Rivista mensile di Ornitologia Scientifica - Tecnica - Pratica Organo Ufficiale della F.O.I.-Onlus
ANNO XLVII numero 10 2021
Canarini di Colore
Estrildidi Fringillidi Ibridi
Ondulati ed altri Psittaciformi
Didattica & Cultura
Interazioni particolari: il conix
Diamante quadricolore
Ala grigia e Ala chiara
Cromosomi sessuali negli uccelli
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ANNO XLVII NUMERO 10 2021
sommario 3 7
La verità non è per tutti Antonio Sposito
Interazioni particolari: il conix Giovanni Canali
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Associazione Ornitologica Messinese Francesco Badalamenti
L’Aspraggine Pierluigi Mengacci
OrniFlash News al volo dal web e non solo
Girare l’uovo Pasquale Leo
Le motivazioni ad apprendere Francesco Di Giorgio
Recensioni - novità editoriali
Canarini di Colore
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Estrildidi Fringillidi Ibrdidi
Diamante quadricolore Erythrura prasina (Sparrman, 1788) Ivano Mortaruolo
Ala grigia e Ala chiara Giovanni Fogliati
Cromosomi sessuali negli uccelli Marco Baldanzi
Photo Show Le foto scattate dagli allevatori
Il Cardellino ieri, oggi e domani (2ª parte) Piercarlo Rossi
Uccelli sani e che riproducono Diego Cattarossi
AMMINISTRAZIONE E PUBBLICITÀ: Segreteria F.O.I.-Onlus Via Caorsana, 94 - Località Le Mose 29122 Piacenza Tel. 0523.593403 - Fax 0523.571613 Web: www.foi.it - E-mail: redazione@foi.it
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Francesco Badalamenti
Ondulati ed altri Psittaciformi
Estrildidi Fringillidi Ibrdidi
29 61
Lettere in Redazione Attività F.O.I. Verbali Consiglio Direttivo del 10 luglio e del 29 luglio 2021
Associato all’Unione Stampa Periodica Italiana ISSN 0391-254X (International Standard Serial Number) Autorizzazione del Tribunale di Bologna n. 4396 del 12-3-1975
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Italia Ornitologica è la rivista ufficiale della F.O.I. - Federazione Ornicoltori Italiani, pubblicata in 10 (dieci) numeri annuali a cadenza mensile, 2 (due) dei quali in versione bimestrale nel periodo estivo (Giugno/Luglio e Agosto/Settembre). Il numero 10 - 2021 è stato licenziato per la stampa il 29/9/2021
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Editoriale
La verità non è per tutti di ANTONIO S POSITO
L
a Verità sorgerà al di sopra della menzogna come olio sull’acqua (Miguel de Cervantes). Negli ultimi tempi si stanno susseguendo accadimenti che sembrano aver invertito la posizione dell’imputato con quella della parte offesa. Tutto ciò accade quando non si conosce la verità dei fatti o la si conosce solo molto parzialmente o la si conosce per quella parte che qualcuno artatamente vuole rendere conoscibile a proprio uso e consumo. Ma si sa che ogni storia umana ha un inizio ed una fine e noi questa storia la conosciamo già, dall’inizio alla fine. Nel mese di settembre 2018, nel corso del Congresso Tecnico OMJ di Cervia, il Signor Giuseppe Ielo – allora Consigliere FOI – mi propone di incontrare il Presidente della COM-Spagna, Signor Miguel Penzo. Ovviamente accetto di buon grado di incontrarlo anche in considerazione degli ottimi rapporti personali intercorrenti. L’incontro si tiene nel salottino della mia camera dell’Hotel Dante e, ritenendo che si dovesse parlare di argomenti istituzionali, allo stesso chiedo di partecipare agli altri Dirigenti FOI presenti in quel frangente. Partecipano Penzo, Sposito, Crovace, Ielo, Nunziata e Benagiano. In realtà appare subito evidente che l’argomento all’ordine del giorno non abbia alcun carattere istituzionale in quanto veniamo a sapere da Ielo in quel momento che Penzo aveva richiesto l’incontro non già quale Presidente della COM-Spagna bensì quale titolare dell’azienda produttrice di anelli per l’ornitologia. In ogni caso accettiamo comunque di ascoltare la sua proposta. Penzo si propone alla FOI come nuovo fornitore degli anellini, mostra agli astanti una campionatura degli anelli prodotti dalla sua azienda e mi consegna un’offerta commerciale che, a prima vista, evidenzia una riduzione sia pur minima del costo ad anello (almeno per le tipologie di anelli di larga distribuzione) al cospetto di un prodotto di buona qualità, quantomeno perché gli anelli, diversamente da quelli all’epoca prodotti dal fornitore storico della FOI, si presentavano verniciati anche all’interno. Immediatamente gli pongo due interrogativi ovvero:
- se la sua azienda fosse attrezzata per produrre più di un milione e mezzo di anelli che la FOI annualmente avrebbe ordinato; risposta di Penzo: al momento no, mi devo attrezzare. - quale fosse il criterio di distribuzione e di consegna degli anelli ordinati alle Associazioni, atteso che con l’attuale fornitore si erano raggiunti standard molto elevati (non più di due settimane dal pervenimento dell’ordine presso l’azienda); risposta di Penzo: la distribuzione deve avvenire mediante i Raggruppamenti che poi devono curare la consegna ad ogni singola Associazione. Fummo subito pervasi da fortissimi dubbi circa la fattibilità e la concretizzazione dell’operazione che, oltre a costringerci a trasformare i Raggruppamenti in centri di smistamento e di spedizione, avrebbe neutralizzato tutto l’ipotetico risparmio. Penzo si riservò comunque di far conoscere eventuali miglioramenti dell’offerta sul piano economico nonché soprattutto sulle modalità e sui termini secondo i quali avrebbe dimensionato la propria azienda per modo da renderla funzionale alle esigenze della FOI oltre che a quelle di altre commesse già sotto contratto. Per la cronaca nessun altro intercorso si registrava in argomento e nessun altro aggiornamento pervenne alla FOI da parte di Penzo. Per vero pervennero alla FOI alcune altre proposte da diverse aziende produttrici che il CDF decise di non valutare soprattutto in considerazione del rapporto contrattuale consolidato fino ad allora intrattenuto con la società Demerio. Pertanto a luglio 2019 viene sottoscritto da me Presidente FOI il nuovo contratto con la Demerio s.a.s. con scadenza al 2025. Quello di cui sopra sembra l’antefatto di una storia che nulla a che vedere con ciò che si è verificato nell’ultimo periodo. Ma in realtà non è così perché quell’antefatto è la causa scatenante della storia. Con la firma del contratto con Demerio da parte della FOI a Penzo sfugge la polpetta dal piatto. Alla firma in parola si perviene dopo molte trattative con-
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Editoriale dotte in un arco temporale ampio e ben conosciute da tutti – e dico tutti – i componenti del CDF FOI. Molto probabilmente naufraga così anche qualche rapporto contrattuale sottobanco ispano-italico. E così non rimaneva altro che tentare di attuare il piano B. Ad orologeria (fine luglio 2019) nasce la FOASI con un evidente obiettivo tutt’altro che istituzionale, come ben chiarito nel verbale del CDF FOI del 12-13-14 luglio 2019 (ovvero quando la FOASI ancora non era stata costituita), ma con l’unico intento di rompere il fronte della commercializzazione degli anelli in Italia e di tentare di far entrare dalla finestra ciò che non era stato possibile far entrare dalla porta. Penzo & C. tentano l’assalto al forte per cercare di recuperare almeno parte della polpetta sfuggita dal piatto. Ancora una volta l’operazione fallisce. Si sappia che mai la FOASI ha chiesto formalmente il riconoscimento da parte della COM-Italia ma ha unicamente inviato due mail con le quali chiedeva se fossero stati sufficienti alcuni requisiti dalla stessa predeterminati in totale violazione dello Statuto della COM Nazionale. Da qui si dipartono una serie di azioni gravissime da parte di Penzo nei confronti dell’Italia Ornitologica, di vere e proprie pugnalate alle spalle, di violazioni dello Statuto COM senza precedenti nella storia. Di tutto ciò sono verosimilmente ignari ed inconsapevoli i nostri Amici Allevatori Spagnoli che probabilmente hanno udito suonare una sola campana e con i quali abbiamo da Italiani sempre intrattenuto rapporti di amicizia fraterna. Rapporti talmente tanto intensi che negli ultimi anni era stato strutturato un accordo di interscambio di Giudici nei rispettivi Campionati Nazionali, per modo da consentire ad un certo numero di Giudici Spagnoli di giudicare al Campionato Italiano di Ornitologia e viceversa. Ebbene sul punto è assolutamente necessario far conoscere cosa ha combinato il Signor Miguel Penzo. Ottobre 2019, Mostra Internazionale dei Tre Mari a Foggia, Penzo presente in giuria. Durante la mostra si apprende della tragica morte della
moglie di Andrea Benagiano, Presidente dell’Ordine dei Giudici FOI. La FOI tutta viene investita da un grave lutto, tutti sono scossi dall’evento. Ed allora Penzo cosa fa? Approfittando della momentanea assenza nel suo ruolo istituzionale del Presidente dell’Ordine dei Giudici FOI, Penzo si sceglie autonomamente e senza alcuna autorizzazione cinque Giudici “Italiani” e li invita a giudicare ad uno dei tre Campionati Nazionali Spagnoli. E già questo sarebbe abbastanza ma, purtroppo, non è tutto. Il Presidente dell’Ordine dei Giudici FOI, nonostante il periodo estremamente difficile della sua esistenza, si avvede della scorrettezza e diffida i Giudici “Italiani” a non rispondere all’invito di Penzo e a non andare a giudicare in Spagna. La lettera di diffida viene inviata per conoscenza anche a Penzo. Quindi Penzo, anziché scusarsi per l’increscioso inconveniente, insiste affinché i Giudici “Italiani” da lui invitati vadano a giudicare al Nazionale Spagnolo. Alcuni Giudici “Italiani” – la scelta dei quali viene suggerita da Ielo per essere gli stessi suoi amici – vanno comunque a giudicare in Spagna ma Penzo non li fa comparire nel collegio giudicante, accreditando al solo Giuseppe Ielo – già Giudice FOA – il giudizio di un numero spropositato di soggetti a concorso. Ma vi è di più. I Giudici “ex Italiani” – per nostra fortuna – vengono acquisiti dall’Ordine dei Giudici FOCASI senza che né Penzo né il Presidente FOCASI ne diano alcuna comunicazione alla FOI. La FOI ne viene a conoscenza perché, una volta inviato dal Presidente dell’Ordine dei Giudici FOI al Segretario OMJ l’annuale elenco dei Giudici Internazionali in forza all’Italia, quest’ultimo lo rispedisce al mittente dopo aver depennato dallo stesso il nominativo di quei Giudici. E voi, Amici Allevatori Spagnoli, questo lo giudicate un comportamento amichevole?
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Editoriale Ma non è finita qui. Nel mese di febbraio 2020 la FOASI (non la FOCASI), Federazione costituita in Italia, non riconosciuta dalla COMItalia e non riconosciuta dalla COM, organizza una mostra in Italia e precisamente a Casteldaccia, in provincia di Palermo, alla quale vanno a giudicare Penzo ed altri Giudici FOA. Le procedure di ingabbio ed il giudizio vengono gestite con il format spagnolo. Ancora nel mese di ottobre 2020 questa volta la FOCASI – prestare attenzione perché trattasi di “Federazione” che, pur senza avere i requisiti legali, era stata “riconosciuta” dalla COM-E e comunque non riconosciuta dalla COM – organizza un’altra mostra in Italia, questa volta a Marineo, sempre in provincia di Palermo. Anche in questo caso le procedure di ingabbio ed il giudizio vengono gestite con il format spagnolo e del Collegio giudicante facevano parte Penzo e diversi altri Giudici della FOA. Ora, cari Amici Allevatori Spagnoli, la COM-E viene ad organizzare mostre in Italia? È mai capitato nella storia della COM che un Paese confederato andasse ad organizzare mostre in un altro Paese confederato? Questo comportamento è ossequioso delle regole COM, condivise da tutti i Paesi che ne fanno parte? Si tratta dell’ennesimo schiaffo dato da Penzo in pieno viso all’Italia. E lì in Spagna nessuno sa alcunché, nessuno si è accorto di nulla? Spero che abbiate avuto occasione di leggere la corrispondenza epistolare intercorsa fra la COM e la COM-E dalla quale si rileva, da parte di quest’ultima, l’affermazione dei principi di appartenenza alla COM ed il rispetto delle sue regole da tutti condivise, salvo poi negarle e violarle in ogni occasione. Quando è stato ribadito dalla COM che gli allevatori residenti in Italia iscritti in Spagna non avrebbero potuto partecipare al Campionato Mondiale in Spagna (o altrove), Penzo ha risposto che non sarebbe stato possibile effettuare alcuna verifica sul punto. Evidentemente Penzo & Company hanno in mente di sovvertire il sistema COM che da decenni sta accompagnando e rendendo possibile l’esercizio della nostra passione ed il confronto sportivo fra gli Allevatori di tutto il mondo. Occorre far rispettosamente rilevare che, ancora oggi, il riconoscimento della FOCASI da parte della COM-E è palesemente illegittimo come è stato più volte rilevato anche dalla COM. Noi Italiani, cari Amici Allevatori Spagnoli, altro non abbiamo fatto che subire le malefatte, le scorrettezze e gli
oltraggi del Presidente della COM-E e nonostante tutto abbiamo continuato a mantenere un profilo basso, un atteggiamento costruttivo, il senso di appartenenza alla COM della quale siamo Paese fondatore. È bene che sappiate, cari Amici Allevatori Spagnoli, che la FOI nella vicenda della revoca del Campionato Mondiale 2022 alla Spagna non ha avuto alcuna parte. Alla FOI – così come è avvenuto per tutti i Paesi confederati – è stata richiesta dalla COM la disponibilità ad organizzare il Campionato Mondiale 2022 solo dopo che il Comitato Direttivo aveva assunto la decisione di revocarlo alla Spagna. Cosa dovevamo fare? Forse negarla? E soprattutto alla luce del cumulo di nefandezze ed attentati perpetrati da Penzo & Company contro il sistema COM e l’intero movimento ornitologico mondiale e italiano? Ebbene noi abbiamo pensato, senza animo di rivalsa, che fosse il momento di fare sistema e di offrire la disponibilità dell’Italia. E tutto ciò è stato fatto anche per la tutela di ambiti non solo istituzionali ma anche di un indotto che tanto produce in termini di reddito, di posti di lavoro e di quant’altro che molti di voi conoscono tanto meglio di me. La FOI non ha alcun interesse economico in gioco ma “solo” il grande onore di rappresentare una grande realtà, una delle più grandi al mondo. Anzi tale impegno organizzativo, da doversi espletare nel breve volgere di soli quattro mesi, comporterà per la FOI l’assunzione di un notevole rischio economico. L’Italia ornitologica non ha rubato nulla a nessuno! Sarà forse il caso di domandarsi da che cosa si è generato tutto questo marasma e se si sia trattato di una conseguenza del comportamento del vostro massimo Dirigente o piuttosto di una decisione assunta di impulso dalla COM. Dopo tutto nel Comitato Direttivo della COM vi sono due rappresentanti spagnoli. Questi sono invece gli inconvenienti prodotti dalla confusione degli impegni istituzionali con gli interessi economici. Cari Amici Allevatori Spagnoli, la FOI e tutta l’Italia Ornitologica è e rimarrà sempre casa vostra. Antonio Sposito, Presidente FOI Il presente documento viene altresì firmato per ratifica del contenuto e per gli effetti testimoniali da Diego Crovace (Vice Presidente FOI), Giovanni Nunziata (Segretario FOI), Andrea Spadarotto (Consigliere FOI), Gennaro Iannuccilli (Consigliere FOI), Francesco Badalamenti (Consigliere FOI), Davide Soncini (Consigliere FOI), Andrea Benagiano (Presidente dell’Ordine dei Giudici FOI) e Ignazio Sciacca (Presidente COM-Italia).
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CANARINI DI COLORE
Interazione particolare, il conix di GIOVANNI CANALI, foto E. DEL POZZO
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o trattato l’argomento interazioni nell’articolo “Le interazioni” del 05 - 05 - 2019 su I.O., ove fornisco la nozione e differenzio con le situazioni intermedie, fornendo anche esempi di casi particolari; articolo leggibile anche sul nostro sito, essendo presente la rivista in formato sfogliabile.. In questa sede, dopo un brevissimo pro memoria, desidero affrontare il caso del “conix”, vale a dire un tipo derivante dall’interazione, cioè la contemporanea presenza nello stesso soggetto, della mutazione onice e cobalto. Se non altro perché è un tipo giudicato in alcuni stati, anche se mi si dice senza uno standard definito e ricevo domande in proposito, in considerazione di possibili riconoscimenti, anche se paiono molto improbabili. L’interazione presuppone che i due caratteri non siano allelici, cioè prodotti da coppie di geni (alleli) diverse; qualora due caratteri fossero allelici, non potremmo avere la loro contemporanea presenza ma solo, eventualmente, forme intermedie. Un esempio di forma intermedia è l’opale–onice, che sono allelici, mentre un esempio di doppia presenza, cioè interazione, è l’opale-phaeo, che non sono allelici. Quando due caratteri non allelici sono presenti contemporaneamente, spesso si ha una doppia espressione, cioè la sommatoria dei due caratteri; in altri casi, un carattere essendo d’effetto molto maggiore può coprire l’altro. In questo caso si parla di epistasi, il carattere coprente si dice epistatico
Nero onice mosaico rosso maschio, foto: E. del Pozzo
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e quello coperto ipostatico. Un esempio di epistasi è dato dal bianco recessivo che è epistatico su tutte le altre varietà, visto che ha l’effetto maggiore. Il bianco recessivo copre anche il bianco dominante, poiché il bianco dominante ha effetto minore a livello fenotipico; non essendoci rapporto allelico, è irrilevante il fatto che il bianco dominante sia dominante, poiché la dominanza genetica vale solo verso caratteri allelici. Esistono anche casi strani rilevati in canaricoltura di colore, per cui può accadere che vi siano fenomeni di antagonismo fra diversi caratteri; di conseguenza la loro somma dà un effetto minore di quello atteso. Gli esempi sono: bruno e satiné, pastello e satiné, agata e jaspe. Esiste anche un caso di sinergismo con effetto maggiore di quello atteso, cioè bianco dominante ed avorio. Questi casi li ho trattati nelle sedi opportune. Di regola, come dicevo, nelle interazioni vi è la sommatoria dei due caratteri espressi assieme e questo è il caso dell’onice con il cobalto. Le interazioni di tipi aggiunti non sono riconosciute: è il caso, ad esempio, di pastello-opale o satiné-topazio ecc. Le interazioni si accettano solo sui tipi base: bruno, agata ed isabella, anzi, l’isabella è già l’interazione di bruno ed agata. Non si parla di interazioni con il tipo base nero poiché è la forma selvatica e ad essere pignoli non si dovrebbe neppure dire nero opale o nero pastello, ma solo opale o pastello, mancando l’interazione con altro tipo mutato. Probabilmente il conix è stato ricercato per avere un canarino molto scuro, quasi un passo verso il fantomatico canarino nero. In effetti, sia l’onice che il cobalto, sia pure in modi e meccanismi diversi, producono un effetto di diffusione dell’eumelanina. Questi effetti comportano un aspetto di nero diffuso suggestivo; del resto non era mai accaduto che la localizzazione dell’eumelanina (centro di convergenza) al centro della penna venisse scalfita. Dico solo scalfita poiché il disegno centrale permane nitido in entrambi i tipi. Tut-
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Nell’onice c’è una riduzione della eumelanina del disegno ben rilevabile sulle penne forti tavia, la caratteristica principale è quella di avere la diffusione dell’eumelanina. Nei cobalto si ha un ulteriore effetto particolare, cioè la diffusione dell’eumelanina in misura rilevante nella parte inferiore del corpo, segnatamente anche nella zona ventrale normalmente molto chiara, tanto che si viene a creare una somiglianza con altre diverse mutazioni avvenute in altre specie come il “ventre scuro”. L’onice ha avuto varie interpretazioni;
Nero onice bianco dominante, foto: E. del Pozzo
quella che era più seguita è la sostituzione della feomelanina con eumelanina, oggi però è molto meno considerata. Nell’onice c’è una riduzione dell’eumelanina del disegno ben rilevabile sulle penne forti che appaiono grigio scuro. Si nota che le femmine hanno una diffusione di eumelanina maggiore rispetto ai maschi; circostanza che sembrerebbe supportare la tesi della sostituzione, visto che le femmine hanno più feomelanina ed i maschi più eumelanina. Inoltre, la feomelanina nell’onice è ridotta a tracce minime; tuttavia, alcune esperienze di allevamento ed altri aspetti giustificano forti dubbi. La maggiore diffusione di eumelanina si è notata però anche nelle femmine cobalto (Canali e Corbelletto) e qui non possiamo ipotizzare la sostituzione, visto che la feomelanina permane. Si è pensato ad una melanogenesi più lenta per l’eumelanina in diffusione; del resto, sappiamo che le penne nella femmina hanno una crescita più lenta, circostanza che favorisce il deposito della feomelanina (Trinkaus 1953) ed in questo caso anche dell’eumelanina in diffusione, se fosse di formazione più lenta. Questa circostanza si potrebbe invocare anche per l’onice, aumentando il dubbio sulla sostituzione. Sull’origine dell’eumelanina in diffusione nel cobalto, si possono fare diverse valutazioni. L’apparenza farebbe pensare ad un traboccamento, ma si potrebbero fare anche altre ipotesi; Diego Crovace ha ipotizzato un sollevamento dell’eumelanina dalla pagina inferiore della penna ed un aumento dei granuli di eumelanina nella cosiddetta interstria (tra le strie), ove per altro sono presenti in tracce anche nella forma normale, tesi molto interessante. Si rileva inoltre che nei cobalto c’è una lieve riduzione dell’espressione del disegno, più evidente nei bruni cobalto. Lo scopo di questo scritto non è tanto lo studio delle due mutazioni, peraltro già trattato nelle sedi opportune, ma di valutarne l’interazione. Va detto che dove è giudicato si è fatta un’eccezione; infatti non erano mai state riconosciute interazioni fra
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tipi aggiunti (pastello, opale, phaeo ecc.). C’è da chiedersi il perché di questa eccezione. Personalmente ritengo, come accennavo, che possa aver inciso il vecchio desiderio di raggiungere il fantomatico canarino nero. Ora il conix non è nero, ma molto scuro si, visto che la somma delle due diffusioni (grigio scurissimo) produce un effetto notevole, pur lasciando trasparire il colore di fondo. Una sorta di passo avanti parziale, non il canarino nero, ma un canarino diciamo “morello”, prendendo in prestito un termine ippico. Va detto che il conix somiglia un poco di più all’onice, specialmente nelle penne forti, tuttavia l’effetto di diffusione interessa anche le parti inferiori come nel cobalto. Non ne ho visti molti, ma devo dire che l’effetto non è disprezzabile, direi abbastanza suggestivo. C’è da chiedersi se valga la pena di riconoscerlo. Ebbene, penso che se venisse riconosciuto in COM OMJ dovrebbe essere riconosciuto anche in Italia poiché secondo me, e per ovvi motivi, possiamo avere categorie in più, ma non in meno. Tuttavia è un riconoscimento che ben difficilmente potrà esserci, a quanto sento; infatti, è praticamente una regola quella di non accettare forme intermedie o interazioni di tipi aggiunti a livello OMJ. Il riconoscimento del conix, sarebbe il caso di proporlo? Diciamo che io non lo proporrei, ma non mi opporrei a chi lo proponesse. Ho espresso parere nettamente negativo sul satiné ossidato o bruno, pur senza durezza ed in modo discorsivo; ho invece criticato severamente il disegnino nell’isabella opale. L’atteggiamento da assumere dipende dalle circostanze. Snaturare una selezione giusta scegliendone una errata è una cosa, invece aggiungere una nuova selezione, discutibile ma non dannosa, è altra cosa. C’è chi mi chiede come ottenere conix: io rispondo che, essendo già esistenti, sarebbe il caso di procurarseli già fatti, ma ho ulteriori richieste, se non altro per curiosità o per indicazioni successive. Per partire da zero bisognerebbe ac-
Va detto che il conix somiglia un poco di più all’onice, specialmente nelle penne forti coppiare un onice con un cobalto (neri ovviamente); da questo accoppiamento si ottiene il nero classico portatore di entrambe le mutazioni per complementazione. Successivamente, accoppiando fra di loro tali doppi portatori, si avrebbe il di-ibridismo mendeliano, vale a dire: 9-3-31, cioè 9 bi-dominanti, quindi neri classici, due gruppi di mono dominanti, cioè 3 onice e 3 cobalto, infine 1 onice cobalto doppio recessivo, vale a dire conix. Queste percentuali pre-
suppongono che le due mutazioni siano prodotte da due coppie alleliche situate su coppie cromosomiche diverse. Se il cromosoma fosse lo stesso, le percentuali cambierebbero e sarebbero collegate al crossingover ed alla distanza di locus, ma pare non sia così e che la ricombinazione sia libera, quindi mendeliana, come quella indicata. Si ricordi che fra i 9 bi-dominanti solo uno è omozigote e gli altri sono portatori di una o di entrambe le mutazioni. Gli onice sono: uno su tre omozigote e due su tre portatori di cobalto, di converso i cobalto sono: uno omozigote e due portatori di onice. Ottenere un conix da due doppi portatori è abbastanza infrequente, solo uno su sedici, tuttavia si possono fare diverse coppie; inoltre si potranno accoppiare fra di loro gli onice ed i cobalto ottenuti e probabili portatori.
