Italia Ornitologica - numero - 3 2020

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Rivista mensile di Ornitologia Scientifica - Tecnica - Pratica Organo Ufficiale della F.O.I.-Onlus

ANNO XLVI numero 3 2020

Canarini di Colore

Canarini di Forma e Posizione Arricciati

Estrildidi Fringillidi Ibridi

Cronaca

Mutazione Perla: il punto della situazione

Tra Gibboso e Gibber

Il Lucherino eurasiatico (Spinus spinus)

La riforma del Terzo Settore



ANNO XLVI NUMERO 3 2020

sommario 3

Senza filtri Gennaro Iannuccilli Mutazione Perla: facciamo il punto sulla situazione Gaetano Zambetta con la C.T.N. Canarini di Colore

L’Organetto ed i suoi Ibridi Piercarlo Rossi

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Uova, ma il vero pericolo è davvero nel guscio sporco? Gabriele Faraone e Giacomo Marino

Un fiore che si fa notare Pierluigi Mengacci

Pagina aperta Argomenti a tema

Osservazioni tecniche e scientifiche sul piumaggio degli uccelli (2ª parte) Giorgio de Baseggio

La riforma del Terzo Settore Maria Carla Bianchi

Report dalla Sardegna

Canarini di Colore

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Canarini di Forma e Posizione Arricciati

Segnalazioni Giovanni Canali

Tra Gibboso e Gibber Giuseppe Nastasi

Il Lucherino eurasiatico (Spinus spinus) Francesco Formisano

Solo partecipando si vince Francesco Faggiano

Recensioni - novità editoriali Ivano Mortaruolo

La mia esperienza con i Phaeo Emilio Sabatino

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Pier Franco Spada

Orni-flash News al volo dal web e non solo

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Estrildidi Fringillidi Ibridi

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Intervista a Luigi Cicero Roberto Basso

Lettere in Redazione

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Editoriale

Senza filtri di G ENNARO IANNUCCILLI

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i recente mi è capitato di dover discutere riguardo a una presunta azione di “filtraggio” circa i testi mensilmente pervenuti in redazione, ai fini di una possibile pubblicazione sulla nostra rivista. Tale osservazione, appena mi è stata riferita, mi ha lasciato alquanto basito, inducendomi a riflettere su quale possa essere la percezione che alcune persone (spero non molte) hanno del modus operandi adottato tra noi collaboratori per cercare di realizzare al meglio ogni numero di Italia Ornitologica. Da quando io e gli altri referenti di redazione abbiamo assunto l’onere di occuparci della rivista, abbiamo messo in atto un sistema di lavoro dovuto al fatto che ognuno di noi risiede in diverse zone d’Italia; quindi, non potendo per forza di cose effettuare periodiche riunioni redazionali, ci siamo organizzati in un processo che, a questo punto, sarà meglio ribadire a tutti i lettori, anche a quelli meno interessati. Gli articoli, di norma, arrivano in redazione, dopodiché ven-

gono smistati al sottoscritto che, in qualità di caporedattore, ne organizza la distribuzione verso il nostro coadiutore editoriale, per una prima verifica sintattica, e a seguire verso i nostri collaboratori che, in base alle loro specifiche competenze, hanno cura di segnalare eventuali criticità, da riportare nel caso agli autori per decidere se/quali modifiche apportare. Se si tratta di articoli dal contenuto “tecnico”, generalmente informiamo le rispettive Commissioni Tecniche Nazionali le quali, in alcuni casi ritenuti necessari, si adoperano a scrivere delle note da pubblicare a margine dei testi impaginati, per evitare fraintendimenti derivanti da un’errata interpretazione di quanto esposto dagli autori. Per articoli che trattano di altri argomenti, ci avvaliamo della collaborazione di esperti nei vari ambiti (veterinari, allevatori di provata esperienza, cultori della storia e dell’arte ornitologica, appassionati di genetica, ecc.).

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Editoriale Tutto qui, sic et simpliciter: non mi sembra di ravvisare in questa organizzazione autogestita nessun pratica atta a “filtrare”, se non addirittura a manipolare, i contenuti testuali che arrivano da tutti quegli autori che dedicano il loro tempo a scrivere, raccontare e divulgare le loro esperienze e conoscenze a favore del nostro movimento ornitologico. Per noi, questi autori sono tutti validissimi, a prescindere dal loro grado di cultura e preparazione, e cogliamo sempre l’occasione di ringraziarli per il contributo offerto liberamente e volontariamente alla nostra causa. Se poi qualcuno vuole intendere che le fasi del processo per la realizzazione della rivista corrispondono a una sorta di “censura” imposta dall’alto dei vertici F.O.I., o da chissà quale entità preposta a questo controllo predominante, allora siamo davvero fuori strada; viene da pensare che ci siano altri pregiudizi alla base di questi pensieri che evocano fantasmi di un presunto potere totalitario, talvolta evidenziato in alcune discussioni sui nostri social da persone che sono, probabilmente, prevenute od ostili a prescindere. Chi ha fatto parte di gruppi di lavoro, ma anche chi non ha avuto tale tipo di esperienza, potrà facilmente comprendere che per qualsiasi attività c’è bisogno di una revisione finale del prodotto, prima che questo venga realizzato; anche le grandi testate editoriali, per le quali scrivono giornalisti e firme di primo piano, devono necessariamente correggere le bozze, prima della pubblicazione. Consideriamo che finanche le riviste scientifiche hanno i cosiddetti referees, che hanno il compito di valutare le ricerche da pubblicare, rendendosi utili con eventuali suggerimenti. Ciò senza inficiare la preparazione, la cultura, la professionalità, la competenza e l’autorevolezza degli autori. Ma evidentemente, nel nostro mondo ornitologico, c’è chi non vede di buon occhio il fatto che i propri testi vengano messi a disposizione di chi è preposto alla verifica finale che precede la stampa della rivista, attività che comunque garantisce i lettori da eventuali refusi e/o errori inevitabilmente presenti. Sinceramente, estendendo la personale riflessione, non riesco a comprendere la diffidenza verso chi si prende la briga di gestire le questioni federali nei vari ambiti di competenza, mettendoci la faccia, con la massima trasparenza e disponibilità verso coloro che, per qualsiasi motivo, vogliano chiedere informazioni, delucidazioni, interpellanze e domande per fare chiarezza sui molteplici aspetti che riguardano l’organizzazione del nostro movimento, uno dei più importanti a livello internazionale. Mi faccio tali domande, alle quali talvolta non so darmi risposta, perché noto, parlando occasionalmente con amici e conoscenti della cerchia ornitologica, una sorta di retro-pensiero polemico su qualsiasi argomento riguardi la vita della Federazione: pare ci sia, secondo taluni, sempre qualcuno

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che voglia pilotare un dirigente di associazione o raggruppamento, un consigliere federale, un giudice, un esponente di CTN ecc. per chissà quali recondite finalità. Addirittura, mi è capitato di ascoltare anni addietro dei Soci della mia associazione d’appartenenza che evitavano, a loro detta, di esporre le proprie idee e dare la propria disponibilità perché sapevano a priori che i “vertici” li avrebbero snobbati. Ho ancora presente le lamentele di un Socio che, quando ero ancora Presidente d’associazione, voleva proporre nuove attività sul territorio, tipo un “corso di riconoscimento di erbe selvatiche”: complimentandomi per l’idea, lo sollecitai personalmente ad organizzare e dirigere tale attività in seno all’associazione, assicurandogli il massimo supporto. Risultato? Non si fece più sentire, neanche tramite un messaggio via mail… Ai tempi del nostro compianto Presidente Cirmi, ricordo che ascoltai più volte persone che si lamentavano di come veniva gestita la Federazione, ma alla mia domanda circa il perché non provassero a proporre i loro suggerimenti, la risposta era sempre che il Presidente non li avrebbe ascoltati, o addirittura che li avrebbe contrastati! Sappiamo bene, invece, quanto Salvatore Cirmi – a prescindere dal suo carattere “fumantino” – fosse in grado di intuire la validità di alcune idee e, al contempo, di smascherare all’istante eventuali azioni provocatorie finalizzate solo a creare problematiche al nostro ambiente. I tempi passano e cambiano ma noto che alcuni atteggiamenti sono difficili da superare, anche ora che la Federazione è, per forza di cose, gestita in maniera completamente diversa: in linea con la nostra difficile epoca, al passo con le evoluzioni tecnologiche e comunicative, al fianco di tutti coloro che fanno parte di questa meravigliosa macchina da guerra, armata solo di forte passione, quale è l’ornicoltura amatoriale e sportiva. L’allevamento dei nostri “pennuti” ci consente di dedicare le ore libere delle nostre giornate alla selezione, alla riproduzione e alla loro esposizione presso le mostre ornitologiche locali, regionali, nazionali e internazionali: questa è, praticamente, la nostra linfa vitale che dobbiamo cercare, insieme, di rinvigorire e trasmettere soprattutto alle nuove generazioni. Auspico che si possano realmente superare steccati, modi di pensare e approcci diffidenti verso coloro che, all’interno del movimento FOI, prestano la propria esperienza e capacità rendendosi disponibili a dare un contributo sincero, spassionato, di qualsiasi tipo e a qualsiasi livello: dalla redazione della rivista, alla gestione di un’associazione; dall’attività di giudizio, all’organizzazione delle mostre; dalla dirigenza della Federazione, alla guida delle Commissioni Tecniche. C’è bisogno di tutti noi, senza filtri e senza pregiudizi.


CANARINI DI COLORE

Mutazione Perla: facciamo il punto della situazione di GAETANO ZAMBETTA con LA C.T.N. CANARINI DI COLORE, foto A. J. SANZ, B. ZAMAGNI e G. ZAMBETTA

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redo sia giunto il momento di fare chiarezza sulla mutazione Perla, con particolare riferimento all’iter selettivo e all’attività svolta dalla Commissione Tecnica nello studio e nella definizione di uno standard. Un po’ di storia (Repetita iuvant) Chiedo un po’ di pazienza a chi la conosce a menadito, ma ritengo utile ripercorrere per grandi linee la storia della mutazione. Nel 2015 l’allevatore Carlo Maria Nobili nota dei canarini dall’insolita pigmentazione melaninica tra i nuovi nati, per la precisione uno nella prima covata e altri tre in quella successiva, da una coppia costituita da maschio Nero Onice Bianco dominante e femmina Nero Bianco dominante portatrice di onice. Preliminarmente, chiariamo subito una questione: una mutazione, affinché possa essere selezionata e studiata, deve nascere nel posto giusto, inteso come allevamento di una persona attenta e con una certa competenza. Immaginate che fine avrebbe fatto questo canarino se fosse nato presso l’allevamento di un allevatore poco attento o di uno dei tanti sostenitori della teoria del “minestrone genetico”! Ebbene, Nobili ha intuito da subito che si trattava di canarini particolari e, partendo dal materiale a disposizione costituito dalla coppia di portatori, dai quattro novelli (rivelatisi due maschi e due femmine), ha dato inizio a quella prima fase che obbligatoria-

Massima produzione di mutati per la diffusione e il successo di una nuova mutazione

mente e ragionevolmente deve perseguire la massima produzione di mutati, fondamentale per la diffusione e il successo di una nuova mutazione, parallelamente a un lavoro di selezione finalizzato a ottenere esemplari che evidenziano al meglio le caratte-

Nero Perla bianco dominante, foto: A. J. Sanz

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ristiche della mutazione. Nella realizzazione di questo programma, l’allevatore riferisce di aver scoperto che nello stesso ceppo vi erano altri portatori nati nel 2014 e nel 2013. Certo, il dato non deve sorprendere trattandosi di mutazione autosomica recessiva: la mutazione già da tempo aveva interessato uno dei due alleli e l’unione casuale tra due portatori ha poi generato soggetti mutati. Nel 2016 alcuni soggetti vengono ceduti a Gianmaria Bertarini che parallelamente, nella stagione cove 2017, inizia il suo lavoro di riproduzione e selezione. “Bertarini. Chi era costui?” Concedetemi una parentesi con un ironico riferimento manzoniano per rispondere alla domanda dello stesso tono che in varie occasioni è stata proposta, a volte con onesta curiosità, a volte condita da sottile provocazione e finanche da una certa tendenziosità. In breve, Bertarini è un ex giudice, un ex componente della Commissione Tecnica, ma soprattutto è un allevatore animato da passione e curiosità, ingredienti che lo portano ad approfondire, a studiare e, soprattutto, a sperimentare. Quest’ultima attività (ve lo dice uno che di sperimentazione ne ha fatta e ne fa tanta) toglie spazio e tempo alla produzione di soggetti da concorso (e nonostante ciò Bertarini può vantare importati risultati anche a livello espositivo) e riempie i gabbioni di canarini inutili per le esposizioni. Nel 2018, successivamente al suo insediamento, questa CTN si è subito interessata alla mutazione sia sotto il profilo tecnico, chiamata subito a intervenire con opportune precisazioni su uno standard precedentemente approvato, sia sotto un profilo più propriamente scientifico per la necessità e il dovere che ha un organo tecnico di aprire gli occhi su quello che accade nel mondo della canaricoltura di colore.

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Nero Perla bianco dominante, foto: A. J. Sanz

Nero Perla bianco dominante - fenotipo striato, all. C. M. Nobili, foto: A. J. Sanz

Conoscendo il suo curriculum di canaricoltore, la sua indole e la sua propensione per la ricerca, abbiamo subito intravisto in Bertarini un valido collaboratore e lo abbiamo contattato elaborando un programma di ricerca condiviso. In primis abbiamo evidenziato la necessità di traslare la mutazione negli altri tipi base, soprattutto nel bruno e nell’agata. Riguardo a questo aspetto ho da subito avvertito sulla possibilità di effetti completamente differenti e disattesi sugli altri tipi base. In secondo luogo, si è consigliato di allargare la gamma di combinazione tipo-varietà-categoria interessate dalla mutazione. È intuibile, ad esempio, la bellezza di un Nero Perla Avorio Intenso, sia giallo che rosso. Sui primi risultati di questo lavoro si dirà più avanti, ma è utile riferire che l’amico Bertarini ha effettuato sperimentazioni a più ampio raggio, studiando gli effetti della sovrapposizione ad altre mutazioni come l’opale e il topazio. Mutazione o “minestrone genetico”? È nota la posizione di un nutrito gruppo di allevatori e tecnici che sin dall’inizio si sono mostrati scettici sulla tesi della nuova mutazione. È senza dubbio superfluo stare a rammentare le varie argomentazioni, peraltro molto esaustive e ben impostate, a sostegno della nuova mutazione; superfluo soprattutto perché una sorta di prova del nove ha dimostrato inconfutabilmente che di mutazione si tratta. Infatti, il noto allevatore e giudice della specializzazione EFI Bruno Zamagni, intuendo alcune affinità tra l’espressione fenotipica della mutazione Grigio del Carpodaco Messicano e la mutazione Perla del canarino, ha effettuato un test di complementazione accoppiando un maschio


di Carpodaco Messicano Grigio e una femmina di Canarino Perla. Il risultato è stato un ibrido mutato di sesso maschile. Abbiamo la certezza, dunque, che la mutazione Perla e la mutazione Grigio siano quanto meno alleliche. Una benevola sberla agli scettici che ci consente di affermare la dimostrazione del teorema: il Perla è una mutazione! La denominazione Visto che ci siamo, accenniamo pure a una questione meramente formale, tanto per usare un eufemismo: a qualcuno non piace la denominazione “Perla”. Ebbene, premesso che personalmente ritengo giusto rispettare la scelta di Carlo Maria Nobili quale scopritore della mutazione, vi è una questione di fondo ben più importante: gli aspetti sostanziali vengono molto, ma molto prima di quelli formali. C’è chi ha a cuore gli aspetti scientifici e le prospettive selettive e chi ha una particolare vocazione per le definizioni. Ognuno dà il contributo (sempre gradito) che può.

Ibrido di Carpodaco messicano Grigio x Canarino Perla, foto e all.: B. Zamagni

Caratteristiche distintive del nero perla Nel Nero Perla il disegno melanico ha subito una riduzione drastica mai osservata in precedenza. Rimangono percettibili le strie grigio chiaro nella livrea, che manifesta melanine omogeneamente ridotte e diffuse nelle interstrie (comunemente detto “fondo”) con una tonalità complessiva grigio-perla. Queste caratteristiche vengono riassunte nella definizione “effetto perla”. Le punte di remiganti, copritrici primarie e timoniere, nel piumaggio di nido e la fronte risultano melanizzate. L’insieme di queste zone non diluite è indicato come zone di addensamento melanico o color points. Unghie, dita e tarsi sono melanizzati, anche se in misura inferiore al Nero base. Gli occhi appaiono di tonalità blu alla nascita, sono scuri nel soggetto adulto, il sottopiuma grigio-medio. Da tenere in considerazione l’aspetto che riguarda le timoniere e le remiganti che, una volta mutate, perdono la caratteristica melanizzazione (un po’ quel accade con i Phaeo).

Agata Perla al primo stadio di selezione. Da notare la presenza di disegno eumelaninico, i color points sulle remiganti e le barrature trasversali sulle remiganti che tradiscono la presenza dell'onice dimostrando che il fenotipo striato e quello patinato non dipendono dalla sovrapposizione onice-perla, all. G. Bertarini

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Nero Perla bianco dominante, foto: A. J. Sanz Altro aspetto che assume una certa importanza dal punto di vista meramente scientifico è l’influenza della temperatura sulla melanizzazione. Il fenomeno della termosensibilità delle melanine, consistente in un’alterazione degli enzimi coinvolti nella melanogenesi al variare delle temperature, purtroppo non è mai stato adeguatamente approfondito nella canaricoltura di colore e nell’ornitocultura in genere, ma è noto in altre classi di vertebrati, come ad esempio quella nei rettili che nella linea evolutiva è quella più prossima agli uccelli. Osservazioni su due differenti espressioni fenotipiche Ero solo un allevatore e un giudice quando, osservando i primi Perla e animato unicamente dal mio interesse di ornitofilo, ho sostenuto che sarebbe stato possibile evidenziare il disegno utilizzando particolari espressioni fe-

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notipiche del tipo base. Senza volermi impantanare in un argomento che andrebbe approfondito separatamente, è evidente che non esista un solo tipo base Nero. Lungi dal voler accendere la miccia della disputa tra i fautori della tesi della selezione e i sostenitori della tesi delle mutazioni non codificate, non dico nulla di nuovo ricordando che la stessa mutazione ha manifestazioni fenotipiche molto diverse a seconda che alla base vi sia, ad esempio, un Nero standard o un Monomelanico o un All Black. Sarà per questo che oggi è comparsa una seconda espressione fenotipica della mutazione? Il compito di un tecnico è quello di osservare, di raccogliere informazioni, di confrontarsi e di trarre conclusioni senza dare nulla per scontato, svincolato da preconcetti di qualsiasi natura e sempre con la dovuta prudenza.

Quale indirizzo selettivo incoraggiare quando compare una nuova mutazione? In un’altra occasione ho avuto modo di affermare che due criteri devono ispirare la selezione: l’azione della mutazione e la massima differenziazione rispetto agli altri tipi riconosciuti. Ebbene, per chi non avesse avuto occasione di osservare direttamente i due fenotipi, credo che le foto che illustrano l’articolo siano altrettanto eloquenti: il tipo standardizzato, che l’amico Bertarini indica come Tipo 1, ovvero “patinato”, è senza dubbio quello che rispetta pienamente entrambi i requisiti. Poi ci sono i sostenitori dei “rigoni a tutti i costi”, cioè coloro che per una certa cultura tradizionalmente consolidata sostengono che tutti canarini di colore della serie nero e bruno debbano avere i classici “rigoni” lunghi e larghi. Fermo restando che per i tipi base e per alcune mutazioni si tratta di un principio sempre valido e tralasciando la questione dei danni che negli ultimi tempi ha prodotto la rigida applicazione di questa teoria con i noti problemi di confusione e di sovrapponibilità delle caratteristiche fenotipiche in alcuni tipi, a volte si dimentica vi sono tipi che non rispettano la “legge dei rigoni”: Bruno Pastello e Phaeo, ad esempio. Al di là delle preferenze e delle oggettive valutazioni sempre degne di attenzione e considerazione, la posizione della CTN che presiedo è quello di impegnarsi nello studio di questa nuova “manifestazione fenotipica” in un confronto con gli allevatori scevro di preconcetti. Ad ogni buon conto sarebbe interessante proporre un sondaggio sulle preferenze per l’una o l’altra forma. Qual è il fenotipo oggettivamente più bello, appariscente e assolutamente originale rispetto agli altri tipi oggi riconosciuti? Credo che l’esito sia scontato. La sovrapposizione Perla-Onice C’è chi sostiene che il fenotipo standardizzato sarebbe in realtà il risultato della sovrapposizione onice-perla e che il fenotipo striato corrisponderebbe alla vera e naturale espressione della mutazione.


La tesi appare poco fondata se facciamo mente locale sull’azione dell’onice sulle melanine. In questo canarino, sia che si voglia accettare la tesi della “modificazione della disposizione delle eumelanine all’interno delle penne”, sia che si voglia prediligere quella della riduzione delle melanine, è evidente che l’azione non possa essere tanto forte da causare una riduzione così drastica del disegno. In secondo luogo, abbiamo potuto osservare immagini di Perla con striature molto accentuate che sono il risultato della sovrapposizione dei due fattori. Il problema della sovrapposizione sussiste, lo sappiamo, ma non sappiamo quanto sia realmente determinante. La mutazione è sorta in un ceppo di Nero Onice e chi fa veramente selezione sa benissimo quanto sia complicato liberare un ceppo da una mutazione recessiva indesiderata. I risultati di una selezione mirata ci aiuteranno a fare chiarezza. Di certo, però, nel frattempo non possiamo restare a guardare o a sonnecchiare sul comodo materasso dei preconcetti e dello scetticismo: Topazio et Ametista docent! Lo standard provvisorio è lo strumento che consente di non perdere il contatto con gli allevatori, che favorisce la sana competitività tra allevatori con la partecipazione alle mostre dove giudici e allevatori possono seguire l’iter selettivo. Intanto un componente della CTN si è procurato il tradizionale tris (oltre a

femmine Nere non interessate dalla mutazione Onice) in maniera da consentirci un’attenzione più immediata e diretta sulla selezione del Perla. La riunione tra C.T.N. e allevatori Ci sono aspetti che riguardano il Perla che vanno costantemente seguiti e questioni che necessitano di chiarimenti e approfondimenti: la sovrapposizione con l’onice, i due fenotipi, lo stato dell’arte della selezione, l’azione della mutazione nel bruno e nell’agata. Un confronto diretto tra CTN e allevatori si è reso necessario e urgente. Il Campionato Italiano è apparso per sua natura la sede più adeguata e così abbiamo chiesto al “Carneade” della FOI, Gianmaria Bertarini, peraltro componente del gruppo promotore per il riconoscimento della mutazione in COM, di individuare un gruppo di allevatori disponibili a presenziare all’incontro. Oltre al sottoscritto, per la CTN erano presenti Alfonso Giordano e Michele Laricchia. Francamente, ci si aspettava un più nutrito gruppo di allevatori, ma l’effettiva impossibilità a raggiungere la sede del campionato ci ha privato della presenza di alcuni di loro. Tuttavia, oltre a Bertarini, abbiamo avuto il piacere di confrontarci con Carlo Maria Nobili, che ringrazio formalmente per la sua disponibilità. Inutile riferire che l’incontro si è svolto nella maniera più naturale e spontanea senza vincoli di rito né di formalità, ma l’aspetto più importan-

te dell’evento riguarda il materiale inedito e di straordinario interesse che abbiamo potuto visionare. Riguardo all’aspetto della sovrapposizione, è emerso che la presenza delle tipiche bande trasversali (zigrinature) dell’Onice sembra evidenziarsi unicamente nella forma striata e nell’agata. Abbiamo potuto osservare esemplari sia striati che patinati; tra questi ultimi, si faceva notare in modo particolare un maschio adulto che, nonostante la perdita dei color points, mostrava tutte le altre caratteristiche della mutazione e un’oggettiva bellezza. Tuttavia, due esemplari hanno attirato la nostra attenzione più di tutti gli altri. Nel primo caso si trattava di una femmina selezionata con un adeguato tipo base che presentava una insolita estensione dei color points e una particolare patina più scura del solito, ma pur sempre idonea a identificare la mutazione e le caratteristiche di quello che abbiamo individuato come Tipo1. Un soggetto molto interessante, in quanto ci avverte sulle possibilità selettive e sull’esigenza di stabilire dei parametri certi riguardo alla giusta tonalità delle melanine e all’estensione ottimale dei color points. La sua foto è molto eloquente. Il secondo esemplare era un inedito Agata Perla. Come tecnici, animati dalla soddisfazione per il risultato di un programma concordato con l’allevatore,

Femmina Nero Perla descritta nell'articolo frutto di una particolare selezione e che evidenzia una maggiore carica melaninica e una insolita estensione dei color points

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Il procedimento di riconoscimento in C.O.M.-O.M.J. Per tre anni le Commissioni che si sono succedute hanno chiesto l’avvio del procedimento di riconoscimento internazionale. Il primo anno, per non meglio precisati disguidi, la domanda pare non sia pervenuta all’organismo internazionale; il secondo anno non è stato possibile inviare i canarini in Olanda, nazione organizzatrice del campionato mondiale; il terzo anno un comitato promotore, come da prassi per il riconoscimento di nuove mutazioni, ha predisposto una detta-

gliata brochure contenente uno standard predisposto dalla Commissione Tecnica, standard che nella sostanza lascia invariate le caratteristiche delineate da quello vigente in FOI, ma che risulta più articolato e descrittivo, tanto da essere destinato a sostituire formalmente quello attuale. Esimendoci da commenti e valutazioni, si ritiene opportuno riportare di seguito il testo del documento ufficiale datato 22 gennaio 2020 recante la firma del responsabile della Sezione Canarini di Colore e del Presidente OMJ.

