Valsugana News n. 3/2020 Maggio

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ANNO 6 - maggio 2020

Periodico gratuito d’informazione e cultura

“I nostri veri eroi” Ospedale San Lorenzo di Borgo La donna nella Storia Francesca Romani Degasperi Le verande Finstral

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L’Editoriale di Laura Mansini

Cambiare per crescere F

orse si sta raggiungendo il picco di quest’enorme pandemia di un virus fino ad ora sconosciuto, appartenente alla famiglia dei corona virus chiamato Covid-19. Quando usciranno queste mie riflessioni spero saremo in fase di decrescita e la fine di questo terribile incubo sarà più vicina. Potremo uscire di casa, ma con giudizio, potremo iniziare tutti a lavorare, ma facendo molta attenzione, potremo tornare a trovarci con gli amici…ma con le mascherine e tenendo le distanze. Questo lo si evince osservando che cosa sta accadendo in Cina. E sarà un momento felice, forse come mai prima; ritrovare il piacere di camminare per strada, nei parchi, sulle spiagge, ma ritrovare anche la gioia di tornare a casa, fra le quiete pareti domestiche, che in questi mesi abbastanza claustrofobici, ci hanno riparato e protetto, ma che a volte certamente abbiamo odiato. Tuttavia niente sarà come prima. Nessuno potrà ridarci le persone care che ci

hanno lasciato, abbiamo perso quell’assurda convinzione di poter gestire la nostra vita e soprattutto capiremo che chiudere i confini per non fare entrare coloro che, fuggendo da un inferno forse peggiore del nostro, sperando in una vita migliore nella nostra civilissima società, è una follia. Il Virus ci ha insegnato che non esistono confini, classi sociali, ideologie; siamo tutti fragili. Ci ha insegnato soprattutto il valore dello studio, della scienza , della cultura e della generosità. Da qui si deve ripartire per non cadere in un grande baratro. Ricordiamo il tempo in cui se non eri “studiato” non eri nessuno, poi siamo passati negli anni 70 all’eccesso di studiati, di medici , che il grande Alberto Sordi ha evidenziato con lo splendido film “I dottor Tersilli, medico della Mutua”. Difficile raccontare la nostra storia contemporanea, difficile capire come si sia arrivati all’eccesso di rifiuto della cultura, all’idea che si possono fare soldi anche senza troppi studi, aiutando la politica, non sempre chiara nelle

proprie decisioni, a scelte non felici, soprattutto sulla sanità. Oggi vediamo i risultati. Soprattutto nelle strutture perché, stranamente noi abbiamo i migliori medici, i migliori centri di ricerca, le eccellenze ospedaliere, con un giusto rapporto pubblico privato eppure non sono state valorizzate economicamente, tanto che i nostri giovani sono stati costretti ad emigrare e li troviamo inseriti come eccellenze nelle massime sedi internazionali. Siamo Italiani, siamo stati grandi, grandissimi, eppure sembra che nel tempo ci siamo dimenticati del nostro valore. Forse ci si è dimenticati che sono necessari studi, idee, progetti seri e non ideologici, per aiutare un paese a crescere. Siamo Italiani e quello che a volte la politica non riesce a capire, lo capisce il “popolo” che, un po’ cialtrone, un po’ arraffone, ma molto generoso ed intelligente sa ritrovare idee, spirito di collaborazione, soluzioni, nel momento del bisogno e si riunisce creando delle situazioni straordinarie, pur rimanendo fondamentalmente un po’ anarchico. Siamo Italiani.

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SOMMARIO ANNO 6 - MAGGIO 2020 DIRETTORE RESPONSABILE Armando Munaò - 333 2815103 direttore@valsugananews.com VICEDIRETTORE Chiara Paoli - Elisa Corni COORDINAMENTO EDITORIALE Enrico Coser COLLABORATORI Waimer Perinelli - Roberto Paccher - Erica Zanghellini Katia Cont - Massimo Dalledonne - Francesca Gottardi Maurizio Cristini - Laura Mansini - Alice Rovati Giorgio Turrini - Laura Fratini - Patrizia Rapposelli Zeno Perinelli - Adelina Valcanover - Veronica Gianello Giampaolo Rizzonelli - Mario Pacher CONSULENZA MEDICO - SCIENTIFICA Dott.ssa Cinzia Sollazzo - Dott. Alfonso Piazza Dott. Giovanni Donghia - Dott. Marco Rigo EDITORE - GRAFICA - STAMPA Grafiche Futura srl Via della Cooperazione, 33 - Mattarello (TN)