Nero cobalto intenso giallo, foto: E. del Pozzo
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Con questo secondo sistema, forse c’è qualche probabilità in più, specialmente facendo girare i maschi. Quando si incontrano un onice portatore di cobalto ed un cobalto portatore di onice si ottengono: ¼ di classici doppi portatori, ¼ di onice portatori di cobalto, ¼ di cobalto portatori di onice, ¼ di conix. Direi che ¼ invece che 1/16 sia rapporto più interessante, oltre al fatto che tutti gli onice portano il cobalto e tutti i cobalto portano l’onice. Insomma, i fortunati potrebbero avere il conix in 2 anni, gli altri in 3 o più.
Nero cobalto bianco, foto: E. del Pozzo
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Forse a questo punto bisognerebbe dire qualcosa sulle formule; queste, di solito, non sono molto comprensibili ad alcuni e quindi non molto di aiuto, mentre chi ha già una preparazione adeguata ne potrebbe fare a meno. Tuttavia ne faccio cenno. Se indicassimo con “A” il classico e “a” l’onice (evitando la lettera oO per evitare confusioni con lo zero 0) e indicassimo il classico rispetto al cobalto con la lettera “C” ed il cobalto con “c” avremmo: il classico omozigote AA CC, l’onice aa CC, il cobalto AA cc, il classico portatore di onice Aa CC, il classico portatore di cobalto
Ci sarebbe da chiedersi quale sarebbe la linea selettiva migliore; ebbene, dipende se la tesi della sostituzione della feomelanina con eumelanina è esatta oppure no
AA Cc, il classico portatore di entrambe le mutazioni Aa Cc, l’onice portatore di cobalto aa Cc, il cobalto portatore di onice Aa cc, ed infine il conix aa cc. Come si vede, non essendoci rapporto allelico fra onice e cobalto, si possono avere tutte le combinazioni libere, quindi anche onice portatori di cobalto e cobalto portatori di onice, cosa che non sarebbe possibile se vi fosse rapporto allelico che dovremmo indicare con una lettera sola. Chi volesse cimentarsi nelle varie formule degli accoppiamenti potrebbe utilizzare lo schema mendeliano, magari quello classicissimo dei piselli odorosi, ad esempio mettendo onice al posto di rugoso e cobalto al posto di verde. Una volta ottenuto, o meglio comprato, il conix che fare? Accoppiando fra di loro 2 conix si hanno tutti conix, accoppiando un conix con un onice avremmo tutti onice/cobalto (la / sta per portatore), se accoppiassimo conix x cobalto avremmo tutti cobalto/onice, se accoppiassimo con un classico omozigote tutti classici / onice e cobalto. Quindi accoppiamenti nell’immediato non molto interessanti. Se accoppiassimo conix x onice/cobalto avremmo: metà conix e metà onice/cobalto, se accoppiassimo conix x cobalto/onice avremmo: metà conix e metà cobalto/onice. Potremmo avere quindi due linee per avere sia conix che onice oppure in
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alternativa conix e cobalto. Una linea con tutte e tre le espressioni darebbe pochi conix ed anche classici, a seconda degli accoppiamenti. Ci sarebbe da chiedersi quale sarebbe la linea selettiva migliore; ebbene, dipende se la tesi della sostituzione della feomelanina con eumelanina è esatta oppure no. Se fosse esatta, sarebbe necessario curare anche la presenza di elevata feomelanina, altrimenti no. Di conseguenza, in caso di esattezza di tale tesi, si potrebbe avere una linea selettiva comprendente sia onice che conix. Ricordo che onice/cobalto x conix produce: metà onice/cobalto e metà conix. Ricordo anche che nell’onice la feomelanina non si esprime se non in minime quantità. Se invece la tesi della sostituzione feomelanina con eumelanina nell’onice fosse errata, si potrebbe selezionare il conix senza elevata feomelanina e quindi si potrebbe prospettare una linea con il cobalto; ricordo che cobalto/onice x conix produce: metà cobalto/onice e metà conix. L’esperienza, volendo farla, darebbe una risposta. Allo stato attuale sembra meno probabile l’ipotesi della sostituzione. Non si dimentichi tuttavia che, per avere la massima espressione del tipo nero, anche classico, è bene non esasperare la selezione contro la feomelanina, stante la presenza di geni pleiotropici che codificano per entrambe. Comunque nel nero cobalto non si vuole la feomelanina, come nel classico. Inutile che ricordi la mia contrarietà a questa ottica anti feomelanina, contro la quale mi sono espresso invano. Sperando di aver soddisfatto qualche curiosità, concludo ribadendo che un riconoscimento ufficiale, almeno allo stato attuale, è ben difficile oltre che molto discutibile.
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ESTRILDIDI FRINGILLIDI IBRIDI
Diamante quadricolore Erythrura prasina (Sparrman, 1788) Considerazioni di carattere tassonomico e storico: digressioni e postille di IVANO MORTARUOLO, foto AUTORI VARI
I
l Diamante quadricolore occupa variabilmente un vasto areale che interessa Thailandia, Malesia, Laos, Cambogia, Vietnam, Giava, Sumatra, Borneo e anche le Filippine (segnatamente l’isola di Palawan) (1). Il suo habitat è sostanzialmente costituito da boscaglie di bambù, aree aperte
In alcune zone, a causa delle sue incursioni nelle risaie, è considerato un bird pest
adiacenti a foreste primarie, foreste secondarie, risaie. Fortunatamente il suo status non è preoccupante, anzi, in alcune zone, a causa delle sue incursioni nelle risaie, è considerato un bird pest, “riconoscimento” che condivide con il Padda Padda oryzivora. Data la consistente presenza di que-
Una femmina e due maschi (uno a fenotipo “ventre giallo”) di Diamante quadricolore della sottospecie nominale, foto e all. Vittorio Ferrara
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Non si hanno notizie precise sulle prime importazioni in Europa
Il volatile corrispondente al n. 4 è un Diamante quadricolore. Incisione su rame realizzata da François-Nicolas Martinet e tratta dall’opera Ornithologie (volume III - 1760) di Mathurin Jacques Brisson (1723-1806), fonte iconografica: Biodiversity Heritage Library
sto volatile in ampie zone del Sud-Est Asiatico, si potrebbe credere che i vari aspetti della sua biologia siano
ormai ben noti. Purtroppo, sono ancora da chiarire i movimenti effettuati in natura e le peculiarità dell’-
Sopra: Ritratto del medico e naturalista Anders Erikson Sparrman (1748-1820). Segnò una tappa decisiva nella formazione della nomenclatura e tassonomia del Diamante quadricolore. Fonte iconografica: Wikipedia A lato: Nel 1788 Anders Erikson Sparrman (1748-1820) corredò con questa ornitografia la descrizione del Diamante quadricolore, al quale attribuì il nome scientifico di Loxia prasina. Fonte iconografica: Biodiversity Heritage Library
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habitat (Goodwin, Estrildid finches of the world, 1982). È ipotizzabile che le osservazioni vengano rese più difficoltose dalla natura tendenzialmente timorosa e diffidente del Diamante quadricolore e dai frequenti spostamenti dettati dall’esigenza di reperire riso, semi di bambù e di varie piante erbacee. Questa realtà ci viene in qualche modo proposta anche da Bertram Smythies, autore del libro Birds of Borneo (pubblicato nel 1960 e con una terza edizione nel 1981), il quale, dopo aver evidenziato la scarsità e l’irregolarità degli avvistamenti, si lascia andare a due disorientanti interrogativi (naturalmente, per chi si aspetta informazioni dal volume): Where do our birds breed? What are their movements? Se questa è l’attuale o la recente situazione, non ci stupiscono i ripensamenti, le contraddizioni e le inesattezze, anche dal punto di vista iconografico, dei primi testi ornitologici. Ciò posto, tenterò di ripercorrere a ritroso, lungo il filo della letteratura ornitologica, i tratti più salienti della storia tassonomica del Diamante quadricolore. Non si hanno notizie precise sulle prime importazioni in Europa, ma si presume che tra la fine del Cinquecento e l’inizio del Seicento qualche esemplare possa aver trovato ospitalità presso vari ornitofili. Si dovette però attendere la seconda metà del secolo XVIII per la pubblicazione di illustrazioni (le prime ornitografie avevano valore per lo più esornativo) e di informazioni (esclusivamente di natura fenotipica, in quanto si ignoravano pressoché del tutto le abitudini) su tale specie. Una delle maggiori opere del Settecento è l’Ornithologie, composta da sei volumi, con un numero di pagine
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Si dovette attendere la seconda metà del secolo XVIII per la pubblicazione di illustrazioni
intorno alle quattromila. L’autore è Mathurin Jacques Brisson (17231806), uno zoologo e fisico caratterizzatosi per alcune interessanti iniziative tassonomiche, che si possono compendiare nella descrizione di numerose nuove specie, nella costituzione di 26 ordini e 115 generi (Linneo, per converso, ne propose rispettivamente 6 e 51) e nella copiosa e attenta descrizione di ogni singolo taxon (Linneo anche su questo aspetto si differenziava, perché le sue analisi fenotipiche sono sintetiche, quasi “scheletriche”). Il Diamante quadricolore è presentato nelle pagine 198-200 del volume III (1760) con il nome di Verdier de Java e la denominazione scientifica di Chloris javanensis. A corredo della trattazione vi è la tavola VII (figura n. 4) nella quale il volatile è raffigurato in bianco e nero e in maniera un po’ approssimativa; per giunta, mancano le due penne centrali e sporgenti della coda. L’autore dell’ornitografia è François-Nicolas Martinet (c.17601800), un reputato artista che collaborò anche con Buffon. È noto che Carlo Linneo (1707-1778) fosse solito incoraggiare i propri allievi (ai quali veniva attribuito l’appellativo di “apostoli”) ad aggregarsi a spedizioni, sia commerciali sia scientifiche, al fine di poter avere l’opportunità di scoprire e catalogare nuove specie animali e vegetali. Uno dei più giovani e intraprendenti discepoli del “Grande Nomenclatore” fu lo svedese Anders Erikson Sparrman (17481820). A quattordici anni iniziò gli studi di medicina presso l’Università di Uppsala (Svezia), interrotti però tre anni dopo per imbarcarsi alla volta di Canton (Cina) e al seguito del comandante Carl Gustav Ekeberg (17161784), amico di Linneo. Tornato in pa-
tria, completò il percorso scolastico ed effettuò altri viaggi, uno dei quali fu la spedizione nei mari del sud guidata da James Cook (1728-1779). Ebbe occasione, così, di raccogliere un buon numero di reperti zoologici e botanici e di arricchire la propria preparazione scientifica. Ma al di là di queste pregevoli peculiarità, Sparrman merita una particolare menzione e ospitalità in questa nota perché segna un’importante tappa nell’iter che condurrà alla formazione
dell’attuale nomenclatura scientifica e della relativa collocazione tassonomica. L’autore, infatti, nel 1788 descrive il Diamante quadricolore col nome di Loxia prasina (Museum Carlsonianum - in quo novas et selectas aves - fascicolo III, pagina VXXII) e propone un’ornitografia (con lo stesso n. 72) nella quale viene raffigurato un soggetto con caratteristiche simili a una femmina. Sul frontespizio dell’opera viene indicato che il disegno è stato realizzato ad vivum; nono-
Nonostante gli evidenti deficit artistici, questa tavola ha il merito di proporre due maschi (di cui uno con morfologia “ventre giallo”) e una femmina di Diamante quadricolore e, nel contempo, di offrire sufficienti elementi per la determinazione specifica. Tratta dall’opera Nouveau recueil de plantes coloriées d’oiseaux (1838) di Coenraad Jacob Temminck (17781858), fonte iconografica: Biodiversity Heritage Library
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stante la rappresentazione abbia ben poco di realistico. La scelta del nome scientifico non presenta grosse difficoltà etimologiche, in quanto loxia sta a indicare “storto, obliquo” (dal greco loxos). Forse il lettore sarà sorpreso nel constatare che tale denominazione attualmente sia attribuita solo al gruppo dei Crocieri il cui becco è, appunto, incrociato. Ma Linneo incluse in tale taxon anche specie con regolare morfologia delle ranfoteche (si pensi, ad esempio, a uccelli molto diversi come il Ciuffolotto, il Cardinale rosso e il Cappuccino tricolore).
Pertanto Sparrman, pure in questo caso, non fa altro che seguire le orme del Maestro. Mentre il nome specifico di prasina (di origine greca e latina) sta a indicare il colore prevalente della livrea, ovvero il verde. Da rilevare che nella lingua italiana con il termine “prasino” s’intende una particolare tonalità del verde. Invito, a questo punto, il lettore a porre attenzione al titolo di questo articolo, nel quale il Diamante quadricolore è indicato come Erythrura prasina (Sparrman, 1788). Ciò perché la comunità scientifica riconosce
Gros-Bec de Coromandel (Vescovo del Capo); Gros-Bec de Java (Diamante quadricolore). Planche 101 da Buffon Georges Louis Leclerc comte de, Histoire naturelle des oiseaux. Paris, Imprimerie Royale, 1771-1786 (Biblioteca del Museo di Storia Naturale di Milano, vol. III, inventario: 13444, collocazione: RAR.A.105).
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L’attuale nomenclatura scientifica fu adottata intorno agli anni Cinquanta del secolo XIX
all’autore svedese il merito di aver per primo descritto questa specie, ma, come verrà chiarito a breve, successivamente la denominazione subì ulteriori variazioni. Difatti, in base all’articolo 51.3 dell’International code of zoological nomenclature, il nome del naturalista che per primo ha effettuato la descrizione va posto fra parentesi se la denominazione generica viene in seguito cambiata (in questo caso si è passati da Loxia a Erythrura). L’attuale nomenclatura scientifica fu adottata intorno agli anni Cinquanta del secolo XIX. Fra i primi ornitologi a optare per questo orientamento tassonomico figura il nipote di Napoleone Bonaparte, ovvero il principe di Canino Carlo Luciano Bonaparte (1803-1857). Costui s’impose nel mondo scientifico di allora per la sua non comune preparazione e la rilevante mole di opere zoologiche scritte. Fu membro di oltre ottanta accademie (buona parte delle quali ubicate all’estero) e istituì, dal 1839 al 1847, un congresso di scienziati italiani: un’iniziativa che nel nostro Paese aveva carattere di assoluta novità e che diede un potente impulso allo scambio culturale. Nel 1850 pubblicò il Conspectus generum avium, un’opera nella quale si dà ordine alla classificazione di tutte le specie ornitiche allora conosciute e nella quale, appunto, a pag. 457 viene riportata la denominazione di Erythrura prasina (ricordo che erythrura è il frutto dell’unione di due parole greche: erythros = rosso e oura = coda). Un reperto iconografico, realizzato infelicemente dal punto di vista artistico ma, nel contempo, in grado di offrire sufficienti indicazioni fenotipiche sulla specie di appartenenza viene offerto dall’olandese Coenraad
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Jacob Temminck (1778-1858), con la collaborazione del barone Meiffren Laugier de Chartrouse (1770-1832), nell’opera Nouveau recueil de plantes coloriées d’oiseaux (1838) (2), volume III. L’ornitografia ritrae infatti due maschi, di cui uno con morfologia “ventre giallo” (rara in natura), insieme a una femmina (tavola n. 96, pagina 275). Ma l’autore (pagine 273-274) non si limita a una muta presentazione, in quanto afferma che la rappresentazione grafica proposta sia più realistica di quella presente nelle planches enluminées del Buffon con il nome di Gros-bec de Java (tra breve mi occuperò anche di questa tavola). Inoltre, attribuisce al volatile la denominazione volgare di Gros-bec long cône e indica il nome scientifico di Fringilla sphecura (designazione che era stata proposta dall’autore anche in precedenti occasioni: 1821, 1824). Ciononostante, si potrebbe ipotizzare che l’epiteto (sphecura) sia frutto di un originario refuso di stampa o addirittura di un lapsus calami sfuggito all’attenzione di Temminck. Perché sarebbe stato più corretto scrivere sphenura, vale a dire l’associazione di due parole greche: sphen = cuneo e oura = coda (“coda a forma di cuneo”), proprio per evidenziarne una delle peculiarità morfologiche. Sta di fatto che alcuni autori di opere successive, come per esempio Carlo Luciano Bonaparte (Conspectus generum avium, pag. 457, 1850) e Gustavo Hartlaub (Sinopsis generis Fringillini Erythrurae, pag. 461 del Proceedings of the Zoological Society of London, parte XXVI, 1858), riportano il nome specifico emendato (sphenura). Colgo l’occasione per rilevare che simili “sviste” non costituiscono un fenomeno isolato. Infatti, rimanendo sul genere Erythrura, William John Swainson (1789-1855), nel proporre questo nuovo taxon nella sua opera On the natural history and classification of birds (pag. 280 del vol. II, 1837), pubblicò erroneamente la parola Erythura, che però in seguito venne rettificata dalla comunità scientifica. Va inoltre evidenziato che l’autore costituì questo nuovo genere
Specimen di Diamante quadricolore della sottospecie coelica. Fonte iconografica: Naturalis Biodiversity Center
attribuendo al Diamante quadricolore il nome di Erythura viridis (anche in questo caso l’epiteto attiene alla cromia prevalente della livrea: infatti, la parola latina viridis sta a indicare il colore verde). Peraltro, il volatile in esame ha acquisito un ruolo importante nella storia del suo genere di appartenenza, in quanto ne costituisce la specie tipo e, come tale, ha la funzione di rappresentare tutte le Erythrure. Semplificando ulteriormente, si potrebbe affermare che se dovessimo paragonare quest’ultimo gruppo tassonomico a una squadra di calcio, il Diamante quadricolore ne sarebbe il capitano! Malgrado gli apprezzamenti non benevoli del Temminck, riportati dianzi, un contributo significativo dal punto di vista iconografico si deve riconoscere anche a Georges-Luis Leclerc conte di Buffon (1707-1788), noto an-
che con il semplice nome di Buffon. Fu un uomo d’affari abilissimo, industriale di successo, raffinato linguista, zoologo, botanico et cetera, ma seppe anche esprimere egregiamente l’anelito intellettuale e la sete di sapere del suo tempo. Conobbe una straordinaria popolarità con la sua monumentale opera Histoire naturelle (3), suddivisa in sette parti, di cui la seconda dedicata agli uccelli (pubblicata dal 1770 al 1785 con il titolo Histoire naturelle des Oiseaux). Le più belle tavole di uccelli (soprattutto quelle dei pappagalli) fanno parte delle cosiddette planches enluminées, di grande formato (in-folio) ed eseguite dal summenzionato artista François-Nicolas Martinet (autore di tutte le fasi lavorative: disegno, incisione e coloritura a mano), sotto la supervisione dello stesso Buffon e del suo collaboratore Louis Jaen-Ma-
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rie Daubenton (1716-1799) (4). Nell’ornitografia che attiene al Diamante quadricolore è raffigurato anche un Vescovo del Capo o Vescovo groppone giallo Euplectes capensis, la cui grandezza appare decisamente esagerata. Le immagini sono stilizzate ed evidenziano posture statiche e anche innaturali; tuttavia, la distribuzione delle aree cromatiche, pur essendo approssimativa, è in grado di offrire sufficienti elementi di individuazione specifica. In questa tavola il Diamante quadricolore è presentato, come già indicato, con il nome Gros-bec de Java, ma altrove viene utilizzata la singolare denominazione di Toupet bleu (Histoire naturelle des Oiseaux, Tomo VII, pag. 251, 1779). L’ultimo personaggio di questa rassegna è Edward Charles Stuart Baker (1864-1944), un alto funzionario di polizia che svolse la sua attività lavorativa per lo più ad Assam (Stato federato dell’Unione Indiana). Quivi si dedicò anche allo studio dell’avifauna locale, raccogliendo un gran numero di osservazioni che gli consentirono di realizzare numerose pubblicazioni, fra le quali Fauna of British India including Ceylon and Burna (la prima edizione apparve in quattro volumi dal 1889 al 1898), la quale costituì per diverso tempo un’importante opera di riferimento. Di rilievo fu anche la sua collezione di uova e nidi. Un altro merito di Baker è quello di aver segnalato la seconda sottospecie del Diamante quadricolore: l’Erythrura prasina coelica. Anche in questo caso l’epiteto sottospecifico non presenta grosse difficoltà ermeneutiche, in quanto coelica sta a significare celeste, proprio per evidenziare la maggior estensione di tale cromia (dalla gola fino al petto). La descrizione del volatile è stata effettuata sul Bulletin of the British Ornitologists’ Club (volume XLV, pagina 84, 1925), nel quale è pure indicato che il rosso delle parti inferiori è più intenso ed esteso e il verde delle parti superiori appare più brillante. Il tipo, vale a dire il soggetto da cui è stata tratta l’analisi fenotipica, è un maschio e fa parte della collezione A.H. Everett del British Museum con
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Un altro merito di Baker è quello di aver segnalato la seconda sottospecie del Diamante quadricolore
il numero 88.8.13.42. La località tipica (locus typicus), cioè il luogo dove è stato catturato l’esemplare descritto, è Marintan-an nel Borneo. Successivamente è stato però chiarito che tale taxon non è endemico del Borneo, bensì è presente anche nell’isola di Palawan (del Hoyo, Elliot e Christie, Handbook of the Birds of the World, volume 15, 2010). Concludo qui questo breve scritto con la consapevolezza che l’argomento è vasto e, al tempo stesso, molto interessante: si renderanno necessari, pertanto, ulteriori approfondimenti in un prossimo futuro. Va inoltre doverosamente evidenziato che altri autori, da me non citati, hanno suggerito nomenclature di-
Ritratto di Edward Charles Stuart Baker (1864-1944). A lui si deve la descrizione, nel 1925, della sottospecie Erythrura prasina coelica, fonte iconografica: Wikipedia
verse da quelle inserite nella presente ricerca. Ne propongo alcuni: Emberiza cianopis, Johann Friederich Gmelin (1748-1804); Lonchura quadricolor, William Henry Sykes (1790-1872); Amadina prasina, Georges Robert Gray (1808-1872); Erythrina prasina, Edward Blyth (1810-1873). Note (1) Il Diamante quadricolore intorno al 1938 venne introdotto a Tahiti, ma l’esperimento non ebbe successo (John Long,1981). Alcuni tentativi di introduzione e naturalizzazione ebbero inizialmente esito positivo in circoscritte aree negli USA e Nuova Guinea nell’Ottocento e, in parte, del secolo successivo (gbif.org/species/5231416). Inoltre, recentemente in una località della provincia cinese di Yunnan sono stati osservati alcuni soggetti in libertà (BirdingAsia, dicembre 2014). (2) Trattasi di un’importante e lussuosa opera pubblicata par livraison dal 1820 al 1838. La maggior parte dei testi furono scritti dal Temminck (direttore del Museo di Scienze Naturali di Leida dal 1820 fino alla sua morte, 1858), mentre il contributo del barone Meiffren Laugier sostanzialmente si limitò a mettere a disposizione la sua rilevante collezione ornitologica. (3) A testimonianza dell’enorme successo ottenuto dal Buffon con l’Histoire naturelle, basti segnalare che i primi tre volumi si esaurirono in meno di due mesi (1749): fu dunque un evento editoriale che trovò un equivalente solo dopo un secolo circa, quando tutti i volumi de “L’origine delle specie” di Charles Darwin furono venduti nell’arco di un mese (1859). Va anche rilevato che nel 1788, tra nuove edizioni, ristampe, edizioni non autorizzate e traduzioni abusive erano reperibili sul mercato venti-ventidue diverse vesti tipografiche dell’Histoire naturelle (Mario Schiavone, Le Planches enluminées del Conte di Buffon”, 1989). (4) La pubblicazione delle planches enluminées richiese un notevole sforzo economico, che impose la creazione di una successiva serie di incisioni meno costosa (prevalentemente in bianco e nero) realizzata dal pittore Jacques De Sève (Mario Schiavone, “Il conte di Buffon”, 1988). Ringraziamenti Desidero esprimere viva riconoscenza al dott. Enrico Muzio (Biblioteca del Museo di Scienze Naturali di Milano) per la sua disponibilità e per le utili informazioni fornite. Ricerca effettuata per conto del Parrot Finches European Club
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ONDULATI ED ALTRI PSITTACIFORMI
FORMA & POSIZIONE PARTIAMO DALLE BASI
Ala grigia e Ala chiara testo e foto di GIOVANNI FOGLIATI
I
l primo Ala grigia nato in cattività si ebbe nel 1875, quando il direttore dello zoo di Kassel, in Germania, allevò un pappagallino la cui descrizione corrispondeva esattamente all’attuale Ala grigia Verde chiaro. Purtroppo, quel soggetto morì quando aveva sei mesi e nessun altro uccello con questa descrizione fu riportato per più di quarant’anni. Nel 1919, un allevatore di Wimbledon, a Londra, inviò un esemplare di una varietà che stava allevando J.W. Marsden, che chiamò Jade. Questa mutazione fu inizialmente identificata come Ala grigia, ma poi si giunse alla conclusione che in realtà si trattava di un Soffuso (Diluito). La varietà Ala grigia fu gradualmente introdotta negli anni ‘20 del secolo scorso in Germania, Francia, Gran Bretagna e Australia. Gli Ala grigia continuarono ad aumentare negli anni ‘30, ma le nuove mutazioni che apparvero in quel periodo, come la Cannella, l’Opalina, l’Ino, il Grigio e l’Ala chiara iniziarono ad attirare l’attenzione degli allevatori. Dopo la seconda guerra mondiale, quando si ristabilirono le riserve, furono queste ultime varietà a catturare l’interesse dei fans e l’Ala grigia divenne (e rimase) una varietà allevata solo da pochi specialisti.