Testo documento O.M.J. del 22 gennaio 2020

Femmina Nero Perla descritta nell'articolo

abbiamo potuto notare già le caratteristiche tipiche della mutazione che lasciano presagire risultati selettivi di sicuro interesse per il futuro. Durante l’incontro abbiamo esaminato anche i canarini esposti e premiati di Carlo Maria Nobili, che ci ha illustrato in maniera meticolosa e puntuale le caratteristiche e le differenze tra un soggetto e l’altro. Molto interessante è apparso il delicato disegno che uno di essi evidenziava finanche sul petto. L’intesa che ne è scaturita prevede una collaborazione e uno scambio di informazioni tra allevatori e organo tecnico. La CTN garantisce attenzione ai risultati selettivi e agli sviluppi della linea con disegno melaninico. Si ribadisce la necessità di selezionare una più ampia gamma di combinazioni Tipo-Categoria-Varietà e a proseguire la selezione nei tipi Bruno e Agata. Un incontro interessante e soddisfacente, il primo.

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Aujourd’hui après une réunion avec le représentant envoyé par la Com Italie M. Gianmaria Bertarini et après avoir pris l’opinion du Comité Technique de l’OMJ, nous vous envoyons les considérations suivantes.Il semblerait qu’il s’agisse d’un héritage génétique récessif autosomique, les sujets étudiés semblent résulter de chevauchements de mutations. Génétiquement parlant, une fois combinées avec des types classiques, on devrait arriver à reproduire, dans le temps nécessaire, le phénotype initial. Après examen des sujets dont nous avons les photos, livrées à M. Bertarini, il est évident que le produit final ne représente pas les Perlés visionnées mais des sujets avec un dessin mélanique évident.Il est également certain que les indications fournies par M. Bertarini ont été jugées fondamentales pour la poursuite de l’étude de ces sujets nécessaires à une voie sélective à cet égard, puisque les canaris qui présentent le dessin (mélanine) ils sont plus intéressant. Il est conseillé à la COM Italie de soumettre à nouveau une demande accompagnée d’un standard relatif à cette race, des résultats des accouplements et de nouvelles photos jusqu’au 30 juin 2021 afin que les sujets être étudié lors du congrès technique de 2022.

Oggi, dopo un incontro con il rappresentante inviato dalla Com Italia, sig. Gianmaria Bertarini, e dopo aver acquisito il parere del comitato tecnico dell’OMJ, vi inviamo le seguenti considerazioni.Sembrerebbe che si tratti di un’eredità genetica autosomica recessiva, i soggetti studiati sembrano derivare da mutazioni sovrapposte. Geneticamente parlando, una volta combinato con i tipi classici, dovremmo essere in grado di riprodurre, nel tempo necessario, il fenotipo iniziale.A seguito di esame dei soggetti di cui abbiamo le foto, consegnate al Sig. Bertarini, è evidente che il risultato finale rappresenta non i Perla visti ma soggetti con un evidente disegno melaninico. E altrettanto certo che le indicazioni fornite dal Sig. Bertarini sono state considerate fondamentali per il prosieguo dello studio di questi soggetti necessari per un percorso selettivo in questo senso, dal momento che i canarini che presentano il disegno (melanina) sono più interessanti. Si consiglia alla COM Italia di inviare nuovamente una richiesta accompagnata da uno standard relativo a questa razza, dei risultati di accoppiamento e nuove foto entro il 30 giugno 2021, in modo che i soggetti possano essere studiati al congresso tecnico del 2022.


ESTRILDIDI FRINGILLIDI IBRIDI

L’Organetto ed i suoi ibridi di PIERCARLO ROSSI, foto di D. CAUTILLO, M. LORENZINI e P. ROSSI

L’

Organetto, per le sue forme accattivanti e la sua docilità, risulta essere uno degli uccelli della fauna autoctona maggiormente allevato. La classificazione scientifica “formale” dell’Organetto è la seguente: - Regno: Animalia (Animale) - Phylum: Chordata (Cordati) - Classe: Aves (Uccelli) - Ordine: Passeriformes (Passeriformi) - Famiglia: Fringillidae (Fringillidi) - Genere: Acanthis (ex Carduelis) - Specie: flammea La maggior parte degli autori, grazie a studi approfonditi, riconosce l’esistenza di due gruppi principali di Organetti, classificati e suddivisi in due specie distinte: la specie Acanthis flammea (Organetto) e la specie Acanthis hornemanni (Organetto Artico). (*) Alla luce delle recenti modifiche nel sistema binomiale cui sono state riclassificate molte specie ornitiche, basandosi non più su criteri morfologici ma sulla base delle caratteristiche del DNA, moltissime specie hanno subito travasi in seno ad altri Generi. La moderna Tassonomia classifica l’Organetto come unica specie (Monotipica) “Acanthis flammea” ascritta quindi al Genere Acanthis (precedentemente appartenente al Genere Carduelis) e ne contempla 5 sottospecie (compresa la specie nominale): • Acanthis flammea flammea (Linnaeus, 1758) • Acanthis flammea cabaret (Statius Müller, 1776) • Acanthis flammea exilipes (Coues, 1861)

In natura sono presenti numerosissime Sottospecie e varietà, una diversa dall’altra

• Acanthis flammea hornemanni (Holboell, 1843) • Acanthis flammea rostrata (Coues, 1861) Studi recenti hanno dimostrato che la sottospecie “disruptis”, in realtà, è la sottospecie “cabaret” delle isole Britanniche. Così come la sottospecie “holboellii” altro non sarebbe che la

Organetto scuro x Verdone, foto di P. Rossi

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“popolazione nordica” della sottospecie “flammea”, che si differenzia per taglia maggiore e becco più lungo.

Lucherino x Organetto, foto di D. Cautillo

Organetto bruno x Cardellino bruno, foto di D. Cautillo

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Distribuzione in natura Come abbiamo appena visto, in natura sono presenti numerosissime sottospecie e varietà, una diversa dall’altra, con o senza il rosso sul petto (anche per motivi non strettamente alimentari) dalle dimensioni che spaziano dagli 11 cm (Acanthis f. cabaret e disruptis) agli oltre 14 cm delle varietà artiche (A. f. rostrata, A. f. hornemanni) che vivono nel nord Europa fino alla Groenlandia e che si distinguono, oltre che per la taglia maggiore, per il mantello complessivamente più scuro e per il becco più grosso (A. f. rostrata). Nella parte alta della Svezia e della Finlandia è diffuso l’Organetto artico (A. f. hornemanni): si distingue per il mantello che è spolverato da una sorta di brinatura e per il groppone che è di colore bianco sale senza strie, come senza strie e più bianchi sono anche i fianchi. Le barre alari sono più vistose, mentre il rosa del petto appare più pallido. Il groppone bianco ed il capo chiaro contrastano con il dorso grigio fulvo, tanto da formare un caratteristico disegno a sella. Abita le zone polari artiche dell’estremo nord del continente americano: isole di Ellesmere, isola di Bylot, Terra di Grant, Terra di Baffin e nord della Groenlandia. È la sottospecie che vive più a nord, in condizioni climatiche estreme, con temperature anche al di sotto dei – 65 gradi centigradi. Per poter vivere in tale ambiente, l’hornemanni ha dovuto evolversi modificando sia il proprio comportamento che le proprie caratteristiche fisiche. Infatti, possiede piume più lunghe rispetto alle altre sottospecie, in modo da trattenere un maggior volume d’aria, così da realizzare un isolamento molto efficace. Dispone di un gozzo più capiente, così da poter immagazzinare una maggior quantità di cibo che in poco tempo gli consenta di accumulare una buona dose di grasso (anche oltre il 12% del peso corporeo). Proverbiale e leggendario è il modo con cui l’hornemanni si ripara dai gelidi

venti polari: scava delle tane nella neve e vi soggiorna in gruppo, l’uno vicino all’altro, in modo da aumentare la massa “corporea” e limitare al massimo la dispersione del calore. Durante l’autunno e l’inverno si sposta nel sud della Groenlandia, nord di Manitoba, nord Michigan, Labrador e Quebec. Il biotipo dell’hornemanni è la tundra artica con vegetazione bassa e rada, in particolare betulle e salici nani su cui nidifica. In ambiente artico privo di vegetazione nidifica direttamente sul terreno o a ridosso ed al riparo delle rocce. Oltre alla sottospecie nominale è riconosciuta la sottospecie Acanthis flammea exilipes che, al pari del flammea, ha una diffusione circumpolare quasi completa ma ad una latitudine superiore: abita la tundra della parte più settentrionale del continente Euroasiatico (dalla Lapponia a tutta la penisola, attraversando il nord della Russia e della Siberia) e del nord America (Alaska occidentale e settentrionale, nord Yukon, nord ed est Manitoba e Quebec settentrionale). Nella stagione invernale si sposta a sud delle zone di nidificazione: in nord America, nelle regioni centro meridionali del Canada; in Europa, nelle isole Britanniche, nel sud della Scandinavia e nelle regioni Baltiche; in tutto il nord Asia fino alla penisola Kamchatka, nord della Cina e Giappone. L’habitat di exilipes, a differenza di hornemanni, è composto da boschi di betulle, zone limitrofe delle paludi nella tundra artica e, nella parte più a nord della tundra artica, di pareti rocciose e di pendii montani dove cresce una vegetazione molto rada fatta di piccoli cespugli e piccoli arbusti. Il nido viene costruito in posti molto diversi, eterogenei tra loro: nei cespugli, sui rami bassi di un albero (betulla in particolare), nella fenditura o in un crepaccio della roccia, sui ceppi degli alberi tagliati dall’uomo o abbattuti dal vento e, in mancanza di vegetazione, direttamente sul terreno. La presenza dell’Organetto in Italia In Italia sono presenti la specie nominale flammea e la cabaret. La prima è


quella che giunge dalle regioni nordiche e che passa in autunno sulle montagne del Friuli Venezia Giulia; la seconda è quella stanziale sulle Alpi in numerosi branchi anche di centinaia di esemplari. L’Organetto minore (cabaret) ha dimensioni più piccole, circa 11 cm ed il colore bruno rossastro. Nel maschio adulto la fronte è rosso carminio, il mento è nero (bavetta), le guance sono rosate. La gola ed il petto sono rosa carminio vivo; l’estensione di tale lipocromo sul petto varia molto da soggetto a soggetto. I fianchi sono rosa striati di nero o bruno scuro. L’addome ed il sottocoda sono biancastri con soffusioni rosa. La nuca, collo, spalle e dorso sono nero-bruno rossastro. Il groppone è rosa o rossastro striato di nero-bruno. Il sopracoda è bruno scuro con bordi ocra. Le ali e la coda sono nero-bruno con orlature fulvo-biancastre. Le copritrici alari sono brune con estremità rossastre che disegnano una doppia barratura alare. Il becco, piccolo ed appuntito, è giallastro con punta e parte superiore bruno scuro. Le zampe sono bruno scuro. La femmina è simile al maschio ma priva sia di rosa carminio sul petto che di rosa sui fianchi, i quali sono bruno-rossastro. Evidenziano striature di color bruno scuro ai lati del petto e sui fianchi. È priva di soffusioni rosa e sul groppone. La sottospecie nominale (flammea) è un po’ più grande, con il piumaggio più chiaro e più grigio, barrature alari e groppone più bianchi. Talvolta tra una sottospecie e l’altra non vi è una linea di demarcazione netta e precisa in quanto spesso, nelle zone di contatto tra areali limitrofi, avvengono meticciamenti, originando una mescolanza continua di forme intermedie.

All’inizio dell’estate saranno le sementi delle erbe prative, quali romice, il tarassaco, le composite, le graminacee, le onagracee, le chenopodiacee, ad essere al centro della loro dieta. Il piatto preferito però, al pari del Lucherino, al quale spesso si unisce formando stormi numerosi, gravita intorno alle betulle. In luglio, integrano i semi di betulla con l’olmaria, il centocchio, gli ovuli dei salici e l’epilobio. In inverno l’attenzione si sposta poi nuovamente verso l’ontano nero, il tanaceto e l’artemisia. Nel periodo che va da settembre a maggio, su 2559 osservazioni registrate gli organetti hanno indicato dall’86% al 95% di preferenza per la betulla. Nel periodo da aprile a maggio è emersa la prevalenza di semi ed ovuli del salice a livelli del 38%, delle gemme di betulla 9% ed invertebrati vari con medie del 41%, che superano ampiamente i valori percentuali che ci si sarebbe aspettati, dato che in ambiente controllato svezzano i nidiacei con ridotte aliquote di invertebra-

Organetto x Crociere fasciato, foto P. Rossi

Cardellino x Organetto, foto ed allevamento M. Lorenzini

Alimentazione in natura Un gruppo di ricercatori in Gran Bretagna e Nord America ha valutato la dieta di circa 600 casi, comprese le relative nidiate. In primavera, gli Organetti concentrano la loro attenzione soprattutto sui fiori e sui semi dei salici e sugli insetti infestanti, presenti sulle gemme dei salici stessi.

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ti. Nel periodo complessivo che va da maggio a tutto settembre si è verificata, soprattutto a maggio, una marcata predilezione per il centocchio ed il tarassaco, in giugno e luglio per la betulla e il romice, da agosto a fine settembre per l’olmaria ed una serie di erbe ricche di salicilati anti infiammatori. Tra gli invertebrati sono da citare, oltre alle larve del genere Adelges, i bruchi di piccola taglia e gli afidi, che certamente finiscono tutti nei gozzi dei nidiacei. Per dare un’idea della variabilità della dieta di quest’uccello, è possibile citare il caso decisamente eclatante degli esemplari che vivono nel nord della Svezia. In alcune stagioni particolarmente rigide, con la neve alta 40 cm e con il termometro a – 20° C, sono stati trovati dei nidi con uova feconde ed embrioni vitali. In seguito, sì è potuto verificare che i nidiacei presentavano i gozzi colmi di insetti molto grossi e notevolissime quantità di frammenti di semi di abete rosso, alimento tipico dei Lucherini.

Organetto x Crociere, foto P. Rossi

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Riproduzione Si riproduce in boscaglie di betulle, boschi misti di conifere, zone a macchia, lande e brughiere con alberi sparsi o piantagioni arboree e boschetti. Costruisce il nido a volte su un albero in alto, altre in un arbusto o in un cespuglio, talvolta in basso, a livello del suolo. Le coppie spesso nidificano le une vicino alle altre, in gruppi disordinati. La coppa è piccola e disordinata, realizzata con ramoscelli, erba e steli di piante, rivestita all’interno con piumino vegetale, piume e peli. La stagione riproduttiva inizia a fine aprile per le popolazioni a sud e a giugno in quelle più a nord. Vengono portate a termine una o due covate di 4 o 5 uova azzurrine, macchiate di bruno scuro sul polo maggiore. Allevamento ed ibridazione Grazie alla sua grande adattabilità, alla sua robustezza ed alle mutazioni apparse negli anni, l’Organetto è uno degli indigeni maggiormente allevati, tanto da avere creato una forma

domestica, simile alla sottospecie cabaret, ma con forma più tondeggiante e colori e disegni più marcati. Con il passare degli anni e con il sempre maggiore numero di soggetti nati in allevamento, anche il numero degli ibridi presenti in mostra è aumentato notevolmente. I maschi di Organetto risultano essere degli ottimi gallatori ed accettano qualsiasi tipo di femmina proposta, senza mai farsi scoraggiare dalle beccate iniziali, anche non essendo particolarmente focosi; questa caratteristica è molto apprezzata in ambito ibridologico, in quanto permette al maschio di Acanthis di essere unito sia a femmine che amano essere imbeccate e coccolate sia a femmine più “decise” con le quali è necessario che il maschio si imponga. Grazie a questa sua peculiarità è possibile, una volta alloggiato in voliera, unirlo a più femmine contemporaneamente. Le femmine di Organetto depongono ed allevano tranquillamente in gabbia, senza mai dimenticare che il nostro simpatico amico non ama l’umidità ed ancor meno le punture

Organetto pastello bruno x Cardinalino del Venezuela pastello bruno foto e all. D. Cautillo


delle zanzare (a tal proposito, la vaccinazione per il vaiolo risulta essere indispensabile, visto l’effetto devastante di tale malattia). Essendo l’Organetto un soggetto a fattore rosso, gli ibridi più appariscenti ed apprezzati saranno sicuramente quelli in cui anche l’altro parentale manifesta lo stesso lipocromo, pertanto Ciuffolotti, Trombettieri, Crocieri, Cardellini, Cardinalini del Venezuela e Carpodachi saranno tra i più indicati. Negli anni abbiamo potuto ammirare anche ibridi con i Verdoni e con i Canarini africani, ovviamente non colorati per evitare uno sgradevole colore aranciato. In tutti gli ibridi prodotti, la dominanza dell’Organetto è totale sia nei disegni che nelle forme. Ad esempio, se ammiriamo quello con il Ciuffolotto, ci sembrerà a prima vista di trovarci di fronte ad un Organetto di dimensioni maggiori. Ad oggi diverse sono le mutazioni presenti in questa specie che ci permettono di ammirare prole mutata sia femminile sia maschile, quando le mutazioni dell’Organetto si abbinano a quelle presenti nell’altro parentale. Sulla base dell’attuale classificazione tassonomica dell’Organetto, non è possibile esporre ibridi generati fra due qualsiasi sottospecie di Organetti (considerati tutti meticci).

Cardinalino del Venezuela x Organetto Questa ibridazione ci ha permesso di scoprire che la mutazione ritenuta agata nel Cardinalino era in realtà pastello. È una combinazione che viene realizzata spesso e con una certa facilità. Nella forma nero bruna il risultato è un Organetto tutto rosso, dal corpo slanciato. Il Cardinalino, infatti, non riesce a passare quasi mai il nero del cappuccio e lo specchio alare. Nella versione mutata, abbiamo avuto la fortuna di osservare maschi e femmine bruno (Clerici), pastello (Esuperanzi), pastello bruno (Bagiolo) e diluito (Clerici). Tutti soggetti molto interessanti, in particolare quelli dalle dimensioni più piccole ed armoniose.

Soggetto femmina di Organetto pastello bruno x Cardellino, foto P. Rossi

Cardellino x Organetto Questo è uno degli ibridi più comuni tra quelli di indigeno x indigeno. Il risultato è un Organetto con la forma slanciata e la mascherina rossa, che il secondo anno si fonde col rosso delle parti inferiori. Il disegno nero della

Organetto x Carpodaco messicano, foto P. Rossi

Organetto x Canarino L’Organetto è un assiduo corteggiatore ed un ottimo gallatore ma con il Canarino ha sempre generato ibridi con una certa difficoltà e con diversi tipi di malformazioni. Da quando si utilizzano gli Organetti domestici, le cose sono migliorate e questi ibridi sono diventati relativamente comuni. Le femmine di Canarino da utilizzare saranno sicuramente delle melaniniche a fattore rosso, mosaico, ben disegnate, magari brune o pastello brune, nel caso si punti ad ottenere soggetti di sesso maschile mutati. Anche con il Canarino la dominanza dell’Organetto è netta e di facile individuazione nei soggetti prodotti. Molto belle ed accattivanti in fase di giudizio sono le rare femmine mutate ottenute con il maschio satiné rosso mosaico.

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testa e lo specchio alare giallo del Cardellino si intravedono anche negli ibridi ed i soggetti più belli hanno le guance grigiastre anziché brune. Anche in questo caso abbiamo ammirato bellissimi soggetti mutati e tra questi vorrei ricordare un soggetto bruno di Salandi, uno pastello di Peric, uno scuro di Esuperanzi ed uno pastello bruno di Salandi. Organetto x Crociere Organetto e Crociere sono piuttosto affini e normalmente le uova feconde non mancano. Il risultato dell’ibridazione è un Crociere con colori e disegni dell’Organetto. I risultati migliori si hanno con il Crociere Fasciato grazie allo splendido disegno alare ed alla tonalità di rosso ereditato dal Loxia. Tra gli ibridi con il Fasciato va sicuramente ricordato quello realizzato da Pierangelo Saldarini qualche Canarino Jaspe x Organetto, foto D. Cautillo anno fa e ritratto sulle pagine di Alcedo. Tra i mutati, finora, abbiamo visto soltanto Organetto x Verdone delle femmine e tra queste va ricorQuesto ibrido realizzato tra due sogdata quella esposta da Pellizzari al getti con colori differenti, se non colocampionato italiano del 2011. rato, può risultare interessante. Il risultato è un Organetto più grande e Organetto x Ciuffolotto rotondo, con tinte giallognole su Anche in questo ibrido la dominanza petto e fronte. Anche qui abbiamo dell’Organetto è netta e l’ibrido semavuto modo di vedere F1 mutati, ad bra un Organetto più grande e rotononor del vero meno belli rispetto a do, con scarsi disegni longitudinali. quelli di colore classico. el Ciuffolotto rimane la mascherina nera, che sotto il becco si fonde col Fabello x Organetto pizzetto ereditato dall’Organetto. Questo ibrido, poco tentato, risulta Grazie alle mutazioni presenti in essere un buon connubio tra le due entrambe le specie speriamo di poter specie. Viene usata in prevalenza la osservare quanto prima un maschio femmina di Organetto, grazie alla sua pastello o pastello bruno. docilità e grande adattabilità. Nell’acFinora, infatti, abbiamo visto soltanto coppiamento inverso, si possono proun bruno ed un bruno scuro esposti al durre anche soggetti di sesso femmimagnifico campionato del mondo di nile mutati. Gli ibridi maschi ancestrali Cesena 2018. presentano calottina rossa, petto ros-

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so e dorso nocciola con disegno longitudinale evidente. Sulle guance, il disegno ereditato dal Fanello è ben evidente. Lucherino x Organetto È un ibrido generalmente non troppo appariscente a causa dei colori modesti. La dominanza dell’Organetto è molto forte e solo nei soggetti migliori è presente la calotta nera ereditata dal Lucherino. Tra i soggetti visti finora, mutati e non, vorrei ricordare un bellissimo maschio bruno realizzato da Patrizio Salandi. Grazie ai nostri bravissimi ibridatori, abbiamo potuto ammirare anche altri ibridi con l’Organetto come quello con il Verzellino fronte rossa, con il Verzellino, il Verdone di Cina, l’Alario, il Carpodaco messicano, il Trombettiere ecc. Oltre a questi, vanno citate due perle assolute e cioè: • Organetto x Peppola di Tullio Frisighelli • Organetto x Fringuello di Giancarlo Lamperti (anche nella versione pastello bruno) Queste ultime due combinazioni ci permettono di capire che nessuna porta risulta chiusa nell’affascinante mondo dell’ibridazione: basta lasciare spazio alla fantasia, un po’ di audacia e un pizzico di fortuna. * quanto appena dichiarato mi è stato suggerito dall’attuale Presente della CTN EFI Ing. Carmelo Montagno

BIBLIOGRAFIA • Finches and Sparrows - Peter Clement, Alan Harrisand e John Davis – Ed. Princeton University Press, 1993 • L’organetto - Angelo Fumagalli - Alcedo • Gli uccelli nostrani granivori - Mario Rota - Il Giornale degli Uccelli 1978 - ENCIA EDIZIONI • La Dieta Naturale dei Fringillidi - Marcozzi Uccelli


DIDATTICA & CULTURA

Segnalazioni di GIOVANNI CANALI, foto F.O.I.