PER LA TUA PUBBLICITÀ cell. 333 28 15 103 direttore@valsugananews.com info@valsugananews.com Registrazione del Tribunale di Trento: nr. 4 del 16/04/2015 - Tiratura n° 7.000 copie Distribuzione: tutti i Comuni della Alta e Bassa Valsugana, Tesino, Pinetano e Vigolana compresi COPYRIGHT - Tutti i diritti di stampa riservati Tutti i testi, articoli, interviste, fotografie, disegni e pubblicità, pubblicati nella pagine di VALSUGANA NEWS e sugli Speciali di VALSUGANA NEWS sono coperti da copyright GRAFICHE FUTURA srl e quindi, senza l’autorizzazione scritta del Direttore, del Direttore Responsabile o dell’Editore è vietata la riproduzione o la pubblicazione, sia parziale che totale, su qualsiasi supporto o forma. Gli inserzionisti che volessero usufruire delle loro inserzioni, per altri giornali o altre pubblicazioni, possono farlo richiedendo l’autorizzazione scritta all’Editore, Direttore Responsabile o Direttore. Quanto sopra specificato non riguarda gli inserzionisti che, utilizzando propri studi o agenzie grafiche, hanno prodotto in proprio e quindi fatta pervenire, a GRAFICHE FUTURA srl, le loro pubblicità, le loro immagini i loro testi o articoli. Per quanto sopra GRAFICHE FUTURA srl, si riserva il diritto di adire le vie legali per tutelare, nelle opportune sedi, i propri interessi e la propria immagine.

Editoriale 3 Sommario 5 Punto e a capo 7 I nostri veri eroi 9 La donna nella Storia: Francesca Romani Degasperi 12 Qui USA : Lotta al Covid-19 15 In Controluce 19 Umana-mente: l’isteria ai tempi del Covid-19 22 Ricordo di un’attrice: Lucia Bosè 24 La donna nella Storia: Nilde Jotti 25 Tra passato e presente: Roma caput mundi 27 Coronavirus e inquinamento 28 L’uomo, la religione e la cività 32 Studenti all’estero 33 Qui Pianete Terra: un mondo di plastica 34 Tra passato e presente: la quarantena e il Boccaccio 36 In giro per il mondo: il paradosso culturale 38 La pandemia e i giovani 39 LE VERANDE FINSTRAL 40 Il coronavirus, il giorno dopo 42 Amiamo il nostro pianeta 45 Ieri avvenne: 22 aprile, la giornata dell’infermiere 48 L’incendio a Beverly Hills 49 Società Oggi: la sicurezza sul lavoro 50 Fatti di casa nostra: Castel Ivano 53 La prima milionaria di colore d’America 58 In ricordo di un amico: Giancarlo Corradini 59 Ieri avvenne: un frate regicida 60 Storie di Ieri: Giovanni Ernesto Fante 62 Conosciamo il territorio: La Brenta 64 In ricordo di Paolo Caumo 65 Medicina & Salute : Coronavirus, sensazioni ed emozioni Henry Dunant e la Croce Rossa Medicina & Salute: il perdono a noi stessi e agli altri

Il Piano Marshall Pagina 20

Ieri avvenne: l’America di Via con vento Pagina 54

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Borgo Valsugana: la guerra in mostra 73 Le cronache locali 74 I nostri piccoli amici 75 La Storia in cronaca: Jurij Gagarin 76 Giocherellando 78

In ricordo di un amico: NereoFontana Pagina 57

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Punto e a capo di Waimer Perinelli

Il virus e la società

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osì parlò Giuseppe Conte: chiusa la fase uno, inizia la fase due. Si spegne la televisione rimangono, ansie, interrogativi, mancate risposte. Ci chiediamo come sarà la fase tre e se poi ci sarà una quattro. Il solo dato rassicurante è la crescita delle guarigioni indipendentemente dal numero dei contagi. Gli ottimisti pensano siano state trovate cure mediche efficaci, i pessimisti che rimangono meno anziani fra gli ammalati. Si aggrava intanto la salute della società e non saranno sufficienti demagogia e patriottismo a curarla. Il Covid 19 ha trasformato politici ed amministratori in scultori impegnati a modellare come creta la nostra convivenza. Prudenti lo sono, forse anche troppo quando decidono di non decidere affidandosi a commissioni di esperti, una quindicina, una per ogni soluzione possibile. Questo mese di maggio sarà banco di prova per la medicina, per l’economia e per la resilienza sociale. Dal giorno 4 è ripartita l’industria manifatturiera, il 18 maggio i negozi e gli allenamenti sportivi, i musei. A Roma la mostra nel cinquecentesimo anniversario della morte di Raffaello Sanzio rischia di essere la grande occasione perduta. Il primo giugno riapriranno i ristoranti, parrucchieri, estetisti....Un calendario ricco di appuntamenti con molte riserve e dubbi. Le decisioni del Governo agitano anche i rapporti con la Chiesa cattolica. In tempi non sospetti Don Ivan Maffeis, un trentino in Vaticano, ha chiesto fossero “normalizzate” le funzioni funerarie, non neghiamo ai vivi il ricordo, il rito di riconciliazione. : “Non importa ai morti della morte”, ha scritto Lucrezio Caro nel “De Rerum

