (se applicato a Putin) o «loro» (l’intero popo lo russo) che mina alla base quelli che sono definiti i «valori dell’Occidente». Ma questi stessi valori molto spesso non so no granitici. Ne è un esempio l’inchiesta del Wall Street Jour nal nella quale si legge che Jake Sullivan, il consigliere per la Sicurezza nazionale della Casa Bianca, ha avuto dei colloqui regolari con funzionari molto vicini a Putin, tra i quali Yuri Ushakov, suo consigliere per la politica estera, e il segretario del Consiglio di Sicurezza russo, Nikolai Patrushev. All’inizio

diquestasettimanaSullivanhaancheconfermatolerivelazio ni della testata americana in un’intervista con la Bbc britanni ca. «È nell’interesse degli Stati Uniti mantenere i contatti con la Russia», ha aggiunto il funzionario dopo aver spiegato che gli argomenti discussi in tali colloqui sono coperti dal segreto di Stato, ma hanno riguardato anche il tentativo di impedire che la guerra si allarghi e di disinnescare la minaccia nucleare. Il fatto che un rappresentante istituzionale di un Paese sia incaricato di tenere rapporti diplomatici con un suo omologo non può stupire. Ma allora, ci si chiede, perché continuare ad alimentare questa narrazione della «guerra di civiltà» se persino i protagonisti di questa narrazione sanno che la realtà non è fatta di comparti menti stagni? La risposta è semplice: perché il potere si esercita così. Si pensi che, mentre Sullivan parlava con i consiglieri del Cremli no, il suo presidente dichiarava che «mai»

L’
USA E RUSSIA INTESSONO CONTATTI PER DISINNESCARE
MINACCIA NUCLEARE. MA
TAVOLO DELLE TRATTATIVE PUTIN VUOLE DETTARE
REGOLE
Sabato Angieri Giornalista
LA
AL
LE
Una donna in sella alla sua bicicletta davanti a un edificio bombardato a Kupiansk, regione di Kharkiv
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LA VIA D’USCITA

Paese». In altri termini, ora che i territori occupati sono stati annessi alla Federazione Russa, il punto di partenza lo vuole fissare il capo del Cremlino. Sarà per questo che il suo omolo go ucraino Zelensky afferma che la «presunta disponibilità della Russia ai negoziati è falsa». Come potrebbe, infatti, ac cettare che una pace «giusta» contempli la perdita di circa il 20 per cento del suo territorio nazionale. Allo stesso modo Putin non potrebbe giustificare di fronte alla sua opinione pubblica decine di migliaia di morti e nuove sanzioni interna zionali senza offrirle in pasto almeno qualche scampolo di rinnovata potenza nazionale. Sarà per questo che il portavoce del dipartimento di Stato degli Usa, Ned Price, continua ad accusare Mosca di fare il doppio gioco. «Se la Russia fosse pronta a negoziare avrebbe smesso di attaccare le città ucrai ne e uccidere i civili; ma il Cremlino sta facendo il contrario. Sta continuando a intensificare questa guerra».

avrebbe incontrato Putin al G20 in quanto espressione di uno «Stato terrorista». La decisione degli Usa di chiudere per sé e per gli alleati ogni possibilità diplomatica ha relegato le tratta tive occidentali negli spazi chiusi degli uffici di intelligence e spalancato le porte all’ingresso di personaggi come il presi dente turco Erdogan, il principe ereditario e primo ministro saudita Bin Salman e il sultano del Bahrein, Isa Al Khalifa.

D’altronde, le grandi diplomazie occidentali latitano. Il neo premier britannico, Rishi Sunak, nel suo discorso di insedia mento ha menzionato il fatto che la guerra in Ucraina deve fi nire, ma si è subito messo al riparo da eventuali domande scabrose affermando che «sarà il governo di Kiev a decidere le condizioni della pace». Macron ha proposto la mediazione del Papa, alla quale la Russia si è detta ben disposta, ma a oggi non si registrano sviluppi significativi. In questo clima di con fusione, Putin ha ribadito che il suo Paese «è pronto a sedersi a un tavolo per discutere della fine delle ostilità, a patto che si prendano in considerazione le richieste e gli interessi del suo

Eppure il fatto che la Russia consideri come proprio interlo cutore principale proprio gli Stati Uniti è un elemento fonda mentale.Sedaunlatoquestocomportamentopalesalascarsa considerazione che Mosca ha di Kiev, nonostante gli otto mesi di guerra trascorsi, dall’altro aiuta a comprendere che gli inte ressi in gioco sono più ampi e non riguardano solo qualche centinaio di chilometri quadrati sul Mar Nero. Putin sa che se la Nato smettesse di fornire armi a Kiev gli equilibri sul campo di battaglia volgerebbero a suo favore in breve tempo. Così co meèconsciodell’importanzadelsostegnoeconomicoappena promesso dalla Commissione europea (1,5 di miliardi di euro al mese) per evitare il collasso della fragile economia ucraina. Forse attende che il fronte occidentale si spezzi. Oppure inten de approfittare della stanchezza dell’opinione pubblica dei Paesi della Nato e attende al varco mentre invia nuovi coscritti sul campo per tenere le posizioni durante l’inverno. Potrebbe anche darsi che in ognuna di queste ipotesi ci sia una parte di verità, ma intanto il segretario della Difesa statunitense, Lloyd Austin, continua a portare avanti la linea dura contro la Rus sia. A inizio settimana il suo dipartimento ha fatto sapere di aver parlato con il neoministro della Difesa italiano, Guido Crosetto, a proposito della cooperazione e del sostegno all’U craina, inclusa la fornitura di sistemi di difesa aerea che Usa, Spagna e Germania hanno già iniziato a inviare. Dal lato russo sicontinuanoaprogettarelegrandimanovreautunnalieiltra sferimento di armi e mezzi in Bielorussia, mentre i cosiddetti falchi chiedono di alzare definitivamente il livello dello scon tro. Senza contare la decisione di Mosca di ammantare la sua «operazione speciale» di valore ideologico. Siamo alla «guerra santa» contro «l’Occidente satanista e colonialista».

Foto: D. Dilkoff –Afp / Getty Images
13 novembre 2022 65 Prima Pagina

DI GIUSEPPE AGLIASTRO

na spada di Damocle pende sull’Ucraina già martoriata dalla guerra: è il regime di Aleksandr Lukashenko, il dittatore al po tere in Bielorussia da quasi trent’anni e ormai considerato il principale alleato di Putin. È dalla Bielorussia, infatti, che lo scorso febbraio i soldati russi hanno fatto irruzione nel Nord dell’Ucraina dando inizio a un’invasione in cui sono state uccise migliaia di persone e per la quale milioni di ucraini sono stati costretti a lasciare le proprie case. Ed è verso la Bielorussia che in questi mesi di atrocità molti hanno puntato il dito accusando Luka shenko di permettere alle truppe del Cremlino di bombardare l’Ucraina dal ter ritorio bielorusso con missili e droni.

Nelle scorse settimane, però, un altro ti more si è riacceso in alcuni osservatori: quello che Russia e Bielorussia possano pianificare un’offensiva congiunta contro l’Ucraina. A far scattare l’allarme è stato proprio il despota di Minsk, Lukashenko, quando a ottobre – senza fornire alcuna prova – ha accusato Ucraina e Nato di meditare un attacco contro la Bielorussia e, soprattutto, ha annunciato una nuova unità militare “di difesa” composta da soldati sia russi sia bielorussi. Parole a cui l’Ue ha risposto esortando «il regime della Bielorussia ad astenersi da qualsiasi coin volgimento» nel conflitto. Minsk afferma che circa 9.000 soldati russi e 170 carri armati saranno dispiegati in Bielo russia con la nuova unità, ma sostiene che la missione del le forze congiunte sia «strettamente difensiva» e che que sti soldati «non attaccheranno nessuno». La testata ame ricana Radio Liberty riferisce di immagini satellitari che mostrerebbero oltre 300 nuove tende in tre centri d’adde stramento in Bielorussia – Repishcha, Lasvida e Abuz-Lya snous – sufficienti per 7.500 soldati.

Alcuni analisti ritengono che un eventuale attacco con giunto contro l’Ucraina per ora sia difficile e che sarebbe rischioso per il regime di Lukashenko, anche se non esclu dono questa possibilità nel futuro. «Tenendo conto degli equilibri militari e dei rischi politici che affronterebbe Lukashenko nel caso di un’entrata in guerra della Bielo russia, un attacco congiunto russo-bielorusso contro l’U craina non dovrebbe avvenire nell’immediato futuro», af ferma Artyom Shraibman in uno studio pubblicato dal Carnegie Center: «Eppure l’analisi razionale non riesce a rassicurare del tutto, visto ciò che il mondo ha imparato a febbraio, cioè che Lukashenko e Putin vivono in una pro pria realtà, con propri rischi e opportunità». La pensa in modo simile anche Eleonora Tafuro Ambrosetti, politolo

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Guerra in Ucraina
U IL BLUFF BIELORUSSO ALLEATO DI PUTIN, LUKASHENKO LASCIA CHE LE TRUPPE DI MOSCA FACCIANO BASE SUL SUO TERRITORIO. ORA POTREBBE ADERIRE A UN ATTACCO CONGIUNTO. MINACCIA O DIVERSIVO

ga dell’Ispi, che spiega riferendosi a un eventuale interven to diretto di soldati bielorussi in Ucraina: «Diciamo che la possibilità resta remota. Questi 9.000 soldati russi che do vrebbero arrivare in totale in Bielorussia sono lì effettiva mente per ricevere un addestramento, qualcosa che in Russia in questo momento è difficile anche per tutte le perdite che ci sono state tra l’esercito russo, quindi non è necessariamente un segnale di un’entrata in guerra diretta della Bielorussia». L’esperta sottolinea poi che «si registra una forte resistenza, sia all’interno dell’esercito bielorusso sia nella popolazione in generale, a un eventuale coinvol gimento diretto», che «quindi anche politicamente sareb be per Lukashenko una mossa molto pericolosa perché potrebbe portare a un malcontento diffuso che si somme rebbe alle mai sopite proteste per le elezio ni del 2020. Detto questo, se Lukashenko dovesse ricevere pressioni ancora più forti da parte di Putin non avrebbe modo di sot trarsi».

L’ultima parola spetterebbe insomma al regime di Putin, da cui quello di Lukashen ko dipende sempre di più. Il dittatore bielo russo ha represso brutalmente le manife stazioni pacifiche contro la sua inverosi

mile vittoria alle presidenziali del 2020, ritenuta il frutto di evidenti brogli elettorali. Per mesi, migliaia di bielorussi sono scesi in piazza contro il despota, ma il regime ha ri sposto con ondate di arresti e le forze bielorusse sono ac cusate pure di aver torturato i manifestanti detenuti. Da allora, quasi tutti i dissidenti sono stati arrestati o costretti a lasciare la Bielorussia e, secondo l’ong per la difesa dei diritti umani Viasna, nelle carceri del regime ci sono ora oltre 1.350 prigionieri politici. Se Ue e Usa gli hanno impo sto sanzioni, la Russia ha invece sostenuto Lukashenko, che si è così buttato tra le braccia del Cremlino.

«Riuscirà il Cremlino a trascinare le forze armate bielo russe in un’azione militare contro l’Ucraina? Sembrerebbe che niente di meno che la sopravvivenza della Bielorussia come Stato sovrano si basi su questa domanda in questo momento», scrive Maxim Samorukov, un altro esperto del Carnegie Center. «Se Putin vuole truppe bielorusse, non credo che Lukashenko potrà dire di no», spiega la politolo ga Katia Glod a The Beet, la newsletter del giornale Medu za. Secondo l’analista del Cepa, trascinare in guerra l’eser cito bielorusso potrebbe però avere benefici militari tra scurabili per Mosca, mentre per Konrad Muzyka, esperto di Difesa del Rochan Consulting citato sempre da Meduza, le forze bielorusse sono «relativamente deboli».

Lukashenko il 4 novembre ha ribadito di non avere in tenzione di inviare truppe in Ucraina: «Ho già detto che non ho piani di questo tipo», ha dichiarato colui che dal 1994 governa la Bielorussia col pugno di ferro calpestando diritti e libertà.

Le forze armate dell’Ucraina – che condivide con la Bie lorussia circa mille chilometri di frontiera – in ogni caso hanno preso seriamente la creazione delle nuove forze congiunte russo-bielorusse. «La vostra leadership sta pia nificando di trascinare il popolo bielorusso in una guerra sporca, per macchiarlo di sangue e morte», recita un fil mato diffuso dall’esercito ucraino, avvertendo che, «se l’e sercito bielorusso sosterrà l’aggressione russa», i militari ucraini risponderanno con il loro «intero arsenale di ar mi».

Secondo Kiev, Mosca vorrebbe inviare 20.000 soldati in Bielorussia: una potenziale minaccia. Ma il giornalista bie lorusso Tadeusz Giczan, ripreso dalla Bbc, pensa che i sol dati russi arrivati finora siano stati mandati lì per essere addestrati, visto che le strutture russe sono già piene a cau sa della mobilitazione “parziale” dei riservisti ordinata da Putin. Spiega: «Hanno bisogno di più capacità. La Bielorus sia si è offerta di fornirla e minacciare l’Ucraina con una nuova offensiva da Nord. È solo un bluff». L’analista militare Mikhailo Zhirokhov, citato da Radio Liberty, pensa invece che Putin potrebbe ordinare di invadere l’Ucraina dalla Bie lorussia in primavera, una volta finito l’addestramento.

Il clima d’incertezza obbliga l’esercito ucraino a raffor zare le linee a Nord, lontano dal fronte. Per Tafuro Ambro setti «potrebbe essere una tattica di distrazione».

13 novembre 2022 67 Prima Pagina Foto: Global Look / LaPresse
Giuseppe Agliastro Giornalista Putin e, alla sua sinistra, Lukashenko a Vostochny, in Russia
DI ELENA BASSO DA SAN PAOLO DEL BRASILE CON IL GOVERNO BOLSONARO LA DEFORESTAZIONE È CRESCIUTA A LIVELLI RECORD. E GLI INCENDI SONO AUMENTATI. SI SPERA CHE LA RIELEZIONE DI LULA ORA RIPORTI LA CRISI CLIMATICA E LA PROTEZIONE DEL TERRITORIO TRA LE PRIORITÀ Ambiente a rischio AMAZZONIA ULTIMA CHIAMATA

Non ci possono essere incendi in Amazzonia perché la fo resta è umida». «Ai popoli indigeni non verrà concesso nemmeno un millimetro di terra in più». «Le pressioni mondiali sulla crisi climatica sono un gioco commerciale». Queste sono solo alcune del le frasi pronunciate dall’attuale presidente brasiliano Jair Bolsonaro, che lo scorso 30 ottobre ha perso le elezioni presidenziali: a vincerle è stato il suo rivale Luiz Inácio Lula da Silva con il 50,9 per cento dei voti. L’am biente e la deforestazione dell’Amazzonia sono stati argomenti chiave durante la cam pagna elettorale e i programmi dei due can didati sul tema non avrebbero potuto essere più diversi. Sotto il governo Bolsonaro la de forestazione in Amazzonia è aumentata del 75,6 per cento, mentre gli incendi forestali, quasi tutti dolosi, sono cresciuti del 24 per cento. A lanciare l’allarme è l’ultimo rappor to stilato da Greenpeace in cui si dichiara pure che le emissioni di gas serra del Paese sono aumentate del 9,5 per cento. Come mo strano i dati dell’Istituto brasiliano di ricer che spaziali (Inpe), tra l’agosto 2020 e il luglio 2021 sono stati distrutti ben 13.235 chilome tri quadrati di foresta amazzonica.

«Il governo Bolsonaro rappresenta una re trocessione senza precedenti rispetto alle politiche ambientali», sostiene María del Carmen Villarreal, politologa dell’Università Federale di Rio de Janeiro: «In quattro anni si sono annullati tutti i passi avanti che erano stati fatti in questo ambito. Ovviamente an che durante i governi di Lula ci sono state molte critiche per la gestione ambientale, ma quei problemi non possono assoluta mente essere paragonati al disastro avvenu to sotto la guida di Bolsonaro». Il leader di ultradestra, che ha più volte dichiarato il proprio appoggio alla spietata dittatura che governò il Paese dal 1964 al 1985, ha pubbli camente messo in discussione la reale gravi tà del cambiamento clima tico. Ha smentito i dati sul la deforestazione e ha smi nuito le criticità portate alla luce dagli attivisti. «L’u nico vero problema secon do l’attuale presidente è che queste sono terre molto ric che e dovrebbero essere de dicate alla produzione

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Prima Pagina
Foto: E. Barros –Ap / La Presse Elena Basso Giornalista Il fumo di un incendio scoppiato lungo la strada Trans-Amazzonica, nel Comune di Lábrea, lo scorso settembre

Ambiente a rischio

senza freni. Il governo Bolsonaro è parte del problema ambientale: ha adottato la di struzione dell’ambiente come politica», continua Villarreal.

Oggi l’Amazzonia viene descritta da molti attivisti come “terra di nessuno”. L’intero ter ritorio è infatti devastato da attività illecite collegate all’estrazione dell’oro, alla vendita di animali, al traffico di legname. Attività che mirano a sfruttare la natura a qualunque prezzo, senza tenere conto dell’inquinamen to, delle conseguenti migrazioni forzate o delle malattie provocate nelle popolazioni indigene. «I governi di Lula sono riusciti a diminuire la deforestazione del 70 per cento ed è stato creato un programma pionieristi co per la salvaguardia dell’Amazzonia. L’am biente e il cambiamento climatico sono stati messi in quegli anni al centro della discus sione, così come i diritti dei popoli indigeni», afferma Villarreal. Il programma di Lula è incentrato sullo stop alla deforestazione e sulla trasformazione di molte aree in riserve protette. Ma, come avverte Marica Di Pierri, portavoce dell’associazione A Sud, gli ultimi due mesi del governo Bolsonaro potrebbero essere pericolosi: «In ballo ci sono 14 propo

SECONDO L’ONG GLOBAL WITNESS, IL BRASILE È PRIMO AL MONDO PER OMICIDI DI ATTIVISTI E LEADER INDIGENI. SENZA DIMENTICARE INQUINAMENTO, MIGRAZIONI FORZATE E MALATTIE

LA DEVASTAZIONE

Fiamme in un’area di disboscamento lungo la strada TransAmazzonica, nel Comune di Humaitá. La deforestazione in Brasile ha raggiunto livelli record

ste di legge, definite “pacote de destruição ambiental”, pacchetto di distruzione am bientale, che prevedono di eliminare le valu tazioni d’impatto ambientale e una serie di nuove concessioni per attività minerarie in territori indigeni. Norme che mirano a inde bolire ulteriormente i vincoli ambientali e minare i diritti delle comunità indigene».

La vittoria di Lula è stata accolta con entu siasmo dai leader mondiali, soprattutto da gli altri presidenti di sinistra latinoamerica ni. Nel continente, infatti, si è creato uno scenario inedito: i sei Paesi più importanti e popolosi (Argentina, Messico, Cile, Brasile, Colombia, Perù) sono governati da presi denti di sinistra e la loro cooperazione po trebbe fare la differenza, soprattutto in ma

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teria ambientale. «La comunità internazio nale gioca un ruolo decisivo. In seguito all’e lezione di Lula, la Norvegia ha dichiarato che riprenderà a inviare quei fondi per la protezione dell’Amazzonia che, assieme alla Germania, aveva bloccato dopo la vittoria di Bolsonaro», spiega Di Pierri. Per il futuro del Brasile la Cop27 – il summit dell’Onu sul cli ma in corso in Egitto – sarà fondamentale: «Lula intende consolidare un’alleanza tra gli Stati con importanti superfici forestali, co me il Congo e l’Indonesia, affinché i Paesi membri della Convenzione stanzino fondi per la protezione delle foreste».