G

irando per mostre, mostre scambio e parlando con vari allevatori ho fatto alcune osservazioni e considerazioni. Primp punto Già da qualche anno avevo sentito parlare dell’arrivo della mutazione intenso in altre specie. Un arrivo molto preoccupante, poiché tale mutazione è da ritenere che induca alterazioni sulla forma selvatica e renda il ceppo inutilizzabile per un’eventuale immissione in natura. Non mi dilungo e rimando al mio articolo “L’unicità della mutazione intenso” I. O. n°8/9 agosto/settembre 2018, nonché al mio testo “I colori nel Canarino”, ed. FOI 1999. Tuttavia, vi saranno cenni nel prosieguo. All’inizio si parlava del Cardellino (Carduelis carduelis), però fortunatamente pare che la mutazione sospettata di corrispondere all’intenso (secondo alcuni la giallo), in realtà, sia diversa. Oggi si parla di mutazione equivalente all’intenso, con maggiori probabilità di vera corrispondenza, nel Lucherino (Spinus spinus) e nel Verdone (Chloris chloris). A questo proposito raccomando attenzione alla denominazione, per non cadere in equivoci. Non ne ho parlato prima poiché non avevo visto alcun soggetto sospettato di essere intenso in tali specie. In realtà non avevo molti dubbi, poiché gli allevatori che me ne parlavano e me ne parlano sono ben dotati di competenza, esperienza, nonché stimati, quindi attendibili. Tuttavia la prudenza mi frenava. Ora, avendo visto almeno un soggetto Lucherino che sembra in effetti essere intenso, ritengo, sia pure con

Nero cobalto intenso giallo

tutte le cautele del caso, di spendere qualche preoccupata parola. Ho suggerito agli allevatori di fare

Ho suggerito agli allevatori di fare controlli sui presunti intensi

controlli sui presunti intensi, come misurazioni della lunghezza delle barbe (non tanto della rachide) per accertare e quantificare il loro accorciamento e quindi il conseguente restringimento del vessillo, con confronti omogenei (stesse penne, stessa fratria ecc.). Questa operazione ritengo potrebbe essere favorita dall’utilizzo di un compasso. Poi certo valutare, analogamente, anche le altre produzioni cutanee: becco,

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unghie e soprattutto squame dei piedi, poiché la riduzione di queste ultime fa sembrare il piede più sottile, sia il tarso metatarso che le dita. Ho suggerito anche di effettuare accoppiamenti in purezza fra i probandi intensi per valutare i soggetti omozigoti (25%) al fine di accertare l’esasperazione delle caratteristiche della mutazione intenso (dominante e subletale), per vedere se sono sovrapponibili a quella dell’intenso canarino. Sarebbe interessante anche notare se i brinati (forma selvatica normale in tutte le specie) figli di intensi probandi, degenerassero quando accoppiati in purezza (brinato x brinato), specie se reiteratamente, in modo analogo ai brinati canarini. Si tratta cioè di verificare, anche in queste specie, se la mutazione che ipotizziamo intenso

Isabella opale intenso giallo

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Raccomando di tenere i ceppi dove è presente la probanda mutazione intenso rigorosamente separati da altri ceppi

induce per effetto paramutagenico una tara nei brinati imparentati. Tenendo ben presente che fino ad oggi le specie suddette non avevano nulla di tutto ciò e le uniche mutazioni riguardavano le melanine o la varietà, non la categoria. Non mi dilungo in spiegazioni poiché già note e ribadite chiaramente nell’articolo sopra citato e nel mio testo. Ora ci si potrebbe chiedere se l’eventuale mutazione intenso, una volta che fosse accertata come tale, sia il

frutto di nuova mutazione uguale a quella del canarino (simile non sarebbe la stessa cosa) oppure se sia stata traslata dal canarino attraverso ibridazioni. Non ho un’opinione precisa e mi piacerebbe avere conforto dall’opinione di vari ibridatori, purché qualificati. Arrivati a questo punto, raccomando di tenere i ceppi dove è presente la probanda mutazione intenso rigorosamente separati da altri ceppi. Altrimenti c’è il rischio di spaccare in due le specie suddette ed i brinati diventerebbero dipendenti dell’incrocio con intensi. Non vorrei essere pessimista, ma temo di essere come il predicatore cui dicevano: “O predicator che predichi al deserto, non predicar per me che è tempo perso”. Comunque, come sempre, il mio dovere lo faccio a prescindere. Se non altro, non potrò essere accusato di non aver segnalato il pericolo. È bene capire che un ceppo, per essere reintrodotto in natura, deve essere idoneo alla bisogna. La selezione naturale può eliminare diverse mutazioni in un battibaleno, ma altre no. Dipende dall’handicap che ingenerano e, se poi fosse grave e totale, in quanto presente in tutti i soggetti reintrodotti, sarebbe eliminato tutto il gruppo reinserito, quindi un lavoro inutile. Ragionando di massima, si sa che talora soggetti affetti da albinismo sono discriminati dagli stessi genitori, altre volte rapidamente predati ed eventuali fortunatissimi superstiti son spesso cacciati dai conspecifici che non li riconoscono come tali e quindi ben difficilmente si riproducono. Questo specialmente per gli albini totali o quasi. Tare di minore gravità, però, potrebbero incidere poco o nulla e consentire il loro sgradevole mantenersi: penso ad esempio alle depigmentazioni apicali, specialmente se leggere (le cosiddette orlature). Ritengo che, se volessimo allevare per salvare e tenere disponibili ceppi idonei ad una reintroduzione in natura, dovremmo mantenerli il meno possibile lontani dalla tipologia selvatica, latenze comprese.


È indispensabile comprendere che la forma selvatica, quantomeno nei fringillidi, è data dal brinato. Non conta nulla se assomiglia ad un intenso; infatti, le strutture delle produzioni cutanee sono sempre normali, e come tale si comporta in allevamento. Anche somiglianze con il mosaico non vanno oltre la somiglianza pura e semplice. Si tenga anche conto che la condizione di subletale è del tutto incompatibile con la forma selvatica. Semplicemente impossibile, quindi, che l’intenso sia forma selvatica essendo dominante e subletale. Per approfondimento si veda anche “Aspetti da non dimenticare”, I. O. n°3 marzo 2019 del sottoscritto, come pure il mio testo. Da non escludere mutazioni in natura, ma non mi risulta di catture di soggetti intensi, anche se non posso escludere che possano essere sfuggiti all’osservazione. Ipotizzerei, se ci fossero, una eliminazione per selezione naturale, ma non è detto. Naturalmente, non escluderei il ritrovamento di mosaico. Mutazione di scarso rilievo, se non selezionata, e quindi facile da sfuggire all’osservazione. A questo proposito, ho sentito di catture di rari canarini mosaico in natura. Per quanto richiesta, la documentazione non mi è stata fornita. Un tempo, ma anche ora, a volte si parlava a sproposito di intensi e mosaico in natura, come condizione normale, assolutamente non prospettabile. Per avere una circostanza simile bisognerebbe sostenere che in natura si privilegiasse l’accoppiamento misto, oltre ad accettare un carattere subletale come normale! L’aspetto dell’accoppiamento misto privilegiato è ipotesi ben difficile da prospettare, visto che predilezioni allo stato domestico non ne ho rilevate, tuttavia non proprio impraticabile. Se qualcuno avesse notato qualcosa, magari in voliere, auspico che me lo faccia sapere. Perfino il pappagallino ondulato è stato tirato in ballo, dove per “intenso” si intendeva il piumaggio normale analogo al selvatico e per “brinato” quelli a penna più lunga. Quindi, di fatto, una forma subletale come for-

Si tenga anche conto che la condizione di subletale è del tutto incompatibile con la forma selvatica

ma selvatica unica! Senza accenno alla mancanza di omozigoti striminziti. Semplicemente si è confuso il piumaggio attillato con l’intenso e quello abbondante con il brinato. Il fatto è che l’abbondanza del piumaggio, anche anomala, rientra in una palese eredità poligenica. Si noti che nel canarino ci sono sia intensi che brinati a penna contenuta, come in eccesso. Anche quando si parla di mosaico intensi e brinati si sbaglia gravemente. I cosiddetti in-

tensi sono più equilibrati ed i cosiddetti brinati sono in eccesso e ce ne sono troppi. Non esistono mosaico intensi, altrimenti il mosaico non sarebbe una categoria. Il mosaico è sempre a struttura brinata. Concetti ampiamente spiegati anche sul mio testo. Secondo punto Mi è capitato anche di vedere canarini che vorrebbero essere di tipologia selvatica, con caratteristiche che non sono compatibili con la forma selvatica stessa. Ad esempio una mole eccessiva, le depigmentazioni di cui sopra, ed altro ancora. Ho visto anche comprare un canarino dato per selvatico che aveva una mole improponibile e che in allevamento si rivelò, mi pare di ricordare, un passepartout e pure con un altro carattere latente.

Bruno cobalto intenso rosso

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In altre occasioni, ho invocato la squalifica dei soggetti che soltanto suscitino il dubbio di essere frutto di incroci con i domestici. Qualora non si volesse essere severissimi, sarebbe meglio rinunciare a questa categoria a concorso, che pure è preziosa per confronti o anche per incrocio al fine di inserire, nei domestici, sangue simile al vero selvatico, così da rafforzarli geneticamente, pur pagando un prezzo per il danno ai fini selettivi spinti. Questi reincroci però, solo a senso unico, cioè verso i ceppi domestici, non il contrario, nel modo più assoluto. Quest’ultimo discorso si ricollega con il precedente. E lo stesso discorso si deve fare per tutti i ceppi finalizzati ad una eventuale reintroduzione in natura o per l’utilizzo come riserva genetica molto simile a quella selvatica. Quando la forma selvatica si

Satinè intenso giallo avorio

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Quando la forma selvatica si estingue è un danno terribile

Gibber Italicus

estingue è un danno terribile. Penso ad esempio all’Uro (Bos taurus primigenius), il toro capostipite delle razze domestiche. Per fortuna non è estinto il Gallo bankiva (Gallus gallus), capostipite, anche se forse non esclusivo, delle razze domestiche; sarebbe bene che le forme selvatiche venissero sempre tutelate, per i motivi suddetti ed altri ancora che non è il caso di affrontare in questa sede. Comunque ci sono stati e si fanno tuttora diversi tentativi, con diverse specie, per ricreare la forma originale o almeno simile. Nota finale Ho contattato il dott. Pasquale de Luca per avere un suo parere; ebbene, mi ha fatto sapere di avere letto tutto d’un fiato il mio scritto e di averlo apprezzato, per un contenuto forte e significativo (mi sono sentito lusingato, spero che non scherzasse). Ha espresso l’augurio che gli allevatori lo prendano molto sul serio. Mi ha manifestato qualche perplessità sulla comparsa in due specie in tempi ravvicinati della stessa mutazione, ma non lo esclude. Anch’io ho qualche perplessità e non escludo traslazioni, almeno per il Lucherino; comunque sia, di fatto l’intenso pare esserci e bisogna valutare. Ha ritenuto corretti gli incroci da me suggeriti e si augura che vengano praticati. Al fine di accertare se davvero sia la stessa mutazione del canarino o solo simile. Certo, ci vorrà un po’ di tempo ma spero che si definisca bene la situazione, stante la sua importanza.


CANARINI DI FORMA E POSIZIONE ARRICCIATI

Tra Gibboso e Gibber di GIUSEPPE NASTASI. foto F.O.I. e S. GIANNETTI

F

acendo un resoconto delle razze Arricciate che ho trattato negli anni mi viene spontaneo ricordarmi che non ho mai parlato del Gibboso Spagnolo. Il Gibboso è una razza spagnola che sta avendo un buon incremento di appassionati e nelle varie mostre è sempre più presente. Quando si parla del Gibboso non si può non pensare al Gibber Italicus, razza che ha molto in comune con esso.

Gibboso lipocromico

In effetti, le origini sono comuni ai due canarini; infatti negli anni ’30 del secolo scorso si effettuarono dei meticciamenti tra il vecchio Bossù e gli Arricciati del momento

In effetti, le origini sono comuni ai due canarini; infatti, da fonti certe, negli anni ’30 del secolo scorso si effettuarono dei meticciamenti tra il vecchio Bossù, razza molto allevata soprattutto nei Paesi Bassi, e gli arricciati del momento. Accoppiando tra loro quei soggetti comparve un nuovo canarino arricciato con portamento da Bossù, appunto, ad “uno”; questo nuovo animale venne battezzato con il nome di Bossù Arricciato.

Gibber lipocromico, foto: S. Giannetti

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Questa nuova razza in poco tempo fu esportata in tutta Europa; molto apprezzata, ha raggiunto un’espansione veramente notevole. In Italia grazie ad alcuni allevatori si pensò, a partire da questa razza, di selezionarne una nuova, frutto di accoppiamenti ripetuti di soggetti a piumaggio intenso tra questi Bossù Arricciati e preferendo quelli con portamento a “sette” e più minuti; si pensò di far riconoscere una nuova razza, appunto, un canarino con piumaggio estremamente ridotto, di 14-15 centimetri, e con portamento a “sette”. Tra i più famosi allevatori che contribuirono al riconoscimento di questa nuova razza denominata Gibber Italicus ricordiamo la Signora Maria Giamminola che, credendo a questo nuovo canarino, contribuì a farlo riconoscere nel 1951. Parallelamente all’Italia, la Spagna selezionò i suoi Bossù Arricciati curandone il piumaggio estremamente ridotto, lasciando il portamento da

Gibber Italicus melaninico

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Bossù (ad “uno”) e la taglia grande. A quel punto esistevano tre tipi di canarini genealogicamente simili: il vecchio Bossù Arricciato, canarino con piumaggio folto, portamento ad “uno” e taglia notevole; il Gibber Italicus, canarino a forma di “sette”, lungo 14-15 centimetri e con piumaggio ruvido e scarso ed il Gibboso, canarino anch’esso con piumaggio ruvido e scarso ma grande di taglia e con portamento ad “uno”.

La Spagna, ormai, aveva fissato il suo canarino ideale, già descritto precedentemente, ma non pensò di far riconoscere tale canarino fino al 1981

Parallelamente all’Italia, la Francia pensò di selezionare dei Bossù Arricciati particolari; infatti, partendo dai progenitori, preferirono fissare il portamento a “sette” dei soggetti, così si ebbero uccelli di 17 centimetri con piumaggio folto e voluminoso e portamento a “sette”: praticamente, negli anni ’50 nasce l’Arricciato del Sud. Non si ebbe più notizia dell’originale Bossù Arricciato, canarino a forma di “uno” con piumaggio folto e voluminoso; pare che durante il secondo conflitto mondiale in Olanda e Belgio, patria di questo canarino, lo stesso si estinse. La Spagna, ormai, aveva fissato il suo canarino ideale, già descritto precedentemente, ma non pensò di far riconoscere tale canarino fino al 1981, anno della prima presentazione a livello COM; tale riconoscimento avvenne nel 1984, praticamente 30 anni dopo il Gibber Italicus e l’Arric-

Gibboso melaninic, foto: S. Giannetti


ciato del Sud ma, ripeto, quel tipo di canarino era allevato da tanti anni. In Spagna l’allevamento di questo canarino era ed è molto praticato in alcuni posti, per esempio l’isola di Tenerife, che era il regno assoluto del Gibboso spagnolo; infatti, su quell’isola si allevavano praticamente solo Gibbosi. Il Gibboso è un animale con caratteristiche eccezionali: il suo portamento ad “uno” è affascinante; quando lo assume sembra quasi innaturale, ma è veramente bello. La taglia deve essere di 17-18 centimetri, dunque abbastanza sostenuta. Queste due caratteristiche differenziano enormemente il Gibber Italicus dal Gibboso Spagnolo; lo jabot come nel Gibber deve essere scarso e ridotto a due ciuffetti, senza congiungersi, ma mentre nel Gibber deve far solo intravedere lo sterno, nel Gibboso deve lasciare lo sterno completamente nudo. Purtroppo, i meticciamenti tra Gibber Italicus e Gibboso spagnolo sono molto frequenti, vista anche la somiglianza delle due razze; per questo, noi giudici dobbiamo essere molto meticolosi nel giudizio dei Gibbosi e, infatti, dobbiamo pretendere che i soggetti esposti siano lunghi 17-18 centimetri e soprattutto essi devono assumere al momento del giudizio un portamento ad “uno” nel tempo. Dico “nel tempo” perché qualche soggetto ha un portamento a “sette”, ma stimolandolo eccessivamente sta per qualche istante ad “uno”. Ciò non è corretto, bisogna guardare il canarino sulla rastrelliera, lasciarlo in pace e valutare attentamente che lo stesso abbia un giusto portamento; se non è così, scatta la squalifica. Spero che questo scritto sia stato di gradimento ai lettori.

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ESTRILDIDI FRINGILLIDI IBRIDI

Il Lucherino eurasiatico (Spinus spinus) testo e foto di FRANCESCO FORMISANO

In Memoriam Colei che al mattino mi salutava dicendo: “‘A Maronna t’accumpagna!”, il 23 gennaio 2018 è tornata alla casa del Padre. Ciao Rosina, ciao Mamma. Ho scritto questa nota in sua memoria; grazie a lei, durante il mio lungo girovagare giovanile, il Lucherino, senza soluzione di continuità, è stato sempre presente nel mio piccolo allevamento. Biologia generale Descritto come Fringilla spinus da Linneo nel 1758 e successivamente Spinus spinus da Koch nel 1816 (coniatore del Genere), inserito poi con i cugini americani e non solo, in quell’autentico calderone che è stato per decenni il Genere Carduelis. Negli ultimi tempi, grazie al test del DNA mitocondriale, autorevoli studiosi hanno ridisegnato “l’albero genealogico” delle specie “rispolverando” i vecchi Taxa e così tutti i Lucherini sono ritornati Spinus, i Verdoni (europeo e asiatici) sono di nuovo Chloris; gli Organetti Acanthis; i Fanelli (europeo ed esotici) Linaria. Monotipico, il Luch. eurasiatico si divide in due gruppi di popolazioni: in Europa ed in Asia. In Europa occupa un areale molto ampio: Siberia occ.le dove sono presenti piccole popolazioni nidificanti; Russia (Mar Bianco e Penisola di Kola); Finlandia, Penisola Scandinava meridionale, Gran Bretagna, Isole Britanniche e del Canale; regioni dell’Europa centrale e orientale: Francia (Massiccio Centrale e

Lucherina in cova

Vosgi), Olanda sett.le, Germania, Danimarca, Polonia, Rep. Ceca, ex Jugoslavia, Paesi Balcanici. Europa meridionale: Spagna (Pirenei meridionali), Svizzera, Austria, Italia,

Nel 1998, alle falde del Vesuvio, nell’area pedemontana del comune di Somma Vesuviana sono state segnalate tre coppie come nidificanti

(piccole popolazioni stanziali e nidificanti sulle Alpi ed eccezionalmente come tale, benché raro, sull’Appennino, anche meridionale, come alta Irpinia e Sila). Nel 1998, alle falde del Vesuvio, nell’area pedemontana del comune di Somma Vesuviana sono state segnalate tre coppie come nidificanti, su piante di Avellane, tra Maggio e Luglio, in concomitanza di un’estate eccezionalmente piovosa. In Asia è presente nella parte orientale: coste meridionali del Mare di Okhotsk, Isole Kurili e Sakalin, Giappone sett.le. Durante la stagione fredda migra verso sud e le popolazioni europee si portano sino alle coste del nord Africa e

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Uova di Lucherino

Medio Oriente, mentre quelle asiatiche si spostano verso sud est e sud ovest portandosi in Mongolia, Corea, Cina meridionale; raro se non eccezionale nelle Filippine. In natura il Luch. ha un’alimentazione varia e complessa, infatti si nutre di diversi semi prelevati direttamente sulla pianta oppure razzolati al suolo; con il suo becco sottile e robusto, estrae abilmente i semi dai coni delle

Nidiacei a 2 gg.dalla schiusa

conifere (Abies e Picea); fruttescenze da Ontano, Olmo, Betulla, Larice, Ginepro (gemme e bacche), Eucalipto ecc, ecc. Si procura il cibo anche sulle erbe prative nelle radure ai margini di foreste e boscaglie, preferendo i semi delle composite allo stato maturo o ceroso, dalla primavera inoltrata fino alla tarda estate; durante il periodo riproduttivo, piccoli invertebrati e loro larve - le proteine cosiddette nobili -, sono particolarmente cacciati quando ci sono i pulcini nel nido. La riproduzione è fortemente influenzata dall’abbondanza o meno dei coni di cui sopra e in concomitanza di annate particolarmente favorevoli, può essere addirittura anticipata alla fine di Febbraio (dai nuclei stanziali), con la possibilità di effettuare anche una terza covata; viceversa, in presenza di scarsa produzione, di solito ne viene portata a termine solo una. Il nido è assemblato dalla femmina ad altezza considerevole sull’estremità dei rami di conifere oppure alle loro biforcazioni utilizzando sottili radichette, licheni e muschio a renderlo mimetico, l’interno è reso soffice utilizzando peluria animale o lanugine vegetale – i pappi delle composite –. Mediamente quattro le uova deposte e covate dalla sola femmina; se gallate, dopo i canonici 12 gg. di incubazione si schiudono.

