Feltrino News n. 1/2023 Gennaio

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ANNO 4°N° 01Gennaio 2023Supplemento al periodico Valsugana Newswww.feltrinonews.com Periodico GRATUITOdi Informazione, Cultura, Turismo, Attualità, Tradizioni, Storia, Arte Fondatore e Direttore Armando Munaò IN QUESTO NUMERO I Bellunesi famosi nel mondo La Squadra Feltrina Cinofila da Soccorso Il Comitato Gemellaggi Comune di Feltre

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Viale

Accadde nella storia di Waimer Perinelli

IL NUOVO ANNO ABBIA IL CORAGGIO DI BENEDETTO XVI

Annus horribilis il 2022 che si è chiuso con la guerra in Ucraina, punta di un iceberg nel mondo in fiamme, e la morte di tre grandi: la regina Elisabetta II, Pelé do Nascimento e Joseph Ratzinger. E siccome gli ultimi saranno i primi, parliamo di lui. Benedetto XVI.

“Carissimo Santo Padre Benedetto XVI, sei salito al Cielo come un razzo, ne siamo certi, e ora abbracci Dio Padre con quell’amore che noi qui sulla terra conosciamo solo a sprazzi, nel quale ora è immersa ogni infinitesimale scintilla della tua santa anima.” L'augurio è dell'associazione bellunese Demamah di cui Joseph Ratzinger (Marktl 16 aprile 1927-Roma 31 dicembre 2022) è stato “padre e faro”. L'associazione raccoglie musici, cantori del Canto Gregoriano e prende il nome dal Primo libro dei Re nel quale Elia cerca inutilmente il volto di Dio nel fuoco, poi nel tuono.., e lo trova infine nella voce sottile, “il sussurro di Dio”.

Ricordate la voce gentile con cui Papa Benedetto XVI ha sempre espresso il proprio pensiero, mai banale, sempre preciso. Egli, 265° Papa, morto a 95 anni in Grazia di Dio, è stato considerato il Papa della Restaurazione, perché definì l'omosessualità “inclinazione oggettivamente disordinata” e fu accusato di ostruzione alla giustizia nella Contea di Harris nel Texas per avere coperto, dice l'accusa, i casi di molestie sessuali di prelati negli Stati Uniti. In realtà Papa Ratzinger, difensore della Fede, ha compiuto l'11 febbraio del 2013 il gesto più rivoluzionario dei duemila anni di storia della Chiesa Cattolica rinunciando al ministero di vescovo di Roma, presentando al Concistoro, le dimissioni e diventando così Papa emerito. Già sette pontefici prima di lui hanno compiuto analogo gesto, ma per la prima volta, la Chiesa cattolica per nove anni ha avuto due pontefici. Cosa non nuova ma sicuramente rivoluzionaria perché pacifica rispetto a quello che sappiamo essere stato, fra gli altri, il periodo di

Avignone con due papi e due sedi. Ci si interroga oggi sul vero motivo di questa scelta, che è l' enigma: il vero centro della storia sua personale e della Chiesa.

Si attribuì la scelta al peso eccessivo della responsabilità in seguito agli scandali sulla pedofilia e sulle speculazioni immobiliari che hanno coinvolto la Chiesa; ai complotti all'interno della stessa Istituzione. Papa Benedetto XVI, non era però arrivato al soglio pontificio da sprovveduto, come poteva essere accaduto a Celestino V, fustigato da Dante; anzi veniva da intenso e responsabile lavoro con delicati incarichi all'interno della Chiesa. E dunque?

Quando aprì la scatola magica dei segreti non fu certamente del tutto sorpreso e volle che ne fosse a conoscenza diretta il suo successore Papa Francesco al quale la diede al passaggio delle consegne. Una scatola delle meraviglie dove si custodiscono tanti enigmi e segreti. Nel 2005 in occasione della Via Crucis al Colosseo pronunciò parole che ne evidenziano l'onestà e coerenza del percorso umano e pastorale: «Signore, spesso la tua Chiesa ci sembra una barca che sta per affondare, una barca che fa acqua da tutte le parti. E anche nel tuo campo di grano vediamo più zizzania che grano. La veste e il volto così sporchi della tua Chiesa ci sgomentano. Ma siamo noi stessi a sporcarli! Siamo noi stessi a tradirti ogni volta, dopo tutte le nostre grandi parole, i nostri grandi gesti. Abbi pietà della tua Chiesa!»

Benedetto XVI nome scelto in onore a Benedetto XV, il promotore della pace nel 1917 e al grande Santo fondatore dei frati

dal motto “Ora et Labora”, è stato nella vita un grande lavoratore. Soprattutto in teologia e filosofia non si è risparmiato sfidando la regola che vuole questi studi conducano allo scetticismo, al relativismo e annullino le capacità amministrative.

Papa Ratzinger è stato un ottimo amministratore anche in qualità di collaboratore di papa Giovanni Paolo II, quando ricoprì l'incarico di rettore della Congregazione per la dottrina della fede, e come conferma la lettera di Demamah, un padre per i fedeli, un faro sia nella vita che nella fede.

Il grande poeta Ungaretti che porta lo stesso nome Giuseppe, sicuramente laico e forse ateo, ha scritto in tempo di guerra, la poesia “Mattino” che recita: ”M'illumino d'immenso”. A noi piace pensare che a Joseph stia accadendo proprio questo, ora, davanti a Dio.

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Sommario

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Prof. Armando Munaò - 333 2815103 direttore.feltrinonews@gmail.com

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L’editoriale :accadde nella storia

Sommario

Donna in politica oggi

Le riforme costituzionali

Islam Dolomiti: sangue e riscatto

Basta armi all’Ucraina

La guerra Ucraina Russia

Perché la BCE ha alzato i tassi d’interesse?

Spettacolo visto per Voi

Società, uomo e tecnologia: l’intelligenza artificiale

L’IMU e l’abitazione principale

Gli ambulanti tesini 23

Giotto, da Firenze al Veneto e Trentino 26

Onore ai bellunesi famosi nel mondo 28

La Gastroenterologia di Belluno 31

L’Epifania tutte le feste porta via 32

La città illuminata: Bergamo-Brescia 2023 34

Per ricordare: Siniša Mihajlović 36

La sanità in cronaca 39 Società oggi: il cinema d’animazione 40

La Squadra Feltrina Cinofila da Soccorso 42

Il personaggio: Axel Bassani 44

Il cammino delle Dolomiti fra boschi e santi 46

La donna nella storia 48

Borgo Valbelluna in cronaca 50

L’Agronomia…scienza antica e moderna 52

Il personaggio: Matilde Serao 54

L’Architettura in controluce 56

Racconti d’Arte: il pupazzo di neve 58

Lo sport: Lentiai, campione d’inverno 60

Diario di un viaggio: il giro d’Italia di Jessica 61

I marinai del Piave: gli zattieri 64

Girovagando: il padre delle gazzelle 66

Trichiana in cronaca 67

Medicina & Salute: la Chirurgia guidata 68

Il Comitato Gemellaggi Comune di Feltre 69

In ricordo del dott. Gianmario Dal Molin 73

Storie di guerra: Col dell’Orso 76

Attenti agli infortuni e incidenti domestici 78

Quando il calcio non ha età 80

Il personaggio: Gioconda Belli 82

L’esenzione del bollo auto nel Veneto 84

La pizza è patrimonio UNESCO 86

LA PAROLA AI LETTORI COMUNICATO DI REDAZIONE

Chi fosse interessato alla pubblicazione di uno scritto o un articolo riguardante una opinione personale, un fatto storico, di cronaca o di un qualsiasi avvenimento, può farlo indirizzando una email a: direttore.feltrinonews@gmail.com. Il testo, di massimo 3.500 battute, dovrà necessariamente contenere nome e cognome dell’articolista l’indirizzo di residenza e un recapito telefonico per la verifica. Il direttore si riserva la facoltà della non pubblicazione in caso l’articolo non dovesse rispettare l’etica giornalistica o d’informazione.

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Il personaggio AXEL BASSANI Pagina 44 Gennaio 2023 L’editoriale PAPA BENEDETTO XVI Pagina 3 Storie di casa nostra GLI AMBULANTI TESINI Pagina 23
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Società e politica di Arnaldo De Porti DONNA IN POLITICA OGGI

capito, o giù di lì…. Una rivoluzione che farà non solo discutere, ma anche potrebbe determinare senza ombra di dubbio, più di qualche serio contenzioso clericale, atteso che, anche nella Chiesa, non difettano i marpioni…

sono, e tante.

Se però al posto dell’attuale nostro Presidente del Consiglio, ci fosse stato un uomo, non farei fatica ad immaginare che ci sarebbe stata una prematura caduta del governo. Fosse stato anche quello precedente di Draghi !

Siamo nel 2023 e, senza ombra di dubbio, esiste ancora una forte e variegata …imparità di genere nel senso che - posto che esista la necessità di ripeterlo ancora una volta - la donna viene ancora molto discriminata in quasi tutti i contesti della vita sociale, politica, religiosa e quant’altro, e ciò al punto di privilegiare fortemente il genere maschile rispetto alla femminilità che, invece, specie oggi, sembra più affidabile, concreta e decisionale nelle sue varie articolazioni sociali. Sia a destra che a sinistra, anche con riferimento alla politica.

Non farò nomi in questa analisi, anche perché le carte bollate sono diventate uno sport praticato più del…calcio, disciplina questa che, visto la coincidenza temporale, ha promosso l’Argentina campione del mondo nel Qatar, ove, forse, anche in questo paese arabo, con qualche contenzioso di natura politica fra Stati su cui preferisco parimenti sorvolare, non esimendomi però dal fare solamente un nome super partes contrariamente a quanto mi ero prima promesso, e cioè quello del Santo Padre, che sembra avere in animo un sostituto, anzi una sostituta, come donna, se ho ben

Di donne brave, serie, oneste e quindi diventate famose, ce ne sono state (e ce ne sono) tante e, raramente, esse sono andate a finir male come gli uomini: esse infatti sono razionalmente più istintive dell’uomo e, quando se lo propongono, vanno dritte all’obiettivo, spesso perseguendolo, fors’anche me lo si lasci dire – anche per quel senso che la stessa natura umana, disarma un tantino l’uomo.

Parlando delle cose di casa nostra riferendomi all’argomento in esame, non v’è dubbio che l’attuale momento politico italiano, almeno agli occhi di chi scrive, va visto in un’ottica nella quale non si evidenziano elementi sicuri per un cammino tranquillo verso la scadenza del mandato anche se ci sono i numeri, eccome !, ma fa presagire che possa esserci sempre un pericolo dietro all’angolo in quanto, ma questo è un mio giudizio personale, in questo momento è solo l’elemento “donna” che fa la differenza e tiene coeso il sistema, se vuoi anche grazie alle qualità di questo nostro primo ministro che, nessuno lo nega, pur ci

Detto questo, in sintesi, lasciando a chi ha interesse sviluppare l’argomento, non mi pare si possa parlare di una coesione governativa, ma semplicemente di un mero interesse politico che, nel bel mezzo di un mare in tempesta, nuota verso un’unica collettiva scialuppa di salvataggio, dando una parvenza fasulla di unione: insomma, tutti uniti per salvarsi, con la differenza che prima c’erano tutti, meno uno, ora circa la metà per i motivi che sappiamo.

Fare i nomi, citare fatti, appare superfluo, ma anche fastidioso, e ciò tenendo conto dello stato d’animo degli Italiani, tanto da sperare in un cambio di registro ipotizzando che il marpionismo politico di cui a titolo, non trovi in futuro la succitata scialuppa. Si dia più spazio alle donne, come ultima ratio di un paese che sembra privilegiare più le diatribe interne a ciascun partito, sia a destra che a sinistra, rispetto a quanto richiede il popolo.

Chi ha orecchi, li utilizzi al meglio e… BUON 2023

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Forse una nuova risorsa contro il marpionismo politico maschile che sembra non legare più neanche al suo interno.

Anno Nuovo e Governo Nuovo. Con l’Idea di utilizzare la nuova legislatura per perseguire una nuova modifica costituzionale orientata al Presidenzialismo, opportunamente bilanciato da una maggiore Autonomia alle Amministrazioni Regionali. Idea già dibattuta e che torna, come la risacca, senza essere mai stata seriamente sul tavolo finora. Anche se ne parla fin da quella affrettata e mal fatta riforma dell’art. 5 fatta nel 2001, voluta ed imposta dalla sola maggioranza di Centro Sinistra. Questa volta però l’Autonomia verrebbe declinata come “Differenziata”. Appellandosi al fatto che le 4 Regioni e le 2 Provincie a Statuto Speciale godono ciascuna di una diversa forma di autonomia. Però tutto questo ricercare “la Riforma Giusta” desta perplessità dopo che, con lo sfregio fatto alla Costituzione Repubblicana del 1948 in occasione dell’applicazione discriminatoria di strumenti introdotti ed applicati con il pretesto del contenimento pandemico tra il gennaio 2020 e l’ottobre 2022, si è visto brillare per assenza quel largo e trasversale fronte che bocciò le riforme tentate nel 2006 e nel 2016.

Quella “latitanza” di troppi è stata forse l’indicazione che la mai troppo decantata “Costituzione più

Bella del Mondo”, elaborata dagli Eletti di un Paese sconfitto ed occupato, schiacciato dalla preoccupazione legata al peso del più importante Partito Comunista dell’Europa Occidentale, pronto di lì a poco ad essere tra i fondatori della NATO ed in cui le “Am Lire” circolarono fino al 1950, abbia realmente fatto il suo tempo, senza che la Parte Prima, nei primi suoi 74 anni, abbia ancora trovato applicazione?

La recente riduzione del numero dei Parlamentari e la assai meno dibattuta e più dannosa equiparazione degli elettorati che esprimono le 2 Camere, erano forse già quelli passi di un percorso più complesso e quasi surrettizio di riforma dello stesso Parlamento? Legittimo il porsi delle domande, ma soprattutto essenziale chiedersi se la formula che fu di Aldo Moro della “Costituzione come la Cristallizzazione delle Idee e del Sentire della Civiltà che la esprime” sia ancora valida. Come ha ricordato ad inizio dicembre Lorenzo Cesa, che è stato protagonista della Politica negli

ultimi 20 anni “Non sembra il caso di giocare al ribasso con la Carta Costituzionale.

Le 5 Regioni a Statuto Speciale c’erano prima del 2001 e Differenziazione non può essere un modo dello Stato di arrendersi alle Disparità. Se 23 competenze possono essere delegate dal Centro alla Periferia, ben venga. Diverso e sbagliato è immaginare che lo Stato, anziché impegnarsi per rafforzare quelle Amministrazioni Regionali che risultano oggettivamente più deboli ed aiutarle ad assumersi quelle Responsabilità, si limitasse a “metabolizzare” quelli innegabili deficit trattenendo le competenze all’Amministrazione Centrale anziché rafforzando quelle Amministrazioni Locali”. Su quel ragionamento che si fonda sui Principi di Equità ed Eguaglianza di fronte alla Legge come fattore distintivo dell’Unità Nazionale, si gioca una Partita in cui la Fiscalità ed il suo utilizzo come strumento di Governo del Territorio sono solo un elemento che è parte di quel meccanismo di Creazione e Redistribuzione della Ricchezza che lo Stato deve garantire a

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tutti
Forse il Legislativo deve perciò costruiLe riforme costituzionali di Cesare Scotoni PROMESSA DEL NUOVO ANNO: AUTONOMIA DIFFERENZIATA RISTORO PERDITA DI GETTO 2020 (In milioni di euro) COMPLESSIVO RIDUZIONE CONTRIBUTO F.P. TRASFERIMENTI Valle d'Aosta 84 84 Provincia autonoma di Trento 355 300,6 54,4 Provincia autonoma di Bolzano 370 318,4 51,6 Friuli - Venezia Giulia 538 538 Sicilia 780 780 Sardegna 473 383 90 Totale 2.600 2.404 196
i Cittadini.

re, magari attraverso una Commissione Bicamerale Costituente, un percorso per rafforzare la propria conoscenza della macchina statuale, con il supporto quindi in primis del CNEL e del Consiglio di Stato, tenendo un tema di tale delicatezza ben lontano dalle rivendicazioni partitiche e dalle polemiche che hanno favorito gli errori del 2001, 2006 e 2016. Gli stessi sistemi elettorali che debbono poi sostenere e tenere vive e partecipate le diverse Autonomie hanno la necessità di garantire quella rappresentatività che certo non si costruisce sommando correttivi in senso maggioritario ad altri correttivi in senso maggioritario, né possono immaginarsi meccanismi elettivi diversi tra Provincia e Provincia se poi quelle Autonomie debbono essere forti di una Legittimità indispensabile a bilanciare quella del voto popolare ad un Presidente. Si tratta quindi di una sfida che, a nostro parere, dovrebbe riguardare la Seconda Parte

della Carta Costituzionale ed ancorarsi fortemente a quei primi 54 articoli per evitare restino come in parte è stato fino ad oggi, solo dei pregiati enunciati di principio. Chi credesse di poter supplire alla scarsa bontà delle Leggi ed all’esigenza di vedere la Pubblica Amministrazione a fianco del Cittadino e nell’interesse dello Stato, attraverso l’ennesimo tentativo della riforma della Costituzione di cui, in caso di insuccesso, attribuire ad altri la Responsabilità di quel fallimento, farebbe un errore epocale. Abbiamo progressivamente costruito un “cattivo sistema” in cui i Cittadini sentono di non poter più contare come tali, con i loro Bisogni ed i loro Diritti.

Questo è il punto dirimente. E per certo se non si usa ora bene l’opportunità di quell’articolo 5 per riavvicinare i Cittadini al Potere, la scommessa di riavere una Democrazia compiuta anche dopo lo

tsunami del 1993 sarà persa. Con o senza Presidenzialismo. Non è oggi il momento di sventolar vessilli, piuttosto è quello di ricostruire fiducia

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Storie di donne di Joe Beretta

ISLAM DOLOMITI SANGUE E RISCATTO

Cadono come foglie d’autunno le donne vittime di uomini violenti. Le assassinate hanno generalmente in comune la richiesta di maggiore rispetto e la volontà di trovare un autonomo posto nella società. Una strada difficile ma non impossibile come ci ha raccontato Pasang Lhamu Sherpa Akita, la principale guida alpina del Nepal. La donna, nata nel 1984, è di casa sulle Dolomiti bellunesi di Cortina e di Pinzolo dove nel 2016 ha ricevuto la targa d'Argento solidarietà alpina. Più che meritata visto l'impegno profuso in occasione del terremoto e le molte avventure alpinistiche. Nel 2006 è stata la prima donna a scalare Nangapai Gosum (7631m); sull'Everest è salita l'anno dopo e nel 2012, con una spedizione franco-nepalese, tutta al femminile, è salita sull'Ama Dablam. Nel 2014 con altre due donne nepalesi ha scalato il K2. Noi la citiamo perché ha riscattato sia le donne, generalmente relegate a ravvivare con il fiato il fuoco domestico, sia il Nepal, dove normalmente gli Sherpa sono considerati spesso solo muli da fatica, portatori dei bagagli, degli

intrepidi ma comodi scalatori di altri paesi. La storia di Nasim Eshqi, 37 anni, è altrettanto ricca di impegno e di una volontà ferma e dura come la roccia. Lei vive in Iran, un paese teocratico, dove le donne che praticano lo sport, sono costrette, come abbiamo visto alle olimpiadi di Rio de Janeiro del 2016, a competere con in testa lo shador, braccia e gambe coperte. Dove nelle palestre uomini e donne si devono esercitare a giorni alterni. Nasim Eshqi è una donna che già all'inizio di questo millennio ha trovato nello sport la sua rivoluzione personale. Nata e cresciuta a Teheran, in un contesto popolare e tradizionalista, è una arrampicatrice libera. Giovanissima, dopo dieci anni trascorsi a praticare con successo la kickbox, ha scoperto nel 2005 che “Senza roccia non c'è felicità”. Sulla montagna, dove scompaiono molte proibizioni, la climber ha tracciato oltre 70 nuove vie e, in molti casi, portato le proprie allieve. “L'arrampicata”, dice, “non è solo sport, è uno stile di vita”. A darle coraggio nella sfida alla natura e al mondo maschile ci pensa anche la forza di gravità, che, dice lei, “fa precipitare tutti a terra, non ha luogo né genere”.

La sua storia si svolge in Iran, il paese islamico do-

v'è in atto una sollevazione popolare, che i giovani chiamano rivoluzione. Una ribellione contro una tradizione e una legge discriminatoria la cui difesa da parte degli estremisti o guardia morale ha causato già quattrocento morti. Soprattutto giovani e donne.

Le proteste sono cominciate a metà dello scorso settembre quando in carcere è morta Mahsa Amini, 22 anni, in custodia della polizia religiosa. Era stata arrestata a Teheran il 13 settembre scorso con l'accusa di avere indossato male il velo, lo hijab. Tre giorni dopo era morta a causa di un'emorragia cerebrale, dovuta secondo le guardie all'urto contro una parete, ma secondo un'altra più accreditata versione, per colpa di un pestaggio.

E' andata meglio, si fa per dire, alla scalatrice Elnaz Rekabi che in ottobre a Seul ha gareggiato senza velo. Le guardie morali le hanno per ora, solo demolito la casa.

La prima vittima della rivoluzione è stata un uomo, Mohsen Shekari, aveva 23 anni ed era stato arrestato il 25 settembre, giudicato per il reato di guerra contro dio, condannato e giustiziato.

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Storie di donne

Paese che vai oppressione che trovi. Nello Yemen una sposa bambina unita ad un uomo più anziano è vittima dello stesso. Un giorno trova il coraggio di ribellarsi e fuggire. Nel viaggio incontra, in un paesino, un giovane insegnante al quale i terroristi islamici hanno ucciso gli incolpevoli genitori. Egli insegna il Corano, la letteratura, la difesa della

cultura, il rispetto di sè stessi e degli altri, il rifiuto della violenza. Circondato da giovanissimi allievi ricorda per atteggiamenti e temi, i filosofi della Grecia classica. La scuola è situata in un castello semidistrutto, una rovina nella sabbia desertica, su cui spicca una torre quadrata: una sentinella, un baluardo contro la violenza. La ragazza trova nella scuola rifugio e protezione. Collabora nell'insegnamento e nasce l'amicizia. A raccontare, con un film, questa storia è Tommaso Cotronei, un regista che affronta con il cinema temi importanti come il rispetto della vita, la fede nella cultura, la tolleranza, la condivisione ma

anche la rabbia per la violenza islamica. La storia della ragazzina rivela la crudele realtà dei nostri giorni; la conclusione è la speranza di pace e libertà.

Storie di donne viventi in una società difficile spesso ostile. Storie di violenza e morte ma anche di speranza, di impegno personale, di leale competizione: un comportamento, una voglia, che non conosce genere.

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BASTA ARMI ALL’UCRAINA!

questo fine.

Ennio Bordato, tra i fondatori e presidente di Aasib, ha stilato una breve cronaca di questa tragedia che va peggiorando, sfidando quel racconto “convenzionale” fatto per non disturbare, con la semplicità dei fatti e l’innocenza dei loro protagonisti che davvero sarebbe disgustoso etichettare come putiniani.

Nella grande confusione di notizie, quasi una corale cacofonica di mezze verità e assolute menzogne che costituisce la colonna sonora del film che ci tocca di guardare in questo tragico intermezzo della guerra in Ucraina, diviene vitale individuare dei referenti credibili per una verità sempre e in ogni caso difficile da trovare, ma che in troppi stanno nascondendo, per una sorta di convergenza di interessi, nazionali ma anche privati, agli occhi del mondo. Un'associazione, la Aasib (Aiutateci A Salvare I Bambini Odv), di Rovereto (TN), fondata nel 2001 con lo scopo di sostenere e rendere possibili le cure di bambini particolarmente bisognosi della Federazione Russa e dei Paesi dove vivono popolazioni russofone e allo stesso tempo interessare l’opinione pubblica italiana sui problemi dell’infanzia russa, che fin dal 2014 opera anche in Dombass, in un piccolo villaggio, Glubokoe, dove prestava soccorso, e ancora presta soccorso, a quasi 200 bambini, ci appare come un osservatorio privilegiato da prendere in seria considerazione a

«A Glubokoe”, scrive Bordato, “all’inizio della tragedia del Donbass, nel 2014, vivevano quasi 200 bambini, oggi un po' meno. Molti non sono riusciti ad andarsene o non hanno voluto. Da 9 anni la guerra ha portato, come in tutto il Donbass, immani tragedie. Case bombardate, cecchini ucraini che sparavano principalmente ai bambini, notti e giorni sottoterra. Morti, feriti e mutilati, molti dei quali bambini. Ma non solo. L’acqua che non c’è o quando arriva è imbevibile. Riscaldamento da tempo non funzionante. Così da 9 lunghissimi anni. Ma da qualche mese questo quadro tragico è persino peggiorato. Le armi “efficienti” che i paesi occidentali -democratici- inviano all’Ucraina, stanno provocando ancor più vittime civili. Ieri (11 dicembre, ndr), Glubokoe è stata massicciamente bombardata come mai prima. Una povera casa sventrata, una famiglia che ha perso tutto e che ora, come altre mille in Donbass, dovrà cercare un rifugio temporaneo.

In quella casa vivevano 5 bambini, Kolja, Vika, Kristina, Daniil. e Artem. Tutti cinque aiutati dalla nostra Associazione sin dall’inizio del conflitto. Aiutati a sopravvivere. Solo un miracolo li ha salvati. Ieri Artem ha compiuto 10 anni, un compleanno indimenticabile...”.