Durante gli anni del governo Bolsonaro i discorsi d’odio nei confronti dei popoli indi geni e degli attivisti ambientali hanno causa to un’impennata dei crimini, dalle minacce agli omicidi, verso chi protegge il territorio. Secondo l’ultimo report della Commissio ne Pastorale della Terra, solo nel 2022 in Amazzonia si sono registrati 33 omicidi le gati ai conflitti della terra; sette vittime era no bambini o adolescenti e quattro di loro erano indigeni. Secondo l’ong Global Wit ness, il Brasile è al primo posto nel mondo per omicidi di attivisti ambientali e leader

AVVERSARI

In alto: lo scorso 30 ottobre, i sostenitori di Lula hanno festeggiato in piazza, a Rio de Janeiro, la sua vittoria al ballottaggio contro Bolsonaro. Una rielezione contestata dal presidente uscente, i cui sostenitori (sotto) sono scesi in strada per chiedere l’intervento dell’esercito e per mantenere in carica il leader di ultradestra

indigeni, la maggior parte dei quali avviene in Amazzonia. Lo scorso giugno ha fatto il giro del mondo la notizia dell’uccisione del giornalista britannico Dom Phillips e dell’indigenista brasiliano Bruno Pereira, fatti scomparire mentre stavano perlu strando la Valle del Javari, uno dei più gran di territori indigeni del Paese.

Ma non sono stati gli unici omicidi a scuo tere l’Amazzonia: lo scorso 3 settembre è sta to assassinato a colpi d’arma da fuoco Janil do Oliveira Guajajara. L’uomo faceva parte dei “Guardiani dall’Amazzonia”, un gruppo di cittadini indigeni che da dieci anni pro tegge la foresta dalle numerose attività ille gali che la stanno distruggendo. Janildo, co me gli altri Guardiani, viveva sotto costante minaccia ed è stato assalito mentre cammi nava per strada nella cittadina di Amarante, vicina al territorio indigeno di Araribóia, do ve vivono molti trafficanti di legname. «Se si guarda una mappa del territorio si nota chiaramente che stanno distruggendo com pletamente la foresta», spiega Sarah Shen ker, ricercatrice di Survival International: «Ma le popolazioni indigene stanno proteg gendo quella terra da generazioni. Il motivo per cui i Guardiani devono tutelare l’Amaz zonia è che il governo brasiliano sta fallendo nel farlo. Anzi, il governo Bolsonaro sta inco raggiando chi compie attività illegali nella foresta a continuare».

La popolazione Guajajara non protegge solo il territorio: salvaguarda gli Awá, una tribù incontattata che vive con loro nel terri torio di Araribóia. Gli Awá dipendono dalla loro terra per tutto, dall’alimentazione alle medicine, e ogni contatto esterno potrebbe essere fatale. «Gli incontri fra popolazioni indigene mai contattate prima e altre perso ne ha già portato a situazioni disastrose nel passato», spiega Shenker, che ha accompa gnato i Guardiani nei pattugliamenti: «Gli Guajajara vogliono evitare che gli Awá ven gano sterminati per malattie o per attacchi violenti». Il lavoro dei Guardiani finora è sta to un successo: quando hanno iniziato, le strade illegali per il traffico di legname erano 72, oggi sono cinque. I Guardiani uccisi, però, sono sei. Come dice Shenker, «Janildo sapeva che avrebbe potuto pagare con la vi ta, ma era determinato a essere un Guardia no perché non vedeva altra possibilità per il futuro della foresta e della sua famiglia».

13 novembre 2022 71 Prima Pagina Foto: E. Barros –Ap / La Presse, P. Porciuncula –Afp / Getty, A. CoelhoAfp / Getty

Risparmi in fumo

DI ALESSANDRO LONGO

na promessa di soldi facili che a poco a poco finisce in incubo; in lacrime. «Vittima (piangendo): ho già investito 31 mila euro! Non ho più sol di! Sto pensando di suicidar mi. Truffatrice: devi pagare una commis sione sui bonifici di 4.500 euro!». È una in tercettazione inedita che riguarda l’ultima operazione condotta dalla polizia su una piaga che ha mostrato tutta la sua brutalità nel 2022: il trading online fasullo. Un’operazione intitolata Dream earnings,

profittidasogno:perchéèquestocheitruffa tori promettevano. Super profitti in Borsa. Maeratuttofalsoeisoldiinvececheinazioni finivano nelle loro tasche.

Coordinata dalla procura della Repubblica di Pordenone con la polizia albanese e dalla procura speciale contro la corruzione ed il crimine organizzato Spak di Tirana, l’opera zione ha portato ai primi arresti qualche giorno fa. I sequestri informatici rivelano un database con 90mila italiani finiti nel mirino dei truffatori, anche se forse non tutti hanno

subito il furto. Le vittime accertate per ora sono centinaia, per «alcune decine di milioni di euro» rubati, riporta la Polizia. L’indagine è una delle più grandi, in quest’ambito: dura ta due anni (ed è ancora in corso), con 42mila intercettazioni, ha permesso di aprire una fi nestra su come agiscono questi criminali. Sulla loro abilità persuasoria con cui sono ri usciti a convincere le vittime a fare bonifici a vuoto e, in certi casi, addirittura a consegna re loro le chiavi di accesso diretto al conto corrente. «Sono stati bravissimi», ci dice la vittima dalla cui denuncia è partita quest’ultima indagi ne. Un pensionato parla mentare della prima Repub blica, residente a Pordeno ne; gli inquirenti gli hanno raccomandato di tenere il nome riservato per non compromettere ulteriori in dagini sui criminali.

TRADING TRUFFA RUBATI
MILIONI RENDIMENTI STELLARI COME ESCA. CONTI PROSCIUGATI E SOLDI SVANITI. RADDOPPIATI I CASI DI INVESTIMENTI FASULLI. L’INDAGINE DELLA POLIZIA SU UNA CENTRALE CON BASE A TIRANA
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Alessandro Longo
U 72 13 novembre 2022
Giornalista

Lui si dice esperto di trading, «ho sempre gestito i miei risparmi con investimenti azio nari, che però negli ultimi tempi rendevano poco. Così, quella mail mi ha allettato, pro spettando guadagni interessanti».

La mail – una delle tante che arrivano a pioggia, come spam - era la prima esca: chie deva un piccolo investimento (250 euro) in azioni Amazon. «In altri casi il gancio inizia le è stata una telefonata di telemarketing, anche con voce registrata. Oppure un an nuncio pubblicato su Internet», dice Ivano Gabrielli, responsabile del Centro nazionale anticrimine informatico per la protezione delle infrastrutture critiche (Cnaipic), che ha condotto l’operazione.

I truffatori carpivano la fiducia grazie a un fluente italiano e una finta premurosità: fa cevano, via Whatsapp, gli auguri di comple anno; se la vittima si ammalava di Covid-19 – questa truffa ha fatto vittime in piena pan demia – chiedevano puntuali notizie sulla

salute. Gli inquirenti hanno scoperto 60 po stazioni di call center in Albania. «Teniamo conto che questi truffatori si accaniscono in particolare su anziani benestanti, sfruttan done il bisogno di attenzione», dice Fulvio Sarzana, avvocato penalista e membro del collegio dell’Arbitro bancario finanziario presso Banca d’Italia.

Ne sfruttano anche le limitate competenze informatiche. «Non avevo idea che su Inter net si potessero fare queste cose: è una giun gla», dice l’ex parlamentare, che ha perso alla fine «centinaia di migliaia di euro». A lui, co me alle altre vittime, i criminali di questa truffa hanno fatto installare un programma “spia” sul computer, con la scusa che servisse alle operazioni finanziarie. In realtà permet teva loro di spiare documenti riservati delle vittime, e così «capire la loro disponibilità economica; ma anche fatti personali come la presenza di disabili in famiglia, elementi che poi potevano usare per fare pressioni psi

Foto: Getty Images
13 novembre 2022 73 Prima Pagina

Risparmi in fumo

cologiche», dice Gabrielli. Avevano attiva to anche un finto portale dove mostravano alla vittima rendimenti finanziari fasulli, su quanto già versato. I soldi bonificati andava no a finire invece su vari conti correnti (in Cipro, Lituania, Estonia…) e da lì, per fare perdereletracce,inportafogliincriptovalute sotto il diretto controllo dei truffatori. In al cunicasisonoriuscitiaotteneredallevittime anche le chiavi di accesso ai conti correnti online, con il pretesto di avere bisogno di fare operazioni in tempo reale, anche di notte, per cogliere il momento giusto.

La truffa non finiva qui. Quando le vitti me chiedevano la restituzione dei soldi, loro ne chiedevano altri come commissione per lo «sblocco» (come lo chiamavano) del con to. Sono arrivati anche a contattarle sotto falso nome di società di recupero crediti, per avere questa commissione.

L’operazione Dream earnings è un ultimo, emblematico caso di un fenomeno in forte crescita, come riportano i dati forniti a L’E spresso dalla polizia postale. I casi di trading online trattati nei primi nove mesi del 2022 sono stati 2.140, quasi il doppio rispetto allo stesso periodo del 2021. Sottratti finora 60,3 milioni di euro agli italiani, contro i 46 milio ni del periodo precedente. È diventata di gran lunga la truffa online più importante: quelle via e-commerce (al secondo posto) hanno sottratto finora “solo” 6,9 milioni di euro nel 2022. Al terzo, le truffe dove i crimi nali fingono una relazione con la vittima per carpirle denaro (sotto falsa identità): 3,7 mi lioni di euro.

Un’altra importante operazione conclusa si nel 2022 riguarda la piattaforma Global fxm.com ed è partita per la denuncia di un cittadino sardo a cui hanno rubato 380mila euro, sempre con la promessa di enormi rendimenti finanziari.

A volte la piattaforma finanziaria è fittizia (come nel caso della Dream Earnings); altre volte esiste davvero e all’inizio dà pure qual che rendimento reale, ma poi i criminali la chiudono di colpo intascando tutto il dena ro versato. Come capitato con la Uefa Fo otball Fund, che prometteva un rendimento fisso del 2,5 per cento al giorno sulle scom messe sportive. Era in realtà uno schema Ponzi, dove i rendimenti erano assicurati solo ai primi che vi partecipavano, grazie ai soldi di chi si iscriveva dopo.

Per questo motivo a ottobre la Consob

IL CNAIPIC

ll vicequestore aggiunto Ivano Gabrielli guida il Cnaipic, il Centro nazionale anticrimine informatico e protezione infrastrutture critiche della polizia

(Commissione nazionale per le società e la Borsa) ha dato alla piattaforma un divieto cautelare a operare sul territorio italiano. Ora il portale sembra sparito da Internet. In daga la polizia postale.

«Per tutti questi casi chiediamo la colla borazione dei Paesi dove i truffatori hanno aperto conti su cui hanno fatto transitare i soldi. A volte riusciamo a sequestrare qual che conto e a rimborsare i truffati», dice Gabrielli. Nel caso della Globalfxm al citta dino sardo sono stati restituiti 226mila eu ro ancora giacenti su un conto in Repubbli ca Ceca. I criminali non avevano fatto in tempo a farli sparire in criptovalute o su conti in Paesi che non collaborano con l’I talia. «A volte le forze dell’ordine riescono a recuperare soldi che transitano presso “exchange” di criptovalute (piattaforme che permettono di scambiarle e di conver tirle in valuta comune)», dice Gabrielli. Non sempre però gli exchange collaborano. In genere, inoltre, «le criptovalute per queste truffe usano solo portafogli virtuali privi di controllori», dice Sarzana.

Le speranze per i truffati sono insomma molto ridotte. «Per ora noi siamo riusciti a fare riottenere il 40-50 per cento del maltol to, al 30 per cento dei nostri clienti. Abbia mo costretto gli exchange a rimborsare», spiega l’avvocato Paolo Grandinetti, che sta seguendo una trentina di vittime. Il punto di appiglio è che gli «exchange non rispettano gli obblighi di verifica sui propri utenti, quando non sono proprio conniventi con i truffatori», aggiunge.

«È possibile, in alcuni casi, ma la preven zione è l’arma migliore», consiglia Gabrielli. Come? «Verificare sul sito di Consob e Banca d’Italia se la piattaforma di trading è autoriz zata a operare in Italia, per prima cosa». Ad oggi nessun soggetto extra-Ue lo è, per altro. Anche, «verificare se su quel soggetto autori tà italiane o europee hanno pubblicato se gnali di allerta e se ci sono sul web commenti di utenti truffati». Bisognerebbe sempre affi darsi solo a piattaforme note, di provata affi dabilitàecomunque«evitaretuttequelleche promettono rendimenti fuori mercato». Per nessun motivo, infine, dare dati di accesso al conto corrente, anche se a chiederceli sem bra essere la nostra banca: per i criminali è facile falsificare un indirizzo mail, un sito web o un numero di telefono.

Foto: Alessandro Serranò / AGF
74 13 novembre 2022 Prima Pagina
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MATTEI E USTICA MISTERI FRANCESI

DI GIGI RIVA

76 13 novembre 2022
Storia d’Italia

L’OMBRA DEI SERVIZI D’OLTRALPE DIETRO LA MORTE DEL FONDATORE DELL’ENI. E NEL 1980 IL DC9 SAREBBE STATO ABBATTUTO DAI CACCIA DI PARIGI. CHE NON HA MAI CHIARITO NIENTE

Pronto Parigi? Davvero anco ra oggi, trascorse decine di anni, non avete nulla da dir ci? Perché vanno bene il trat tato del Quirinale per miglio rare le nostre relazioni, la simpatia tra i presidenti Sergio Mattarella e Emmanuel Macron, l’incontro informa le tra lo stesso Macron e Giorgia Meloni, ma resta irrisolto il ruolo che avete svolto in almeno due tragici misteri italiani in cui al solito muro di gomma italiano si somma, incredibilmente ancora più er metico, un muro di gomma francese.

Il pretesto per ricapitolare le omissioni e un ermetismo non proprio amichevole è l’anniversario tondo, il sessantesimo, dell’attentato in cui morì Enrico Mattei. Il presidente dell’Eni precipitò con il suo ae reo a Bascapè, vicino a Pavia, il 27 ottobre 1962 mentre era in fase di atterraggio ver so l’aeroporto di Linate. Fu archiviato co me un incidente, perdurarono per anni i sospetti che così non fosse finché il giudi ce Vincenzo Calia, non dimostrò che ad abbattere l’aereo fu una piccola carica di esplosivo piazzata nel cruscotto e collega ta al congegno di sganciamento del car rello. L’inchiesta di Calia fu chiusa nel 2003 e il magistrato, in pensione, aggiun ge ora che nel tempo e proseguendo nelle sue ricerche, «l’ipotesi di una pista fran cese si è rafforzata». E aggiunge: «Non ho mai avanzato richiesta di rogatorie né chiesto documenti specifici ai francesi perché le indicazioni giunte sulle loro re sponsabilità erano generiche e non speci fiche contro singole persone». Generiche

COPERTINA

La morte di Enrico Mattei su L’Espresso del 4 novembre 1962 con un articolo di Eugenio Scalfari.

A sinistra: il presidente della Repubblica francese Emmanuel Macron

ma univoche e coincidenti al punto da po ter reiterare la domanda almeno ai politi ci dell’Esagono: non avete proprio nulla da dirci circa il comportamento dei vostri servizi segreti?

Intanto lo scenario. Enrico Mattei era inviso alle sette sorelle petrolifere an glo-americane per la sua politica verso gli Stati produttori a cui riconosceva il 75 per cento del ricavato dai giacimenti contro il 50 che allora era la percentuale abituale, tanto che a lungo si sospettò che fossero state loro a decidere l’eliminazione. Ma contemporaneamente si era inimicato la Francia per il sostegno e la fornitura d’ar mi al Fronte di Liberazione Nazionale al gerino, tanto da ricevere minacce dall’Oas (Organisation de l’Armée Secrète) che combatteva contro l’indipendenza del Pa ese africano. È vero che nel marzo del 1962, sei mesi prima della sua morte, era no stati firmati gli accordi di Evian che ponevano fine al conflitto tra la Francia e la sua ex colonia, ma si sospettava che l’i taliano trattasse col capo del governo Ben Bella perché l’Eni entrasse nei diritti di sfruttamento di un importante giacimen to nel Sahara. «E i francesi», commenta Calia, «hanno sempre ritenuto l’energia del Nord Africa roba loro, Mattei era un elemento di disturbo». Una persona “informata sui fatti” co

Foto: Eric Tschaen / SIPA / Agf
Gigi Riva Giornalista
13 novembre 2022 77 Prima Pagina

me si direbbe in gergo come l’ammira glio Fulvio Martini, nome in codice “Ulis se”, ex direttore del Sismi, sempre sentito da Calia, aveva parlato senza indugi di «responsabilità francese, tenuto conto della determinazione con cui agivano nel Continente africano. Considero la sua de posizione significativa e meditata». Non ché ribadita anche in altre occasioni pub bliche. Dello stesso parere era anche il professor Francesco Forte, vicepresidente Eni dal 1971 al 1975, secondo il quale all’interno dell’ente di Stato «era pacifico per tutti che Mattei fosse stato ucciso dai francesi».

Già, ma nel caso, chi ordinò, chi eseguì? L’Oas? Lo Sdece (servizi segreti per l’estero e controspionaggio)? Apparati infedeli al presidente de Gaulle che pure era favore vole a una collaborazione franco-italiana e che subì a sua volta un attentato? Di certo chi piazzò la carica esplosiva doveva essere un meccanico che conosceva a perfezione il Morane-Saulnier 760 di fabbricazione francese anche se non si può escludere un esperto di altra nazionalità.

Se qui si ferma la cronaca, viene in soc corso, ad aggiungere indizi, la letteratura. Solo di recente l’ex magistrato Vincenzo Calia è venuto in possesso di un libro pub blicato nel 1968 da Fayard in Francia: “Le Monde parallèle ou la Vérité sur l’espion nage”. Una raccolta di storie raccontate dal comandante di vascello Henri Traut mann, ex ufficiale dello Sdece, usate l’an no prima per una serie di documentari e poi riprodotte in volume da tre autori, Yves Ciampi, Pierre Accoce e Jean Dewe ver. Al capitolo dieci, una folgorazione. Perché è trasparentemente riprodotta, pur con nomi e luoghi mutati, la vicenda Mattei con un dettaglio che poteva essere noto solo a chi al minimo sapeva molto dell’attentato. Il meccanico di fiducia di Mattei, Marino Loretti, era stato rimosso dall’incarico con una falsa accusa (morirà in seguito in un altro incidente aereo dai contorti sospetti) e sostituito. Nella fin zione (?) letteraria è tale Laurent, tenete a mente questo nome, che manomette il bi motore per provocare il finto incidente. Per il loro volume di recente pubblicazio ne (“L’Italia nel petrolio e il sogno infranto dell’indipendenza energetica”, Feltrinelli) Giuseppe Oddo e Riccardo Antoniani

NUOVE INDAGINI HANNO DIMOSTRATO CHE FU UNA CARICA DI ESPLOSIVO A FAR PRECIPITARE IL JET DEL PETROLIERE, E NON UN INCIDENTE. LE DICHIARAZIONI DI COSSIGA

hanno rintracciato nel 2020 Pierre Acco ce, l’unico dei tre autori dei libro francese ancora vivente, il quale confermò: «Le storie che pubblicammo erano adatta menti televisivi di una serie diretta da Yves Ciampi. Erano vicende di spionaggio al limite della realtà in cui alla fine di ogni episodio appariva, come garante della ve ridicità narrativa un uomo sempre lascia to nella penombra, il capitano Trautmann soprannominato l’ammiraglio». E assi curò che i fatti raccontati sono autentici. Morì tre mesi dopo.