Durante questo periodo il maschio alimenta la compagna al nido, sosta sulle cime degli alberi circostanti sciorinando il canto sia per allietare la femmina in cova, sia per tenere alla larga eventuali rivali. Alla schiusa, continua a nutrire la femmina nei i primi giorni di vita dei pulli, più tardi entrambi i genitori provvedono al loro sostentamento. Quando nascono, i pulcini sono implumi, pelle e becco giallastri, ricoperti da fitto piumino grigio scuro; ben alimentati hanno uno sviluppo molto rapido, intorno al decimo giorno sono impiumati e a due settimane dalla schiusa lasciano il nido. All’involo, riparano nel folto del fogliame di alberi e cespugli, dove ben mimetizzati, anche grazie all’anonima livrea di cui sono dotati (somigliano alla femmina), riescono ad eludere i tanti predatori presenti in natura. Al termine della quarta settimana di vita, alimentati solo dal maschio mentre la femmina cova la deposizione successiva, si emancipano e, imbrancati con coetanei conspecifici e non, vanno alla ricerca di zone di pastura. Intorno ai due mesi di età inizia la muta giovanile, terminata la quale, assumono i colori ed il disegno del piumaggio del sesso di appartenenza. Verso la fine dell’estate, prossimi ad intraprendere il lungo e faticoso viaggio che li porterà anche e ben oltre le nostre latitudini, i Lucherini si radunano in grossi stormi misti a Organetti per effettuare quella migrazione che lungo rotte prestabilite, si perpetua da tempo immemorabile. Introduzione Risale invece a più di mezzo secolo fa il mio incontro con questo simpatico pennuto, così confidente da prelevare direttamente dalle mani di colui che lo accudisce, quando offerte, leccornie varie quali possono essere i pinoli, i grani del girasole, le tarme della farina ecc. Alcuni ricordi della mia infanzia sono indissolubilmente legati a questo uccellino; ero in terza elementare quando un amico di famiglia me ne regalò uno e per un bambino che, sino ad allora, aveva avuto solo e sempre forastici cinguettanti passerotti, figurarsi la gioia di possedere finalmente

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un volatile degno di questo nome, il quale non solo si lasciava osservare da vicino senza sbatacchiare spaventato, ma addirittura cantava! Fu amore a prima vista... Mio padre, che non condivideva questa mia passione ma aveva capito benissimo quanto fossi “un malato... di piuma”, durante i periodi del passo, pur di farmi alzare presto nei giorni in cui non c’era scuola, (per apprezzare la bellezza dei colori dell’alba – diceva – ma in realtà mal tollerava che poltrissi a letto), per anni ha ripetuto sempre e solo lo stesso refrain: “Guagliò!, dai alzati, ci stanno un sacco di Lequie (il lucherino in napoletano) sui pini”. Ed allora io balzavo giù dal letto e correvo fuori; a volte era vero, altre no, ma tant’è: ormai mi ero alzato. All’epoca, (siamo intorno alla metà degli anni ‘60), di Lucherini durante le fasi del passo ne arrivavano davvero tanti. Ricordo ancora il piacere provato nell’osservarli da vicino mentre, attirati dal canto del mio richiamo, si fermavano a nutrirsi dei semini delle erbe prative presenti nei campi che circondavano la casa colonica dove vivevo all’epoca. In pratica avevo anticipato di parecchio quella che poi sarebbe divenuta negli anni a venire una passione alla “moda”, vale a dire: il bird watching, così comune nei Paesi nordeuropei e in quelli anglosassoni in particolare e che, negli ultimi anni, ha preso piede anche nel nostro Paese. Queste emozionanti osservazioni erano condivise dalla allora mia giovane mamma (è lei che mi ha trasmesso la passione per gli animali e, anch’ella, come me, “innamorata pazza” del Lucherino), la quale, come tante altre donne nelle zone rurali a quei tempi, si divideva tra la famiglia, la cura della casa ed il duro lavoro nei campi. Indimenticabili le sue espressioni entusiastiche nell’indicarmi qualche soggetto particolarmente “temerario” tanto da avvicinarsi - incurante di superare quella barriera di sicurezza che di solito i volatili mettono tra loro e noi, prima di scappare via, spaventati - mentre riparati dal tronco di un albero o accovacciati dietro un masso, spiavamo le acrobazie del gruppo sulle cime dei pini e dei pioppi, oppure

Nidiacei a 6 gg.dalla schiusa

posati al suolo nutrirsi sull’Ortica piuttosto che sui minuscoli capolini del Senecio o sulle spighe apicali del Farinaccio (Chenopodium album) e dell’ Amaranto (Amaranthus retroflexus). Il clou del divertimento però avveniva la domenica, quando di buon’ora, nel primo mattino, con mio cugino Francuccio e Giorgio, l’amico di sempre, miei coetanei, si andava sulla lava (pregresse colate laviche del Vesuvio dei

secoli scorsi, che ancora oggi costellano la contrada), là dove erano i capanni allestiti dagli adulti per la cattura con le reti, allora consentita, ma non a noi perché necessitava di un permesso - a pagamento - che, data la nostra età, mai avremmo potuto avere. In noi cementava una sorta di autostima il fatto che, di tanto in tanto, i vari Don Rosario, zì Ciccillo o Don Luigino, quotati e stimati “paratori ‘e rezza”, lasciava-

Nidiacei a 8 gg. dalla schiusa

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no il campo, sensibili e compiaciuti, a noi ragazzini consentendoci di effettuare qualche “tirata”. Sebbene all’epoca le voci fossero ancora bianche, i moccoli erano da adulti quando, quello di turno tra noi, imbranato, maldestro o semplicemente emozionato, anticipava oppure indugiava nel tirare la fune che catapultava la rete, permettendo così allo stormo di volare via. Ah, che bei tempi! e quali piacevoli ricordi ancora oggi che la memoria indugia; non posso che ringraziare il Signore per i miei natali campagnoli e l’ambiente sano e sereno nel quale sono cresciuto. Allevamento Da ragazzo sono stato alcuni anni “on the road ”- : “ Pour connaìtre les habìtudes des autres peuples du monde!”dissi, rivolto alla prof. di Francese, col mio accento napoletano, grande faccia tosta e tanta, tanta speranza, ripetendo quanto già detto poco prima a quella di Inglese, madrelingua anch’ella, all’esame finale del corso convittuale di Scuola Alberghiera che frequentai tanti anni fa in quel di Marino (Roma). Proprio il contatto coi costumi des autres peuples e nello specifico quello inglese, accesero in me la fiamma dell’animalista, prima che quella dell’ornitofilo. Anni dopo, rientrato alla “base”, scopro che nel frattempo è stata varata una legge che vieta l’uccellagione e questo non mi dispiace affatto, anzi, ritengo positivo che anche in Italia si consideri, finalmente, reato detenere uccelli nati liberi. Tuttavia la passione rimane intatta, decido così di procurarmi qualche coppia di canarini domestici, i bei pezzati di allora, robusti e rustici, coi quali intraprendo quel fantastico viaggio chiamato “allevamento” che ancora oggi, tra “gioie e dolori” continua... Negli anni c’è stata poi l’iscrizione alla F.O.I., la lettura di libri specifici e la scoperta che la normativa consente di detenere e allevare, a scopo amatoriale, specie appartenenti all’avifauna autoctona; chiaramente c’è qualche obbligo da osservare. Chiesta ed ottenuta l’autorizzazione alla detenzione (allora l’istanza veniva inoltrata alla

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Nidiacei a 12 gg. dalla schiusa

Provincia di appartenenza, oggi alla Regione), acquisisco presso allevatori autorizzati alcune coppie di indigeni: i primi sono - naturalmente - Lucherini. Nonostante abbia iniziato con soggetti nati in ambiente controllato, le femmine, all’innata confidenza manifestata verso chi li accudisce, contrappongono un inaspettato disadattamento biologico nel nidificare in captività, sia se alloggiate in gabbie da 60 cm, che in quelle da 90 cm, mentre i maschi ibridati con can. domestici si rivelano attenti e premurosi nelle cure parentali, salvo l’avere, alcuni, il poco simpatico vizietto di forare le uova, mentre la compagna è assente dal nido. Capita l’antifona, opto per l’allevamento in voliera, avendone nel frattempo costruite alcune esterne con il fondo in terra naturale. Da allora, siamo nel 1996, ho sempre preferito la voliera alla gabbia, salvo rare eccezioni, quando qualche femmina di terza o quarta generazione domestica, si è riprodotta in gabbia salvo poi prendersi qualche “annetto sabbatico”. Ritengo comunque la voliera più adatta, perché oltre ad eliminare eventuali turbe che si manifestano in gabbia, come possono essere, per la femmina la deposizione delle uova fuori dal nido, la mancata incubazio-

ne, l’abbandono dei piccoli dopo alcuni giorni o il non allevare affatto la prole alla schiusa; mentre il maschio, oltre a forare la uova come detto poc’anzi, spesso, sornione, sfilaccia filo dopo filo il nido mentre la femmina cova, lasciando le uova a giacere sul nudo vimini senza la soffice imbottitura, con tutte le possibili e immaginabili conseguenze del caso. Inoltre in voliera la specie dà il meglio di sé, esibendo le sue innate doti acrobatiche, particolarmente se è presente qualche ramo secco o arbusto verde; inoltre i brevi - ma salutari – voli, consentono al maschio di tenersi in ottima forma, visto la tendenza che ha ad ingrassare. La preparazione alla fase riproduttiva inizia verso la metà di Gennaio, quando fornisco due-tre volte a settimana un cucchiaino a testa dei cosiddetti semi condizionanti, scelti con cura singolarmente e somministrati solo se superano il test di germinazione; pastone morbido all’uovo - poco gradito in questo periodo per la verità -, una tarma della farina a testa, una volta a settimana passando poi a due e a tre in modo esponenziale, man mano che si procede verso la primavera. Quando ci sono i piccoli nel nido, oltre a semi forniti tal quali come perilla, chia, girasole piccolo nero e lattuga, fornisco un paio di volte al giorno una fettina di mela; erbe prative come il dente di leone (Taraxacum officinalis), crispigno o cicerbita (Sonchus asper), senecio (Senecio vulgaris), ambretta (Scabiosa columbaria), lattuga selvatica (Lactuga serriola), piantaggine (Plantago major e lanceolata) e altre delle quali conosco solo il nome locale. La fortuna di vivere in campagna mi consente di trovarne in abbondanza e senza soluzione di continuità da Marzo a estate inoltrata -, nel mentre che matura il girasole nero - piccolo e medio - che semino ai primi di Marzo, il quale mi permette poi di disporre dall’ultima decade di Luglio e fino a Settembre inoltrato, dei semi allo stato ceroso, nutrienti e sani, ottimi per svezzare le ultime nidiate e per il delicato periodo della muta. Le tarme della farina vengono fornite vive e allo stadio larvale, possibilmente fresche


di muta, bianche e tenere senza l’indigesto - per i pulli – esoscheletro chitinoso, in misura crescente a partire dal secondo giorno dalla schiusa e fino al’impiumo, in rapporto al numero dei nidiacei (di solito 3/die per pullus) suddivise in tre somministrazioni. Osservazioni personali hanno rivelato, tuttavia, che i Luch. ne “succhiano” il contenuto qualora siano somministrate con cuticola. A partire dal sesto giorno di età dei piccoli fornisco anche tenere foglie di verdura varia, sia coltivata, sia selvatica (buon Enrico, tarassaco ecc.). Da Agosto a Novembre, secondo disponibilità, fornisco la pianta intera, radici con zolle comprese, di portulaca, graminacee come persicaria e digitaria; l’amaranto e il chenopodio, tutte essenze ricche di semini utili sia a mantenerli in buona salute, che ai fini di una buona muta, contribuendo alla brillantezza del piumaggio. Molto precoci rispetto ai nidiacei degli altri Fringillidi (ed anche all’interno dello stesso genus), i giovani Luch. abbandonano il nido trascorse due settimane dalla schiusa e prima che completino il mese di età, si emancipano. Personalmente, per maggior sicurezza, li lascio ancora con i genitori fino a quando non sono certo che sguscino la scagliola – per me seme essenziale rispetto a tutti gli altri –. Separati, li alloggio con coetanei conspecifici in contenitori da 90 o 120 cm, (sei, otto unità per contenitore non di più, poiché, come tutti gli Spinus sono litigiosi e attaccabrighe). In questa fase inizio a fornire con una certa costanza sia verdura che ortaggi e, in particolare, fette di cetriolo, zucchine e pomodori provenienti dal mio orto biologico, oltre a parche dosi di perilla, chia e lattuga alternate; naturalmente il girasole di cui sopra, lo fornisco fresco, nella corolla appena recisa: è una grossa soddisfazione vederli forzare col becco appuntito la guaina che racchiude il singolo seme ed uno spettacolo per gli occhi quando sgusciano i grani più grossi artigliandoli con la zampetta al posatoio. Tenuto come pet, il Luch. si ammansisce facilmente, riconoscendo, fino a posarsi sulla sua mano, chi lo accu-

disce; particolarmente canterino nelle fredde e piovose giornate invernali, lo scroscìo della pioggia lo stimola così come il rumore provocato dall’acqua che scorre dal rubinetto, (forse gli ricordano, con nostalgia, le cascate ed i corsi d’acqua degli sconfinati e solitari territori nordici di origine). Imitatore sopraffino, in pratica il canto altro non è che un sommesso “chiacchierio”, un misto di note, molte delle quali “rubate” al repertorio di specie coabitanti in natura, oppure per quanti nati in ambiente controllato, copiati dall’inquilino… della gabbia accanto.

partendo dall’ibridazione tra Lucherino diluito x Cardinalino del Venezuela e attraverso questi, grazie alla fertilità di buona parte degli F1 maschi, al Can. domestico. Purtroppo come spesso succede, i meriti vanno ad altri e nello specifico ad allevatori spagnoli i quali, precedendo Riccardo, hanno definitivamente fissato per primi la mutazione, chiamandola Jaspe (Diaspro). Sarò ripetitivo, ma ritengo davvero di cattivo gusto quelle mutazioni estreme che, cancellando disegno o cromie peculiari di una specie, gli cambiano i connotati; ma si sa: “non è bello quel ch’è bello, ma è bello quel che piace” …

Lucherina e la tarma della farina

Da quanto sopra è chiaro che il Lucherino è sempre stato il mio beniamino e, grazie ad esso, tutti gli altri Spinus lo sono diventati. Mutazioni Premesso che ritengo insuperabile quanto plasmato da madre natura, c’è da dire che questo simpatico fringillide di mutazioni ne ha palesate davvero tante e qualcuna anche peculiare (diluito singolo e doppio fattore, silice); inoltre è il “padre” di una mutazione traslata sul Can. domestico, detta Ametista dall’amico Riccardo Rigato, colui che per primo iniziò a lavorarci

e costa!, anzi più costa più è “bello”. Nella società odierna, c’è gente che corre dietro l’ultima moda o l’ultima novità in tutti i settori e, anche il nostro - purtroppo - non ne è esente. Per onestà intellettuale però, bisogna ammettere che proprio grazie alle mutazioni, l’allevamento di questa specie come di altri fringillidi e non solo, ha visto negli ultimi anni a livello espositivo un incremento numerico molto rilevante, anzi si può tranquillamente affermare, senza timore di smentite, che le mutazioni sono ...la muta trainante l’intero “carrozzone” E.F.I.

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dellino Isabella con Lucherina Isabella, ha visto la nascita di F1 maschio Bruno oltre a una femmina Isabella, confermando ancora una volta, qualora ce ne fosse stato bisogno, la bontà delle conclusioni del duo NataleScarcia.

Lucherino maschio alle prese con una corolla di girasole

Ritengo comunque importante che in ogni allevamento di mutati vi sia la presenza di una linea parallela di ancestrali puri, ai fini selettivi delle varie mutazioni per il mantenimento di alcuni caratteri peculiari e per disincentivare il ricorso a soggetti presicci. È stato anche, suo malgrado, “vettore” per traslare mutazioni di colore nel Cardinalino del Venezuela, “coadiuvato” in questa operazione dal Luch. di Magellano, il quale mostra similitudini con il rosso conterraneo (entrambi hanno il cappuccio nero, la barra alare abbastanza ampia, assenza di strie al fianco) oltre a una maggiore percentuale di fecondità dei meticci in ambo i sessi. A proposito di “pastrocchi”: una decina di anni fa è stato dimostrato quanto fosse errata la denominazione Agata e Isabella, usata sia per il nostrano e (per proprietà transitiva) anche per il carduelide sudamericano. Studio tutto italiano stavolta; infatti i “nostri”

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Massimo Natale e Claudio Scarcia, ibridando un Cardinalino maschio presunto Agata con Canarino domestico Agata mosaico rosso, hanno ottenuto prole mutata solo nel sesso femminile (fenotipo Pastello); successivi test, utilizzando sempre maschio mutato Agata o presunto tale, con Can. domestico Pastello e Cardinalina Agata (?) hanno portato i due bravi tecnici alla conclusione che la mutazione di cui trattasi in effetti è la Pastello e di conseguenza l’Isabella altro non è che la Pastello Bruno. Le loro conclusioni sono state nel frattempo suffragate anche dal risultato ottenuto dal bravo ibridista Mauro Bagiolo, il quale, dall’accoppiamento Cardinalino del Venezuela ancestrale/Isabella x Organetto Bruno Pastello, ha visto la nascita di F1 maschi mutati Bruno Pastello e ancestrale e in tempi più recenti dall’amico Marco Zaccaria che, ibridando senza alcun fine “scientifico” un Car-

Ibridazione Di “bocca buona” entrambi i sessi, il maschio è un autentico latin lover (le corteggia tutte) e, genetica permettendo, gli ibridi derivati sono molteplici, da quelli facili da ottenere come con il Can. domestico e con tutti i fringillidi europei ed asiatici, a quelli con un indice di difficoltà più elevata - sincronizzazione del periodo di estro in primis - come potrebbe essere con esemplari provenienti dall’emisfero australe, quali la maggior parte dei Serini africani. Giusto per dovere di cronaca ricordo che ibridi, o meglio meticci, all’interno del Genere fertili tra loro, a salvaguardia del patrimonio genetico delle singole specie e quindi per disincentivare la loro realizzazione, non erano ammessi alle mostre fino all’anno scorso; da quest’anno si è ritornati alla vecchia pratica. Personalmente sono contrario alla loro realizzazione; esorto pertanto tutti gli estimatori degli Spinus a non meticciare per il semplice vanto di “creare” specie intermedie, o peggio ancora, per travasare mutazioni del piumaggio da un “contenitore a un altro!”. Ricordiamoci che ciò in natura avviene spontaneamente e solo là dove gli areali di distribuzione si sovrappongono e nemmeno così spesso... Conclusioni Chissà perché, molti miei conterranei considerano il Luch.: “auciello ‘e malaugurio” (uccello di cattivo augurio), qualcuno addirittura alla sua vista fa ogni sorta di scongiuro, nessuno escluso. Forse la concomitanza di una presenza massiccia durante il passo autunnale nel mese di Novembre, notoriamente considerato qui a Napoli come il mese dei defunti e per questo poco allegro, abbinata al verso di contatto o richiamo, simile secondo alcuni, ad un lamento, gli è valsa que-


sta poco allegra nomea; se poi l’abbondanza del passo si verifica durante un anno bisestile, di per se già funesto, Dio ce ne scansi! Sarà perché sono un cattivo napoletano ma non sono superstizioso e, anzi, considero Gufi, Civette e affini alla stregua di qualsiasi altro volatile, figurarsi il Lucherino poi… In chiusura, vorrei esternare alcune riflessioni: il Lucherino, in buona compagnia, purtroppo, come più volte riportato anche dai media, è oggetto di cattura su tutto il territorio nazionale, al nord come al sud, oggi come ieri e per i più svariati motivi, nonostante sia specie protetta e indisponibile ai beni dello Stato. Al Nord, tra l’altro, se ne fa anche un uso culinario; infatti, purtroppo, va ad arricchire ed insaporire con altri piccoli sventurati volatili un piatto tipico: la polenta con “osei”. Niente e nessuno, ad oggi, sembra voler mettere fine a questa autentica barbarie. Anni fa gli organi competenti della nostra Federazione deliberarono, giustamente e per ovvi motivi, che venisse imposto l’anellino del tipo “K” per due nostrani facilmente “pezzottabili”: il Venturone e il Verzellino. Spontanea, sorge la domanda: sarebbe stato il caso, allora, di adottare tale anellino anche per il nostro beniamino, quanto meno a garanzia della sua provenienza da allevamento domestico? Oggi si potrebbe tentare di ovviare con l’utilizzo di un anellino fatto con materiale diverso dal fin troppo malleabile e plasmabile alluminio, come potrebbero essere il duro acciaio piuttosto che la fragile ceramica o la vetroresina.

BIBLIOGRAFIA: • I Fringillidi Ed. F.O.I. - Renzo Esuperanzi • Cardellini e Lucherini - Giorgio De Baseggio • Gli Uccelli del Parco Nazionale del Vesuvio - Paolo Annunziata

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ESTRILDIDI FRINGILLIDI IBRIDI

Solo partecipando si vince Storie di ibridazioni vincenti e di passioni che ci accomunano di FRANCESCO FAGGIANO, foto FRANCO BLÈ e ANTONIO PALAZZO

Introduzione Alleviamo perché è insito in noi il piacere del prendersi cura e del riprodurre uccelli ornamentali che con i loro colori, i loro canti e i loro comportamenti ci affascinano e ci gratificano, occupando buona parte del nostro tempo libero e dei nostri sogni. Alleviamo anche perché crediamo che, tra le tante attività hobbistiche, quella ornitofila abbia anche un senso legato alla tutela del patrimonio ornicolturale domestico, importante nella preservazione della biodiversità di un pianeta che muore. Alleviamo però anche perché esiste nell’ornitofilia un lato competitivo, oltre che affettivo, della nostra passione, che attraverso la partecipazione alle esposizioni ci fa vivere quella trepidazione che solo una vera competizione produce nella psiche umana e ci fa sentire sconfitti o vincitori, coronando quel sogno di autodeterminazione che un po’ tutti gli uomini hanno. È su queste tre motivazioni di base che si strutturano tutto l’impegno e la determinazione ornitologica amatoriale, che però vedono nell’aspetto espositivo la ragione ultima che sostiene l’impegno ed i sacrifici della passione. Cosa sarebbe l’ornitocoltura senza le mostre? Senza quei vissuti di apprensione che ci dominano quando mandi gli uccellini a migliaia di chilometri da casa quando, concluso il giudizio, sale l’adrenalina nell’attesa che venga pubblicato il medagliere? Esperienze irripetibili, piene di gioia per le vittorie o di delusioni e perples-

Stamm campione del mondo di Canarino satinèx Fanello

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munità”, anche grazie ai successi ornitologici. Convinti di questo, come dirigenti dell’Associazione Ornitologica Salentina sollecitiamo sistematicamente i nostri iscritti a partecipare alle varie manifestazioni, perché come siamo soliti dire “Solo partecipando si vince!”. In merito a questa convinzione ho pensato potesse essere interessante riportare l’episodio di seguito descritto, dove due generazioni di allevatori, accomunate dalla passione per gli ibridi, si sono incontrate, portando a casa il meritato titolo di Campione mondiale 2020, con la stessa grande emozione che caratterizza certe vittorie, nonostante il divario cronologico, che ci evidenzia come a 40 anni e a 76 i vissuti emotivi per gli uccelli non cambino.

Ibrido Campione del mondo diluito scuro di Organetto x Cardinalino

sità per le sconfitte, come quando, ad esempio, il soggetto su cui puntavi torna a casa con 89 punti… L’essere allevatori sportivi contempla così tutti i sapidi vissuti dell’agonismo, motivando e gratificando l’uomo che rivive, attraverso la competizione, il suo essere “capo affermato della propria co-

Vincitori di un mondiale tanto lontano Da appassionato di ibridi seguo con interesse gli amici Antonio Lettere e Antonio Palazzo. Il primo, veterano plurititolato della nostra AOS, che alla sua veneranda età ha forza e grinta da vendere riuscendo a contagiare tanti giovani, così come è successo con l’amico Palazzo, rampante allevatore di fringillidi che negli ultimi anni, seguendo le orme del nostro Maestro Lettere, ha iniziato a “fare ibridazioni” sempre più complesse e belle. Così le

Ibrido di Carpodaco messicano x Ciuffolotto realizzato dal maestro Lettere

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Alleviamo però anche perché esiste nell’ornitofilia un lato competitivo, oltre che affettivo

nostre chiacchierate tra amatori dell’ibridazione diventano momenti di confronto o di spunto e, un consiglio dopo l’altro, i vari sogni di ibridologia prendono forma e colore. Tra i tanti racconti, il Maestro Lettere una volta ci disse: “per fare un ibrido sapete da dove inizio?... Mi metto seduto in allevamento, davanti alle gabbie e, guardando i vari soggetti, li studio e poi immagino come i colori dell’uno potrebbero fondersi con quelli dell’altro e dare vita all’ibrido giusto. Non è forse questo il sogno di un artista che immagina la sua opera prima di realizzarla?”. Certo, il passaggio dal sogno alla realtà non è sempre automatico, specie quando, ad esempio, si cerca di fare ibridi col Trombettiere del Lichtenstein, col quale quest’anno ha ottenuto due uova fertili, purtroppo poi non schiuse, ma spesso per fortuna e capacità ciò accade, come nel caso dell’ibrido di Cardellino x Trombettiere mongolo e dell’agognato ibrido maschio di Messicano x Ciuffolotto, nato dopo tre anni di tentativi e tre femmine. Con questa stessa metodica, l’amico Palazzo ha sognato di presentare uno stamm di ibridi satiné di Canarino x Fanello al mondiale di Matosinhos, dove ha realizzato ben 366 punti portando a casa un oro meritato, considerando che ci sono voluti ben tre anni di perseveranza, tanti ibridi maschi e trepidazioni costanti per non sbagliare niente e poter presentare lo stamm in perfetta condizione di piumaggio e colorazione a oltre 3000 km da casa. Ritengo giusto annotare che nella nostra associazione, con la stessa tipologia di ibridi, hanno vinto il mondiale altri due grandi ibridisti di casa AOS, ovvero il signor De Giorgi negli anni ‘70 e il Giudice Massimo Nisi negli anni ‘90, grandi esempi da cui Antonio ha sicuramente preso spunto. Anche il


È bello assaporare storie di pura passione, che costano dedizione e risorse

Maestro Lettere, che quest’anno ha vinto il C.I. del Levante con un incardellato Jaspe, affermando che in 50 anni di ibridazioni era la prima volta che esponeva questa importante tipologia di ibridi, rappresenta la storia della cultura ibridista e, pertanto, lui non poteva nella sua carriera non conquistare anche questo titolo; assieme ad Antonio ha portato a casa il suo terzo oro mondiale con un ibrido già più volte realizzato, ma in una varietà di colore inedita che ne ha impreziosito notevolmente il fenotipo: Cardinalino x Organetto diluito sf-scuro. L’abbinamento dei due fenotipi mutanti, notoriamente contrastanti nell’effetto (il diluito schiarisce, mentre lo scuro aumenta l’ossidazione) non ha reso particolarmente apprezzabile il soggetto il primo anno di vita perché presentava discromia tra dorso, remiganti e timoniere; queste ultime si presentavano in effetti troppo diluite e contrastanti col fondo “scuro”. Con la seconda muta l’espressione melanica si è uniformata, assumendo un particolarissimo tono grigio fumo che non ha fortunatamente coperto il lipocromo rosso, realizzando complessivamente un cromatismo veramente inedito e piacevole. Però, quando hai in casa finalmente un ibrido che ti piace veramente, o addirittura lo stamm della tua vita, che ti è costato sacrificio e fatica, così come è successo ai nostri due ibridisti, pensare di iscrivere i propri “preziosi esemplari” ad un mondiale così lontano da casa non è semplice. Ma gli uccelli si allevano anche e forse soprattutto per andare in mostra e in particolare l’ibrido, creatura che si sogna sempre di vedere vincitrice delle mostre e non solo da ammirare in allevamento! Per questo, ad entrambi mi sono permesso di dire: “se non partecipi non potrai vincere!” Con-

siglio accolto sempre con trepidazione, ma che alla fine ha regalato a questi due amici accomunati dalla passione per l’ibridazione un titolo prestigioso qual è la vittoria al Campionato mondiale. Titolo di cui un po’ ci sentiamo protagonisti anche noi del Direttivo di un’associazione dove la partecipazione alle mostre è ancora fortemente sentita e, pertanto, anche le operazioni di coordinamento e svolgimento dei convogliamenti risultano una grossa e delicata attività, in cui non si può sbagliare, dove tutto deve essere giusto e veloce a garanzia del benessere dei nostri uccelli, che devono poter giungere sul tavolo del giudice in perfette condizioni. Per questo, grazie anche a tutti coloro che sistematicamente si adoperano in veste di convogliatori. Conclusioni In un panorama dove tutto sembra sempre in funzione del denaro, dove gli uccelli si allevano perché hanno un valore commerciale, dove si espone per poter vendere la domenica in mostra scambio, è bello assaporare storie di pura passione, che costano dedizione e risorse, ripagate eventualmente solo dalla gloria fine a sé stessa, da quella speranza che non tutto sia perso e che esista ancora un’ornitofilia

Ibrido di Cardellino x Trombettiere mongolo

fatta anche di pura passione sportiva. Complimenti, quindi, all’amico e promettente ibridista Antonio: che questo sia il primo di tanti successi mondiali. E al Maestro Lettere, esempio di vita, che con i suoi successi ci insegna e ci sprona a praticare quell’ornicoltura che può ancora insegnarci molto.