Mostrando sul sito dell'associazione alcune immagini dei bombardamenti a

Gluboke, Bordato conclude riferendo come «case, chiese, asili, ospedali, scuole, centri di accoglienza per minori, miniere, fabbriche, centrali elettriche, stazioni di pompaggio dell’acqua potabile. Dal 2014 si sta macellando un popolo intero, fino al 24 febbraio nel più assoluto silenzio, ora nella menzogna delle “fonti autorevoli” dell’informazione». Non spetta a noi dire dove sia la verità e non siamo nemmeno in grado di individuare i responsabili cercando il bandolo in questa intricata matassa di interessi (soprattutto economici e di potere) che ha generato ben prima del 24 febbraio 2022 questa immane catastrofe; possiamo forse intuire però che la verità, se ha gli occhi, ha quelli di un bambino e di una bambina, davanti ai quali sarebbe impossibile per noi continuare a nutrire la bestia della guerra. Ha dunque ragione Bordato quando crede, confortato dall’esperienza diretta sul campo, che gli aiuti umanitari possano renderci tutti più umani.

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Tra Europa, Russia e Ucraina di Franco Zadra
«È ora, anzi, è quasi troppo tardi, per aiuti umanitari alla popolazione stremata di ambo le parti!»

I soldi della guerra di Guido Tommasini

GUERRA UCRAINA RUSSIA:

IL SOTTOFONDO ISTITUZIONALE

ucraini e russi che sembravano assopiti da secoli e ciò si denota anche dalla terminologia estremista usata dai contendenti nel definire il nemico.

Una breve premessa: nel famoso Rapporto Segreto da Iron Mountain sulla possibilità e la desiderabilità della pace, scritto nei primi anni Sessanta, l'anonimo (molto probabilmente uno dei collaboratori di John Kennedy) aveva sentenziato che la guerra è di per sé il sistema sociale di base che ha governato la maggior parte delle società umane di cui si conosce la storia e governa la società esistente oggi. Questo per inquadrare anche la situazione attuale che, dopo l'aggressione russa all'Ucraina è diventata una guerra totale. Questo fa riflettere sulla collocazione di quella guerra all'interno del quadro mondiale che a cominciare più o meno dagli anni Novanta è stato caratterizzato da una contraddizione continua fra un mondo teso verso la globalizzazione ed un mondo conservatore che la respinge. Ma come si potrebbe definire la globalizzazione uscita da quei processi che sono stati chiamati “Scontro di

civiltà” oppure “Fine della Storia”. La dottrina del materialismo storico ha fatto il suo tempo ed ha fallito in quanto Marx aveva profetizzato l'avvento del comunismo planetario che non è avvenuto, ma alcuni concetti marxisti sono ancora utili per definire a grandi linee la storia di questi ultimi due secoli come hanno fatto alcuni politologi che hanno identificato la globalizzazione come l'ultima mutazione del Capitale, il quale in un lungo percorso storico aveva assunto diverse forme: quella dell'imperialismo, quella dei fascismi, quella del capitale monopolistico di Sweezy, quella del neocolonialismo fino ad arrivare appunto allo stadio della globalizzazione, la quale attualmente si sta ridimensionando a poco a poco. Tornando al punto, siccome per il marxismo-leninismo il Capitale è alla base di tutte le guerre, anche l'attuale conflitto russo-ucraino rientrerebbe in questo schema dal quale è derivato il risveglio di nazionalismi

Analizzando la struttura istituzionale si rammenta che c'è stato un articolo del Sole 24 Ore, un giornale sicuramente non “pacifista”, del 3 Dicembre 2014 che aveva per intitolazione “Se Soros e la finanza scelgono il governo dell'Ucraina”. In quell'articolo si esponeva la metodologia con la quale i cacciatori di teste delle società di selezione di personale Pedersen &Partners e Korn Ferry, sostenute e finanziate dalla Fondazione Renaissence di George Soros, avevano individuato i candidati per ricoprire le cariche fondamentali nel governo di Kiev. E' una cosa che fa effetto, ma bisogna essere chiari: non si tratta di una cospirazione, perché Soros non ha mai fatto mistero di aver appoggiato la rivoluzione Arancione del 2013/2014 (Euromaidan o Maidan Revolution), con il susseguente cambio di politica quando il nuovo regime ucraino nella sua marcia verso l'Occidente, dopo aver spodestato con manifestazioni di piazza quello filorusso, aveva anche annullato l'autonomia della quale godevano i territori del Donbass provocando una guerriglia separatista che poi è sfociata nell'aggressione della Russia, anch'essa potenza economica emergente ma collocata sull'altro lato della barricata.

Due parole su Soros: secondo una recente trattazione si tratta di un personaggio che “pur non essendo marxista, non ama gli stati nazionali, le tradizioni consolidate, la ricchezza depositata del passato che conferisce ai popoli la loro cultura ed identità specifica, l'origine vi-

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chiana della loro natura irripetibile. Tutto questo deve essere rimosso e sostituito da un nuovo scenario sovranazionale”. Rebus sic stantibus, con una situazione sul terreno che non vede sostanziali sviluppi tali da determinare un'effettiva prevalenza di una parte sull'altra, una domanda che ci si potrebbe porre in previsione di possibili colloqui di pace o di proposte di tregua sarebbe innanzitutto quella di chiedersi in quale misura gli interessi dell'Occidente collimino con quelli del governo ucraino e con le lobby finanziarie che ne hanno influenzato l'indirizzo politico.

Questo senza nulla togliere all'impegno occidentale di sostenere la difesa dell'Ucraina, ma solo per rendersi conto sulla determinazione dei fini e della possibilità di un loro conseguimento. Poi quando si sente Zelensky affermare che se Putin muore la guerra finisce, nonostante si riferisca a malattie o a banali

incidenti, bisogna ricordare che forse i russi potrebbero aver già previsto da un pezzo delle contromisure automatiche in caso che succedesse qualcosa a Putin.

Certo, l'Ucraina aggredita deve essere sostenuta fino alla fine nella difesa

della propria integrità territoriale, ma bisognerebbe che lo scenario bellico non si espandesse in quanto i corollari per la composizione di questo conflitto sono già difficili da trovare adesso che la guerra è ancora limitata.

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I soldi della guerra Lilin Lilin F I O R E R I A F I O R E R I A F E L T R E F E L T R E Lilin F I O R E R I A F E L T R E ORCHIDEE PIANTE D'APPARTAMENTO COMPOSIZIONI SU MISURA... ... E TANTE IDEE PER SAN VALENTINO!

Economia e finanza di Emanuele Paccher

Perché la BCE ha innalzato i tassi di interesse?

Nel mondo finanziario uno dei temi caldi delle ultime settimane è l’innalzamento dei tassi d’interesse. È di fine dicembre, infatti, la decisione della BCE di alzare i tassi d’interesse di mezzo punto percentuale, portando il tasso sui depositi al 2%, quello sui finanziamento principali al 2,5% e quello sui prestiti marginali al 2,75%. Si tratta del 4° rialzo nel solo 2022. E nel prossimo futuro bisogna attendersi ulteriori rialzi.

Ma a cosa è dovuto questo aumento? E quali sono gli obiettivi perseguiti? Queste misure sono una delle risposte della banca centrale europea per cercare di far fronte ad un enorme tasso d’inflazione che quest’anno si attesta su valori superiori al 10%. Un’inflazione così elevata causa una notevole perdita del potere d’acquisto delle famiglie. In altre parole, se il prezzo di molte cose aumenta, e io dispongo sempre della stessa quantità di denaro, potrò acquistare molte meno cose.

Quella dell’inflazione elevata è poi una spirale: per far fronte al rincaro dei beni, i lavoratori chiederanno uno stipendio più elevato. I datori di lavoro, per soddisfare questa richiesta, aumenteranno ancora di più i prezzi sul mercato. Aumentando i prezzi, occorreranno

stipendi ancora più alti, e così via. A farne le spese saranno tutte quelle fasce di popolazione che non hanno reddito, o che lo hanno in misura fissa: si pensi ad un pensionato che non ha un adeguamento all’inflazione o che lo ha solo in parte. Questa persona si troverà con una pensione insufficiente per far fronte ai suoi bisogni. Ma questo discorso poi vale per tantissime altre categorie di lavoratori, che non sempre possono richiedere un aumento dello stipendio. Insomma, i lati negativi di un’inflazione elevata sono molteplici, e ne sono stati delineati, allo stato embrionale, solo alcuni. Cosa si può fare allora? La risposta della BCE si è mossa primariamente sull’innalzamento dei tassi d’interesse. Perché questa decisione? Occorre procedere per gradi. Innanzitutto esaminando la reazione dei mercati: queste manovre hanno un notevole impatto sulle decisioni degli investitori. Una delle conseguenze più immediate per i cittadini è il rincaro dei mutui. Il rischio è che il mercato immobiliare così facendo subisca una notevole contrazione, poiché il costo d’acquisto di una casa aumenta sensibilmente.

Un’altra conseguenza è che le imprese diminuiranno la loro richiesta di finanziamenti. Anche questo avrà ripercussioni

sul mercato: ci saranno meno investimenti, meno innovazione e meno crescita. Conseguenza di rilievo è poi l’aumento del costo del debito. Lo Stato, per finanziarsi, ricorre spesso a titoli di debito come BOT (buoni ordinari del Tesoro), BTP (buoni del tesoro poliennali), CCT (certificati di credito del Tesoro). Aumentando il tasso d’interesse, aumenta il rendimento che lo Stato deve riconoscere ai sottoscrittori.

Infine, i cittadini torneranno a risparmiare: l’interesse garantito dalle banche è ora più elevato del solito.

L’effetto desiderato, in conclusione, è quello di “raffreddare” l’economia. Con una contrazione degli investimenti e più risparmi si spera che l’aumento dei prezzi subisca una diminuzione. È una dinamica delicata: un eccessivo rallentamento dell’economia vuol dire recessione, con un aumento della disoccupazione, una riduzione della spesa dei consumatori e una diminuzione dei prezzi.

Insomma, la situazione è complessa. La BCE ha effettuato la sua mossa, cercando di introdurre un aumento dei tassi graduale, in modo da scongiurare il rischio di causare una recessione economica troppo marcata. Funzionerà? Ai posteri l’ardua sentenza.

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Spettacolo visto per voi di Laura Mansini

Teatro: Diversi da chi?

Metti che un amico ti inviti a vedere uno spettacolo da lui scritto: è un amico di vecchia data, autore di alcuni libri interessanti, quali “Il respiro dei Ricordi”, musicista e molto altro ancora. Accade perciò che, in una fredda serata di Dicembre, in Trentino, si sia andati, più per compiacere l’ amico, che per vera voglia di uscire di casa, da Tenna a Vezzano ,trovandoci, dopo un viaggio un po complicato, fra le montagne, in un grande e caldo auditorium, con un pubblico festoso, in attesa che si aprisse il sipario sullo spettacolo “Diversi da chi?” scritto da Gabriele Biancardi e presentato dalla compagnia “Punto Gezz”, per la regia di Laura Novembre. All’aprirsi del sipario subito siamo stati accolti da una band, composta da 5 musicisti ed una splendida voce femminile, quella di Laura Novembre, che ci hanno coinvolto con le loro ottime esecuzioni. In quel momento sono come per magia spariti i nostri tentennamenti e siamo stati coinvolti da questo lavoro brillante, intenso, ricco di spunti di riflessione. L’amico è Gabriele Biancardi, nato a Trento nel 1965, che nella band è il batterista. Conosciamo Gabriele fin dal suo ingresso a Radio Dolomiti, nel 1980 quando aveva 15 anni circa e dove è ancora. Ha iniziato facendo il DJ e subito si è dimostrato

molto bravo, attento, divertente, tanto che gli fu offerta la possibilità di iniziare una carriera giornalistica: ha rifiutato preferendo realizzare il sogno che aveva fin da piccolo , unire la parola alla musica, altra passione, alla quale, nel tempo, ha aggiunto una nuova arte; quella della scrittura.

“ Per me la radio rappresenta quello che una tavolozza è per il pittore, ha affermato durante un’intervista, ci sono giorni in cui prevale il giallo ed è quando posso dare belle notizie , quando riesci a ridere o scherzare. Il Blu rappresenta un viaggio con la musica che preferisco, la racconto e cerco di farla amare”. Scrive per passione , recensioni musicali, romanzi e questo è il suo secondo lavoro teatrale frutto di una riflessione sul suo vecchio stato di obesità, ora risolto, ma che nel tempo gli ha creato non solo problemi fisici ,ma anche psicologici, facendolo sentire diverso e quello che è nato da un problema è diventato uno spettacolo bello ed interessante che ha saputo coinvolgere con leggerezza e divertimento il folto pubblico intervenuto. L’autore, con un musical interpretato con grande professionalità dagli attori-cantanti e dalla band, ha saputo parlare di diversità, sia fisiche che psicologiche che sono alcuni dei mali di vivere del nostro tempo: non solo la diversità di genere ma anche quella

fisica, come l’Obesità. Il suo è un testo molto intenso:

“Alla bellezza e alla bruttezza ci si abitua, nello stesso tempo ci deve essere altro”. Ed è a quest’altro che l’autore ci invita a guardare aiutato dalla bella regia di Laura Novembre che ha saputo alternare la musica con le parole. “Diversi da chi ?” è un’accusa neanche tanto implicita alla società attuale, che ci vorrebbe tutti agili, snelli, affascinanti, e quindi i diversi sono gli Obesi, i ciccioni, che vengono troppo spesso emarginati, derisi ed insultati, diversi sono anche gli Omosessuali, che per lungo tempo si sono

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Spettacolo visto per voi

celati, alcuni di loro dietro l’apparenza di fascinosi ed impenitenti latin lover. Ricordo ancora lo stupore ed il dolore che colse il pubblico femminile degli anni cinquanta e sessanta quando scoprì che l’attore più affascinante del momento, Rock Hudson era omosessuale e fu il primo personaggio pubblico conosciuto in tutto il mondo a confessare di essere ammalato di AIDS. Davvero bravi gli interpreti che hanno saputo dare spessore ai loro ruoli. Giovanna D’Angi, cantante dalla splendida voce aggressiva, è una grande professionista; quando aveva 18 anni ha infatti partecipato nel 2005 al festival di San Remo classificandosi al 5° posto. Nello spettacolo visto a Vezzano, avvolta da salsicciotti che le deformano il corpo, interpreta con grande grinta il ruolo di Abbondia, una donna enorme, che non sa resistere al cibo, soffre per il suo stato ma non riesce a smettere di mangiare. Molto interessante l’analisi psicologica del personaggio ,del rapporto che

ha con se stessa e di quello con gli altri. Diversi, come ad esempio Eriberto, un omosessuale ironico e divertito, consapevole della sua diversità reso piacevolissimo da Emiliano Geppetti, ottimo attore e cantante. Attraverso le loro confessioni entriamo in mondi osservati con grande rispetto e comprensione dall’autore che sa farci sorridere e ridere ma senza alcuna cattiveria, anzi facendo capire che non si deve aver timore di essere “diversi” perché la bellezza sta nel capire che ognuno di noi

è diverso dall’altro. Uno spettacolo di bravi professionisti che hanno goduto dell’elegante e raffinata regia di Laura Novembre, che è la cantante del gruppo “Punto Gezz” del quale fanno parte Paolo Cristofolini, Luca Rubertelli, Alberto Masella e Gabriele Biancardi.

Lo spettacolo sarà replicato il 15 febbraio a Riva del Garda, il 14 e 15 marzo a Livorno. In programmazione alcuni appuntamenti in Veneto.

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Società, uomo e tecnologia di Gianluca

Intelligenza Artificiale: questa sconosciuta?

Come sappiamo, ogni civiltà umana ha sempre avuto quale suo referente l’Uomo. L’Uomo come individuo, come simbolo e come appartenente a comunità. La novità è che oggi l’Uomo non è più il solo a potersi dire intelligente e ad avere capacità decisionale e di azione autonoma.

Adesso vi è un campo della tecnologia che non solo si addentra in questo aspetto, ma che si designa usando proprio un termine tipicamente umano: intelligenza, anche se usato assieme al suffisso artificiale.

Intelligenza artificiale: il solo nome evoca qualcosa di futuribile e al tempo stesso misterioso, lontano ma incredibilmente presente, ineffabile ma anche pratico; insomma, riguardo l’intelligenza artificiale le persone comuni (e non solo loro) possono provare vari sentimenti: di angoscia, repulsione, paura, entusiasmo, stupore: in fin dei conti, sempre sensazioni ambigue per qualcosa di lontano dalla nostra banale quotidianità. Ma come stanno realmente le cose? Come si apprende quotidianamente (da quel poco che filtra dai media generalisti e non) risulterebbe che il variegato campo dell’intelligenza artificiale (IA) stia facendo sì progressi immensi, ma che gli stessi sviluppi stiano creando sempre più grattacapi per chi fa ricerca nel campo. Ovviamente il tutto sempre all’insegna del più indefesso ottimismo e per il bene dell’umanità. La situazione attuale: dalle ricerche ai videogiochi Come accennato, gli sviluppi in questo campo sono vertiginosi: alcuni programmi, chiamiamoli così, di intelli-

genza artificiale, sono in grado di creare immagini spettacolari da qualsiasi testo; altri sarebbero già in grado di parlare di qualsiasi cosa e addirittura di scrivere in maniera introspettiva o quasi…; quelli più tradizionali, per così dire, sono sempre in grado di fare compiti esecutivi molto meglio e più velocemente di qualsiasi altro essere umano. Basta pensare alla famosa sfida tra il campione di scacchi Kasparov e un programma informatico, Deep Blue, vinta da quest’ultimo. In effetti si è poi notato che i programmi di AI hanno successo soprattutto nei giochi definiti “a informazione completa”, cioè in cui tutto ciò che c'è da sapere è disponibile a priori. Molti giochi sono invece “a informazione incompleta”: per esempio i vari giochi in cui si inserisce l’incertezza o il “caos”: ad esempio quello del lancio dei dadi. Ma i problemi non si fermano qua, e rivestono anche l’implicazione pratica di certi esperimenti di IA. Problematiche di cui pochi parlano Proviamo a fare degli esempi pratici che si possono capire. Quando alcuni programmi di IA commettono molti errori in fase sperimentale, il risultato potrebbe

sembrare ai più innocuo. Ma gli errori pratici prodotti poi dall’IA potrebbero causare conseguenze gravi. Recentemente, citando un caso famoso uscito anche in vari media nel mondo, una Tesla con il pilota automatico ha guidato direttamente verso un operaio stradale che indossava un segnale di stop in mezzo alla strada. E in questo caso dovuto intervenire il guidatore umano per correggere l’errore, che poteva però risultare fatale. Il sistema in questione era in grado di riconoscere gli esseri umani da soli, ma la combinazione di segnale e essere umano lo aveva, per così dire, destabilizzato. Il vero problema però è anche di comunicazione: la maggior parte di chi si occupa di comunicazione nei media ha poca dimestichezza non solo con l’IA, ma anche con la scienza in generale. Non è affatto strano quindi che i vari media generalisti parlino a senso unico di queste tematiche (apocalittici o integrati, parafrasando il grande Umberto Eco) ma in fondo in maniera poco approfondita. Intelligenza artificiale generale (la “macchina che pensa”): realtà o fantascienza?

L’intelligenza artificiale generale, così

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Puppo

Società, uomo e tecnologia

chiamata da scienziati che se ne stanno occupando, sarebbe, e sottolineo sarebbe, quel tipo di programmazione di intelligenza artificiale che sostituirebbe in toto tutta l’attività dell’uomo., essendo anche in grado di “pensare”. Realtà o utopia? Diciamo nessuna delle due cose: è per lo più un obiettivo a lunghissimo termine: obiettivo che però rasenta l’ideologia, anche se un’ideologia semi-fantascientifica. Come accennato, la IA (o AI in inglese: intelligenza artificiale) sta facendo grandissimi progressi in moltissimi ambiti diversi, ma probabilmente siamo ancora lontani da un'intelligenza artificiale cosiddetta generica, cioè “pensante”. La ricerca si sta arenando proprio sulle stesse sfide che gli scienziati si sono posti: rendere l’IA affidabile anche in situazioni paradossali, cioè in situazioni reali, quelle che rendono gli esseri umani, per l’appunto, umani troppo umani (parafrasando un noto filosofo tedesco). E qua sta il punto: gli umani possono e

devono in un certo senso sbagliare, e, perlopiù, si rendono conto di questo loro limite: i programmi di IA no. Ed è proprio in questa consapevolezza del proprio limite che sta la superiorità dell’essere umano verso qualsivoglia macchina, per perfezionata, “intelligente” o sofisticata che sia. (E qui bisognerebbe parlare dello scienziato Turing e del suo famoso test: ma questa è un’altra storia).

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Dalla parte del cittadino di Claudio Girardi

IMU E L'ABITAZIONE PRINCIPALE

Una grossa novità in materia di Imu, imposta municipale propria, a seguito della sentenza n. 209/2022 del 12 settembre 2022, depositata il 13 ottobre 2022, con la quale la Corte Costituzionale ha rivoluzionato la definizione di abitazione principale.

L’abitazione principale ai fini dell’esenzione Imu quindi è ora intesa come “l’immobile iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore dimora abitualmente e risiede anagraficamente”.

Ai fini dell’esenzione ora rileva la dimora abituale e la contestuale residenza anagrafica unicamente del soggetto passivo Imu e non più quella del suo nucleo familiare. Per tutti i contribuenti che, pur essendo in possesso di queste due condizioni, hanno versato l'Imu, si apre ora la possibilità di chiedere il rimborso di quanto pagato nei cinque anni precedenti. La questione era sorta in relazione alle disposizioni contenute nell'articolo 13, comma 2, del Dl 201/2011, prima, e dell'articolo 1, comma 741, lettera b), della legge 160/2019, dall'anno di imposta 2020, in base alle quali l'abitazione principale non soggetta al tributo, nell'ipotesi in cui non appartenga alle categorie catastali A/1-A/8 o A/9, è l'unità immobiliare a uso abitativo destinata a dimora abituale e a residenza anagrafica sia del possessore che del suo nucleo familiare. La Corte costituzionale, con la sentenza n. 209/2022, dichiara l'illegittimità costituzionale delle disposizioni contenute nell'articolo 13, comma 2, quarto e quinto periodo, del Dl

201/2011 e nell'articolo 1, comma 741, lettera b), primo e secondo periodo della legge 160/2019, come anche modificato dall'articolo 5-decies del Dl 146/2021. In particolare, la Corte ritiene che l'abitazione principale debba essere l'immobile, iscritto o iscrivibile in catasto come unica unità immobiliare, nel quale il solo possessore dimora abitualmente e risiede anagraficamente e non quello, come prevedono le norme ritenute illegittime, di residenza anagrafica e dimora abituale del possessore e del suo nucleo familiare. Prima di questa sentenza ogni nucleo familiare, composto per esempio da marito, coniuge e figli, doveva scegliere la propria dimora abituale, sulla quale aveva diritto all’esenzione Imu come abitazione principale, indipendentemente dalla residenza anagrafica, non si fa più riferimento al nucleo familiare ma alla dimora abituale e alla residenza anagrafica del singolo soggetto passivo anche all’interno del nucleo familiare, e

pertanto potrebbe capitare che il marito abiti in un immobile e la moglie in un altro con relativa dimora abituale e residenza anagrafica cosi da dare origine a esenzioni dell’imposta su due immobili diversi. Ora le amministrazioni comunali potrebbero trovarsi richieste di rimborso da parte di quei contribuenti che rientrano nel caso indicato dalla Corte Costituzionale, ad eccezione dei casi in cui sia stato emesso un accertamento Imu divenuto definitivo per mancata impugnazione, o sia stata emessa una sentenza passata in giudicato. Sarà comunque onere del contribuente, la dimostrazione della dimora abituale mediante la presentazione di documenti comprovanti i consumi delle utenze, il pagamento della Tari soprattutto nel caso di misurazioni puntuali etc. La Corte Costituzionale ha inoltre sottolineato che questa sentenza vale anche per le unioni civili e i conviventi di fatto.