“Laurent” è anche il nome, e la coinci denza è davvero clamorosa, del sabotatore dell’aereo di Mattei nel libro “Lamia” usci to nel 1971 negli Stati Uniti e scritto da Philippe Thyraud de Vosjoli, potente uffi ciale e capocentro dello Sdece degli Usa, dimessosi nel 1963 per insanabili contrasti con i suoi superiori, riparato definitiva mente in America e verosimilmente assol dato dalla Cia. In questo caso senza troppe perifrasi, l’autore colloca Laurent all’aero

Storia d’Italia 78 13 novembre 2022

porto di Catania, origine dell’ultimo viag gio del presidente dell’Eni e lo definisce come uomo del “Comitato”, un servizio coperto dello Sdece incaricato dell’elimi nazione fisica degli avversari.

Come per Mattei, anche per Ustica, 81 vittime dell’aereo dell’Itavia precipitato il 27 giugno 1980, all’inizio si accreditò la te si dell’ incidente, di un “cedimento struttu rale”, finché si fece faticosamente strada la verità. Un missile, probabilmente. E sicco me nel Tirreno era in corso un’esercitazio ne Nato si pensò agli americani, salvo poi rivolgere lo sguardo ancora una volta ver so Parigi. Intanto per una clamorosa bu gia. I giudici italiani chiesero con una ro gatoria se nella notte della strage c’era at tività di volo nella loro base di Solenzana, in Corsica, a sud di Bastia. I francesi nega rono, sostenendo che la base era chiusa. Per loro sfortuna, il colonnello e futuro generale dei carabinieri Nicolò Bozzo, stretto collaboratore di Carlo Alberto Dal la Chiesa nel nucleo antiterrorismo e l’uo mo che raccolse le confidenze del pentito delle Br Patrizio Peci, si trovava in vacanza con la famiglia in un albergo vicino all’ae roporto militare. Affacciandosi al balcone poteva vedere sulle piste i Mirage francesi e i Phantom della Nato. Di solito i decolli e gli atterraggi cessavano alle 17, ma nella sera di Ustica Bozzo non riuscì a dormire fin oltre la mezzanotte «a causa del fra stuono dovuto al viavai dei cacciabombar

Il corpo in mare di una delle vittime della strage di Ustica in un’immagine televisiva. A sinistra: caccia sulla pista della base Nato di Solenzara in Corsica

dieri». L’indomani era intenzionato a cam biare hotel quando il proprietario lo invitò a restare sottolineando l’assoluta eccezio nalità dell’evento dovuta a suo dire «alle ricerche di un aereo di linea italiano scom parso in mare». L’ufficiale dubitò da subito che si potesse trattare di un semplice soc corso in mare e si chiese se non fosse un attacco top secret. Invano ripeté per molto tempo quanto aveva visto e soprattutto sentito a Solenzana.

Finalmente nel 2008 Francesco Cossiga, all’epoca dei fatti presidente del Consi glio, smentendo quanto sempre dichiara to in precedenza e cioè di non saperne nulla, si risolse a svelare che «i servizi se greti italiani mi informarono, così come fecero con l’allora sottosegretario Giulia no Amato, che erano stati i francesi con un aereo della Marina a lanciare un missi le non ad impatto ma a risonanza. Se fosse stato ad impatto non ci sarebbe nulla dell’aereo». A causa della clamorosa rive lazione, arrivata dopo le definitive senten ze di assoluzione dei generali italiani per depistaggio e alto tradimento, la procura di Roma ha riaperto un’indagine ancora in corso e in dirittura d’arrivo. Circa la guerra nel cielo del Tirreno, l’ipotesi inve stigativa più accreditata è la seguente. A quell’epoca l’Italia permetteva alla Libia, che era sotto embargo internazionale, di entrare nel nostro spazio aereo per porta re i suoi Mig 21 di fabbricazione sovietica in Jugoslavia ed essere sottoposti a manu tenzione. I Mig erano usi volare in ombra radar sopra i nostri normali aerei di linea per non essere visti. La tolleranza italiana aveva indispettito i francesi che, desidero si di darci una lezione, volevano abbattere un Mig in rotta proprio sopra l’aereo dell’I tavia: sbagliarono bersaglio. Sempre quel la notte e sempre su un Mig, il colonnello Gheddafi stava solcando lo spazio italia no per recarsi in Polonia a rendere visita al generale Jaruzelski, allora ministro del la Difesa. Gli italiani lo avvertirono della battaglia aerea e Gheddafi tornò indietro. All’epoca Gheddafi era inviso ai francesi che appoggiavano il Ciad nella guerra contro la Libia.

E torna la domanda: da Mattei sono tra scorsi 60 anni, da Ustica 42. Parigi, non è tempo di dirci qualcosa?

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13 novembre 2022 79 Prima Pagina

Queer e così sia

Riscoprire il messaggio evangelico. E riportare il cristianesimo, accogliente e inclusivo, nel dibattito pubblico. È tempo di “catechismo femminista”

colloquio con Michela Murgia e Nichi Vendola di Sabina Minardi illustrazione di Irene Rinaldi

Sguardi contemporanei
13 novembre 2022 81 Idee

o vorrei chiedere a Giorgia Meloni come fa a dire di essere cristiana e non fare i conti con un versetto fondan te la fede, quello in cui Gesù dice: “Ero straniero e mi avete accolto”… Michela Murgia, scrittrice abituata al contraddittorio, alza la posta del suo impegno per l’inclusione e il rispetto delle differenze. E affida le sue nuove riflessioni a un coraggioso pamphlet, colto e ironico, teologicamente impor tante e umanamente prezioso: “God Save the Queer” (Einaudi). Catechismo su questioni cruciali e contemporanee: si può essere femministe e cattoli che? Può coesistere la fede con la libertà di scegliere ciò che è bene per sé e per il proprio corpo? Spoiler: sì. Anzi, la fede può essere un’alleata sostiene Murgia, in questo dialogo con Nichi Vendola, per anni protagonista della vita politica e sempre in prima linea nelle battaglie per i diritti. Michela Murgia: «Partendo da una do manda, si presume che nel libro ci sia la ri sposta. Devo deludere: non c'è una risposta univoca, c'è un percorso di ricerca che ha

diverse uscite, tutte possibili. Ma già il fatto che siano possibili, rompe l'idea della reli gione cattolica e della fede fatte soltanto di risposte ferree e valori non negoziabili. La chiesa non è un monolite, ma uno spazio di pluralità. Nelle pieghe di quella pluralità ci sono risposte che permettono inclusione». Il suo libro fornisce strumenti argomen tativi per affrontare contraddizioni, spesso solo apparenti in realtà, tra vita e insegnamenti evangelici. Vendola, lei ha un compagno e un bambino, non certo una famiglia tradizionale. Come tiene insieme le sue scelte di vita e la sua fede? Nichi Vendola: «Il Dio che si presenta nelle Sacre Scritture ad Abramo è il dio dell'Alle anza, della convivialità, dell'amicizia tra i popoli. Sono i discendenti di Abramo che costruiscono una sorta di lottizzazione di questo Dio, rivendicando l'assolutezza della propria verità e interpretazione. Ogni con fessione rivendicherà a mano armata il mo nopolio di Dio, il cui nome sarà il sigillo del potere del clero. Il Vangelo torna sulla pro messa dell’alleanza e il figlio di Dio si fa car ne e sangue per annunciare l’amore smisu rato del Padre. Il mio vescovo, Don Tonino Bello, beato della Chiesa cattolica, in una preghiera bellissima scriveva: “Signore sal vami dall’arroganza di chi non ammette dubbi e dall’ipocrisia di chi salva i principi e uccide le persone”. Io sento la sfida dell’an nuncio cristiano e non il ricatto del tradizio nalismo e dell’integralismo. Vivo la mia fa miglia nella sua allegra e faticosa normalità: siamo genitori, portiamo nostro figlio a scuola, lo educhiamo all’accoglienza e al ri spetto altrui. Felici e circondati dall’affetto del quartiere e della comunità scolastica». È stato sempre tutto così sereno?

N. V.: «No, tutt’altro. La società è stata pro fondamente omofoba e in parte lo è ancora. La Chiesa è stata ossessionata dal controllo dei corpi e della morale sessuale e la sua omofobia violenta era anche una maschera per nascondere la doppia morale degli abu si e della pedofilia di pezzi del clero. Non potrò mai dimenticare il tempo degli anate mi contro di noi, contro il pride, contro la nostra libertà nel nome di quei principi etici non negoziabili che seminavano intolleran za. In quella “non negoziabilità” c’era la ne gazione della mia, della nostra vita. Papa Francesco ha avuto il coraggio di archiviare il Dio dei pregiudizi. “Chi sono io per giudi

Sguardi contemporanei
Nichi Vendola e Michela Murgia nella redazione de L’Espresso. Al centro: “La Santissima Trinità con i Santi Giovanni Battista, Maria Maddalena, Tobia e Raffaello” di Sandro Botticelli
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“Io voglio difendere la mia idea di umanità dalle riduzioni a un’unica visione, la mia idea di fede da strumentalizzazioni”

care un gay?” è la frase, evangelica, che ha licenziato la violenza lessicale del passato».

M.M.: «L'espressione era "disordine oggetti vo": Dio ha creato tutto bene e tu sei l'errore. Prova a crescere, da credente, con questa etichetta!».

N. V.: «Con un’aggravante: che la morale cat tolica pretendeva di coincidere con una non meglio identificata morale naturale. Quan do tu compari le espressioni della vita e del la natura ti accorgi che il vivente non si la scia ridurre a uno schema, ma ha una va rietà caleidoscopica di espressioni. Le diver sità sono fondative dell’esperienza umana, non sono una minaccia ma una ricchezza. Per questo io oggi mi sento più a mio agio con la chiesa di Bergoglio rispetto al magi stero trionfante e in technicolor di Wojtyla e alla durezza dogmatica di Ratzinger. La fede

però non riesco a viverla come certezza. Perché si conquista giorno per giorno. Tro vo intollerabile esibirsi nella vita pubblica in rapporto alla propria fede».

M. M.: «La fede ridotta a certezza naturale aiuta la destra conservatrice, fanatica, xe nofoba e omofoba. Quando vedo la destra che cerca di sottrarre diritti, di erodere quel li che ci sono, di ridurre gli spazi di dignità delle persone attraverso argomenti religio si, provo un dolore terribile. Giorgia Meloni che dice: “Io sono cristiana”; Matteo Salvini che fa le interviste con la Madonna e Padre Pio appesi dietro, gli interventi di Pillon o del presidente della Camera che dice “Io so no sono un cattolico” e ringrazia Papa Fran cesco durante l’insediamento dicendosi ga rante dei nostri valori, come se facessero lo stesso lavoro, è per me problematico.

LIBRO, LO SPETTACOLO

«Quel che avvertiamo come contraddizione è in realtà uno spazio fecondo di cui non abbiamo ancora compreso il potenziale vitale», scrive Michela Murgia in the Queer”(Einaudi, pp. 152, € 14,50), che esplora il senso profondo della fede e la possibilità di un equilibrio con la propria coscienza su temi come aborto, eutanasia, queerness.

Nichi Vendola a teatro con il monologo in otto capitoli “Quanto resta della notte”. Prossimo appuntamento a Roma, Teatro Parioli, il 21 novembre

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IL
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Perché nel momento in cui la chiesa sembra avere aperture, la politica si serve della parte più retriva della dottrina per proteggere le sue posizioni. Da donna, da femminista, da cattolica mi sembra che io debba difendere da un lato la mia idea di umanità dalle riduzioni a un'unica visione, dall’altro la mia idea di fede dalla strumen talizzazione: io non voglio che la fede sia utilizzata come accetta per mutilare tutte le forme di umanità che non rientrano nella visione della destra conservatrice. Però mi sembra che la sinistra, come ha abbandona to il concetto di Patria, stia abbandonando la questione della fede».

A destra si esibiscono i simboli cristiani. A sinistra la fede è un fatto privato?

M. M.: «In queste settimane ho parlato con molte persone di sinistra. Anche tra gente che conoscevo bene, ho scoperto percorsi di impegno insospettabili. C’è un pudore che fa considerare la fede un fatto privato, ma questo diventa problematico nel mo mento in cui c'è una parte politica che la utilizza come argomento pubblico».

N. V.: «Come può, secondo te, una sinistra che ha dismesso il tema dell'alternati va, porsi il tema della trascendenza? Non che tocchi alla politica disputa re del cielo e di Dio, eppure il cristia nesimo ci provoca sul terreno dell’e guaglianza. E Bergoglio si confronta sul terreno della modernità, mentre registriamo una deri va delle religioni nel mondo: pensiamo all’oscenità guer rafondaia e omofoba delle parole del patriarca Kirill I, pensiamo alla polizia mo rale in Iran o alle sette evangeliche in America che, con la Bibbia nella mano destra e il revolver nella sinistra, inneggiano a Trump o a Bolsonaro. Il

mondo cattolico ha vissuto un’epifania con il Concilio Vaticano II, immaginando una chiesa compagna dell'umanità. Qui c'è la bellezza del Cristianesimo, la cui profezia sovverte i simboli del potere per incarnarsi nella storia umana attraverso i simboli del lo spossessamento. Il regno viene celebrato su un trono fatto da due legni in croce e una corona di spine. “Amare, voce del verbo mo rire”: dirà Don Tonino, nel senso di lasciar morire ciò che ci separa dall’umano perché l’umano è “a Sua immagine e somiglianza”. Certo, ci sono cose che ancora oggi mi met tono in crisi: “Ama il tuo nemico”. Ma io posso amare chi fa della disumanità un programma politico? Chiedo soccorso al marxismo: per imparare non a odiare le persone, ma le idee che spaccano l’unità del genere umano. Posso odiare l’ingiusti zia, ma non privarmi della bellezza di rico noscere umanità persino al mio nemico». M. M.: «Quando ho iniziato a scrivere, vole vo capire se si può essere femministe e cat toliche. A mano a mano che andavo avanti sentivo la necessità di arrivare alla queer ness, cioè alla possibilità che le strutture dell’identità e delle relazioni siano meno ri gide di quanto non si voglia o non si pensi. Tu come omosessuale hai fatto una fami

“Mentre la destra esibisce i simboli della cristianità, i cattolici di sinistra vivono la fede con pudore, come un fatto privato. Non è più possibile”
Sguardi contemporanei

glia. Che per molti versi ripete le strutture della famiglia tradizionale. Questa cosa non è queer. Ed è una questione che ci siamo po ste, come femministe, quando siamo scese in piazza per difendere la possibilità che omosessuali e lesbiche avessero un’unione civile parificata. Ci siamo dette: come pos siamo chiedere la struttura del matrimonio nel momento in cui il nostro percorso di femministe va nella direzione della distru zione dell'idea di matrimonio, espressione di organizzazione patriarcale? Il femmini smo intersezionale ha concluso che è me glio prima raggiungere modelli per tutti, perché concedono diritti, poi discuterli. La fede cristiana consente un passo avanti. Per decenni abbiamo detto: Dio è Padre. E ci compiacevamo quando qualche prete dice va: “Ma è anche madre”. Padre e madre sono categorie del binarismo che appartengono a una visione tradizionale patriarcale: non vuol dire che io combatta l'idea della gene ratività padre-madre, ma che quei ruoli non possono essere esaustivi dell'identità delle persone. Figuriamoci di quella di Dio! Quin di a me di far rientrare Dio nella visione ma schile del padre o femminile della madre, non solo non importa ma lo trovo pericolo so. Non a caso il modello è stato la famiglio

la di Nazareth. La famiglia di Nazareth non è un contenuto di fede, la Trinità è un conte nuto di fede, cioè l'idea di un Dio che è uno e trino, ha tre essenze paritarie e differenzia te. Ma non siamo riusciti, dopo 2000 anni, a dire in cosa differenziano e in cosa sono si milari, se non concependoli come un flusso d’amore. L'idea della Trinità secondo me è tremendamente queer perché non ha i limi ti, non ha i muri, ti dice che dentro quel flus so di amore tutte le forme, le identità, sono sé stesse. Il ruolo del padre e della madre nella Trinità non c'è, non serve. Ora, con questo potentissimo segno a disposizione, non sarebbe il momento di ragionare di queerness non come qualcosa che contrad dice la fede, ma che invece la supporta?». Sa che moltissimi “spietati atei devoti” sono già pronti a contraddirla? M.M.: «Non vedo l’ora. Ma so anche che il percorso di fede tradizionalista obbedisce alla paura del cambiamento: tutto cambia, ditemi che almeno la religione non si muo verà mai. E invece la trinità ruota. Lo spirito soffia dove vuole, e non lo fermi tu. A me ba sterebbe ciò per essere cristiana». Ho la sensazione che il queer turbi e sia più urticante dell'omosessualità. M. M.: «È così: per il mondo lgbt, per il

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A sinistra: il patriarca Kyrill di Mosca; Papa Francesco

femminismo della differenza. Qui entra no in gioco sensibilità personali. Ci sono persone che hanno impiegato una vita per arrivare a una definizione di sé accettabile. La questione è se riconosciamo che un’orga nizzazione di relazioni a due è limitante. Pensiamo al decreto in pieno lockdown: po tete vedere solo i congiunti. In quel momen to, ciascuno si è reso conto che le proprie relazioni prioritarie non rientravano nello schema. Io ho una famiglia queer, siamo in otto. Non è scritto da nessuna parte, ma quando sono finita in ospedale sapevo chi c'era intorno a me e chi avrebbe avuto dirit to di scegliere per me. Per queste relazioni non c’è una forma legale. Deve esistere? Sì». N. V.: «Il punto su cui bisogna maturare un'emancipazione radicale è che non siamo persone predestinate a ruoli, a funzioni, non siamo copioni già scritti. Ho lottato tutta la vita, da quando ragazzino cercavo le parole per nominare la mia diversità, per uscire da quello che mi sembrava un cattivo sortile gio: la paura dello stigma e la condanna al silenzio. Noi gay siamo usciti dalle caverne e per farlo dovevamo dirci gay e amare alla lu ce del sole. E ora facciamo famiglie perché ovunque c’è condivisione, convivenza e amore, lì c’è una famiglia. Non somigliamo

alla sacra famiglia? E allora?».

M.M.: «Tutti quelli che cercano di fondare in Gesù una pretesa naturale della famiglia tradizionale si trovano davanti le parole del Vangelo: Io non sono venuto per portare l'armonia, ma per portare la spada tra padre e figlio. Quando Gesù sta predicando in piazza e il suo comportamento sembra fol le, qualcuno gli dice: “Ci sono tua madre e i tuoi fratelli, sono venuti a prenderti”, Gesù dice: “Chi è mia madre? Chi sono i miei fra telli? Mia madre e i miei fratelli sono quelli che fanno la volontà del Padre”. Chiunque oggi cerchi di fondare in Gesù Cristo l'idea di una famiglia dove madre, padre, fratelli siano figure cogenti è fuori dal Vangelo».