Ibrido Campione del mondo diluito-scuro di Organetto x Cardinalino

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R ecensioni Dagli affreschi pompeiani alla fotografia digitale degli uccelli vesuviani di Paolo Annunziata - Edizioni Amazon, 2019. Pagg. 320, formato cm 17 x 24, corredate da numerosissime foto a colori. Prezzo: euro 50 di IVANO MORTARUOLO

Novità editoriali

L’

autore, il dott. Paolo Annunziata, è caratterizzato da una gran passione per gli animali e, in particolare, per gli uccelli. Interessi che sono poi confluiti in una professione (è un veterinario specializzato in patologia aviare) e in pregevoli ricerche ornitologiche, cui hanno fatto seguito pubblicazioni di libri. L’ultima sua opera, quella che vi presentiamo, s’impone per la sua originalità e per il gran numero di specie prese in esame, interamente tratte da raffigurazioni (in prevalenza realizzate con tecniche pittoriche e musive) provenienti da oltre venti siti archeologici dell’area vesuviana, risalenti a circa due millenni fa. L’opera è dunque la risultante di un gran lavoro di ricerca e di studio che, oltre ad offrirci una rappresentazione dell’avifauna esistente allora, ci propone informazioni e spunti di riflessione sulla vita dell’antica popolazione. E’ noto, infatti, che numerose raffigurazioni (in primis quelle sugli affreschi) rinvenute su reperti sono state in grado di fornire chiare indicazioni sugli usi e costumi di allora. Emerge così che il rapporto con il mondo animale era intenso e privo di pregiudizi. Vari animali condividevano gli spazi domestici; alcuni di essi erano liberi di muoversi e, non di rado, costituivano anche una sorta di giocattolo (tale incomodo ruolo spesso veniva svolto dalle quaglie) o dei compagni di giochi per i bambini. Inoltre, come ben evidenzia il dott. Annunziata, frequentemente nelle camere da letto vi erano affreschi con le effigi degli uccelli. Buona parte delle rappresentazioni è ben realizzata e in soddisfacente stato di conservazione. Queste caratteristiche ci consentono di apprezzarne ulteriormente l’abilità mimetica degli artisti e il valore storico che tali espressioni hanno assunto nel corso dei secoli. Con quest’ultima affermazione mi riferisco segnatamente al fatto che tali raffigurazioni costituiscono, a mio giudizio, una tappa importante di un percorso che approderà poi ad un orientamento pittorico chiamato “naturalismo”, che si caratterizzerà per l’estrema cura dei dettagli anche nella riproduzione di animali e piante e che vedrà in Leonardo da Vinci (1452-1519), Dürer (1471-1528), Arcimboldo (1526-1593) e Caravaggio (1571-1610) i suoi massimi esponenti. Un’ulteriore peculiarità dell’opera del dott. Annunziata è costituita dall’immediatezza del linguaggio: è infatti un libro “da sfogliare” poiché le immagini svolgono un ruolo importante e la parte descrittiva, pur nella sua essenzialità, offre sufficienti informazioni. Per ogni specie ornitica viene proposta una o più rappresentazioni pittoriche (naturalmente, ne viene indicato il sito di origine) e le foto di soggetti viventi, corredate da una cartina di distribuzione e da indicazioni sul relativo status sia in Italia sia nell’area pompeiana. Oltre alla nomenclatura scientifica, vengono indicati i nomi dei volatili in diverse lingue, ai quali si aggiunge la denominazione attribuita nell’ idioma locale. Di particolare interesse si rivela poi l’analisi etimologica dei nomi scientifici, volgari ed anche nel dialetto dell’area presa in esame. Completa la scheda l’indicazione di alcuni dati biometrici come il peso corporeo, la lunghezza totale e dell’apertura alare. Purtroppo, una parte dei mosaici presi in esame ha risentito significativamente delle usure del tempo e, pertanto, ne risulta difficoltosa qualsiasi attribuzione del taxon di appartenenza, così l’autore ha ritenuto opportuno raccogliere tali raffigurazioni in un apposito capitolo. Per meglio evidenziare i particolari delle effigi, si è reso necessario scontornarle dal contesto pittorico di appartenenza, ma non sempre è stato possibile determinarne esattamente la specie. In questo caso l’autore ha creato una specifica sezione dove sono confluiti anche gli uccelli allevati. Tra questi ultimi vi sono anche la Maina Acridotheres tristis e il Pappagallo dal collare Psittacula krameri, i quali, se allora potevano considerarsi esotici, attualmente fanno parte della nostra avifauna selvatica. Prima di giungere al termine della recensione, desidero evidenziare che è stata pubblicata anche un’edizione in lingua inglese che, evidentemente, allargherà l’orizzonte dei possibili fruitori di quest’opera. Adunque, vivi auguri e complimenti al dott. Annunziata. Per l'acquisto del libro rivolgersi direttamente alla società Amazon (per via telematica).

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CANARINI DI COLORE

La mia esperienza con i Phaeo testo e foto di EMILIO SABATINO

L

a mutazione Phaeo nel canarino di colore ha dato a questo uccello una bellezza ed un effetto cromatico a dir poco meraviglioso. Nell’osservare questo esemplare, a prima vista, lo scacchiere intervallato tra chicchi di riso e fondo cioccolata fondente (feomelanina), si resta senza parole, colpiti dall’affascinante, accattivante, ammaliante gioco di colori. Quelle piume, remiganti e timoniere, ricche, cariche di feomelanina bruna, che danno tonalità terra bruciata, al

La feomelanina, oltre ad essere il più possibile scura e lucente, dovrà orlare ogni singola piuma e penna

Maschio Phaeo intenso giallo e femmina Phaeo bianco

Femmina Phaeo bianco in cova

biscotto, al castagna, con rifrazioni melanzana violacea, dando vita ad uno dei canarini di colore più belli e difficili, da me nominato “canarino d’oro”. In questo canarino la particolarità della feo non consiste solo nella totalità della distribuzione ma soprattutto nella lucentezza e tonalità. Un Phaeo con feomelanina sbiadita opaca o slavata, non sarà mai un soggetto da esposizione o da riproduzione. Bisogna tener presente, sempre, che la feomelanina, oltre ad essere il più possibile scura e lucente, dovrà orlare

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ogni singola piuma e penna, dando vita al dorso l’effetto scaglia. Le noti dolenti nell’allevare questo canarino sono rappresentate dalla muta o caduta di remiganti o timoniere, perché nella ricrescita non avranno più orlature. Molte volte, spesso, nel giudicare un intenso da un brinato non si tiene conto della variazione e della difficoltà da un tipo all’altro (intenso: molta feomelanina, disegno sottile impercettibile in testa, brinato: disegno largo meno feomelanico, disegno in testa). Se ci si imbatte in un soggetto intenso con grande tonalità feomelanica e lieve disegno in testa, siamo certi che si tratta di un soggetto di gran lunga superiore al brinato. Alla base di un ottimo puro c’è sempre un eccellente portatore: bruno o nero-bruno. Ciò comporta un allevamento molto dispendioso, in quanto i portatori saranno sempre in numero superiore ai puri. La scelta del portatore è subordinata al disegno, feomelanina,

Femmina Phaeo bianco

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Quadro di Adelmo Zannini regalato all’autore

eumelanina, melanina centrale. I miei neri venivano tutti da un accoppiamento Fanello per Bruna portatrice: anche qui, una storia infinita ma

pur vera. Tutto il mio ceppo è partito da questi accoppiamenti e, di seguito, con i vari passaggi. Gli accoppiamenti vanno fatti sempre tra soggetti a chicchi di riso con quelli a chicchi di caffè, o meglio, disegno lungo con corto, mai accoppiare disegno a binari. Nei limiti del possibile formare sempre nidi omogenei, o tutti portatori o tutti puri, poiché le fattrici in gran parte si comportano inadeguatamente, favorendo l’imbecco dei portatori e tralasciando i puri. Per raggiungere questo obiettivo ci è voluto un lavoro lungo e laborioso, soprattutto costante senza mai arrendersi. Infatti, ho iniziato ad allevare nel lontano 1994, prima Rubino ossidato, poi Phaeo. La mia passione nasce già dai tempi adolescenziali e rafforzata con l’incontro - confronto con due grandi dell’Ornitologia (Adelmo Zannini e Marino Rosetti) da me considerati “Enciclopedia vivente": essi sono stati ottimi maestri di vita, sotto l’aspetto umano, relazionale ed ornitologico. Grazie ai loro consigli, alla loro esperienza, alla mia caparbietà, ho consolidato il mio interesse ad allevare e a migliorare questo canarino. Con la scomparsa di questi due “grandi”, ho conosciuto un amico fraterno ed un cultore di Phaeo, Bruno Ginda: unendo le nostre esperienze, capacità e competenze innate si è giunti ai Phaeo effetto Melanzana, strumento di grande orgoglio. Da due anni ho smesso ad allevare i Phaeo, non vi nascondo che sono stati per me oggetto di grande orgoglio e e soddisfazione, soprattutto sentendoli denominare "cioccolatini fondenti", da chi li apprezzava. Il ceppo ora vive nella città di Bari presso un fraterno Amico: Nicola Coniglio. Un abbraccio a tutti coloro che allevano questo splendido canarino e un augurio, quindi, a tutte quelle persone che si accingeranno in futuro a selezionare questa interessante mutazione; sarò a disposizione per aiutare chi vorrà, in quella che è stata la mia esperienza e, perché no, per divulgare le tecniche di accoppiamento. Grazie di cuore a tutti.


CRONACA

Uova, ma il pericolo è davvero nel guscio sporco? testo e foto di GABRIELE FARAONE e GIACOMO MARINO

C

arissimi amici appassionati e ornitologi, da sempre il nostro hobby è sostenuto dalla divulgazione delle esperienze di tutti noi, giuste o sbagliate che esse siano, oggi anche con l’ausilio dei supporti informatici, ma con certezza dalla ricerca scientifica. Vale la pena sottolineare che solo le basi scientifiche, frutto del lavoro di persone qualificate del settore, possono fornirci in modo inequivocabile le informazioni corrette. Oggi, grazie alla buona definizione di audio, foto e video si possono, infatti, documentare in modo dettagliato gli argomenti da noi illustrati. Ma resta comunque un gap. Infatti, non sempre l’uso facilitato di detti supporti informatici, per lo più utilizzati per la condivisione tramite il web, è accompagnato dalla correttezza delle informazioni trasmesse, con la conseguenza di portare fuori strada il nostro follower. Purtroppo, accade che su queste piattaforme esprimere semplicemente il proprio pensiero con un commento a un post o a un video possa far cadere nelle censure, cancellazioni o ancor peggio nella strumentalizzazione del commento stesso a proprio beneficio, in modo che lo stesso assuma una contestualizzazione diversa nell’argomento fonte di confronto. Possiamo comprendere e accettare quest’atteggiamento di censura nei confronti di commenti inappropriati o offensivi, ma non li accettiamo assolutamente quando si tratta di temi costruttivi e soprattutto avvalorati dalla ricerca scientifica.

Ultimo uovo deposto di colore azzurrino

Solo le basi scientifiche, frutto del lavoro di persone qualificate del settore, possono fornirci in modo inequivocabile le informazioni corrette

Detto ciò, scriviamo quest’articolo per illustrare il nostro pensiero, avvalendoci dell’aiuto scientifico per supportarlo e comunque per capire se sia il caso o no di lavare le uova sporche deposte dalle canarine. Almeno qui, nella nostra utile rivista federale, possiamo esprimerci liberamente, senza che nessuno, per partito preso, si senta attaccato anziché coadiuvato.

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Uova deposta da Lutino Av., allev. A. Marsiglia

Il guscio dell’uovo, barriera naturale Il guscio dell’uovo dei canarini è generalmente di forma ovale, con un polo acuto ed uno ottuso, e compone circa il 10% dell’uovo intero. Ha una struttura a fibre composta di minerali ed è quindi costituito prevalentemente da carbonato di calcio con piccole quantità di carbonato di magnesio e fosfato di calcio. Lo strato più esterno è composto dalla cuticola, dallo spessore di pochi micron, formata da una particolare proteina analoga al collagene; è lo strato che protegge l’uovo da eventuali contaminazioni microbiche. È la prima linea di difesa naturale che delimita l’ingresso, ad esempio, di Salmonella e Coliformi fecali, che possono risalire l’ovidotto, avendo come habitat a loro più favorevole proprio il tratto intestinale degli uccelli. Ovvio, quindi, che la loro diffusione negli allevamenti sia spesso conseguenza delle contaminazioni fecali. La cuticola, inoltre, permette il passaggio dei gas, come l’ossigeno, ma nello stesso tempo fa da filtro attraverso i piccolissimi pori del guscio, impedendo cosi la perdita di liquidi importanti per la sopravvivenza e lo sviluppo dell’embrione.

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Da non dimenticare che le uova sono soggette a contaminazione endogena, cioè quando la presenza di microrganismi patogeni è presente nella popolazione microbica d’origine di un determinato soggetto e si traferisce in altre sedi dell’organismo, diverse da quelle normalmente colonizzate. Lo spessore del guscio e la completezza dello strato della cuticola sono caratteristiche talvolta ereditarie; al contrario, i problemi legati al guscio sottile possono dipendere da carenza di vitamina D, di calcio o di luce solare. Nell’allevamento commerciale di avicoli destinati all’alimentazione umana è stato osservato che, durante il processo di lavaggio delle uova, la struttura formata dallo strato della cuticola rimane saldamente alloggiata, a patto che le stesse non siano trattate con sostanze acide o caustiche o sistemi meccanici e termici. Questa pratica della pulizia delle uova nel settore industriale si fa principalmente per ragioni di mercato, così come la somministrazione di particolari pigmenti dai quali si ottengono le cosiddette uova a pasta gialla. Comunque sia, il consumatore finale, nella maggiore delle ipotesi, cuocerà le uova e di conseguenza eliminerà eventuali rischi derivanti dalla contaminazione. Nell’allevamento di piccola avifauna ornamentale, la pratica di pulizia e rimozione dalle uova degli escrementi non è consigliata così da evitare la rimozione, anche solo parziale, di questa protezione naturale contro potenziali patogeni. Se proprio vi trovate in una situazione in cui sia necessaria la pulizia delle uova, la stessa va eseguita senza strofinarle e con semplice acqua tiepida per le uova a dimora. Per quelle in cova, invece, rispettando la temperatura basale per la specie di appartenenza, onde evitare shock termici e la conseguente morte embrionale. Conservazione e manipolazione Le uova vanno conservate in luogo fresco e asciutto, al riparo dalla luce e lontano da fonti di calore (Ndr: È consigliabile ruotare le uova almeno ogni 24 ore). Quando si maneggiano le uova, occorre fare attenzione a ciò che si manipola dopo aver toccato il guscio. Laviamo e

Uovo fecondo sporco di feci

disinfettiamo bene tutti gli utensili e le superfici toccate con le mani potenzialmente contaminate. Laviamoci le mani con acqua e sapone prestando attenzione a non entrare di nuovo in contatto con quanto toccato prima con le mani sporche. Inoltre, a ogni covata è opportuno sostituire il substrato dei nostri contenitori porta uova, onde evitare la contaminazione esogena, cioè quando gli agenti patogeni provengono dall’esterno; a tal proposito, è opportuno utilizzare del cotone idrofilo monouso e non sementi che già di per sé presentano una carica microbica. Curiosità Alcune delle principali curiosità riguardano il colore del guscio e la sua dimensione, che dipendono primariamente dalla razza, dallo stato di salute e da quello nutritivo. Rispetto alla pigmentazione delle uova, si dice che l’ultimo uovo deposto sia quello dal colore chiaro, nel caso dei nostri canarini quello più azzurrino; questo, se pur vero, non è una costante. Inoltre, ci sono rari casi di uova molto chiare, normalmente deposte dalle canarine e risultate anche feconde, come è visibile nelle foto allegate all’articolo. Potete trovarci su: www.canaryteam. altervista.org


ALIMENTAZIONE

Un fiore che si fa notare Il Tagete officinale L’orto-ornitofilo

testo e foto di PIERLUIGI MENGACCI

Premessa Anche il Tagete, assieme al Nasturzio e la Calendula di cui ho già descritto proprietà ed utilizzi, fa parte delle pianticelle erbacee dai fiori eduli che contornano il mio orticello. È un fiore poco noto, ma si fa notare: per la sua altezza, (può superare un’altezza di 100 cm nella varietà T. erecta), per la forma del fiore (assomiglia ad un garofano), per la varietà dei colori (dal giallo, all’arancio, allo screziato). Mentre sono intento a fotografare i primi fiori sbocciati, ecco che arriva mia moglie. -Fotografi anche questi? Che belli! Mi sembrano i “garofani turchi” che piantava tua madre nel giardino di Pesaro! – “Non mi sembra, sono i fiori consigliatimi da Massimo… è il Tagete. Se guardi nella serra c’è ancora la bustina con alcuni semi e con la descrizione “Tagete officinale” – Non sono troppo alti, sovrastano anche i pomodori! Più li guardo e più mi sembrano i fiori che tua madre portava al cimitero e che chiamava garofani turchi. – Forse si assomigliano. Oppure potrebbero essere stati della stessa famiglia del Tagete conosciuto con il nome di “garofano indiano o garofano d’India!. Del Tagete ci sono molte varietà. Comunque, senza disquisire sul nome, ho seminato il Tagete perché ha proprietà simili a quelle del nasturzio e della calendula sia per le colture dell’orto che per gli usi fitoterapici ed anche culinari… -Vuoi dire che… interviene mia moglie – ma non la lascio finire, sicuro che si riferisse all’uso culinario. - Vuol dire che essendo i fiori commestibili, possiamo usarli da soli o assie-

“Le piante che non conosci rimangono erbacce; le piante che conosci diventano Medicinali” (proverbio cinese)

me agli altri fiori dell’orto per qualche frittatina, un risotto, o nell’insalata. Non storcere la bocca; anche gli altri fiori li hai cucinati e ti sono piaciuti. Ma di questo Tagete a Geo&Geo non ho sentito parlare per cui, prima che

entri nella mia cucina, dovrai dimostrarmi che è effettivamente commestibile!-. Ho accettato la scommessa ed ecco i risultati. Classificazione botanica Regno: Plantae Divisione: Magnoliophyta Classe: Magnoliopsida Ordine: Asterales Famiglia:Asteraceae Tribù: Heliantheae Genere: Tagetes Specie: T. officinalis Volgare: Tagete, Garofano d’India, Rosa d’India, Origine: Sud America, Messico, Australia.

Tagete screziata

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Etimologia L’origine del nome generico Tagetes non è nota; secondo alcuni è la denominazione latina di un dio della mitologia etrusca Tages o Tagus adorato per la sua bellezza e capacità divinatorie. Riporto quanto descritto nell’enciclopedia Treccani alla voce Tagete (http://www.treccani.it/enciclopedia/tagete/) tagète s. f. [lat. scient. Tagetes, dalla variante di lettura tagetes del lat. tardo tragauthes, nome di una pianta]. – Genere di piante composite della famiglia Tubuliflore, con una trentina di specie, diffuse dall’Arizona all’Argentina: sono erbe con foglie opposte, capolini raggiati a fiori gialli o aranciati e un involucro di brattee saldate fra loro. Alcune specie, come Tagetes erecta e T. patula del Messico (chiamate garofano indiano, tagete), di cui si conoscono anche specie nane e a capolini pieni, hanno tutte le parti fortemente odorose e sono coltivate soprattutto per i fiori. Tagete (lat. Tages) Fanciullo d’origine divina (in alcune fonti detto figlio del Genio e nipote di Giove) che, secondo una tarda tradizione latina, balzato su dal solco tracciato da un contadino nell’agro di Tarquinia, insegnò agli Etruschi l’arte divinatoria; scomparve (o morì) nello stesso giorno. I suoi insegnamenti, raccolti da Tarconte, costituirono il nucleo dei libri etruschi sulla divinazione (libri tagetici o haruspicini). Curiosità storiche La pianta del Tagete, fin da tempi remoti, era conosciuta e coltivata e nei Paesi di origine rivestiva e riveste tutt’ora un ruolo importante, non solo nella medicina tradizionale, ma anche nelle cerimonie religiose e nelle occasioni più importanti della vita. Gli aztechi, infatti, la utilizzavano per varie patologie, come febbre, dissenteria, indigestione ecc. e su ulcere ed eczemi; pare che avesse anche un importante ruolo nei sacrifici umani.