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GLI AMBULANTI TESINI: Una storia di viaggi e conquiste

“I Tesini, che con la loro attività furono diffusori di una cultura per immagini che accomunava uomini lontani che parlavano lingue diverse, crearono invisibili legami tra i popoli del mondo, si confrontarono con culture a loro sconosciute, appresero nuove lingue per comunicare e seppero adattarsi ai modi di vivere degli altri senza però perdere la propria identità. Per questi motivi essi, benché inconsapevoli del loro ruolo, appartengono alla storia culturale dell’Europa e sono, a tutti gli effetti, «cittadini del mondo»”

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Si ringrazia la Fondazione trentina Alcide Degasperi per le fotografie e il presidente Marco Odorizzi. Il negozio Daziaro di San Pietroburgo, fotografia, fine XIX secolo (Museo Per Via) Giovanni Fietta si fa ritrarre con la cassela e le stampe, Fotografia, 1880 ca (Museo Per Via) Ambulanti tesini a Orleans (Davide Pinato e Serafino Patata), Fotografia, 1930 ca. (Museo Per Via) Discritione del paese di Chucagna dove chi manco lavora più guadagna, Bulino colorato a pennello, seconda metà del XVIII sec, Remondini (Bassano del Grappa) (Elda Fietta) Alcuni esempi delle prime stampe realizzate dal Remondini. Storie di casa nostra di Eleonora
Mezzanotte

Quella dei Tesini è una storia che si snoda nei secoli, fatta di trame che si intrecciano e si compongono, di uomini e famiglie, di viaggi, mete, costumi e tradizioni che rimangono solidamente protetti e trasmessi dalla gente che abita questo piccolo, ma prezioso, angolo del globo. Dapprima ambulanti stagionali con la “cassela” in spalla, si spingono verso mete sempre più ardite e lontane anche per lunghi periodi, riscuotendo, in alcuni casi, grande fortuna e fama potendo così sostituire il pesante fardello con un nobile cilindro in testa. La Valle del Tesino a causa e grazie alla sua posizione di confine, è da sempre stata zona di passaggio, il cui suolo è stato calpestato nel corso dei secoli, da genti forestiere e foriere di nuove e diverse culture, di gusti, tendenze, idee, stimoli e novità. Dapprima con i retici, di cui ci sono testimonianze archeologiche nella zona di Sant’Ippolito a Castello Tesino (dal V e IV secolo a.C. fino alla seconda metà del I secolo d.C.), i romani, che qui vi costruirono un tratto della via Claudia Augusta Altinate (prima metà del I sec. d.C.), successivamente la presenza della Serenissima e dopo ancora la dominazione asburgica che termina con la prima guerra mondiale. Niente di cui stupirsi, pertanto, se da sempre, per i Tesini, il viaggio è un’esperienza quasi ineludibile, che ne forgia e tempra gli abitanti. Circondato da monti boscosi, ma avaro di terre fertili, poiché le brevi estati non sempre permettevano la piena maturazione dei cereali, nel Tesino

fu da sempre praticata la pastorizia, con il relativo fenomeno della transumanza verso le campagne incolte della pianura Padana fin verso l’Adriatico, per far godere alle pecore un clima più mite e un suolo più florido. La pratica della pastorizia cominciò ad entrare in crisi verso la metà del XVI secolo, dopo che furono imposti frequenti divieti di pascolo, in virtù dei quali molte terre vennero convertite in campagne coltivate. L’opportunità di riscatto e di rivalsa economica per i Tesini arrivò presto e la si scoprì essere molto vicina, anzi, proprio sotto i piedi, proveniente da un suolo ricco di quel “biancume”, ossia calcare compatto che racchiude noduli di silice o pietra focaia, che, se di buona qualità, era oggetto d’interesse nel mercato militare per l’accensione della polvere da sparo nelle armi da fuoco; la silice tesina si rivelò di ottima qualità. Furono proprio queste “prie fogarole” - chiamate così nel dialetto della valle – ossia pietre focaie, a introdurre i Tesini nel mondo del commercio ambulante. L’alzata d’ingegno è da attribuire ai fratelli Gallo da Castello, i quali cominciarono ad utilizzarla per preparare le pietre focaie da archibugio, attor-

no al 1600. I Gallo si servirono di valenti uomini della valle che si offrirono di partire per cercare fortuna e profitto. Di certo, le “prie fogarole” dovevano avere un peso non da poco; la memoria collettiva, sia essa affidabile o meno, ci tramanda di maniche imbottite e chiuse sul fondo da una legatura, dentro le quali i commercianti trasportavano le pietre. La fine di questo esercizio si colloca all’inizio del 1700, quando una grande fabbrica francese riusciva, grazie all’impiego di nuovi e moderni macchinari, a produrre pietre focaie in grandi quantità e a un prezzo Così, dopo aver battuto le pianure italiane in veste di pastori, essersi avventurati oltre le Alpi con le pietre focaie nel Seicento, una nuova merce attira l’attenzione dei Tesini, ormai avvezzi a lunghe peregrinazioni. Questa si distingueva dalle altre, era leggera da trasportare, a basso prezzo e richiedeva un po’ più d’attenzione nel maneggiarla data la sua delicatezza. Un prodotto che si rivolgeva ad una clientela inusuale: la massa, fatta di contadini, allevatori e artigiani che non poteva di certo permettersi alcunché di superfluo o non necessario. Il nuovo prodotto consisteva in fogli stampati con raffigurazioni varie, colorate ed essenziali, perlopiù a soggetto religioso, sciolti o assemblati e talvolta cuciti tra loro in maniera da formare i cosiddetti “libri da risma”. Questi venivano custoditi e portati di città in città all’interno della “cassela”, una cassetta in legno che i Tesini caricavano sulle spalle per

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Storie di casa nostra

proteggere la merce durante il viaggio. Il fornitore di queste stampe e libretti era Giovanni Antonio Remondini, che dal 1650, aveva inaugurato a Bassano la sua attività di stampatore ed editore producendo con telai in legno e in rame, ancora un po’ rudimentali, immagini per lo più a sfondo religioso. Forse all’inizio i Tesini, attratti da quei colori vivi, da quelle figure di santi e madonne avvolti in mantelli variopinti, decisero di portare con sé, passando per Bassano e con il consenso del Remondini, assieme alle “prie” anche alcuni fogli stampati, il cui peso sicuramente non incideva nella fatica quotidiana. Forse l’iniziativa partì dal Remondini, il quale dovette essersi accorto delle valevoli doti dei Tesini nel commercio ambulante. L’impresa remondiniana si apprestò a diventare la prima e più grande stamperia della Repubblica di Venezia. In piazza Maggiore a Pieve Tesino i Remondini avevano, poi, stabilito un magazzino permanente presso il quale gli ambulanti in partenza potevano rifornirsi senza dover scendere a Bassano per approvvigionarsi. Capitava spesso che i Remondini, consci delle difficoltà nelle quali gli ambulanti potevano incorrere durante i viaggi, della possibilità che tali stampe potessero venire danneggiate, perse o rubate, si premunissero, richiedendo in pegno ai Tesini un orto o un campo, che incassavano se questi non tornavano in valle con la buona notizia di una fortunata vendita. Da qui il detto: “I Santi Remondini i se g’ha magnà i campi dei Tesini”. Il compito dei Tesini, però, non si limitò alla mediazione tra produt-

tore e acquirente, ma si estese a comprendere la mansione di consulenza di mercato. In sostanza, i Tesini sondavano le preferenze, valutavano i gusti e la sensibilità artistica delle più svariate genti e culture, per poi comunicare alla Casa di Bassano l’impatto del prodotto nei fruitori ed eventuali modifiche da apportare per renderlo più piacevole e appetibile al gusto popolare. Per questo, ai bordi di alcune stampe remondiniane si ritrovano scritti alcuni suggerimenti per variazioni e ritocchi. Riferivano i moduli cui ci si doveva attenere, nei vari Paesi, per la raffigurazione dei personaggi biblici e dei luoghi di culto. Le stampe a tema religioso erano quelle più richieste e vendute. Ci sono poi le stampe profane, dove vengono narrati scorci di vita quotidiana con finalità morali, o che materializzano, attraverso il potere dell’immagine, le fantasie e i desideri riposti dei più umili, come nella stampa riportante la Discritione del paese di Chucagna dove “chi manco lavora più guadagna”.

Vennero fondati, lungo i consueti percorsi di vendita, dei deposi stabili in punti tattici, così che venissero agevolati il rifornimento e il commercio in quelle aree. Questi depositi, dove inizialmente la merce veniva custodita e accumulata in maniera disordinata e sparsa non tardarono a trasformarsi in vere e proprie botteghe, che prendevano il nome delle compagnie di giro prima e delle

famiglie che la fondarono successivamente. Essendo queste botteghe stabili - pur servendosi sempre di ambulanti tesini per smerciare le stampe altrove -  la clientela alla quale si rivolgevano ora, o con la quale dovevano confrontarsi e intrattenere i rapporti era mutata. Artigiani, bottegai, facoltosi esponenti della media e alta borghesia, ricchi mercanti e gente di cultura, interpreti e portavoce di tendenze e gusti d’avanguardia, anche in fatto di arte. Pubblico nuovo, altre richieste. Le immagini devozionali dei Remondini non suscitavano di certo l’interesse di questa élite sociale, pertanto i Tesini andarono a rifornirsi presso stamperie inglesi e francesi, che meglio sapevano interpretare e tradurre i mutati gusti della gente locale. I Tesini cominciarono, quindi, ad emanciparsi dalla Casa di Bassano. Le prime testimonianze di negozi stabili pervenuteci, si trovano in un documento del 1781. Gli inizi dovettero essere modesti, ma i più fortunati e abili riuscirono ad aprire importanti e rinomati negozi nelle maggiori città europee, vendendo, accanto alle stampe, anche oggetti d’arte e d’antiquariato. Si arriverà attorno al 1830 ad una trentina di negozi tra Russia, Austria, Belgio, Germania e Francia. In quegli stessi anni, un’altra meta divenne l’America. L’attività che raggiunse i risultati di maggior prestigio e fama fu quella della ditta Daziaro in Russia e a Parigi, citati in testi da Dostoevskij e Tolstoj, diretti fornitori dello Zar di Russia.

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nostra
Storie di casa

Un artista che ha trovato casa in Veneto di Marco Nicolò Perinelli

GIOTTO DA FIRENZE AL VENETO E TRENTINO

A vent’anni dall’inaugurazione, il Mart di Rovereto ospita la mostra “Giotto e il ‘900”, un’idea di Vittorio Sgarbi che mette in dialogo pittori e scultori contemporanei e moderni con il grande artista che a Padova ha lasciato il suo più grande capolavoro, la Cappella degli Scrovegni

Passando lungo corso Garibaldi, a Padova, si scorge appena, protetta allo sguardo dagli alberi del Giardino dell’Arena e dalle mura dell’antico anfiteatro romano, una cappella lunga e stretta, dall’aspetto modesto. Un edificio, sopravvissuto al grande palazzo costruito nel 1300 da Enrico Scrovegni, del quale un tempo faceva parte, che custodisce da sette secoli un capolavoro, un ciclo di affreschi che ha segnato una svolta nella storia dell’arte, regalando all’umanità un nuovo di modo di concepire il colore, lo spazio, il ritratto dei sentimenti. Frutto del genio di un solo uomo, Giotto, è la rappresentazione delle storie della Vita della Vergine e di Cristo, dei Vizi e delle

Virtù e del Giudizio universale. Egli rivoluzionò la "prospettiva" e la resa della terza dimensione,  anticipando di un secolo il rinascimento, ma seppe mettere al centro la rappresentazione dell'uomo, nella sua fisicità ed emotività, con le gioie e i dolori umani, di cui restano significativi e celebri esempi la tenerezza del bacio di Gioacchino ed Anna e la disperazione delle madri in lacrime ne La strage degli innocenti. Il soffitto voltato è un manto azzurro di stelle e presenta dei tondi le figure di Maria, di Cristo

e dei Profeti.

Ed è proprio questo straordinario scrigno che accoglie il visitatore alla mostra del Mart, dove, grazie alla collaborazione con il Museo degli Eremitani di Padova, viene proiettato l’intero ciclo in una stanza, che permette di immergersi nel lavoro dell’artista toscano. A Rovereto sono esposte oltre 200 opere di artisti moderni e contemporanei che si sono ispirati all’arte di Giotto: seguendo un ordine cronologico e tematico l’esposizione prosegue tra opere di grandi autori e autrici del XX e XXI secolo accomunati dalla passione per la figura di Giotto, studiato, imitato, o preso a modello di perfezione e spiritualità. Tra Metafisica, Valori plastici e Realismo Magico, i protagonisti della prima parte della mostra sono Carlo Carrà, Mario Sironi, Arturo Martini, Giorgio de Chirico, Gino Severini, Massimo Campigli, Achille Funi e Ubaldo Oppi.

L’esposizione prosegue tra Atmosfere rurali e Sacre Maternità nelle quali i soggetti bucolici e le figure femminili esprimono quel richiamo e quell’idealizzazione della tradizione tipica del periodo tra le due grandi guerre.

L’arte più recente non è meno debitrice alla lezione medievale di quanto lo sia quella del primo novecento. Tanto gli europei Henri Matisse, Yves Klein e Josef Albers quanto gli statunitensi come Mark Rothko riconoscono il loro debito nei

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confronti di Giotto, ispiratore assoluto. In particolare, a influenzare alcuni tra gli artisti più conosciuti è il suo celebre blu. Lo stratificarsi di elementi iconografici insito nello studio della storia dell’arte riconosce nell’opera di Giotto una moder-

nità astratta che rivive nella grande installazione immersiva di James Turrell, maestro contemporaneo della luce e dei colori, studioso della percezione. Chiudono la mostra le installazioni di due artiste, Chiara Dynys e Tacita Dean, il cui lavoro rinnova ancora una volta il dialogo con uno dei più grandi maestri di tutti i tempi.

L'idea è di Vittorio Sgarbi che da presidente del Mart ha portato a Rovereto

anche sculture e gessi di Canova traendone anche dal museo di Possagno(Treviso) di cui ha pure la presidenza.

La mostra sarà visitabile al Mart di Rovereto fino al 23 marzo 2023.

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Un artista che ha trovato casa in Veneto

ONORE AI BELLUNESI FAMOSI NEL MONDO

Sèdico (Sédego), diecimila abitanti, è fra i comuni veneti quello che si è dissanguato fornendo all'emigrazione un grande contributo. Collocato tra le Dolomiti zoldane e la Valbelluna, che in parte occupa, è un fiorente centro industriale e commerciale, ma nella seconda metà del XIX secolo la sua maggiore economia fu l'emigrazione. Basti pensare che tra il 1876 e il 1896, quando il comune contava 4 mila abitanti, lasciarono il paese 809 persone. Questa la motivazione importante per cui Sèdico è stato scelto dall'Amministrazione provinciale di Belluno per ospitare la XXII edizione del Premio Internazionale “Bellunesi che hanno onorato la provincia in Italia e nel Mondo” Il premio, organizzato in collaborazione con l'Associazione Bellunesi nel Mondo e i Rotary Club di Belluno, Feltre, Cadore-Cortina, prevede tre riconoscimenti principali riservati ai Bellunesi emigrati in Italia e nel mon-

do e ai loro discendenti, che mantengono vivo il legame con la terra delle radici e viene assegnato a personalità che si sono particolarmente distinte.

Tre i settori prescelti: economico, imprenditoriale e professionale; istituzioni arte e cultura; sociale e solidaristico. Cerimonia sobria con esibizioni corali e musicali locali.

Nel settore economico professionale il premio è stato assegnato a Dario Olivier un gelatiere nato a Forno

di Zoldo ma cresciuto professionalmente a Witten in Germania dove il nonno già nel 1928 era emigrato trasferendovi la propria esperienza di gelataio. “Qui oggi”, dice Olivier, “siamo considerati personaggi pubblici”. Merito del nonno sicuramente, ma anche suo, che dal 1980, dopo il matrimonio, ha raggiunto i parenti in Germania. La sua capacità e interesse per l’attività artigianale del gelatiere lo hanno portato ad associarsi all’UNITEIS (Associazione dei Gelatieri artigiani in Germania) dove, competenza e passione, lo portano nel 2012 e fino al 2021 a ricoprire la carica di presidente. Non dimentica per questo le problematiche degli emigranti e si avvicina all'Associazione Bellunesi nel Mondo; non trascura nemmeno il suo territorio tanto che dal 2016 fa parte del Consiglio di amministrazione dell'Ente Longarone Fiere. Sono entrambi originari di Sèdico i premiati per la sezione istituzioni, arte e cultura.

Andrea Da Ronch si è laureato in ingegneria aerospaziale al Politecnico di Milano e oggi è professore associato in ingegneria aeronautica all’Università di Southampton. Da Ronch nel campo della ricerca aeronautica ha avuto diversi riconoscimenti; il più importante è quello dell’Associazione Americana di Aeronautica ed Astronautica.

Linda Sasset si è laureata prima in biotecnologie sanitarie e, successivamente, in biotecnologie mediche. Nel 2015 si è trasferita a New York, dove

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La nostra storia di Walter Laurana

studia il ruolo di una particolare classe di lipidi, gli sfingolipidi, nelle malattie cardiovascolari e nel diabete. I suoi studi stanno portando a nuove tera-

pie per la cura dell’ipertensione. Per il settore sociale e solidaristico è stato assegnato al professore bellunese Giuseppe Lauria Pinter il quale, dopo aver conseguito la laurea in medicina e chirurgia e la specializzazione in Neurologia, ha trascorso un periodo di formazione e ricerca presso il Dipartimento di Neuroscienze della Johns Hopkins University, Baltimore, USA e successivamente presso il Centro di Elettromiografia e Controllo Motorio del Dipartimento di Neurologia dell’Università di Barcellona. Direttore dell’Unità Operativa Complessa Neurologia 3 dal 2013 e Direttore del Dipartimento di Neuroscienze Cliniche dal 2016, nel dicembre 2021 è stato nominato dal Ministero della Salute Direttore Scientifico della Fondazione IRCCS Istituto Neurologico “Carlo Besta”. Professore Ordinario di Neurologia dell’Università degli Studi di Milano dal 2018 svolge la sua ricerca sulle patologie del sistema nervoso periferico, dolore neuropatico e SLA. Non è mancato un premio speciale che è stato assegnato ai fratelli Francesco, Raffaele, Stefano e Daniele De Bettin, sono i fondatori, nel 1991 a Santo Stefano di Cadore, dello Studio di Ingegneria e Archi-

tettura “De Bettin Associati” dal 1993 DBA Group, un’innovativa società di ingegneria. Infine, come da tradizione, sono state ricordate le persone che hanno contribuito notevolmente al

mondo dell'emigrazione. Si tratta di undici emigranti facenti parte della storia del movimento a cui si deve in Sud America, Brasile in particolare, di comunità come Nova Belluno. La memoria di queste emigrazioni si sta recuperando grazie a gemellaggi tra comuni bellunesi e brasiliani iniziati alla fine dello scorso secolo.

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La sanità in cronaca di Alex De Boni

Gastroenterologia di Belluno:

intelligenza artificiale e tecniche innovative per una qualità sempre migliore

La grande sfida che ha affrontato il reparto di Gastroenterologia di Bellunonel 2022 è stata quella di cercare da una parte di accogliere i sempre più numerosi ricoveri per patologie dell’apparato digerente ed evadere il crescente numero di richieste di visite e di prestazioni endoscopiche e dall’altra di motivare il personale medico ed infermieristico con “qualcosa di nuovo”. Al fine di rispettare i tempi di attesa delle prestazioni richieste dai medici di Medicina Generale è indispensabile che le richieste stesse siano appropriate e soprattutto formulate sulla logica di un percorso diagnostico terapeutico che tenga conto della clinica e dell’attuale contesto organizzativo sanitario. Per questo nel 2022 Ulss 1 Dolomiti ha ripreso, con l’aiuto dell’Ordine dei Medici, un percorso formativo con i Medici di Medicina Generale, iniziando ad affrontare la gestione del do-

lore addominale sia nel territorio che in ospedale con l’intento di condividere le scelte da fare; è d’altro canto evidente che solo unendo le forze si può agire nell’interesse del paziente, utilizzando correttamente le risorse. La novità più importante in materia è stata l’introduzione nella nostra UO dell’Intelligenza Artificiale applicata all’endoscopia. Si tratta di un congegno che, applicato in corso di colonscopia, aiuta in tempo reale l’operatore a rilevare lesioni sospette per polipi o cancro. Qualcuno in modo un po’ ardito lo paragona alla differenza che c’è tra pilotare un aereo “a vista” rispetto a pilotarlo con l'utilizzo del radar! Secondo recenti stime questo strumento aiuta il medico a rilevare lesioni sospette in una percentuale del 13% in più. Non risulta difficile immaginare come sia di straordinario aiuto questo strumento nelle colonscopie che viene eseguito per lo screening del

cancro del colon retto. Non va dimenticato che il cancro colon rettale è ancora oggi il secondo tumore più frequente in Italia. Riuscire pertanto a rimuovere o a diagnosticare lesione cancerose o precancerose precocemente è fondamentale. Il reparto di Gastroenterologia ha inoltre incrementato l’utilizzo di una particolare tecnica di rimozione endoscopica delle lesioni neoplastiche anche maligne in fase iniziale: l’FTRD (Full Thickness Resection Device) per asportare “a tutto spessore” tali lesioni con il quale sono stati trattati circa 30 pazienti che in alternativa avrebbero dovuto andare ad ’intervento chirurgico. Ulteriore tecnica terapeutica endoscopica utilizzata quest’anno nella UO è stata l’ablazione a radiofrequenza. Questa consiste in una tecnica che permette, mediante la  generazione di calore (indotto dalla differenza di potenziale tra 2 elettrodi) di eliminare cellule malate (come nelle complicazioni dell’Esofago di Barrett) o malformazioni vascolari ad altro rischio di sanguinamento (angiodisplasie, gravi forme di gastropatie congestizie,….). Prendere confidenza con queste nuove tecniche, se da un lato è motivo di grosso impegno per evidente necessità di studio ed apprendimento da parte del personale medico ed infermieristico, dall’altro evita che ci si senta appagati da quello che accade routinariamente.

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Società oggi di Franco Zadra

L’EPIFANIA TUTTE LE FESTE SI PORTA VIA

Anche il ‘22 è alle spalle! L’anno scorso, con il suo ultimo colpo di coda delle festività natalizie, Santo Stefano, Capodanno, Epifania, con tutti i loro nessi e connessi, sono una cosa di ieri, e ci ritroviamo per le mani un freddo presente, quasi una cosa sola con il rigido inverno che lo accompagna, dal quale ripartire, convogliando a forza l’entusiasmo che ancora ci anima nei condotti soliti del quotidiano, voltiamo pagina e ripartiamo, un po’ più vecchi di prima, forse anche un pochino, e di nuovo, delusi da quel diradarsi precipitoso dell’atmosfera delle feste, se non dalla scomparsa delle iperboliche promesse del Natale cristiano al quale il nostro fanciullino interiore aveva voluto credere ancora. Ma forse, come i più, abbiamo da tempo abbandonato ogni credenza religiosa e viviamo alla giornata accettando pacificamente il fatto che se ci sono giornate storte, ce ne sono anche di dritte e ci sta bene così. Per noi l’Epifania è soltanto un altro pretesto per rinfocolare il mercato, fatto in nome di una vecchia pazza che gira a cavallo di una scopa, scaturita dall’immaginazione popolare nel cuore dei secoli bui del Medioevo. Alla Befana diamo per scontato di attribuire il potere immenso di portarsi via tutte le feste e di lasciarci “in braghe di tela” con lo

stimolo, semmai, la necessità, di far ripartire la giostra, di far lievitare il Pil, di incominciare un’altra partita di giro, quella del 2023, ancora con una guerra in corso, forse in “esercizio provvisorio” –non lo possiamo ancora sapere mentre scriviamo– perché a causa di quel dissidio politico dell’ultimo momento, o quello scontro con la Commissione Europea, o quella tornata in Parlamento nella quale il Governo è andato sotto per un voto, non si è riusciti ad approvare la legge di bilancio entro il 31 dicembre. Vallo tu a dire a quella bimba di prima elementare che ho incontrato l’altro giorno e mi diceva che «Dio non esiste, e il mondo lo ha creato il Big Bang», che Epifania è la festa che commemora le manifestazioni divine di Gesù Cristo: il battesimo nel Giordano, l’adorazione da parte dei Magi, il primo miracolo a Cana… e davvero non ha senso dire che si porta via tutte le feste ma, anzi, con l’Epifania è semmai iniziata quella grande Festa, unica vera per l’umanità e vero motivo di tutte le feste, che non avrà mai fine.

In questo nostro presente abbiamo più che mai bisogno di quella “rivelazione”, di quel manifestarsi di qualche cosa che trascenda il piano delle cose ordinarie, magari perché ci capita di cogliere il gesto di un amico,

vedere sotto un’altra luce quella situazione quotidiana che giudicavamo banale, capaci all’improvviso di svelarci qualcosa di più profondo, di più significativo e inaspettato. Dobbiamo tornare capaci di guardare alle cose e ai fatti che incontriamo, a cominciare anche dal più piccolo dettaglio materiale, facendo attenzione alla loro radice profonda, la scaturigine originale, per cui una cultura religiosa è certamente d’aiuto, ma non in quanto ci riempie il cuore di simboli e ci indottrina a una lettura simbolica della realtà, ma solo in quanto orienta il nostro sguardo a riconoscere i segni di una Presenza del cui splendore ogni cosa è bella e del cui amore ogni cosa è buona. Una Presenza reale, un Presente che possiamo incontrare e con il quale possiamo rapportarci in ogni istante del nostro esistere. Meno di questo non vale la pena.

È richiesta però la nostra attenzione, uno spazio di silenzio, un ascolto sottile, così da poter dire dell’Epifania, che poi è la stessa cosa di ricordare il nostro battesimo, come di quell'avvenimento illuminante per il quale non vediamo più le cose con gli occhi di prima, e non solo, abbiamo incontrato Qualcuno che è presente, per il quale la nostra vita è un’altra cosa, è davvero Vita.

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Società oggi di Alice Vettorata

La città illuminata - Bergamo Brescia 2023

Nel 1985, la Ministra della cultura greca Melina Merkouri propose al proprio Consiglio un’iniziativa volta a intensificare la vicinanza culturale dei cittadini appartenenti all’Unione Europea. Le radici di coloro che fanno parte del Continente europeo sono strettamente connesse tra loro. I borghi delle capitali di ciascuno Stato, delle città che ne hanno modificato la storia, raccontano connessioni e tradizioni che sottolineano somiglianze e differenze delle numerose realtà situate in Europa. Da queste premesse e intenzioni nasce

la volontà di designare del titolo di Capitale europea della cultura una città che, per la durata di un anno, avrà modo di raccontarsi ai cittadini del mondo. Il progetto venne accolto positivamente e ispirò anche i singoli stati ad agire a livello locale. L’Italia, sotto la direzione dell’ex ministro per i beni e attività culturali Dario Franceschini, dal 2014 iniziò a proporre la medesima iniziativa, sviluppando così la ricorrenza della nomina annuale della Capitale italiana della cultura. La scelta della città viene effettuata da una commissione di esperti istituita dal Ministero della Cultura. La commissione ha l’obiettivo di premiare la realtà che, avendo risposto al bando indetto, propone un programma capace

di valorizzare il proprio patrimonio culturale incentivandone così il turismo. La candidatura ritenuta più meritevole riceverà le sovvenzioni finalizzate a realizzare le attività culturali proposte. Quest’anno, con il titolo “La città illuminata”, sono le città di Bergamo e Brescia a condividere l’incarico nell’edizione del 2023. Per la prima volta nella storia della manifestazione sono due i capoluoghi a detenere il titolo nel medesimo anno, e sebbene la relazione tra le città di Brescia e Bergamo sia solitamente nota per la rivalità, stanno collaborando per lo stesso fine.