N.V.: «Queer fa paura perché siamo ancora imprigionati nelle maglie della cultura posi tivistica, nel bisogno di incasellare ogni fe nomeno per controllarlo. Io vorrei potermi ripartorire oggi queer. Ho vissuto un'epoca in cui dichiararsi era cruciale per rifondare l’immaginario e il vocabolario, perfino nelle mie storie d’amore con donne non ho smes so di dichiararmi gay. Perché l'omosessuali tà era stata il mio apprendimento, la mia coscienza di genere, la scoperta del mio cor po. Ovviamente è solo una etichetta: lotto per una società senza etichette».

M.M.: Ma perché la fede sta tornando nel discorso pubblico?

N. V.: «Perché il mondo non vive senza ideo logie. E se ne proclamiamo la fine, quel vuo to viene colmato dal bisogno di grandi nar razioni, di riparo, di comunità».

M.M.: «Però la fede non sfugge alle ideolo gie. Nel momento in cui Giorgia Meloni di ce: noi vogliamo gli immigrati dell'America Latina, perché sono cristiani, usa il princi pio di cristianità come discriminazione dell'accoglienza. E io sento che come cri stiana devo reagire. Non voglio più, come persona di sinistra, dire: la mia fede è un fatto privato. La fede, se c'è, è di tutti».

N. V.: «Sull'Altare della Basilica di San Nico la, a Bari, c’è una decorazione che per alcuni studiosi è la scritta araba Allah Akbar! Ma se venisse oggi quel nero che era il vescovo di Mira, San Nicola, avrebbe un foglio di via».

M.M.: «Agostino era di Ippona, africano».

N. V.: «Ero straniero e mi avete accolto...».

M. M.: «Io vorrei chiederlo a Giorgia Melo ni. Come fai a non fare i conti con quel ver setto?».

Foto: Y. Akgun –Afp / GettyImages
86 13 novembre 2022 Idee
Fedeli in preghiera nella Grande moschea Hagia Sophia di Istanbul
Sguardi contemporanei
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Rosi

una vita contro la retorica

Le lodi ai giovani colleghi. Le chiacchierate, i litigi, l’impegno civile. Il ricordo appassionato di un allievo e amico del grande regista. A cento anni dalla nascita

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Cinema e memoria

Rosi aveva questa abitudi ne, oggi inimmaginabile ma nemmeno così co mune negli artisti della sua generazione: se un film lo colpiva scriveva o telefonava al suo regista, magari debut tante, magari al secondo o terzo film. Telefonate di amichevole approvazio ne, di incoraggiamento per il futuro. Capitò anche che qualcuno, pensando a uno scherzo, rispondesse male o but tasse giù il telefono. Ho goduto anch’io del privilegio di quelle telefonate e, af ferratolo al volo, non me lo sono mai lasciato scappare. Nacque in seguito la consuetudine di frequentarsi, andare al cinema assieme o fare lunghe passeg giate, perfino di intervistarlo a fondo sulla vita e i suoi film. A sua volta, Fran co – il nome che meglio interpreta la sua incapacità di annacquare o edulco rare un’opinione – faceva lui le doman de e guai a rispondergli in modo reti cente su un regista, su un film, sul fatto del giorno, perché non tollerava i sot tintesi o le prudenze della diplomazia.

I giudizi, anche sferzanti, non erano mai demolitori ma intesi semmai a correggere, a cercare la soluzione. Co munque non l’ho mai sentito dir male di qualcuno o lasciar galleggiare un pettegolezzo. Molto semplicemente

ignorava ciò che lo poteva infastidire e non si lasciava incantare da andazzi e mode, soprattutto se era in ballo la po litica, argomento che l’ha appassiona to fino all’ultimo. Ci separavano quasi trent’anni. Nel cinema toccherebbe moltiplicarli per due o per tre perché i cambiamenti intervenuti nel frattem po – nella tecnologia, nei modi di pro duzione, nel pubblico ormai dirottato verso la televisione – hanno mutato il quadro come dopo una rivoluzione. Se la generazione di Rosi, Fellini, Anto nioni, Lattuada, Monicelli, Risi, Co mencini ha potuto succedere in conti nuità con quella di De Sica, Rossellini, Visconti (che a loro volta avevano rile vato il testimone da Blasetti, Cameri ni, Alessandrini, etc.) e legittimare i nuovi eredi della cuvée Sessanta come Pasolini, Olmi, Zurlini, Bellocchio, Bertolucci, Petri, etc., lo si deve a un comune denominatore: la fortissima affluenza nelle sale. È stato quel pub blico – sia pur differenziato dalla loca lizzazione geografica, dal contesto ur bano o agricolo, dalla maggiore capa cità di spesa grazie alla ricostruzione e al boom economico – a fare spazio anche al cinema “d’autore”, anzi a ri chiederlo non contentandosi del solo intrattenimento. Per la mia generazio ne è stato tutto diverso avendo dovuto fare i conti con la perdita di centralità che il cinema ha subito – forse non di sinteressatamente – nell’establish ment culturale. Da ragazzo guardavo alla generazione dei Maestri con vene razione, ma mi sembravano tutti irrag giungibili. Invidiavo che questi Padri avessero potuto contribuire all’età dell’oro del cinema italiano, ma non avrei mai osato avvicinarmi. Erano più vicini i Fratelli maggiori, quei ragaz zacci Bertolucci, Bellocchio, Argento, Amelio, etc., impermeabili al retaggio neorealista, contaminati semmai dalle nouvelles vagues mondiali. Se mai ci fosse stato un testimone da agguanta re avrei cercato il loro.

L’eccezione per me fu proprio Franco Rosi, che apparteneva sì alla generazio ne dei Padri (era nato giusto dieci anni dopo il mio) ma mai faceva valere l’au torità che proveniva dai suoi film e

13 novembre 2022 89 Idee Foto: G. Tourte –Gamma Rapho / GettyImages
Una scena del film “Il caso Mattei” (1972) di Francesco Rosi, con Luigi Squarzina e Gian Maria Volonté. Sotto: il regista

Sopra: sceneggiatura del film “Cadaveri eccellenti” (1976), con note e disegni di Francesco Rosi. A destra: una scena del film “Cristo si è fermato a Eboli” (1979). Il testo che qui pubblichiamo è tratto dal catalogo “Le mani sulla verità. 100 anni di Francesco Rosi a cura di Domenico De Gaetano e Carolina Rosi, con Mauro Genovese e Maria Procino, pubblicato in occasione della mostra al Museo nazionale del cinema di Torino (dal 15 novembre al 17 aprile 2023). Un omaggio ricco di documenti e testimonianze inedite. Con un obiettivo esplicito: conquistare al suo cinema più giovani.

dall’unicità della sua figura. Per me poi, orfano a otto anni, non c’è mai sta ta la necessità di uccidere il Padre, cer cando semmai di trovarne tanti nel ci nema assorbendone la lezione come una spugna ricettiva. Sarebbe stato fa cile cadere in soggezione, ma era pro prio Rosi a evitarlo; nulla lo seccava più della devozione o del fanatismo. Si appassionava invece ai contrasti, alla diversità di opinioni e punti di vi sta; dovessi trovare un movente nei suoi film lo cercherei nella curiosità e nella diffidenza verso le versioni uffi ciali. Il cineasta “civile” nasce proprio da questo spirito investigatore, dal bi sogno di smontare ogni forma retorica che soffochi la verità per arrivare alla secchezza dei fatti, alla brutalità della notizia. Uomo di grande eleganza – ve stiva come un borghese, un borghese però di scuola napoletana, non lom bardo/abruzzese come i Caraceni che vestivano l’Avvocato e le sue imitazioni – detestava i toni profetici e oracolari, né ambiva a essere un tribuno. Per questo non l’ho mai visto cavalcare il

sessantottismo dei suoi coetanei, pre occupati di restare indietro. Quella sua posizione - che nessuno gli aveva rega lato e per la quale aveva dovuto com battere – lo avvicinava agli Illuministi piuttosto che a Masaniello, all’aristo crazia colta napoletana decapitata da sanfedisti e Restaurazione anziché al tumulto di plebi accecate o vendicati ve. Convinto riformista – e per questo svillaneggiato dal radicalismo “rivolu zionario” – fu convinto socialista an che quando, nel furore di Tangentopo li, rischiava ulteriori villanie nell’illu sione di salvarne gli ideali. La fine del partito e degli uomini in cui aveva cre duto fu motivo di sofferenza ma non di sconforto. Perché Rosi sapeva bene

quanto fosse impeccabile la sua testi monianza di intellettuale e la coerenza di tutta la traiettoria del suo lavoro. Ta le il prestigio che nemmeno la più giu stizialista delle cagnare avrebbe mai potuto scalfirla.

Franco non abbandonò mai l’idea di fare film, ogni giorno si metteva alla scrivania a levigare antichi e nuovi pro getti. Un gruppo di “allievi”, se così pos siamo chiamarci, come Giuseppe Tor natore, Roberto Andò, Mario Martone, Marco Pontecorvo e tanti altri, conti nuò a frequentarlo con assiduità, sorta di appuntamento senza convocazione dov’era prezioso e stimolante ritrovar si. Mai potrò dimenticare quelle riunio ni estemporanee dove Franco era pro

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e memoria
“Si appassionava alla diversità di idee e di opinioni; dovessi trovare un movente nei suoi film lo cercherei nella curiosità e nella diffidenza verso le versioni ufficiali”
Cinema

digo di consigli e anche di insofferenze, soprattutto constatando il deteriorarsi del Paese e delle sue istituzioni, del pat to costituente che aveva reso possibile, nella grande stagione del cinema ita liano, anche i suoi film capaci di rac contare dell’Italia veleni e illusioni. Uno dei risultati fu il bel libro di Giu seppe Tornatore “Io lo chiamo cinema tografo”, la cui meticolosa gestazione ebbe tra l’altro il merito di strapparlo al dolore che patì dopo la morte di Gian carla, il baricentro della sua vita, l’amo roso conflittuale punto di equilibrio. Altro argine alla malinconia fu la voliti vità e il cuore di Carolina, la figlia che ne raccolse l’ingiunzione araldica: «Andiamo avanti!».

Aggiungo solo che questo amico esi gente e insostituibile mi manca molto. Posso solo tener care le sue parole, che scandiva come dovessimo scolpirle nella pietra, e ricordarmene nelle con trarietà. Soprattutto cercare di seguir ne l’esempio nella professione, nella vita, negli affetti.

Sul palco la rabbia di PPP

di Valeria Verbaro

“Pa’”, come era chiamato dai ragazzi di vita romani, quando insieme giocavano a calcio fra le strade polverose della periferia. Questo è il titolo che Marco Tullio Giordana ha scelto per il suo spettacolo dedicato a Pier Paolo Pasolini. Curato insieme al protagonista e compagno di scena di lunga data, Luigi Lo Cascio, “Pa’” è una selezione di testi dell’immensa produzione pasoliniana, che non ha l’ambizione di essere esaustiva. Rappresenta piuttosto un’immagine essenziale di ciò che l’autore rappresenta oggi per Giordana e Lo Cascio, rispettivamente regista e interprete. «D’altra parte ognuno ha il suo Pasolini, com’è giusto che sia, e questo non è che il nostro», afferma lo stesso Giordana nelle note di regia. Oltre la poesia, oltre il cinema o le drammaturgie più note, “Pa’” è una rappresentazione che porta sul palco la rabbia dell’intellettuale, spogliata dalle forme e dalle regole delle arti, andando alla riscoperta di quella scrittura diretta, caustica, spesso indisponente, con cui Pasolini raccontava la realtà e l’attualità del suo tempo. «Non c’è parola, virgola, capoverso che non provenga dalla sua opera», tanto che “Pa’” si potrebbe quasi definire un’autobiografia in versi. Cento anni sono trascorsi dalla sua nascita, quarantasette dal suo assassinio, eppure le parole di Pasolini vibrano ancora, hanno risonanza «come un grido di battaglia che avremmo dovuto raccogliere per fronteggiare il declino, anziché trattarlo come un visionario jettatore», afferma sempre Giordana. “Pa’” desidera così ribadire ancora una volta l’attualità di uno dei pensatori più controversi, più amati e contestati del nostro tempo. Non l’unico fra i migliori del Novecento, ma sicuramente colui che più di tutti ha investito «il suo corpo, la carne, il sangue», per ogni parola. Lo spettacolo debutta al Teatro Goldoni di Venezia (17-20 novembre) e prosegue a Verona (Teatro Stabile, 22-26 novembre), Milano (Teatro Elfo/Puccini, 29 novembre – 4 dicembre) e Padova (Teatro Verdi, 14-18 dicembre).

13 novembre 2022 91 Idee
Marco Tullio Giordana e Luigi Lo Cascio durante le prove dello spettacolo “Pa’”

Raccontare la fuga

vventura è una parola al femminile, come par tenza, come rinascita.

Ed è per un viaggio di rinascita che parte, an zi fugge, la protagonista del romanzo “La ballata del letto vuo to” di William Wall (Nutrimenti, tradu zione di Stefano Tettamanti), chiuden do letteralmente dietro di sé la porta di una casa dove il marito è morto d’infar to. Rivelandosi perdipiù, con la scom parsa improvvisa come spietato rea gente, un uomo completamente diver so da quello che Kathleen, studiosa di James Joyce e del suo Ulisse (non a ca so?), ormai acquietata in una quotidia nità che quasi neanche sa di essere in felice, credeva che fosse: travolto dai debiti, e dai creditori che si affrettano a pretendere il dovuto post mortem, e altrettanto debitamente provvisto di amante. Una donna giovanissima, splendida e bruna: una anti-Banshee che non prefigura altra morte ma il ri torno alla vita, e che riconsegna alla protagonista, senza spiegazioni, la chiave di un appartamento. Che si sco prirà essere in Italia, a Camogli in Ligu ria, dove Wall, irlandese di Cork, vinci tore del Drue Heinz Literature Prize e traduttore dall’italiano, vive buona parte dell’anno. E sarà a Camogli che Kathleen incontrerà la sua mentore, la donna che le darà lezioni di avventura, l’anziana Anna, liberamente modellata dall’autore su Rossana Rossanda, come riconosce nella nota di chiusura. Attra verso Anna e le sue fedeli amicizie – i compagni e le compagne – Kathleen scopre una controsocietà, che soprav vive in modo non nascosto e allo stesso tempo non (più) immediatamente pa lese tra le pieghe della società che co nosciamo, come una intima Avalon che di colpo si renda visibile in mezzo alla Glastonbury del quotidiano.

Se la chiamata all’avventura di Kath leen nella “Ballata del letto vuoto” è del tutto involontaria, come per una Bella addormentata che si risvegli in un mondo distopico che toccherà proprio a lei rendere (almeno un po’) utopico, è il più fermo volere ad animare Erin, protagonista di “Donna vuol dire natu

Partono, ritornano, trovano una casa, sbattono la porta. Sono le protagoniste di molte novità editoriali.

Corpi in viaggio, alla perenne ricerca di altre versioni di sé

di Laura Pugno

illustrazione di Fernando Cobelo

Donne in

ra selvaggia” di Abi Andrews (Edizioni di Atlantide, traduzione di Clara Nubi le). Una diciannovenne delle Midlands britanniche decisa a trasformarsi nella versione al femminile di Chris McCan dless – a cui è dedicato il film “Into The Wild” – e di Henry Thoreau, l’autore di “Walden. Vita nei boschi”; e a farlo rag giungendo coi più svariati mezzi di tra sporto, dalla barca all’autostop, le più remote zone dell’Alaska, e raccontando strada facendo il percorso in un docu mentario “che sia l’opposto dello sfrut tamento coloniale”, “consapevole delle impronte che lascia nella neve”. In quest’opera quantomai ibrida – un po’ romanzo di formazione in prima per sona, con inserti di sceneggiatura, e un

po’ saggio femminista e ambientalista militante, che prende a spirito guida il fantasma ronzante di Rachel Carson –Erin è una voce riconoscibilissima a cui, incontro dopo incontro, tra amici zie e amori (im)possibili e gesti di vio lenza con cui ci si scontra in presa di retta o che invece riaffiorano da un ap parentemente remoto passato che in realtà è solo l’inizio della sua adole scenza, non è mai concesso, da chiun que si trovi davanti, di pensare di non avere un corpo. Fino all’Alaska, la landa solitaria dove ogni cosa ed ognuno è completamente e totalmente corpo, ma non necessariamente ha un genere.

Dopo le Midlands, l’Irlanda e l’A laska, torniamo in Italia, con tre raccol

A 92 13 novembre 2022

movimento

te di racconti di tre scrittrici. Sono Mar zia Grillo, all’esordio letterario con “Il punto di vista del Sole” per Perrone; Alessandra Sarchi, affermata narratri ce, che nel 2017 vince il Campiello Sele zione Letterati con “La notte ha la mia voce” (Einaudi), e ora pubblica “Via da qui” per Minimum Fax; e Francesca Scotti, con “Il tempo delle tartarughe”, in libreria per Hacca.

E se il romanzo per queste autrici è casa, allora il racconto possiamo im maginarlo come una mossa del cavallo, uno scarto di lato. Un viaggio da sola, come per la Kathleen di Wall e la Erin di Andrews, un itinerario in cui Grillo Sarchi e Scotti fanno scoperta di cos’è partire, perdersi, o sostare dove magari

non lo si sarebbe mai immaginato. Per fare ritorno a una casa necessariamen te diversa da quella da cui si è andate via, anche quando la porta, il tetto e le pareti siano rimasti gli stessi.

Ad ognuna di queste scrittrici tocca così una tappa, un momento di questo viaggio esteriore e interiore. A Marzia Grillo spetterà la partenza; a Francesca Scotti, che ha vissuto a lungo tra Italia e Giappone, il soggiorno, la sosta prolun gata dove proprio nella lentezza posso no compiersi minuscole, paradossali trasformazioni (il tempo lento della tartaruga che il piè veloce Achille nel paradosso di Zenone non riesce mai a raggiungere); ad Alessandra Sarchi, in fine, il ritorno a luoghi che sono palin

sesti di sé stessi, a tempi che possiamo immaginare come i supplementari de cisivi di una partita durata tutta la vita. Parlando di storia come viaggio, meta fora classica se mai ve ne furono, po tremmo invocare un grande nome di tutte le teorie della narrazione, il for malista russo Vladimir Propp e il suo “Morfologia della fiaba”. E nelle fiabe, come ci ricorda anche un’altra afferma ta narratrice, Simona Vinci nel suo bel saggio “Mai più sola nel bosco” (Marsi lio), sui racconti dei fratelli Grimm che l’hanno accompagnata nell’infanzia, a mettersi in viaggio sono quasi sempre i figli e i fratelli minori, le sorelline, le star più inverosimili, quelli da cui non ci si aspetta nulla, che non hanno

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ricevuto insieme al certificato di na scita un destino previsto.