Maschio Ala grigia Grigio
La varietà Ala grigia fu gradualmente introdotta negli anni ‘20 del secolo scorso in Germania
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L’origine precisa della mutazione Ala chiara è oscura, ma è quasi certamente apparsa tra gli stock di Ala grigia in Australia alla fine degli anni ‘20. Negli anni ‘20 gli Ala grigia erano una varietà piuttosto popolare, molto più comune di adesso. Erano apprezzati sia in Gran Bretagna che in Australia, ma sembravano esserci differenze tra i soggetti britannici e quelli australiani. La varietà britannica aveva marcature grigie e un colore corporeo corrispondente circa la metà dell’in-
Femmina Ala chiara Verde scuro
L’origine precisa della mutazione Ala chiara è oscura
tensità normale, mentre alcuni “Greywings” australiani avevano un colore di intensità quasi normale, unito a marcature alari molto pallide.
A metà degli anni ‘30 ci fu un dibattito sulla natura di questi soggetti più brillanti: alcuni sostenevano che si trattasse di una mutazione distinta, mentre altri insistevano sul fatto che fossero stati ottenuti da incroci selettivi. La corretta identificazione e classificazione delle due ben definite mutazioni di Ala grigia e Ala chiara fu chiaramente compresa da alcuni allevatori australiani nel 1936. Quindi, con il senno di poi, possiamo vedere che la mutazione Ala chiara era allevata in Australia almeno dal 1926, ma non fu generalmente riconosciuta come una mutazione separata fino alla metà degli anni ‘30 a causa della confusione con i ben consolidati Ala grigia. Descrizione Il colore del corpo della varietà Ala grigia corrisponde a circa la metà dell’intensità della corrispondente varietà normale e le marcature di ali, testa, collo e dorso sono analogamente ridotte di intensità dal nero al grigio medio. Le perle della maschera sono grigie e i marchi guanciali grigio viola pallido. Le due Timoniere principali sono grigie con una sfumatura bluastra. L’effetto complessivo è una combinazione molto piacevole di sfumature pastello, in particolare nella serie blu. Rispetto ad altre varietà, le marcature degli Ala grigia possiedono un’intensità simile alle marcature marroni del Cannella, ma ovviamente di colore grigio. Quando gli Ala grigia puri (omozigoti) sono accoppiati con Ala chiara puri, la prole risultante si distingue nell’aspetto da entrambi i genitori. Presentano un colore del corpo profondo quasi quanto la corrispondente varietà normale, con la ricca lucentezza degli Ala chiara e con marcature leggermente più scure rispetto al genitore Ala grigia. Remiganti e Timoniere risultano simili a quelle del genitore Ala grigia, ma i marchi guanciali sono viola, quasi scuri come quelli della normale varietà corrispondente. Questi soggetti sono conosciuti come “Full Body Color” (Colore Pieno del Corpo).
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L’Ala chiara della serie Verde presenta una colorazione del corpo leggermente più chiara della normale varietà corrispondente, mentre il Giallo delle ali darà un piacevole effetto contrastante. L’Ala chiara della serie Blu è simile al soggetto descritto prima, ma con un corpo blu e ali bianche. Il colore del corpo è leggermente più luminoso rispetto al normale corrispondente. Le marcature melaniche risulteranno Grigio molto pallido, il più tenue possibile. Nei migliori soggetti da esposizione risulteranno piuttosto deboli, ma tuttavia ancora chiaramente visibili. Gli occhi non sono influenzati da questa mutazione. Le Timoniere principali sono molto più chiare di quelle di un soggetto normale, essendo grigio fumo nella serie blu e un grigioverde pallido nella serie verde. L’ereditarietà L’ Ala grigia è una mutazione autosomica recessiva e fa parte della serie allelica multipla che include le mutazioni Diluito e Ala chiara. L’allele Ala grigia è recessivo al tipo selvaggio, dominante sull’allele Diluito e co-dominante con l’allele Ala chiara. L’effetto fenotipico della mutazione Ala grigia è pienamente visibile solo in un soggetto omozigote. La mutazione Ala chiara è una delle poche che influisce in modo selettivo su diverse aree del corpo. Come in molte mutazioni degli Ondulati, è il pigmento melanina nero che viene interessato. Questa mutazione causa una grande riduzione del numero di granuli di pigmento nella parte esterna della penna, ma solo una riduzione molto piccola del numero di granuli di pigmento nel midollo. Dal momento che i marchi neri nel pappagallino sono dovuti principalmente al pigmento melaninico nella corteccia, sono quindi queste aree le più influenzate dalla mutazione, mentre l’intensità della colorazione blu, che dipende dalla pigmentazione nel midollo, è molto meno condizionata. Pertanto, la mutazione Ala chiara esercita un effetto selettivo non sulle penne delle ali in sé, ma sulla pigmen-
Accoppiamenti Ideali per la selezione dell’ Ala Grigia Ala grigia X Ala grigia Normale/Ala grigia X Ala grigia
Accoppiamenti Ideali per la selezione dell’ Ala Chiara Ala chiara X Ala chiara Normale/Ala chiara X Ala chiara
tazione corticale. A questo proposito, è l’opposto della mutazione conosciuta come Corpo chiaro, che sembra sopprimere selettivamente la pigmentazione midollare, lasciando inalterata la pigmentazione corticale. L’Ala chiara è ovviamente, come l’Ala grigia, una mutazione autosomico recessiva. Per entrambe le varietà è sconsiglia-
bile l’accoppiamento con il Diluito in quanto essendo una mutazione Allelica alle altre due, sia pure risultando recessiva ad esse, in qualche modo interferisce con le caratteristiche tipiche sia dell’Ala grigia sia dell’Ala chiara. Si preferisce, per una buona selezione del colore, allevarle in purezza o con Normali portatori della mutazione.
Tabella riassuntiva degli accoppiamenti possibili, ma non tutti consigliabili Normale X Ala grigia Normale / Ala grigia X Ala grigia Normale X Ala chiara Normale / Ala chiara X Ala chiara Ala grigia X Ala grigia Ala grigia X Ala chiara
Normale Portatore di Ala grigia 50% Ala grigia 50% Normale Portatore di Ala grigia Normale Portatore di Ala chiara 50% Ala chiara 50% Normale Portatore di Ala chiara Ala grigia Full Body Color (eterozigote: Ala grigia - Ala chiara)
Ala grigia X Diluito
Ala grigia Portatore di Diluito
Ala chiara X Ala chiara
Ala chiara
Ala chiara X Diluito
Ala chiara Portatore di Diluito 50% Full Body Color
Full Body Color X Full Body Color
25% Ala grigia 25% Ala chiara
Naturalmente trattandosi di mutazioni autosomiche recessive le risultanze degli accoppiamenti sono indipendenti dal sesso dei riproduttori.
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DIDATTICA & CULTURA
Cromosomi sessuali negli uccelli testo e disegni di Marco Baldanzi
P
artendo dal chiedermi come mai ci fosse un minor numero di femmine rispetto ai maschi nel mio aviario all’aperto per canarini, ho colto l’occasione per fare questa concisa rassegna bibliografica degli studi effettuati sui cromosomi sessuali negli uccelli. Non entro in merito alla cosiddetta Regola di Haldane (1). Per chi fosse interessato si veda la review: Haldane’s rule in the 21st century pubblicata da Schilthuizen, Giesbers & Beukeboom nel 2011 su Heredity. Mi preme però ricordare le due principali opere di Charles Darwin Origine delle specie e selezione naturale e Origine dell’uomo e selezione sessuale: questa, meno insegnata della prima, si incentra sull’importanza del dimorfismo sessuale. Negli Uccelli i cromosomi sessuali dei maschi sono indicati come ZZ e per le femmine ZW; viceversa, nei Mammiferi i maschi sono XY e le femmine XX. Ciò porta a un’altra differenza tra Mammiferi e Uccelli: nei primi, sono gli spermatozoi a portare il cromosoma sessuale X o Y, ereditato rispettivamente dalla madre e dal padre, mentre nei secondi sono le uova a portare il cromosoma sessuale Z, ereditato dal padre, o quello W, ereditato dalla madre. Tralasciamo qui ipotetiche interazioni tra i cromosomi sessuali e il citoplasma dell’uovo, che è di origine materna, p. es. mitocondri
(mtDNA), seppur oggetto di studi scientifici. Cominciamo con l’ipotesi Ohno: nel suo libro del 1967 Sex Chromosomes and Sex-Linked Genes il biologo nipponico-statunitense Susumu Ohno propose che i cromosomi sessuali fossero in origine omologhi (2) e la successiva differenziazione in X e Y avvenne solo a spese del cromosoma Y. Nel 1974, su BioScience, Bloom pubblicò Current Knowledge About the Avian W Chromosome. I Sterno carenato: la carena permette l’inserzione dei grossi muscoli toracici o pettorali atti al volo. Al contrario, lo sterno piatto è tipico degli Uccelli che non volano (Ratiti: struzzi, casuari, emù).
cromosomi degli Uccelli sono difficili da studiare perché sono molti (range = 52-92) e di diverse misure. Si precisa che, secondo la specie, le femmine possono essere ZW oppure Z0. Negli anni ’60 si è confermato in numerose specie di Uccelli il meccanismo ZZ ( ) – ZW ( ) di determinazione sessuale. Come spesso accade in biologia, non mancano le eccezioni: varie specie di Uccelli mancano del cromosoma W. Infatti, nella rassegna di Bloom si evidenzia che il cromosoma W non è altrettanto automatico nel determinare il sesso femminile quanto lo è il cromosoma Y nel determinare il sesso maschile nei Mammiferi. Nel 1997, sulla rivista Science Progress, L. Stevens pubblicò Sex chromosomes and sex determining mechanisms in birds, evidenziando che nella maggior parte degli Uccelli il cromosoma Z è grosso, il 4° o 5° in ordine di grandezza, e contiene quasi tutti i geni sesso-legati. Il cromosoma W generalmente è un micro-cromosoma, cioè molto piccolo, contenente sequenze di DNA molto ripetute. La determinazione del sesso negli Uccelli avverrebbe tramite un meccanismo di equilibrio genico, in cui il fattore cruciale è il rapporto tra autosomi e cromosomi Z. Nel 1999, su Biocell, Maria Ines Pigozzi pubblicò Origin and evolution of the sex chromosomes in
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Cromosomi sessuali Z e W in varie specie di Uccelli: Rhea americana è un Ratite, a sterno piatto; le altre specie sono, in ordine, il germano reale, la faraona, il gallo, il piccione e il diamante mandarino, fonte: Pigozzi, 1999
birds. Basandosi su evidenze citologiche, propose che la mancanza di ricombinazione nell’ancestrale omomorfico paio ZW causò la degenerazione della regione non-ricombinante del cromosoma W, portando agli eteromorfici cromosomi sessuali degli Uccelli carenati. Sia nei Rettili sia nei Mammiferi e Uccelli, nelle specie più primitive i cro-
mosomi sessuali sono omomorfici, mentre nelle specie più moderne divengono eteromorfici, arrivando al cromosoma Y e al W. Questi cambiamenti deriverebbero dall’isolamento meiotico, con perdita di geni attivi, aumento di trasposoni e sequenze ripetute. Negli Uccelli, il primitivo cromosoma W differiva dall’omologo Z per almeno due geni caratterizzanti
il sesso femminile. Questi geni erano in una zona cromosomica con poca ricombinazione, per esempio vicino al centromero, prevenendo l’eventuale rottura dell’associazione genica mediante crossing-over. Con la progressiva speciazione della classe Uccelli, nuovi geni sesso-determinanti o legati alla fertilità si sono evoluti, aumentando la zona non-ricombinante del cromosoma W e la sua degenerazione. Rimane un corto segmento di ricombinazione col cromosoma Z che permette la formazione dei bivalenti in meiosi e quindi il mantenimento della coppia cromosomica ZW. Nel 2002, sulla rivista Cytogenetic and Genome Research, Shetty et al. hanno pubblicato DMRT1 in a ratite bird: evidence for a role in sex determination and discovery of a putative regulatory element. Preciso che i Ratiti (struzzi, nandù, emù, casuari, kiwi) sono un raggruppamento artificiale di Uccelli che non volano, perché hanno lo sterno piatto anziché carenato. In questi antichi Uccelli, i cro-
I NOSTRI LUTTI
In ricordo di Antonio Romagnoli
In memoria di Rinaldo Montagnoli
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È
bbiamo appreso della tua scomparsa in questo 2021 come un fulmine a ciel sereno, non eravamo ancora pronti a ciò… Eri una persona generosissima, buona e sempre disponibile; eri da quasi sessant’anni l’anima di ogni nostra esposizione, e di ogni nostra iniziativa; ogni qual volta ci trovavamo, si sentiva immancabilmente la tua inconfondibile voce allegra svettare al di sopra di tutte le altre; eri presenti in ogni fase dell’organizzazione delle mostre e non facevi mai mancare, con un motto di spirito, una battuta od una giusta critica, il tuo fattivo e sagace apporto a rafforzare il morale di tutti i soci, negli alti come nei bassi che capitano in ogni evento umano… Per tutto questo ti Ringraziamo e ci mancherai tantissimo, “Rùmagna”! Il Consiglio ed i Soci tutti della Società Ornitologica Ferrarese - APS
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con grande tristezza che a distanza di qualche mese i soci e amici della Associazione Ornitologica Legnaghese salutano per l’ultima volta un altro amico e socio del gruppo. Rinaldo Montagnoli uno dei primi fondatori dell’associazione ornitologica e per moltissimi anni vice presidente, presidente emerito, e stimatissimo giudice canarini di colore, a 86 anni ci ha lasciato. Da un paio di anni non allevava più, ma quando le forze glielo consentivano, era sempre presente in associazione. Ascoltava e consigliava, ma senza presunzione di sapere tutto. L’umiltà era una delle sue grandi qualità, oltre a un grande istinto paterno che lo portava ad accogliere tutti i nuovi soci come dei figli da accompagnare alla scoperta di un mondo tutto nuovo. Ciao Rinaldo riposa in pace, la tua bontà di animo sarà un grande ricordo per tutti noi. Soci e amici dell’Associazione Ornitologica Legnaghese.