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Tagete galla

Tagete arancio

È di comune opinione che il Tagete sia stato introdotto in Europa dal Messico nel corso del ‘500 da esploratori spagnoli, dove era conosciuto con il nome cempasúchil ed i cui fiori venivano utilizzati in grandi quantità durante la festività del Dia de Los Muertos (giorno dei morti, 1-2 novembre) per addobbare e decorare le tombe. L’intera pianta veniva altresì utilizzata per produrre una bevanda molto popolare consumata anche per rituali propiziatori. Nei paesi europei, Italia compresa, fu inizialmente utilizzata come pianta ornamentale per adornare parchi e giardini grazie alla bellezza e varietà dei suoi fiori. Col passare degli anni furono scoperte le sue proprietà: migliorare la composizione del terreno, grazie alla sua capacità di prevenire parassiti e funghi, allontanare gli insetti nocivi e, non ultima, l’ottima qualità come pianta medicinale. Il Tagete è una pianta erbacea molto diffusa in diverse nazioni; lo troviamo in estesi appezzamenti di terreno dai caratteristici colori giallo-arancio in India, Australia, Nepal e Thailandia, dove nelle feste e nei matrimoni è presente come segno benaugurante e di felicità. Anche in Ucraina il fiore del Tagete viene coltivato per le sue proprietà fitoterapiche ed è addirittura considerato un simbolo nazionale. Descrizione e coltivazione Di questa pianta erbacea esistono circa 50 varietà, ibridi compresi, ma quelle più conosciute sono il tagete erecta e il patula che si diversificano solamente per l’altezza; l’erecta può superare 1 metro di altezza, mentre il patula non supera i 40 cm. Il terreno di coltura in giardino, nell’orto o in vaso, non abbisogna di grandi concimazioni, basta che sia ben drenato e non abbia ristagni d’acqua che farebbero marcire le radici. Esposizione solatia o mezzombra; an-


naffiature costanti se molto esposto al sole. Il Tagete va seminato generalmente nel mese di marzo, anche nel semenzaio, per essere poi trapiantato direttamente nel giardino, nell’orto o in vaso. Nel trapianto occorre posizionare le piantine a circa 5-6 cm. l’una dall’altra, come pure vanno diradate quelle piantate direttamente sul terreno e nel vaso. È una pianticella che aiuta le altre piante vicino a cui è ubicata a difendersi dai parassiti, in particolare dai vermi nematodi e quindi particolarmente adatta per un “orto biologico”. Le radici, infatti, rilasciano una sostanza tossica per questi parassiti che in pratica li rende sterili, portandoli velocemente a sparire. Non solo: attira le api, le vespe e gli altri insetti impollinatori. Il tronco è robusto, di colore verdastro e fittamente ramificato. Le foglie, con il bordo esterno dentellato,

sono di un colore verde più o meno lucente e al tatto emettono un odore aspro e pungente. Nel mio terreno la fioritura inizia a fine giugno e primi di luglio e prosegue fin ad autunno inoltrato. I fiori, di un colore gialloarancio di varie sfumature e striature, singoli o doppi, crescono su peduncoli fino a circa 15 cm di lunghezza e somigliano molto a dei garofani, da qui anche il nome di garofani d’India. I fiori recisi del Tagete durano a lungo se immersi nell’acqua; ecco perché li troviamo anche nei vasi dei cimiteri e… ripensandoci, forse mia mamma i garofani turchi, come li chiamava, li seminava per questo motivo! Proprietà ed utilizzo Da che mondo è mondo, la natura ci fornisce prodotti essenziali per il sostentamento e la cura di tutti gli esseri viventi. A partire dalla preisto-

ria ad oggi, le conoscenze sulle proprietà terapeutiche di piante e fiori si sono evolute ed ampliate e così, in fitoterapia, omeopatia e farmacologia ne vengono sfruttati i principi attivi. Anche il fiore del Tagete ha subito questo processo ed è stato classificato tra i fiori eduli e officinali avendo diverse proprietà terapeutiche. Oltre alle classiche tisane ed infusi consigliate come digestivi, rilassanti, epatiche e contro le flatulenze, ecc. dal fiore di Tagete si ricava, tramite distillazione in corrente di vapore, un olio essenziale di colore variabile tra il giallo scuro e l’ambrato di consistenza fluida, il cui aroma si presenta fruttato-resinoso, fruttatoalcolico ed erbaceo-fiorito ed è ricco di incredibili capacità e benefici per l’organismo. Infine è dimostrato che sia le foglie che i fiori sono un buon repellente per gli insetti, per cui viene consigliato di

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tenere un vasetto con il Tagete fuori dalle abitazioni, sul balcone o davanzale delle finestre, per tenere lontane mosche e zanzare. Uso commestibile Il Tagete è squisito nelle insalate, sulle tartine, nei sorbetti o nelle crostate, o utilizzata come semplice effetto cromatico-scenografico per decorare alcune portate. Ho convinto mia moglie ad utilizzarne i petali assieme ai fiori di zucca in alcune frittatine e ad amalgamarli all’interno di un risotto con le verdure: risultato ottimo e squisito! Secondo uno studio dell’Università di Pisa i fiori eduli hanno un alto potere antiossidante grazie agli antociani presenti; sembra che sia addirittura superiore a quello degli ortaggi da taglio. Va evidenziato, infine, che i fiori del Tagete vengono utilizzati anche nell’industria alimentare, essendo una delle principali fonti del carotenoide

Tagete ad inizio fioritura

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luteina, ovvero l’additivo alimentare E161b approvato dall’UE. In campo ornitologico Nel mio piccolo allevamento di canarini di colore ha trovato applicazione anche l’olio essenziale di Tagete, le cui proprietà più importanti possiamo così riassumere: - antimicotiche, antifungine: viene consigliato nel trattamento delle micosi della pelle e dei funghi, micosi, calli e duroni dei piedi; - antibiotiche: usato su piccoli tagli e ferite contrasta la proliferazione di batteri; - disinfettanti: usato per disinfettare l’aria degli ambienti, per pareti, vestiti e accessori vari, evita il diffondersi di affezioni e malattie trasmissibili tramite i virus presenti nell’aria. Inoltre, viene anche consigliato come disinfettante per il cavo orale e da espettorante per i polmoni; - calmanti e sedative: adoperato co-

me antidepressivo, aiuta a calmare e rilassare i nervi, bloccando tensioni, ansia e tristezza; - insettifughe: utile per allontanare le zanzare e qualche goccia nello shampoo è di aiuto contro i pidocchi. E, perché no, anche nel bagnetto dei nostri volatili! Usato durante la stagione invernale aiuta a combattere le malattie da raffreddamento, quali congestione nasale, raffreddore, tosse, mal di gola, febbre ed influenza. N.B.: È sempre bene seguire il consiglio medico o di uno specialista nell’uso degli oli essenziali, onde evitare effetti collaterali. Conclusioni I rimedi naturali possono esserci di aiuto in molte occasioni; con questo non voglio assolutamente dire che debbano sostituire la medicina tradizionale, ma possono interagire in moltissimi casi. Ogni fiore, così come ogni pianta erbacea, ha delle caratteristiche diverse e va utilizzato per contrastare le varie problematiche a cui pare preposto. I fiori sono utilizzati in diverse formulazioni affinché agiscano nel miglior modo possibile e più velocemente. È scientificamente dimostrato che oli essenziali, tintura madre, infusi, tisane, creme, unguenti ecc. siano di aiuto e sostegno nelle difficoltà che il nostro organismo può incontrare durante il percorso della nostra esistenza. A mio modesto parere, la stessa cosa possiamo rifletterla sulle problematiche che possiamo incontrare nell’allevamento dei nostri volatili. Con l’utilizzo di prodotti naturali, tra i quali anche l’olio essenziale di Tagete, a partire dalla fase di riposo, pre-cova, riproduzione, svezzamento, fino alla muta si riesce a mantenere l’ambiente privo di virus ed insetti vari e a prevenire l’insorgenza di varie patologie. Prendendo lo spunto dal fatto che nel linguaggio dei fiori e delle piante il Tagete, in alcuni paesi, simboleggi la beatitudine, mi vien da dire: “Il fior di tagete fa beato chi in casa l’ha accettato”. Che ne dite?


Se desideri proporre un argomento scrivi a: redazione@foi.it

P agina aperta P

D: Secondo lo standard, quante sono le barrature alari e caudali e quanto devono essere estese nel Nero Jaspe? R: Lo standard stabilisce che la barratura deve manifestarsi nella parte centrale (cioè non troppo estesa) delle remiganti primarie (di solito 7) e nella parte iniziale delle timoniere esterne (cioè in alto, ai lati dove ha origine la coda) D: E se sul becco, non essendo troppo ossidato, come le zampe, si vede il segno di matita, è penalizzato? R: Assolutamente no! Il segno di matita viene penalizzato negli Agata (che sono dei diluiti), mentre qui stiamo parlando di un Nero (quindi un ossidato), sebbene Jaspe. D: Quante coppie bisognerebbe mettere per selezionare il Nero Jaspe Giallo da competizione? R: Dipende da quanti soggetti si vogliono esporre… Comunque non c’è una legge statistica, diciamo che anche con tre buone coppie si possono avere soggetti a sufficienza per poter partecipare alle mostre. D: Intorno al becco e sotto gli occhi, secondo lo standard il colore deve essere più chiaro? R: Quelle sono zone in genere meno melanizzate, per questo motivo il lipocromo può risultare più evidente. D: Nel canarino Jaspe e nel Bianco dominante non esiste il portatore. Esistono altre mutazioni nei canarini che non hanno il portatore? R: Nei canarini di colore, al momento no. La mutazione Bianco dominante però è definita letale, poiché i soggetti omozigoti non nascono, mentre la mutazione Jaspe è una diluizione a singolo o doppio fattore. D: Nello Jaspe, non esistendo il portatore, i nuovi nati da un accoppiamento tra Nero (base) e Nero Jaspe singola diluizione saranno o Neri o Jaspe s/d; quindi gli intermedi, che non sono Nero Jaspe bianco, foto: E. del Pozzo esponibili, non esistono. Ciò significa che tra i novelli ci sarebbero molti meno soggetti da scartare per l’esposizione nelle mostre? R: Esatto, dall’accoppiamento tra Nero (base) e Nero Jaspe s/d non ci sono né intermedi, né portatori. In teoria, nascono metà Nero Jaspe s/d e metà Nero (base). Poi dipende dalla casualità delle percentuali. Diciamo che il Nero Jaspe singola diluizione può essere considerato un intermedio tra il Nero (base) e il Nero Jaspe doppia diluizione, che esprime la piena mutazione Jaspe (non ancora riconosciuta ai fini espositivi). A cura di GENNARO IANNUCCILLI

Argomenti a tema

rendendo spunto da alcune domande poste da un neo-allevatore di Jaspe, che ha chiesto di non essere citato, crediamo opportuno riportare tali osservazioni nella rubrica Pagina Aperta, per cercare di dirimere alcuni aspetti riguardo questa mutazione che sta sempre più affascinando gli ornitofili italiani e internazionali. Ricordiamo che la rubrica è a disposizione di tutti coloro vogliano porre domande o semplicemente suggerire argomenti che, sebbene a una prima lettura possano sembrare scontati, in sostanza possono invece risultare utili anche a chi si ritiene più esperto.

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DIDATTICA & CULTURA

Osservazioni tecniche e scientifiche sul piumaggio degli uccelli testo e immagini di Giorgio de Baseggio

Si precisa che le argomentazioni trattate in quest’articolo si riferiscono alle Razze arricciate escluse le seguenti di recente riconoscimento ufficiale: Giraldillo Sevillano, Rogetto, Benacus Il carattere ereditario del fattore arricciatura In precedenza abbiamo fatto una distinzione tra: penna - pennopiuma - piuma. Per semplicità, nelle trattazioni che seguono, adotteremo solo i termini: piume (in riferimento alle piume di contorno che avvolgono il corpo) e penne (ossia le “penne forti” rigide e resistenti all’aria durante il volo) che sono le remiganti (penne dell’ala) e le timoniere (penne della coda). La caratteristica fondamentale delle Razze arricciate dei Canarini è l’arricciatura delle piume o, per adottare una frase tecnicamente più corretta, le piume sono “arrotolate verso l’esterno”. Le prime “piume mosse più o meno arricciate” sul petto (comparse in un Canarino olandese) sono dovute ad una complessa mutazione e la sua genetica, ancora oggi, non è bene conosciuta. Molti anni fa allevavo Frisè Hollandais du Sud (successivamente chiamati “Arricciati del Sud”) con le arricciature principali (jabot-spalline-fianchi) adeguatamente sviluppate come previsto dallo Standard della Razza.

Seconda parte

Volli tentare di capire il comportamento genetico del fattore arricciatura. Feci quattro coppie di Arricciato del

Figura 15- Arricciato di Parigi con arricciature principali e secondarie (Disegno a colori di G. de Baseggio)

Sud (due maschi e due femmine) accoppiate a Canarini Malinois (due femmine e due maschi) “vecchio tipo”,

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ossia col corpo più lungo di quello “normale” di questa Razza da canto. Da queste 4 coppie di arricciati x piumaggio liscio, nel tempo si ottenne una numerosa prole di meticci di caratteristiche variabili: per circa 3/4 arricciati (con vari gradi di arricciature, spesso asimmetriche) e 1/4 a piumaggio liscio (ma con esemplari sia totalmente lisci e sia con variabili cenni di “piume mosse”). Scegliendo tra la prole i soggetti con maggiore sviluppo delle arricciature e accoppiandoli tra loro le arricciature tendono ad aumentare estendendosi in varie parti del corpo e a divenire più sviluppate. All’opposto se si accoppiano tra loro gli esemplari più o meno lisci.

Quindi le arricciature possono aumentare o diminuire a seconda della direzione selettiva praticata (o verso il più arricciato o all’opposto). Questi risultati fanno pensare che abbiamo a che fare con una eredità quantitativa (multifattoriale) e all’interno della quale si trovano varie coppie di alleli (coppie di geni) che, in base ai vari tipi di arricciature più o meno sviluppate sia simmetriche e sia asimmetriche, possono essere: parzialmente dominanti (sembra in maggioranza) - altri intermedi - altri non-dominanti con o senza presenza di fattori di localizzazione (esempio: i fianchi nascono sempre dalla parte più sviluppata dello “sfiocco”) .

Figura 16- Vari tipi di teste: in alto dell'Arricciato di Parigi - in basso dell'Arricciato Gigante Italiano (disegni a colori di Giorgio de Baseggio)

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Eredità dei caratteri qualitativi (o monofattoriali) e quantitativi (o multifattoriali) Esistono caratteri che dipendono da “un solo gene” che porta un solo carattere detto monofattoriale o qualitativo o mendeliano. I caratteri qualitativi, dunque, dipendono dalla azione di un singolo gene e sono bene controllabili e si può prevedere come e quando si manifesteranno nei figli e nei loro discendenti, applicando le Leggi di Mendel. I caratteri qualitativi NON subiscono l’azione dell’ambiente. Esempi di caratteri qualitativi: disegno del piumaggio, presenza o assenza del ciuffo, comparsa di anomalie. Ma esistono anche caratteri che sono determinati dalla “cooperazione di molti geni” e dipendono da “molte coppie di alleli”. I diversi geni (alleli) sono detti multipli o plurifattoriali o polimeri o quantitativi o omomeri o poligeni. Esempi di caratteri quantitativi: lunghezza del corpo - taglia - quantità di uova prodotte - grado di fertilità o di sterilità - grado di resistenza alle malattie - lunghezza e larghezza delle piume e delle penne - arricciature delle piume. Tutti i caratteri quantitativi sono molto difficili da controllare e da selezionare dal punto di vista ereditario. In tutti i caratteri quantitativi, quindi, i risultati sono dovuti alla “cooperazione” di parecchi geni i quali, in base alla terza Legge di Mendel, in seconda generazione si rendono liberi per riunirsi in differenti combinazioni. Nella trasmissione ereditaria dei caratteri quantitativi non si ha una dominanza o una recessività, ma una “addizione” delle espressioni fenotipiche del complesso poligenico. Tutti i valori inferiori alla media sono detti “minus varianti”, mentre quelli superiori costituiscono i “plus varianti”. Facendo riprodurre tra loro i volatili appartenenti all’uno o all’altro settore si fa spostare la “curva di variazione” del carattere verso l’uno o l’altro estremo fino a raggiungere le caratteristiche dei progenitori. Operando in tal senso la variabilità, generazione dopo generazione, andrà riducendosi fino a rimanere costante. In tale modo si ottiene una popolazione la cui variabilità rimane costante e detta popolazione costituisce una “linea pura”.


La conoscenza del valore genetico dei discendenti per individuare il Razzatore L’allevatore acquisti un buon libro di Zootecnia che spieghi le operazioni tecniche adatte per potere individuare i Razzatori in possesso di un buono o medio valore genetico. In genere il valore genetico di un Razzatore si ottiene dall’esame del valore genetico dei discendenti (figli, nipoti, pronipoti, ecc.). Ogni anno si registrano i punteggi (in cifre) espositivi di ogni nato da una determinata coppia di genitori. Si sommano tutti i punteggi dei fratelli (individuati dal n° dell’anellino con l’anno di nascita) e ogni somma viene divisa per il loro numero. Si ottiene il valore espositivo medio dei figli di una determinata coppia. Ciò si fa per i figli di ogni diversa coppia di genitori e il numero più alto indica quale è la coppia in possesso delle migliori caratteristiche genetiche di una determinata Razza. Questo metodo si chiama “Identificazione dei Razzatori in base all’esame dei loro discendenti”. Il Razzatore (sia maschio e sia femmina, dato che entrambi concorrono al 50% al valore genetico dei figli) è un soggetto che possiede un valore genetico superiore in grado di dare una prole di buone qualità. Individuati i Razzatori, accoppiarli utilizzando uno dei vari metodi della consanguineità, per raggruppare e fissare nella discendenza i caratteri ereditariamente migliori allo scopo di formare un ceppo di alto livello genetico in grado di produrre, anno dopo anno, un elevato numero d figli in possesso delle ottimali caratteristiche. In tutti gli allevamenti di animali di pregio è applicata correttamente la consanguineità (cavalli puro sangue inglesi; bovini; polli; cani; suini; ecc.) ed essa ha dato ottimi risultati anche negli allevamenti dei Canarini. Coloro che temono di applicare la consanguineità esprimono preoccupazioni non giustificate e ciò perché non hanno mai studiato come viene correttamente applicato il metodo consanguineo in campo zootecnico. Sappiano che dall’accoppiamento di genitori nati da esoincrocio (ossia volatili nati in diversi allevamenti nei quali la consanguineità non è appli-

Figura 17- Caratteristiche del piumaggio dell'Arricciato Gigante Italiano

cata) non è possibile fissare geneticamente i caratteri positivi: si perde tempo e si lavora a vuoto. Per approfondire questi utili argomenti consultare libri specializzati di genetica e di zootecnia applicata anche ai Canarini (esempio: “Canarini Arricciati Pesanti: Parigino, Padovano, Gigante Italiano” ) Autore: Giorgio de Baseggio - Editore: Il Mondo degli Uccelli - Via Cerbai, n° 11- 40032 Camugnano (BO) - Italia - email: g.debaseggio@gmail.com). Principali caratteristiche dei caratteri quantitativi 1) Molto influenzati dai fattori ambientali (alimentazione, temperatura, umidità, tipo di alloggi, grado dell’igiene, spazio, disinfezioni o loro assenza, ecc.) - 2) Si trasmettono secondo una variabilità continua: essa è tale in una popolazione di individui che, considerando un qualsiasi

carattere misurabile - es. peso, statura, lunghezza, esso varia da un individuo all’altro. Nella variabilità continua, tra i due valori di un carattere, è sempre possibile individuare valori intermedi; esempio: un volatile è lungo 22 cm., un altro cm. 21 - valore intermedio - un altro cm. 20. - 3) Dipendono dalla azione di molte coppie di geni (POLIMERI) che possono essere sia dominanti, sia recessivi, sia epistatici, sia positivi, sia negativi, ecc. - 4) Si esprimono mediante un modello additivo, dovuto alla azione di molti o di moltissimi geni i cui effetti si sommano l’uno con l’altro. Effetto additivo: un carattere quantitativo (es. peso, statura, volume del piumaggio, arricciature delle piume, lunghezza, ecc.) è il risultato della azione di molti geni e ogni gene ha un effetto unitario (o positivo o negativo) che si somma agli altri effetti unitari degli altri geni.

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Valore genotipico di un individuo: è dato dalla somma delle azioni dei geni positivi, meno la somma delle azioni dei geni negativi, più i complessi effetti che si esplicano tra coppie di geni (es. effetti di dominanza, di epistasi, ecc.). Alla predetta variabilità ereditaria si aggiunge anche quella dipendente da cause ambientali che modificano, in modo più o meno marcato, l’espressione dei geni che controllano uno o più caratteri. ESEMPIO: un Canarino della Razza Arricciato Gigante Italiano (A.G.I.) ha ereditato molti geni che, potenzialmente, dovrebbero permettere una grande mole nel soggetto adulto (lunghezza cm. 22-23); se durante la crescita (nel nido e soprattutto durante il primo mese e mezzo di vita) viene alimentato con nutrienti carenti in proteine e in minerali, il volatile non potrà raggiungere le grandi dimensioni. Egualmente accade se le pulizie e le disinfezioni sono insufficienti (si sviluppano le malattie) o se nel locale di allevamento ci sono troppi soggetti per cui il volume di aria respirabile (disponibilità di ossigeno) è inadeguato.

Figura 18- AGI bianco (Foto e allevamento: Paul Putz)

Il volume minimo di aria in un locale di allevamento Da nostri accurati studi è risultato che in un locale il volume minimo d’aria (periodicamente rinnovata senza creare correnti dannose) non deve essere inferiore a un m3 (metro cubo) per le dimensioni di un normale Canarino (lunghezza cm. 13-14); per un grande Arricciato Gigante Italiano (cm. 21-23) il volume minimo d’aria sia circa il doppio (1,8-2 m3). Se un locale è lungo metri 6, largo metri 5 e alto metri 3, il suo volume sarà di 6x5x3 = 90 m3. In questo volume non ci possono stare più di 90 canarini comuni e non più di 45-50 Canarini di grossa mole (A.G.I.,Arricciati di Parigi, Lancashire, Padovani, ecc.). Un numero superiore (come purtroppo accade in molti allevamenti intensivi) al predetto volume minimo d’aria causa carenze di ossigeno con conseguenti stress e sviluppi di malattie varie. Ereditabilità dei caratteri quantitativi La moderna Zootecnia ha effettuato accurati studi nell’allevamento e selezione genetica degli animali. In questo mio scritto posso solo fare un esempio per dare, al nostro Lettore, una idea dei

problemi che si incontrano nella ereditabilità dei caratteri quantitativi. In questi studi è necessario operare solo su animali allevati da generazioni mediante una corretta applicazione di uno dei vari metodi della consanguineità (la quale può essere “stretta” o “media” o “larga”), che hanno un patrimonio ereditario depurato da molti geni indesiderati e dalle tare ereditarie (non è possibile effettuare questi studi su animali nati dall’esoincrocio, ossia figli di volatili di vari allevatori che applicano metodi di allevamento diversi). ESEMPIO: chiamiamo con F = fenotipo (è ciò che si mostra esternamente: es. piumaggio, forma, posizione) G = insieme di tutti i geni A = fattori dell’ambiente. Formula: F = G + A. Questa formula indica che il volatile che noi vediamo (F) è il risultato di una “quota parte” dei caratteri quantitativi (provenienti dal suo patrimonio ereditario G); da una “quota parte” dipendente dalle condizioni dell’ambiente A nel quale il volatile si trova; un’altra “quota parte” dovuta alle interazioni tra le due quote G e A. ESEMPIO: un Canarino Arricciato Gigante Italiano (A.G.I.) avrà una taglia, volume delle arricciature e una lunghezza che sono il risultato di una parte dovuta alla azione dei geni quantitativi del suo patrimonio ereditario G; di una parte dipendente dalle condizioni dell’ambiente A e di una altra quota parte dovuta alla interazione tra G e A. Se il volatile è stato adeguatamente alimentato e alloggiato in un ampio locale salubre il suo patrimonio ereditario G potrà manifestarsi al massimo delle sue potenzialità (e viceversa). Uno strano fenomeno statistico che si verifica nelle Razze arricciate del Canarino Dopo decenni di numerose osservazioni di un elevato numero di esemplari arricciati, sembra esista un rapporto spalline-fianchi che statisticamente si è constatato nelle Razze arricciate. Pare esista una correlazione tra lo sviluppo e andamento delle spalline in rapporto con lo sviluppo e direzione dei fianchi. Alcuni ritengono che questo fenomeno