E al di là dello stato anagrafico, in dossano questa minorità come un mantello i protagonisti e le protagoni ste dei racconti del “Punto di vista del Sole” di Marzia Grillo. In primo luogo l’esile e feroce Ginevra, improbabile e determinata campionessa di back gammon, in un racconto che si intitola proprio “Odissea”. Unica donna, anzi adolescente in un mondo tutto al ma schile che regge a fatica la concorrenza con il poker online, l’intelligente e soli taria Ginevra dagli occhi famelici ap partiene alla stessa famiglia della “Re gina degli scacchi”. La bambina prodi gio Beth Harmon del romanzo dell’au tore americano Walter Tevis (Minimum Fax, traduzione di Angelica Secchi), interpretata da Anya TaylorJoy nella miniserie Netflix di successo. Se “Odissea” è sostanzialmente una narrazione realista, gli altri racconti di questa raccolta sono più spesso inner vati di una tramatura fantastica, fluida come l’acqua che inonda la sala dove due ex fidanzate tentano un precario, pericoloso riavvicinamento in Narra tori onniscienti, ipnotica come la su perficie dell’acqua del lago dove un’al tra coppia mette in scena una sequen za incessante e progressivamente sem pre più insensata di richieste di matrimonio seguite da rifiuti ne “Il ci gno”. L’irruzione del fantastico segna quel momento, concretissimo, in cui la realtà di tutti i giorni si rivela insuffi ciente, in cui appena il racconto finirà non potremo fare altro che affrontarla. Il momento in cui l’abbrivio della par tenza e la vitalità della giovinezza si placano, le figlie e i figli smettono di essere tali per diventare genitori o sem plicemente adulti, e davanti a loro si aprono le terre piatte, gli altopiani as solati della maturità, di cui è difficile intravedere la fine. All’ingresso in que sta terra della maturità – magari in treno, con addosso un abito giallo stampato a conchiglie – paghiamo il pegno d’entrata ai fantasmi, come la bambina Michiko del racconto “La prossima fermata” nel “Tempo delle tartarughe” di Francesca Scotti. Le

nostre care ombre dovranno scendere prima di noi, oltre questa prima tappa del viaggio non potranno accompa gnarci, ma potremo indugiare ancora insieme sulla sabbia fresca di una spiaggia coperta di aghi di pino. A dif ferenza di coloro che hanno lasciato la vita troppo presto, faremo come le conchiglie, che creano un guscio per proteggere una carne troppo morbi da. E come nel racconto che chiude la raccolta, “Calendario lunare”, impare remo a onorare questi silenziosi com pagni della memoria, i fantasmi, nella nostra immaginazione, e a farlo con piccoli gesti di vita. Per esempio, pian tare sementi e bulbi, o piantine di fra gole, in un’aiuola di erba bruciata che sembra un parcheggio davanti alla ve

Raccontare la fuga

trina di un bar. “Il Tempo delle tarta rughe” è fatto di pazienza, di allucina zioni, di delusioni che sono riconosci menti di realtà, a volte, non sempre, di guarigioni. Il tempo fermo, sembra dirci Francesca Scotti, in realtà è tutto meno che immobile.

A questa immobilità insieme gioiosa e malinconica potremmo essere strap pati in un istante, come suggerisce il titolo della raccolta di Alessandra Sar chi, “Via da qui”. Così è nel primo rac conto, “La tana”, per la giovane Moni ca, che perde a causa di un incidente la compagna Evelyn, che non ha mai par lato di lei alla sua famiglia. Oppure, an che questa è una possibilità, sembra dirci Sarchi, saremo noi stessi, quasi facendo un colpo di testa, quasi su due piedi, a sbalzarci via da quello che ha smesso di sembrarci un mondo abita bile, che sia una città una relazione o un continente, magari per tornare a cercare casa nel luogo che anticamen te chiamavamo casa. Come, nel rac conto intitolato “L’argine”, fa Ines, che per il marito David si è trasferita negli Stati Uniti, quando il suo matrimonio si avvia alla fine e lei stessa è costretta a rendersi conto che anche l’amore può essere una forma di fuga, e magari da sé stessi. Abbiamo viaggiato a lungo, sembra dirci Alessandra Sarchi, e sap piamo che forse non ci è stato utile, non per lo scopo che ci eravamo pre fissi, ma in realtà il viaggio sarà servito a un altro fine. A far nascere una ver sione di noi stessi che ancora non co nosciamo, e il paradosso è che, per imparare a conoscerla, dovremo ri metterci in viaggio. Ed è in questo ri tornare per, forse, un giorno ripartire che ritroveremo quella specie di spe ranza che ci appare solo quando tor niamo a essere corpi in movimento, come Annamaria alla fine del raccon to intitolato “Cherry Street”: “Poi con metodo si mette a raccogliere le sue cose e a infilarle dentro sacchi e vali gie. Quando ha finito, mentre Monty l’aspetta col motore acceso, chiude la porta e sul fondo della buca per le let tere lascia cadere le chiavi insieme al pensiero di un’altra sé stessa”.

Foto: G. Ippoliti –Rosebud2, A. Merola –Rosebud2

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Dall’alto: le scrittrici Abi Andrews (“Donna vuol dire natura selvaggia”); Francesca Scotti (“Il tempo delle tartarughe); Alessandra Sarchi (“Via da qui”)
RAFFO ART COMMUNICATION ROMA

Pensare l’impensabile

Pensare l’impensabile per im maginare risposte che anco ra non abbiamo: questa pos sibile definizione di fanta scienza esce sempre di più dall’ambito letterario per ridefinire progressivamente il rapporto dell’u manità con il suo presente e il suo prossimo futuro. Dalle infinite e anco ra inesplorate possibilità del metaver so alla rapida evoluzione dell’Intelli genza artificiale, il dibattito sui risvolti imprevedibili della tecnologia ultima mente si è focalizzato sulla nascita di una nuova declinazione dell’arte, at traverso gli strumenti dell’Ia. Si va ben oltre la capacità di riprodurre mecca nicamente un artefatto, perché a di ventare oggetto della discussione è il confine stesso fra uomo e macchina, riportando alla memoria gli anni Ot tanta del cyberpunk. Bruce Sterling, che del cyberpunk è stato il co-fonda tore, non sembra però guardare con pessimismo o angoscia a questa nuova possibilità della tecnologia, come sot tolinea la lectio magistralis che l’auto re ha tenuto insieme a Jasmina Tešan ović nel corso della terza Biennale di Tecnologia di Torino: “La nuova arte dell’Intelligenza artificiale”. Lei che ha contribuito a definire sto ricamente il cyberpunk, dove traccia oggi il limite tra uomo e tecnologia? «È un limite piuttosto flessibile ma pro prio quest’anno i generatori di immagi ni a rete neurale ne hanno divorato una grossa fetta. Queste macchine possono esprimere arte che soltanto un anno fa avrebbe meravigliato chiunque». L’intelligenza artificiale che “fa ar te” può arrivare a ridefinire il nostro stesso concetto di umanità?

Nft, generatori di immagini, macchine che emulano l’uomo. La rivoluzione creativa appena iniziata. Vista dal padre del cyberpunk

colloquio con Bruce Sterling di Valeria Verbaro

illustrazione di Alice Iuri

«Gli esseri umani non sono cambiati molto, ma le macchine sì. Sono diven tate molto, molto più brave a imitarci: i nostri testi, le nostre opere, le nostre fotografie, i nostri video. Possono repli carci bene ma quando non ci emulano è ancora più interessante. Abbiamo macchine, adesso, che potrebbero fa cilmente creare “dipinti” naturalistici e realistici fino a un chilometro di distan za. La loro portata e la loro velocità so no sorprendenti».

Da direttore dello “Share Festival”, il festival che porta a Torino le nuove tendenze della tech art, che defini zione darebbe dei nuovi generatori automatici di immagini DALL-E, lmagen, Midjourney, Craiyon, alcuni già premiati nei concorsi d’arte? «Originariamente queste macchine sono state costruite per riconoscere e nominare gli oggetti nelle fotografie. Poi si è scoperto che il processo poteva essere ribaltato trasformando le paro

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Arte e Intelligenza artificiale

le in fotografie: è la creazione “dal testo all’immagine”. Se digiti un testo e dai il “prompt” (l’input informatico, Ndr) le macchine faranno del loro meglio per dipingere ciò che quelle parole con tengono, in ogni stile e in ogni scala. Inoltre migliorano con estrema rapidi tà. Nella mia vita non ho mai visto una forma di “new media” migliorare così velocemente. Quest’anno è stato il più intenso che l’Intelligenza artificiale abbia mai avuto e il prossimo si pro spetta ugualmente particolare e im pressionante».

Come funzionano queste opere createdall’Ia?

«I generatori dal testo all’immagine hanno una “frontend” (l’interfaccia visibile all’utente, Ndr) che legge gli input e un ampio database che viene scansionato e misurato dalle reti neu rali ad apprendimento profondo (una tipologia di apprendimento automati co dell’Ia, Ndr). In seguito la “backend” produce l’opera. Si discute se sia più importante il database o il software o l’input che dice al generatore cosa fa re, ma nell’insieme i generatori sono come i caleidoscopi dei bambini, con una lente da cui entra luce e una com plicata, misteriosa e intricata compo nente da cui fuoriesce una bella im magine. Esistono anche diversi mo delli tecnici di proprietà di diversi in vestitori e gruppi di programmatori che sperano di ottenere risultati diffe renti. Sono parti in competizione, ma al momento collaborano. Ecco perché tutto avanza così velocemente, c’è un codice open source che può usare chiunque».

A chi appartengono dunque le opere?

«Nessuno lo sa, spetterà ai professioni sti della giurisprudenza capirlo. È un problema che ha molto in comune con il campionamento digitale della musi ca (una tecnica di composizione che preleva estratti di altri brani, Ndr) e con i diritti di riproduzione della foto grafia. Se ci si vuole assumere un ulte riore rischio si possono trasformare queste opere in criptovaluta, “non-fun gible tokens”, Nft. Ci saranno molte controversie».

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Comepensachequestigeneratoridi immagini cambieranno il futuro dell’arte?

«Sono abbastanza sicuro che appari ranno presto nel design dei siti web, nel design interattivo dei videogiochi e ne gli effetti speciali cinematografici. All’i nizio verranno usati per fare il lavoro che si faceva già, solo più rapidamente e spendendo meno. Successivamente si scopriranno nuovi modi di usarli, un po’ come è successo storicamente al ci nema, che all’inizio era solo un’imita zione degli spettacoli di magia. Le per sone si preoccupano della tecnologia nell’arte ma finché la popolazione, il governo e il mondo accademico ammi rano, supportano e insegnano l’arte, il futuro dell’arte stessa è salvo. Ogni vol ta che spunta fuori una nuova macchi na, non c’è altro da fare se non usarla per la propria arte. È più semplice di quel che si pensi». Si può dire che l’arte nell’Ia sia una nuova forma del pessimismo cy berpunk?

«Se fossimo davvero in ansia all’idea che l’umanità “venga rimpiazzata”, ci prenderemmo maggiore cura di noi stessi. Il Covid-19 ha ucciso milioni di persone, questi generatori di immagi ni non fanno male a nessuno. Anzi, sono anche un effetto collaterale della pandemia, poiché molti programma tori hanno lavorato duramente su queste macchine durante il periodo di lockdown. Sono il lato positivo del brutto periodo che abbiamo passato tra il 2020 e il 2021».

«Come scrittori di fantascienza abbiamo ogni ragione di godercela: abbiamo influenza senza re sponsabilità. Pochissimi si sento no in obbligo di prenderci sul se rio, e tuttavia le nostre idee pene trano nella cultura». Si riconosce ancora in questa definizione che scrisse nella prefazione di “La not

te che bruciammo Chrome” di Gibson? E perché?

«Ci sono tanti, troppi “vecchi” nella nostra società. Io stesso sono vecchio e sono particolarmente a favore dei giovani creativi, turbolenti e provoca tori. Chi scrive fantascienza non do vrebbe essere silenzioso e tradiziona lista, ma inventivo e innovativo, per “pensare l’impensabile”».

Qual è l’ultima idea “impensabile” che dalla fantascienza è penetrata secondo lei nella nostra quotidia nità, stravolgendola?

«L’unica vera risposta è la crisi clima tica. Ogni giorno il nostro mondo cambia molto più di quanto la fanta scienza avesse immaginato. La “sco moda verità” (dal titolo del documen tario ambientalista con Al Gore, Ndr) è sempre più evidente».

Da sinistra: Achille Perilli, “I grandi riflessi”, Volos Roma; Agostino Iacurci, “Of my abstract gardening”, Ex Elettrofonica, Roma

Performance e talk, si accende la Nuvola

Un ponte fra il pubblico e il mercato, ecco ciò che si propone di diventare “Roma Arte in Nuvola”, sotto la direzione artistica di Adriana Polveroni con la collaborazione di Valentina Ciarallo, dal 17 al 20 novembre al Centro Congressi dell’Eur, a Roma, alla seconda edizione dopo il successo dell’anno scorso, quando ospitò più di 30 mila visitatori. Oltre 140 gallerie italiane e internazionali, da Milano a Taranto e da New York a Tel Aviv, saranno presenti con opere e progetti allestiti in uno spazio di 14 mila metri quadri, su due piani, che vedrà dialogare in un flusso continuo arte moderna e arte contemporanea. Il programma si estende a un pubblico molto ampio, anche fuori dal circuito di galleristi, con eventi speciali, performance e talk. Tra gli incontri, sabato 19 novembre si parla di collezionismo, Nft e metaverso nell’arte, con Carolina Conforti, co-fondatrice di The Art Talk Magazine, Sylvain Levy, collezionista, Sophie Neuendor, redattrice di Artnet, e Stewart Rogers,

giornalista. L’offerta di “Roma Arte in Nuvola”, progettata e diretta da Alessandro Nicosia, spazia dalle installazioni alla scultura e dalla video arte fino alla digital e alla street art. E poi due mostre, una dedicata a Piero Dorazio, fra i massimi esponenti dell’astrattismo europeo, e “I grandi capolavori dell’Eur”, che racchiude per la prima volta le opere di proprietà dell’Eur s.p.a. Paese ospite della fiera è l’Ucraina, attraverso le opere di Vasyl Yarych, Yuri Smirnov, Viktor Kravtsov, Viktor Sydorenko, Yuri Sivirin e Vladislav Mamsikov. Riflessioni sulla pace e sulla guerra, ma soprattutto sulla cultura e l’identità ucraine, compreso il patrimonio danneggiato dall’invasione russa.

98 13 novembre 2022 Idee Arte e Intelligenza artificiale

Il falò dei consumi

Oggi psicoterapia e streaming. Un tempo jeans, Fiat 500 e Pac-Man. L’Istat aggiorna ogni anno le abitudini di acquisto. E il paniere

racconta la storia degli italiani

Succede all’inizio di febbra io, puntuale come il Festi val di Sanremo. Su tutti i quotidiani e i telegiornali appare un pezzo di colore sui cambiamenti delle abi tudini di consumo degli italiani. È una delle rare occasioni in cui le statistiche dell’Istat escono dalle pagine più spe cialistiche e seriose e si spostano in quelle di costume. È l’effetto della pub blicazione dell’aggiornamento del “pa niere”, cioè dell’insieme dei beni e servi zi presi in considerazione per il calcolo degli indici dei prezzi. Quest’anno per esempio tra i “prodotti rappresentativi” sono entrati lo streaming musicale, la sedia da pc e la psicoterapia individuale, mentre sono usciti i compact disc come accaduto in precedenza ai lettori dvd e ai floppy disc, ai videoregistratori e ai navigatori satellitari. È lo zeitgeist e non c’è scampo, cari consumatori apocalitti ci o integrati. Una vicenda lunga quasi cent’anni legata a filo intricato all’evolu zione economica, sociale e culturale dei nostri connazionali. Per misurare stra da facendo, in parallelo all’inflazione e

alle trasformazioni metodologiche, la temperatura esteriore e ontologica del la penisola. È impastata di riflessione statistica e amabili rêverie la lettura di questo “Le memorie del paniere”, scritto da Giovanni A. Barbieri e Paola Giacché per Donzelli. Il sottotitolo è program matico: “Un secolo, mille prodotti, cen to film”. Un gioco di specchi tra Grande Storia e storie private, consuetudini fa miliari e ideali collettivi.

Il primissimo paniere risale al decen nio 1928-1938. L’Istat era stato appena fondato. Siamo in pieno fascismo. Le spese per l’alimentazione occupano un ruolo preponderante. L’economia è ar retrata. «È facile, per le nostre abitudini di consumo variegato e opulento, sbar rare gli occhi. Si mangiano polenta, bac calà e cibi fritti con lo strutto o il lardo; si cucina e ci si riscalda con gas, legna sec ca e carbon coke. Gli abiti che si indos sano non sono confezionati, ma cuciti a partire dai tessuti acquistati. Tra le cal zature troviamo i “polacchi”, scarponci ni massicci con i lacci». Nel 1936 le tra smissioni radiofoniche sono un potente strumento di svago. La radio aveva fat

to irruzione nel 1924. Una gloria istan tanea. Concerti, propaganda di regime, le dirette delle partite internazionali di calcio raccontate da Niccolò Carosio. Gli italiani si abbonano in massa. Nel 1938 vengono venduti 344 milioni di bi glietti del cinema. Scalano il botteghino film come “Gli uomini, che mascalzo ni...” di Camerini, «la storia d’amore tra Bruno, un autista, e Mariuccia, una commessa, in una Milano avviata verso la modernità». La colonna sonora è do minata da “Parlami d’amore Mariù”, cantata da Vittorio De Sica. Imperversa la censura di Stato, una “dogana mora le” che taglia le scene dei baci a tutto schermo e vieta romanzi “disfattisti” co me “Addio alle armi” di Hemingway: il fenomeno si protrarrà per decenni. Nel paniere 1939-1953, influenzato dalla guerra mondiale, «trova conferma l’ap proccio di sussistenza» per cui si segna lano tra le nuove voci «la conserva di pomodoro e il sale, il dentifricio e il sa pone da toeletta». L’acqua corrente do mestica (e quella potabile) è un privile gio e così non manca in elenco «il ba gno in vasca all’albergo diurno». Ma il

100 13 novembre 2022 Un secolo di prodotti

Belpaese prova a rialzarsi. Il paniere lanciato nel 1954 (l’anno di “Vacanze ro mane”) attraversa il Miracolo Economi co. Si allarga sensibilmente lo spettro dei generi alimentari considerati: ecco il prosciutto, i biscotti, il cioccolato, la marmellata, la birra, le acque minerali con cui «il consumatore italiano avrà una lunga storia d’amore». Spazio alla camicia, all’intimo maschile e femmini le, agli accessori. Guadagna il centro del palco l’automobile: dell’iconica Fiat 500 verranno smerciati in patria quattro milioni di esemplari tra il 1957 e il 1975. In generale, nel 1965 le auto immatrico late sono 5,5 milioni, dieci anni dopo triplicano, adesso superano i 40 milioni. I riflettori dell’Istat si accendono sugli elettrodomestici (nel 1971 l’Italia pro duce più di cinque milioni di frigoriferi, «quasi come gli Stati Uniti e più di tutto il resto d’Europa messo assieme»), sul telefono (in tanti scelgono la modalità “duplex”, nel paniere fino al ‘91) e sulla televisione (sei milioni di abbonati nel 1965). Si comincia a viaggiare, a spo starsi non solo per ragioni di emigrazio ne indigente dalla campagna alla città

Una Fiat 500 esce dalla fabbrica (1957). Nelle foto piccole: una scena del film “La febbre del sabato sera” (1977); il videogioco Pac-Man (1980)

(«tra il 1951 e il 1975 si trasferiscono nel “triangolo industriale” del nord-ovest circa due milioni e mezzo di persone dal Mezzogiorno»). I supermercati e la grande distribuzione si materializzano per la prima volta alla fine del 1957 a Milano. Luciano Bianciardi li descrive da par suo ne “La vita agra”: «Il bottego ne è una stanza enorme senza finestre. Entrando, ti danno un carrettino di fil di ferro che devi riempire di merce, di pro dotti. Hanno la pupilla dilatata, per via dei colori, della luce, della musica cal colata, non battono più le palpebre, non ti vedono». Il volume di Barbieri e Giac ché è un excursus algebrico e scintillan te: la realtà, i totem consumistici e le loro rappresentazioni nel corso del tempo. Dal trio Lescano a “Hit Parade”, Mina e il juke-box, il terziario avanzato e, dal 1957 al 1977, il boom sintomatico di “Carosello” («Ha commesso un erro re, non ha mai usato la brillantina Li netti»). Il Super8 e l’autunno caldo, le proteste di piazza e i dischi a 45 giri, i surgelati e la scala mobile, l’eskimo e la febbre del sabato sera. I blue jeans sa ranno cooptati a scoppio ritardato nel 1986. I personal computer e i telefoni cellulari dal rilievo ‘96-98. Si spende sempre di più per merci e servizi volut tuari. La classe media prospera e si fan no meno figli. L’aspirapolvere e la lava stoviglie, il bagnoschiuma e le creme idratanti, il rasoio elettrico e la mo quette, la cui stella si spegnerà presto. Gli animali domestici. La “Milano da bere” dell’amaro Ramazzotti, “Drive In” e Pac-Man, Bettino Craxi che cita il ti tolo di un film di Federico Fellini (“E la nave va”) ma poi va a schiantarsi con tro Tangentopoli. A differenza di quel memorabile affresco diacronico che è stato “La famiglia” di Ettore Scola, che si fermava al 1986, “Le memorie del pa niere” atterra a oggi. L’euro e il forno a microonde, il body-building e i fast-fo od, l’abbonamento a Internet e le due crisi finanziarie ed economiche del 2008 e del 2012. La pandemia di Co vid-19, la guerra in Ucraina, la questio ne climatica. Il popolo dei vegetariani, i tatuaggi, i voli low-cost. To be conti nued, come la vita.