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mosomi sessuali sono omomorfici, cioè Z e W hanno stesse dimensioni e il sesso sarebbe determinato da un gene. Gli autori hanno clonato parte del gene DMRT1 dall’emù e hanno visto che si esprime anche durante la differenziazione delle gonadi nel pollo. DMRT1 si trova sul cromosoma Z ma non in W e quindi potrebbe essere coinvolto nella determinazione del sesso di tutti gli Uccelli. Si fa notare che la sequenza di DMRT1 dell’emù è omologa per l’88% con quella del pollo (Gallus gallus domesticus) (3) e al 65% con quella umana. Nel 2007, sulla stessa rivista, Smith et al. pubblicarono una review dal paradigmatico titolo Avian sex determination: what, when and where? Intanto, puntualizzano che negli Uccelli il meccanismo, seppur ignoto, sia determinato da un gene sesso-legato portato da uno o entrambi i cromosomi sessuali. Come nei Mammiferi dovrebbe agire nelle gonadi embrionali, facendo formare o testicoli o ovario; da queste, formazioni di ormoni steroidi sessuali e, di conseguenza, organi e tessuti tipici dei due sessi. Nei Mammiferi il gene chiave è SRY, portato dal cromosoma Y. Il testosterone rilasciato produce tessuti e organi maschili, altrimenti si segue un programma di sviluppo femminile. SRY è assente negli Uccelli ma si pensa che il principio sia lo stesso e i geni candidati sono DMRT1 sul cromosoma Z oppure HINTW sul cromosoma W, entrambi espressi nelle gonadi ben prima della differenziazione sessuale. Ancora nel 2007, sempre su Cytogenetic and Genome Research, Stiglec et al. hanno pubblicato A new look at the evolution of avian sex chromosomes. Mentre il gene HINTW sul cromosoma W è il candidato più forte come fattore determinante la formazione dell’ovario negli Uccelli, il gene DMRT1, sul cromosoma Z, è l’unico gene coinvolto nella determinazione sessuale in tutti i Metazoi (4), facendo nascere i maschi di Mammiferi, Uccelli, Anfibi, Rettili, Insetti e Nematodi. Nei Mammiferi Euteri (5) o Euplacentati, DMRT1 è autosomico, cioè non su cromosoma sessuale, e ne occorrono due copie (omozigote) per la
Sono specifici geni a determinare il sesso negli Uccelli. Com’è risaputo, la temperatura d’incubazione delle uova condiziona l’espressione fenotipica
formazione dei testicoli. Negli Uccelli invece è portato sul cromosoma sessuale Z e i maschi sono ZZ. Alla meiosi, la ricombinazione tra Z e W è assente nella regione distale del braccio contenente DMRT1. Negli Uccelli carenati, dove i cromosomi sessuali sono eteromorfici, il cromosoma Z è simile nei vari gruppi sistematici, eccetto che per la posizione del centromero, mentre il cromosoma W mostra sensibili differenze tra le specie. Addirittura, i dati suggeriscono che il progenitore dei Mammiferi possedesse cromosomi sessuali ZZ/ZW si-
mili a quelli degli Uccelli. Forse il sistema XX/XY dei Mammiferi e quello ZZ/ZW degli Uccelli si sono evoluti in modo diverso da cromosomi autosomici di un comune progenitore Rettile avente determinazione sessuale temperatura-dipendente. Nel 2014, su BMC Evolutionary Biology, autori cinesi hanno pubblicato Temporal genomic evolution of bird sex chromosomes, con l’analisi di 45 genomi di Uccelli e i trascrittomi (6) di quattro specie. I cromosomi sessuali di Uccelli e Mammiferi si sono originati indipendentemente da differenti coppie di autosomi ancestrali, seguendo una graduale e parallela soppressione della ricombinazione. I cromosomi sessuali, nel corso dell’evoluzione, sono andati incontro a mutazioni e regimi di selezione indipendentemente dagli autosomi. Interessante, per esempio, ricordare che le linee germinali maschili (spermatogenesi), proprio per il loro gran numero di divisioni cellulari, accumulano molte più mutazioni, in unità di tempo, rispetto alle femmine (cellule uovo) nella maggior parte degli animali. Le differenze dei cromosomi sessuali tra Mammiferi e Uccelli derivano
Albero filogenetico della classe Uccelli mostrante la relazione tra 15 ordini: 1) Gallus domesticus; 2) Numida meleagris (faraona); 3-7) varie specie di Ratiti; 8) Psittaciformi (pappagalli); 9) Pelecaniformes; 10) Charadriiformes (p.es. gabbiani); 11) il maggior numero di specie di Uccelli, riunite nell’ordine Passeriformi; 12) Strigiformes (p.es. civetta, barbagianni, gufo, ecc.); 13) Sphenisciformes (pinguini); 15) Procellariformes (p.es. albatro e uccelli marini); 16) Gaviiformes (alcuni uccelli acquatici). Manca l’ordine Anseriformes (p.es. anatre, oche, cigni) che, insieme ai Galliformi, sono gli uccelli neorniti più primitivi. Per neorniti si intendono tutti gli uccelli moderni, evoluti negli ultimi 66 milioni di anni, fonte: Pigozzi, 1999
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Cromosomi sessuali Z e W di Gallus domesticus, fonte: Pigozzi, 1999
anche dal fatto che il cromosoma X è emizigote nei maschi, presente cioè in singola copia (XY), mentre il cromosoma Z è emizigote nelle femmine (ZW) degli Uccelli (e anche di Rettili, Pesci e farfalle), risentendo quindi della opposta selezione sessuale, come accennato nell’introduzione. Ancora nel 2014, su Chromosome Research, Jennifer Graves ha pubblicato Avian sex, sex chromosomes, and dosage compensation in the age of genomics. La scienziata considera il cromosoma W degli Uccelli una reliquia degenerata del cromosoma Z (eccetto Ratiti e Tinamidi (7), proprio come nei Mammiferi la Y è una reliquia della X. In quanto cromosoma specifico delle femmine, la maggior parte dei suoi geni si esprime nell’ovario. Al contrario, la maggior parte dei geni sul cromosoma Z si esprime nei maschi: questa “mascolinizzazione” è il risultato di una forte selezione (sessuale) del successo riproduttivo maschile. Questi geni sul cromosoma Z si sono evoluti a una velocità doppia rispetto ai geni autosomici, probabilmente sempre per la sua maggiore attivazione nei testicoli (spermatogenesi). Sono specifici geni a determinare il sesso negli Uccelli. Com’è risaputo, la temperatura d’incubazione delle uova condiziona l’espressione fenotipica, incluso il rapporto femmi-
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ne/maschi alla schiusa, che probabilmente deriva anche da una differenza di mortalità tra i due sessi ed è comunque sbilanciato in molte specie di Uccelli. Ma quali sono questi specifici geni portati dai cromosomi sessuali W e Z? Sul cromosoma W non sono stati per ora (2014) individuati. Invece, tra i geni portati sulla coppia cromosomica ZZ, il gene DMRT1 è quello essenziale per lo sviluppo di un maschio, sia negli Uccelli che nell’uomo. Necessario ma non sufficiente: negli Uccelli, esso avvia la formazione delle gonadi maschili ma gli ormoni sessuali che queste producono non attivano tutte le differenze somatiche dei due sessi. Nel 2015, su Nature Communications, un’estesa collaborazione di ricercatori scandinavi, slavi e spagnoli ha pubblicato Evolutionary analysis of the female-specific avian W chromosome. La specie studiata è stata Ficedula albicollis, balia dal collare, fam. Muscicapidi. I risultati dimostrano punti in comune e differenze nell’evoluzione del cromosoma W e del cromosoma Y. La trasmissione attraverso l’oogenesi, piuttosto che la spermatogenesi, implica che i cromosomi W sono esposti a un diverso ambiente mutazionale ed epigenetico della linea germinale rispetto ai cromosomi Y dei Mammiferi. I mitocondri si trovano nel citoplasma; questo
è ereditato tramite la cellula uovo e quindi è matrilineare. È lecito chiedersi: possono esserci negli Uccelli associazioni cito-nucleari tra mtDNA e cromosoma W? Bene, questi scienziati hanno dimostrato una stabilità co-evolutiva di questi due cromosomi. Nel 2018, sulla rivista Molecular Ecology, lo zoologo canadese Irwin Darren ha pubblicato Sex chromosomes and speciation in birds and other ZW systems. Concentrandosi sulla determinazione del sesso ZW (tipico di uccelli, molti serpenti e lepidotteri), ha esaminato come le dinamiche evoluzionistiche differiscano tra Z, W e gli autosomi, discutendo di come queste differenze possano portare a un ruolo maggiore dei cromosomi sessuali nella speciazione e utilizzando i dati di un’ampia varietà di specie di uccelli per confrontare i tassi evolutivi relativi di cromosomi sessuali e autosomi. Il più veloce accumulo di vari tipi di mutazioni e le complesse dinamiche evolutive di tratti sessualmente antagonisti contribuiscono a un certo ruolo per il cromosoma Z nella speciazione. Pure il cromosoma W ha un forte potenziale per essere coinvolto nella speciazione, anche per la sua co-ereditarietà con il genoma mitocondriale (mtDNA) (8). Teoria ed evidenza empirica suggeriscono un ruolo sproporzionato per i cromosomi sessuali nella speciazione, ma la loro importanza è moderata dalle loro piccole dimensioni rispetto all’intero genoma. Nel 2020, sulla rivista Genes, Luohao Xu e Qi Zhou hanno pubblicato The Female-Specific W Chromosomes of Birds Have Conserved Gene Contents but Are Not Feminized. Gli autori premettono che i cromosomi sessuali Y e W sono molto eterocromatici e poveri di geni, al contrario degli X e Z, molto eucromatici e ricchi di geni (9). Rispetto al sistema XY, ci sono meno studi riguardo alla selezione sessuale sul contenuto genico dei cromosomi Z e W: i cromosomi Z degli Uccelli sembrano essere mascolinizzati, cioè recanti geni espressi nei maschi, mentre la “femminilità” dei cromosomi W non è così netta. Questi autori, esa-
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minando i genomi femminili di 27 specie nei tre principali cladi (10) della classe Uccelli, hanno rivelato una forte conservazione genica nei cromosomi W, ma poca evidenza circa la sua “femminilità” (trad. feminization). In effetti, la selezione sessuale è indirizzata verso i maschi, per i colori, il canto o il comportamento. NOTE (1) J.B.S. Haldane (1892-1964) nel 1922 affermò che “quando nella progenie di due diverse razze animali un sesso è assente, raro o sterile, quel sesso è il sesso eterozigote (eterogametico)”. Poiché la maggior parte degli alleli dannosi portati in singola dose (emizigosi) da un sesso non risultano bilanciati da altrettanti geni non mutati presenti sul cromosoma omologo, il sesso eterogametico risulta geneticamente più vulnerabile. (2) I cromosomi omologhi sono cromosomi morfologicamente identici presenti negli organismi eucarioti. Possono essere definiti come cromosomi che in loci corrispondenti presentano gli stessi geni con le
stesse informazioni. (3) Nel pollo, il grosso cromosoma Z ha oltre 350 geni, mentre il cromosoma W ne ha forse meno di venti. (4) Raggruppamento sistematico comprendente tutti gli animali che presentano una condizione monocellulare allo stadio di germe ma che raggiungono, durante lo sviluppo, una condizione pluricellulare con un numero più o meno elevato di elementi somatici variamente differenziati; si contrappongono ai Protozoi. (5) Il nome significa “vere bestie”. In greco zoon significa animale od essere vivente (come il latino animal), mentre therion significa bestia (cfr. latino fera, belua, bestia). Gli Euteri hanno una temperatura corporea più elevata e stabile degli altri Mammiferi: a causa di ciò posseggono testicoli esterni, in quanto la spermioistogenesi viene disturbata da temperature troppo elevate. (6) Viene definito “trascrittoma” la totalità degli RNA trascritti a partire da un genoma. (7) Famiglia di Uccelli Neorniti, diffusi dal Messico alla Patagonia, scarsi volatori, di dimensioni fra quelle di una quaglia e quelle di un pollo, dei quali hanno pressappoco anche l’aspetto. (8) Il DNA mitocondriale, a volte abbreviato
in mtDNA, è il DNA collocato nei mitocondri. Esso codifica e produce gli enzimi (proteine funzionali), necessari alla corretta realizzazione del delicato processo di fosforilazione ossidativa. Le istruzioni per la sintesi di questi enzimi risiedono nei 37 geni che compongono il genoma del DNA mitocondriale umano. (9) La cromatina è la forma in cui gli acidi nucleici si trovano nella cellula. Si trova negli eucarioti ed è costituita da DNA, proteine acide e basiche. Si distinguono due tipi di cromatina: eucromatina, meno condensata, corrisponde a zone in cui vi è un’intensa attività di trascrizione per la sintesi proteica (ossia di copia delle molecole di DNA in molecole di RNA messaggero, mRNA); eterocromatina è invece la componente più condensata, costituisce circa il 10% del genoma e non sembra presentare attività di trascrizione. (10) In tassonomia, si definisce “clade” un gruppo costituito da un antenato singolo comune e da tutti i discendenti di quell’antenato. Qualsiasi gruppo che corrisponde alla definizione viene considerato monofiletico e può essere rappresentato o da un’analisi filogenetica o da un cladogramma.
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Questo mese, il protagonista di Photo Show è: DOMENICO SCHIRALLI - NM29 con la fotografia che ritrae i soggetti “Novelli di Loxia curvirostra” Complimenti dalla Redazione! Errata corrige: sul numero scorso è stato indicato un codice RNA errato, quello corretto del Sig. FRANCO DELTOSO è 63ZT. Ci scusiamo con l’allevatore.
(*) Tutte le foto inviate, anche quelle non pubblicate, rimarranno a disposizione della FOI a titolo gratuito e potranno essere utilizzate, senza alcun limite o vincolo temporale, per pubblicazioni, iniziative e scopi promozionali della Federazione
• Invitiamo tutti gli allevatori a inviare foto di soggetti provenienti dai propri allevamenti, con descrizione della specie, razza e mutazione, all’indirizzo: redazione@foi.it
• All’autore della foto mensilmente prescelta da un comitato interno, verrà offerto in omaggio un libro edito dalla FOI in base alla preferenza e alla disponibilità.
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ESTRILDIDI FRINGILLIDI IBRIDI
Il Cardellino ieri, oggi e domani testo di PIERCARLO ROSSI, foto AUTORI VARI
Seconda parte
Il Cardellino e le mutazioni di colore Di rari soggetti mutati, presenti in natura, ce ne sono sempre stati; ricordo ancora una foto, mostratami con orgoglio dal mio concittadino Annibale Leonardi, raffigurante un soggetto mutato recuperato in natura insieme ad altri soggetti ancestrali e poi donato ad un facoltoso collezionista verso la metà degli anni ‘70. In quegli anni nessuno pensò di fissare tale mutazione, ma con il passare del tempo e dati i risultati sempre più incoraggianti nell’allevamento in purezza della specie, il reperimento di qualche esemplare di colorazione anomala generò il desiderio di fissare quelle origi-
Incardellato pezzato, foto: A. Parodi
nali caratteristiche fenotipiche nella speranza, ovviamente, che l’inedito carattere fosse trasmissibile alla prole. Oltre alla sfida sopra descritta, un altro evento diede una scossa ed un nuovo input al “mondo cardellino”: la comparsa dei primi Carduelis major. La sottospecie major, una delle 10 sottospecie ascritte al Carduelis con la croce nera, è presente in Siberia, Altai, est degli Urali, fiume Yenisei e sud Semipalatinsk, Zaysan e Kazakhstan settentrionale; questa sottospecie negli ultimi tempi è stata denominata C.c. frigoris. Dopo anni di importazioni di C.c. caniceps o cardellino dell’Himalaya, agli inizi degli anni ‘90 apparvero i primi C. frigoris, che avevano una taglia maggiore rispetto ai C. carduelis presenti sul nostro territorio, che si attestava sui 14/16 cm. Presentavano colori più
chiari, dovuti ad una minore carica melanica, una lunetta bianca più ampia alla base della croce, mentre le guance la gola ed il fungo erano di un bianco candido; la croce, anche se più estesa, era meno regolare che nel nostrano. Inoltre, il disegno pettorale, di colore intenso, in alcuni di essi presentava tracce di nero; il colore del dorso era sfumato di beige, fu amore a prima vista. Agli inizi furono generati diversi meticci, vista la scarsa propensione delle femmine di frigoris a riprodursi in cattività, ma con il passare degli anni, grazie alla bravura ed alla passione degli allevatori italiani ed europei, furono fissati ceppi sempre più robusti di questa splendida sottospecie. Di pari passo apparvero le prime mutazioni ed in pochi anni il cardellino diventò il fringillide maggiormente alle-
Cardellina Isabella in cova, foto: Associazione Pesarese Ornicoltori
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vato in ambiente controllato, ad oggi con il maggior numero di mutazioni stabilmente fissate. Facendo un piccolo excursus, scopriremo che la stragrande maggioranza di queste ultime è apparsa in natura e solo in seguito sono state fissate grazie alla bravura degli allevatori europei. Tra i pionieri di questo affascinante mondo, vorrei ricordare l’ingegner Edmondo Mazzoli che con i suoi splendidi articoli e le superbe copertine della rivista Uccelli ha ammaliato un numero sempre maggiore di appassionati nel corso degli anni. Ma vi è un allevatore a cui l’Italia ornitologica dovrebbe essere grata e questa persona è, senza ombra di dubbio, il Sig. Paolo Gregorutti. Lui è stato il capostipite nella selezione delle varie mutazioni della maggior parte dei fringillidi indigeni comunemente allevati. Grazie a Paolo abbiamo potuto ammirare lucherini, organetti, verdoni, ciuffolotti, ma soprattutto splendidi cardellini mutati e, vista la grande passione che gravita su questo splendido fringillide, nessuna mutazione apparsa fino ad oggi è andata persa. La prima mutazione fissata fu la pastello, con un comportamento ereditario del tipo recessivo sessolegato.
Cardellini opale, foto: Zamagni, all. S. Budellacci
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La prima mutazione fissata fu la pastello, con un comportamento ereditario del tipo recessivo sessolegato
Da un punto di vista fenotipico induce un appastellamento generale delle melamine sia eu che feo, con un’azione però disomogenea; grazie a questo effetto è difficile osservare due soggetti perfettamente identici. Il merito va attribuito all’allevatore belga Gottfried Callens. I primi soggetti presentavano una riduzione modesta della eu nera su remiganti e timoniere ed una altrettanto modesta della feo bruna. In seguito, con accoppiamenti mirati si sono visti i primi soggetti veramente tipici, con una giusta ossidazione delle penne forti che ci permette comunque di godere dell’effetto pastello. Altra zona interessata da questa mutazione è il dorso, che grazie all’effetto che va ad agire sulla feomelanina ne cambia il colore da bruno carico a bruno/grigio; anche in questo caso i
soggetti possono variare in base al residuo feomelanico di ciascuno. È una mutazione molto importante in quanto non è allelica a nessuna delle altre mutazioni legate al sesso, con le quali si può sommare, creando effetti cromatici molto interessanti. Seguirono la mutazione agata, che agisce sia sulla feomelanina riducendola fortemente, come anche sull’eumelanina che viene ridotta in modo meno marcato; ne risulta un fenotipo caratterizzato dal dorso color grigio cenere nei soggetti migliori (color bruno slavato negli altri), petto molto pulito, parti cornee moderatamente diluite e, nei soggetti migliori, eumelanina nera ancora abbastanza satura. Questa mutazione è a trasmissione di tipo recessivo sessolegata ed è allelica alle mutazioni lutino e aminet, nei confronti delle quali si comporta in modo semidominante. Ad oggi possiamo affermare che questa sia l’unica mutazione apparsa nel cardellino, in cui con la selezione raggiunta ha generato soggetti con un colore peggiore rispetto ai primi apparsi, tra i quali vorrei menzionare la femmina agata di Paolo Gregorutti, a dir poco strepitosa. Dopo l’agata fu la volta della mutazione bruno, che è caratterizzata dalla trasformazione dell’eumelanina nera. A questa eumelanina viene bloccata la catena di sintesi e la polimerizzazione si ferma ad uno stadio precoce, trasformando il colore nero in bruno o marrone testa di moro; la quantità di eumelanina è identica a quella di un soggetto ancestrale ma, come detto, varia la polimerizzazione e dunque l’intensità. L’effetto che ne deriva è che le zone precedentemente interessate dal nero diventano di tonalità bruna, conferendo al soggetto un caldo mantello color nocciola. La mutazione bruno è a trasmissione di tipo recessivo sessolegata. Per questo, in un soggetto bruno cercheremo il massimo dell’ossidazione con disegni ben marcati. Ne deriva che i soggetti più dotati di forti quote melaniche saranno i prediletti per la selezione di questa mutazione. I cardellini meridionali, con le loro tinte sature e brunastre, ne favoriranno alquanto la selezione.
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Nel 1991 fu la volta della mutazione testa bianca (witkop), che riduce la feomelanina ed estende il lipocromo giallo delle bande alari fino alle spalle ed al petto. La mutazione testa bianca è a trasmissione di tipo autosomico recessiva. È una mutazione di disegno che si evidenzia con l’eliminazione del disegno nero a T della testa e con l’esaltazione del lipocromo giallo dell’ala che raggiunge le spalle. Presenta inoltre una tonalità leggermente più chiara nel dorso dovuto ad una mancanza di eumelanina nel sottopiuma, maschera rosso aranciata (per mancanza del supporto eumelanico) con disegni netti. Essendo una mutazione recessiva, creerà un numero importante di portatori, facilmente riconoscibili per un’infiltrazione di colore rosso alla base della croce, sul collarino. Questo fattore è da considerarsi un difetto grave. Sempre nel 1991 apparve anche la albino, una mutazione autosomica recessiva, ossia indotta da un gene mutante che alloggia sull’assetto autosomico e non sessuale e caratterizzata dalla completa scomparsa dei pigmenti, sia eumelanici che feomelanici. Dal punto di vista biochimico, quando il gene mutante è presente in doppia coppia (omozigosi) riesce ad inibire la tirosinasi (che induce l’ossidazione della tirosina) ed in sostanza impedisce la formazione delle melanine. È nulla invece l’incidenza sui lipocromi, tanto che gli stessi si formano e si estrinsecano in maniera del tutto normale. Così il mantello si presenta di un bianco candido con l’assenza totale di disegni ad eccezione delle componenti lipocromiche, ossia l’apice rosso delle piume facciali e la barra alare gialla. Il bianco è molto più candido e spettacolare rispetto alla lutino, nella quale permane un colore di fondo melanico. Le zampe appaiono carnicine. Grazie alla totale assenza di melanine oculari, gli occhi sono rossi, grazie al circolo ematico. A seguito di quanto appena affermato, i soggetti affetti da questa mutazione sono particolarmente delicati; l’assenza di melanine oculari induce fotofobia, staticità e ridotte capacità visive,
ed inoltre la mancanza di pigmenti melanici determina difficoltà nella fissazione della vitamina D3 (vitaminici antirachitici). Negli accoppiamenti risultano essere fondamentali i portatori. È utile ricordare che ai soggetti mutati è bene fornire, durante tutto l’anno, buone dosi di vitamine, D3 in particolare. Nel 1995 fu la volta dell’isabella, frutto della sovrapposizione di agata e bruno; da tale accoppiamento si ottengono maschi passe-partout che, riaccoppiati, genereranno femmine agata e brune e, per effetto di crossing-over, femmine isabella e ancestrali. Grazie all’unione di queste due mutazioni, il bruno indurrà una riduzione dell’ossidazione della melanina nera, mentre l’Agata produrrà la riduzione della feomelanina e la riduzione quantitativa del nero. Questa mutazione agisce sull’eumelanina, riducendola lievemente, esaltando le parti bianche della testa, mentre il petto tende leggermente al beige. La mutazione isabella è di tipo recessivo sessolegata. Dovrebbe essere selezionata, come ogni mutazione, al massimo del disegno, cioè favorendo la massima estensione delle melanine, il più simile possibile al disegno dell’ancestrale. Nel 1996 fu fissata, in Italia, la mutazione giallo grazie al Dottor Massimo Natale; questa mutazione è caratterizzata da un’evidente infiltrazione di lipocromo giallo su tutto il mantello del soggetto. È forse l’unica mutazione che, invece di diluire, aggiunge lipocromo dove manca. La mutazione giallo è a trasmissione di tipo autosomico dominante, unica mutazione del tipo dominante apparsa fino ad ora in questa specie. Le mutazioni dominanti sono le più facili da selezionare, in quanto è possibile inserire soggetti non mutati con altre linee di sangue ed ottenere soggetti mutati già in prima generazione, cosa molto più difficile con le mutazioni recessive, con cui si deve lavorare con una consanguineità più stretta e soggetti più deboli. Questa mutazione manifesta al meglio le proprie potenzialità fenotipiche
Cardellino "blu", foto: Zamagni, all. S. Budellacci
Carduelis carduelis e Carduelis frigoris a confronto, foto e all. Raffaele Esposito
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verso soggetti di taglia medio piccola, mentre la selezione verso soggetti di taglia maggiore (frigoris), caratterizzati da una ridotta carica feomelanica, induce un disegno irregolare e distribuito in modo confusionario. Lo stesso anno apparve per la prima volta anche la mutazione aminet, definita inizialmente eumo ed in seguito mascherato. Questa mutazione, allelica all’agata, fenotipicamente le assomiglia molto, ma le si differenzia per una forte riduzione del pigmento feomelanico; infatti, il dorso diventa color sabbia chiaro, mentre il petto, appena disegnato, ha un colore isabellino, le parti cornee sono carnicine e l’occhio è rossiccio alla nascita. Il meccanismo di trasmissione è recessivo sessolegato. L’anno successivo fu fissata la mutazione lutino, una delle mutazioni sicuramente più affascinanti tra quelle apparse fino ad oggi; infatti, questa mutazione ci permette di poter ammirare Cardellino favato, foto e all. A. Frigerio ancora i disegni della croce e delle ali, con una banda alare molto ampia in netto contrasto con il I giovani maschi saranno portatori di rosso della maschera. tale gene (detti passe-partout) che, Questa mutazione inibisce la feomelariaccoppiati, daranno vita a prole femnina e riduce fortemente ma non tominile bruna e lutino ed in caso di crostalmente l’eumelanina. La mutazione sing-over satiné ed ancestrale. L’eflutino è legata al sesso ed è indotta da fetto fenotipico è simile ad un lutino un gene recessivo allelico all’agata. ma con le zone eumelaniche più scarse Questo viene dimostrato dal fatto che a causa dell’azione della mutazione i cardellini agata portatori di lutino abbruno, in grado di non far giungere a biano un fenotipo ulteriormente ridotto rispetto all’agata classico; ciò dimostra che il gene per il lutino riesce comunque a manifestare in parte il suo Vorrei segnalare altre due effetto sul fenotipo, riducendo ultemutazioni: la faccia bianca, riormente i pigmenti soprattutto quelli feomelanici. in cui la mascherina rossa Il sottopiuma del cardellino lutino è griè completamente assente, gio e questo è un parametro fondacon trasmissione ereditaria mentale nella distinzione dalla mutazione satiné, il cui colore di fondo è del tipo autosomico bruno chiaro. recessiva e la mutazione Grazie alla combinazione con la mutaperlato dominante zione bruno ecco apparire i primi satiné.
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completamento l’eumelanina nera, su cui la mutazione lutino ha uno scarso potere riducente. La mutazione satiné è a trasmissione di tipo recessivo sessolegato. Nel 1998 il nostro amico Paolo venne a conoscenza del fatto che nel Napoletano vi fosse un soggetto affetto dalla mutazione opale; fortunatamente non era un ottimo cantore e così Paolo riuscì a portarlo in Friuli. Si dovette attendere il 2001 prima di poter osservare un soggetto mutato nato in allevamento. Per evitare una consanguineità stretta, essendo la mutazione di tipo autosomico recessiva, Paolo dovette ottenere due linee di sangue distinte, così da non indebolire troppo i soggetti mutati, e lavorarci negli anni a venire. Da un punto di vista fenotipico, il gene mutante determina una forte riduzione della feo e dell’eumelanina, così il soggetto presenterà un dorso color sabbia molto chiaro. Il petto è pressoché bianco e non evidenzia il giallo pettorale, nei maschi. Le zone nere si presentano di un interessante quanto ammaliante effetto azzurrino, tipico della pietra di opale da cui la mutazione prende il nome. La mutazione presenta una trasmissione del tipo autosomico recessiva. Per questa mutazione spesso è consigliato l’uso dei portatori, mentre io penso che l’utilizzo di soggetti mutati non sia una strada sbagliata, in quanto in questi ultimi noi possiamo apprezzare l’estensione dei disegni e la carica melanica e lipocromica; soltanto in caso di necessità è possibile inserire nel ceppo soggetti con ottimi disegni provenienti da altre linee di sangue. Negli anni successivi apparvero diverse altre mutazioni come la perlato del tipo autosomico recessiva, fissata definitivamente nel 2007 dal collega giudice Ranieri Cella; inoltre, la pastello ala grigia grazie ad un soggetto recuperato nel sud della Spagna acquistato del Sig.