Il titolo del progetto è volutamente declinato al singolare per sottolineare la coesione delle loro iniziative, le quali mettono in risalto la volontà di crescere in modo sinergico, di risollevarsi e migliorare. La scelta di Bergamo e Brescia è stata infatti effettuata nel luglio 2020, in piena pandemia, contesto in cui erano ben note le ripercussioni subite da questi territori a causa della situazione sanitaria. Il Governo italiano ha deciso di premiare anche per queste motivazioni il programma presentato, già di per sé molto ricco. Gli eventi pianificati avranno luogo nei centri cittadini delle province, ma sono numerose le iniziative che coin-

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volgeranno anche nelle zone limitrofe. Le due città principali sono inoltre connesse grazie al Ciclovia della cultura, composto da due itinerari ciclistici costellati di mete da esplorare e una camminata denominata La via delle due sorelle. Titoli evocativi che preparano i visitatori a vivere esperienze quali mostre, spettacoli teatrali, concerti e performance. Dopo un’inaugurazione che vedrà coinvolte Bergamo e Brescia nelle date del 20, 21 e 22 gennaio seguirà una serie di eventi dedicati alla cultura, ente al quale viene riconosciuto il compito più rilevante in suo possesso: quello di illuminare le nostre esistenze tramite le arti, la conoscenza e lo stupore che queste possono far nascere in noi.

A Brescia dal 10 al 19 febbraio mentre a Bergamo tra il 17 e 26 dello stesso mese, sarà possibile immergersi negli eventi che verteranno su tematiche care ai concetti di cultura e città.

La prima, intesa come cura per l’anima e la seconda, come un ente che genera nuove idee, che racchiude in sé tesori e che riesce a mantenere un contatto rispettoso e significativo con la natura che la circonda. Si svilupperanno su questi argomenti mostre di pittori cinquecenteschi nati nella culla delle due province (da non dimenticare che in una località poco distante da Bergamo è nato Michelangelo da Merisi, noto come la sua città d’origine, Caravaggio), una notte dedicata alla musica jazz, due festival delle luci a cielo aperto, spettacoli teatrali, d’Opera

e performance multidisciplinari generate dalla collaborazione di gruppi bergamaschi e bresciani. Due realtà note per i loro dissidi storici, ma che si uniscono sotto lo stesso cielo per donare ai loro cittadini e visitatori proposte che faranno vivere attimi di spensieratezza e nutrimento culturale. Passeggiando tra le vie storiche, le mura, i castelli che le caratterizzano, rendendole due punti luminosi del nostro Paese.

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Per ricordare di Alessandro Caldera

Siniša Mihajlović, il “Sergente” che ha combattuto la battaglia della vita.

“E ricordati, io ci sarò. Ci sarò su nell'aria. Allora ogni tanto, se mi vuoi parlare, mettiti da una parte, chiudi gli occhi e cercami. Ci si parla. Ma non nel linguaggio delle parole. Nel silenzio”. Così scrisse il giornalista Tiziano Terzani. Ognuno di noi, nel nostro sovrappopolato mondo, rappresenta un unicum. Questo ragionamento, che matematicamente sarebbe definito assioma, prescinde da quelle che sono le teorie e le congetture riguardanti la sfera genetica e si basa molto più semplicemente sull’evidenza.

tempo, se ci pensiamo attentamente, possiamo constatare come la vita, a

prescindere dalla posizione sociale o geografica nel mondo, alla fine porti tutti ad un solo inesorabile epilogo: la morte. Sì, la morte, colei che come detto ci accomuna e ricorda che non siamo altro che piccole e predestinate pedine nello scacchiere dell’esistenza. C’è chi attende nel terrore e ne aspetta angosciosamente l’arrivo, o chi la sfida e la fronteggia godendosi, per parafrasare Robin Williams, quel trattino posto tra le due date di una lapide, ossia il magico intervallo della vita.

Ebbene, per spiegare la storia del protagonista di oggi, la parola “intervallo” può tornare utilissima visto che di quelli

calcistici ne ha vissuti tantissimi, prima della decisione di prendere troppo presto, per rimanere nell’ambito sportivo, la via degli spogliatoi lasciandoci prematuramente nel pomeriggio di venerdì 16 dicembre.

È quindi di Siniša Mihajlović che si parlerà oggi, focalizzandosi non però esclusivamente su quanto fatto nella carriera, ma anche sulla sofferenza e la grinta vissuta e dimostrata, inizialmente nel vedere il conflitto che colpì il suo Paese, e poi nel tenere testa stoicamente a quel tremendo male che da tre anni lo attanagliava e che la scorsa settimana se lo è portato via. Siniša, figlio di padre

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serbo e madre croata, visse un’infanzia difficile, in linea con quelle che erano le opportunità e le condizioni nella Jugoslavia degli anni ’70-’80, dovendo poi convivere con il terribile flagello della guerra d’indipendenza croata, tra il 1991 e il 1995, che costrinse la sua famiglia a fuggire a Budapest.

In realtà paradossalmente fu proprio in quello spicchio temporale che ottenne il suo più grande risultato sportivo, la Coppa dei Campioni, conquistata con la “Stella Rossa” di Belgrado, una formazione di talenti e giocolieri che il 29 maggio 1991 al San Nicola di Bari, raggiunse l’Olimpo del calcio. A soli 22 anni Mihajlović agguantò quindi un trofeo così ambito, giocando da veterano nella squadra più titolata del mondo slavo, nella quale era giunto dopo due ottime stagioni e mezzo nel Vojvodina. L’Italia però era nel suo destino, perché forse, come sostengono i calvinisti, nella vita esiste realmente il

famoso concetto della predestinazione che ci porta ad affrontare e subire quanto per noi la sorte ha scelto, fato che in questo specifico frangente aveva previsto l’incontro tra il freddo “sergente” serbo e la calda penisola italiana. Con questa premessa, nell’estate 1992 Siniša sbarcò nella capitale, accasandosi alla Roma, dove ottenne prestazioni modeste, prima di un prestito, divenuto poi trasferimento ufficiale, alla Sampdoria. In Liguria si attestò come uno dei migliori battitori di punizioni del campionato, si dice che il suo tiro toccasse i 160 km/h, poi in virtù di 4 stagioni ad alto livello, si accasò dalla Lazio per un corrispettivo di circa 22 miliardi di lire. Con i Biancocelesti, oltre a Coppa Italia e Supercoppa, ottenne anche lo storico scudetto del 2000, vinto con una formazione stellare che presentava oltre ai talentuosissimi Nesta e Nedved, anche i grandi amici Mancini e Stanković. Gli ul-

timi due anni di carriera, passati all’Inter, sono in realtà propedeutici per imparare dal già citato Mancini, come ci si sentisse al di là della linea laterale del campo, posizione che occupò inizialmente proprio come vice del tecnico marchigiano. La prima opportunità come mister gliela offrì il Bologna che, ironia della sorte, sarà anche l’ultima squadra della sua vita. Tutto questo però ora non importa più, molto di questa storia ha perso di rilevanza e serve a riempire mere pagine biografiche. Da quel 13 luglio 2019, giorno in cui il tecnico serbo rivelò pubblicamente il proprio male, in tanti hanno avuto l’occasione di riflettere, pensare a come basti poco per passare dal paradiso all’inferno. A nulla purtroppo è servito lottare strenuamente, la leucemia infatti ha avuto la meglio sul sergente, andatosene così in punta di piedi ma con la grande consapevolezza di averci insegnato cosa voglia dire lottare.

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Giorgia Marcato

Nuovo direttore dell’ U.O.C. di Direzione Medica dell’Ospedale di Belluno.

Classe 1965, originaria di Venezia e padovana di adozione, la Marcato ha conseguito la laurea in Medicina e Chirurgia presso l’Università degli Studi di Padova, dove si è successivamente specializzata in Igiene e Medicina Preventiva e in Medicina di Comunità. Dopo un’esperienza all’Ulss 14 Chioggia, Giorgia Marcato ha prestato servizio all’Azienda Ospedaliera Universitaria di Padova dal 1996 al 2003, in Ulss 3 Serenissima fino al 2016 e, infine, all’Istituto Oncologico Veneto fino a dicembre 2018. In particolare, presso l’Ulss Serenissima ha ricoperto un incarico di alta specializzazione come Responsabile Qualità e relazioni ospedale-territorio. Presso lo IOV, ha ricoperto un incarico di alta specializzazione per attività di direzione connesse alla sorveglianza epidemiologica delle infezioni correlate all’assistenza, al rischio biologi-

co ed infettivo. Si è occupata, inoltre, di attività di supporto all’organizzazione dei sistemi di gestione qualità, di certificazione ISO e di attività di governo clinico assistenziale riguardanti l’implementazione di percorsi oncologici. Dal 2017 è stata anche referente aziendale per la Rete Ospedali Bollini Rosa promossa dall’Osservatorio Nazionale per la Salute della Donna (ONDA). Ha ricoperto, infine, il ruolo di referente aziendale per la gestione dei rifiuti ospedalieri e per la gestione dell’appalto pulizie. Dopo l’esperienza allo IOV, dal 2019 Giorgia Marcato presta servizio in Azienda Zero, ricoprendo prima un incarico di alta specializzazione e poi il ruolo di Direttore dell’U.O.C. Ispezioni Sanitarie e Socio Sanitarie (disciplina Igiene e Organizzazione dei Servizi Ospedalieri). Oltre ad avere all’attivo una vasta produzione scientifica, ha svolto diverse attività

di docenza nei corsi di Laurea in Scienze delle professioni sanitarie e tecniche diagnostiche e in Tecniche di laboratorio biomedico dell’Università degli Studi di Padova. Nello specifico, per l’anno accademico in corso, sta tenendo il corso in Economia e Organizzazione delle Aziende Sanitarie.

Marcello Repele

Nuovo direttore dell’U.O.C. di Urologia dell’Ospedale di Belluno.

Proviene dall’Azienda Ospedaliera Universitaria di Padova, dove ha uno specifico incarico di specialità in chirurgia laparoscopica. E’ stato, inoltre, responsabile del servizio di biopsie prostatiche ecoguidate e responsabile del servizio di Urodinamica presso l’Urologia dell’Ospedale Sant’Antonio dell’Ulss Euganea. Classe 1972, vicentino di nascita e padovano di adozione, Marcello Repele si è laureato in Medicina e Chirurgia presso l’Università di Padova, dove ha conseguito, poi, la specializzazione in Urologia e un master universitario di secondo livello in Andrologia. Nel corso della sua esperienza, si è specializzato nello sviluppo della chirurgia urologia mini-invasiva in diversi ambiti. Nello specifico, si è occupato della chirurgia mini-invasiva dell’incontinenza urinaria maschile e femminile, della chirurga endoscopica e videolaparoscopica renale, così come della chirurgia videolaparoscopica e robot assistita prostatica. Ha al suo attivo numerose pubblicazioni scientifiche. In particolare, la sua produzione scientifica più recente riguarda le neoplasie vescicali. (Alex DE Boni)

39 La sanità in
di Alex De Boni
cronaca

Società oggi di Alice Vettorata

Il cinema d'animazione

splendore, è necessario educare tutta la popolazione ad agire per preservare l’ambiente, partendo dalle nuove generazioni.

Sensibilizzare le nuove generazioni su tematiche che richiedono un’attenzione particolare poiché importanti, non può più soltanto essere una scelta discrezionale compiuta da famiglie e istruzione. Argomenti che vertono sull’inclusività, fortunatamente, stanno lentamente diffondendosi, anche se in alcuni casi solo come reazione a eventi spiacevoli. Discriminazione di genere, etnia, orientamento e religione sono costantemente sulle cronache dei quotidiani e notiziari. Raramente per raccontarne una vittoria, un loro superamento, molto spesso invece per narrare fatti che mettono in evidenza l’orrore che comportano questi concetti. Un altro settore verso cui è necessario avvicinare già in tenera età i bambini è sicuramente quello ambientale. Sarebbe meraviglioso poter narrare e far osservare la natura e i suoi ospiti, sia vegetali che animali, solo concentrandosi sulla piacevolezza e il benessere che questi ci infondono. Però per poter ammirare ancora per molti anni il pianeta che ci ospita nel pieno della sua salute e

Uno dei mezzi più efficaci per far comprendere questi concetti anche, ma non solo, a un pubblico più giovane può essere quello della narrazione, magari sottoforma di storia animata da osservare, ascoltare e metabolizzare. Alcuni dei racconti che possono far riflettere sulle azioni quotidiane che facciamo, senza pensare alle loro ripercussioni negative sul pianeta, si possono trovare nel film d’animazione di casa Dreamworks, La gang del Bosco. Un variegato gruppo di animali selvaggi si trova costretto ad interfacciarsi con gli umani, sempre più vicini allo spazio in cui vivono e si procurano il cibo, la natura incontaminata. Gli umani con le loro manie espansionistiche, oltre ad appropriarsi degli spazi della fauna, ricoprono la terra con l’immensa quantità di rifiuti che producono, l’effetto collaterale della loro sconsiderata indole consumistica, tema centrale della storia di Wall–E, il piccolo robot campione d’incassi nel 2008.

Dal regista coreano Bong Joon-Ho, noto per aver diretto importanti film del calibro di Parasite e Snowpiercer, per citare i più recenti, si ricorda Okja, titolo del film e nome del maiale protagonista, appartenente a una speciale categoria di maiali giganti. La loro mole però è il frutto di mutazioni genetiche ed esperimenti attuati dall’uomo. Con l’obiettivo sempre ben chiaro di sensibilizzare gli spettatori sulle tematiche ambientali sono le pellicole dello studio giapponese Ghibli, che ha fatto di questi temi il tratto distintivo del suo marchio. Già nel 1984 con Nausicaa della Valle del vento si delinearono alcuni dei temi ricorrenti

della carriera di Hayao Miyazaki, il direttore creativo dello studio d’animazione, quali la minaccia nei confronti dell’ambiente e gli orrori della guerra. In Nausicaa si vede un mondo post-apocalittico, in cui un combattimento termonucleare ha distrutto la maggioranza del pianeta. I sopravvissuti si insediano al riparo dai gas nocivi ed enormi insetti, i quali ormai popolano il mondo distrutto.

Con La principessa Mononoke del 1997, Miyazaki raccontò il legame tra Uomo e Natura intese come forze talvolta discordanti, ma che mediante il dialogo, possono convivere. Uno dei lavori più recenti dello studio Ghibli che sottolinea l’importanza della conoscenza delle problematiche ambientali è Ponyo sulla scogliera del 2008. Le immagini spesso si soffermano sui rifiuti portati dal mare, ma non c’è solo questo. Vi invito a guardare questi titoli se non l’avete già fatto, in attesa di nuove uscite inerenti al tema. Magari facendo da spettatori insieme a chi, con occhi nuovi, potrà apprendere dagli errori fatti nelle generazioni precedenti da noi.

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Squadra Feltrina Cinofili da Soccorso, la passione di aiutare gli altri dauqS r a Feltrina Cinofilida S o osrocc

Fare volontariato nella Squadra Feltrina Cinofili da Soccorso significa aiutare chi non trova la strada di casa ed è in difficoltà, con l’ausilio dei cani.

L’anno appena trascorso è stato per tutti un periodo impegnativo per le vicende sanitarie, meteorologiche e umanitarie che si sono alternate e che ancora fanno parlare. Un periodo intenso anche per Sfcs che si è resa disponibile nel partecipare a molte attività di volontariato, in modo discreto e senza tanta pubblicità, impegnandosi al massimo delle proprie possibilità. Presenti, tra l’altro, al Drive-in e nel centro vaccinale anti-covid; hanno prestato assistenza alla “Stanza dell’usato”; collaborato per raccogliere gli aiuti alimentari e i beni di prima necessità a favore del popolo Ucraino; partecipato ai corsi di formazione organizzati dal gruppo Sfcs di Feltre, come il corso di primo soccorso BLS con la dott.ssa

Pilotto, il corso di Gps con tecnici Garmin, un corso BLS-D con personale preparato, un corso di primo soccorso del proprio cane, un corso di formazione di Protezione Civile.

In aprile è stato organizzato un evento con Aics Cinofilia Veneta e Ucs La Marca per condividere esperienze e conoscenze sulla ricerca in superficie, al lavoro nel proprio campo di addestramento, ognuno secondo la propria specialità.

In settembre Sfcs era presente alla Multirischio a Quero Vas insieme ad altre associazioni di volontariato di Protezione Civile, in ottobre Sfcs ha partecipato a “Io non rischio, le buone pratiche di Protezione Civile”. A fine novembre si è svolta una esercitazione con Aib Alano per la ricerca persona dispersa

in superficie ad Alano di Piave. Sempre sul pezzo Sfcs ha partecipato ad altri eventi come, All for baby (Città della Speranza), Full moon walk, e La montagna accessibile - escursionismo adattato Cai Feltre, costantemente impegnati su vari fronti, aiutando gli altri in modi sempre diversi.

“Aiutare, nel nostro piccolo”, dice una volontaria Sfcs, “è la nostra parola d’ordine, non solo nel momento del bisogno, ma anche in momenti di convivialità, svago e cultura. In Sfcs siamo uniti dall’amicizia, ci completiamo l’un l’altro e non potremmo essere quello che siamo senza l’aiuto dei nostri fidati compagni, i cani: con loro formiamo dei binomi affiatati. Io ho Floppy, tra noi c’è rispetto e comprensione e in lei pongo la mia fiducia. Insieme ci prepariamo al campo tutte le settimane, per essere sempre pronte qualora ci chiamassero per la ricerca di un disperso Come lei ci sono anche Spaky, Jack, King, Lupo, Mambo, Dora, Mokka, che insieme ai loro conduttori si addestrano costantemente grazie anche all’aiuto dei nostri figuranti, senza i quali ne noi, come i nostri amici a quattro zampe, potremmo dare il meglio.

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Zadra
Volontariato e solidarietà di Francesco

Inoltre quest’anno siamo particolarmente felici, perché un nostro binomio, composto da Thor e Alessandra, è diventato Unità di Soccorso in acqua. Non dimentichiamo il Progetto Molly per gli anziani che è stato interrotto a causa del covid e che speriamo di riprendere al più presto. Avendo acquisito un volontario abilitato al pilotaggio di droni stiamo lavorando per affinare la nostra collaborazione tra unità cinofile a terra e drone. Al campo, guardando i nostri cani, penso con emozione a quanto lavora-

no e imparano pur di far felice il proprio conduttore, solo per una carezza o per giocare con lui».

«Come può l'uomo maltrattare questi splendidi e intelligenti animali, quando gli stessi potrebbero salvargli la vita?», si, e ci domanda la volontaria Sfcs.

«Per questo motivo”, continua, “la nostra associazione incontra la gente e soprattutto i bambini e i ragazzi per avvicinarsi al nostro mondo di volontariato nella cinofilia di soccorso. Quest’estate abbiamo accolto l’invito di alcuni campi scuola, come Zermen, Caprile, Zoldo, Malga Camparonetta sul Grappa, e ci siamo recati con i nostri cani, i nostri attrezzi e un semplice manuale cartaceo con immagini, sintetiche didascalie e schede, per facilitare la comprensione degli argomenti e spiegare il compito della nostra associazione: ricerca in superficie con i cani. Come sempre i ragazzi più o meno giovani si sono entusiasmati vedendo l’abilità dei nostri “cuccioloni” nell’eseguire gli esercizi e nelle prove di ricerca, ma la cosa più emozionante è il momento in cui si rendono conto che la nostra non è una lezione frontale, e che possono intervenire con le loro conoscenze, esperienze e domande, interagendo con noi e imparando semplici regole di comportamento, così da avvicinarsi agli amici pe-

losi in modo corretto. Il culmine della loro felicità, che si legge nei loro larghi sorrisi e negli occhi che scintillano, è il momento in cui si avvicinano ai nostri amici a quattro zampe e diventano loro stessi addestratori. È divertente vederli gonfi d’orgoglio quando con un «Seduto!» riescono a far eseguire l'azione”.

Da questa testimonianza comprendiamo come i “cinofili” siano sempre impegnati nel sociale con entusiasmo e spirito di sacrificio e siano disponibili a condividere le loro conoscenze con chi è interessato alla loro attività o con chi più semplicemente vuole educare il proprio amico a 4 zampe sia esso un cucciolo o un cane adulto, presso il loro campo di Vellai di Feltre.

“Tirando le somme” conclude la volontaria, “quello trascorso è stato un anno interessante e ricco di emozioni, ma abbiamo già preparato delle grosse novità per il 2023”.

S.F.C.S. - Via Borgonuovo 27 - FELTRE 329 2086295 - bl.sfcs@gmail.com

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e solidarietà
Volontariato

Il personaggio di Franco Zadra

Axel Bassani, un sogno da campione del mondo

Conosciamo da vicino il pilota motociclistico di Feltre, Axel Bassani che quest'anno alla guida di una Ducati ha gareggiato nel campionato mondiale superbike, vincendo il Titolo mondiale di Miglior Pilota Indipendente, e il suo Team Motocorsa Racing, ha vinto il titolo di miglior Team Indipendente.

al Campionato Europeo SS600 del 2016 che Axel conquistò pilotando una Kawasaki ZX-6R per la San Carlo Team Italia. Il suo obiettivo stagionale è quello di tutti i giovani della sua età, cioè divertirsi ma anche entrare nei Top 5. Il suo sogno nel cassetto è diventare campione del mondo.

Con i suoi 23 anni può già raccontare di una lunga carriera da pilota, iniziata a 8 anni con la letterina a Babbo Natale con la quale chiedeva una minimoto che si ritrovò in dono sotto l’albero.

Axel Bassani è nato il 24 luglio 1999, ed ha una sorella più grande, Jasmine.

«Axel è il mio nome originale”, dice Bassani, “era piaciuto ai miei genitori (Jessica e Loris) che lo avevano letto tra i titoli di coda di un film, non si ricordano quale, e mi hanno chiamato così. Da bambino mi dava un po’ fastidio perché mi faceva sentire diverso dagli altri, ora mi piace perché più cresci, più sei diverso, meglio è». Il suo numero di gara è il 47 e nella classifica di questo ultimo campionato mondiale di superbike, con altri tre piazzamenti a podio, si è piazzato al 7° posto. Risiede a Feltre e ha tra i suoi hobbie il motocross, le ragazze, e lo sport – dice lui – ma per capire meglio varrebbe la pena di essergli amico. Il suo piatto preferito è il Frico, una

sorta di tortino di patate e cipolla con una succulenta crosticina abbrustolita da mangiare assieme alla polenta. Il film preferito, “L’ultimo samurai”; la canzone preferita “Senza parole” di Vasco Rossi che un po’ cogliamo negli accenti della sua parlata… ho capito perché non si comanda al cuore…

Il circuito preferito è Mugello, mentre il pilota preferito, Valentino Rossi. «A lui mi sono sempre ispirato”, dice ancora Axel, “ed è stato lui a farmi appassionare alla moto guardando le sue gare in televisione. Il fatto di trasmettere questa passione come ha fatto Valentino è quello che più mi fa dire: sei simpatico, vai forte e ce la stai facendo».

Il suo momento più bello e che più ricorda della sua carriera è stata la vittoria

“La mia famiglia mi ha sempre sostenuto”, dice Axel. “Qui da noi non ci sono tante possibilità di andare in moto, e nel mio caso avere il sostegno della famiglia ha fatto la differenza, non perché siamo una famiglia ricca, ma unita nel sostenerci, nel

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cercare gli sponsor e mettere insieme tutto quello che c’era, un po’ alla volta tutti quanti insieme mi hanno aiutato a realizzare la mia passione. Avevo iniziato a girare con la minimoto nei parchetti asfaltati e poi sono presto passato alle motorette un po’ più grandi e nel 2009 ho iniziato a far

che mi prende in maniera totale. Tutti i giorni ti alleni, fai, pensi e tutto gira intorno alla moto. Mi alleno in palestra

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Il personaggio Cesiomaggiore Tel. 329 2804555 Seren del Grappa Tel. 329 2804558 Borgo Valbelluna Tel. 329 2804559

Percorsi nella natura e cultura di Walter Laurana

IL CAMMINO DELLE DOLOMITI FRA BOSCHI E SANTI

«In un’epoca di grande attenzione alle politiche green, abbiamo l’occasione di promuovere il nostro territorio attraverso il turismo “lento”. E in questo senso il Cammino delle Dolomiti rappresenta una delle tante possibilità del Bellunese, in grado di tenere insieme trekking, escursionismo e fede». Simone Deola, consigliere provinciale delegato a cultura e ambiente, non ha dubbi, la provincia di Belluno entra con decisione nel circuito dei sentieri di fede e natura. Il Cammino delle Dolomiti si unisce nell'immaginario collettivo al leggendario sentiero del pellegrinaggio di Santiago de Compostela, che unisce la Francia al Portogallo e all'Oceano Atlantico e alla Francigena che dalla Gran Bretagna scende a Roma passando dalla Provenza e poi Toscana, Umbria e Lazio. Di questi mostri del pellegrinaggio il nuovo sentiero bellunese è solo un piccolo fratello di appena 500 chilometri rispetto alle migliaia di chilometri dei due giganti. Tuttavia è già importan-

te con le sue trenta tappe con partenza ideale e arrivo a Feltre (al santuario dei Santi Vittore e Corona) e passaggi in Valbelluna, Agordino, Cadore e Alpago, dove ci sono tante chiese artistiche, lungo luoghi di pregio naturalistico e di rilievo religioso, cari anche a Papa Luciani. Tra questi boschi venivano in vacanza sia Papa Giovanni Paolo II che Benedetto XVI. Papa Luciani, originario di Canale d'Agordo, già dal 1927 quando era solo un seminarista amava recarsi in pellegrinaggio al santuario della Madonna di Pietralba, Weissenstein, in Sudtirolo, superando le Dolomiti di Cortina d'Ampezzo e della Valle di Fassa. Vi rinunciò solo l'anno in cui venne eletto al pontificato, il 1978, che fu anche l'ultimo della sua vita.