13 novembre 2022 101 Foto: Marka –GettyImages, Webphoto, Fairfax Media –GettyImages Idee

Protagonisti

Il mio barista ama la guerra

Un barista razzista e guer rafondaio e uno dei Papi piùcontroversi dellaSto ria. Sono i nuovi perso naggi che Giuseppe Bat tiston porta sullo scher mo, rispettivamente nei film “War - La guerra desiderata” di Gianni Zanasi, ora al cinema, e “Il principe di Roma” di Edoardo Falcone. L’attore friulano, 54 anni, si prepara poi all’uscita, nel 2023, del suo primo film da regista “Io vivo altrove”, che arriva a coronare una car riera trentennale tra teatro, televisione e cinema anche internazionale. Dopo essere stato diretto da Danny Boyle nel la serie tv “Trust”, ha infatti lavorato con Robert Zemeckis per il suo “Pinoc chio”, interpretando un memorabile Mangiafuoco.

Partiamo da “War - La guerra desi derata” di Gianni Zanasi, presenta to in anteprima alla Festa del Cine ma di Roma. Ideato anni fa, mette in scena una guerra che si scatena nel cuore dell’Europa e risulta forte mente attuale nelle atmosfere. La sua prima reazione dopo aver letto la sceneggiatura?

«Ho detto a Zanasi: “Ma sei sicuro? È un po’ forte”. Nel film la guerra è usata come provocazione e pretesto per ve dere fin dove possono spingersi, nel be ne e nel male, gli animi delle persone».

La finzione nel frattempo è diventata realtà: la guerra è scoppiata davvero, seppure in altri modi e contesti.

«Ho risentito Zanasi: “Ma tu sei un veg gente, vedi il futuro”. Mi ha risposto: “No, è il futuro che sta andando indietro”. Concordo, prima aspettavamo il futuro,

adesso è il futuro che aspetta noi. Fino a qualche anno fa non potevamo neanche immaginare di piombare in questo disa stro: si cancellano di colpo secoli di sto ria, di pensiero, di progresso».

Nel film interpreta un barista che coltiva odio e alla prima occasione non esita a imbracciare un mitra e improvvisarsi paramilitare. Come lo ha costruito?

«Partendo dalla sua disperazione. Mauro è un uomo che si perde nella de vastazione della sua solitudine e aridi tà dell’anima. In un quadro spirituale così logorato, l’idea di poter appartene re a qualcosa, come un gruppo parami litare, lo fa sentire improvvisamente vivo e importante. In questo l’ho trova to realistico: certe marginalità finisco no per creare dei mostri».

Mostro lo è davvero, specie quando minaccia di dare fuoco a un uomo di colore che lega con delle corde a un barile…

«Non compie certo delle buone azioni, ma è utile per mettere in scena la vio lenza che esplode nel quotidiano. Sul

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colloquio con Giuseppe Battiston di Claudia Catalli
Un uomo qualunque che diventa paramilitare. Un Papa controverso. E il primo film da regista. L’attore si racconta: “Il cinema non deve dare solo messaggi rassicuranti, ma anche moniti”
Giuseppe Battiston, 54 anni

set continuavo a chiedere preoccupato ro?”. Non è stato facile girarla, parte

cosa di pericoloso per cui non c’è più niente da ridere. La trovo un’immagine fortissima, emblematica di quello che stiamo vivendo. Il cinema non deve mandare solo messaggi rassicuranti,

«Racconta la banalità del male, quello che può sempre accadere nell’animo della persona che credi di conoscere. Purtroppo ormai sappiamo in che abisso nosciamo l’odio che monta

piuttosto che darsi da fare e rimboccar si le maniche facendo autocritica. Per questo le società del male impostano le loro teorie sul diverso come potenziale pericolo: se cominci a vedere il diverso da te - a livello di genere, pelle, classe, cultura, sesso - come un nemico allora non si dialoga più, cambi lato del mar ciapiede, inizi a guardarlo male. Parte un pensiero malato che si infila sotto la pelle di una società che è già in crisi e che la pandemia ha peggiorato, con la rabbia dei cittadini chiusi in casa che chiedevano a gran voce la riapertura dei bar – curioso che in pochi chiedes sero quella dei teatri e dei cinema, an cora vuoti perché la gente può starsene a casa a devastarsi di serie».

Il cinema può cambiare le cose?

duo non nasca cattivo, quindi se da una parte c’è l’esplosione cieca di violenza, dall’altra ta il film, c’è anche ca di amore. Ogni rante cava fuori il meglio e il peggio Com’è stato per un pacifista convinto mi dal giudicare il mio personaggio. Per il resto, a parte il dolore di portarsi in

«Può cambiare i pensieri della gente, come può farlo una sinfonia, un qua dro, un romanzo, tutto ciò che nutre l’animo».

Da un barista guerrafondaio al papa Borgia il passo è breve?

«So bene che possono offrirti la stessa tipologia di personaggio fino alla pen sione, ma per me è ancora presto. Così ho accettato di calarmi in panni diver sissimi da me e da ciò che ho fatto fino ra. Come la mia versione di Alessandro VI, che nel film è presentato come il papa Borgia peccatore. Nel film si pre senta pentito, dice a chi guarda: “Se continui a comportarti così farai la mia fine, non sono stato esemplare”. È stato molto divertente».

Nel 2023 uscirà al cinema il suo pri mo film da regista: che cosa dobbia mo aspettarci?

lori, avevo sul set i maestri d’armi che mi spiegavano tutto. Mauro è un barista, non sa sparare, non è un soldato esperto o un guerriero. Tiene il mitra come immagina che si tenga, è tutto sballato in quel suo gruppo paramilitare di improvvisati Improvvisati ma violenti. Come gli «È senz’altro più facile odiare qualcuno

«“Io vivo altrove” è una sorta di fiaba girata in Friuli, una chance per raccon tare il posto da cui vengo. È ispirato al romanzo incompiuto di Gustave Flau bert “Bouvard et Pécuchet”, in cui i due protagonisti – Rolando Ravello e iosono due sconosciuti che diventano amici e decidono di vivere in campa gna inseguendo un sogno di autosuffi cienza. L’ho girato in sei settimane, con tutte le difficoltà e l’inesperienza di un regista esordiente. Ho diretto un grup po di attori splendidi e una troupe dav vero speciale».

13 novembre 2022 103 Idee
Foto: Anna Camerlingo

A CURA DI SABINA MINARDI

CUORE DI TENEBRA

Un delitto. E un protagonista cupo e solitario. Bernhard immerge il lettore in un universo di voci e di ossessioni DI CARLO CROSATO

Nei bar sperduti delle valli austriache girano delle voci su un recente fatto di sangue. Dopo molti ten tativi e lunghe insistenze, tale Konrad è riuscito a impossessarsi di una vecchia fornace isolata dal mondo, in cui si rinchiude con la moglie costretta sulla sedia a rotel le. Vuole isolarsi da tutto per mettere su carta un impor tante saggio sull’udito, al quale consacra l’intera sua vita, sacrificando la salute della moglie, cavia delle sue speri mentazioni. Gli stenti in cui vivono sono una vera tortura per la moglie, che si riduce a una condizione di catatonia per sopravvivere alle manie del marito, ossessionato da un saggio del quale non scriverà mai nemmeno una riga. Le elucubrazioni che assediano la sua mente producono un mondo del tutto distaccato dalla realtà. Unico, definitivo contatto con il mondo reale: l’arresto a seguito del crimine che infine egli commette, uccidendo la moglie. Ne “La for nace” (Adelphi, trad. Magda Olivetti), Thomas Bernhard ci getta nel mezzo di un labirintico intrico di testimonianze, fra chi manifesta un certo spavento e chi sostiene di aver subodorato ciò che sarebbe successo. L’ironia che guida la ridondanza e l’approssimazione di

Incanta i bambini, cattura i filosofi, nonostante i linguaggi estremamente diversificati si riconosce al primo sguardo. Paul Klee è uno di quegli artisti del Novecento che mette d’accordo tutti. Eppure di sé diceva: “Sono inafferrabile”. Nel mistero della sua creatività indaga questo saggio narrativo, nel ricostruire il percorso di un uomo che ha cambiato la storia della pittura. Affondando le mani nelle radici della vita, deciso a proseguire la creazione del mondo.

“PAUL KLEE. GENIO E REGOLATEZZA”

Gregorio Botta

Editori Laterza, pp. 200, € 18

Il giornalismo come passione civile. L’esperienza da cronista fino a quella di storico direttore dell’agenzia Ansa.

quelle voci, che sem brano non veder l’ora di dire la propria su quan to avvenuto, attrae il lettore in una morbosa curiosità, lo intrappola in un dedalo disorientante. Konrad pare emergere da un sottosuolo do stoevskijano: solitario e isolato, cuce le proprie certezze in crollabili sul mondo, sulla natura, sull’uomo, sulla società, sulla sua epoca; i suoi granitici schemi mentali scandisco no giornate tutte uguali, improntate a inseguire un obiet tivo capace di dare compimento a un’intera vita, e desti nate a procrastinare tale compimento al momento ideale, che non arriva mai. Il personaggio di Bernhard pare essere massimamente umano, denudato di ogni orpello che non sia la sua fragile umanità: per questo i colpi di fucile che esploderà contro la nuca della moglie invalida ci risuonano come l’interrogativo più dirompente e inconfutabile.

€ 19

La sensibilità ai cambiamenti della professione. L’eredità a un mestiere e ai colleghi più giovani. La lunga vita di un maestro del giornalismo raccontata da lui stesso, a cento anni, all’apprezzata firma di Repubblica. Tra ricordi e aneddoti, un ritratto del grande difensore della libertà di stampa, scomparso all’inizio di quest’anno.

“LA

MIA VITA DA GIORNALISTA”

Sergio Lepri (a cura di Silvana Mazzocchi) All Around, pp. 176, € 16

Una gatta nera ai tempi dell’Inquisizione. E un cortile abitato da sette fate nel cuore di Palermo, a Ballarò. Dove finisce la fiaba di Giuseppe Pitré, aedo di indimenticabili storie della tradizione siciliana, ricomincia questo libro, immaginando un gruppo di creature in un vortice di canti e di profumi ammalianti a difesa di due bambine. Accusate di stregoneria e in corsa verso la libertà da un mondo violentemente maschile. Nella notte di San Giovanni del 1586.

“IL

CORTILE DELLE SETTE FATE”

Nadia Terranova Guanda, pp. 112, € 13

105 Bookmarks/i libri
“LA FORNACE” Thomas Bernhard Adelphi, pp. 225,
106 La protezione del pianeta IL MUSEO Specie a rischio, piante rare Le sentinelle della natura contro i crimini ambientali A Roma il Macri raccoglie i reperti sequestrati dai nuclei Cites che vigilano sul quarto traffico mondiale per dimensioni, dopo droga, armi ed esseri umani. Dal mercato nero al commercio di souvenir illegali di Tommaso Giagni foto di Alessandro Penso

Un imponente bovino asia tico, un gaur imbalsamato, accoglie i visitatori di un piccolo museo all’inter no del Bioparco di Roma. Si chiama Museo ambiente e crimine (Macri) e dal 2014 sensibilizza sui reati contro l’ambiente: un insieme composito di illeciti che vanno dagli incendi bo schivi all’inquinamento di suolo, aria e acqua, dal bracconaggio al traffico di rifiuti. I gaur sono in via d’estinzione e la storia di questo esemplare spiega bene la brutalità del crimine ambien tale e l’impegno di chi lo contrasta. Per anni è stato inseguito come un oggetto del desiderio, per via della mole e della bellezza, fin quando è stato abbattu

to in India da un cacciatore italiano. Esportato dall’India, giunto in Italia, ha arricchito il campionario di un col lezionista. L’animale si è trasformato in prodotto. Un’operazione congiunta di carabinieri, Interpol e polizia fran cese, poi, ha sequestrato il gaur. La sua presenza sulla soglia del museo è dun que un monito.

Uno dei principali reati contro l’am biente riguarda il commercio di ani mali e piante minacciate di estinzione. Parliamo del quarto traffico illegale al mondo per volume d’affari, dopo quelli di droga, armi ed esseri umani. A pro teggere le specie selvatiche, classifican dole in base al rischio che corrono, re golandone il commercio, è la Conven

zione di Washington del 1973, la Cites, alla quale aderiscono 182 Stati e l’Unio ne Europea.

Pannelli e teche nei corridoi del Mu seo ambiente e crimine, allestiti in col laborazione con l’Arma dei carabinieri, raccontano quanto la biodiversità e la sostenibilità ambientale siano minac ciate dalla speculazione. Quanto fauna e flora siano sotto l’attacco dell’estra zione di valore. Zanne d’elefante che diventano statuette d’avorio, tronchi d’albero trasformati in mobili di moga no, bertucce ridotte ad animali da compagnia, falchi in cattività per colle zionismo. A occuparsi di questi crimini in Italia è stato il Corpo forestale dello Stato finché, nel 2017, non è stato as sorbito dall’Arma dei carabinieri. Da allora, la competenza è passata ai ser vizi Cites dei carabinieri sul territorio e della Guardia di finanza su porti, aero porti e zone di confine.

«Siamo sentinelle della natura», dice il maresciallo Candeloro Calabrò, co mandante della squadra Cites della Guardia di finanza a Roma, mentre mostra una pelle di pitone di quasi 5 metri, stesa su un banco dell’aeroporto di Fiumicino. «Quando salvaguardo un ocelot o un serpente, sto salvaguar dando la biodiversità all’interno del Creato. Dietro ogni dinamica in natura c’è una ragione: la natura è perfetta». Questi compiti relativamente nuovi nella carriera di Calabrò, classe ’63, si sposano con una passione antica: or nitologo, da molto tempo alleva pap pagalli e quand’è il momento li manda in Africa, per restituirli al loro ambien te d’origine. Il nome gli viene da un personaggio di Giovanni Verga, don Candeloro, essendo nato nella Vizzini dello scrittore. «Sono appassionato di verismo. Ma in generale mi piace scri vere, anche i verbali, e faccio un lavoro in cui ci vuole attenzione al dettaglio, in qualche modo creatività».

Lui e il maresciallo Vladimiro Cola santi mostrano esemplari confiscati in questi anni. Gigantesche conchiglie dei Caraibi, bloccate perché eccedenti l’uso personale (3 al massimo e nel ba gaglio). Un caimano nano, imbalsama to e messo in posa: eretto, con una

107 Storie
Flavia Calò, cura le piante sequestrate in aeroporto all’interno della serra Cites di Trastevere, a Roma

La protezione del pianeta

canna da pesca in una zampa e un pesce nell’altra. Una zanna d’elefante che vale 35.000 euro sul mercato ille gale ed è stata scoperta dentro una cassa stereo. Alcune fasi dell’anno so no particolarmente delicate per chi vigila sul commercio di specie selvati che. Tra ottobre e febbraio, per esem pio, è periodo di mostre ornitologiche in Italia. Ad aprile l’attenzione va sul traffico di anguille cieche: il nostro è un Paese di transito, nel viaggio illega le dal golfo di Biscaglia dove sono na te, verso la Cina dove rappresentano un cibo apprezzatissimo.

Il controllo dei passeggeri di un ae reo o di una nave è però solo una parte del lavoro, per i dieci militari della squadra Cites. Un’altra, importante, ri guarda le spedizioni di animali e pian

te in entrata e in uscita. Per esempio il controllo di centinaia di tartarughe dirette in Corea del Sud, al quale assi stiamo nella Cargo City dell’aeroporto. Si scoperchiano le casse, si verificano il numero degli esemplari e le loro con dizioni, si misurano le pezzature. Tutto è in regola, intorno alle casse viene av volto il nastro giallo dell’avvenuto con trollo, possono essere spedite. «L’inte ra squadra è vaccinata, capita di rice vere morsi di tartarughe, di serpenti, può essere pericoloso. Ogni sacco di iuta può contenere una sorpresa. An che se, sul piano sanitario, il traffico di esotici è meno pericoloso di quello di cani e gatti. Loro sono bombe ecologi che», spiega Calabrò. E la diffusione del Covid ha reso il tema attuale anche fuori dall’ambito Cites.

L’ingresso del Museo ambiente e crimine (Macri) al Bioparco di Roma

Tra scatoloni con la scritta “Live Tro pical Fish”, un’area dell’aeroporto di Fiumicino è dedicata alla cosiddetta “visita merci animali”. La visita è sia quella veterinaria del ministero della Salute, sia quella dei militari della squadra. Il maresciallo Colasanti con trolla buste che contengono pesci car dinali, protetti dalla Convenzione. In una sala vicina ci sono terrari e gabbie, servono a far acclimatare gli animali a sangue freddo appena sbarcati.