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Capone ed inserito nel suo allevamento fino a fissare questa mutazione. L’anno successivo, sempre nella penisola iberica, fu recuperato un maschio identico, acquistato dal belga Raskin. Così, quasi in contemporanea, nel 2012 i due allevatori sono riusciti ad ottenere dei giovani. Alla luce dei risultati fino a qui ottenuti, si tratta di mutazione autosomica recessiva. Grazie a Bruno Zamagni ed alla sua splendida mostra Fringillia, nel 2016 abbiamo potuto ammirare la mutazione faccia scura: era una femmina del signor Volpe da Agrigento interessata da questa mutazione. Si tratta di mutazione recessiva sessolegata. Oltre a quelle descritte, vorrei segnalare altre due mutazioni: la faccia bianca, in cui la mascherina rossa è completamente assente, con trasmissione ereditaria del tipo autosomico recessiva, anche questa ammirata a Fringillia, e la mutazione perlato dominante, selezionata da Castellucci Franco. Questa mutazione interessa sia il colore che il disegno: essa riduce in maniera significativa l’eumelanina, provocando uno schiarimento generalizzato partendo proprio dal sottopiuma. I punti più interessanti, oltre all’estensione delle perle di remiganti e timoniere, sono il colore del petto e l’estensione del bianco nel codione, che risulterà di una tonalità più candida, con una maggiore estensione. Oltretutto, questa è l’unica mutazione che estende la banda alare gialla di un 30-40%. Vorrei inoltre menzionare la mutazione “blu” selezionata in maniera egregia, negli ultimi anni, dal Sig. Silvio Budelacci che, dopo aver recuperato alcuni soggetti in Germania da Capone, anno dopo anno è riuscito a perfezionarla sempre di più. La mutazione “blu” è a trasmissione autosomica recessiva. I soggetti migliori si presentano con un effetto grigio scuro sul dorso e con la totale inibizione del bruno; molto tipici quelli nelle foto a corredo. Da ultimo, vorrei parlare della mutazione alabastro, selezionata dal Sig. Gennaro Amitrano, che si manifestò come ala grigia in varie tonalità ma che non è da confondere con la mutazione pastello.
Apparve per la prima volta nell’allevamento del signor Francesco Favata e fu battezzata alabastro, onorando la tradizione dell’attribuzione di nomi di minerali consoni alle varie tonalità di colore. Dopo i primi accoppiamenti fu verificato che si trattava di un fattore ad ereditarietà autosomica dominante. Negli anni furono fatte diverse ipotesi legate a questa mutazione, ma si deve ringraziare, ancora una volta, Gianmaria Bertarini che, dopo vari studi, è giunto alla conclusione che la alabastro, di fatto, corrisponderebbe al giallo vitale, mutazione ben nota in altre specie avicole ed allelica al giallo non vitale. Il gene responsabile è l’ASIP, frutto di una importante ricerca scientifica pubblicata da un team di scienziati nel 2015. L’alabastro è quindi una mutazione semidominante non drastica che si esprime sul fenotipo in singolo e doppio fattore. Per un occhio non molto allenato, può risultare arduo riconoscere i soggetti eterozigoti, cioè il singolo fattore, ma sugli omozigoti è davvero diffi-
cile confondersi. Ma cosa fa la alabastro? Riduce drasticamente l’eumelanina bruna, meno la nera, ed estrinseca la feomelanina conferendo un aspetto generale fulvo; inoltre, modifica totalmente la tessitura del piumaggio, che è più corto, ma con sottopiuma più folto, e negli esemplari omozigoti si assiste ad una sensibile riduzione della taglia. A conclusione del paragrafo dedicato alle mutazioni, vorrei parlare delle prove di complementazione; queste ci hanno permesso, grazie all’unione con il canarino affetto dalla stessa mutazione (bruno, agata, pastello, satiné etc.) di ottenere prole mutata in entrambi i sessi, cosa che ci conferma che il fattore mutante sia lo stesso. Oltre all’unione con il canarino, sicuramente il metodo principalmente utilizzato, negli anni, è stato l’accoppiamento di fringillidi affetti dalla stessa mutazione, così abbiamo potuto ammirare soggetti di sesso maschile di organetto bruno x cardellino bruno, cardellino agata x verdone agata, cardellino opale x carpodaco messicano opale, e così via.
Cardellino pezzato, foto e all. Claudio Spano
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Considerazioni Rispetto agli allevatori d’oltralpe che spesso tendono a schiarire ogni mutazione, forse per soddisfare una maggiore richiesta di mercato, un esempio su tutti i ciuffolotti “doppio pastello”, in Italia si seleziona cercando di esaltare le caratteristiche peculiari di ogni singola mutazione saturando al massimo la feo e la eu bruna, nei bruni, e ricreando la massima ossidazione della eu nera, con la maggiore riduzione possibile della feo nell’agata, e così via. Considerando inoltre che il cardellino ha disegni nettissimi e quindi difetti “facilmente leggibili”, selezionare un bel soggetto non è cosa facile e ancora più difficile è allevare un soggetto mutato nel quale, alla nettezza dei disegni, si deve unire la massima espressione della mutazione. In generale si può affermare che le mutazioni conosciute riducano i pigmenti o li trasformino e mai aggiungano un qualcosa che nella varietà nero-bruna non esiste (unica eccezione, ad oggi co-
Maschio di Cardellino Isabella, all. S. Budellacci
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nosciuta, la mutazione gialla). Infine, vorrei parlare dei cardellini pezzati. È, questa, una condizione genotipica caratterizzata dalla comparsa di zone depigmentate (assenza di melanina) sul piumaggio, con la scomparsa delle melanine in un determinato settore. L’obbiettivo finale di questo percorso, con accoppiamenti mirati, è quello di ottenere un soggetto totalmente acianico, ossia un cardellino bianco ad occhio nero. Mi permetto soltanto una piccola osservazione, perché grazie a Madre Natura noi possiamo ammirare uno degli uccelli più belli, con cromie contrastanti, ed allora mi chiedo: che cosa ci spingerà mai a ricercarne uno completamente acianico? Queste cose non le capirò mai; la mia preoccupazione maggiore è che con il passare del tempo, visto che i pezzati sono più in voga e nella forma recessiva, questo possa creare degli innumerevoli portatori che, inseriti in
Il cardellino, ad oggi, è il fringillide con il maggior numero di mutazioni fissate e noi siamo speranzosi di arricchire ulteriormente il nostro carniere
un ceppo “puro”, vadano a portare delle tare nei nascituri, quali piccole macchie acianiche, come è già successo nel mondo degli estrildidi: basti pensare ai passeri del Giappone, ai diamanti mandarini o ai padda, che nei soggetti ancestrali (grigio) alcune volte presentano delle macchie bianche alla base del becco, dovute al meticciamento con i bianchi, per ingrandirne la taglia, creando un fattore di squalifica in fase di giudizio. Il Cardellino domestico Dopo un periodo iniziale, soprattutto dopo l’arrivo della sottospecie frigoris, si è tentato, negli ultimi anni, di selezionare una forma di “cardellino domestico” in cui si è deciso di raggruppare le caratteristiche delle varie sottospecie maggiormente apprezzate, come la taglia del frigoris e la guancia bianca di quest'ultimo, una mascherina ampia ma ben delimitata, la croce nera netta ben delineata come nella specie nominale, il fungo bianco del petto ben visibile e fianchi marcati, la barratura alare gialla ben estesa ed in netto contrasto con il nero dell’ala, su cui saranno ben visibili le perle bianche. Nel complesso, il soggetto deve presentare disegni netti ben delimitati ed alla massima estensione, con piumaggio corto, un aspetto fiero ed elegante. Diciamo che il percorso è stato tracciato ma la strada da percorrere è ancora lunga; essa ci permetterà di ottenere un soggetto completamente diverso da quelli presenti in natura come è già successo, dopo anni di selezione, in specie allevate da più tempo, come l’organetto ed il verdone.
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Che cosa possiamo attenderci nel futuro? Come già asserito in precedenza, il cardellino, ad oggi, è il fringillide con il maggior numero di mutazioni fissate e noi siamo speranzosi di arricchire ulteriormente il nostro carniere, magari con le mutazioni avorio, eumo e la topazio (di cui ho ammirato uno splendido soggetto imbalsamato di E. Mazzoli), oltre al feomelanico classico; mi auguro, inoltre, che un colpo di coda ci consenta di recuperare una delle mutazioni più belle apparse, la albino, ormai quasi scomparsa negli allevamenti specializzati, magari con accorgimenti mirati, come quelli suggeriti nel paragrafo dedicato alle mutazioni. Negli ultimi tempi, inoltre, diverse mutazioni sono state portate sulle due sottospecie presenti sul nostro territorio, la C. carduelis e la C. tschusii, creando un ulteriore interesse nel campo dei soggetti mutati. Vorrei concludere questo mio scritto
dedicandolo a tutti gli amici che sono rimasti ammaliati da questa specie e che negli anni ne hanno fatto il fulcro del loro allevamento; tra loro, vorrei menzionare Riccardo Leva ed il gruppo dei “Monbercellesi” Fabio, Flavio, Ernesto, amici veri con cui ho condiviso gioie e dolori dello splendido mondo del cardellino. Vorrei ringraziare infine Claudio Spano che, con la sua grande passione, mi ha permesso di conoscere il cardellino “sipontino” ed il suo splendido canto e di ammirare ottimi cardellini acianici e major nelle diverse mutazioni che ogni anno riesce a realizzare.
ERRATA CORRIGE: L’autore della foto “Cardellino satiné x Canarino satiné”, pubblicata sul numero scorso (8/9 2021) a pagina 11 (in basso), è: José Antonio Abellán Cardellino meridionale tschusii, foto e all. Raffaele Esposito
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VETERINARIO
Uccelli sani e che riproducono testo e foto di DIEGO CATTAROSSI (*)
È
il sogno di ogni allevatore avere uccelli sani e che si riproducono ogni anno in gran numero senza problematiche e senza alcuna mortalità. Ma è possibile ottenere questo obiettivo? Oppure stiamo parlando di un sogno irrealizzabile? Rispondere a questa domanda non è semplice, ogni sorta di semplificazione e banalizzazione dell’argomento rischia di essere fuorviante e mendace. Serve sincerità ed onestà intellettuale quando ci si rivolge a persone appassionate e competenti come sono gli allevatori di uccelli. Esistono molti prodotti per l’ornitologia amatoriale che garantiscono risultati strabilianti già dal loro stesso nome. Spesso nelle specifiche del prodotto vengono riportati improbabili proprietà preventive e curative contro le più comuni problematiche di salute dei nostri amici alati. Non è così, purtroppo: un integratore, un parafarmaco o lo stesso farmaco, per quanto possano essere efficaci per la risoluzione di un singolo problema, non possono da soli garantire la salute dell’aviario e conseguenti alte performances riproduttive. La salute dei nostri uccelli è sempre la sommatoria di molteplici fattori; vedremo in questo articolo i più comuni. Prima di tutto, ricordiamoci di non cercare mai delle scorciatoie ma di valutare i problemi sempre nella loro complessità e totalità.
(*) Clinica Veterinaria Casale sul Sile www.veterinaricasalesulsile
Il solo ed unico riferimento certo che abbiamo sono gli uccelli in natura. La presenza di microrganismi potenzialmente molto patogeni e pericolosi per gli uccelli da gabbia è stata studiata in popolazioni selvatiche, catturate e poi subito liberate ai fini del campionamento. Ebbene, molti di questi uccelli, in apparente ottimo stato di salute, erano portatori ed eliminatori di parassiti o microrganismi potenzialmente letali per gli uccelli da gabbia e voliera.
L’autore durante il controllo di un soggetto
Ricordiamoci di non cercare mai delle scorciatoie ma di valutare i problemi sempre nella loro complessità e totalità
Perché le popolazioni selvatiche possono ospitare nel loro organismo microrganismi potenzialmente molto rischiosi e non manifestare alcun sintomo di malattia? Ancora non siamo perfettamente in grado di dare una risposta a questa ed altre domande, ma possiamo, come tecnici del settore, avanzare alcune ipotesi. Vediamo quindi quali possono essere le ipotesi e quali, quindi, i fattori di rischio degli uccelli che noi alleviamo. Solo approfondendo queste conoscenze potremmo poi proporre alcune terapie che non siano sempre l’uso indiscriminato di antibiotici o antiparassitari. Fattori di rischio in animali allevati a scopo amatoriale: Il primo fattore di rischio è la selezione in iper-tipo o la ricerca di diluizioni o fenotipi estremi. L’allontanamento del fenotipo ancestrale porta ad uno “stiracchiamento” della genetica di specie, con la selezione estre-
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ma verso la minore eterogeneità e minore ricchezza di geni. Vengono meno, in parole povere, alcune informazioni genetiche indispensabili in caso di rischio di malattie. C’è poi l’utilizzo della consanguineità come metodica per la fissazione delle “linee di sangue” e di singoli caratteri. Questa tecnica di selezione che prevede l’accoppiamento di soggetti imparentati tra loro, per quanto alla base della selezione di tutte le razze animali, porta inevitabilmente alla riduzione della variabilità e ricchezza genetica. L’assembramento, parola tristemente nota in anni di Covid, è la condizione permanente e persistente alla quale sottoponiamo i nostri animali dalla nascita e per tutta la loro esistenza. Se pensiamo agli spazi utilizzati in natura dagli stormi di uccelli e li confrontiamo con le metrature a loro disposizione in ambiente domestico, ci rendiamo conto che l’estrema prossimità tra animali rende facile la diffusione delle malattie. L’igiene dell’aria è un fattore critico per tutte le specie allevate in ambiente interno. Nessuna apparecchiatura potrà sostituire il ricircolo naturale continuo e permanente dell’aria
L’autore nel suo ambulatorio
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Il dr. Cattarossi con due suoi piccoli “pazienti”
per permettere agli uccelli di respirare senza rischio di inalazioni di polveri, ammoniaca, germi, ecc. Stress da manipolazione, esposizione-
competizione ornitologica, toelettatura-preparazione alle mostre, spostamenti e viaggi sono senza dubbio dei fattori che influenzano negativamente il buon funzionamento del sistema immunitario. L’alimentazione è da sempre argomento principe delle discussioni sulla salute degli animali e sulla loro capacità riproduttiva. Solitamente gli argomenti riguardano le esperienze personali o i presunti risultati ottenuti da colleghi allevatori. Mi sento di consigliare di spostare il tema della nostra discussione sulla corrispondenza tra quanto noi forniamo e quanto invece gli animali troverebbero in natura in quel determinato momento fisiologico. Mi spiego meglio. Dobbiamo studiare molto bene cosa gli uccelli da noi allevati consumano come alimento in natura nei diversi momenti dell’anno (riproduzione, svezzamento, muta, riposo riproduttivo) e cercare di dare un’alimentazione il più possibile simile a quanto offrirebbe loro madre natura. Se fossimo in grado di utilizzare le stesse essenze vegetali e gli stessi prodotti di origine animale che troverebbero in natura, fornendoli in maniera igienica e tecnicamente semplice, allora daremmo l’alimentazione perfetta ai nostri amici alati. Se ciò non fosse possibile, dovremmo ugualmente sforzarci, partendo magari da materie prime diverse da quelle originali, di fornire una alimentazione che corrisponda nei suoi contenuti di macro-elementi (carboidrati, proteine, grassi, vitamine e minerali) a quella che avrebbero in natura. L’alimentazione non è solo la via attraverso la quale gli animali assumono i “mattoncini” utili per la crescita e la rigenerazione del proprio organismo. Attraverso l’ingestione di particolari alimenti, gli uccelli nutrono il loro microbiota intestinale e stimolano le loro difese immunitarie intestinali e sistemiche. Approfondiamo quest’ultimo punto per chiarire un tema molto importante ed oggetto di una miriade di studi in tantissime specie proprio in questi ultimi anni. Il microbiota intestinale è l’insieme di tutti i microrganismi “buoni” presenti
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nell’intestino degli animali. È composto in buona parte da batteri, ma anche da protozoi, parassiti, lieviti, virus, ecc. Si parla in maniera semplicistica, ma evocativa, di “fermenti lattici”. Il microbiota della maggior parte delle specie animali deve ancora essere studiato e decifrato in tutta la sua complessità e varietà. Quello che sappiamo è che purtroppo le condizioni captive, lo stress, la cattiva alimentazione, l’utilizzo di molecole antibiotiche uccidono molta parte del microbiota. Quest’ultimo dovrà essere ricostituito dall’animale, assumendo sia i microrganismi, sia il loro nutrimento per la crescita dall’esterno, quindi anche con gli alimenti. Ecco perché l’alimentazione gioca un ruolo fondamentale per la salute degli animali, anche in termini di prevenzione di malattie infettive. Il sistema immunitario è l’insieme delle cellule e degli anticorpi che di-
fendono l’organismo dall’aggressione dei microrganismi. Un buon sistema immunitario è l’arma migliore per scongiurare lo sviluppo di una malattia. Anche il sistema immunitario può essere influenzato, sia in senso positivo che negativo, dagli stress e dall’alimentazione nei nostri amici alati. Riassumendo, quindi, non esistono garanzie di nessun tipo circa la possibilità di avere un allevamento libero da malattie e cali di produzione. Sappiamo, però, che la strada che porta al successo è sempre in salita e si compone di più gradini. Corretta selezione anche in relazione alla rusticità e cure parentali; igiene continua dell’ambiente di allevamento, delle mangiatoie, del beverino e dell’aria; ridotta densità di popolazione; alimentazione il più possibile simile a quella che avrebbero in natura. In aggiunta a questo è consigliabile utilizzare tutto l’anno delle sostanze (prebiotici, probiotici, postbiotici, fer-
menti lattici aviari) che favoriscano la salute del microbiota intestinale. È utile impiegare, nei momenti fisiologicamente più stressanti, prodotti fitoterapici (es. Echinacea) che stimolino la risposta immunitaria dell’organismo. Anche antibiotici naturali come gli Estratti di semi di Pompelmo possono essere un valido aiuto per la selezione della flora intestinale. È utile acidificare il tratto digerente fornendo con la dieta sostanze naturalmente acidificanti per creare un ambiente sfavorevole alla crescita di microrganismi dannosi a livello di stomaco ed intestino. Prima di usare qualunque molecola farmacologica, e soprattutto sostanze antibiotiche, è importante rivolgersi ad un medico veterinario esperto in patologia degli uccelli ornamentali. Per informazioni e per scrivere al dr. Diego Cattarossi: diego.cattarossi@veterinaricasalesulsile.com
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CRONACA
Associazione Ornitologica Messinese Una gloriosa tradizione ornitologica che prosegue di FRANCESCO BADALAMENTI, foto di Arnaldo Oliva
I
l 1° maggio del 1946 veniva costituita una Sezione di Canaricoltura a Messina, con lo scopo di riunire gli appassionati ornicoltori della provincia che, attraverso lo scambio di informazioni, potevano migliorare le condizioni per un corretto allevamento di uccelli domestici sia a scopo ornamentale che espositivo. Promotore il Cav. della Rovere, il quale prese spunto da un appello lanciato nella rivista “Uccelli da gabbia e da voliera”, pubblicata il 15 gennaio 1946, con cui il Dott. Fernando Savino invitava gli appassionati ad aprire sezioni di canaricoltura in tutto il territorio nazionale. Nel frattempo, sempre sulla spinta del Dott. Savino, nasceva nel 1947 a Modena l’Associazione Nazionale di Canaricoltura, con lo scopo di coordinare l’attività di tutte le sezioni esi-
stenti sul territorio nazionale. La rivista del Dr. Savino veniva proclamata Organo ufficiale di collegamento e veniva varato lo statuto dell’A.N.C. Intanto, l’attività della sezione di Messina accresceva il suo prestigio, non subiva soste, migliorava sempre più l’efficienza del sodalizio, aumentava il numero dei soci; si delineava l’avvenire di quella che sarebbe diventata l’Associazione dalla gloriosa tradizione. In occasione del 2° Congresso Nazionale di Canaricoltura di Reggio Emilia nel 1947, l’A.N.C. prendeva il nome di “Federazione Nazionale di Canaricoltura” con sede proprio a Reggio Emilia; veniva eletto Presidente il Sig. Mario Fratti. Le varie Sezioni via via cambiavano denominazione e anche quella messinese si chiamò “Associazione Ca-
Tabella Parco di Villa Dante
Le voliere di Villa Dante sede dell’A. O. Messinese
Dirigenti della Messinese, prima metà degli anni '90
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Attività dell’Ass. Messinese con le scuole: Ornitologia e didattica
naricola Messinese”. Le Associazioni affiliate alla Federazione Nazionale erano in tutto 13. Nel 1948, l’Associazione di Messina chiese ed ottenne dalla Federazione Nazionale l’autorizzazione a svolgere la sua prima mostra ornitologica che si effettuò nel novembre dello stesso anno. La manifestazione ebbe molto successo ed essendo la prima Associazione operante in Sicilia, incominciarono a pervenire richieste di adesione da parte di allevatori provenienti da Palermo, Catania, Reggio Calabria, ecc. Nel corso del 4° Congresso Nazionale veniva approvato l’obbligo di anellamento dei canarini con anellini chiusi che dovevano portare la sigla dell’Associazione, le iniziali dell’allevatore, il numero progressivo e l’anno di nascita. Intanto l’Associazione messinese otteneva la sua prima sede sociale. Il locale veniva concesso dal Comm. Vittorio Tupone che concedeva una stanza del suo ufficio in via 1° Settembre, 140. Come già programmata, si svolgeva a Messina nel dicembre del 1949 la 2^ Mostra Ornitologica; l’esposizione avveniva nelle sale del Bar Nettuno di via Garibaldi, con larga partecipazione di espositori provenienti da altre province e con un notevole afflusso di pubblico. Nello stesso mese, la Federazione Nazionale di Canaricoltura otteneva con Decreto n. 1166 del Presidente della Repubblica del 15-12-1949, il riconoscimento giuridico.
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Sempre nello stesso anno, il Sig. Fulvio Carraro fondava a Milano l’Unione Allevatori Canaricoltori Italiani, con l’intento di sostituire la Federazione, ma già nel 1951 tale Unione veniva sciolta. Con l’unificazione, la Federazione assumeva una nuova dicitura e precisamente “Federazione Ornicoltori Italiani”, Presidente Avv. Cesare Bossi. L’Associazione messinese si apprestava a presentare la sua 4ª Mostra nel salone di ingresso dell’Albergo “Belvedere” sul viale S. Martino. La Mostra veniva inaugurata dal Prefetto di Messina e la presenza di Alte Autorità conferiva prestigio all’Associazione messinese evidenziandone la vocazione al consociativismo. Nel 1960, a seguito della fusione fra associazioni Ornitologiche “Siciliana” e “Peloritana”, la nuova Associazione prendeva il nome di “Associazione Ornitologica Messinese” e i due Consigli Direttivi si fondevano in uno solo presieduto dal Comm. Giuseppe Arena. L’Associazione trasferiva la sua Sede Sociale in Messina - via Ghibellina, isolato 131. L’Associazione Messinese è la più antica in Sicilia e una tra le più antiche in Italia; nasce ancor prima della F.O.I., ne rappresenta un apprezzabile tassello ed è parte integrante della sua storia ornitologica. Per ben comprendere ciò, basta rammentare alcuni eventi o ricordare soltanto alcuni tra i più autorevoli nomi di riferimento per l’Associazione. Sono certo che in pochi ricordano o neanche sanno che:
- tra il 1965 e il 1970, sotto la Presidenza Federale dell’Avv. Giovanni La Cava, la sede della Federazione Ornicoltori Italiani era stata trasferita a Messina; - nei primissimi anni ’70, a seguito delle vigorose battaglie a sostegno del decentramento amministrativo, condotte all’epoca dal giovane Giovanni Chillè, la città di Messina vide dare alla luce i Raggruppamenti della F.O.I. In sintesi, da Messina partirono i primi movimenti per valorizzare i territori regionali e lì furono concertate le prime regole per la gestione dei Raggruppamenti; - nel 1974 il primo Presidente del Raggruppamento Interregionale Calabro-Siculo è stato il Comm. Giovanni Lanese (papà del famoso arbitro di calcio Tullio Lanese della Sezione di Messina, quest’ultimo compagno di banco di Arnaldo Oliva, colui che ha messo a disposizione alcune sue foto e che in qualche modo ha dato lo spunto per la redazione di questo articolo). Cittadino di Messina era anche il Cav. Riccardo Della Rovere, codice RNA 0028 (non proprio l’ultimo arrivato) che è stato Segretario della F.O.I., collaboratore assiduo di numerose riviste e della stampa dell’epoca, dell’Encia, del Giornale degli Uccelli. Della Rovere era particolarmente dedito alla crescita culturale dei più giovani e per moltissimi anni è stato iperattivo gestore della sede sociale dell’Associazione, sita in Messina nella storica via Ghibellina, is. 131.