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sia comune in tutte le Razze arricciate. Per comprendere meglio il fenomeno facciamo il seguente ESEMPIO. Si è spesso constatato che quando la spallina DESTRA (vedi Fig. 11/1) è più lunga e più folta della spallina sinistra ciò significa che è maggiore il numero di piume che formano la spallina destra se confrontato al numero di piume della spallina sinistra. Sembra esista, in questo caso, una maggiore tendenza “sommatoria di geni” che favorisce il maggiore sviluppo della spallina destra; ma questa “tendenza genetica additiva” a favore della spallina destra comporta una specie di “rotazione” dei flussi genici che agiscono sulla parte destra del volatile con la conseguenza che il fianco destro viene “piegato verso il basso”, perde l’arricciatura verso l’alto e le sue piume vengono “pressate” contro l’addome con la conseguenza che il fianco destro appare poco sviluppato e incurvato verso il basso (difetto chiamato “fianco cadente o pendente”). Ma la “pressione rotatoria” del piumaggio prosegue e si orienta verso il lato sinistro del volatile (vedi freccia in basso della Fig. 11/1) con la conseguenza che le piume dell’addome si piegano verso sinistra (difetto chiamato “colpo di vento”) e ciò porta un gruppo di piume dell’addome che va ad arricchire il ciuffo delle piume del fianco sinistro che risulta più sviluppato e piegato verso l’alto. Ecco spiegato lo strano fenomeno in seguito al quale si constata un rapporto spalline-fianchi: nel caso sopra descritto notiamo che se la spallina destra è più sviluppata della spallina sinistra ciò porta (spesso) ad un maggiore sviluppo e sostenutezza del fianco sinistro (e lo scarso sviluppo e ripiegamento verso il basso del fianco destro). L’allevatore, nella scelta dei riproduttori, è bene che osservi le piume dell’addome e se queste risultano più o meno piegate verso sinistra è messo sull’avviso. Sembra che il fenomeno opposto al predetto (ossia maggiore sviluppo della spallina sinistra rispetto alla spallina destra) sia statisticamente più raro (vedi Fig. 11/2). Nella Fig. 11/3 notiamo che, in presenza delle due spalline simmetriche e con lo stesso sviluppo, può accadere che uno dei due fianchi sia pendente verso il basso. Nella Fig. 11/4 i due fianchi sono simmetrici

e rivolti verso l’alto, ma la spallina destra è più sviluppata di quella sinistra e ciò porta a favorire la direzione delle piume dell’addome verso sinistra. Le frecce delle predette sezioni > e < segnalano la direzione che tende a prevalere il piumaggio dell’addome. La Fig. 11/5 mostra che sia le due spalline e sia i due fianchi sono simmetrici e hanno lo stesso sviluppo: questa è la situazione ottimale verso la quale deve tendere l’allevatore nella scelta dei riproduttori e la tendenza regolare verso la quale si deve orientare la selezione. Talvolta anche lo jabot (pettorina) può essere influenzato dal prevalente fenomeno direzionale delle piume e in questi rari casi una metà dello jabot può essere più sviluppata dell’altra. La forza del grado di ereditabilità di un carattere quantitativo La “forza del grado di ereditabilità” di un carattere può presentarsi diversamente sui due lati del corpo. Ciò sembra si verifichi in tutte le Razze. Negli arricciati di grossa mole, detti anche “arricciati pesanti” (Arricciato Gigante Italiano, Arricciato di Parigi, Padovano) sembra che statisticamente il fianco sinistro risulti più rinforzato (più soste-

nuto) del fianco destro. Se si accoppiano due genitori entrambi con i fianchi simmetrici e ben sostenuti, si è constatato che statisticamente i figli raramente presentano il fianco sinistro cadente e poco sviluppato; invece la percentuale di fianchi destri cadenti e carenti (difetto) è maggiore. In altre parole: i risultati di numerosi accoppiamenti sembra abbiano dimostrato che il fianco destro possiede un maggiore grado di ereditabilità del fianco sinistro in riferimento ai difetti del “fianco cadente” e del “fianco scarso” e del “fianco mancante”. L’allevatore, quindi, è necessario che conosca bene il grado di ereditabilità di un determinato carattere quantitativo, ciò per evitare forti delusioni. Dato che sembra appurato che il fianco destro sia maggiormente predisposto ad evidenziare i predetti difetti, quale volatile deve scegliere l’allevatore, come riproduttore, tra due Canarini tra loro molto simili nelle altre caratteristiche, ma uno con il fianco sinistro debole e l’altro con il fianco destro debole? Sceglierà il primo con il fianco sinistro debole “perché il fianco sinistro ha un minore grado di ereditabilità” del difetto del fianco cadente. Se l’allevatore facesse l’errore di scegliere il soggetto con fianco ca-

Figura 19- Frisé Parisien bianco: mentre sta sbucciando un seme di Niger (Guizotia abissinica) - (Foto e all.: G. Nastasi)

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dente destro (più elevato grado di ereditabilità del difetto), avrebbe un più elevato numero di figli con il fianco destro cadente. I fattori ambientali influiscono molto sui caratteri quantitativi Ricordarsi sempre che “tutti i caratteri quantitativi sono molto sensibili alle condizioni ambientali” in seguito a ciò sia i pregi e sia i difetti possono essere potenziati o ridotti dall’ambiente. ESEMPIO: un nidiaceo di Arricciato di Parigi ha ereditato dai suoi genitori le migliori caratteristiche della Razza che portano ad ottenere un piumaggio voluminoso e di buone qualità. Ma se detto nidiaceo viene male alimentato (carenze e squilibri dei vari principi nutritivi) e tenuto in un ambiente dove è elevato il grado di umidità (es. grado di umidità relativa dell’aria oltre il 60%), quando diverrà adulto il suo patrimonio ereditario di eccellenza non potrà manifestarsi e il soggetto sarà indebolito, il volume del piumaggio ridotto e più o meno difettoso. Se, invece, lo stesso nidiaceo viene alimentato in modo corretto e tenuto in un ambiente igienico, spazioso, bene areato e con il giusto grado di umidità (45-60%) potrà diventare un adulto di ottimali caratteristiche. I vari tipi di arricciature nel Canarino Esistono due gruppi di arricciature: arricciature principali e arricciature secondarie. Sono ARRICCIATURE PRINCIPALI: pettorina (jabot) - spalline (épaules) fianchi (nageoiresoflancs). PETTORINA (Jabot) e ADDOME In tutte le Razze arricciate, nella porzione anteriore del doppio tratto dello pterilio ventrale fino a circa la metà della prima parte dello sfiocco, si formano le piume della pettorina (Razza A.G.I.) e dello Jabot (le altre Razze). Invece nella seconda parte dello sfiocco si formano le piume dei fianchi. Nela pettorina della Razza Arricciato Gigante Italiano (A.G.I.) le piume si dipartono dalla biforcazione del pterilio ventrale e dai lati il flusso di piume converge verso l’alto e in avanti formando una specie di “ventaglio” e si richiudono nella zona vicina al collare, senza formare delle cavità. La

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parte posteriore della pettorina si raccorda con le piume dell’addome le quali sono anche esse orientate verso l’avanti; di conseguenza addome e pettorina formano negli A.G.I. un unico e uniforme ammasso di piume rivolte in avanti e senza formazione di vuoti tra le due regioni. In una percentuale di soggetti della Razza A.G.I. esistono i fianchi mediali (vedi sotto alla voce “fianchi”) che, invece di staccarsi dai lati del corpo, emergono dalla parte mediana dello stesso; in questo modo si insinuano tra la pettorina e l’addome (difetto) e rompono l’uniformità tra le due regioni . Lo jabot nella maggioranza delle altre Razze arricciate presenta piume che si dipartono dai due lati del petto e convergono verso la parte mediana (zona dello sterno) formando nell’Arricciato di Parigi una specie di conchiglia; siccome le piume dell’addome in questa Razza sono, di norma, più corte di quelle dello jabot, di conseguenza nei “Parigini” il “confine tra la parte posteriore dello jabot e la parte anteriore dell’addome forma uno stacco più o meno evidente tra le due regioni”; ma ci sono esemplari che hanno le piume dell’addome tanto sviluppate da formare un ammasso unico di piume con quelle dello jabot. Nell’Arricciato del Nord lo jabot assume la forma di un mezzo guscio di una grossa noce mentre, nell’Arricciato del Sud assume una forma a nido di rondine con cavità ben scavata che per questa sua caratteristica viene anche definito “cestino”. Nelle rimanenti altre Razze arricciate la maggioranza di esse evidenzia uno jabot simile a quelli sopra indicati, con la eccezione di alcune Razze: Gibber Italicus, Giboso spagnolo e Melado tineferno che hanno uno jabot molto scarso con piume che si dipartono dai lati del petto senza congiungersi nella parte mediana. Nel Gibber Italicus lo jabot è ridotto a due “virgole” ai lati della zona superiore dell’alto petto. Lo jabot del Giboso, del Melado e dell’Arricciato del Sud fa parte dell’alto petto. L’Arricciato del Nord e il Padovano hanno uno jabot che si estende a circa i 4/5 del petto. SPALLINE (mantello) Lo pterilio dorsale da circa la metà del suo primo tratto fino a circa l’inizio della “mandorla”, forma le piume della regione del “mantello” che è costituito

dalle piume del dorso che da una scriminatura (riga) mediana e longitudinale si dipartono e ricadono sui due lati formando le spalline che, come caratteristica di pregio, devono essere simmetriche e più o meno sviluppate secondo i vari Standards delle diverse Razze. Nel Gibber Italicus hanno una estensione ridotta a due ciuffi. Nell’Arricciato di Parigi si osserva la massima estensione della regione delle spalline e anche nella Razza A.G.I. notiamo il mantello di notevole sviluppo ma a forma di “ROSA” formata da piume molto lunghe e larghe che si dipartono a raggiera da un “centro”, similmente ai larghi petali di un fiore; la “rosa più pregiata” è quella che comprende i 3/4 del mantello e, nella porzione posteriore, è interrotta da uno spazio vuoto con la forma di una “Vrovesciata”. Ma sono molto apprezzate anche le “rose complete” senza la “ V” e anche le “ rose spaccate” da una grande “ V”. Più la “rosa” è grande e regolare e tanto più essa è pregiata. FIANCHI Lo pterilio ventrale forma lo “sfiocco” su ogni lato e dalla seconda metà di esso si diparte il ciuffo di piume che formano i fianchi che escono sui lati del corpo e si incurvano verso l’alto. I fianchi sono presenti in tutte le Razze con estensioni tanto maggiori quanto più grande è la mole del volatile e quanto è più sviluppato il suo piumaggio. I fianchi sono pregevoli se dimostrano le seguenti caratteristiche: voluminosi, simmetrici, ampi, folti, bene sostenuti, curvati verso l’alto fino a raggiungere e oltrepassare, nelle Razze più arricciate, il margine delle spalline. Gravi difetti sono: fianco cadente, fianco mancante, fianco poco sviluppato, fianco asimmetrico. In tutte le Razze arricciate esistono i cosiddetti fianchi laterali che emergono normalmente dai lati del corpo fasciandolo. Si chiamano fianchi distali quando sono “molto laterali” ed emergono piuttosto distanti dal piano mediano, ossia il piano che taglia in due parti simmetriche il corpo e questi fianchi sono posseduti dagli esemplari con piumaggio molto soffice e voluminoso. Nella Razza Arricciato Gigante Italiano (A.G.I.) troviamo una percentuale minoritaria di esemplari che mostrano i fianchi mediali (o mediani) perché la loro base sembra


emerga dal “piano mediano” che taglia in due parti simmetriche il corpo. È probabile che, in questi soggetti, le due branche del pterilio ventrale con lo “sfiocco” (dal quale emerge il ciuffo di piume del fianco) si trovino molto vicine alla linea mediana del corpo. I fianchi mediali staccano la parte inferiore della pettorina dalla parte anteriore dell’addome e ne rompono l’uniformità (lo Standard dell’A.G.I. prevede che pettorina e addome formino un ammasso unico e uniforme di piume rivolte in avanti). Si è notato che gli A.G.I. con i fianchi mediali (difetto) hanno, spesso, un piumaggio prevalentemente semiintensivo, compatto, ben colorato e con l’insieme delle piume di buona qualità e i fianchi mediali ben sostenuti e adeguatamente sviluppati. Occorrerebbero ulteriori ricerche e studi per constatare se esista o meno una costante relazione tra “fianchi mediali e buone qualità del piumaggio”. Se esistesse veramente una persistente relazione tra il carattere “buona qualità delle piume” con la presenza del carattere “fianchi mediali”, in questo caso occorrerebbe rivedere la selezione genetica della Razza A.G.I. e valutare se la presenza dei fianchi mediali è da considerare un difetto (come oggi si ritiene, dato che essi interrompono l’uniformità della “fusione” delle piume delle due regioni pettorina ed addome), oppure un carattere da tenere in considerazione negli accoppiamenti dato che favorisce un piumaggio di buona qualità. Su questo punto si impongono nuove indagini ed esperimenti esplorativi su queste particolari caratteristiche genetiche. Le arricciature secondarie Nelle Razze con maggiore quantità e voluminosità delle arricciature è possibile individuare, in varie parti del corpo, dei particolari agglomerati di piume che appartengono al gruppo delle arricciature secondarie o complementari. Sono ARRICCIATURE SECONDARIE: sulla testa: nell’Arricciato di Parigi (Parigino) e nel Mehringer: casco; elmo(e loro combinazioni) - Nell’Arricciato Gigante Italiano (A.G.I.): cappuccio (e sue variabili); bavero rialzato (Nota: nella Razza A.G.I. sono ammesse tutte le varie combinazioni delle arricciature che si

possono trovare sulla testa, ma deve essere presente il cappuccio e le sue variabili e, in assenza di esse, deve sempre essere presente il bavero rialzato). Nelle tre Razze Parigino, A.G.I. e Mehringer connotati particolari sono: il collare alto (con piume emergenti dal pterilio della testa e quando essa gira il collare ruota con la testa) e i favoriti che sono piume che emergono dal margine inferiore del “solco retrooculare” e copre la regione delle guance. Sul collo: nell’A.G.I. troviamo il collare basso(di norma sostituisce il collare alto; ma ci sono casi in cui i due collari esistono e si fondono insieme) che emerge dalla prima parte dello pterilio ventrale. Nelle Razze A.G.I., nel Parigino e in certi esemplari del Mehringer si possono trovare le seguenti arricciature secondarie: bouquet (nel Parigino e nel Mehringer) e mazzetto (nell’A.G.I.) della groppa costituito da un ciuffo vaporoso che emerge dalla parte anteriore dello pterilio della mandorla e si trova sopra l’ala; detto ciuffo è formato da piume di colore più carico che debbono distribuirsi anche sui lati in abbondanza in modo da contribuire alla formazione di una larga groppa. Se osserviamo il volatile dall’alto immaginiamo la figura di un “trapezio” con la base maggiore compresa tra le due estremità esterne delle spalline e la base minore compresa tra i punti più esterni laterali del mazzetto. Le due basi del trapezio, negli esemplari più pregiati, devono essere di una lunghezza non molto diversa l’una con l’altra e in certi esemplari di pregio il trapezio può divenire un quadrato. Esiste il “mazzetto (bouquet) della groppa” che si origina dalla parte posteriore del “mantello” e si trova, con piume molto lunghe, sollevato e compreso tra i margini superiori delle ali; le restanti parti delle lunghe piume vengono schiacciate dalle remiganti e sporgono dal margine inferiore delle stesse e formano il “mazzetto (bouquet) laterale”, uno su ogni lato. Le estremità (PUNTE) delle piume del “mazzetto della groppa” costituiscono il “paracerco” (+) che viene a trovarsi compreso tra il “mazzetto o bouquet laterale” (anteriormente) e la prima “piuma di gallo” (posteriormente). Il “paracerco” si origina sempre dalla mandorla, sotto all’ala.

(+) Paracerco: denominazione delle piume ricavata per similitudine con il “paracerco”, una appendice che si trova sui lati nei maschi degli Insetti Odonati Anisotteri e che deriva dall’undicesimo urite che, insieme ai cerchi, serve a trattenere la femmina durante gli accoppiamenti. Culotte (calzone): dallo pterilio femorale nell’Arricciato di Parigi emerge la “imbracatura” o “culotte” costituita da un ammasso molto voluminoso di piume che, di norma, deve avere una direzione all’indietro e formano un “rigonfiamento”; dette piume si fondono con le piume che si originano dalla seconda metà del doppio tratto dello pterilio ventrale. Nell’Arricciato Gigante Italiano nella stessa regione troviamo una formazione simile alla predetta e, di norma, più folta e più sviluppata e sempre con direzione all’indietro; nella razza A.G.I. questa formazione di piume si chiama “calzone” (o “mazzetto femorale”). La Razza Mehringer è una forma rimpicciolita dell’Arricciato di Parigi e dovrebbe avere, in forma ridotta, le stesse caratteristiche del piumaggio della più grande Razza francese. Piume di gallo (o “lancette”): dallo pterilio sopracaudale (sopracoda) emergono, ai lati della coda, delle lunghe e larghe piume con punta a forma di falce e nell’esemplare ottimale del Parigino e dell’A.G.I. devono essere in numero di cinque su ogni lato; ma possono anche essere in un numero minimo di tre, ma bene distaccate le une dalle altre. Le “piume di gallo” possono essere presenti, in dimensioni variabili, in altre Razze arricciate: Arricciato Padovano - Mehringer Fiorino. Sottocoda: dallo pterilio sottocaudale emergono le piume che formano la regione detta del “sottocoda” che deve essere raccolto, omogeneo e consistente in grado di bene sostenere le timoniere della coda. Le piume del sottocoda non sono arricciate, ma piume lunghe (Nota: nelle Razze molto arricciate con piumaggi regolari secondo gli Standard ci sono “tre punti” nei quali le piume “non sono arricciate”: MENTO SOPRACODA - SOTTOCODA). La regione sottocaudale deve essere presente in tutte le Razze, con dimensioni proporzionate sia alla mole e sia al grado di sviluppo del piumaggio.

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La parola OLIVA è stata applicata in varie parti del piumaggio e può creare confusioni In libri e articoli tecnici della stampa francese, in passato (talvolta anche oggi) il termine “oliva” è stato applicato alle seguenti piume: quelle del “sopracoda”; quelle del “sottocoda”; quelle della “culotte” e anche alle “piume di gallo”. Oliva (olive): alcuni chiamano “oliva” un ammasso di piume comprese tra la parte posteriore dell’addome e la parte anteriore del sottocoda. È presente nelle Razze con piumaggio voluminoso e soffice. Qui ricordiamo il termine francese “olive” a solo titolo di curiosità “storica”. Ecco cosa hanno scritto “antichi” esperti francesi riferendosi all’Arricciato di Parigi (Frisè Parisien): P. Aubac: l’OLIVA è formata da piume che ricadono su ogni lato alla base della coda e sembrano delle “lancette di gallo”. - R. Le Duff: l’OLIVA è formata da un ciuffo di piume fini che si dipartono dal femore fino alla base della coda. - A. Delattre (allevatore e giudice francese): OLIVE-PIUME DI GALLO lunghe e folte. - Negli “Standards -

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C.O.M.”: OLIVE- PIUME DI GALLO lunghe e numerose. Commento: Francia e C.O.M. sembra che identifichino le olive con le piume di gallo. - Consiglio tecnico: chi scrive, in considerazione delle variabili suddette interpretazioni, consiglia di “abolire totalmente il termine OLIVA”dai connotati del piumaggio perché può portare ad interpretazioni tecniche sbagliate e creare ulteriori confusioni che non sono auspicabili nello studio morfologico e tecnico dei piumaggi dei Canarini arricciati che appartengono, senza dubbio alcuno, alle più difficili Razze di Canarini esistenti al mondo, sia da selezionare negli allevamenti e sia nei giudizi alle esposizioni. Le Razze di Canarini arricciati riconosciute dalla C.O.M. (Confederazione Ornitologica Mondiale) Esse sono attualmente 13 e così classificate in: A) RAZZE PESANTI: Arricciato Gigante Italiano - Arricciato di Parigi Arricciato Padovano B)RAZZE LEGGERE: - Arricciato del Nord - Arricciato del Sud - Arricciato Svizzero - Melado

Tinerfeno - Giboso Spagnolo- Gibber Italicus - Fiorino - Mehringer - Giraldillo Sevillano e Rogetto. Diventeranno 14 quando anche il Benacus, attualmente riconosciuto in Italia, otterrà il riconoscimento dalla C.O.M. BIBLIOGRAFIA P. Aubac: autore del libro “Le Serin Frisé Parisien” Editore S. Bornemann - Paris, 1959 C.O.M.: “Standards - Canaris de Posture” - 1994 E.Budan: “Il Canarino e le sue razze” - Edizione F. Battiato, Catania, 1911 G. de Baseggio -F. Lombardini: “I Canarini Arricciati” - Ed. Edagricole- Bologna, 1975 G. de Baseggio: “Campioni e Razzatori” - Ed. “Il Mondo degli Uccelli” - Via Cerbai, n° 11 - 40032 Camugnano (Bologna) - Italy - e-mail: - Sito Web: www.monduccelli.it G. de Baseggio: “Canarini Arricciati Pesanti: Padovano- Parigino- Gigante Italiano”- Editore “Il Mondo degli Uccelli” - 1996 (predetto) e-mail: monduccelli@tiscali.it J. Gicquelais: “Les Canaris Frisés- Les Canaris de Posture” - Editions Bornemann, Paris, 1975, ristampa 1982. J. Jannin: «L’art d’élever et de multiplier les Canaris et Hollandais»- Ed. Chez- Tissot , Libraire, Paris, 1852. R.LeDuff: “Les Canaris de posture” - Ed. P. Tournon, stampato da Editions Bornemann, Paris, 1990


CRONACA

La riforma del Terzo Settore Decreto Legislativo n. 117/2017: illustrazione e consigli di MARIA CARLA BIANCHI, foto DA INTERNET (autori vari)

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a riforma del terzo settore impone ad un ente no profit (un’associazione od un club, come i nostri, per esempio) di effettuare un’attenta analisi comparativa per decidere in primis se entrare o meno nel Registro Unico del Terzo Settore (RUNTS) e quindi soggiacere alle norme del nuovo Codice (CdTS) oppure se rimanere nell’ambito delle associazioni più generiche no profit che ubbidiranno alle norme del Codice Civile e a quelle del Testo Unico delle Imposte Dirette. Questa riforma si caratterizza, fra l’altro, per l’introduzione di nuovi obblighi di contabilità e rendicontazione, con l’obiettivo di rendere unitaria e omogenea la disciplina civilistica e fiscale di settore nonché di indirizzare le agevolazioni fiscali ai soggetti più meritevoli in funzione delle attività dagli stessi svolte. La riforma, se tutto fila liscio, dovrebbe entrare in vigore il 01.01.2021. La riforma prevede l’istituzione del “Registro unico nazionale del terzo settore” (RUNTS), il portale online che

La riforma prevede l’istituzione del “Registro unico nazionale del terzo settore” (RUNTS)

Immagine tratta da: forumterzosettore.it

accoglierà le varie categorie dei futuri Enti del terzo settore (ETS), anche associazioni, che desidereranno volontariamente accedervi. Infatti diventare ETS, iscrivendosi nel RUNTS, e soggiacere alle regole del Codice del terzo settore è una facoltà e non un obbligo. L’alternativa è quella di rimanere associazione no profit le cui regole vengono dettate dal Codice civile e dal Testo unico delle imposte sui redditi riformato. Ogni associazione quindi dovrà deci-

dere se iscriversi al RUNTS e quindi dipendere dalla normativa del Codice del Terzo settore, più favorevole da un punto di vista fiscale, ma anche più onerosa dal punto di vista degli obblighi amministrativi, oppure rimanere com’è. Chi rimane fuori dal RUNTS non dovrà modificare lo statuto, non dovrà affrontare i nuovi obblighi amministrativi, ma dovrà pagare le imposte sui redditi relative agli ingabbi, per esempio, e quindi redigere la dichiarazione

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Immagine tratta da: it.freepick.com dei redditi. Tale associazione non potrà rientrare negli elenchi delle associazioni che hanno diritto al 5 per mille. Eventuali soggetti che daranno erogazioni liberali non potranno detrarla. La pubblicità fatturata dall’associazione, ovviamente, potrà invece essere dedotta. Le quote associative invece sono sempre non tassabili. Le sponsorizzazioni e gli ingressi, come ora, andranno assoggettati ad IVA ed alle imposte sui redditi. Il regime favorevole della legge n. 398/1991 viene mantenuto per le sole associazioni sportive dilettantistiche: pertanto le nostre associazioni (che non sono iscritte al CONI) non potranno più beneficiare di tale regime. Si ricorda che la legge n. 398/1991 rappresentava un regime di favore poiché disponeva l’esonero dalle scritture contabili e l’esonero dalla fatturazione elettronica (sino a 65.000 euro di proventi) e la determinazione forfettaria del reddito e dell’IVA. L’associazione che passerà nel RUNTS e si scriverà nella sezione delle associazioni di promozione sociale (APS), viceversa, avrà detassati i contributi degli ingabbi ed i proventi di natura commerciale (sponsorizzazione, ingressi od altro) subiranno una tassazione di favore. Inoltre potrà iscriversi negli

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elenchi per ricevere il 5 per mille ed i soggetti che effettueranno erogazioni liberali a queste associazioni potranno detrarle. Infine anche le amministrazioni pubbliche potranno sottoscrivere convenzioni di favore con le associazioni di promozione sociale. A fronte di tali agevolazioni però si deve tenere conto che i nuovi ETS dovranno pubblicare sul loro sito internet, ma anche sul RUNTS, il loro bilancio (che dovrà essere redatto in conformità alla modulistica definita dal ministro del lavoro e delle politiche sociali) nonché lo statuto e le modifiche statutarie, etc. Gli amministratori, entro 30 giorni dalla loro nomina, dovranno chiederne l’iscrizione nel RUNTS indicando i dati ana-