Al santuario mariano di Pietralba della diocesi di Bolzano, uno fra i più importanti d'Italia, si è recato in visita nel 1988 anche papa Giovanni Paolo Secondo il quale amava trascorrere qualche giorno di riposo estivo nelle valli del Comelico e di Agordo. E fra questi boschi bellissimi veniva a riposare l'estate anche papa Razingher, Benedetto XVI°.

Il Cammino delle Dolomiti ha avviato il proprio percorso burocratico con la Regione Veneto e con la Diocesi che lo ha progettato a seguito del Sinodo del 2005

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e promosso dalla Provincia di Belluno. Il riconoscimento è una misura che rientra nel progetto regionale “Cammini veneti” (legge regionale 4/2020), con cui vengono ideate diverse azioni di promozione dello sviluppo sostenibile del territorio e del patrimonio naturale, storico-paesaggistico e delle tradizioni locali. La Regione infatti intende definire e individuare la Rete dei Cammini veneti. E all’interno di questa azione, Provincia e Diocesi, con la partecipazione della Dmo Dolomiti, hanno voluto rinnovare la promozione del cammino, inserendolo nella lista degli itinerari di particolare interesse regionale. L'obiettivo è l’inserimento nella Rete dei Cammini veneti: anche questo un “cammino” che ha delle tappe ben definite. E' stato infatti preceduto nei mesi scorsi da un restyling del sito internet e della promozione. E adesso presuppone che venga individuato un responsabile per ogni segmento dell’itinerario, così da coordina-

re la manutenzione e le segnalazioni di eventuali problemi lungo il percorso.

È per questo che la Provincia, nei giorni scorsi, ha presentato il Cammino ai sindaci, e sta inviando a tutti i municipi la proposta di collaborazione.

«Chiediamo ai Comuni di collaborare, individuando una persona, una figura o un gruppo che possa raccogliere le segnalazioni degli utenti, in modo tale da coordinare gli interventi di manutenzione e di miglioria. Dice il consigliere Deola. La nostra volontà, di concerto con la Diocesi che ha ideato il Cammino, è di promuovere l’itinerario come proposta turistica, insieme alla Dmo Dolomiti. E il riconosci-

mento all’interno del progetto regionale sarebbe un motivo in più per attirare gli appassionati del turismo sostenibile, che sono sempre più diffusi».

Soddisfazione viene espressa anche dai responsabili della Diocesi di Belluno: “Grazie a questo lavoro di squadra”, dicono i responsabili, “sarà possibile dare nuovo slancio e concretezza a un progetto che è già realtà da 15 anni e che ha portato già diversi escursionisti sulle tappe del Cammino”.

Paola Antoniol

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Percorsi nella natura e cultura
d’affari a
AFFITTANZE

La donna nella storia di Francesco Scarano

Storia ed evoluzione della condizione del “gentil sesso”

Un’analisi temporale di tale trasformazione non può che partire dalle prime testimonianze preistoriche, cioè graffiti ed opere scultoree che immortalano membri del “sesso debole” in tutta la sensualità e l’abbondanza delle loro forme, a simboleggiare iconograficamente il ruolo da esse rivestito di feraci procreatrici, potenti regine della famiglia abili a generare e mantenere la vita procacciando i beni alimentari attraverso la raccolta e l’agricoltura, miracolosa pratica forse messa a punto dalle stesse.

ellenica, inoltre, cambiava in base all’”uso” che di esse intendeva farne l’ uomo: si distinguevano così le donne di famiglia, madri e mogli segregate in casa, dalle etere che accompagnavano l’uomo nei momenti di svago, alle pornè, prostitute di strada; una variegata trilogia di “accessori” di cui il fedifrago uomo si poteva fregiare.

La figura femminile, sin dai primi tentativi del genere umano di organizzarsi intorno al fuoco della communitas, ha da sempre goduto di un trattamento meno propizio e benigno rispetto ai propri simili e discendenti di Adamo.

Nonostante, in generale, la posizione ed il ruolo rivestito dalla donna nelle varie società abbia subìto diacronicamente delle metamorfosi, allontanandosi dall’iniziale situazione di totale sottomissione ed emarginazione, in determinate culture questa trasformazione sembra tradursi in un aggravamento, tanto che si potrebbe a ragione parlare di involuzione culturale e sociale, se adoperiamo il rispetto eterosessuale come sentore e parametro dello sviluppo dell’umanità.

Se nelle civiltà della Mezzaluna Fertile (Egitto, Persia, Assiria e Babilonia), basate inizialmente su una struttura matriarcale, la donna era all’apice del potere, nella Grecia dell’età classica, i loro privilegi si distinguevano in base alla propria estrazione sociale, ma comunque non arrivavano ad eguagliare quelli degli “andres”, essendo precluse loro molte libertà, come quella di partecipare a qualsiasi manifestazione pubblica, attività sportiva o religiosa.

Se i primi sostantivi che inconsciamente ci sovvengono quando parliamo o sentiamo discutere della classicità sono quelli di eleganza, proporzione, armonia, cultura, civiltà, non bisogna dimenticare che anche intellettuali dello spessore di Platone, Euripide, Pitagora, non erano esenti dal macchiarsi di misoginia, considerando gli individui di sesso femminile esseri inferiori, imperfetti, il cui unico valore era quello di scambio tra il padre-padrone ed il futuro coniuge. La sorte delle donne nella penisola

Se nell’Urbe la donna godeva di una situazione migliore, arrivando a mostrarsi in compagnia del marito anche nelle pubbliche cerimonie, e a raggiungere gli stessi obblighi nell’educazione dei figli (attività alla quale le matrone venivano addestrate dall’infanzia), ad esse era preclusa la possibilità di accedere alle cariche politiche (non godendo dello ius suffragii ed honorum) di poter adottare un figlio, fare testamento e tradire il proprio coniuge (come

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testimonia Catone, infatti, tale reato poteva essere pagato con un delitto impunito da parte del marito).

Se per i Longobardi la donna rappresentava un oggetto da vendere al miglior offerente, per la Chiesa medievale essa rappresentava la personificazione del Diavolo, la discendente di Eva che ha da sempre ingannato l’uomo portandolo al peccato attraverso le proprie doti di stregoneria, e come tale passibile del pubblico rogo (sorte toccata a Giovanna d’Arco) solo per aver alzato la testa dinnanzi alle ingiustizie o per aver avuto i capelli fulvi o qualche altro segnale che la perversa fantasia virile associava connotativamente al male.

Se lo Stilnovo riconosce l’importanza della donna angelo, collante tra Dio e l’uomo, “domina”, “padrona”, a cui giurare fedeltà, sarà la Dichiarazione dei diritti americana il vero catalizzatore dell’ emancipazione femminile. L’età contemporanea vede invece le donne, in particolare le suffragette, battersi per il diritto di voto, di divorzio, di aborto, d’indipendenza economica e di lavorare, facendo leva sul crescente ruolo da esse rivestito nell’economia e società del tempo, dove spesso rimpiazzavano gli uomini mandati al fronte. Se oggi la situazione delle donne nei Paesi occidentali sembra essere progredita, non vanno dimenticate le macabre scene di femminicidio,

come quella tenutasi due anni fa in Iran dove la testa recisa della fedifraga amante venne esposta nei mercati pubblici.

A nulla valgono, infatti, le manifestazioni pubbliche, le decisioni linguistiche sul genere dei nomi di professione e sul doppio cognome della prole, le commemorazioni delle operaie decedute in condizioni disumane di lavoro, se non ricordiamo che chi ci ha generato, tenuti in grembo ed allevato è un essere di sesso femminile con le nostre stesse abilità (se non maggiormente affinate proprio dalla disparità) e che l’ obiettivo 5 dell’Agenda 2030 mira proprio a raggiungere la parità, traguardo dal quale l’umanità (non

tanto humana nel senso originario del termine), per motivi religiosi, culturali, politici, sembra ben lungi. Nella speranza che le future generazioni possano cogliere e, allo stesso tempo, riconoscere l’importanza di questi individui, cioè che possano comprendere che, come recita una nota canzone, in esse “oltre le gambe c’è di più”, non possiamo far altro che diffondere le testimonianze di quelle storie nascoste di scienziate, madri, letterate, mogli, ma soprattutto donne, che hanno fatto progredire l’umanità, la condizione dell’uomo inteso però come genere umano (fatto homines, non vires) fatto cioè, oltre che di uomini, di grandi Donne!

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La donna nella storia

In prossimità del Natale è giunta una bella notizia a Borgo Valbelluna, infatti sono stati stanziati circa 32 mila euro per l’assistenza all’autonomia e alla comunicazione degli alunni con disabilità. L'impegno dell’amministrazione nella ricerca di finanziamenti è stato premiato da un progetto nazionale promosso dal Ministero dell’interno e da quello della Disabilità, di concerto con il Ministro dell’Istruzione e il Ministro dell’Economia e delle Finanze.

Al Comune sono stati assegnati 32.790,25 euro, proporzionali al numero degli alunni disabili, iscritti nell’ A.S. 2021/2022 nelle Scuole dell’Infanzia, Primaria e Secondaria di Primo Grado sulla base dei dati forniti dal Ministero dell’Istruzione, ossia 27.

“I fondi sono finalizzati a garantire il servizio di assistenza specialistica per l’autonomia e/o comunicazione in favore degli alunni, e l’obiettivo è quello di avere dei finanziamenti per progetti finalizzati a supportare il percorso educativo, relazionale e di acquisizione di autonomie per gli alunni con disabilità, fisica o psichica”, afferma l’assessore Marilisa Corso. Si tratta di percorsi per-

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Borgo Valbelluna in cronaca di Alex De Boni ASSISTENZA ALL’AUTONOMIA E ALLA COMUNICAZIONE DEGLI ALUNNI CON DISABILITÀ Zona Industriale Artigianale, 3/A, 32038 Vas (BL) Tel.: +39 0439 787942 - Fax +39 0439 827581 - www.llelu.com - info@butterflyweb.it - info@llelu.com

Borgo Valbelluna in cronaca

sonalizzati, che vedono l’aumento di ore di insegnanti di sostegno e di specialisti del settore educativo (logopedista, psicologo, educatore) anche in continuità con il progetto Arcipelago, che tanto ha aiutato i bambini nello sviluppo del linguaggio e della interazione tra pari. Il 7 dicembre 2022 è stato deliberato dalla Giunta di Borgo Valbelluna di assegnare in numero proporzionale al numero di bambini beneficiari del progetto, 13.327,71 euro all’istituto comprensivo di Trichiana, 16.962,54 all’Istituto di Mel e Lentiai e 2500 euro alla Scuola dell’Infanzia Nazaret di Lentiai. L’amministrazione ringrazia la Scuola dell’Infanzia Nazaret di Lentiai e gli Istituti comprensivi di Trichiana, Mel-Lentiai, per aver aderito all’iniziativa e aver presentato progetti personalizzati e mirati ai singoli bimbi in difficoltà, dimostrando un’attenzione sempre partecipe alle tematiche dell’inclusione e dello sviluppo delle

competenze comunicative. “Un ringraziamento speciale”, dell’assessore Corso, “va alla Responsabile del Servizio alla Persona e alla Comunità, Adelina Antoniazzi e la responsabile dell’Ufficio del Sociale, Romina De Paris, per aver reso possibile l'adozione dei provvedimenti conseguenti alla deliberazione, sebbene la tempistica del fine anno potesse mettere a rischio l’utilizzo del finanziamento di cui si è stati assegnatari a fine novembre e che doveva essere impegnato entro la chiusura del bilancio dell’anno 2022. Continuiamo a credere che investire nell’educazione di giovani e giovanissimi sia l’unica possibilità che abbiamo per portare avanti una Comunità capace di fare scelte, di essere inclusiva e di crescere nello spirito dell’inclusione e della consapevolezza; questo fondo permette di offrire servizi educativi aggiuntivi, a favore dei bam-

bini che hanno maggiori difficoltà e che rischiano di non tenere il passo con gli altri, in un’ottica di accoglienza e crescita di tutta la comunità”, conclude Marilisa Corso.

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Noi e il territorio di Martina Loss

L’AGRONOMIA...

...scienza antica e moderna!

In questi giorni di riflessioni all’inizio di un nuovo anno, è naturale aprire lo sguardo verso il futuro dei nostri territori, cercando di comprendere quali siano le potenzialità che la nostra terra ci offre e dove quindi ci siano spazi per quella crescita e sviluppo che tanto auspichiamo per le nostre valli e montagne. Diversi sono stati i ragionamenti sul “ritorno alla terra”, osservando come nelle giovani generazioni e non solo ci sia una spinta a tornare a dare valore al lavoro agricolo; è in questo contesto allora che guardiamo in avanti facendoci aiutare da una scienza antica: l’Agronomia.

Il termine “agronomia” ha origine dalla fusione di due parole del greco antico, agròs (campo) e nòmos (legge, regola) che ne danno il significato di “scienza che insegna le regole per la coltivazione dei terreni”; l’Enciclopedia Treccani oggi ne dà la definizione di “Scienza e pratica dell’agricoltura, intesa come applicazione dei principî scientifici alla coltivazione delle piante, in modo da ottenere la massima produzione, e all’utilizzazione dei prodotti agricoli.”

Parlando di Agronomia ci troviamo quindi alla base di tutte le scelte operative che si fanno in agricoltura, al fianco dei ragionamenti di tipo economico, politico, sociale, ambientale e molti altri e l’Agronomo diviene la guida sia per rendere concreta, passo dopo passo, la visione dell’imprenditore agricolo, sia poi nei tempi e modi delle decisioni da prendere. Nel meraviglioso rapporto tra l’uomo e la natura che avviene attraverso le pratiche agricole da millenni su tutto il pianeta, è fondamentale la capacità dell’agronomo di saper tenere “i piedi ben piantati per terra” e quindi per iniziare la conoscenza

di come avvicinarsi al mondo dell’agricoltura partiremo proprio dal suolo, ovvero lo strato superficiale della crosta terrestre che ospita la vita delle piante. “Quando pensiamo alla terra, buona parte di quel che ci sovviene è questa sottile pellicola di terreno che avvolge l’ossatura granitica del globo: uno strato di porpora e bruno di roccia polverizzata e ossidata – poco più spesso, in proporzione, di una spolverata di belletto – e che sovente la pioggia dilava come una lacrima sul volto femminile. Eppure, la terra è quanto di più importante ci sia per noi: da essa proveniamo e ad essa ritorneremo.” (John Burroughs, L’arte di vedere le cose)

L’atto del coltivare deve dunque essere pari ad una carezza per il pianeta che ci ospita, un’azione da svolgersi con competenza e con estremo rispetto, per non alterare i delicati equilibri in azione costante.

Ecco, dunque, che l’Agronomia ci guida a distinguere il “terreno naturale, formatosi grazie all’influenza di fattori naturali, che ospita una vegetazione spontanea data quasi sempre da più specie in associazione ed in equilibrio con l’ambiente, dal terreno agrario, ovvero quello che ospita le piante agrarie” (Luigi Giardini, A come agronomia) su cui agisce l’uomo con le tecniche colturali.

Nonostante i termini “tecnici” però, l’Agronomia non ha solo le caratteristiche di

una scienza moderna, ma ci porta anche un’eredità che proviene da tempi antichi: le grandi civiltà del pianeta, le antiche civiltà di Babilonia e dell'Egitto, quelle più recenti dell'India e della Cina, hanno contribuito grandemente al sorgere delle tecniche agricole.

La materia iniziale che componeva il pianeta, rocce per lo più, è stata “coltivata” e plasmata dalle mani del tempo, donandoci il suolo da cui sboccia la vita in un ciclo continuo: il rispetto per tale dono che riceviamo deve nascere dalla comprensione che anche noi esseri umani siamo un tutt’uno con il pianeta, lo respiriamo e ci nutriamo di esso. Avvicinarsi allora all’attività agricola diviene atto sacro e con una buona gestione possiamo coltivare i frutti della terra, senza dimenticare tutti gli altri esseri con cui condividiamo la Terra. Intorno al 350 a.C. il filosofo taoista Chuang-tzu affermava che “ciò che chiamiamo mondo è l’unità di tutte le creature”. Sulla Terra, tutta la vita si svolge secondo cicli molto complessi che mettono in collegamento tutti gli organismi, dal più grande al più piccolo, ognuno essenziale per il funzionamento del sistema piane-

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ta. Ed in quest’ottica, il terreno, che si posiziona sopra la roccia da cui si origina, non è solo un ammasso di detriti minerali, bensì un corpo vivente, che i nostri antenati chiamavano con reverenza “madre terra”, abitato da organismi di dimensioni anche piccolissime che svolgono importanti funzioni biologiche e garantiscono la crescita ottimale delle piante, incluse quelle coltivate.

La vita nel terreno è ricchissima di milioni di organismi, numero importante che varia con il tipo di suolo, le sue condizioni e la profondità, la stagione ed il clima conseguente (temperatura e umidità); ma soprattutto la grande maggioranza dei microrganismi si trova entro i primi 20 centimetri superficiali. Ecco quindi che l’agronomo, nel decidere i passaggi della coltivazione, dovrà anche fare la conoscenza della fauna del suolo di cui è chiamato a prendersi cura, valutando la profondità dell’aratura e il metodo migliore per la sistemazione del terreno. Ma come possiamo comprendere quali animali e organismi abitano il suolo? Se per alcuni piccolissimi, microscopici abitanti non è possibile vederne le tracce

a occhio nudo, siamo invece in grado di vedere gli effetti dell’azione di alcuni animali più grandi che nel suolo hanno la loro casa. A chi non è capitato di vedere, passeggiando per i prati, le caratteristiche collinette di terra nuda che spuntano tra l’erba verde e che mostrano l’attività delle talpe. O avete mai osservato le incredibili forme aggrovigliate che assume la terra dopo il passaggio di uno o più lombrichi? Essi sono preziosi abitanti del suolo che con la loro presenza esercitano una costante azione positiva sulle proprietà del terreno. Altri abitanti del suolo sono conosciuti per le loro manifestazioni colorate e saporite come i funghi: nella maggior parte dell’anno sono presenti come lunghi filamenti bianchi, le ife, che raggiungono anche lunghezze e ramificazioni mirabili, per poi produrre nella stagione opportuna i loro gustosissimi frutti!

L’agronomia, dunque, ci porta a conoscere via via gli elementi che affiancano le coltivazioni nella loro crescita ed a comprendere

quali interventi possa fare l’uomo da un lato per scegliere le piante da coltivare in base all’ambiente a disposizione, suolo e clima, e dall’altro per intervenire con il massimo rispetto per la natura che ospita le nostre coltivazioni, modificando in parte l’ambiente stesso per renderlo più “ospitale” possibile, cosicché i semi possano sentirsi abbracciati e accompagnati dal suolo nella loro crescita.

“La storia del suolo non può che affascinare. Possedere un pezzo di terra da coltivare, zappare, scavare è un privilegio raro. Se ci soffermiamo un istante, non si può vangare la terra senza esserne commossi.” (John Burroughs, L’arte di vedere le cose) È quindi con l’emozione del richiamo della terra che in questo inizio d’anno invito ciascuno a riscoprire come e quando nelle nostre famiglie c’è stato uno spazio e tempo dedicato all’agricoltura, quali terreni sono stati amati con il lavoro delle mani dei nostri antenati per dare frutti preziosi alle nostre comunità. Perché è possibile riportare questi spazi ad essere di nuovo protagonisti nella storia del nostro territorio.

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La dott.ssa Martina Loss è laureata in Scienze forestali ed ambientali ed è Dottore forestale di professione. Nel suo percorso lavorativo è stata componente della Cabina di Regia delle aree protette e dei ghiacciai della Provincia di Trento nonché componente della Commissione agricoltura della Camera dei Deputati. Grazie anche a queste esperienze potrà ampliare le nostre conoscenze nelle materie dell'agricoltura e della gestione forestale, elementi chiave per meglio comprendere ed apprezzare il nostro territorio.
e il territorio
Noi

Matilde Serao donna dei primati

diversi pseudonimi. Bisogna pensare che a quell'epoca non era consueto che una donna scrivesse sui giornali, quindi lo pseudonimo garantiva che l’articolo non sarebbe stato giudicato a priori.

Quel vivace botta e risposta diventa il preludio di un amore destinato a fiorire tanto che, due anni dopo, Edoardo e Matilde si sposano e da quel matrimonio nascono quattro figli, tutti maschi.

Giornalista, scrittrice, imprenditrice, Matilde Serao è stata una delle donne che ha saputo rompere le convenzioni e collezionare molti primati. Nata nel 1856 a Patrasso, da madre greca e padre napoletano. Francesco Serao, avvocato e giornalista, era dovuto scappare da Napoli perché antiborbonico. Ma quando Garibaldi, nel 1860, libera il Sud Italia dal dominio dei Borboni, la famiglia Serao può tornare a casa. Matilde, unica figlia della coppia, cresce tra inchiostro e rotative e si appassiona presto al lavoro del padre.

A 18 anni si diploma come maestra, ma inizia a lavorare presso i telegrafi di stato, prima di approdare al mondo della carta stampata. Figlia d’arte, non ha difficoltà a far pubblicare i suoi articoli che firma con

Da piccola Matilde era tozza e ridanciana: la sua risata era travolgente e amava i giochi da maschiaccio. Da grande lei dichiarava di essere brutta e grossa, ma erano soprattutto il suo modo di fare chiassoso e il suo parlare gesticolante, che accendevano la diffidenza nei suoi confronti. Eppure, anche se lei non rispondeva ai canoni di grazia e bellezza del suo tempo, Matilde riuscì a farsi accogliere ovunque, anche negli ambienti più esclusivi.

A 26 anni Matilde Serao viene assunta al «Capitan Fracassa» ed è la prima redattrice nella storia del quotidiano romano. La carriera giornalistica la appassiona e lei ama la scrittura, in ogni sua declinazione. Quando nel 1883 pubblica un romanzo intitolato Fantasia, questo non passa inosservato. Mentre il pubblico lo acquista e lo apprezza, il critico letterario Edoardo Scarfoglio lo stronca: ne contesta sia la forma, che definisce inesatta e inopportuna, che il contenuto che paragona ad una minestra insipida.

Matilde, che non ha peli sulla penna, risponde per le rime al critico e dichiara di essere fiera di utilizzare quel linguaggio autentico spontaneo, che tanto piace al suo pubblico.

Tra i due non c’è solo un legame affettivo, perché sono entrambi giornalisti, appassionati e intraprendenti che fondano diversi giornali a Roma e Napoli.

Per alcuni anni, il matrimonio è sereno, arricchito da fatiche editoriali che entusiasmano entrambi. Ma col passare del tempo, l’equilibrio di coppia si incrina e le amanti di Edoardo non si contano più.

Lui però non intende lasciare Matilde, vuole solo prendersi qualche “pausa”. Accade però che un giorno, una sua amante rimanga incinta. Scarfoglio non si scompone e dichiara che quella gravidanza non lo interessa: non avrebbe mai lasciato la moglie. Ma a quella notizia, Gabrielle, questo il nome dell’amante, dopo aver partorito, depone la neonata sulla porta diella casa Serao Scarfoglio e si toglie la vita.

E cosa fa Matilde? Raccoglie quella bimba innocente, la porta in casa e la alleva come se fosse figlia sua.

Ma quel matrimonio che già scricchiolava, finisce poco dopo e la Serao si trova, da sola, a gestire i cinque figli di Edoardo. Nel 1903, la scrittrice conosce Giuseppe Natale, un altro giornalista, con cui ben presto avvia una soddisfacente relazione. Non possono però sposarsi, il divorzio non è ancora ammesso, ma avviano un nuovo progetto editoriale assieme.

La Serao è la prima donna a fondare e dirigere un giornale: Il Giorno di Napoli. Quando nel 1917 muore Edoardo, Giuseppe e Matilde si sposano e hanno una figlia. Ma quel matrimonio è di breve

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Il personaggio di Silvana Poli

durata, perché Matilde si ritrova presto vedova e, di nuovo, sola.

Gli ultimi anni della vita della scrittrice sono segnati dall’ascesa del fascismo, ideologia che lei, profondamente pacifista, non condivide.

Un giorno, durante un pranzo ufficiale, Matilde Serao si rende conto che il Duce è entrato nella sala dove lei è comodamente seduta e la osserva, con insistenza. Qualcuno le fa notare che sarebbe opportuno che lei si alzasse a porgere i suoi saluti a Mussolini, ma lei si rifiuta, dichiarando di essere più vecchia di lui. Ad un tratto, il Duce si avvicina e le chiede, a bruciapelo: “Signora Serao perché siete anti-mussoliniana?"