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Messina era anche la città dell’Ing. Giovanni Chillè, per oltre cinquant’anni impegnato su più fronti nel mondo dell’ornitologia internazionale, a lungo Vicepresidente della F.O.I., Giudice e tecnico della CTN del Colore (co-autore dei primi criteri di giudizio) e Presidente del Raggruppamento Interregionale Calabro-Siculo, a mio parere una tra le più importanti figure dell’ornitofilia amatoriale. Il Dott. Arnaldo Oliva uomo di fiducia del compianto Giovanni Chillè, è stato per tantissimi anni figura di spicco del Consiglio Direttivo Regionale (ho avuto il privilegio di averlo nella mia squadra quando ero alla guida del Raggruppamento), è stato a lungo Presidente dell’Associazione Ornitologica Messinese; costantemente coadiuvato dal fratello Dott. Orazio Oliva, suo perenne braccio destro, ha raccolto e custodito le notizie storiche della sua Associazione.
Tra i Siciliani, in tanti abbiamo mosso i primi passi nel mondo F.O.I. proprio nella sede di Via Ghibellina a Messina. Molti di noi, ancora oggi impegnati con differenti ruoli e incarichi federali e internazionali, si sono conosciuti per la prima volta proprio a Messina. Lì ci incontravamo per le riunioni, per le assemblee regionali, per frequentare i corsi Allievi-Giudici, coordinati dal Dott. Giovanni Musumeci (all’epoca a Messina poiché studente universitario presso la locale Facoltà di Scienze Veterinarie), per tutte le iniziative che concertavamo insieme alle Associazioni Ornitologiche della Calabria. La Messina Ornitologica è stata quindi per tanto tempo l’anello di collegamento, il supporto fondamentale che ha consentito di cementare tante amicizie che, a dispetto del tempo, proseguono tutt’oggi. Trasformatasi in Onlus nella prima metà degli anni ’90, l’Associazione
Messinese, oltre che per le manifestazioni ornitologiche sportive espositive, ha sempre avuto una cura speciale per la divulgazione, una meticolosa attenzione nell’organizzazione di seminari, di convegni e di incontri tecnici di ornitofilia. Con Decreto Assessoriale Regione Siciliana del 22 giugno 1998 è Associazione Ambientalista riconosciuta. Da una ventina d’anni a questa parte, all’A.O.M. è stata affidata la gestione dei locali e delle voliere site all’interno di Villa Dante (vedi l’articolo pubblicato su Italia Ornitologica nel 2005 a firma di Ignazio Sciacca), polmone verde della Città e abitualmente frequentato da giovani, da famiglie e scolaresche. Da allora la sede di Villa Dante, sita in un’area adiacente i locali della piscina comunale, è stata luogo di tante belle manifestazioni ornitologiche, di riunioni del R.O.S., di attività sociali e Arnaldo Oliva, ancora oggi Consi-
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gliere A.O.M., si occupa costantemente della gestione delle voliere didattiche che, adeguatamente rimodernate, contengono variopinti uccelli (Colini della Virginia, Pappagallini ondulati, Inseparabili, Diamanti mandarino, Tortore diamantine, Coturnici e altri uccelli ornamentali). La struttura è stata trasformata in un parco ornitologico naturalistico. L’instancabile Arnaldo Oliva, che guida e accompagna i giovani visitatori, ha un sogno nel cassetto: quello di realizzare, con il sostegno dell’amministrazione comunale, un museo ornitologico con finalità di raccolta, studio e esposizione di materiali e reperti naturalistici, con particolare riferimento all’ambiente Messinese. Il progetto prevede la realizzazione di bacheche, diorami, di un terracquario, di plastici, l’esposizione di raccolte fotografiche e la realizzazione di un laghetto naturale attrezzato per la sosta di uccelli acquatici. L’area geografica dello stretto di Messina è riconosciuta da esperti mondiali come una zona fortemente ricca di biodiversità e attraversata da notevoli flussi migratori; sussistono quindi le condizioni per l’Associazione Ornitologica Messinese per attivare nuovi progetti e proseguire la gloriosa tradizione. L’attuale presidente e punto di riferimento dell’Associazione Orn. Messinese, Nico Impollonia, Giudice OMJ del Colore, è coadiuvato da un operoso Consiglio Direttivo, quindi il futuro di una tra le più prestigiose Associazioni della F.O.I. continua a essere in buone e sicure mani.
Il Dott. Arnaldo Oliva
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La biodiversità tra i monti Peloritani e lo Stretto di Messina testo e foto di Arnaldo Oliva
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a catena dei monti Peloritani che si affacciano sullo Stretto di Messina è interessata nei periodi primaverili ed autunnali da un notevole flusso di uccelli migratori. Alcuni dei nostri soci, soprattutto gli anziani, sono interessati al fenomeno migratorio che diventa oggetto di discussione in occasione degli incontri associativi. Anche la nostra Associazione è stata più volte impegnata a prendere parte ad incontri con scolaresche per illustrare questo fenomeno. La prestigiosa mostra fotografica di cui siamo dotati arricchisce questi eventi. Invitati dall’ing. Cancellieri, presidente del Centro Educazione Ambientale di Messina, ci siamo recati più volte con Franco Alessi sui laghi di Ganzirri per studiare i luoghi dove poter proporre la installazione di capanni per ospitare visitatori e turisti che lamentano questa mancanza. Questi laghetti fanno parte di un piccolo sistema lagunare che si è evoluto nel tempo, dando luogo oggi ai due laghi (di Ganzirri e di Torre Faro) collegati tra loro dal canale Margi. Il Lago di Torre Faro è collegato con il Tirreno mediante il canale detto degli Inglesi, in quanto costruito dagli inglesi nel 1830, e con lo Ionio con il canale Faro, mentre il Lago di Ganzirri è collegato con lo Ionio con i canali Catuso e Due Torri. I due laghi vengono alimentati da falde freatiche e da alcuni torrentelli che si formano in occasione di piogge, ma anche attraverso i canali che li collegano al mare, contribuendo così a creare le acque salmastre divenute ricche di fauna ittica. La ricchezza di cibo favorisce il
riposo degli uccelli migratori, soprattutto Cormorani, Aironi cenerini e Garzette che, trovandosi a metà percorso del loro lungo viaggio migratorio, prolungano la loro sosta appoggiandosi sui pochi pali rimasti una volta utilizzati dai produttori di cozze. Una presenza abbastanza importante di uccelli di grossa taglia che facilmente vengono osservati e notati anche dai meno esperti: nei miei lunghi appostamenti ho potuto osservare Beccapesci, Tuffetti, Sterne, Volpoche ed anche alcuni limicoli come il Piro piro ed il Martin pescatore. Qualche rara apparizione del Falco pescatore arricchisce la lunga passerella che ci riservano annualmente questi uccelli migratori. Chi è un appassionato del birdwatching farà della riserva di Capo Peloro uno dei suoi posti preferiti per praticare l’osservazione degli uccelli. L’area è interessata inoltre da un ampio flusso migratorio di Fringillidi; ne sono state censite circa 180 specie. Intorno ai bacini lacustri e di palude, troviamo dei canneti di notevole estensione e cariceti dagli enormi ciuffi. Nelle parti di acquitrino possiamo trovare delle tife e ninfee bianche, vicino ai comuni giunchi e agli iris gialli e numerose altre specie di piante e fiori acquatici. La concentrazione di uccelli migratori sulle acque e a riva dei due laghi offre per buona parte dell’anno uno spettacolo eccezionale, dovuto soprattutto all’abbondanza degli animali: Germani reali, Folaghe, Morette e Moriglioni, Fischioni e Alzavole formano gruppi a volte numerosi, alcune specie come il Martin pescatore, la Gallinella d’acqua e i Germani reali risultano nidificanti.
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I laghi di Ganzirri (ME) con le carte in regola per diventare MAB Unesco ed Area Ramsar
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Martin pescatore
Aironi cenerini
a Convenzione Internazionale relativa alle zone umide di importanza internazionale, soprattutto come habitat degli uccelli acquatici, meglio nota come Convenzione di Ramsar, è un atto firmato a Ramsar (Iran) il 2 febbraio 1971 da un gruppo di Paesi, istituzioni scientifiche ed organizzazioni internazionali partecipanti alla Conferenza internazionale sulle zone umide e gli uccelli acquatici, promossa dall’Ufficio Internazionale per le Ricerche sulle Zone Umide e sugli Uccelli Acquatici (International Wetlands and Waterfowl Research Bureau). Il Programma MAB (Man and the Biosphere) è stato avviato dall’UNESCO negli anni ’70 allo scopo di migliorare il rapporto tra uomo e ambiente e ridurre la perdita di biodiversità attraverso programmi di ricerca e capacity-building. Il programma ha portato al riconoscimento, da parte dell’UNESCO, delle Riserve della Biosfera, aree marine e/o terrestri che gli Stati membri s’impegnano a gestire nell’ottica della conservazione delle risorse e dello sviluppo sostenibile, nel pieno coinvolgimento delle comunità locali. Scopo della proclamazione delle Riserve è promuovere e dimostrare una relazione equilibrata fra la comunità umana e gli ecosistemi, creare siti privilegiati per la ricerca, la formazione e l’educazione ambientale, oltre che poli di sperimentazione di politiche mirate di sviluppo e pianificazione territoriale. In tutto il mondo vi sono attualmente 621 Riserve, di cui 9 in Italia: - Valle del Ticino (Lombardia/Piemonte) 2002 - Monviso (Piemonte) 2013 - (Friuli Venezia Giulia) 1979 - Selva Pisana (Toscana) 2004 - Arcipelago Toscano (Toscana) 2003 - Circeo (Lazio) 1977 - (Molise) 1977 - Cilento e Vallo di Diano (Campania) 1997 - Somma-Vesuvio e Miglio d’Oro (Campania) 1997 L’UNESCO ha promosso la creazione di un network mondiale delle Riserve della Biosfera al fine di promuovere su scala internazionale lo scambio di studi, ricerche, strumenti di monitoraggio, percorsi educativi, formativi e partecipativi realizzati all’interno delle Riserve stesse.
Sterna a pesca
Garzetta
Laghi di Ganzirri e di Torre Faro
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ALIMENTAZIONE
L’Aspraggine Brutta da vedere, buona da mangiare e molto salutare testo e foto di PIERLUIGI MENGACCI
Premessa Fra tutte le piante erbacee mangerecce, quelle che raccolgo senza tanto entusiasmo, pur essendo molto buone da mangiare, sono le Aspraggini. Alla vista non hanno un bell’aspetto e al tatto è anche peggio, in quanto sono ruvide, ricoperte da peluria e… certamente non ti invitano a farsi raccogliere! Solo in autunno, dopo una bella pioggia e a fine inverno, quando i campi sono ancora brulli e l’ultima neve si sta sciogliendo, la rosetta basale si presenta con foglie molto tenere, di color verde chiaro e povere di peluria, mi cimento nella raccolta. Trascorsi alcuni giorni dalla comparsa, la crescita è veloce; soprattutto l’Aspraggine volgare diventa una pianta con foglie pelose, ruvide, leggermente irritanti e piene di “brufoli”, veramente brutta da vedere! Mi ricordo che un giorno, nelle solite uscite con mia nonna Ersilia a raccogliere erbe di campagna, mentre la nonna mi dava da mettere nel cestino alcune erbe, esclamai: - Come sono brutte e pelose queste erbe, nonna, cosa sono? Hanno la rogna? Sono buone da mangiare? -. La nonna, a volte, era anche un po’ burlona e, parafrasando un antico proverbio, mi rispose: -Fiol mia, le sprasne, na volta cot, le perde el pel, ma l’en perd el vizi... da essa bon da magnè! - (Figlio mio, le Aspraggini, una volta cotte, perdono il pelo ma non il vizio…. di essere buone da mangiare!). E così, anche le Aspraggini sono entrate nel novero delle piante commestibili di mia conoscenza. Ad ogni raccolta, per ovviare alla mia ritrosia alla peluria delle foglie, mi ripeto sempre: - Dai, Gigi: cot… le perde el pel! -.
Cenni botanici e storici La Aspraggine appartiene alla famiglia delle Asteracee o Composite. È una pianta erbacea polimorfa annuale con diverse sottospecie. Le varietà più conosciute e commesti-
Dal libretto dei miei appunti orto-ornitofili e non solo
Aspraggine comune (Picris hìeraciodes) nel giardino dell’autore
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Aspraggine in fiore
Aspraggini appena raccolte
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bili sono l’Aspraggine volgare o Spraggine (nome scientifico Helminthia echioides - già Picris echioides -) e l’Aspraggine Comune (nome scientifico Picris hieracioides). Entrambe si trovano molto facilmente in tutta Italia (anche se la Picris echioides è molto rara nella Pianura Padana) fino all’altezza di 1000 metri circa, sia nei campi coltivati che negli incolti, ai bordi delle strade di campagna, nei parchi, nei giardini, nelle fessure dei marciapiedi o di vecchie murature. Le differenze, ben visibili nelle fotografie allegate, si notano soprattutto nelle foglie, anche se in entrambe le specie sono di forma molto variabile. La Aspraggine comune (Picris hieracioides) si differenzia dalla cugina Aspraggine volgare (Helminthia echiodes) soprattutto per le foglie basali più strette, che non sono spatolate ma lanceolate, ottuse o acute, intere o grossolanamente dentate, con la nervatura mediana rossiccia; pur essendo anch’essa ispida e pelosa su foglie, fusto e brattee, non ha i cosiddetti “brufoli” o “verruche biancastre” sulle foglie. Sono entrambe provviste di una radice fittonante abbastanza robusta, di un fusto eretto, ramoso e cilindrico, di altezza variabile, composto da una rosetta di foglie basali di colore verde intenso con ispida peluria, che troviamo anche nel fusto e nelle altre foglie. Il fusto può raggiungere un’altezza di circa un metro e, se spezzato, emette un lattice appiccicoso e amaro, come la rosetta basale, quando la si raccoglie. I fiori delle due aspraggini sono, invece, molto simili: escono dai peduncoli ascellari che si sviluppano nella parte terminale del fusto e sono raccolti in piccoli capolini. Sono di colore giallo dorato e rossicci sotto; nella mia zona, sono presenti da maggio a tutto ottobre e novembre, a seconda delle temperature. I frutti sono degli acheni ruvidi, fusiformi, a striature trasversali, con pappi di peli abbastanza persistenti che, portati dal vento, permettono la disseminazione di semini molto fertili che danno origine a tante pianticelle. I fusti, con i capolini pieni di semini, li raccolgo durante l’estate per metterli
a disposizione dei miei canarini, che ne sono ghiotti, durante la muta. I semi, che hanno uno sviluppo veloce, germogliano alle prime piogge o temporali estivi ed emettono le prime rosette basali ai primi di ottobre. Durante i mesi estivi la pianta è in piena vegetazione e fruttificazione. Etimologia (da https://it.wikipedia.org/) Il nome del genere (Picris) deriva da una parola greca (pikros) il cui significato è “amaro” e si riferisce al sapore aspro della pianta. Altri autori fanno riferimento al lattice bianco molto amaro che esce dagli steli recisi o dalla rosetta basale. Nella storia e nella mitologia troviamo poche informazioni su questa pianta erbacea. Sicuramente il suo aspetto non è mai stato attraente! Per i popoli antichi era consuetudine associare la forma ed il colore delle cose presenti in natura a parti del corpo umano oppure a stati d’animo, sentimenti ed emozioni. Quindi l’Aspraggine, ispida, pelosa, “brufolosa” e “urticante”, come gli aculei o le spine di altre piante, veniva associata al dio della guerra, Ares (Marte), o ad altri dei. Per questo motivo certe piante venivano usate per curare le ferite, le asprezze della vita, per allontanare il malocchio, gli spiriti maligni e per altre superstizioni. Proprietà ed usi Le Aspraggini, come la maggior parte delle cicorie, dei crespigni o dei radicchi selvatici, vanno raccolte quando la rosetta basale è ricca di foglie ancora tenere e con pochi peli. La pianticella va recisa sopra la radice al pari del terreno e, come ho già scritto in precedenti articoli per le altre erbe, anche in questo caso col taglio favoriamo il suo ricaccio e ci assicuriamo il rinnovo della pianta per una ulteriore raccolta. Il periodo migliore per beneficiare delle sue proprietà è a fine inverno, quando la natura si risveglia e si rinnova. Anche il nostro corpo, dopo un inverno “sedentario” ed una alimentazione spesso ricca di grassi e zuccheri, ha bisogno di rinnovarsi ed è in questo periodo che la natura ci offre una vasta scelta di erbe spontanee; fra queste,
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le Aspraggini sono quelle che maggiormente contribuiscono alle esigenze del nostro organismo. Come tutte le erbe selvatiche che ricrescono, sono ricche di principi attivi e stimolano, con il loro gusto amarognolo, le funzioni del fegato; sono di aiuto nel metabolismo dei grassi, per eliminare le tossine accumulate durante il periodo invernale e per il rinnovo cellulare. Entrambe le piante (A. volgare e A. comune), oltre al contenuto di sali minerali (in modo particolare Potassio, Calcio e Ferro) sono ricche di vitamine C, D e K, polifenoli e fibre. L’alto contenuto di fibre contribuisce a regolarizzare la funzionalità intestinale e a ridurre l’assorbimento di zuccheri e grassi. I polifenoli, essendo degli antiossidanti, possono contribuire a contrastare l’insorgere di alcune malattie degenerative, mentre le sostanze amare stimolano la secrezione dei succhi gastrici e della bile, migliorando i processi digestivi. Pertanto, le Aspraggini hanno proprietà rinfrescanti, stomatiche, digestive, coleriche, depurative, diuretiche, antinfiammatorie ed emostatiche. Nella medicina popolare, oltre ad essere utilizzate per le suddette proprietà, era in uso fare una poltiglia con le foglie per curare piccole ferite o per far cessare le emorragie, oppure si usava spalmarla sulla fronte per alleviare i mal di testa. A mio avviso, detta poltiglia potrebbe essere un ottimo rimedio naturale nel caso di piccole escoriazioni su zampe ed ali dei nostri volatili, come anche in casi di pica. In erboristeria si consigliano tisane digestive e depurative preparate con le sue foglie e decotti per disinfettare ferite, per la cura delle piaghe e delle escoriazioni. Dal punto di vista culinario, per quanto il suo aspetto non sia tanto invitante alla raccolta, per me è una delle piante spontanee commestibili più buone da consumarsi. Lessata o cotta assieme ad altre verdure, si presta a vari piatti quali frittate, torte salate, ripieni di ravioli, cascioni ecc… Insieme ad altre erbe, è ottima saltata in padella con aglio, olio, peperoncino e, se ci mettiamo dei dadini di pancetta, ne esalteremo il gusto e il profumo… una vera prelibatezza!
Nelle sagre paesane del mio paese (Festa dei Cacianès) o della vicina Romagna o nel Pesarese, l’Aspraggine è molto usata per farcire le piadine assieme alla salsiccia ed altre erbe di campagna. Uso per i nostri volatili Nell’alimentazione dei nostri volatili granivori, è un’ottima pratica, adottata soprattutto da allevatori di E.F.I., somministrare anche l’Aspraggine come la cicoria selvatica, crespigno, tarassaco e tante altre piante prative, raccogliendo le spighe ancora non completamente secche e servirle ai nostri uccelli in gabbia o in voliera. I semi, ancora sulla spiga o sui fiori, oltre ad essere portatori di tutte le proprietà nutraceutiche contenute, svolgono anche un importante ruolo anti-stress. Infatti gli uccelli, mentre si cibano delle infiorescenze, si trastullano alla ricerca del semino più appetibile e soprattutto riducono l’aggressività verso i consimili (pica). Una raccomandazione sempre attuale è quella di raccogliere semi di prato e/o spighe in zone lontane da strade trafficate onde evitare contaminazioni da smog e gas di scarico e così essere certi della genuinità del seme, o me-
glio ancora raccoglierle in campi e prati dove si è sicuri che non siano stati irrorati pesticidi, diserbanti o anticrittogamici non biologici. Altra mia costante è l’acqua di cottura; non mi stancherò mai di nominarla ogniqualvolta si parla di erbe di campagna commestibili. Non gettiamola, ha una infinità di utilizzi! Come ho già scritto in miei precedenti articoli, il commercio mette a disposizione miscele di semi chiamati semi condizionatori o semi della salute in cui sono inseriti tutta una serie di semi prativi e/o selvatici che hanno la peculiarità di apportare notevoli benefici all’organismo degli uccelli, derivanti dalle proprietà benefiche e depurative contenute da questi semini. Oltre a fornire un alimento alternativo e soprattutto complementare, non sostitutivo della miscela semi di base, hanno anche lo scopo di variegare la dieta e ridurre lo stress da gabbia. Serviti due o tre volte la settimana nelle apposite linguette o mescolati nel pastoncino, otteniamo due benefici: integriamo l’alimentazione con elevate proprietà nutraceutiche ed eliminiamo lo stress da gabbia, come già detto in precedenza, in quanto i nostri volatili
Aspraggine volgare (Helminthia echioides) nell’orto dell’autore fra due piante di scalogno
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saranno impegnati per molto tempo a scegliere il seme più gradito. Non hanno controindicazioni, occorrono solamente alcune precauzioni: siano germinabili, non polverosi e mantenuti in ambiente asciutto e possibilmente in contenitori chiusi onde evitare varie contaminazioni. Conclusione A proposito di “contaminazioni”, colgo l’occasione, a chiusura di questo mio scritto, di raccontarvi un episodio accadutomi anni or sono. Un Socio allevatore di canarini di colore della mia Associazione APO Pesaro mi ha chiamato per un parere sull’utilizzo di alcuni semi ed erbe di campagna e per un giudizio su alcuni accoppiamenti. L’allevamento è sito al piano seminterrato di una villetta bifamiliare. Franco mi riceve sulla porta e prima di entrare nella stanza dei canarini, con i piedi su di un tappeto, mi disinfetta la suola delle scarpe con una spruzzata di steramina, dicendomi: - Abbi pazienza Gigi, le scarpe sono portatrici di germi e batteri; onde evitare contaminazioni, meglio prevenire -. Rimango un po’ sorpreso, ma lo capisco perfettamente.