Le quote associative invece sono sempre non tassabili. Le sponsorizzazioni e gli ingressi, come ora, andranno assoggettati ad IVA ed alle imposte sui redditi

grafici. Non si dovrà però più inviare il modello EAS. Man mano che crescono i proventi, si aggiungono ulteriori adempimenti (per esempio la figura dell’organo di controllo e altro ancora). In definitiva ogni associazione dovrà decidere se rimanere associazione no profit oppure diventare Ente del terzo settore (sicuramente nella veste di APS, associazione di promozione sociale) e procedere ad un calcolo di convenienza. Una scelta del genere necessita di una approfondita analisi di tutte le componenti dell’associazione sia di tipo organizzativo che di componenti economico/gestionali. In linea generale, mi sento di suggerire che le associazioni più piccole oppure quelle che hanno solo le quote associative, possano preferibilmente decidere di non entrare nella disciplina del RUNTS. Mentre quelle più grandi con diverse attività, possano preferibilmente optare per il RUNTS. Per quanto riguarda la fatturazione elettronica sarà obbligatoria, anche per i futuri enti del terzo settore, alla pari di quanto avverrà nei confronti della più generale categoria degli enti non commerciali. Ad oggi le associazioni con partita IVA ed in regime della legge n. 398/1991, con proventi inferiori ai 65.000,00 euro, potevano ricevere ed emettere le fatture cartacee, con il 2021 abrogata la predetta legge dovranno fare i conti con la fatturazione elettronica (salvo precisazioni diverse che ad oggi non sono emerse). Le associazioni invece con il solo codice fiscale, sia come ETS che come associazione di tipo generico, potranno continuare a ricevere le fatture cartacee. Un discorso a parte meritano invece le Onlus. Infatti prima di tutto dovranno verificare che effettivamente siano iscritte all’anagrafe delle Onlus (condizione verificabile anche dal sito internet) e, in caso affermativo, per evitare la devoluzione del patrimonio dell’associazione ad altro ente del terzo settore, dovranno transitare nel RUNTS e quindi adeguare lo statuto entro il termine del 31/10/2020 (scadenza rinviata causa emergenza coronavirus)


CRONACA

Report dalla Sardegna Una piccola ma grande Mostra Ornitologica testo PIER FRANCO SPADA, foto di GIORGIO VACCARGIU

“S

iete stati coraggiosi”, con questa parole ci ha salutato uno dei giudici della Federazione Ornicoltori Italiani venuti in occasione della Mostra a concorso Nazionale che si è svolta, sotto l’egida della FOI, a Terralba il 23 e 24 Novembre 2019. Proprio queste sue parole mi hanno ispirato a scrivere questo breve articolo, deducendo con facilità a che cosa lui volesse riferirsi. Un piccolo gruppo di appassionati ornicoltori, soci dell’Associazione Ornitologica Arborense, ha infatti avuto il merito anche quest’anno di essere riuscito ad organizzare al meglio una piccola ma grande Mostra Ornitologica a Concorso Nazionale. Sono ormai passati giorni, mesi e anni

Nei giorni scorsi, rileggendo lo statuto associativo, sono rimasto ancora una volta colpito da alcune parole e frasi in esso contenute

da quando, in una sera afosa di inizio giugno che in Sardegna il più delle volte significa anche estate inoltrata, fu più precisamente il 5 giugno 1998, tredici appassionati ornicoltori della provincia di Oristano si riunirono per dare vita a quella che nel tempo sarebbe diventata

anche la più vecchia associazione ornitologica della Sardegna: l’Associazione Ornitologica Arborense. Nei giorni scorsi, rileggendo lo statuto associativo, sono rimasto ancora una volta colpito da alcune parole e frasi in esso contenute, come ad esempio all’Articolo 3) Scopo dell’Associazione… “allestire mostre e manifestazioni ornitologiche onde diffondere tra il pubblico quel senso di amore e di rispetto verso gli uccelli in genere”; all’Articolo 4) “L’Associazione può indire riunioni a carattere culturale al fine di stabilire tra i soci quel senso di reciproca stima e di duratura amicizia”, e per finire all’Articolo 6) ”Diritto di ogni socio è quello di incrementare lo sviluppo dell’Associazione apportando ad essa ogni aiuto

Mattinata dedicata alla didattica e divulgazione

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I campioni di razza nella categoria FPL: a sinistra Gianluca Concas, a destra Pier Franco Spada

morale secondo le proprie possibilità”. Valori e pensieri che, nel mondo in cui viviamo, appaiono sempre più in contrapposizione con una società votata al consumismo, in profonda crisi economica e di valori e, cosa ancora più preoccupante, carente di emozioni positive. Ma tornando all’attualità, è piacevolmente doveroso riassumere con un piccolo report la mostra appena conclusa. Con orgoglio e con piacere ricordiamo che hanno partecipato all’evento sette delle nove Associazioni ornitologiche Sarde, per un totale di 297 soggetti a concorso, nonostante la concomitanza negli stessi giorni della Mostra Internazionale di Reggio Emilia, evento di rilevanza mondiale che ha coinvolto numerosi allevatori provenienti anche dalla Sardegna. Gli ingabbi si sono svolti per l’intera

A sinistra Alessandro Brovelli (Segretario dell’associazione), al centro Giorgio Vaccargiu (Presidente dell’associazione), a destra Gennaro Iannuccilli (Presidente di Giuria)

giornata di mercoledì 20 novembre e l’atteso giudizio si è svolto nella mattinata di venerdì 22 novembre. Durante la mattinata di sabato 23 novembre si è svolto invece un evento tanto atteso quanto importante per tutti i nostri soci, per il modo di concepire il nostro hobby: la visita nei locali mostra da parte degli alunni delle classi 4ª e 5ª elementare delle due scuole primarie di Terralba, scolari per un totale di 120 bambini accompagnati dalle maestre e maestri. Si sono intrattenuti per gran parte della mattina tra i nostri beniamini, molti di loro si sono messi a disegnare nei banchi presenti in mostra l’uccellino che maggiormente li aveva colpiti tra quelli in esposizione. Tutti gli elaborati sono stati affissi nei pannelli posti accanto alle gabbie dei nostri soggetti a concorso.

Staff della manifestazione: da sinistra, Tonino Uraci, Andrea Melis, Tore Marongiu e Vincenzo Chiesa

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Un ringraziamento speciale va al nostro socio Vincenzo Chiesa che, in quanto esperto allevatore di psittacidi, con pazienza, chiarezza e semplicità, ha saputo sempre dare una risposta esaustiva alle tantissime domande che gli alunni hanno fatto proprio sugli psittacidi, utilizzando il linguaggio dei bambini. Domenica 24 novembre si sono svolte nel pomeriggio le tanto attese premiazioni; la serata è trascorsa velocemente, forse troppo velocemente, confermando il detto che il tempo spesso è tiranno e brutale! Ovviamente un doveroso pensiero è andato al nostro beneamato Presidente Mauro Marongiu, che il destino ha voluto strappare da questa vita troppo presto all’affetto dei suoi cari. Mauro, nella sua vita terrena, è stato sempre coinvolto in prima persona in associazione, ricoprendo le cariche di Segretario e di Presidente; ogni anno il suo ricordo ci dà la forza e l’entusiasmo per incontrarci e organizzare la mostra associativa che porta il suo nome; il prossimo anno, in occasione della decima edizione del Memorial Mauro Marongiu, abbiamo pensato di inserire nelle premiazioni il “best in show” della manifestazione, il soggetto vincitore tra i campioni razza che riceverà il primo trofeo Memorial Mauro Marongiu, il più importante riconoscimento di questa piccola ma grande mostra!


O rniFlash I Pappagalli usano la statistica per prendere decisioni er la prima volta è stata osservata in animali diversi dai primati la capacità di ponderare le probabilità prima di prendere decisioni. Secondo uno studio curato da Amalia Bastos e Alex Taylor, dell’Università di Auckland, e pubblicato sulla rivista Nature Communications, alcuni uccelli dell’ordine degli psittaciformi, che include pappagalli, are e cacatuidi, mostrano questa capacità. I pappagalli neozelandesi Kea, per esempio, sono in grado di valutare informazioni provenienti da diverse fonti prima di fare una scelta. Questa scoperta è basata su una serie di esperimenti condotti su 6 esemplari maschi di Kea a cui è stato insegnato ad associare piccoli bastoncini di legno neri ad una ghiotta ricompensa in cibo, e bastoncini arancioni alla mancanza di un premio. I pappagalli sono stati quindi posti di fronte a due contenitori trasparenti in cui, di volta in volta, veniva variata la proporzione tra bastoncini neri e arancioni. Ad ogni variazione, gli scienziati prelevavano due elementi, uno per contenitore, e nascosti nelle mani li avvicinavano ai pappagalli. Non sapendo quale colore gli scienziati avrebbero “pescato”, quattro dei sei esemplari hanno mostrato la tendenza a scegliere dalle mani che prelevavano da ciotole con il minor numero relativo di elementi arancioni, procedendo secondo una sorta di inferenza statistica per limitare il “rischio” di non ottenere cibo. Negli esperimenti successivi sono stati introdotti altri fattori esterni per influenzare le scelte: il fattore sociale, con somministratori che si comportavano in maniera più o meno generosa con le ricompense, e uno sbarramento fisico nei contenitori, che impediva di pescare bastoncini al di sotto di una certa soglia. Secondo gli scienziati gli esemplari hanno mostrato di tener conto di ciascuno di questi stimoli per effettuare la scelta migliore. Un comportamento finora osservato solo nei primati. Fonte: http://www.rainews.it/dl/rainews/media/intelligenza-dei-pappagalli-usano-la-statisticaper-prendere-decisioni-70ce322c-502d-41ae-b3c0-7e8271f4c28a.html

Anche gli uccelli sono… “velenosi”

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el lontano 1989 un giovane ricercatore stava studiando gli uccelli delle foreste della Nuova Guinea con l’aiuto di reti di cattura tese tra gli alberi. Nel liberare una specie nota da tempo, un Pitohui testanera (Pitohui dichrous), l’uomo si procurò alcuni minuscoli tagli, che leccò per disinfettare rapidamente. Nel giro di pochi minuti percepì un forte intorpidimento alle parti colpite, labbra comprese, che passò nel giro di qualche ora. Si scopri così, per pura fortuna, che anche gli uccelli possono essere velenosi. Come in altri casi già visti, le specie coinvolte non possono produrre il veleno per conto proprio, ma solo dopo aver mangiato altri animali. Analisi chimiche condotte sui tessuti e le piume del Pitohui testanera indicano che le sostanze nocive presenti nella sua pelle e nelle piume appartengono al gruppo delle batracossine, le stesse usate dalla “rane freccia”. Questo uccello, infatti, si nutre anche di piccoli coleotteri chimicamente protetti, dai quali sicuramente preleva i composti chimici che gli occorrono. La colorazione accesa del Pitohui, che è molto simile in tutti gli uccelli di questo piccolo gruppo, anch’essi tossici, ricorda il loro sapore sgradevole ai rapaci, ai rettili e anche agli umani, tra cui gli indigeni di Papua, che infatti evitano accuratamente di mangiare i Pitohui. Al momento questi sono gli unici “uccelli velenosi”, ma non è detto che nei prossimi anni non vengano scoperte caratteristiche simili in specie già conosciute. Fonte: https://rivistanatura.com/un-incontro-da-evitare/

News al volo dal web e non solo

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O rniFlash L’inquinamento luminoso minaccia la biodiversità

News al volo dal web e non solo

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a luce artificiale come minaccia alla biodiversità, a causa del light pollution, l’inquinamento luminoso. La conseguenza è una strage di insetti. Ma non solo. A rischio ci sono anche uccelli e tartarughe marine. L’Unep (United nation environment programme), il Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente, ha rilanciato la questione, partendo dallo studio “Light pollution is a driver of insect declines”. Ma cosa accade di preciso? “La luce influenza il movimento degli insetti, il foraggiamento, la riproduzione e la predazione”, si legge nello studio. In sostanza si provoca un disorientamento nei loro comportamenti. Ma ci sono anche altre specie colpite, e più in generale interi ecosistemi. Gli esempi principali sono le tartarughe, che finiscono per non trovare l’oceano in cui covare. E a pagare il light pollution, l’inquinamento luminoso, sono anche gli uccelli marini e gli uccelli costieri, perché possono morire contro gli edifici proprio dopo la perdita di orientamento. Inoltre, in molti casi diventano facili bocconi dei loro predatori, semplicemente perché sono più visibili. La richiesta è quella di impegnarsi affinché la luce artificiale possa avere un impatto ridotto grazie a una migliore tecnologia nella progettazione e la gestione dell’illuminazione rispettosa della natura. Le linee guida sono state elaborate in ottica sostenibile, partendo dalla necessità di un equilibrio tra la conservazione della fauna selvatica e la sicurezza umana. L’obiettivo finale è quello di individuare soluzioni basate sulla natura. L’azione su questo versante, ha osservato il Programma per l’ambiente delle Nazioni Unite, è fondamentale perché il pianeta sta perdendo la propria biodiversità a un tasso mille volte maggiore rispetto a qualsiasi altro momento nella storia umana. Fonte: https://www.impakter.it/light-pullution-inquinamento-luce-biodiversita/

Un cranio di un minuscolo dinosauro conservato nell’ambra

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a conservazione dell’ambra dei vertebrati è un evento piuttosto raro e questo ritrovamento fornisce un’interessante nuova informazione sul mondo dei dinosauri e, in particolare, sulle dimensioni (piccole) che potevano raggiungere. I paleontologi riportano, sulla rivista Nature, che la specie appena identificata, battezzata Oculudentavis khaungraae, potrebbe rappresentare il più piccolo 1 dinosauro mesozoico mai esistito. Le sue dimensioni sono pari a quelle del colibrì ape (Mellisuga helenae), il più piccolo uccello vivente. Il pezzo di ambra, di soli 31 x 20 x 8,5 mm, contenente il cranio di Oculudentavis khaungraae proviene dal sito di Angbamo, nella provincia di Kachin, in Myanmar. I ricercatori hanno studiato le caratteristiche distintive dell’esemplare con scansioni ad alta risoluzione per determinare come il cranio differisce da quelli di altri esemplari di dinosauri simili a uccelli moderni. Hanno scoperto che la forma e le dimensioni 2 delle ossa dell’occhio suggeriscono uno stile di vita diurno, ma hanno anche rivelato sorprendenti somiglianze con le strutture degli occhi delle lucertole moderne. Il cranio mostra anche un modello unico di fusione tra diversi elementi ossei, così come la presenza di denti. La scoperta, di un esemplare precedentemente mancante dal registro dei fossili, fornisce nuove implicazioni per la comprensione dell’evoluzione degli uccelli, dimostrando l’estrema miniaturizzazione delle dimensioni del corpo aviano già in fasi iniziali del loro processo evolutivo. Questa scoperta mostra ancora una volta come ci fosse una grandissima varietà di forme e dimensioni tra dinosauri e che, oltre all’immaginario comune, ci fossero numerose specie molto piccole. La straordinaria conservazione dell’esemplare evidenzia inoltre il potenziale dei depositi di ambra nel fornire resti del corpo dei vertebrati di piccole dimensioni, ampliando notevolmente la possibilità di ricostruire parti di storia evolutiva Fonte: https://pikaia.eu/un-cranio-di-un-minuscolo-dinosauro-fa-conservato-nellambra/ Foto 1: Xing et al, doi: 10.1038/s41586-020-2068-4 - Foto 2: Han Zhixin


CRONACA

Intervista a Luigi Cicero Appassionato allevatore siciliano di ROBERTO BASSO, foto L. CICERO

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icuramente molti di Voi lettori hanno avuto modo di conoscere in qualche evento fieristico o mostra tematica l’appassionato allevatore e socio FOI Luigi Cicero, classe 1965, ma soprattutto il suo inconfondibile volto e carattere sempre sorridente e gioviale. Siciliano DOC di Scicli (RG), è da anni un puntuale frequentatore della Mostra Ornitologica Internazionale di Reggio Emilia, evento gestito e organizzato dalla S.O.R. (Società Ornitologica Reggiana). Sicuramente questo è l’appuntamento più importante in Italia che dà la possibilità ad appassionati allevatori di tutta Europa (e non solo) di incontrarsi per scambiarsi i soggetti nati nei propri allevamenti, ma anche per aggiornarsi su notizie e informazioni utili relative ad aspetti veterinari, tecniche di ali-

mentazione e sull’acclimatazione di specie anche poco comuni. Negli ultimi anni, i confronti con gli allevatori stranieri vertono anche sul tema legislativo, in continua evoluzione e che ha raggiunto una complessità tale che purtroppo lascia spazio a libere interpretazioni, ponendo anche l’Italia tra gli stati europei più intransigenti,

con la conseguenza di complicare l’allevamento amatoriale. Ma perché vi voglio parlare di questo allevatore? Molti di voi conoscono le difficoltà che si riscontrano nell’allevamento di tutte le specie del genere Ramphastos; ebbene, nella primavera dell’anno 2018 Luigi è riuscito, dopo non poche

La coppia adulta di tucani scanalati in riproduzione

Il pullus è pronto per la prima imboccata

È giunto il momento dell’inanellamento che lo contraddistinguerà per tutta la sua vita

La riproduzione e re-immissione in natura di molte specie altrimenti destinate all’estinzione si deve proprio agli allevatori È nato Tokino

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difficoltà e svariati tentativi, ad ottenere il sospirato risultato di aver visto nascere ed allevare a mano un piccolo di Tucano scanalato (Ramphastos vitellinus – Lichtenstein, 1823) da lui battezzato con affetto “Tokino”. Tanta è stata la felicità e soddisfazione che di questa esperienza Luigi ha voluto dedicargli una pubblicazione di 26 pagine pubblicazione impreziosita da foto a colori che documentano le varie fasi, dalla deposizione delle uova all’accrescimento sino all’età matura, ma soprattutto attente e meticolose descrizioni sulla sua esperienza, affinché altri appassionati possano attingerne consigli e indicazioni utili. Ma Luigi Cicero, mosso dalla sua grande passione, dal 2001 ad oggi è riuscito con orgoglio ad allevare nel suo parco decine di specie di mammiferi, uccelli e rettili che elenca alla fine del suo libercolo. Nel corso della mia intervista più volte sottolineava il fatto che per lui, sin da bambino, il veder nascere in ambiente controllato qualunque specie animale gli avesse sempre colmato il cuore di gioia. Giustamente, come egli afferma, quando ciò accade è la prova dell’ottimo stato di salute dei riproduttori adulti e della loro corretta ambientazione e gestione. Per l’ennesima volta emergono aspetti umani e amatoriali che plaudono alla

Il delicato momento dello sviluppo delle penne

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passione degli allevatori, alla loro dedizione, competenza e sensibilità d’animo, doti queste non sempre comprese e considerate come meriterebbero. Eppure è ampiamente documentato e risaputo che la riproduzione e re-immissione in natura di molte specie altrimenti destinate all’estinzione si deve proprio a numerosi allevatori presenti in tutto il mondo, soprattutto nel centro – nord Europa, unitamente a molteplici parchi –

zoo e centri di stabulazione e ricerca. Un esempio è la storica riserva naturale di Slimbridge in Inghilterra, fondata da Peter Scott nel 1946. Centro – studi e oggi anche Fondazione che visitai già alla fine degli anni ’90 e che raccomando a tutti gli appassionati allevatori di anseriformi, affinché vi facciano visita almeno una volta nella loro vita, non solo per quello che concerne la parte aperta al pubblico, riservata alla didattica e al birdwatching, ma soprattutto quella più rilevante che riguarda le strutture di stabulazione e riproduzione di anseriformi. Rimarrete sorpresi dall’alto livello igienico – sanitario e dalla sterilizzazione degli indumenti a cui sono sottoposti tutti i visitatori autorizzati e selezionati all’accesso. In questa struttura vengono anche prodotti e sperimentati nuovi mangimi con formule proteiche personalizzate per ogni singola specie e per le varie fasi di accrescimento. Tornando all’allevatore Luigi, chiunque fosse interessato a ricevere gratuitamente la sua pubblicazione può richiederla a Emporio degli Animali – C.da Genovese - Viale primo maggio, 85 – 97018 – Scicli (RG) tel: 0932/831678 oppure 0932/831212 o all’indirizzo email: info@emporiodeglianimali.it

La copertina del libro citato nel testo

Tokino cresce amorevolmente accudito

Il peso e lo stato di salute sono giornalmente monitorati


Lo scrigno prezioso: l’Oasi W.W.F. “Montagna di Sopra” a Pannarano on immenso piacere, incontrando l’amico Costantino Tedeschi, responsabile dell’Oasi, ho voluto raccogliere le informazioni necessarie alla preparazione di questa breve illustrazione che, grazie anche al prezioso contributo di Italia Ornitologica per la sua divulgazione, vuole dar risalto ad uno dei posti che, naturalisticamente parlando, è da annoverare tra i più belli e ricchi in Campania. Inserita nel Parco regionale del Partenio, a pochi chilometri dall’Abbazia Benedettina e Santuario di Montevergine, a cavallo di due province, quelle di Benevento ed Avellino, l’Oasi W.W.F. “Montagna di sopra” nel territorio di Pannarano (BN) rappresenta un vero e proprio scrigno di biodiversità ad un’altitudine che va dagli 800 ai 1600 metri s.l.m. L’ambiente è caratterizzato da una spettacolare foresta di rigogliosi faggi che sulla vetta, a 1598 metri, grazie alla mano sapiente e secolare della natura assume forme spettacolari, disegnando meravigliose geometrie. Percorrendo i sentieri che contornano l’Oasi si incontrano stupendi esemplari di aceri, tigli, agrifogli ed il millenario tasso. Campanule e orchidee, crochi, ciclamini, primule e viole selvatiche, insieme al bellissimo giglio martagone, scelto come simbolo dell’Oasi, vanno a colorare e a profumare le primavere in tutta l’area montana. A dare ulteriore vita ci pensa l’acqua; lungo i numerosi corsi e presso le limpide sorgenti che si incontrano

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trova dimora la salamandra pezzata dai colori brillanti giallo e nero. Ma soprattutto, e di grandissimo interesse ornitologico, soprattutto per chi come noi vive la passione per gli amici alati, le 70 specie di uccelli nidificanti nell’area, tra cui la poiana, lo sparviero, il gheppio, il falco pellegrino e il corvo imperiale. I pipistrelli sono presenti con 8 specie identificate e concentrate prevalentemente nella grotta carsica detta di “Mattiuccio”. Il lupo, tra i mammiferi, resta il vero signore e custode della montagna. Sovente fa risuonare il suo ululato sull’intero massiccio a difesa del territorio. Di recente, è stata documentata la presenza del capriolo e del gatto selvatico. L’Oasi è, così, ideale sia per gli amanti della montagna e del trekking, sia per le famiglie. Nove sentieri, di cui uno, il Percorso Natura “La cincia mora”, attrezzato con pannelli didattici e aula tematica nel bosco, è accessibile a tutti ed adatto anche alle scolaresche. Il fulcro vitale dell’Oasi è rappresentato dal rifugio e centro visite situato all’ingresso dell’area, adiacente alla sorgente denominata “Acqua delle vene”, nota da sempre per le sue limpide acque oligominerali. Nella struttura, inserita in un’area attrezzata per la sosta, le attività sportive e di socializzazione, è possibile assistere ad eventi o incontri a tema naturalistico, nonché consumare rustici piatti tipici della montagna e anche pernottare grazie ai posti letto disponibili messi a disposizione degli ospiti.

Ingresso dell’Oasi

Panorama dalla vetta

Lettere in Redazione

di VINCENZO DE P IETTO

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Lettere in Redazione

Stiaccino

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Codirosso

Molteplici sono le attività dell’oasi durante l’anno, come videoproiezioni a tema, laboratori didattici con visite guidate, birdwatching, arrampicata sportiva o gli interessanti censimenti e monitoraggi floro-faunistici. Insomma, è difficile annoiarsi dato il potenziale di attività rese possibili grazie alla disponibilità degli operatori e guide dell’Oasi, le quali sapranno concedere, a chi lo volesse, tutta la loro competenza fornendo informazioni ed assistenza adeguata nell’accompagnare in questo “viaggio” il visitatore. Diciamolo pure… è difficile non innamorarsi di questo “teatro” naturale all’aperto! Un posto prezioso, unico e, come tanti altri sparsi per il nostro Bel Paese, del quale preservare e tutelare l’ecosistema per goderne al meglio, sempre nel rispetto ed in armonia con i meccanismi naturali propri di questo paradiso appenninico. Noi dell’Associazione Ornitologica Sannita, di cui da circa un paio di anni sono onorato di essere il segretario, come appassionati di ornitologia nonché di natura nelle sue forme più varie e stimolati, per così dire, proprio dai nostri beniamini pennuti verso il mondo “naturale”, non possiamo che sentirci orgogliosi Aula didattica percorso natura

Poiana

di avere una realtà come l’Oasi nel nostro territorio. La presenza nel nostro gruppo di diversi soci amanti e conoscitori dell’avifauna indigena potrà essere in prospettiva una buona possibilità per instaurare un rapporto di collaborazione nel prossimo futuro con gli operatori dell’Oasi, nella speranza di poter realizzare interessanti progetti condivisi. Riferimenti ed info: https://rifugioacquadellevene.blogspot.com www.facebook.com/oasipannarano montagnadisopra@wwf.it tel.3398305044

Cascatelle




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