A quel punto la giornalista risponde, benevolmente: “Eccellenza, lei ha capito male; io non sono anti-mussoliniana, sono semplicemente antifascista”. Da quel giorno, tra i due si crea un sincero legame di amicizia, che dura per un po’. Ma lei non cambia posizione e, quando la Serao viene candidata al Nobel, il regime non permette che questo premio le venga assegnato. L’opera che l’ha resa più famosa è “Il ventre di Napoli” un’opera scritta in risposta a una frase di Depretis, allora

Presidente del Consiglio, che raccoglie una serie di riflessioni e di cronache sulla città di Napoli.

Nel 1884 il capoluogo partenopeo viene colpito da una terribile epidemia di colera. In quel momento il paese è governato dalla Sinistra Storica e il presidente del consiglio è Agostino Depretis.

Quando il sindaco di Napoli scrive al Presidente dell'esecutivo per metterlo al corrente della situazione, Depretis, dichiara che, per proteggere Napoli da ulteriori malattie, è necessario sventrare la città.

Questa parola così viscerale, colpisce in

profondo la Serao, che decide di raccontarlo quel "ventre" su cui il Presidente del Consiglio vuole infierire.

E così realizza una serie di narrazioni brevi in cui descrive quartieri straripanti di miseria, di poveri e di disadattati, di famiglie che non sanno come tirare avanti, di uomini e di donne in balia del degrado urbano e delle malattie.

Ma la Serao punta il suo sguardo anche sulla straordinaria capacità di sopravvivenza dei napoletani; ne descrive le scaramanzie e i riti di guarigione per le malattie che non mancano mai; ci ingolosisce con succulente ricette e ci disgusta con le descrizioni di vicoli degradati.

Il ventre di Napoli costituisce ancora oggi una lettura interessante per chi vuole indagare nelle pieghe profonde della cultura partenopea.

Inoltre la lettura è particolarmente agile, in quanto il testo è costituito da capitoli brevi, bozzetti descrittivi che uniscono leggerezza e profondità, ironia e intensità.

55 Il personaggio

INCONTRO IN QUEL DI ROCCA

Nelle fredde giornate invernali, con la nebbia che lambisce il lago ghiacciato e fumante; nei giorni estivi, soleggiati di luce accecante; nelle malinconiche sere novembrine; all’imbrunire come al levar del sole; nei dì di pioggia, in quel della borgata di Rocca in Arsiè di Belluno, il termine casa è custodito nella candida pietra locale, dai toni grigi color del piombo. Nascosto e solitario, quel luogo incastonato tra il Massiccio del Grappa e l'altopiano di Asiago è simbolo di costante tenacia del vivere e del costruire, che nell’amore e nello studio della storia locale trova umana ragione di significato e di spirito. Un recente intervento architettonico, di recupero e consolidamento nel centro storico di Rocca, nasce dal matrimonio di due volumi terra-cielo a piani sfalsati in cui lo spazio domestico dell’abitare si coglie nel rapporto dimensionale per ascensione. La progettazione degli ambienti collocati a livelli differenti, senza vincolo di piani alla medesima altezza, compone idealmente lo spazio in totalità armo-

nica e indivisibile strutturata secondo l’economia domestica. A far da cerniera distributiva la grande scala lignea in essenza di larice, eco possente del concetto di “raumplan” di moderna memoria, ritmando in sezione il rito giornaliero del vivere.  I vari ambienti all'interno dei volumi sfalsati del fabbricato rielaborano nella composizione dello spazio complessivo il significato originario del termine "misura", che nella lingua Italiana possiede molteplici significati grazie ad un vasto campo semantico. “Quando parli, misura le parole! È Roma una città a misura d’uomo? Il parlamento ha approvato le nuove misure fiscali.” In tutti questi significati è contenuta l’idea comune della misura come elemento di confronto, di rapporto, di proporzione; comparazione con un criterio ideale, con un paradigma di equilibrio, con le fondamentali condizioni di una possibile armonia del tempo e dello spazio.

Oltre il significato puramente tecnico, il procedimento di confronto varia nella sua realizzazione: è intuitivo, generalmente immediato, apparentemente spontaneo. Quanto ai modi di costruire ciò che chiamiamo misura, esistono delle diversificazioni. Sin dall’antichità, la mente con le sue articolazioni è stata usata come strumento di rapporto dimensionale, trovandosi protagonista in attività articolate che l’uomo soleva realizzare per motivi pratici o nel tentativo di comprendere fenomeni naturali. Lo stesso Talete misurò l’altezza di una piramide per mezzo dell’ombra, con un ragionamento intuitivamente semplice che utilizzava la similitudine dei triangoli. L'intuizione di Talete rese possibile la misura di una distanza fuori dalla portata degli strumenti a disposizione in quel momento.

Come succede per gli innamorati, la mente umana attinge l’immagine dello spazio dalla memoria: una sorta di for-

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di Sara Mattivi
L'Architettura in controluce

ma di adesione della quale l’Architettura esprime la più bella espressione, la più completa sintesi, la più efficace manifestazione artistica. Nel contesto di una determinata dimensione, l’Architettura si pone come sistema di proporzioni e relazioni necessarie per vivere l'esperienza dello spazio, per cogliere un luogo, per proporre nuove prospettive.

La prima volta che arrivai nella borgata di Rocca mi catturò la luce incidente sulle murature portanti e quasi a secco, in cui la malta parsimoniosa svanisce per l’elevata qualità tecnica dei conci di pietra incastrati e sovrapposti. I volumi puri si affiancano in elevazione e il legno di abete e di larice delle travature, dei parapetti dei balconi, delle scalinate esterne e delle coperture, si fa gioco di luce valorizzata dal tempo. Qualche tono di rosso per i coppi dei manti di copertura riporta

al significato dei cromatismi del cotto veneto. Mi catturò l’emozione della semplicità per l’impiego costruttivo di materiali autoctoni, espressione della piacevolezza quotidiana, accumulo di fatiche vittoriose. Con la volontà di coglierne lo spirito migliore, quello di quieta grandezza, m’immaginai un percorso di ascesa degli spazi del vivere, attorno alle variazioni di luce di poesia giornaliera. M’immaginai un dimorare dinamico e aperto alle varie attività domestiche: di cucina, di lettura, di gioco e di riposo. Spazi semplici come nidi raccolti, articolati attorno alla scala che sale. Pensai al trascorrere del tempo, alle permanenze costruttive locali, alle immagini auree di bellezza e di armonia, al valore dei segreti fra le mura di Casa, saggiamente custoditi dalla solidità delle strutture di pietra e dal massiccio legno canterino.

Sara Mattivi , laureata con il massimo dei voti all'Università IUAV di Venezia. Dopo alcune esperienze universitarie internazionali, consegue il Master di II livello - Sapienza Università di Roma - per la composizione di materiali, elementi e tecnologie sostenibili nel progetto architettonico. Svolge un periodo di stage in Tokyo per l’integrazione della tecnologia fotovoltaica in edifici di nuova realizzazione in Giappone. Nella professione di Architetto si occupa di progetti di restauro, recupero, riuso e ristrutturazione, anche con ampliamento, del patrimonio architettonico tra l'Alta Valsugana in Trentino e la provincia di Venezia, nel territorio delle Tre Venezie o Triveneto.

del padrone di casa, di veduta in veduta, fra il Col d’Augus, il lago del Corlo, le fresche cascate, il Sentiero Fumegai; affacci amorosi intenti a trovare l’amata consorte nel rientro dai verdi prati in fiore.

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E sognai l’amore nell’affaccio

PUPAZZO DI NEVE

Mi è sempre piaciuta l’opera di cui parliamo oggi. Un’opera nevosa, che non può che tornare in mente in inverno. Guardatela. Si intitola Snowman, ed è un vero e proprio pupazzo di neve alto quasi due metri. È il lavoro dei due artisti svizzeri Peter Fischli (1952) e David Weiss (1946-2012), che hanno portato avanti un dialogo e una collaborazione intensissima per oltre trent’anni. La scultura è composta da tre palle di neve messe una sopra l’altra. La più piccola, posta in alto, ha due fori per gli occhi e uno per la bocca. Il pupazzo è inserito in una sorta di cella frigorifera chiusa da una porta a vetro, che gli permette di sopravvivere a tutte le stagioni dell’anno, rimanendo sempre

congelato. Inizialmente l’opera è stata sviluppata tra il 1989 e il 1990, per una mostra site specific a Saarbrücken, in Germania: agli artisti era stato chiesto di realizzare un intervento per un sito che si trovava vicino ad una centrale termoelettrica appena entrata in funzione, e avevano deciso di immaginare qualcosa che dipendesse dall’energia stessa della centrale, un pupazzo che potesse vivere dell’energia residua, invertendone quasi ironicamente di segno il calore in uscita, trasformandolo in gelo. Non pienamente soddisfatti dall’esecuzione del lavoro, Fischli e Weiss hanno iniziato a covare il desiderio di far diventare un’opera il pensiero di quel primo intervento. Qualche anno dopo hanno creato il progetto di massima di Snowman su richiesta del Walker Art Center di Minneapolis, ma tutto si è fermato sulla carta ed è solo nel 2016 che la scultura ha trovato la sua piena realizzazione, in quattro copie che hanno viaggiato dal MoMA di New York all’Art Institute di Chicago, e poi ancora in Svizzera alla Fondazione Beyeler. Perché mi piace? – vi chiederete a questo punto. Guardatela ancora. Immaginate, ad esempio, di trovarla in mezzo ad un parco. Potreste tirar dritti? Non vederla? Non credo. Lanciare un’occhiata al pupazzo di neve offre all’occhio una sorta di sensazione confortante, fa rallentare il passo, spuntare un sorriso. Credo che potremmo chiamare questo conforto un cambio di

prospettiva. La presenza del pupazzo ci mette nella condizione di bambini, e anche se il vestire questi panni ci trattiene solo per un istante, non può essere che sorprendente. E da quella prospettiva infantile, che si sia nati in zone calde o fredde, che si abbia giocato da bambini con la neve o meno, ci si troverà a fantasticare di essere con sciarpa e berretto a compattare la neve appena caduta per costruire un buffo personaggio senza braccia, con buchi al posto degli occhi e una linea curva come bocca.

Non vi sfuggirà di certo un ulteriore livello dell’opera. Si tratta di un pupazzo messo in un frigorifero, appoggiato su una base di rame. La semplicità di cui abbiamo appena parlato, quella di un gesto legato al mondo dell’infanzia, nasconde in realtà una complessità tecnologica notevole per consentirne l’esistenza durante tutto il corso dell’anno. Sembra quasi che questo personaggio sia tenuto in vita a forza. Non può sciogliersi. Non gli è data la possibilità di seguire il corso delle stagioni, la variazione della temperatura esterna. Non può morire. È vittima di un tempo che rimane sempre uguale a se stesso, aprendo i pensieri ad un mondo in cui si congelano gli ovuli come “policy assicurativa” – come descritto efficacemente qualche settimana fa da Mara Accettura su D di Repubblica – dove si firmano contratti per congelare corpi e cervelli scommettendo su un futuro risveglio, dove i panorami e le implicazioni etiche e filosofiche sono in continua messa in discussione. Non posso però fare a meno di soffermarmi sul sorrisetto ironico del pupazzo, che pare saperla lunga, e anticipare le

58 Storie di guerra
Racconti d'arte di Daniela Zangrando*

possibilità che Fry della sitcom Futurama sonda svegliandosi nel 3000 dopo essere caduto nel 1999 in una capsula per il sonno criogenico, andando a consegnare una pizza a domicilio in un laboratorio. Non possiamo ignorare un altro aspetto di questo pupazzo di neve. Dipende nel modo più totale dall’energia –quella elettrica o, solo nel caso dell’opera acquisita dalla Fondazione Beyeler, solare – e questa sua dipendenza lo rende commovente e anche un po’ inquietante alla luce della crisi climatica che stiamo vivendo. Abbiamo visto tutti durante le ferie natalizie amici caricare storie Instagram definendo Catania “la nuova California”, o fare trekking in Liguria in canotta e pantaloncini corti, o mettere i piedi a mollo al mare in Abruzzo. Abbiamo avvertito anche in luoghi di montagna un vago sentore di

primavera. E sappiamo che tutto questo non è più un’eccezione. Riguardo ancora per un’ultima volta Snowman, prima di chiudere. Così umano in fondo. Criogenizzato. Sottomesso all’energia per esistere. Pieno di contraddizioni. Indubbiamente accattivante, fosse lì anche solo per farci vedere com’era un tempo la neve, nel caso non ne cadesse più.

Daniela Zangrando è Direttrice del Museo d'Arte Contemporanea Burel di Belluno

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CLAUDIO
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Racconti d'arte

Lo sport in cronaca

Il Lentiai del presidente Corrado

Dalle Sasse è campione d’inverno! Un risultato importante anche se tutti sono consapevoli che la strada è ancora lunga e difficile, sicuramente i presupposti alimentano belle sensazioni. I 26 punti nelle 13 gare del girone di andata del campionato di seconda categoria (8 vittorie, 2 pareggi e 3 sconfitte) hanno portato i ragazzi guidati da mister Cristian Curti in vetta alla classifica seguiti ad un punto dalla Juventina Mugnai e a 2 lunghezze dal Castion. Un torneo avvincente ed equilibrato che vede molte formazioni concentrate in pochi punti che sicuramente daranno vita ad un girone di ritorno entusiasmante e particolarmente combattuto. Con 7 reti Christian Pauletti è il miglior goleador della formazione neroverde che vanta anche la seconda miglior difesa del campionato alla pari dell’Itlas Santa Giustina. Proprio

la formazione trevigiana sarà l’avversaria del Lentiai nel primo turno del girone di ritorno.

Inizio durissimo se si pensa che dopo la squadra allenata dall’ex Valerio Pradel, i neroverdi saranno chiamati alla trasferta contro la Juventina, in un big match che vale tantissimo per il vertice della classifica. Per quanto riguarda il derby di Borgo Valbelluna contro il Gemelle, i neroverdi sono riusciti a portare a casa i tre punti con il minimo sforzo grazie ad una rete di Andrea Andreani. Una gara sofferta dove i padroni di casa avrebbero meritato qualcosa di più. Nelle fila del Gemelle, coinvolto nella zona retrocessione, dopo l'esonero di mister Imerio Salvador, la società presieduta da Marco Limana ha affidato la panchina all’ex tecnico di Lentiai ed Alpes Cesio Stefano Baruffolo che farà il suo

Lettera al direttore
debutto ad inizio gennaio nel recupero contro l’Agordina.
Via Feltre, 22 Quero Vas (BL)

Diario di un viaggio di Caterina Michieletto

Al galoppo di un sogno che

diventa realtà Il Giro d’Italia di Jessica con la sua cavalla Fatira

Quando leggiamo l’espressione “un sogno che diventa realtà” accanto al roboante e avvincente titolo “Giro d’Italia” nella nostra mente fioccano immagini di uno sciame di ciclisti che corrono discese e sudano salite, di una favolosa Maglia rosa, di un tragitto a tappe da un estremo all’altro del nostro “stivale”. Ebbene, la storia che qui vi racconto vede anch’essa l’alternanza di ardite salite e sinuose discese intervallate da qualche tratto pianeggiante, è anch’essa un percorso “a stazioni” lungo la nostra penisola, ma è una corsa senza concorrenti; c’è solo una piccola e forte squadra a intraprendere questo viaggio e soprattutto ci sono un rapporto speciale ed una complicità che non ha bisogno di parole, quella di Jessica e la sua amata cavalla Fatira. Era il 18 maggio 2021 quando per Jessica Riviera, giovane di Vittorio Veneto, si chiuse una porta e sì aprì un recinto: quello della sua cavalla Fatira. Dietro di lei la certezza di tempi difficili, davanti a lei l’ineliminabile incertezza con cui tutti noi scendiamo a compromessi quotidianamente e qualcosa in più: per Jessica quel maggio

prometteva tanto, nulla di eccezionale e di materiale, ma qualcosa di profondo ed interiore e nella primavera della Natura sentì anche il rifiorire della sua anima. Era l’inizio di un viaggio attraverso i borghi, le città, le Alpi, gli Appennini, gli altipiani, le coste, i lidi e tutte le meraviglie che ospitano le nostre Regioni, ma soprattutto l’inizio di un itinerario di riscoperta di sè stessa e di ritrovo in sè stessa. Un po' come un’opera d’arte che per tornare all’apoteosi della sua bellezza necessita ciclicamente di un periodo di restauro, allo stesso modo accade che ci sia un periodo più o meno lungo della nostra vita di ristrutturazione di noi stessi e sia nella possibilità di un viaggio all’esterno, sia nella necessità di rimanere nello stesso luogo, il vero viaggio che si intraprende è quello dentro di sé e si torna sempre diversi da quando si è partiti.

“Sono stata in viaggio per un anno e mezzo e se penso alla mia partenza provo allo stesso tempo tenerezza e fierezza: avevo perso il lavoro con il Covid, io e la mia cavalla non avevamo superato una gara

internazionale per cui c’eravamo allenate molto, era un periodo tormentato su tutti i fronti, ma non mi sono arresa e la differenza l’ha fatta proprio il mio atteggiamento proattivo, quel “vedere il bicchiere mezzo pieno”, che non è avere gli occhiali rosa, bensì indossare occhiali che vedono tutto limpidamente, nel bene e nel male, ciò che succede. Se riesci a vedere con chiarezza puoi scegliere da che parte andare, se invece quello che vedi è filtrato da uno sguardo opaco sulla realtà non puoi che restare fermo nello stesso punto, ma allora non c’è via d’uscita, c’è solo stallo in una situazione in cui non va bene e non stai bene. Così sono partita dalla mia Vittorio Veneto con il plauso e l’affetto della mia comunità e non senza la preoccupazione

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dei miei genitori che forse fino in fondo non erano riusciti a comprendere le ragioni della mia decisione. La prima tappa, o meglio la verifica sperimentale del mio progetto, è stata il Friuli: 480 km e 24 giorni di marcia di cui 21 giorni di maltempo. Ero riuscita a superare il test e non poche avversità si erano frapposte, potevo continuare la mia maratona nel centro Italia attraverso l’Appenino tosco-emiliano, quindi Emilia, Marche, Umbria, Abruzzo, per poi proseguire in Puglia, Basilicata, Calabria e Campania. Arrivata quasi in Molise mi sono fermata: una pausa invernale di tre mesi viste le difficoltà a reperire il cibo per la cavalla e le poche ore di luce a disposizione. Dopo questo intervallo in cui ero riuscita a trovare un lavoro temporaneo sono ripartita, questa volta a ritroso lungo le Regioni affacciate sul Tirreno, per poi risalire dalla Liguria verso Valle d’Aosta,

Piemonte, Lombardia, Trentino-Alto Adige e infine il rientro a casa attraverso la Val Belluna con sosta a Feltre. Questo è stato idealmente e poi anche nei fatti la mappa del mio viaggio, ma non nascondo quante insidie e imprevisti ho dovuto affrontare. Mi è capitato spesso di sentirmi etichettata come privilegiata per ciò che stavo facendo, in realtà tutto ciò che è scontato nella vita domestica non lo è affatto in un’esperienza di questo tipo, non ci sono comodità e ci sono esigenze primarie a cui rispondere ogni giorno con ostacoli più o meno prevedibili. Le maggiori difficoltà che ho incontrato erano legate alla sicurezza della mia cavalla. Dove passavo io non sempre passava lei, mi riferisco a strettoie nei sentieri, ponti fragili,

pietraie dove c’era il rischio che gli zoccoli si incastrassero tra le fessure, tutte situazioni che devi valutare caso per caso come affrontare. Meglio 10 km in più con la stanchezza, ma prima di tutto la sicurezza. Non solo, durante la notte spesso succedeva di essere osservate speciali di animali selvatici e dovevo essere pronta a tutto. Quindi sì, il mio primo pensiero era occuparmi di Fatira, non solo in termini di percorsi e di pericoli, ma anche di approvvigionamento, dal momento che solo di acqua ne consumava circa 30 litri al giorno. Fu proprio nella ricerca disperata di acqua in un caldo e rovente giorno tra le dolci colline della Romagna che ci siamo imbattute in una casa con a disposizione la pompa dell’acqua all’esterno. C’era qualcuno fuori e la

domanda fu istintiva: “posso utilizzarla per la mia cavalla?”. Fu tanto gentile e disponiDiario di un viaggio Operatore Socio Sanitario Mary 366 1890201 - maryossad@gmail.com Aiuto nella gestione dell'utente, nel suo ambito di vita. L'OSS, inoltre, collabora con altre figure medico-infermieristiche - ASSISTENZA SOCIO/SANITARIA - SUPPORTO A PERSONE NON AUTOSUFFICIENTI - SODDISFA I BISOGNI PRIMARI, SIA PRESSO IL DOMICILIO O PRESSO RSA E OSPEDALI - ASSISTENZA NELL'ALIMENTAZIONE - ASSISTENZA NELLA VESTIZIONE - IGIENE DELLA PERSONA - AIUTO NELL'ESPLETAMENTO DEI BISOGNI FISIOLOGICI - IGIENE DEL PAZIENTE ALLETTATO - MOBILIZZAZIONE - PREVENZIONE LESIONI DA DECUBITO - AIUTO NEL MANTENIMENTO DELLE CAPACITA' RESIDUE

bile ad aiutarmi: incredibile, era Biagio Antonacci. A dare il cambio a Fatira per alcuni mesi c’è stato il mio cavallo Lemik: stessa corporatura, manto colore bianco latte, l’uno lo specchio dell’altro esternamente, entrambi infinitamente dolci e buoni, con due caratteri diversi ma complementari:

Lemik è timido, pauroso, coccolone mentre Fatira è spigliata, precipitosa, sembra nata sotto il segno della fretta, ma allo stesso tempo è attenta e vigile su ciò che accade. Fatira è stata parte integrante della mia rinascita: il suo coraggio è diventato anche la mia forza e la sua totale fiducia in me è il mio immenso bene per lei. Il suo punto debole? Un po' come tutti gli animali la golosità: dico solo che durante il viaggio facevamo tappa da ogni fruttivendolo e appena sentiva nei paraggi

Diario di un viaggio

profumo di fichi, mi obbligava a sostare sotto l’albero per fare scorpacciata. Non c’erano cracker, frutto, merenda, che usciti dal mio marsupio non fossero assaliti dal suo gigante e dolce naso ed io davo quasi tutto a lei. È stato un viaggio introspettivo e c’è stata anche tanta fatica. Ci sono stati momenti in cui lo sconforto e la malinconia sfociavano in un pianto in mezzo al bosco: l’imprevisto nel percorso, le ore che passano, i km che si allungano e la destinazione è ancora lontana, magari senza la copertura di segnale, sotto la pioggia e tutto sembra sgretolarsi nel caso e nell’inevitabile. Tuttavia, dopo un pianto liberatorio mi auto-motivavo e alla fine riuscivo a trovare una soluzione, ad ogni difficoltà non programmata superata mi riscoprivo più tenace e determinata. Questa avventura mi ha cambiata, mi ha rafforzata e anche se ancora non so quali saranno i miei prossimi passi, senz’altro posso dire che si muoveranno sempre paralleli ai miei due amati cavalli, Fatira e Lemik”.

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Storia del nostro mondo di Alvise Tommaseo Ponzetta

I MARINAI DEL PIAVE: GLI ZATTIERI

ad una lunghezza ricompresa tra i 21 ed i 35 metri. La larghezza massima era, invece, quella di 4,20 metri, in quanto bisognava tenere conto di innumerevoli scivoli e chiuse che si trovavano lungo il corso del fiume. A Perarolo era stato organizzato un importante punto di raccolta del legname messo in acqua più a monte.

Il trasporto non si limitava al solo legno: sulle zattere venivano spesso caricati vari materiali come pietre e minerali lavorati, carbonella, acido solforico ed altri prodotti tipici delle zone di montagna.

Senza i boscaioli del Cadore, del Comelico, del Feltrino, dell’Agordino, del Cansiglio e senza gli zatterieri del Piave non sarebbe mai sorta Venezia e la Repubblica della Serenissima non avrebbe mai dominato per secoli l’Adriatico ed il Mediterraneo.

La città lagunare poggia, infatti, le sue fondamenta su milioni e milioni di pali di legno, ricavati da altrettanti alberi, che sostengono case, palazzi e chiese. La sua potente flotta navale, commerciale e militare, venne realizzata, negli enormi stabilimenti dell’Arsenale, sempre grazie alla materia prima proveniente dai boschi dell’entroterra veneto arrivata in laguna attraverso quel fiume che, secoli dopo, si guadagnerà il glorioso epiteto di “Sacro alla Patria.”

Il trasporto acqueo lungo il corso del Piave era già conosciuto e praticato ai tempi dei Romani. Lo testimoniano due cippi rinvenuti nei pressi di Belluno e di Feltre, il primo risalente al 200 d.C., dedicato a Marco Carminio Prudente, l’altro a Firmino Rufino, entrambi autorità fluviali che si trovavano alla guida dei locali collegi dei trasportatori fluviali, detti dendrofori.

Ma fu attorno al 1400 che, in tutta Europa, si sviluppò il trasporto acqueo. Si calcola che proprio, a partire da quel periodo, dai boschi bellunesi e trevigiani arrivassero, ogni anno, nella laguna di Venezia almeno trecentocinquantamila grandi tronchi di larice, pino e faggio scesi dalle montagne grazie alla corrente delle acque del Piave ed al sacrificio degli zattieri.

Gli zattieri svolgevano due fondamentali attività.