Entrati, ordine e pulizia mi lasciano a bocca aperta. Franco prende subito una scopa e, dicendomi di parlare sottovoce, mi precede durante l’ispezione delle coppie, per raccogliere eventuali bucce, semi o altro caduto sul pavimento. Controllati gli accoppiamenti, passiamo in un’altra stanza, tipo cucinetta, con lavandino, frigorifero, mensole e armadietti. Anche qui ordine e pulizia; non c’è una cosa fuori posto, a partire dall’attrezzatura per l’allevamento e una serie di secchi chiusi, impilati due a due. Prende un secchio e, postolo sul tavolo al centro della stanza, lo apre e mi chiede se il contenuto sia idoneo e quanto e come possa darlo ai canarini. Guardo dentro, mi sembrano dei semi condizionatori e ci infilo subito una mano. Non l’avessi mai fatto! – Nooo, Gigi, non con le mani! - interrompe la mia azione e mi porge il cucchiaio presente sul tavolo. - Io adopero sempre un cucchiaio. Le nostre mani possono essere state in contatto con germi e batteri e possono contaminare tutto quello che toccano! -. Rimango “scioccato”. Ritiro velocemente la mano e con il cucchiaio prelevo dei semi per verificare se avessi
Aspraggine volgare (Helminthia echioides) nel giardino dell’autore
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visto bene. Sono veramente “semi condizionatori” belli, puliti, depolverati e ricchi di semini di erbe prative. Dopo una breve disquisizione su come somministrali, gli chiedo perché, invece di tenerli nel sacchetto originale, li abbia versati in quel secchio. La sua risposta è questa: - Vedi tutti quei secchi? Ognuno contiene semi vari e pastoncini. Dopo aver acquistato qualsiasi tipo di semi, anche se confezionati in busta, sottovuoto o in sacchi di carta, li depolvero all’aria e li metto in questi secchi con chiusura ermetica al riparo della luce; la stessa cosa vale per i pastoncini, così evito che polveri e sporco possano contaminarli creando non pochi problemi alla salute dei canarini. Come vedi, tutte le stanze sono asciutte, non c’è umidità e cerco di tenerle pulite, disinfettate e disinfestate al meglio. Scusami per prima, l’igiene, in un ambiente dove ci sono animali, per me è la prima cosa! Sono un maniaco delle contaminazioni; mio nonno diceva che “la pulizia la sta ben anca tla stala del baghén!”, ovvero “la pulizia sta bene anche nella stalla del maiale” -. Fra tanti allevatori che in quel periodo visitavo anche come Presidente dell’Associazione e Giudice di Canarini di
Aspraggini in fiore nel giardino dell’autore
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Colore, non ho mai incontrato un personaggio come Franco. Forse il suo lavoro (faceva l’infermiere) lo portava ad essere un vero “maniaco dell’igiene”, cosa che si rifletteva anche nell’allevamento dei canarini. Oggi, che viviamo in regime di pandemia, dove è d’obbligo lavarci e disinfettarci le mani ed altri oggetti in continuazione per non essere contaminati da questo virus maledetto, ogni volta che mi reco dal parrucchiere, dove, prima di entrare mi disinfettano la suola delle scarpe e, guarda caso, mi ripetono le stesse parole di Franco (“Abbi pazienza, Gigi, le scarpe sono portatrici di germi e batteri, onde evitare contaminazioni”), apprezzo ancor più le “manie d’igiene” che Franco che mi ha trasmesso! Ad maiora! Fonti - https://it.wikipedia.org - E. Lazzarini, “Le erbe selvatiche”, Hoepli
Aspraggine comune (Picris hieracioides) nel giardino dell’autore
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O rniFlash Una nuova garzaia in Provincia di Lodi: speriamo di poterla proteggere e conservare
News al volo dal web e non solo
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olte delle specie di uccelli diffusi nelle zone umide della Pianura Padana, durante il periodo della nidificazione, si aggregano in colonie riproduttive. Queste colonie vengono definite con il termine locale di “garzaie” e accomunano alcune specie di ardeidi come: aironi cenerini, guardabuoi, garzette, nitticore, sgarze ciuffetto ecc. che hanno l’abitudine di occupare alti alberi e/o grossi cespugli presso zone umide e acquitrinose. Lo zoologo Giovanni G. Bellani racconta: “Studiando una zona umida in provincia di Lodi, una lanca abbandonata da un fiume, nei pressi del luogo dove risiedo, nel 2020 ho notato una presenza di aironi molto cospicua e con mia grande sorpresa ho notato che stavano nidificando: vi erano aironi cenerini, guardabuoi, garzette e, come spesso ormai succede in molte garzaie, anche alcune coppie di cormorano comune. Ho censito in modo molto sommario, al fine di non disturbare, più di quaranta nidi. Fortunatamente all’inizio del 2021 gli aironi cenerini hanno iniziato a nidificare nuovamente, seguiti in primavera da un numero ancor maggiore, rispetto all’anno precedente, di coppie di aironi guardabuoi, garzette e cormorani; con mia grande sorpresa anche uno stormo di una ventina di ibis sacri ha iniziato a frequentare la garzaia e le zone umide della lanca, anche se non ho potuto verificare in modo sicuro la loro nidificazione. Ho quindi stilato una relazione sulle presenze floro-faunistiche della lanca, aggiungendo abbondanti raccomandazioni su quelle che sono le operazioni da mettere in atto per proteggere la garzaia da disturbo antropico (schermi in materiale naturale per occultare la presenza di persone, segnalazioni per circondare il perimetro di rispetto della zona protetta ecc.), e interventi di miglioramento e ripristino ambientale nelle zone presso la garzaia dove gli aironi spesso scendono per procurarsi il cibo. Ho proposto infine la messa in loco di pannelli esplicativi che illustrino il fenomeno delle lanche e delle garzaie, da posizionare su eventuali sentieri ed itinerari didattici da studiare accuratamente. Il sito dove si è formata la lanca viene nominato in alcuni documenti relativi alla Direttiva habitat e Natura 2000 della Comunità Europea: “ELENCO DEI 167 SITI DI GARZAIE ATTIVE IN LOMBARDIA NEL 2017 ALLEGATO G1”. Viene considerato come Zone di Particolare Rilevanza naturale ed ambientale e quindi individuato nell’Allegato A della Legge Regionale 86/83 sulle aree protette. Fonte: https://rivistanatura.com/una-nuova-garzaia-in-provincia-di-lodi-speriamo-di-poterla-proteggere-e-conservare/
Australia: un uccello imita perfettamente il pianto di un bambino
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sistono vari uccelli in grado di riprodurre i suoni e perfino le parole pronunciate da noi umani, spesso con una somiglianza “all’originale” davvero impressionante. È ciò che è accaduto al Taronga Zoo di Sydney in Australia, dove un uccello ha imparato ad emettere un suono agghiacciante, incredibilmente simile ad un bambino. L’esemplare prende il nome di Echo ed appartiene alla specie della Menura novaehollandiae, nota come Lira, un passeriforme del genere Menura. Si tratta di una specie che si contraddistingue per un’incredibile abilità nel ricreare i suoni ascoltati negli ambienti circostanti, oltre che per un canto che il naturalista britannico David Attenborough ha definito come “il più elaborato, complesso e bello” tra gli uccelli. In questo caso, la somiglianza con il pianto di un bambino fa davvero rabbrividire, tanto da renderlo praticamente indistinguibile dai vagiti di un piccolo. Per gli esperti dello zoo, il comportamento è stato registrato per la prima volta circa un anno fa, mentre la struttura era chiusa per l’emergenza legata al COVID, ma pare che l’abbia appreso dagli ospiti che hanno frequentato la struttura nel periodo precedente al blocco. Ma non è solo il pianto di un bambino ad essere riprodotto in maniera fedele dall’uccello. Gli addetti segnalano, infatti, anche il trapano elettrico e un allarme antincendio, affiancato dal tipico annuncio “evacuare ora”. Per gli esperti, il comportamento è spesso associato al corteggiamento e la riproduzione, con le femmine che lo usano anche come strumento di difesa, imitando i richiami dei predatori. Fonte: https://www.scienzenotizie.it/2021/09/06/australia-un-uccello-imita-perfettamente-il-pianto-diun-bambino-e-agghiacciante-il-video-0847844
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O rniFlash Il cambiamento climatico sta facendo cambiare forma ad alcuni animali a sfida del cambiamento climatico porterà inevitabilmente le specie animali del pianeta, uomo compreso, a doversi adattare a un clima diverso. Sembrerebbe che alcuni animali stiano già sperimentando dei cambiamenti morfologici che potrebbero permettere loro di essere più competitivi nella lotta per la sopravvivenza in un mondo più caldo. Sara Ryding, ricercatrice presso la Deakin University in Australia e autrice della ricerca pubblicata martedì 7 settembre 2021 sulla rivista Trends in Ecology & Evolution, afferma che sono gli uccelli gli animali maggiormente colpiti da questi cambiamenti adattivi. Molte specie stanno sviluppando becchi, zampe e orecchie più grandi che consentirebbero loro di regolare meglio la temperatura corporea man mano che il pianeta diventa sempre più caldo. Tuttavia, gli studiosi non sono certi dell’efficacia di questi cambiamenti. Tra gli animali esaminati nello studio, i ricercatori hanno riscontrato i maggiori cambiamenti in alcune specie di pappagalli australiani. Questi uccelli hanno avuto un aumento delle dimensioni del loro becco tra il 4% e il 10% in media dal 1871. “Significa che gli animali si stanno evolvendo, ma non significa necessariamente che stiano affrontando il cambiamento climatico. Possiamo vedere che alcune specie hanno avuto un aumento nelle dimensioni dell’appendice finora, ma non sappiamo se saranno in grado di tenere il passo al peggiorare della crisi climatica“, ha detto Ryding. “Questo fenomeno di cambiamento morfologico non dovrebbe essere visto come un aspetto positivo, piuttosto è allarmante che il cambiamento climatico stia spingendo gli animali a evolversi in questo modo, in un lasso di tempo relativamente breve“. La ricercatrice ha aggiunto che i cambiamenti riscontrati sono sottili ed è improbabile che i loro effetti siano immediatamente evidenti, ma potrebbero essere “funzionalmente importanti”. Seppur il cambiamento climatico è stato un “argomento convincente” come forza trainante di questi cambiamenti di forma, lo studio ha affermato che è difficile “stabilire la causalità con certezza” dati gli effetti multiformi che il fenomeno climatico ha sull’ambiente. Fonte: https://sciencecue.it/cambiamento-climatico-cambiare-forma-animali/32922/
I cacatua hanno utilizzato degli strumenti in natura per la prima volta
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cacatua delle Tanimbar sono degli uccelli abilissimi nel creare degli strumenti, almeno in ambienti di laboratorio, e recentemente hanno dimostrato le loro abilità anche in natura. In particolare, sulle isole Tanimbar a Maluku in Indonesia, gli scienziati li hanno osservati mentre creavano strumenti per avere un migliore accesso al cibo. “Non potevo crederci!” ha dichiarato il biologo cognitivo Mark O’Hara dell’Università di Medicina Veterinaria di Vienna. “Quando ho offerto ai cacatua un frutto della foresta, uno degli uccelli ha iniziato a creare uno strumento con un ramo. Era incredibile con quanta abilità e competenza l’uccello sapesse usare questo strumento”. I cacatua hanno dimostrato la loro abilità di costruzione in laboratorio, ma gli esperti non pensavano fossero capaci di farlo anche in natura. Successivamente i ricercatori hanno preso 15 di queste creature e le hanno messe in una voliera, dando loro tantissimi Hala Fruit (un frutto chiamato anche mango di mare). Gli uccelli mangiano i semi di questi frutti, ma sono molto difficili da estrarre. Così, due dei quindici cacatua hanno modellato degli strumenti da dei rami, utilizzando i loro becchi e le loro lingue. Sono stati utilizzati tre strumenti: il primo era un cuneo inserito nel seme per staccarlo; il secondo era uno strumento più affilato, come un coltello, utilizzato per tagliare e penetrare il rivestimento protettivo attorno al seme; mentre l’ultimo era molto simile a un cucchiaino per raccogliere il seme. È interessante notare che solo due degli uccelli si sono rivolti all’uso di strumenti per mangiare il frutto. Tale comportamento, quindi, non è genetico. Fonte: https://tech.everyeye.it/notizie/cacatua-utilizzano-ingegnosi-strumenti-natura-quali-538920.html
News al volo dal web e non solo
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CRONACA
Girare l’uovo
Le uova contengono delle cellule “bioescenti”
di PASQUALE LEO, foto P. ROCHER
Nido di Canarini
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d ecco che in un giorno qualsiasi del mese di marzo, mi imbatto in un argomento caro agli allevatori che vorrei condividere con voi! In una dolcissima domenica mattina, mentre sorseggio il mio caffè, pensando ai miei canarini, accendo il telefono e mentre scorro i vari messaggi su whatsapp, mi soffermo, incuriosito, sul messaggio di Emanuele, ultimo neo allevatore aggiunto da pochi giorni al gruppo di cui faccio parte anch’io. In questo gruppo, siamo in pochi e ci piace considerarci come una piccola famiglia, dove ognuno di noi posta le proprie esperienze, ci si confronta e ci si aiuta a vicenda. Tornando al messaggio di Emanuele, chiedeva se durante il periodo di cove le uova deposte devono essere girate.
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Durante quel passaggio dalla deposizione del primo uovo, che viene depositato dall’allevatore in un luogo sicuro (io, ad esempio, li deposito in cassettini dove ho già predisposto della soffice ovatta) fino al momento in cui verranno rimessi sotto la femmina per essere covati, è prassi comune girare giornalmente le uova. Ma è corretto farlo oppure no? Perché viene fatto? Quali sono le norme generali? Con mia grande sorpresa, da questo quesito si scatenò un acceso dibattito e la stessa cosa si è verificata quando, per curiosità personale, riproposi la stessa domanda in altri gruppi di allevatori; tutti esponevano la propria esperienza personale. Da questa piccola indagine verificai che si potevano suddividere tre correnti di pensiero: allevatori che girano
le uova, chi non le gira affatto e, addirittura, non le toglie neanche dal nido, lasciandole sotto la canarina. Vedendo l’enorme interesse collettivo, i vari pensieri e le perplessità, mi sono sentito in dovere di fare una ricerca tentando di fare un po’ di chiarezza e rispondere ai vari quesiti su ciò che è giusto fare o non fare. Da un’attenta ricerca sul web è emerso che ci sono dei dati scientificamente certi, anche se le pubblicazioni precisano che sono tutti dati relativi all’allevamento di pollame. Tali dati dicono: “Se le uova vengono conservate più di dieci giorni dal momento della deposizione, devono essere voltate una volta al giorno”. Tale pratica di girare le uova nasce dalla necessità di evitare che la cuticola interna si secchi e vada ad attaccarsi internamente al guscio, provocandone la morte embrionale. In natura, la femmina, muovendosi nel nido tende a muoverle leggermente essa stessa. È altresì risaputo che l’embrione rimane vitale senza particolari accorgimenti per circa sei giorni, dopo i quali è necessario provvedere a girare manualmente le uova. Si tenga presente che oltre i sei giorni di conservazione le possibilità di schiusa procedono in modo inversamente proporzionale al tempo di conservazione. (n.d.r. C’è da ricordare che le calaze, se l’uovo non viene girato, si possono infiacchire ed il tuorlo scendere). Nelle attenzioni generali, si specifica che le uova contengono delle cellule “bioescenti” che dovranno trasformarsi prima in embrione ed infine in pullo sano e vitale e che, perché ciò avvenga, bisogna fare molta attenzione a non recare danni al guscio, in
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quanto un uovo incrinato si schiuderà molto raramente. Ricordiamoci che ogni volta che un uovo fertile viene maneggiato impropriamente, l’aspettativa di nascita si riduce notevolmente. Ho trovato anche una nota, evidenziata come importante, che afferma: “non lavare o immergere le uova nell’acqua perché così facendo si potrebbe facilitare la penetrazione batterica e provocare la rimozione della pellicola batteriostatica invisibile, detta “cuticola”, atta a proteggere l’uovo dalle contaminazioni.” Tale cuticola esterna è molto sottile ma importantissima proprio per questa sua funzione di barriera contro i microbi. In conclusione, ognuno è libero di procedere come meglio crede, anche in base alle proprie esperienze fatte negli anni di allevamento; tutti i metodi possono essere buoni, ma teniamo presente quanto detto sopra,
Giovani Canarini
ovverosia che l’uovo è un vero e proprio organismo vivente estrema-
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CANARINI DA CANTO
Le motivazioni ad apprendere Motivazione intrinseca e motivazione estrinseca di FRANCESCO DI GIORGIO, foto P. MARSON
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l giovane canarino della razza “canterina” è sollecitato da motivazione “intrinseca” per entrare in rapporto e interagire con l’ambiente. Questa motivazione gli offre non tanto il “possesso” di un numero sempre più dilatato d’informazione, quanto la capacità di dare organizzazione al pensiero e alle condotte. Il giovane alato vuole conoscere,
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anche senza che l’ambiente intenzionalmente lo stimoli all’atto conoscitivo. È una manifestazione di rilevante significato in educazione e si propone come manifestazione del bisogno di essere e di realizzarsi nel tessuto delle istanze di esplorazione e di controllo dell’ambiente tramite l’esplicitazione di competenze specifiche.
Perciò va sottolineato che avvalersi nell’ambiente educativo della motivazione intrinseca che attiva l’allievo in un continuo processo di superamento di sé, costituisce un valido incentivo nei riguardi delle finalità educative che la scuola si ripromette di conseguire. Perché si parla di “motivazione intrinseca” e non semplicemente di “motivazione”, quale fattore di atti-
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È “estrinseca” la motivazione che sollecita gli allievi all’impegno di studio in relazione a un premio
vazione e direzionamento del comportamento? Si sa bene che ciò è in funzione della distinzione da opere nei confronti di quella che viene detta appunto “motivazione estrinseca”. Esemplificando relativamente alle condizioni scolastiche, è “estrinseca” la motivazione che sollecita gli allievi all’impegno di studio in relazione a un premio, quale una breve immissione in voliera, la leccornia di qualche semino di canapa o avena, una maggiore igienizzazione dell’ambiente. In definitiva, è estrinseca la motivazione che spinge il soggetto ad attivarsi in questa o quella direzione per ottenere qualcosa (riconoscimenti, premi, coccole) che ha ben poco a che fare con la natura dell’attività medesima. Ci si deve chiedere se la “motivazione estrinseca” sia da considerare poco congruente con le pro-
spettive educative che intendono valorizzare l’autonomia del discente. Sarebbe azzardato proferire una condanna inappellabile. Anche perché non pochi momenti della vita scolastica si sorreggono appunto su quegli incentivi estrinseci. È certo che i “motivatori estrinseci” (stimoli e incentivi) implicano potenziali pericoli didattici dei quali il gestore della scuola di canto deve tener conto. Ove l’attività si sorregga esclusivamente su tali motivazioni, si può correre il rischio di manipolare il percorso formativo degli allievi, avallando oltretutto in essi la convinzione che l’impegno di studio abbia a essere considerato solo un modo per conseguire altri fini (la benevolenza del canaricoltore, un buon accudimento da parte di lui, un elevato livello di prestigio nella comunità parentale e di vicinato). Il che entra in rotta di collisione con quella nativa “voglia di conoscere” che attinge forza motivazionale nelle istanze di crescita e realizzazioni individuali. Indubbiamente la condizione didattica va impostata in termini diversi. Può essere accettato che la scuola utilizzi strategie varie e riconoscimenti del profitto manifestato da ogni soggetto in formazione; tuttavia si deve fare attenzione che i condiscepoli non commisurino i loro sforzi di apprendimento al con-
L’utilizzazione errata di motivatori estrinseci concorrerebbe a provocare un artificioso inaridimento
seguimento di quegli orpelli e di quei riconoscimenti. Perché ciò non accada, si dovrà avere l’accortezza di utilizzare i motivatori estrinseci in funzione dell’avvaloramento della “tensione di conoscere”, appunto della motivazione intrinseca. Come dire che progetti fattibili e positivi riconoscimenti debbono essere utilizzati per incentivare le risorse endogene dell’atteggiamento conoscitivo e auto realizzativo del fornitore del servizio scolastico. Un semplice esempio: dare un premio per un’attività che suscita interesse fin dall’inizio produce uno spostamento da una motivazione intrinseca a una motivazione estrinseca. In sostanza, l’utilizzazione errata di motivatori estrinseci concorrerebbe a provocare un artificioso inaridimento di qualità canore tese a sbocciare nella giovane creatura alata.
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R ecensioni L’Aceddi (Tutte le poesie siciliane che l’Abate Giovanni Meli scrisse sugli uccelli, con traduzione in italiano di Francesco Zaffuto) Editore: Buoni Cugini Editori, traduzione a cura di: Francesco Zaffuto, data di pubblicazione: aprile 2016, illustrazioni: Dafne Zaffuto, pagine: 106, formato: brossura, prezzo di copertina € 10,00 di FRANCESCO BADALAMENTI
Novità editoriali
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oi palermitani siamo soliti estendere i legami di parentela anche al di là dei vincoli di sangue: Cucinu, Figghiozzu, Ziu, Parrinu e Cumpari sono i termini maggiormente ricorrenti. Utilizzerò quindi un appellativo di grande amicizia e familiarità per presentare questo libro pubblicato da mio cugino Ivo Ginevra, fondatore della casa editrice palermitana “I buoni cugini editori”. Con Ivo Tiberio Ginevra, Giudice FOI della Specializzazione EFI e per più di 20 anni Presidente dell’Associazione Meridionale Ornicoltori di Palermo, ci conosciamo dai primi anni ’90; era quindi scontato che nella veste di editore non avrebbe mai potuto fare a meno di pubblicare un libro sugli uccelli, e l’ha fatto non con un volume scientifico o tecnico/pratico come ci si aspettava, ma con un complesso lavoro di ricerca nella grande letteratura italiana insieme a Francesco Zaffuto (uno dei massimi esperti della poesia popolare siciliana). In questo piccolo volumetto di 106 pagine sono raccolte tutte le favole sugli uccelli estrapolate dalle tante favolette morali scritte da Giovanni Meli (1740 – 1815, detto l’abate) e aventi per tema gli uccelli (in siciliano “L’Aceddi”). Il grande poeta dialettale palermitano, prendendo tal-
La Copertina del libro “L’Aceddi”
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R ecensioni di dire, viene disposta una traduzione in italiano a fronte; non una traduzione poetica, solo letterale per dare un aiuto. Il lettore potrà ritornare agevolmente sul verso di Meli per sentirne la sonorità. Qualche nota aggiuntiva è stata posta con un richiamo per i passi più controversi. Sono stati evitati esegesi e commenti molto lunghi perchè la poesia va goduta senza eccessi di preordinate interpretazioni. Per la traduzione in italiano si è fatto riferimento: alle note dell’edizione del 1814; al dizionario delle voci oscure che l’editore Roberti di Palermo inserì in calce alla edizione delle poesie di Meli del 1838; in qualche caso al dizionario del Mortillaro e, infine a qualche mia antica memoria di siciliano; per qualche errore di traduzione mi assumo la colpa, per il piacere della lettura ringraziare Meli.”
