Economia & Finanza di Emanuele Paccher
Nuovo crollo del Bitcoin:
è l’inizio della fine?
I
l Bitcoin è una criptovaluta e un sistema di pagamento creato nel 2009 da Satoshi Nakamoto. Diversamente da una valuta ordinaria, il Bitcoin non ha alle sue spalle una Banca centrale che distribuisce nuova moneta. Dietro di sé ha solo varie reti di computer che gestiscono la distribuzione della moneta virtuale e utilizzano una forte crittografia per validare e rendere sicure le transazioni. In pochi anni ognuna di queste monete virtuali è arrivata a valere oltre 60 mila dollari. Ai primi di novembre 2021 è stato raggiunto il massimo storico sfiorando i 70 mila dollari. Le proiezioni puntavano sul fatto che entro fine anno si sarebbe potuta raggiungere quota 100 mila dollari, e da lì era ricominciata la cosiddetta “Fomo” (fear of missing out), la paura di restare fuori dalla grande corsa. Tuttavia le rosee stime hanno iniziato ben presto a disgregarsi. A maggio 2022 il Bitcoin è tornato sotto quota 30
mila dollari, cosa che non accadeva dal luglio del 2021. Oggi il suo valore è più che dimezzato rispetto a pochi mesi fa. La domanda sorge spontanea: è l’inizio della fine? Occorre comprendere prima di tutto che il Bitcoin non è una moneta. Esistono negozi e piattaforme che accettano la criptovaluta come mezzo di scambio, ma l’utilizzo come strumento per acquistare beni è marginale. Questione più complessa è la considerazione del Bitcoin come un bene rifugio, come l’oro ad esempio. I beni rifugio sono quei beni che preservano la loro ricchezza nel tempo e, in periodi di inflazione, conservano il loro intrinseco valore reale. Satoshi Nakamoto ha creato un protocollo secondo il quale l’estrazione di Bitcoin si riduce nel tempo, con cadenza costante e secondo un calendario già stabilito, rendendo sempre più scarsa la disponibilità della moneta virtuale. Si può quindi ipotizzare che nella
mente del suo creatore il Bitcoin sia stato creato con l’obiettivo di divenire un bene rifugio, ma nella realtà dei fatti sono la domanda e l’offerta che comandano: se un bene è scarso ma la sua disponibilità è maggiore di quella che è la sua domanda, la moneta smetterà di guadagnare valore, e anzi potrebbe perderne. A ciò si aggiunga il fatto che il Bitcoin negli ultimi anni ha mostrato una volatilità troppo elevata per garantire la stabilità necessaria per fissare i prezzi al consumo. Per comprendere il problema si pensi all’ipotesi in cui uno Stato adotti il Bitcoin come valuta ufficiale: oggi la vostra busta paga varrebbe la metà di novembre 2021. Infine, va constatato come questa criptovaluta stia attraversando un periodo di forte svalutazione proprio quando l’inflazione sta andando forte. Tutt’altro che un bene rifugio, almeno per il momento. Tuttavia, negli ultimi anni il Bitcoin ha iniziato ad entrare nei portafogli azionari di soggetti istituzionali e di fondi, mostrando di agganciarsi ai maggiori indici americani. Evidente è la correlazione con l’andamento del Nasdaq, che negli ultimi sei mesi ha perso il 25%. Direttamente o indirettamente, Bitcoin ha reagito male all’inflazione, all’incertezza internazionale, alla stretta monetaria della banca americana. Proprio come un qualsiasi altro asset di rischio. Scenario lontano da quello immaginato da Nakamoto, ma, mischiando il testo di un paio di canzoni di Battiato, cambiano le prospettive al mondo, e si aprono sempre nuove possibilità.
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