Innanzitutto, spesso, erano loro stessi ad assemblare, con maestria, i tronchi e le tavole di legno in zattere, che tenevano insieme con corde o con le “soche”, ovvero grazie a rami di nocciolo torti e tagliati rigorosamente al calare della luna. Creavano così dei veri e propri “treni di legno” che potevano arrivare

Lungo questa autostrada naturale, costituita dal letto del Piave, si trovavano cinque piccoli porti nei pressi dei paesi di Codissago, Ponte Nelle Alpi (allora Capo di Ponte), Belluno (allora Borgo Piave), Nervesa e Ponte di Piave. Ciò permetteva ai vari zattieri di organizzarsi in staffetta: ad ogni porto scendeva una squadra di questi straordinari marinai d’acqua dolce ed il materiale veniva affidato ad un nuovo gruppo del posto.

Il mestiere dello zattiere era estremamente faticoso, usurante e pericoloso.

Lungo la discesa, le correnti e la profondità del fondale cambiavano continua-

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mente ed in modo repentino. Il percorso, soprattutto dopo particolari eventi atmosferici, si presentava disseminato di ostacoli imprevedibili e da dighe naturali che ostacolavano e, a volte, impedivano il deflusso delle zattere che sbandavano, giravano su sé stesse, si inclinavano spesso imbarcando acqua. Lo strumento principe di chi praticava questo difficile mestiere era costituito da una sorta di lunga e resistente pertica di legno, che serviva a dirigere ed aiutare la discesa della zattera.

In fondo il loro lavoro non era molto diverso da quello che svolgevano i marinai in navigazione nel mare, anche perché il fiume assumeva in certi tratti, indipendentemente dal tempo e dalle stagioni, la pericolosità del mare in tempesta.

Nel tragitto, gli zattieri inzuppavano i loro poveri vestiti d’acqua gelida; a vol-

te scivolavano nel Piave dove venivano travolti dall’impeto della corrente o risucchiati in pericolosissimi gorghi dove molti annegavano.

E poi, lungo il percorso, potevano verificarsi incursioni da parte di briganti che, approfittando di qualche stretta ansa, salivano armati di coltelli sulle zattere, impossessandosi delle preziose merci che trasportavano. Quello dello zattiere era, per i tempi, un’attività piuttosto redditizia, ma molto dura. Le cronache di allora riportano che, a poco più di trent’anni, chi praticava questa attività sembrava ormai vecchio, con le mani segnate da grossi calli induriti e da profonde cicatrici. Questa straordinaria epopea che, nel corso dei secoli, interessò molte piccole comunità sparse lungo il percorso del Piave, ebbe fine intorno al 1915, quando il trasporto ferroviario sostituì quello fluviale. Ma la memoria della figura

Storia del nostro mondo

dello zattiere, di questo mitico marinaio d’acqua dolce, fortunatamente non è andata persa. Gli zattieri del Piave sono, infatti, stati riconosciuti dall’Unesco come patrimonio culturale, immateriale dell’umanità. Nel 1982 è stata costituita l’associazione degli zattieri del Piave denominata “fameia dei zater e menadas del Piave” regolata da uno Statuto redatto sulla falsariga dell’antica Carta degli zattieri del Piave, firmata in palazzo Ducale, a Venezia, dal doge Sebastiano Barbarigo il 3 agosto 1492. A Codissago, nel comune di Castellavazzo, a pochi chilometri da Longarone, c'è un interessantissimo Museo etnografico dedicato proprio ai marinai del fiume.

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Girovagando di Elisa Rodari

“Il padre delle gazzelle”

La svolta si ebbe a partire dal 1958, anno in cui venne scoperto il petrolio nell’area di Abu Dhabi. Lo sceicco Sheykh Zayed bin Sultan Al Nahyan riconobbe fin da subito l’impatto che tale scoperta avrebbe potuto significare per la città e infatti, a partire dagli anni ’70 del Novecento, fu avviata una dettagliata e mirata pianificazione urbanistica seguita passo dopo passo dallo stesso sceicco, coadiuvato dall’architetto giapponese Katsuhiko Takahashi. Il progetto di base era quello di realizzare strade ampie e puntare sulla costruzione di grattacieli per ospitare circa 600.000 abitanti, numero largamente superato in pochi anni.

Èquesta la traduzione letterale dall’arabo all’italiano di Abu Dhabi (“abu” – padre e “dhabi” – gazzelle), la seconda città più popolosa degli Emirati Arabi Uniti dopo Dubai, nonché capitale dell’omonimo emirato. Questo nome non è stato affibbiato a caso, anzi tutto si ricollegherebbe ad un’antica leggenda. Si narra infatti che un gruppo di gazzelle, animali molto presenti in passato in queste zone, avrebbe condotto una tribù nomade fino al punto

in cui sgorgava dell’acqua in una delle tante isolette del posto. Precisamente, si ricollega la fondazione della città di Abu Dhabi all’anno 1791 per opera della tribù beduina dei Bānu Yās. Da quel momento in poi la morfologia del territorio come anche l’economia della città si sono evolute in maniera esponenziale, passando dall’allevamento di dromedari, produzione di datteri, pesca e commercio di perle ad essere una delle città più moderne e futuristiche del moment

Per rendersi conto della veloce crescita demografica di quest’area, basti prendere gli ultimi dati raccolti nel 2018 quando nella sola città di Abu Dhabi si contavano ben 1.450.000 abitanti, molti dei quali trasferitisi qui dall’estero per migliori opportunità. Inoltre, Abu Dhabi possiede il 9% di tutte le riserve petrolifere presenti al mondo e proprio grazie a questa grande ricchezza, si sta puntando allo sviluppo di un’ampia gamma d’infrastrutture per non parlare dell’implementazione di molti settori economici. Si costruisce con l’idea che ogni attrazione ed edificio debba superare ogni limite e soprattutto deve saper lasciare a bocca aperta, compresa la vicina Dubai (c’è molta competizione infatti fra le due città).

Se nel caso di Dubai molto è già stato costruito ed è già nota per i suoi eccessi, si punta ora a portare in auge anche Abu Dhabi. In particolare, ci sono tre zone che vale davvero la pena visitare e che in questo momento stanno vivendo un intenso sviluppo: la Corniche, isola di

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Saadiyat e l’isola Yas.

La Corniche è il lungomare più famoso ad Abu Dhabi. Con una lunghezza di otto chilometri, questa promenade rappresenta la zona di maggior intrattenimento per gli abitanti del luogo, dove è possibile passeggiare, andare in bicicletta, il tutto ammirando i colori del mare e osservando le bellezze architettoniche tutt’attorno, tra cui le Etihad Towers e l’Emirates Palace. Lungo questo percorso pedonale e ciclabile sono dislocate anche diverse aree verdi, ideali per le famiglie e in generale per stare all’aperto, almeno nei mesi da novembre ad aprile quando la temperatura è ancora tollerabile (essendo una zona con clima tipicamente arido, nei mesi estivi si possono facilmente raggiungere anche i 50 gradi).

Sempre in questa zona, si trova anche la bellissima Corniche beach, una porzione di spiaggia sia pubblica che privata, pre-

miata per le sue acque pulite e sicure. L’isola di Saadiyat, poco distante dalla zona della Corniche, vanta la più elevata concentrazione di strutture culturali al mondo tra cui il Louvre Abu Dhabi, inaugurato nel 2017, a cui ben presto si aggiungeranno il Zayed National Museum e il Guggenheim Abu Dhabi. Quest’isola diventerà un distretto culturale a tutti gli effetti, pronto ad attirare esperti d’arte e curiosi da ogni parte del mondo. Infine, l’isola Yas, dal nome della tribù che fondò la città, è la più grande isola artificiale di Abu Dhabi, famosa per essere l’isola dell’intrattenimento per eccellenza. Qui infatti si concentrano la maggior parte delle attività ludiche e parchi divertimenti dell’intera città: · il Ferrari World, costruito in soli tre anni, è una delle più famose attrazioni dell’isola, dove sono presenti anche le montagne russe più veloci al mondo (240 km/h);

· il Yas Waterworld, il più grande parco acquatico al mondo;

· il Warner Bros World Abu Dhabi, il più grande parco tematico completamente indoor;

· il Sea World Abu Dhabi che aprirà nel 2023, sarà il primo parco Sea World costruito al di fuori degli Stati Uniti d’America e il primo parco senza la presenza delle orche;

· il Clymb Abu Dhabi aperta nel 2019, è la palestra di roccia indoor con le pareti più alte al mondo.

Si capisce insomma, come Abu Dhabi diventerà una meta ambitissima nel prossimo futuro: la città, rimane comunque legata alle sue tradizioni e all’affascinante cultura araba mediorientale, ma si proietta verso nuovi obiettivi, promettendo di regalare sensazioni uniche a chi la visita grazie alle sue attrazioni e alla sua impronta moderna e all’avanguardia.

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ad un decorso post operatorio molto più confortevole.

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Medicina &
Salute

Società oggi, tra paesi, comuni e città di Franco Zadra

IL COMITATO GEMELLAGGI COMUNE DI FELTRE

È una storia lunga quella del Comitato comunale per i Gemellaggi di Feltre, fatta di persone che, nel corso del tempo, hanno dedicato se stesse a costruire la fratellanza tra i popoli europei, avviata da Augusto Mione, un imprenditore edile locale da anni emigrato in Francia, che propose di gemellare con Feltre la città nella quale aveva fatto fortuna, Bagnols-sur-Cèze. I due sindaci, Pierre Boulot e Pietro Slongo, siglarono quel primo gemellaggio il 3 settembre 1961.

Oltre sessant’anni di attività nei quali il Comitato feltrino, che dallo scorso agosto ha inaugurato la propria sede a palazzo Borgasio, ha messo in essere amicizia, cooperazione e reciproca consapevolezza tra le popolazioni dell’Europa. Si è così portato avanti il sogno per una pacifica e civile convivenza tra i popoli, pur nella diversità di etnie, culture e religioni. Una diversità intesa non quale rinuncia alla propria identità, ma come momento di stimolo da comprendere e apprezzare. Un gemellaggio è definito da Treccani,

un «atto simbolico con cui due città o paesi appartenenti a nazioni diverse stabiliscono di istituire e sviluppare fra loro legami di stretta fraternità a scopi culturali, economici o politici » ma, oltre la definizione, il gemellaggio è mettersi in relazione, perché se è la firma dei sindaci a sancirne la nascita, è soltanto grazie agli scambi tra gli abitanti che esso può vivere e crescere. Scambi che devono coinvolgere le diverse realtà delle due comunità, e richiedono un coordinamento, di norma affidato a un’associazione o Comitato che serve a mettere in relazione le due

realtà, fornendo il sostegno, qualora richiesto, per l’avvio dei rapporti. Fin dal primo momento il Comitato di Feltre ha collaborato con quello di Bagnols-sur-Cèze per costruire i rapporti tra le popolazioni delle due città; ha creato i primi legami, che poi sono cresciuti in autonomia, si sono fortificati anno dopo anno creando amiciziee talvolta qualcosa di più. Ha messo in contatto scuole, associazioni culturali, musicali, sportive. E ciascuna di esse ha portato avanti - e continua ancora oggi - i singoli scambi, consentendo agli abitanti delle due città di entrare

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in contatto, di visitare e conoscere le rispettive realtà. Nel corso degli anni le due città hanno stretto legami con altre realtà, dando vita a una vera e propria rete di città interconnesse tra loro. Feltre, per esempio, è gemellata anche con Braunfels (Germania) dal 1999, Eeklo (Belgio) dal 2001, Newbury (Inghilterra) dal 2003, Kiskunfélegyháza (Ungheria) dal 2005, Carcaixent (Spagna) dal 2013. Rapporti di amicizia non ancora ufficializzati coinvolgono invece altre realtà, che partecipano alla rete sopra citata: Kikinda (Serbia), Tomesti (Romania), Sighisoara (Romania) e Zamość

(Polonia). Non va infine dimenticato che Feltre ha siglato anche altri due gemellaggi, entrambi con motivazioni legate all’emigrazione: Dudelange (Lussemburgo) nel 2008; Colonia del Sacramento (Uruguay) nel 2010. Sessan’anni di amicizia hanno visto anche mutare i gemellaggi, soprattutto grazie allo sviluppo della rete tra le città gemelle. Accanto agli scambi bilaterali tra le scuole e le associazioni di due singole città, sono sorti gli incontri a più voci, che coinvolgono tutte le realtà allo stesso tempo con svolgono a rotazione annuale.

Nel 1989 è sorto l’incontro Youth for Europe: per una decina di giorni i giovani tra i 16 e i 26 anni delle città gemelle si confrontano sui comuni sentimenti di appartenenza europea e approfondiscono temi, scelti dai giovani della città ospitante, legati alle politiche giovanili. Un paio d’anni dopo, è nato l’analogo International meeting che vede la partecipazione, di norma, di una ventina di cittadini per ciascuna città. Ricordiamo poi Familles pour l’Europe, dedicato alle

famiglie con figli sino a 12 anni. Tra i prossimi eventi, oltre a programmare le celebrazioni per le ricorrenze dei singoli gemellaggi, il Comitato di Feltre organizzerà l’International meeting 2023, e ospiterà l’incontro Youth for Europe 2024, avvalendosi della collaborazione dei cittadini, disponibili a ospitare in famiglia le delegazioni europee, e di diverse associazioni feltrine.

Grazie alle opportunità offerte dall’Unione europea, si sono potuti presentare numerosi progetti alle istituzioni comunitarie. Tra questi, vale la pena di ricordare: il progetto “SeAltri - Il dono di sé agli altri. La cittadinanza attiva, solidale e responsabile come risorsa per costruire un bene comune nella società di oggi e di domani, nel dialogo costante tra le generazioni”, finanziato dall’istituzione Eacea per il programma “Europe for Citizens”, in occasione dei 50 anni di gemellaggio tra Feltre e Bagnols-sur-Cèze (Francia), celebrati nel 2012; il progetto “ImagE50 - Immaginare il futuro: percorso in otto tappe verso l’Europa del 2050”,

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Società oggi, tra paesi, comuni e città

Società oggi, tra paesi, comuni e città

finanziato dall’istituzione Eacea nel 2018, coinvolgente una rete di sette città europee e conclusosi lo scorso settembre, dopo nove incontri che hanno permesso di raccontare la visione per il futuro dell’Unione europea dei cittadini delle città gemelle. Motivo di profondo orgoglio è l’ingresso dei fratelli polacchi di Zamość nella rete delle città gemelle, avvenuto proprio a seguito della proposta

presentata dal Comitato feltrino. Coinvolti per la prima volta nel 2012, a partire dall’incontro Youth for Europe svoltosi a Feltre nel 2014 gli amici di Zamość hanno preso parte a tutte le iniziative delle città gemelle e sono oggi parte integrante e importante di quella rete di collaborazione europea consolidatasi nel corso degli anni. Il Comitato è composto da privati cittadini e da rappresentanti delle associazioni locali, eletti nel corso di un’assemblea pubblica; la prossima, che

eleggerà 10 su 15 membri del nuovo Comitato per il triennio 2023-2025, sarà venerdì 3 febbraio 2023. Qualunque cittadino si riconosca nei valori della nostra storia e voglia dedicare se stesso alla crescita dei rapporti tra Feltre e le città gemelle e amiche, è invitato a partecipare all’assemblea e a candidarsi.

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In ricordo di... di Caterina Michieletto

Il dottor Gianmario Dal Molin

(Sovramonte 1940 - Feltre 2022)

Nella quiete di una giornata invernale accompagnata da una luce fioca e pallida che sembra presagire una dolce nevicata, mi preparo a raccontare le impronte della vita di una persona che non ho avuto l’omaggio di poter incontrare, ma che le testimonianze di chi era stato al suo fianco nell’amicizia e nella professione mi hanno permesso di conoscere nella sua più profonda ed autentica essenza.

Tutti noi abbiamo una prima e una seconda nascita: la prima è in un tempo e in un luogo che la vita ha scelto per noi, la seconda si cala in un dove e in un quando che esprimono la ricerca del nostro ruolo e del nostro posto nel mondo; la prima è un luogo fisico, la seconda è un luogo interiore; la prima la troviamo scritta nella nostra carta d’identità, la seconda non è scritta in nessun documento ufficiale, ma è ciò che decidiamo di essere ogni giorno. Gianmario Dal Molin era nato a Servo, Comune di Sovramonte, nell’abbraccio della Vallata Feltrina, e forse proprio nel forte sentimento di attaccamento a Feltre e alla sua comunità si può intravedere anche quella seconda nascita, che è la scoperta del proprio scopo: ciò che assumiamo su di noi come causa, ciò vogliamo essere, ciò che scorrerà sulla nostra memoria lasciandovi traccia. Nella massima cura per tutto ciò che è sociale, nell’impegno culturale per tutto ciò che accorpa, unisce, rinsalda l’identità collettiva, nell’elevazione al di sopra di ogni faziosità del fattore umano in ogni campo della vita, il cuore pulsante dell’essere e dell’agire del dott. Dal Mo-

lin. Il ritratto di un uomo che ha coniugato la sua esistenza sempre al plurale, nella forte convinzione che la storia individuale non si presenta come un filo solitario, ma come un tessuto che intreccia trama e ordito, perché è nel lavoro all’unisono che i valori e le virtù non solo tracciano la direzione del presente ma disegnano la strada del domani.

LE TESTIMONIANZE

Avv. Enrico Gaz: “Gianmario era una persona incredibilmente poliedrica, dal percorso di studi, all’impegno professionale, sino alla partecipazione attiva nella realtà del terzo settore, ha manifestato la sua attitudine a interessarsi di tutto e di tutti. Era una persona appassionata, in qualsiasi ambito si applicasse c’era coinvolgimento, c’era sentimento e c’era grande esperienza. Dalla sua personalità ecclettica, difficilmente riducibile ad una dimensione della vita e della conoscenza, si stagliava però una regina tra i saperi: la storia. Aveva conseguito la laurea prima in Scienze politiche a indirizzo storiografico poi in Psicologia clinica con specializzazione in psicoterapia della famiglia. Immediato fu lo sbocco nella realtà dell’insegnamento prima liceale e poi universitario, come docente di Storia

moderna alla Facoltà di lingue dello IULM. Fondò il centro di Storia sociale e religiosa di Vicenza con Gabriele De Rosa e Angelo Gambasi e si dedicò a molto altro ancora in questo campo, con contributi bibliografici sia a livello nazionale che territoriale in particolare sulla storia della Chiesa locale”.

Dott. Renato Beino: “L’amicizia con Gianmario è stata un dono: com’è iniziata in modo intenso si è conclusa altrettanto intensamente. Ci siamo conosciuti che eravamo giovani universitari pieni di speranze, facenti parte della Federazione Universitaria Cattolica Italiana di

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Feltre, e già da lì l’attenzione per il fatto sociale era un cordone ombelicale del nostro rapporto. Siamo stati compagni di percorso finché ci siamo laureati, poi ci siamo un po' allontanati: io sono andato a Belluno e lui a Venezia. Nel frattempo, entrambi avevamo costruito sui nostri lavori il punto di partenza per ritrovarci nel 1980 al momento della fondazione dell’ULSS di Feltre, impresa nella quale Gianmario fu punta avanzata in Regione Veneto. Io ero Responsabile dei servizi territoriali e Gianmario prima Direttore dei servizi sociali e in un secondo momento Direttore generale dell’ULSS2. Tra gli anni ’80 e ’95 Gianmario ha costruito la dimensione del sociale: l’handicap, l’età evolutiva, la terza età e soprattutto fu uno dei primi e dei pochi a dare attuazione alla riforma Basaglia (l. n. 180/1978) che portò alla chiusura delle strutture manicomiali presenti in Italia e la sostituzione con strutture ambulatoriali, day hospital, comunità alloggio semi-protette. Nella condizione di pensionati ci siamo ritrovati in un rapporto di amicizia molto stretto, nel quale ho immensamente gradito la dimensione intellettuale di Gianmario: lo storico, il ricercatore, il pubblicista, il critico dei costumi, il mecenate della storia e della cultura di Feltre. Peraltro, era stato dirigente presso la Giunta Regionale dal 1972 al 1980 nei

settori della cultura e della programmazione sociosanitaria, era stato Assessore alla cultura della città di Feltre tra il 2000 e il 2003 e poi immancabile penna della rivista “Famiglia Feltrina”, della quale fu Presidente per quasi un ventennio. Tanto potrei ancora raccontare, ma mi fermo qui, ricordando quel suo pensiero forte e luminoso che sfrondava argomenti, saggiava opinioni, immune da ogni contraffazione ideologica e che ci teneva vivi e pensanti tutti quanti”. Dott. Paolo Biacoli: “Mi trovai a collaborare con il dott. Dal Molin tra il ’95 e il 2000 periodo in cui assunse l’incarico di Direttore Generale dell’ULSS2. Se dovessi riassumere lo straordinario

operato del dott. Dal Molin individuerei tre interventi importanti. In primo luogo, l’intuizione di trasformare l’Ospedale di Lamon che vedeva una incessante destrutturazione interna con la chiusura di unità complesse, in centro di riabilitazione di altissimo livello, conquistando la fiducia dei cittadini e soddisfacendo ampiamente le aspettative rispetto ai risultati di questo progetto. In secondo luogo, la proiezione dell’Ospedale di Feltre nel territorio: la sanità e il sociale uscivano dalla “torre d’avorio” dell’Ospedale per offrire un servizio capillare nel territorio, tramite soprattutto l’assistenza domiciliare. Un esempio di come ha sempre visto l’ospedale in collegamento con il territo-

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In ricordo di... FRUTTA & VERDURA da MAURIZIO di D'Incà Maurizio Vi aspettiamo nei mercati di: FRUTTA & VERDURA da MAURIZIO di D'Incà Maurizio Vi aspettiamo nei mercati di:

rio è stata la previsione delle cure palliative per il paziente terminale, soprattutto il malato oncologico, una rivoluzione in tempi in cui culturalmente il dolore era qualcosa da sopportare e gli oppiacei non rientravano nel trattamento della fase terminale. È nata allora l‘assistenza domiciliare mandando a casa infermieri specialisti che potevano trattare il malato a casa e qualche anno dopo la Regione ha autorizzato l’Hospice a Feltre. Parallelamente si adoperò per il completamento del quadro chirurgico dell’Ospedale con l’inserimento del reparto di Urologia e con la previsione dell’Unità coronarica nel reparto di Cardiologia. Infine, insieme al dott. Dal Molin avevamo gettato le basi per quella che ancora oggi è una necessità quanto mai urgente: la sanità di montagna. Il criterio di finanziamento basato su quote pro-capite, per cui tanti

abitanti tanti finanziamenti, pochi abitanti pochi finanziamenti, era ed è inadeguato per le zone montane. Riunendo le ULSS di montagna di altre Regioni, di concerto con il Ministero della Salute e la Regione Veneto nel ’98 avevamo condotto uno studio rigoroso in termini di densità di popolazione, di estensione del territorio e di incidenza dei costi fissi dei costi variabili. Al termine dei lavori della Commissione era scaturita la “Carta di Feltre”: da lì si dovrebbe ripartire per dare alla popolazione di montagna per equità nella fruizione dei servizi sociosanitari al pari del cittadino di pianura. Per il dott. Dal Molin c’erano prima le persone e poi il sistema: questo lo guidava nel coraggio e nella responsabilità delle scelte giuste al momento giusto per tutelare e promuovere le esigenze dei pazienti.

“Iniziare sempre, ovunque e insieme” credo che questo potrebbe essere il “messaggio in bottiglia” che il dott. Dal Molin avrebbe voluto trasmettere alle giovani e ai giovani feltrini per affrontare il mare della vita, perché l’atto di iniziare è grande in ciò che può seminare ed è eroico nei frutti che può raccogliere e di questa verità Gianmario Dal Molin è stato un brillante esempio e straordinario interprete.

Da parte di tutta la redazione di Feltrino News un messaggio di profondo cordoglio alla famiglia del dott. Dal Molin. Un sentito ringraziamento per la preziosa collaborazione alla dott.ssa Margherita Rosato, all’avv. Enrico Gaz, Presidente di Famiglia Feltrina, al dott. Renato Beino, Presidente Associazione Ss Martiri Vittore e Corona e al dott. Paolo Biacoli, presidente Associazione Mano Amica.

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In ricordo di...

Storie di guerra di Davide Pegoraro

Col dell’Orso

Èspesso presente nelle nostre montagne il toponimo “col dell’orso” o “cima dell’orso” o ancora “fontana dell’orso”, piuttosto che “val dell’orso”. Spesso questo si rifà alla memoria degli abitanti dei paesi vicini che scelsero di chiamare in quel modo quei luoghi per un qualche evento legato al re del bosco come frequenti avvistamenti, catture o abbattimenti oppure per delle forme suggestive di alcune rocce capaci di ricordare il grande mammifero. Anche il Grappa ha il suo monte con questo appellativo e diverse sono le ipotesi sul perché si chiami così. Certo è che l’eventuale presenza di questo animale quassù turberebbe non poco gli escursionisti che spesso sono all’oscuro del fatto che nel solo Trentino Alto Adige circa un centinaio di esemplari condividono con noi l’ambiente montano, tra l’altro molto frequentato. Il recente emendamento approvato dalla commissione bilancio della Camera dei Deputati dimostra una volta di più come in generale la convivenza tra specie umana ed animali sia turbolenta, per quanto un cinghiale sotto casa (questo

l’oggetto della nuova legge) non sia esattamente la stessa cosa di una fiera nel bosco, pur se carnivora.

Forse le polemiche generate dalla scelta politica sono rivolte non tanto alla necessità di abbattere queste bestie che evidentemente possono rappresentare un pericolo già per il fatto che si possano trovare in un ambiente dove di norma non si calcoli di incontrarle, ma piuttosto al fatto che debbano essere cacciate in un ambiente urbano. La gente è spaventata dall’idea che l’uso di armi da fuoco possa essere un ipotesi presa in considerazione. In città ci sono persone, abitazioni, mezzi e proprietà private ovunque. La recente notorietà dell’orso è anche dovuta alla discussione generata dalla moda di recarsi nella vicina Slovenia per assaporarne le carni in uno dei tanti ristoranti che le propongono a menù (il tutto nel pieno rispetto delle leggi locali).