Animali e piante, una vol ta sequestrati, vengono temporaneamente dati in custodia nell’attesa di una sentenza. Può essere disagevole, co me quando un’operazione della squa dra di Calabrò rinvenne quasi ven

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Colasanti e Calabrò controllano dei cani arrivati a Fiumicino. In basso, un sequestro

timila pesci tropicali («Va’ a capire dove metterli...», dice lui). Sempre di più ci si deve affidare a centri privati, magari in segretezza trattandosi di specie preziose. Se poi il processo lo stabilisce, dal sequestro si passa alla confisca e il parere di una commissio ne scientifica decide la destinazione definitiva. Magari l’Orto botanico di Roma, dove lavora Flavia Calò, bota nica e custode di piante in senso lato. A lei si rivolgono carabinieri e Guar dia di finanza per riconoscere una specie quando ci sono dubbi (le pian te in lista Cites sono circa 30.000), così come alle sue cure vengono spes so affidate piante sotto sequestro. O appunto esemplari confiscati.

Da quindici anni si occupa di alcu ne piante originarie del Cile, che mo

stra tra le pareti di vetro di una serra storica dell’Orto. Sono copiapoe: sembrano cactus qualunque, a occhi profani, e invece stanno in cima ai de sideri dei collezionisti. Ognuna è pre ziosa sul mercato, gli appassionati possono spendere anche 2.000 euro per un esemplare. Calò stessa nasce come collezionista, conosce quel mondo. Non nasconde un’ammirazio ne per i cactus, e sostiene che nel pia neta in sofferenza, considerando le condizioni climatiche, siano «le pian te del futuro».

Come tutti i cactus, le copiapoe ri sultano nella lista di specie protette dalla Cites. L’operazione “Atacama” del Corpo forestale dello Stato, nel 2007, diede a Calò la responsabilità della custodia di oltre trecento esem

plari sequestrati. «Sono stata due not ti senza dormire». Per ogni esemplare che non sopravviveva, lei conservava la pianta morta come corpo del reato. Non è riuscita a buttarle via neanche dopo il processo e la confisca, dopo che si è deciso di affidarle a lei definiti vamente, dopo che l’Orto ne è diventa to proprietario: «Sono un po’ blocca ta», dice. Mostra le copiapoe, dunque, nel lungo bancale allarmato in cui so no disposte, dentro questa serra del primo Novecento. Abituate a nutrirsi dell’umidità che soffia dall’oceano Pa cifico, hanno trovato un equilibrio qui, alle pendici del Gianicolo, a Roma. Co me si riescono a ottenere condizioni simili a quelle che le piante avevano in Cile? «Questa è la sfida», sorride Calò. Bisogna pensare all’areazione, alla lu ce, soprattutto al modo di bagnarle.

Portate via dalla natura e con servate ex situ, le copiapoe sono sopravvissute in un’alta percentuale ma si sono tra sformate. Visibilmente: la crescita nel nuovo ambiente ha sviluppato negli esemplari forme e colori diversi da un certo punto in su: il punto dov’è finita la libertà in natura. Oggi hanno un’età stimata di venti, trenta, quarant’anni, e rappresentano il nucleo della cosid detta «serra Cites». È aperta al pub blico da settembre, allestita insieme al direttore Flavio Attorre. D’altronde l’Orto botanico, amministrato dall’u niversità La Sapienza riferimento del dipartimento di Biologia ambientale, è un museo: oltre a conservare, ha una funzione didattica. «È necessario fare formazione», spiega Calò. Per esem pio perché di traffico illegale di piante si macchiano anche turisti più o me no ignari, tutt’altro che collezionisti, portando via specie a rischio d’estin zione come souvenir. È un danno per gli ecosistemi, capace d’innescare in potenza conseguenze enormi, com’è successo con la diffusione del punte ruolo rosso della palma. E i cortocir cuiti ecologici possono irrompere nel le società umane, l’abbiamo imparato. L’abbiamo imparato?

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La terra riscoperta Il vino artigianale dei siciliani di ritorno

La vigna come regalo di laurea, l’operaio che riprende il terreno dello zio. L’impiegato che cambia vita. Nuovi agricoltori che non mollano

In vigna ti aspetta Calogero. Quel Calogero non è però il contadino baffi e capelli neri della Sicilia dei quadri antichi, ma è un giovane alto, capelli raccolti e t-shirt grigia dei Pink Floyd. Ha girato il mondo e dal punto più lontano dalla sua Sici lia, l’Australia, ha deciso che doveva tornare a Montallegro, in provincia di Agrigento per fare vino. In una terra burbera che ha lasciato scappare gran parte dei suoi giovani, Calogero, no me del santo più amato in provincia, è uno dei nuovi protagonisti siciliani del cosiddetto vino naturale o artigianale, un vino cui non vengono aggiunte altre sostanze chimiche, alla ricerca della più antica ricetta del nettare degli dei. «Studiavo ingegneria a Pisa, poi sco pro che esiste viticoltura ed enologia accompagnando un amico a registra re una materia e così ho cambiato la mia vita», racconta Calogero Caruana: «Durante dei seminari con l’università ho fatto esperienze nelle cantine, lì ho conosciuto un imprenditore australia no, così mi sono trasferito per studiare il vino naturale ma con l’intenzione di tornare e creare il mio di vino, nel la mia terra». Così, per la laurea i suoi genitori gli regalano 9mila metri qua drati di vigna che lo portano di nuovo nel profondo Sud per mettere in prati ca quanto appreso negli anni. «Questa terra ha delle potenzialità enormi che oggi non vengono espresse però è mol to difficile lavorare, se c’è un problema

bisogna aspettare settimane. Riuscire a fare vino qui vale doppio. Ho accettato la sfida, sono tornato nella mia terra con la prospettiva di fare crescere que sto territorio». L’obiettivo iniziale, do po l’avvio dell’attività nel 2020, è quello delle 10mila bottiglie: oggi, nella sua piccola cantina, Calogero non ha più spazio per le botti ma vuole espandersi ancora, rimanendo però nei limiti del vino artigianale su un territorio che al trimenti sarebbe rimasto brullo e senza speranze. Gran parte dei terreni della sua zona dove prima c’erano vigneti, dopo il fallimento delle cantine sociali, sono stati abbandonati ed erano de stinati alla desertificazione come gran parte delle aree siciliane. Con il vino biologico, però, anche quei terreni do ve non c’è più nulla rinascono con una nuova impronta che attinge al passato, riprendendo il percorso dei vecchi con tadini, gli zii o i padri dei giovani che oggi vogliono riprendersi la terra. Do po la chiusura delle miniere, dall’altra parte della Sicilia, a Campofranco, non c’era più nulla, e quei territori tutt’al tro che pianeggianti non sembravano adatti per dei vigneti. Non era di que sta idea Giuseppe Cipolla, che con la sua azienda Passofonduto, dal nome della contrada, ha deciso di sovvertire questa teoria chiamando poi il vino, “Solfare”, in onore della tradizione mi neraria del luogo dove prima si estrae va lo zolfo. Vent’anni a lavorare in uno studio notarile ad Agrigento, Peppe

uve Syrah in fase di asciugatura per la produzione del “Passirah” presso “La Chiusa” di Montevago, in provincia di Agrigento

Orgoglio contadino
L’ISOLA PRODUTTIVA
Grappoli di
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Orgoglio contadino

alla soglia dei quarant’anni, in piena pandemia, nel 2020, decide di lasciare le carpette impolverate per vivere in campagna. Dove c’era il grano adesso sorgono delle vigne e di queste vigne Giuseppe ha fatto la sua ragione di vita, tanto che sotto i vigneti ci dorme, nella sua piccola casa ricavata dal poco spa zio lasciato libero dal proliferare di bot ti: «Attraverso il vino si è protagonisti del territorio, mi ha reso libero. Non sa pevo a cosa andavo incontro ma volevo cambiare vita, oggi mi piace stare qui, zappare e fare il contadino. Viviamo in un territorio non facile dove è difficile trovare gente che vuole stare dietro a un progetto del genere, ma con la mia testardaggine sono riuscito nell’impre sa di fare vino qui». Peppe, dopo aver messo sul mercato la sua prima botti glia del 2020, è stato risucchiato dalla sua nuova vita e adesso il mercato ri chiede ancora più bottiglie, tra tutte il suo rosso naturale “Le Robbe”, nella vigna che così ritorna alle origini, con il sapore dello zolfo: «Qui abbiamo quel lo che la natura ti ha dato, per questo parliamo di vini naturali, io mi defini sco un artigiano del vino, con strumen ti semplici e non industriali, non voglio farlo per me ma per il nostro territorio. Questo dà l’identità al vino che faccio e questo voglio trasmettere a chi lo be ve». Così, dalle miniere adesso il vino arriva in Inghilterra e negli Usa.

«La Sicilia dei vini arti gianali rappresenta un territorio ancora da scoprire che può ave re diverse declinazioni», spiega Salvo Ognibene, giornalista esperto di vini: «Questo territorio oggi conta tante giovani aziende che si stanno già affer mando nel mondo del vino artigianale che piace perché pulito e giusto. In par ticolare Agrigento sta rinascendo nel vino e questo lo conferma anche il fatto che il miglior vino bianco eletto a Bru xelles al concorso mondiale sia un vino agrigentino. La cosa interessante è che questo mondo racconta una propria filosofia basata sullo slow food e che ogni cantina ha una storia da narrare, dove il vino rimane materia viva». Da

Giuseppe Cipolla impegnato nelle operazioni di pulizia di una cisterna d’acciaio

Agrigento fino a Caltanissetta, si sale fino all’Etna, dove anche Gianluca Fur nari ha deciso di non lasciare incolti i suoi terreni e da una promessa fatta a suo zio prima di morire si divide tra i turni di notte con il carro attrezzi e la sua vigna: «Spero che questo diventi il mio unico lavoro, stiamo crescendo sempre di più e punto come primo pas so ad arrivare a 6mila bottiglie». Alla vecchia vigna dello zio ha dato un nuo vo stile, puntando sulla semplicità del naturale e rilanciando il nuovo mar chio da lui creato, “Tenuta del vallone rosso”, attraverso i social. A trent’anni, in un territorio riscopertosi vocato per il vino, Biancavilla, decide di rimboc carsi le maniche nel suo terreno e di dare vita a un Nerello Mascalese tutto naturale: «Dopo la morte di mio zio ho deciso che dovevo prendere io le redi ni di queste terre che non hanno nulla da invidiare a quelle degli altri versanti

dell’Etna e ho ricevuto numerose ri chieste tanto da esaurire subito la pri ma produzione». Il lavoro del contadi no-artigiano del vino continua ancora e adesso Gianluca si trova nelle vigne per raccogliere l’uva che sull’Etna ma tura più tardi: «Con impegno, un buon vino e una buona immagine si possono rilanciare questi territori producendo 100 per cento in purezza, rispettando la natura e una vigna di famiglia che sarebbe andata perduta». Perduti sa rebbero andati anche i terreni di Ste fano Ientile, che nel Belice ricostruito dopo il terremoto del 1968 è riuscito a dare un nuovo futuro ai terreni, produ cendo 12 mila bottiglie tra Catarratto e Syrah: «Io dovevo essere un architetto, invece ho portato l’architettura nella cultura del vino», racconta Stefano, dell’azienda “La Chiusa”, oggi 43 anni e da 8 nel campo del vino: «Fare vino ti insegna a cercare la semplicità e que

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sto non è facile. Togliere e riportare il vino alla sua radice naturale è difficile. La Sicilia può ancora raccontare molto sul vino, le nostre zone sono vergini». Dietro ai ruderi della vecchia Monte vago, il posto più colpito dal terremoto con il maggior numero di vittime, la speranza è nel vino e nella sua “Chiu sa” (un insieme di terreni ben definito vicino al paese), Stefano vuole porta re ed esportare la sua idea di vino e di natura: «Dopo anni passati a portare il vino in cantina ho deciso di fare io il vi no puntando a un prodotto buono, le gandolo però a un concetto di bellezza. Così ho deciso di completare la filiera e da 8 anni produco i miei vini, racchiu si in 10 ettari, al naturale, rispettando il percorso della natura». In una terra ventosa, a pochi passi dalle terme ap partenute alla nonna, il giovane Stefa no intraprende una sfida che lo porta a esportare il prodotto anche all’estero

con un successo inimmaginabile per una terra sconosciuta per il vino: «In un mondo pazzo come quello in cui viviamo volevo dare un’altra immagine del vino come nutrimento e c’è ancora tanto da raccontare».

Alla globalizzazione e alla standar dizzazione si contrappone un nuovo mondo che mira così alla sostenibilità e al racconto del vino come filosofia di vita e di cibo come nutrimento: «L’a gricoltura biologica rappresenta, so prattutto in Italia, il nuovo paradigma di un modello di società orientata alle esigenze dell’uomo più che del merca to», spiega Lillo Alaimo Di Loro, presi dente di Italia Bio, padre di un giovane che ha esportato la sua idea di vino in Canada: «Sotto questo punto di vista il settore bio viticolo siciliano presenta grandi potenzialità ma rimane ancora molta strada da fare, investendo sulla capacità di interpretazione del fattore

ambientale, adottando sistemi a basso impatto e valorizzando i lieviti autoc toni per la caratterizzazione ambien tale». I primi passi, partendo dal meri dione della Sicilia, sono stati già fatti e anche tra i consumatori c’è una nuova coscienza. «Tra i consumatori c’è vo glia di bere cose diverse e le varietà si ritrovano nei vini artigianali che cam biano con gli elementi della natura e dei terreni. Soprattutto negli ultimi 3 anni il consumatore ha cambiato stile di vita e adesso va in cantina sicuro di ciò che vuole bere e riconosce e chiede i vini artigianali, c’è una cultura diver sa che rispecchia lo stile di vita diverso dei consumatori», conclude Salvo Ognibene, cresciuto a Menfi, città del vino. Nel mondo che guarda con at tenzione al rispetto dell’ambiente, il nettare degli dei diventa ancora una volta la via della salvezza.

Vigne ad alberello a Passofonduto. Sotto, vendemmia nella Tenuta del vallore rosso
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CALCOLO E PASSIONE

Il primato di Maryna Viazovksa la matematica geniale che è riuscita dove Keplero fallì

A 37 anni, la ricercatrice ucraina ha vinto la Fields Medal con l'impacchettamento di sfere nelle dimensioni 8 e 24. Una soluzione da molteplici applicazioni pratiche. “Ma a me interessa l’eleganza della scienza”

La cerimonia di premiazione si sarebbe dovuta tenere a San Pietroburgo. Ma soffiavano già venti di guerra e gli orga nizzatori non erano convinti che la Città degli Zar fosse il luogo ideale per la consegna della Fields Medal, premio conferito ogni quattro anni dal Con gresso internazionale dei matematici. Lei, Maryna Viazovksa, giovane ricer catrice ucraina, una dei quattro vinci tori dell’edizione 2022 del premio - che è riservato agli under 40 ed è conside rato il “Nobel della Matematica” - era invece convinta che la scelta di San Pietroburgo potesse essere un segnale importante. Poi però la Russia ha in vaso l’Ucraina, il premio è stato conse gnato senza altri indugi da Helsinki nel luglio scorso e la vita di Maryna Viazo vska è cambiata all’improvviso: «Spes so diamo per scontate le cose belle della nostra vita e la pace è una delle cose che ho sempre dato per scontata. Ora capisco quanto mi sia sbagliata», aveva detto allora la ricercatrice in un video pubblicato su YouTube alla vigi lia del Congresso.

La scienziata di Kiev ha raccontato la sua storia, e soprattutto quella della scoperta che le è valsa il più importan te dei suoi numerosi premi, davanti al pubblico incantato della ventesima edizione del Festival della Scienza che si è tenuto nelle scorse settimane a Ge nova. Introdotto da Marco Pallavicini,

docente ordinario di fisica sperimen tale e vicepresidente dell’Istituto na zionale di Fisica della Materia, il dialo go di Maryna Viazovska con la giorna lista di Radio3 Scienza Roberta Fulci è stato presentato da Francesco Rom bolà, studente del liceo classico Mazzi ni di Genova. «Per capire meglio, dove te dimenticare la visione 3D e entrare in un mondo fatto di analisi, geometria algebrica e dimostrazioni matemati che», ha avvertito Francesco. Perché se non si esce da questo schema men tale è più difficile capire come sia pos sibile impacchettare le sfere in tutte le altre dimensioni superiori che solo con la matematica si riescono a con templare. Nel caso del problema risol to da Viazovska - che dal 2017 vive a Losanna, titolare della cattedra di Teo ria dei numeri all’Istituto federale sviz zero di tecnologia (Epfl) - le dimensio ni prese in considerazione sono 8 e 24. C’è chi dice che dimostrare il proble ma sia stato tecnicamente più facile di quanto si immagini. Ma in molti nella Sala del Consiglio Maggiore di Palazzo Ducale immaginano ben poco. Anche se a un certo punto sul maxischermo alle spalle della ricercatrice appare la raffigurazione grafica dei suoi calcoli: è una stella meravigliosa e di colpo sembra di poter capire, con un po’ di filosofia, tutti i misteri dell’universo. Tanto per dare un’idea dell’impresa di Viazovska è utile ricordare che a ri

solvere il problema della collocazione delle sfere in uno spazio tridimensio nale non era riuscito neppure Johan nes Keplero, quello delle leggi che go vernano il movimento dei pianeti. Nel Seicento ipotizzò che il miglior modo per sistemare le palle di cannone nella stiva di una nave, risparmiando spa zio fosse quello di formare una strut tura piramidale. Però non riuscì a di mostrarlo. La dimostrazione della sua famosa congettura riuscì soltanto tre secoli dopo, nel 1998, al matematico americano Thomas Hales, che però di sponeva di uno strumento straordina rio a differenza di Keplero: il compu ter. E l’ha usato. «Anche perché gli scienziati non sempre hanno le risor se fisiche per eseguire da soli tutti i calcoli: in certi casi bisognerebbe po ter vivere cent’anni», spiega Viazo vska. Così finalmente ora sappiamo con «certezza matematica» che il si stema più proficuo di imballare le arance è quello di impilarle formando una piramide: occuperà il 74 per cento dello spazio disponibile nel nostro scatolone. Però poi è arrivata lei, la “Nobel della Matematica” che a 37 an ni ha risolto in un solo colpo due pro blemi analoghi, però in dimensioni più grandi, cioè 8 e 24. E la genialità sta anche nel fatto che la tecnica con cui Viazovska ha risolto il problema è più semplice di quella impiegata per certificare l’ipotesi di Keplero.

Numeri uno
di Roberto Orlando
114 13 novembre 2022

La matematica ucraina Maryna Viazovska, titolare della cattedra di Teoria dei numeri all'Epfl di Losanna

Foto: Fred Merz / Cortesia EPFL
13 novembre 2022 115 Storie

Facile, ma senza esagerare. È Via zovska stessa a fornirci qualche indi cazione sul livello di difficoltà: «Il ma tematico del Massachusetts institute of technology, Henry Cohn, e lo scien ziato di Harvard Noam Elkies hanno dimostrato più di 10 anni fa che è pos sibile impacchettare le sfere quasi per fettamente nella dimensione 8. Ho svi luppato il loro lavoro e dopo due anni di duro impegno, nel marzo 2016, ho sviluppato la funzione definitiva e for nito 23 pagine di prova per il perfetto imballaggio delle sfere nello spazio a otto dimensioni. Henry Cohn si è con gratulato con me e mi ha motivato a estenderlo alla dimensione 24. Una settimana dopo ho pubblicato, assie

me a Cohn e ad altri due scienziati, un teorema sulla piattaforma open sour ce arXiv.org che dimostra la perfezione dell’impacchettamento del reticolo di Leech nella dimensione 24, confer mando così anche l’idea che avevo svi luppato per la dimensione 8».