L’Aquila e lu Riddu
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una favola sulle capacità di guidare una società. Con la sola forza si può governare una comunità, uno stato? oppure occorrono ingegno e talento? Il Regolo comune, in siciliano lu Riddu, è un piccolissimo uccello passeriforme che nella favola IV della raccolta delle “Favuli murali” (Favole morali 1810 – 1814) di Giovanni Meli, si trova a competere in una gara tra uccelli per decidere chi volando più in alto sarebbe stato proclamato il Re. Lu Riddu prima della partenza si nasconde tra le penne dell’aquila, riuscendo a volare senza sforzo in alto come l’aquila stessa, saltando a fine gara sulla testa dell’aquila, volando così più in alto di tutti. Meli gioca anche sul nome Riddu e sull’affermazione in siciliano Re iddu = Re lui, soffermandosi sulla parola Riddu e sulla lingua siciliana, tanto antica che era già diffusa quando gli animali parlavano. L’Aquila e lu Riddu disegno di Dafne Zaffuto
Novità editoriali
volta spunto da Esopo e Fedro, con pregevole arguzia e umorismo fa parlare gli uccelli, umanizzandoli per fare in modo che potessero portar con loro pregi e difetti degli uomini. Dal razzismo dei corvi neri, all’adulazione del pappagallo, dalla saggia pazienza del tordo, alle chiacchiere dannose delle cornacchie, ci sono uomini usignolo e uomini che preferiscono il raglio dell’asino, il gufo che si crede un gran cantante, il merlo che spesso fa la parte del saggio e le allodole sono un po’ sciocchine, il grosso struzzo che, non potendo volare, invidia l’aquila ma all’amor proprio non vuole rinunciare. L’aquila, che tra i volatili è la regina, viene battuta dal piccolo regolo nella favola “L’aquila e lu Riddu”. Favole in poesia che sono utilizzate come strumento per rendere più digeribili le tante verità sui difetti dell’uomo. Così Francesco Zaffuto, dopo essersi dedicato alla traduzione dal siciliano all’italiano, presenta il libro: “Per chi non ha dimestichezza con il siciliano e per i siciliani che hanno dimenticato tanti antichi modi
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54 anni di ricordi F.O.I.
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n questo malaugurato anno di Covid-19, che ha portato alla soppressione di moltissime esposizioni, ho voluto scrivere il presente testo al fine di proporre una riflessione, attraverso una serie di ricordi ed osservazioni, senza alcuno spirito polemico. Sono due i fattori che mi hanno portato a questo scritto e cioè l’articolo a firma Giovanni Canali, presente sul numero 8/9 2020 di questa rivista, in cui l’autore narra i suoi 50 anni di iscrizione alla F.O.I. ed il fatto della ricorrenza del 70° anno di questa Federazione. Veniamo al primo motivo. Cinquanta anni di adesione ad un sodalizio non sono pochi, soprattutto nei riguardi della F.O.I. dove ciclicamente, a parte l’inarrestabile trascorrere del tempo, ci sono soci che, dopo pochi anni di entusiasmo, cessano di iscriversi. Per una quarantina di anni ho allevato Pastori tedeschi, con piacevoli risultati nelle esposizioni. Orbene la federazione tedesca di questi cani ha la sensibile usanza di inviare ai soci, che raggiungono il 25° anno di iscrizione, un diploma di ringraziamento ed al 50° una targa ricordo. La stessa usanza l’ho riscontrata dal Politecnico di Torino, che dopo alcuni lustri dalla laurea invia una medaglia ricordo. Siamo rimasti in pochi ad avere il codice R.N.A. composto da soli numeri. Il mio è 7139 e l’attestato di iscrizione alla F.O.I., datato 1 Gennaio 1967, è firmato dall’allora Presidente Giovanni La Cava. In quell’anno avrei compiuto venti anni. A questo proposito vorrei citare alcuni amici, con il codice R.N.A. composto di soli numeri, quali: Ercole Concetti con 4159, Luigi Calissano con 7136. Con delusione ho constatato sul sito della F.O.I., per la ricerca del codice R.N.A., che il numero 0001 è stato cancellato. È probabile che il pos-
Attestato di adesione alla Federazione Ornicoltori Italiani datato 1 gennaio 1967
sessore di questo numero non sia più tra noi, ma 0001 non è un numero qualunque, è storia! Orbene, vorrei ricordare che questo codice R.N.A. apparteneva al Presidente dell’Associazione Romana Ornicoltori, funzionario del Ministero degli esteri, Raffaele Danza. A dimostrazione della sua fedeltà risulta ancora, sul vademecum del 1993, iscritto all’Associazione Romana, pur risiedendo ad Ospedaletti, nell’estremo Ponente ligure. Per chi come me è appassionato di storia, consiglio in internet il sito ”Nascita delle associazioni e delle mostre italiane (1930-1953)” curato dal signor Enrico Banfi nel 2014, che presenta anche interessanti fotografie d‘epoca. Per esempio la mia società, cioè l’Associazione Ornitofila Astigiana, è stata fondata nel 1948. Data la mia età ho avuto modo di conoscere alcuni di quelli che, partecipando alle riunioni di Reggio Emilia alla fine degli anni quaranta del secolo scorso, diedero vita alla futura F.O.I. Vorrei citare il Presidente di allora Piero Tosetti ed il segretario Giuseppe Avedano. Veniamo adesso al settantesimo anniversario della F.O.I. Sul numero di Marzo 2015 di Italia Ornitologica compare l’articolo, a firma Bruno Novelli, dal titolo: “F.O.I., ricordare fa bene”. In esso si analizzano i vari passaggi e fusioni (infatti la lettera F sta per Federazione) che portarono alla nascita di questa associazione. L’analisi temporale si conclude con la frase: la nascita ufficiale della F.O.I. avvenne il 1° Aprile 1951 a Piacenza con la fusione di F.N.C e U.N.O.I.. Di mio aggiungo che il primo Presidente fu il Nobiluomo Comm. Cesare Bossi di Reggio Emilia, mentre il codice R.N.A. 0001 fu assegnato al già citato Raffaele Danza, che le società fondatrici erano circa una dozzina, tra cui la mia, con circa 500 iscritti. Desidero adesso esporre alcune osservazioni personali su come in questi miei 53 anni di iscrizione ho visto svilupparsi l’allevamento ornitologico. Forse alcune mie considerazioni possono piacere o meno, ognuno è libero di sostenere le sue idee, l’importante è non cadere in ciò che diceva Giulio Cesare nel De bello gallico: “homines id quod volunt credunt”. A tal proposito, ho preso in considerazione il pregevole catalogo, preparato dall’amico Antonio Pizzi, per il 18° Campionato interregionale Piemonte, Liguria, Valle d’Aosta del Novembre 1988, cioè trentatre anni fa. La manifestazione, tenutasi nei bellissimi ambienti dell’Exposalone dei vini di Asti, fu un vero successo. Era presente nel Comitato d’onore anche il Presidente del Consiglio Giovanni Goria. Alla premiazione partecipò, tra gli altri, anche l’allora segretario F.O.I. Salvatore Cirmi. Il catalogo aperto era nel formato
Lettere in Redazione
di P IERGIANNI AMERIO
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Lettere in Redazione
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A4, cioè 210 x 297 mm. La voce categorie a concorso, compresi i canarini da canto, occupava una pagina di detto catalogo chiuso. I canarini di forma e posizione arricciati erano divisi in otto categorie. I canarini di colore lipocromici erano divisi in otto categorie. Sul numero limitato di categorie in concorso di allora trovo delle incoerenze che è stato giusto modificare. Come esempio cito il fatto che esisteva solamente la categoria “esotici di piccola taglia”, nella quale venivano radunati tutti gli esotici con quella caratteristica, maschi e femmine insieme. In genere i preferiti nei giudizi erano o i Diamanti di Lady Gould o i Cardinalini del Venezuela. Per quanto riguarda i Diamanti di Lady Gould era inutile portare le femmine poiché quasi sempre i maschi venivano meglio trattati. Quindi trovo giusto avere aumentato le razze e le categorie in concorso, ma secondo me si è esagerato! Inoltre, ogni volta che una razza diventa popolare si nota un aumento della taglia rispetto a quella che le ha dato la natura. Per tornare come esempio ai Diamanti di Lady Gould, si osservino su alcuni numeri di questa rivista le fotografie di soggetti, premiati in mostre importanti, che presentano il petto carenato, gravissima deformità congenita, dovuta ad una crescita abnorme! A me piacciono i soggetti aventi bella struttura, ma se lo slogan pluri-ripetuto è “Allevare è proteggere”, penso che bisogna stare all’interno della taglia e della forma che gli ha conferito la natura. Per tornare sull’enorme aumento delle razze e categorie in concorso, avvenuto in questi ultimi trenta anni, sempre a mio parere, affinché una nuova razza sia riconosciuta dovrebbero passare alcuni lustri e non pochi anni. Una cinquantina di anni fa allevavo dei cosiddetti Milanbianchi. Non potevo portarli in mostra poiché si diceva che si trattava di Parigini accoppiati inizialmente con sassoni bianchi, ed era vero! Poi, anni di selezione hanno portato a bellissimi soggetti. Inoltre, sempre in questi ultimi decenni ho visto una enorme esaltazione delle mutazioni, alcune pregevoli, ma altre sinceramente meno. Pensiamo al Cardellino di Raffaello, nella sua celebre Madonna, e confrontiamolo con certi mutati! Ogni volta che un soggetto presenta due
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piume di colore diverso, anziché vederlo come difettoso, si esalta come nuova mutazione e avanti con i discorsi sugli alleli! Inoltre, fra mutazioni e selezioni prodotte in allevamento sarebbe necessaria una chiara distinzione. Faccio l’esempio del Parrocchetto splendido, razza con cui con uno stamm di femmine, con i tipici colori della specie selvatica, ho vinto al Campionato italiano di Parma 2018. Se accoppio una di queste femmine con un maschio ventre rosso od un viola, che sono selezioni avvenute in gabbia, rovino il fenotipo della specie pura. È come accoppiare un Gallo di razza livornese con una Gallina selvatica dell’Asia! La mia domanda è: fra nuove mutazioni e nuove razze non si è esagerato? Una volta, quando i viaggi erano meno comodi, ogni allevatore si creava un ceppo della razza che allevava e gli acquisti di nuovi soggetti, anche per motivi economici, erano molto mirati e limitati. Fra alcuni conoscenti di allora desidero ricordare, come esempio, Vavassori con i bianchi dominanti, Saglietti con i lipocromici rosso mosaico, Masini con i lipocromici rosso intenso e brinati, Avedano con gli arricciati del Nord e del Sud e ne potrei citare molti altri residenti in tutta Italia. Per quanto riguarda l’amico Bruno Saglietti, lo vedo ancora, nel suo ordinatissimo allevamento, mentre mi dice: ho saputo che Ascheri da Parigi ha portato degli F3 (in realtà bisognava dire R2 di Canarino) di Cardinalino del Venezuela ad Arduino a Torino; vado a trovarlo per cercarne uno come dico io! Ricordo il suo stupore quando vide i primi moderni maschi lipocromici rosso mosaico portati ad Asti, in una mostra organizzata dall’APACO, dal signor Guido Mastantuono di Biella. A dare una forte spinta a questa enorme crescita delle categorie in concorso è stato, a mio parere, l’uso del computer per stilare le classifiche, avvenuto nei primi anni 90 del secolo scorso. Come sovente accade, una scoperta positiva può nascondere imprevisti. Per diversi decenni ho preparato i tabelloni per le premiazioni nelle mostre organizzate dalla mia società. Preparavo i lucidi che poi venivano eliografati e quindi scritti con il pennarello, così come i diplomi. Ricordo le ore di impegno, proprio per il Campionato interregionale a cui ho fatto riferimento, poiché di ogni categoria occorreva premiare anche il terzo classificato. Dovessi fare le classifiche oggi, con i mezzi di allora, chiederei senz’altro l’intervento della Protezione civile! Potrei proseguire nei miei ricordi ornitologici di una vita, ma non voglio annoiare oltre misura. Concludo con la seguente considerazione seguita da una domanda. La teoria dell’evoluzione di Charles Darwin si basa su 5 conclusioni-base, di cui la numero 4 e la 5 dicono che con la riproduzione non vengono quasi mai riprodotti due individui identici e che le variazioni sono abbondanti. Pertanto, se la voce “categorie in concorso” una trentina di anni orsono era contenuta in una pagina del catalogo della mostra e oggi è un discreto fascicolo, fra una trentina di anni, proseguendo con lo stesso incremento, quante pagine avrà il volume necessario?
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Attività F.O.I. Sintesi verbale del Consiglio Direttivo Federale del 10 luglio 2021 (La versione integrale è pubblicata sul sito www.foi.it/verbali) - Sede Campionato Mondiale 2023; Il CDF, in previsione del Campionato Mondiale che si svolgerà in Italia nel mese di gennaio 2023, delibera l’apertura del termine per l’avanzamento delle candidature che dovranno pervenire a mezzo pec presso l’indirizzo foi@pec.it entro e non oltre il 18 agosto 2021. Le candidature dovranno essere corredate dalla planimetria dei locali nei quali si intende ospitare l’evento, il preventivo dei costi da sostenere per l’affitto degli stessi, dall’indicazione del costo relativo ai consumi per il riscaldamento dei locali, dal piano strutturale della disponibilità delle risorse umane a titolo di volontariato (con rimborso spese carburante e spese autostradali), dal piano di disponibilità di strutture alberghiere con relativi preventivi di costi. Il tutto in funzione delle attività preparatorie che dovranno condurre alla pubblicazione del logo e del programma in occasione del Campionato Mondiale 2022 di Valencia. - Approvazione definitiva calendario Mostre 2021; Il CDF delibera l’approvazione definitiva del calendario mostre 2021 che verrà reso pubblico mediante la piattaforma dedicata. - Varie ed eventuali. Il CDF delibera l’adozione del progetto “Pronto Aves” del quale si dispone la pubblicazione sul sito federale dei contenuti e delle finalità. Il coordinamento delle attività progettuali viene affidato al sig. Giuseppe Albergo (tesserato FOI, RNA US64), proponente dello stesso il quale provvederà alla individuazione dei collaboratori, sottoponendone i nominativi al CDF per l’approvazione. Tutte le azioni progettuali dovranno essere tenute e conservate sul canale YouTube della FOI e sugli altri mezzi di comunicazione federali. Il CDF, con riferimento al verbale dell’ODG del 24 maggio 2021, delibera quanto segue: - ratifica il riconoscimento della onorificenza al giudice Antonino Condorelli; - ratifica i nuovi standard descrittivi dei Nymphicus, già pubblicati sul sito FOI.
Il CDF, con riferimento al verbale dell’ODG del 19 giugno 2021, delibera quanto segue: - ratifica la decadenza del Giudice Stefano Bianchi dai ruoli effettivi per avere lo stesso aderito ad altra sedicente federazione; - ratifica la delibera (n. 12) contenente la proposta dei seguenti giudici idonei a sostenere l’esame nel grado di Internazionale, · Sez. D: Dia Vincenzo – Gallucci Gianfranco – Tissi Giovanni; · Sez. G: Hazan Giacomo – Vinante Valter – Visconti Giuseppe; · Sez. I: Loreti Dario; · Sez. J-N: Benatelli Nicolò – Loreti Dario. Inoltre alla data odierna è giunta comunicazioni dal Giudice OMJ da Andrea Masala per la sez. H. Restano confermati i Colleghi individuati lo scorso anno, così riportati: · Sez. D: Baro Alessandro; · Sez. E: Ascione Gennaro – Concas Gianluca; · Sez. G: Carlomagno Domenico; · Sez. F: Angelini Stefano; · Sez. I: Casagrande Giuseppe; · Sez. J-N: Culletta Agostino – Disint Cristiano – Vitalbi Marco. Oltre ai Giudici OMJ, · Bruno Zamagni per la sez. H; · Giorgio Roccaro per la sez. J-N; · Daniele Lino Maronese e Luigi Vergari per la sez. I. - Il CDF delibera di sollevare il Rag. Marco Fontanella dalla gestione della posizione fiscale e contabile della FOI, nel contempo conferendo il medesimo incarico al Dott. Alberto Ferrara con studio in Pescara al Viale Regina Elena, 49. Tale decisione non è dipendente da profili di addebito circa l’operato professionale del Rag. Marco Fontanella – che si ringrazia per l’opera sin qui svolta a favore della FOI – ma unicamente dalla necessità di affidare la posizione fiscale e contabile della Federazione ad una figura professionale pienamente addentrata nell’ambito del Terzo Settore individuata nella persona del Dott. Alberto Ferrara, peraltro tesserato FOI e già Presidente del Collegio dei Revisori dei Conti della stessa. - Il CDF delibera l’acquisto di un nuovo furgone per il trasporto merci, espressamente delegando il Presidente alla sottoscrizione al relativo atto d’acquisto. - Il CDF delibera l’accettazione del preventivo di Stampare srl di Cesena per la realizzazione di n. 5.000 mazzette divulgative (segnalibro) con vite (15 schede).
Sintesi verbale del Consiglio Direttivo Federale del 29 luglio 2021 (La versione integrale è pubblicata sul sito www.foi.it/verbali) - Stralcio del verbale del Consiglio dell’Ordine dei Giudici del 17 luglio 2021 in ordine alla ratifica ed alla pubblicazione del 6° bando per selezione Allievi Il CDF ratifica la delibera n. 13/2021 assunta dall’Ordine dei Giudici nel proprio verbale del 17 luglio 2021, autorizzando la banditura del corso allievi giudici nei termini di cui ivi esposto: “Il Consiglio dell’Ordine, delibera la pubblicazione del 5° Bando di ammissione ai corsi Allievi Giudici per 29 posti così suddivisi per rispettiva sezione:
- n. 2 sez. A HARZ; - n. 2 sez. B MALINOIS; - n. 2 sez. C TIMBRADO; - n. 8 sez. D COLORE; - n. 3 sez. E1 CFP ARRICCIATI; - n. 4 sez. FH ESTRILLIDI LORO IBRIDI ED AFFINI; - n. 4 sez. I1 I2 ONDULATI; - n. 4 sez. JKLMN ALTRI PSITTACIFORMI.
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Attività F.O.I. Su proposta del Presidente del Collegio EFI si aprono dei corsi per la sez. O-P Quaglie- Colini e Tortore-Colombi ai quali potranno partecipare sia i Giudici delle sezz. FH e GH che gli Allievi sia del 6° bando che di quelli precedenti. Si stabilisce che le graduatorie definitive del superamento dell’esame di ammissione al corso saranno a scorrimento fino all’esaurimento di ogni singola sezione. Inoltre è opportuno puntualizzare che gli aggiornamenti e le lezioni degli Allievi potranno avvenire anche online. - Richiesta modifica Regolamento Generale Mostre avanzata dall’Associazione Romagnola Canaricoltori-Forlì; Il CDF, a seguito del ricevimento della richiesta via mail del 16 luglio 2021 di modifica dell’art. 31, lettera b), del capitolo VII del Regolamento Generale Mostre volta a ritenere escluso dai segni di riconoscimento durante i giudizi l’utilizzo di prodotti alimentari diversi da quelli tradizionali, ritiene di non poter deliberare favorevolmente sull’accoglimento della stessa. Quanto innanzi perché, pur essendo la richiesta ben strutturata, il suo accoglimento determinerebbe l’insorgenza di notevoli difficoltà per le Associazioni e per i Comitati organizzatori di mostre. Infatti, una volta consegnati i soggetti da esporre a concorso agli organizzatori, sono questi ultimi – e non l’allevatore che da quel momento non ha più accesso ai locali mostra – a doverne curare l’alimentazione con il verosimile obbligo, in caso di accoglimento della richiesta di modifica, di dover provvedere ad alimentazione individuale, per singolo soggetto esposto, con notevole aggravio sia in termini di risorse umane occorrenti, sia in termini economici. E neppure è possibile prevedere che sia l’Allevatore medesimo a dover provvedere direttamente all’alimentazione dei soggetti di sua proprietà esposti in mostra, sia a motivo dell’impossibilità di fare ingresso nei locali mostra successivamente alla consegna degli uccelli a concorso – si pensi soltanto al notevole numero di Allevatori che a cadenza periodica dovrebbero entrare in mostra per portare l’alimento specifico ai propri soggetti – sia perché quasi sempre le mostre – soprattutto quelle di maggiore rilevanza – si tengono in località decisamente distanti dalla residenza dell’Allevatore, determinando l’impossibilità per quest’ultimo di seguire direttamente l’alimentazione dei propri soggetti esposti. Qualora in ogni caso concorresse la disponibilità dell’Associazione o del Comitato organizzatore potrà essere consentito all’Allevatore di fornire, a proprie spese, l’alimento specifico diverso da quello tradizionale per i soggetti di sua pertinenza esposti in mostra. Il diverso alimento non sarà considerato ricompreso fra i segni di ri-
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conoscimento di cui all’art. 31, lettera b), del Regolamento Generale Mostre. E così, di conseguenza, l’art. 31, lettera b), del Regolamento Generale Mostre viene come di seguito modificato: “Non è ammessa l’esposizione di soggetti: a) privi di anello inamovibile: non è ammesso l’utilizzo di microchips in sostituzione dell’anello; b) con segni di riconoscimento (in essi non ricompreso l’utilizzo in mostra di mangime diverso da quello tradizionale); c) privi dei requisiti richiesti dalle competenti CCTTNN.”, e l’art. 28 del Regolamento Generale Mostre viene come di seguito modificato: “L’Associazione organizzatrice provvede direttamente ed a proprie spese (tranne nel caso in cui, concorrendo la disponibilità dell’Associazione o del Comitato organizzatore potrà essere consentito all’Allevatore di fornire, a proprie spese, l’alimento specifico diverso da quello tradizionale per i soggetti di sua pertinenza esposti in mostra) al mantenimento dei soggetti esposti, dal giorno dell’ingabbio fino al termine dell’esposizione. Tali disposizioni non sono comunque applicabili al Campionato Mondiale ed alle Mostre Internazionali in quanto soggiacenti ai regolamenti COM. - Affiliazione nuova Associazione; Il CDF, esaminata la documentazione a suffragio della richiesta pervenuta, su parere favorevole del competente Raggruppamento Interregionale Puglia Basilicata, delibera l’affiliazione dell’Associazione Ornitologica Fenice di Promozione Sociale, con sede nel Comune di Mesagne (BR) alla Via Seneca n. 26. La Segreteria Federale, dopo aver verificato la sussistenza di tutti gli adempimenti amministrativi, provvederà ad assegnare il codice di affiliazione, l’indirizzo PEC e le credenziali di accesso al programma di iscrizione e di ordine anelli. - Varie ed eventuali. - Il CDF, esaminata la richiesta pervenuta il 23 luglio 2021 da parte del Presidente del Club Malinois Waterslager Signor Di Maio Diego, di poter utilizzare per l’anno 2021 il contributo concesso a “Canto in Festa” per l’anno 2020 non essendo stato realizzato a causa della pandemia da Covid-19, concede di poter utilizzare tale contributo per la manifestazione in programma il 27/30 dicembre 2021. Non concede invece la possibilità di usufruire del Trofeo Cirmi in quanto lo stesso andrà destinato a diversi usi istituzionali; - Il CDF ha avuto notizia di due casi in cui si sono verificate problematiche di illeggibilità dei caratteri impressi al laser su anelli in acciaio. In particolare tali evidenze si sono registrate su due anelli calzati a soggetti in CITES e quindi con obbligo di registrazione. Al fine di coadiuvare gli Allevatori incorsi nell’inconveniente, la FOI produrrà, su loro richiesta, una doppia certificazione, una proveniente dal fornitore degli anelli ed una dalla Segreteria federale che confermeranno entrambe l’ordine, la consegna, la tipologia ed il materiale degli anelli di quell’anno per modo da consentirne la dimostrazione in caso di verifica da parte delle Autorità. Trattasi di indicatori statistici a carattere infinitesimale che comunque non si intende trascurare benché verosimilmente l’inconveniente non possa essere addebitato alla qualità dei materiali. In ogni caso l’occasione appare propizia per comunicare che la Demerio sas proporrà a breve alla FOI una nuova linea di anelli denominata “long life”, particolarmente consigliata per gli uccelli che hanno vocazione di longevità di vita e quindi con caratteristiche di notevole durata nel tempo, sulla quale si stanno eseguendo i test di consistenza.