Lo scalpore di tanti ha messo in luce

il fatto che certe pratiche possano non riscontrare il favore di tutti. Ma di fatto il risultato non cambia quando qualcuno sostiene la necessità di far fare al nostro bravo Winnie la stessa fine dei cinghialotti romani, giacchè per l’orso il morire nella prospettiva di diventare una bistecca o il farlo per la nostra sicurezza non dovrebbe fare molta differenza o essere tale da rendere accettabile la prospettiva. E’ che certe creature ci vanno bene solo se stanno in un documentario, dentro ad un televisore o dove al limite si possa essere noi a mangiarle e non viceversa. In tutto questo il lupo sta tirando un sospiro di sollievo e rifiatando una volta

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tanto che gli attacchi non sono rivolti solo a lui. Ma se potesse studiare il recente passato, si accorgerebbe del fatto che il rivolgere la propria attenzione verso un nuovo nemico è pratica scontata e prevedibile da parte dei governanti, non solo nel nostro paese, ma nell’intero globo. Quando poi l’efficacia di queste vessazioni risulta vana allora per distogliere lo sguardo della gente comune si ricorre al rendere roboanti temi di dubbio spessore al solo scopo di confondere e distrarre. Solo cent’anni fa sul massiccio veneto, proprio nel territorio bellunese ci si sparava a bruciapelo e ci si ardeva con i lanciafiamme su una sfortunata cima dal nome così evocativo. Uomini contro uomini. Italiani contro austroungarici. Abili tiratori a caccia della pelle di un avversario temibile ed astuto. La lunga dorsale nella quale si colloca non offriva grandi interpretazioni strategiche, con il burrone ad ovest e i ripidi prati verso la Val delle Mure e perciò non rimaneva che lanciarsi in assurdi attacchi

frontali e scannarsi con le baionette ed i coltelli se mai si fosse sopravissuti allo spaventoso fuoco di sbarramento e di distruzione. E così per tre feroci battaglie, da un autunno all’altro nel 1917 e nel 1918 ragazzi di vent’anni hanno conosciuto il freddo della neve, del vento e della lama avversaria conficcata nella pancia.

Oggi rimane una croce sulla cima e solo qualche resto di trincea, muretto a secco o di ferro ormai marcio sopporta il rigido clima della quota dei Solaroli. Chissà se i capi di stato di allora si sono fatti degli scrupoli a mandare al macello degli esseri umani nell’ennesima oscena guerra…chissà se si sono preoccupati dei morti, dei feriti mutilati, dei pianti, del dolore senza fine arrecato anche ai famigliari, agli amici di quei soldati. Chissà se lo fanno nelle guerre di oggi. Ma in fondo che importa? Orsi, cinghiali, lupi o uomini a cui si spara, fino a che sono nei

Storie di guerra ELETTRAUTO COSSALTER SNC di Cossalter Maurizio e Fabio Tel. e Fax: 0437.750840 Via dell’Artigiano, 38 Loc. Lentiai 32026 Borgo Valbelluna (BL) Italia E.mail: elettrautocossalter@libero.it
documentari o in tivù, sono lontani e non ci danno fastidio.

ATTENTI AGLI INFORTUNI E INCIDENTI DOMESTICI

Gli incidenti domestici, nel nostro paese, costituiscono una vera documentata emergenza che come sottolinea l'Istat, coinvolgono in primis le donne, perchè sono loro a prendersi cura della casa, poi gli anziani e infine i bambini. Secondo una delle ultime indagini il numero degli incidenti domestici supera addirittura quello degli incidenti stradali. Numeri, purtroppo che non accennano a diminuire. E i dati ci dicono anche che ogni anno, nelle case degli italiani, sono oltre 3 milioni gli incidenti che caratterizzano la nostra quotidianità con un numero di persone coinvolte che supera i tre milioni e mezzo, tra cui circa 600mila casalinghe. In base alle analisi condotte la stragrande maggioranza degli infortuni, quasi sempre, sono legati ad aspetti quali cadute dalla scale o da sgabelli, ferite da taglio, scivolamento, urti, schiacciamenti, ecc. Quelli, però, che sono cima alla “classifica”e che riguardano oltre io 40% del totale, avvengono in cucina che vedono come

grandi protagoniste le ferite da taglio, più o meno gravi e le scottature. Particolare menzione meritano anche gli infortuni dovuti a scosse elettriche perchè, ogni anno coinvolgono oltre 200mila italiani. E l'istituto di statistica ci dice che gli infortuni tendono, sempre di più, a colpire anziani e bambini.

Ma dove avvengono principalmente gli incidenti domestici? Secondo i dati Istat e Siniaca tra i luoghi con maggiore frequenza c'è la cucina (36%), camera da letto (14%), scale (8%), bagno (8%, soprattutto a causa di scivolamenti su superfici bagnate, oppure mentre si esce dalla doccia o vasca). Infine nei giardini e cortili (6%).

Purtroppo gli infortuni e gli incidenti domestici hanno un effetto decisamente diretto anche e soprattutto sulla nostra sanità in termini di cure, ricoveri e, non di rado di veri e costosi interventi chirurgici. Ma quali i consigli utili a prevenire gli incidenti più comuni? Molti sono i consigli e tra questi: fare grande attenzione quando si maneggiano coltelli o attrezzi da taglio o quando si esce dalla doccia o dalla vasca con i piedi bagnati; buona abitudine è quella di usare sempre il corrimano quando si scendono le scale, specialmente se non si è in possesso di

una buona mobilità e/o deambulazione; fare molta attenzione quando i bambini si avvicinano alle prese elettriche o in cucina, specialmente quando il il forno è acceso o ci sono pentole sul fuoco. Ed è buona abitudine conservare tutti gli oggetti pericolosi e taglienti impedendo ai bambini di prenderli e usarli. Idem per tutti i prodotti di una certa pericolosità quali i detergenti o sostanze tossiche in grado di provocare delle pericolose intossicazioni. Inoltre è sempre consigliabile avere in casa una fornitissima cassetta di pronto soccorso utile per agire con tempestività in caso di piccoli incidenti dovuti a un qualsiasi infortunio domestico. E' bene precisare che alcuni incidenti domestici possono essere causati non dalla propria volontà bensì da cause e concause che non di rado suggeriscono particolari approfondimenti. In questi caso è utile ed è consigliato rivolgersi a esperti o a strutture competenti, specialmente se gli infortuni contemplano tutele assicurative o specifiche forme di indennizzo.

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Da parte del Team Glorie Feltre – amici di Franco e Viviana - ci giunge questo articolo che volentieri pubblichiamo.

TRA SPORT, AMICIZIA, ALLEGRIA E SOLIDARIETÀ

Quando il calcio non ha età

Il nostro 1° ritrovo, con l’inaugurazione del Team Veterani Glorie Feltre, si è svolto negli impianti sportivi Fisterre di Belluno, il 26 Dicembre 2005, dando così vita alla folcloristica “giocata” fatta sul campo di Murle di Pedavena nel 1990, nata proprio da una scommessa tra’ il mister Franco delle allora “Glorie Fiat Ferrazzi Feltre” e denominata “Auguri coi amighi de Franco” e il vice GianFranco Todesco, nel voler disputare, a tutti i costi anche se continuava a nevicare e stare insieme e in compagnia, una partita amichevole con i Veterani Bassano ed egregiamente diretta

invitando per l’occasione il Team Mega Pix di Sedico capitanati dal portiere Ivo Capraro e i Veterani calcio Belluno del nostro amicone GianCarlo Zampieri e il grande e mitico portiere Giovanni Bubacco. Ebbene, arrivati quest’anno al 31° ritrovo

dedito

storia

denominata la “SMATEDADA” promuovendo questa iniziativa formulata da anni, rispolverando le nostre buone abitudini di condivisione trà i tanti nostri amici con il tradizionate motto: “quando il calcio non ha età“ riuscendo così a mantenere e coinvolgere nel gioco giovani e meno giovani tutti uniti dalla “vera” passione del pallone. Rimanendo sempre nell’ambito solidale il ricavato della Manifestazione 2022, è stato devoluto alla Cooperativa “la Birola” di Farra di Feltre.

dall’arbitro Giuseppe Moretto. La partita, con 20 centimetri di neve, terminò senza gol, ne vinti ne vincitori e da allora, la tradizione si è mantenuta sui campi verdi fino all’inaugurazione dell’Associazione Calcio Veterani Glorie Feltre nel 2005, avendosi lasciato alle spalle il calcio dilettantistico, intraprendendo quello amatoriale e per l’occasione, si disputò la 1ª giocata al coperto, sempre il giorno 26 Dicembre, ospiti agli impianti sportivi Fisterre a Belluno,

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alla dei classici Auguri di Santo Stefano e alla 17ª Manifestazione

Tutti gli invitati simpatizzanti delle Glorie Feltre e degli amici di Franco e Viviana, si sono ritrovati di primo mattino lunedì 26 Dicembre per i sorteggi e gli incontri delle sei squadre. E’ seguito, nel primo pomeriggio, l’appuntamento nel salone delle Case Rosse a Foen per gli Auguri, brindisi, festeggiamenti, il conviviale e la disputa del classico “Torneo ai rigori“ organizzato per tutti i partecipanti e he grande successo ha avuto negli anni. Per l’occasione sono arrivati, il grande amico “ Luca “ Talamini da San Vito di Cadore, gli amici storici Slongo, Colletta, Capraro, Bellotto e tanti ma tanti altri grandi amiconi. Per la cronaca sportiva ha vinto:

1° Foen – 2° Villabruna, 3° il Lamen, ed infine a pari merito Arson, Lasen e Vignui. Premiati: “miglior giocatore” Filippo Marchetti, “capocannoniere” Simone Rampanelli con ben 6 reti,

“miglior portiere Ivo Capraro” con soli 2 gool subiti su 4 partite, premiato il “giocatore meno giovane” Salvatore Colletta e il “più giovane” Andrea D’Incau, ed infine, premiata “ragazza IN” Serena Gaz. Ai rigori è salito sul podio Enrico Nardino – secondi a pari merito, Giuseppe Vedana e Davide Dal Cortivo.

E’ stata questa la giusta occasione non solo per ritrovarsi in tanti e scambiarci i classici e tradizionali Auguri nel giorno di Santo Stefano, ma anche per riproporre un appuntamento all’insegna di un “torneo” oramai diventato storico e grazie al quale si “rivive e si rigenera” quella meravigliosa, magica e “unica” amicizia che da anni ci unisce.

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Gioconda Belli

Forse meno conosciuta rispetto ad altri scrittori latinoamericani, ma non per questo con una carriera e una storia meno interessante e incisiva, Gioconda Belli è una delle voci più importanti della letteratura nicaraguense. Nativa proprio di Managua, capitale del paese, Belli oltre ad essere una poetessa raffinata e una scrittrice coinvolgente, rappresenta anche la testimonianza vivente e scritta di un grande pezzo di storia della sua nazione, ossia la dittatura di Somoza. Il Nicaragua è rimasto infatti in mano ad un governo dittatoriale fino al 1979, anno della rivoluzione sandinista che ha riportato nel paese finalmente un regime democratico. Eventi di cui Belli non è stata solamente spettatrice come cittadina, ma anche partecipante attiva. Sebbene infatti la sua agiata famiglia d’origine e il suo matrimonio in giovane età non l’abbiano per niente spinta verso l’ambiente rivoluzionario, è proprio la scrittura ad averla aiutata a prendere vera coscienza del clima politico del suo paese. Attraverso infatti gli ambienti artistici della capitale, da giovane madre di famiglia con un modesto impiego la Belli si è convertita nel tempo in una delle intellettuali più conosciute del suo paese. Ma questa sua

crescita come artista si è accompagnata presto anche alla sua partecipazione sempre più attiva nel Movimento Sandinista, il gruppo ribelle che in Nicaragua resisteva contro Somoza. Da semplice simpatizzante fino a diventarne parte integrante, la scrittrice negli anni ha contribuito alla rivoluzione in diversi modi: nascondendo ricercati, passando informazioni e perfino col contrabbando d’armi. Un impegno che l’ha portata più volte nel radar della polizia politica, che dopo averla pedinata e messa sotto interrogatorio diverse volte, arrivò a decidere di arrestarla, destino a cui la Belli è sfuggita con l’esilio in Messico. Nelle sue opere si può trovare quindi una testimonianza lucida e umana, di certo non ipocrita, della sua esperienza di vita sotto la dittatura, nonché di cosa significhi lottare e decidere di rischiare la propria vita per un’ideale di libertà e cambiamento. Ma le opere della Belli non sono famose solo per il loro sapore politico, ma anche per la forte impronta femminista e le conseguenti riflessioni a riguardo, di certo molto avanti rispetto alla società in cui si è trovata a vivere. Cresciuta infatti in un ambiente in cui il ruolo della donna era saldamente ancorato a quello della sfera famigliare, Belli si è ritrovata molto presto a rivestire dei panni scomodi, che la portarono a discostarsi dalla visione di femminilità che le era stata cucita addosso. Prima con lo scandalo di un divorzio, poi con una vita amorosa

vivace, nonché infine con la partecipazione in prima fila agli eventi politici del suo paese.

Una delle opere che raccoglie tutto questo, dall’esperienza politica di Belli fino alle sue riflessioni sul suo ruolo di donna, è sicuramente il suo più famoso romanzo, La donna abitata. Un viaggio tra passato e presente che ricalca l’esperienza di Belli come simpatizzante rivoluzionaria, il suo amore per un appartenente allo stesso gruppo e la crisi interiore che questa esperienza politica ha portato con sé. Una storia che oltre a portare la protagonista a riflettere sul suo futuro, legato a doppio filo a quello del suo paese, la porta a riconnettersi a sé stessa per riscoprire le sue radici.

Indimenticabile invece per la sincerità e la profondità, è sicuramente anche il Il paese sotto la pelle, una vera e propria autobiografia della scrittrice, dove con trasparenza e amore ripercorre la sua vita tra successi letterari, militanza politica e drammi personali. Gioconda Belli perciò rappresenta una voce e penna unica, capace di raccontare nelle sue opere la complessità del suo essere una donna avanti nel tempo, desiderosa di combattere per ciò in cui crede e di liberarsi delle catene in cui la società patriarcale l’ha imprigionata. Solo uno dei tanti motivi per scoprire le sue meravigliose opere.

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Il
Benvegnù
personaggio di Francesca

Trichiana in cronaca di Alex De Boni

“Difendi la tua salute e la tua terra”

che praticano una sana agricoltura in armonia con l’ambiente”.

Si è tenuto a Trichiana un partecipato incontro sul tema “difendi la tua salute e la tua terra: quale futuro per l’agricoltura bellunese?

Un progetto per Casteldardo (Borgo Valbelluna) che guardi oltre i vigneti intensivi”.

L’incontro, organizzato dal comitato cittadini per una sana agricoltura e dalle associazioni Le Fregole e La Voce dei Borghi, è stato moderato dal giornalista Ilario Tancon.

L’agronomo ed agricoltore Carlo Murer ha spiegato come dal punto di vista ecologico la monocoltura di vigneti crea uno squilibrio tale da rendere vani gli sforzi per la conduzione in biologico delle terre, perché la monocoltura non è naturale e necessita di azioni esterne per mantenerla produttiva. “Io sono qui per difendere il diritto dei miei bambini a crescere in un ambiente sano. Diritto che vedo oggi messo in pericolo dall’avanzata dei vigneti per il soddisfacimento di interessi economici di pochi. La monocoltura, la viticoltura intensiva e convenzionale, non possono che portare ad un generale impoverimento della qualità della vita della popolazione, un deterioramento delle condizioni di salute ed uno svantaggio per le aziende agricole locali

Il dottore Ernesto Rorai, medico endocrinologo dell’Associazione Italiana Medici per l’Ambiente, ha illustrato i motivi per cui gli interferenti endocrini agiscono a dosi bassissime, ed ha riassunto le malattie ed i danni alla salute più comuni determinati da queste sostanze molto comuni nell’ambiente. Purtroppo la medicina è costretta ad inseguire nella ricerca, in quanto i danni causati alla salute da nuovi prodotti e pesticidi, si manifestano anni dopo il loro utilizzo. Emanuele Prest ha illustrato il fenomeno che comporta il riscaldamento dell’atmosfera terrestre (effetto serra) e l’opportunità di arrivare, anche per la provincia di Belluno, alla carbon neutrality, che si realizza quando le emissioni di gas serra sono compensate da una pari quantità di emissioni ridotte. Siena è riuscita a raggiungere questo risultato e la relativa certificazione, che utilizza per pubblicizzare la sua accoglienza turistica. Infine Danilo Gusatto ha presentato con una serie di foto l’inquadramento storico ambientale di Casteldardo, sito di alto pregio ed attraversato dal torrente Ardo che a monte include i conosciuti Brent de l’Art.

Pacato e propositivo il dibattito, che ha visto fra i vari interventi i saluti del Sindaco Cesa che ha relazionato circa l’incontro avuto con

la nuova proprietà, la società agricola Antiche Terre dei Conti srl controllata dalla famiglia Perin, il cui core business è la produzione di generatori di elettricità. In sala anche il sig. Simone Perin, che ha illustrato come intende intervenire sui 51 ettari di terreno acquistati a Casteldardo.

L’azienda agricola intende mantenere a seminativo ampie superfici, con coltivazioni di varietà antiche di grano e di altre graminacee, mentre su 20 ettari intende piantumare circa 20 ettari di varietà resistenti di vitigno in conduzione biodinamica e varietà antiche e autoctone di altre piante da frutto. Sentiti e pieni di esperienza vissuta gli interventi dell’associazione stop pesticidi ed il comitato mamme di Revine. Conclusioni tratte dal consigliere comunale di Borgo Valbelluna Dario Dal Magro, che ha condiviso la proposta di costituire a livello comunale una commissione che comprenda rappresentanti del comitato cittadini per una sana agricoltura. Un tavolo di dialogo con la famiglia Perin affinché i buoni propositi dichiarati vengano realizzati. Con una chiusa provocatoria: visto che in zona ci sono già 60 ettari di vigneto non biologico, perché non evitate di impiantare ulteriori viti?

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Esenzione del bollo auto nel VENETO

Secondo le nostre vigenti leggi, il pagamento del bollo auto è riservato a tutti coloro che possiedono un veicolo iscritto nel registro di immatricolazione con l’eccezione di coloro che rientrano nelle categorie beneficianti di un’esenzione, totale o parziale Secondo le disposizioni di legge vigenti e in vigore anche nel Veneto, il pagamento quindi è obbligatorio per per tutti i veicoli con età inferiore ai 30 anni. Per le auto con più di 30 anni, (ma non a uso professionale) definite “d'epoca e di interesse storico”, è sufficiente pagare la sola tassa di circolazione che ha un costo di circa 30 euro all'anno. E parlando di eccezioni, sono esenti dal pagamento bollo tutti i veicoli destinati alla mobilità di soggetti portatori di handicap, invalidi, o disabili. Sono altresì esenti i veicoli adibiti al trasporto delle persone anziane di proprietà delle organizzazioni di volontariato o delle associazioni di promozione sociale iscritte entrambe al registro regionale; quelli utilizzati per prestare servizi utili alla comunità, come ad esempio i mezzi

destinati al soccorso, alle attività di spurgo o alla raccolta rifiuti, oppure gli autoveicoli esclusivamente destinati, da enti morali ospedalieri o da associazioni umanitarie, al trasporto di persone bisognose di cure mediche o chirurgiche, quando siano muniti di apposita licenza; E sempre in Veneto sono esenti anche i veicoli elettrici e ibridi. I primi sono esentati per i primi cinque anni alla prima immatricolazione, i secondi per le prime tre annualità di bollo (che possono non coincidere con l’anno solare).

Tornando nelle esenzioni per disabili, invalidi o portatori di handicap, è bene evidenziare a chi spettano e quali sono o indicate le categorie di persone:

1) Al soggetto UNICO intestatario/locatario/usufruttuario ecc. del veicolo al PRA, oppure - al familiare UNICO intestatario/ locatario/usufruttuario ecc. del veicolo al PRA che ha fiscalmente a carico il disabile;

2) Al soggetto con ridotte o impedite capacità motorie permanenti;

3) Al soggetto non vedente o sordomuto;

4) Al soggetto con disabilità psichica o mentale di

gravità tale da avere determinato il riconoscimento dell'indennità di accompagnamento. Rientra in questa tipologia il soggetto DOWN;

5) Al soggetto con grave limitazione della capacità di deambulazione o affetto da pluriamputazioni. E' importante sapere che dal 1° gennaio 2023 la domanda di esenzione dal pagamento del bollo auto per soggetti disabili va presentata alla Regione del Veneto Direzione Politiche Fiscali e Tributi attraverso l’apposito PORTALE BOLLO AUTO REGIONALE cui si accede mediante SPID o CIE e non più tramite gli uffici dell’Agenzia delle Entrate.

Nel caso in esame ovvero nelle esenzioni del bollo è sempre da evitare il “fai da te” ma è bene rivolgersi agli uffici competenti oppure ad una agenzia di pratiche auto che sono i soggetti competenti e in grado, non solo di dare i giusti e appropriati suggerimenti, ma anche di espletare, nel rispetto delle normative, quanto necessario per ottenere la propria esenzione al bollo.

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Il 17 gennaio è la Giornata mondiale della pizza di Nicola Maschio

È patrimonio UNESCO dal 2017

È

patrimonio UNESCO dal 2017, simbolo del nostro Paese da sempre, ma pochi sanno che ha una giornata internazionale dedicata. Stiamo parlando della pizza, dal 2010 riconosciuta anche ufficialmente come Specialità Tradizionale Garantita (STG). L’arte del pizzaiolo napoletano è ormai un’istituzione in tutto il mondo che, nel tempo, ha imparato ad apprezzarne la qualità, riconoscendo il tricolore anche nel piatto. Ed il prossimo 17 gennaio, con tanto di fotografie da condividere sui social, fantasia e ingredienti variegati, sarà proprio la Giornata mondiale della pizza. Per capirne veramente il significato, bisogna fare un piccolo passo indietro. Ovviamente la vera ricetta napoletana è quella nata sotto al Vesuvio, con la ricetta tradizionale che prevede pomodoro, mozzarella di bufala campana, basilico e olio d’oliva. Rigorosamente con la cottura nel forno a legna, altro elemento che fa veramente la differenza nel sapore finale del prodotto. Sulla paternità della pizza non ci sono dubbi: nata in Italia, oggi ne è diventata il simbolo. Ma quanto si è diffusa nel mondo? Se pensiamo che l’86% degli italiani nel nostro Paese la mangia almeno una volta a settimana e il 40% anche due o più – senza dimenticare il fatto che nella classifica stilata da Google nel 2021 delle parole più ricercate in internet, la ricetta della pizza appare nelle prime cinque posizioni – qualche dato più generale lo ha fornito il Sole 24 Ore, che lo scorso anno ha presentato la giornata mondiale. “Un piatto talmente iconico da meri-

tare addirittura un dominio dedicato sul web, ovvero “.pizza” – ha scritto la giornalista Maria Teresa Manuelli circa un anno fa. –Se nel 1984 erano disponibili solo sei domini di primo livello, ora chi registra un sito internet può scegliere tra più di un migliaio di alternative e gli amanti della buona cucina possono optare per .beer , .caffè e, appunto, .pizza. Al momento nel mondo ci sono più di 10mila siti internet con dominio .pizza, ma a sorpresa non è nel Belpaese che si concentrano: circa il 40%, infatti, è registrato negli Stati Uniti, cui segue l’Islanda, con un boom di registrazioni nel 2021, Canada e Germania”. Spostando nuovamente il focus sull’Italia, ogni anno vengono consumate un miliardo e mezzo di pizze, con la Margherita che è la “tipologia” più apprezzata nel nord del Paese e invece al sud, complice anche la più grande varietà di ingredienti, troviamo ai primi posti la Bufala e la Frutti di mare. Ma è negli Stati Uniti che i numeri sono impressionanti: ogni anno si mangiano più di tre miliardi di pizze, praticamente dieci chili a testa. Qualche altro dato: il record per infornare tre pizze è di 32 secondi, la pizza più cara del mondo costa ben 8.300 euro e ogni settimana, in Italia, ne vengono consumate mediamente 56 milioni.

In tanti, nel tempo, hanno provato ad

imitare la ricetta italiana, senza tuttavia riuscire a replicarla. Il picco di ordini i ristoranti lo hanno però sicuramente ricevuto in piena pandemia, quando l’asporto l’ha fatta decisamente da padrone: per evitare gli ormai storici assembramenti nei negozi o nei supermercati, in tantissimi hanno optato per un’ordinazione da farsi consegnare a casa. Ma anche tra le mura domestiche – e ne sono testimonianza le vendite record di farina e lievito – le famiglie si sono sbizzarrite con ricette di ogni tipo.

Insomma, la storia della pizza è stata scritta in modo indelebile in passato, ma nel prossimo futuro sarà altrettanto ricca ed importante. E per chi si stesse chiedendo quale è stata la prima pizzeria del mondo, ecco la risposta: si chiama Port’Alba ed ovviamente si trova a Napoli. Aperta nel 1738 per rifornire i venditori ambulanti di pizza, successivamente si dotò di tavolini e sedie per la clientela. Ancora oggi, dal vecchio forno rivestito di pietra lavica, vengono sfornate pizze inimitabili, dal sapore unico.

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