Ma perché impegnarsi pro prio nelle dimensioni 8 e 24? «Perché credevo che ci fossero buone chance di successo», risponde la scienziata senza scomporsi. E siccome, da Ke plero in avanti, la soluzione di questi problemi è una delle più grandi sfide della matematica, il momento in cui Viazovska ha potuto gridare “eureka”

dev’essere stato molto emozionante, persino a dispetto della sua abituale imperturbabilità. «Eureka è il momen to più bello per un matematico, è il motivo per cui la ricerca crea dipen denza. E in questo caso ci sono stati diversi “eureka”, perché ho incontra to varie difficoltà tecniche e non ero mai sicura che la mia idea fosse quella giusta finché non ho dimostrato ogni singola parte del lavoro e ho scritto la dimostrazione finale», ricorda la scienziata ucraina.

La passione di Viazovska per i cal coli è quasi genetica. Lei racconta che nella sua famiglia «c’è una solida tra dizione in scienze naturali e tecnolo gia». E poi a scuola, da bambina, la matematica era la sua materia prefe rita. Ma buona parte del merito, dice, è degli insegnanti che hanno saputo stimolarla: «Non hanno ucciso il mio interesse ma, al contrario, l’hanno re so più forte».

Le prossime imprese? Magari la so luzione del problema delle sfere in di mensione 4, dice Viazovska. Di primo acchito sembra facile: da 3 a 4 il passo è breve, però compierlo potrebbe es sere più complicato che nelle dimen sioni 8 e 24.

Restano ancora un paio di doman de, però fondamentali per noi profani: a che cosa serve calcolare come occu pare al meglio uno spazio con arance o palle di cannone (a seconda delle ne cessità) in dimensioni che non riuscia mo nemmeno a immaginare? E quan to è importante per Viazovska sapere se il suo lavoro, di livello così alto da essere “leggibile” in tutta la sua com plessità soltanto da una cinquantina di scienziati al mondo, avrà anche un’applicazione pratica? La giovane “Nobel” la spiega così: «È noto che l’impacchettamento delle sfere gioca un ruolo chiave nella teoria dell’infor mazione e nella teoria dei codici di correzione degli errori. La mia ricerca potrebbe un giorno aiutare a risolvere una vasta gamma di altri problemi quotidiani. Ma da parte mia, sono più interessata alla bellezza e all’eleganza della scienza fondamentale».

Foto: Getty Images, Roberto Orlando
Il Festival della Scienza svoltosi a Genova a fine ottobre
Numeri uno 116 13 novembre 2022 Storie
Maryna Viazovska riceve la Fields Medal da Carlos E. Kenig

BEATRICE DONDI

BELVE, LA FEROCIA E L’EMPATIA

Fagnani non molla la presa ma sfodera un’inedita delicatezza. In cui la preda si sbrana da sola

Le strade nel bosco, come inse gna il poeta, sono sempre due e scegliere la meno battuta è ro ba da pochi. Per questo stupisce con piacere che Francesca Fagnani si sia sistemata i capelli dietro le orecchie, abbia preso fiato e abbia preferito percorrere la salita meno agevole.

Non certo snaturando quel metodo spiazzante e ormai del tutto inedito che prevede delle domande e la ricer ca delle relative risposte. Quanto per aver tenuto a bada tutto il contorno che l’ha resa personaggio, il suo con trocanto, quegli «ehm, mmm… ap punto, ecco», la faccina, il sorrisetto diventato tormentone al punto da rendere verosimile persino una falsa intervista al Papa. Invece la giorna lista ha rilanciato, e in questa nuova edizione di “Belve” su Rai Due anzi ché accomodarsi con la coda arroto lata in un copione in qualche modo già visto è riuscita ad andare oltre quello che rischiava di diventare la parodia di se stessa. Lo si percepisce in un attimo, oltre che nella scelta centrata di personalità granitiche

(come nel caso della gigantesca Eva Robbins), anche in quella inedita de licatezza con cui affronta invece per sonaggi più a rischio figurina, senza indugiare troppo in un voyeurismo di facile attrattiva, rinunciando laddove non sia necessario a mettere mano all’evidenziatore. Dopo aver esaltato lo scorso anno la “mo destia” di Pamela Prati, la rabbia radical chic di Guerritore e altre delizie che avrebbero reso felice qualunque imitatore (cosa che è puntualmente successa con Vincenzo De Lucia in parrucca bionda, pe raltro irresistibile), Fa gnani di fronte al disa gio, per esempio, sulle treccine da sedici euro di quell’esplosione di fragilità chiamata Nina Moric, ha fatto gratta re sulla lavagna il suo stesso gesso. Nell’ap puntamento tornato bisettimanale (e che ha risparmiato allo spettatore l’attesa del sorgere del sole nella not te del giovedì) si affaccia una sorta di empatia nei confronti della difficoltà altrui, un atteggiamento in punta di piedi, maestra Celentano permetten do, rispetto al ruggito sbandierato, tanto ci pensa la persona aggrappata allo sgabello. Perché a volte è estre mamente più feroce lasciare che la preda si sbrani da sola. Ora, Fagnani vorrebbe a distanza di quattro anni avere di fronte Giorgia Meloni. «Chi butterei giù dalla torre tra Salvini e Berlusconi? Beh, entrambi», le disse all’epoca. Chissà oggi cosa potrebbe riuscire a tirar fuori dal signor pre mier. Altro che belve.

Renzo Arbore, lezioni d’amore per le canzoni

In un angolo sperduto e protetto del palinsesto televisivo, alle 19 e 30 su Rai5 a partire da martedì scorso, Renzo Arbore ha deciso di raccontarsi, o meglio di raccontare insieme a Gegé Telesforo, in “Appresso alla musica. In due si racconta meglio”, si chiama proprio così il programma, le sue passate meravigliose malefatte in chiave di musica, che sono tante, tantissime, e ci fanno ripensare ad alcune questioni di non secondaria importanza. Arbore giustamente lo si esalta per le sue invenzioni radiofoniche e televisive, nemico giurato dell’ossessione degli indici d’ascolto tanto da inventare un titolo che recitava “meno siamo meglio stiamo”, frase che detta oggi in televisione farebbe aprire una voragine sotto l’incauto suggeritore per spedirlo nell’inferno della comunicazione con punizioni pesantissime. Ma Arbore meriterebbe di essere esaltato anche per i suoi meriti squisitamente musicali. La sua è anche una lezione di come si tratta la musica in televisione. Guardiamoci queste venti puntate in cui Renzo e Gegè faranno rivedere ampi stralci di “D.O.C. – Musica e altro a denominazione d’origine controllata”, che era una striscia quotidiana del pomeriggio, che se ne stava lì tranquilla, senza strepiti e proclami di alcun genere, e dal 1987 al 1989, presentata da Monica Nannini e Gegè Telesforo con la regia di Pino Leoni, ha portato in televisione, dal vivo, e sottolineiamo dal vivo, il mondo della musica nella sua più alta e variegata espressione, per non parlare degli altri programmi arboriani in cui la musica era comunque fondamentale, tanto per ricordare che nei pressi di Arbore sono passati da Lucio Battisti a Solomon Burke, da Lucio Dalla a Pat Metheny, da Chet Baker a Pino Daniele

Ho visto cose/tv
#musica GINO CASTALDO 118 13 novembre 2022

e l’elenco potrebbe essere così lungo da assomigliare a quello del telefono. Tutto questo accadeva non solo per la bravura di Arbore, succedeva perché Arbore partiva dal più semplice degli assiomi: l’amore per la musica. Gli artisti, italiani o stranieri che fossero, giovani o maturi, esordienti o star, si sono sentiti rispettati, amati, protetti e per lui erano disposti a tutto. È quello che si respirava nei suoi programmi: competenza e passione. Ovvio direte voi, e invece no, non è per niente ovvio, perché mai come in questi ultimi anni la musica è diventata protagonista quasi suo malgrado. Anni fa di canzoni in tv se ne vedevano poche, oggi se ne vedono troppe e soprattutto strumentalizzate e brutalizzate ai fini più disparati: trash, travestimenti, gare e corride di ogni genere, memorie, revival, carrambate. Per godere di un buon trattamento garantito dobbiamo aspettare tipi stravaganti come Fiorello o Bollani, e altre gloriose rarità, quando si decidono a fare programmi. Approfittiamo allora di queste venti puntate di “Appresso alla musica”. Il professor Arbore è lì, a disposizione, col fido discepolo Gegè Telesforo, a dare elementari lezioni di comportamento, a spiegare come si fa, come si tratta la musica. Non è poi così difficile. Basta imparare a divertirsi.

LEI, LUI, SOPRAVVISSUTI AL BATACLAN

Ramón è ossessionato dai ricordi, Céline ha rimosso l’orrore. E il regista Lacuesta disegna un’intera società

Due giovani scampati d’un sof fio all’orrore scoprono poco a poco di aver messo in atto stra tegie opposte per superare il trauma. Opposte e inconsapevoli naturalmen te, la mancanza di controllo è il cuore del problema. Così lui è ossessionato dai ricordi, lei non ne parla mai. Lui soffre di attacchi di pa nico, lei sembra sempre padrona di sé, tanto da consigliarlo e accudirlo. Lui si chiama Ramón González, e a quell’e sperienza ha dedicato un libro (mai tradotto in italiano), “Paz, Amor y Death Metal”. Lei si chia ma Céline e tutti e due il 13 novembre 2015 erano al Bataclan, epicentro di una serie di attenta ti che in una sola notte farà 130 morti a Parigi. Anche se Céline, ecco lo scarto incolmabile, non ha mai detto a nessuno che quella sera si trovava lì. Difficile immaginare soggetto più sci voloso di quello affrontato dal regista spagnolo Isaki Lacuesta. Oltre a fugare ogni sospetto di speculazione spetta colare, bisognava evitare l’armamen tario ricattatorio che spesso impiom ba le storie dei sopravvissuti. Impresa riuscita, almeno per l’essenziale. Pur non disdegnando i flashback, “Un an no, una notte” contiene al minimo la rievocazione della strage, lasciando i terroristi (e gli uccisi) rigorosamente fuori campo per concentrarsi sul do po, visto nella prospettiva rivelatrice di una coppia (Ramón e Céline sono Nahuel Pérez Biscayart e Noémie Mer lant, improbabili a prima vista ma pro prio per questo straordinariamente vivi e vibranti).

Come andare avanti, dopo un’espe rienza simile? Cosa farne, dentro e fuo ri di sé, dunque anche nel loro rappor to? Come sfuggire all’assedio della me moria ma anche allo status di soprav vissuti, con gli amici, in famiglia, sul lavoro, nell’intimità? Ovvero, restando nel quotidiano, come sopportare la so lidarietà pelosa e a volte offensiva degli amici via sms, la retorica di Hollande in tv, il razzismo dilagante? Mesco lando passato e presente, memoria e immaginazione, ma soprattutto alter nando con finezza i registri più diversi (lirico, elegiaco, domestico, dramma tico, a tratti perfino comico), Lacuesta riordina il caos senza mai perdere di vista, anzi usando a meraviglia anche i lavori di Ramón e Céline, lui program matore, lei assistente in un centro per ragazzi senza famiglia. Fino a disegna re in filigrana, dietro di loro, un’intera società. Non era facile.

“UN ANNO, UNA NOTTE” di Isaki Lacuesta Spagna-Francia, 130’

Scritti
buio/cinema
13 novembre 2022 119
al
FABIO FERZETTI
aaabc
Renzo Arbore

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GRAZIE AD ALTAN, MAGICO E SCONCERTANTE

Cara Rossini, tramite lei vorrei far arrivare il mio pensiero ad Altan. Mi chiamo Rossella, le scrivo da un minuscolo paesino nel comune di Vinci, il paese del grande genio Leonardo. Pur respirando la stessa aria (forse la differenza sta nell’inquinamento che prima non c’era) ritengo che la mia mente non abbia niente di geniale, però possie de una caratteristica penso comune a tutti gli esseri umani, quella di non trovare parole di fronte a persone con menti che definire geniali è riduttivo. Leggo L’Espresso grazie a mio fratello Rossano (io Ros sella, lui Rossano, che ha chiamato una figlia Enrica, omaggiando un certo Enrico Berlinguer, tanto per spiegare quale sia la mia/nostra idea politica, almeno per quel che rimane o vale); mio fratello dicevo, che si reca sempre in edicola a comprare L’Espresso, che poi mi pas sa una volta letto. Ci tengo a fare ad ognuno di voi i miei più sentiti complimenti e il mio umile grazie per l’aiuto che ci date a diventare “migliori” con le vostre informazioni e riflessioni, ma voglio alzare un grazie più grande ad un genio dei nostri giorni: Altan. Il suo contribu to certe volte potrebbe sostituire mille articoli di giornalisti e fotogra fi, la copertina e la sua unica pagina basterebbero a metterci al cor rente, rendendoci chiaro il nostro pensiero ma ancor di più il nostro stato d’animo. È sconcertante, magico, incredibile. Grazie davvero di esistere ma soprattutto di farci partecipi dei suoi pensieri e conside razioni che è davvero molto ma molto riduttivo definire geniali.

Se una nativa di Vinci dà del genio soltanto al suo Leonardo e al nostro Altan, le dobbiamo credere. E non facciamo uno sforzo perché se la grandezza di Leonardo ci ha raggiunto attraverso i secoli e ci lascia ancora sbalorditi, ci stupisce ogni volta an che la profondità intrisa di umorismo e la capacità di dirci co se serissime senza darlo a vedere del nostro Altan. Da decenni a L’Espresso, con una vignetta che ignora la cronaca ma tocca il punto focale del momento, sfiorandolo o aggredendolo con intelligenza e pessimismo, Altan ci fa ogni volta specchiare nei nostri tempi senza concederci vie di fuga. L’operaio Cipputi, i capitalisti opulenti, le coppie di coniugi disincantati, le donnine nude ci mettono di fronte a questioni sentimentali e sociali che spesso facciamo finta di ignorare. Ma anche sulla cronaca una sua vignetta sa darci una sintesi caustica che fa strame di cento editoriali, come quella sulla guerra: «Diciamo a Putin che se la smette gli diamo il Nobel per la pace», o quella sulla crisi del Pd: «Per rifondare il partito c'è il bonus del 110 per cento?». Altan ha compiuto 80 anni due settimane fa (auguri!) e ancora allie ta anche i bambini con la sua Pimpa, cagnetta protagonista di fumetti e cartoni. Del resto, disincantato come sempre, ha già fatto riassumere da un suo personaggio ciò che pensa della vita: «Uno nasce, poi muore, il resto sono chiacchiere».

RISPONDE STEFANIA ROSSINI Noi e Voi L’ESPRESSO - VIA IN LUCINA, 17 - 00186 ROMA letterealdirettore@espressoedit.it - precisoche@espressoedit.it ALTRE LETTERE E COMMENTI SU LESPRESSO.IT 120 N. 45 - ANNO LXVII - 13 NOVEMBRE 2022 TIRATURA COPIE 185.400 Certificato ADS n. 8855 del 05/05/2021 Codice ISSN online 2499-0833
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I diritti negati e le colpe della sinistra

Un fantasma agita i sonni dell’Europa “progressista” (l’ottocentesca fede nel mito del progresso sembra la sola rimasta a ex-socialisti, ex-liberali, ex-cattolici popolari): la crescita delle “destre”. “Destre” che si cerca disperatamente di far rientrare in parole-chiave, sorta di passe-partout: po pulismo, nazionalismo, sovranismo, indifferenza o peggio per i “diritti umani”. Come se le metamorfosi attraversate dalle antiche “sinistre” potessero non aver conosciuto un analogo processo nell’area del “nemi co”. Si tratta in entrambi i casi di mutamenti strutturali; i motivi tattici, le “simulazioni”, non fanno che da con torno. La realtà è una perdita di identità culturale di tutte le nostre forze politiche, che si traduce nel crescente confondersi

dei programmi e dello stesso linguaggio. Un universale “imborghesimento”, nel senso opposto in cui forse, prima delle catastrofi del Novecento, poteva essere usato il termine Borghese: non ricerca di una conciliazione tra spirito del ca pitalismo e Umanesimo, ma rincorsa ad assicurarsi il Centro; non rivendicazione di un Politico autonomo dotato di com petenza e responsabilità, ma ossequio pregiudiziale e subalterno alle potenze dominanti, Tecnica ed Economia.

Sulle ragioni del successo delle “destre”, dalle più innocue scandinave a quelle più pericolose di Israele, che renderan no impossibile ogni accordo con la Pale stina, basta dare un’occhiata alla carta geografica e constatare la distribuzione del voto. Altro che nostalgia per ideolo gie novecentesche! Dal Nord, all’Est, da Ghibellini a Guelfi sono le periferie, i ghetti, le aree di maggior disagio, le cam pagne più povere dell’Occidente dove le “destre” si affermano ( o “populismi” vari che i “progressisti” tendono inarre stabilmente a equiparare a esse). Sono i territori fuori dalle “mura” metropolita ne, espulsi dal relativo benessere ancora intra-moenia esistente, oppure le ex-ca pitali dell’operaio-massa, come Detroit, colpiti dagli effetti della globalizzazione non governata, subita, quando non esal

tata, dalla politica. I territori di una nuo va plebe senza tribuni, sempre meno pro tetta dall’intervento pubblico, nei quali dilegua l’idea stessa dello Stato sociale. Qui è la frontiera per i “progressisti”: o si mostreranno in grado di affrontare il proliferare di intollerabili disuguaglian ze o spariranno da ogni orizzonte.

E prima di parlare di diritti e di pro clamarsene paladini facciano anche qui qualche rapido esame di coscienza. L’e sempio ci è offerto dal recente Decreto che subordina a una gravissima serie di condizioni la possibilità di fruire di per messi o misure alternative alla pena per i responsabili di reati ostativi. L’occasione ghiotta per le “destre”, da sempre a cac cia di ben meritare a favore delle nostre domestiche paci, è stata data dal famoso rave party. Quando l’immagine è tutto: in certi servizi tv il capannone della fe sta incendiava la notte come un girone infernale. Ebbene, senza dubbio questo decreto è un obbrobrio politico e giuri dico - ma, di grazia, perché non ricorda re che tutte le condizioni che esso pone nell’art.1 erano già presenti in quello ap provato il 31 marzo scorso? Forse i “pro gressisti” a corrente alternata se lo sono dimenticato? E per questo polemizzano soltanto con l’art.5 del Decreto Meloni, cioè con la norma anti-rave? E ora che si

riaccende l’attenzione sulla tragedia dei migranti ci batteremo contro le misure che le “destre” inventeranno, dimenti cando la schifezza degli accordi con la Guardia costiera libica, a carico della quale pende una denuncia per crimini contro l’umanità?

La realtà, cari amici ed ex-compagni, è che da molti anni ci troviamo di fronte a una sistematica limitazione di diritti fondamentali, a uno sgretolamento dei principi su cui si sono rette le nostre democrazie. E che noi non solo non siamo riusciti a contrastarne la crisi, ma spesso e volentieri ne siamo stati, magari inconsapevolmente, artefici.

122 Massimo Cacciari Parole nel vuoto Illustrazione: Ivan Canu
Ora ci battiamo contro la politica della destra che respinge gli immigrati, dimenticando la schifezza degli accordi con la Guardia costiera libica. E una parte del Decreto contro i rave era già in vigore da marzo scorso

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