Giuseppe Conte - Presidente del Consiglio dei ministri

Natura”, ma per chi resta la commemorazione fa parte della vita. Il governo Conte non si mostra indifferente ma saranno ammessi alle funzioni funebri solo 15 persone. A scuola ci saranno gli esami ma solo orali, non è noto se per snellirli e facilitarli. E su quale programma si faranno? La buona notizia è che nell’attesa saranno assunti 24 mila precari. Detto, non detto e contraddetto introducono nelle nostre case, diventate per reclusi, nuove ansie, che le misure economiche annunciate attenuano di poco. Tutti i servizi pubblici, le piccole medie imprese (PMI), di cui ci parla l’ingegner Scotoni, in altro articolo di questo numero, hanno bisogno di lavorare. A tutti sono stati promessi finanziamenti, occupazione, incentivi e meno tasse. Molte attività sono però cambiate. È cresciuto il

telelavoro, si è sviluppato del 207 per cento il commercio on line. Piccole realtà commerciali rischiano di essere travolte dalle grandi organizzazione di vendita e consegna a domicilio. Amazon ha assunto 100 mila persone, Apple fattura già 200 miliardi di dollari, Microsoft 134 miliardi, Face book 55. Dobbiamo produrre perché, anche se la Comunità europea ci aiuta, non possiamo pagare l’enorme debito con il solo altro debito. Sarà forse questa la fase tre fatta soprattutto di lacrime e sangue. Già in passato i governi hanno valutato e in molti casi attinto alla ricchezza degli italiani che com’è noto hanno grandi risorse in abitazioni di proprietà e qualche risparmio, tutti beni tassabili. Chi li possiede alla luce del sole pagherà per tutti. Non pagheranno quelli che i soldi li fanno emigrare all’estero senza trovare muri e filo spinato, accasandoli anzi in paradisi fiscali. Non pagheranno altri che non hanno mai pagato il dovuto e, pur pretendendo assistenza sanitaria gratuita, hanno fatto dell’evasione fiscale una ragione sociale. Dice bene Conte, se amate l’Italia restate a casa. Ma per molti non ci sarà più casa, mancherà il lavoro e sarà messa a dura prova l’attuale struttura della società.

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Gli angeli del Covid-19

di Armando Munao’

Medici, infermieri, Oss e operatori sanitari

I nostri veri Eroi

“I

o resto a casa”. È quanto i media giornalmente hanno ripetuto in questo particolare momento storico che sta vivendo il nostro paese. A ogni cittadino, infatti, è stato chiesto, nelle diverse forme e modalità, di fare la propria parte per evitare il diffondersi del virus e cercare di sconfiggere questo invisibile comu-

ne nemico. Ci sono state, però, e ancora ci sono, tantissime persone che a casa non sono potute restare perché era loro specifico compito combattere, in prima linea, questa “pandemia” che è calata su di noi come un fulmine a ciel sereno. Il voluto riferimento è per i “fantastici”

camici bianchi e per chi opera nella pubblica sanità, che, con indefesso impegno, senza sosta e sforzi immani si sono adoperati per proteggerci e garantire la nostra salute. E l’hanno fatto consapevoli del concreto rischio di essere infettati e subire, non di rado, le estreme conseguenze. E hanno dato la loro vita perché molti potessero vivere.

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Gli angeli del Covid-19

Stando, infatti, ai dati aggiornati dall’Istituto Superiore della Sanità, al momento sono oltre 17mila gli operatori sanitari contagiati dal coronavirus, con un’età media di 48 anni di cui quasi il 40% di sesso maschile. Una lista, che oltre ai medici, sia quelli in pensio-

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ne, che hanno risposto all’appello di rientrare al lavoro, e sia quelli in attività, comprende Oss, infermieri, operatori ospedalieri e farmacisti. E purtroppo sono anche i numeri dei decessi che ci quantificano il “triste” bilancio che li ha coinvolti. Secondo

quanto scritto nel sito delle Federazione nazionale degli Ordini dei medici sono 150 i camici bianchi che hanno perso la vita di cui 51 i medici di famiglia. A questi vanno aggiunti 38 infermieri, 24 operatori socio-sanitari (Oss) e 15 farmacisti.


Gli angeli del Covid-19 Una vera “tragedia” sanitaria che ha colpito e purtroppo ancora colpisce coloro i quali quotidianamente lottano per salvaguardare la vita altrui. Uomini e donne che senza dubbio alcuno possono essere paragonati a soldati in trincea contro un nemico potente che al momento sembra non lasciare scampo. Per loro una battaglia in prima linea, non di rado combattuta senza efficaci armi, con materiali scadenti e con strutture non sempre all’altezza della situazione, supportati e sostenuti solo dalla loro preparazione, dal loro altruismo e dal loro coraggio. E cosa dire degli addetti all’autoambulanza, di questi encomiabili soccorritori che 24 ore su 24 garantiscono il trasporto e la

continua presenza e assistenza. Raramente ci siamo accorti, come in questa sciagura del coronavirus, che l’abnegazione dimostrata da tutto il personale sanitario non ha avuto eguali. Ecco perché, in questo grande universo sanitario, desidero richiamare l’attenzione dei lettori e di tutti i valsuganotti, su quanto fatto dall’ Ospedale San Lorenzo di Borgo Valsugana – area Covid- che in questo particolare periodo ha saputo concretizzare, e nel migliore dei modi, l’essenza della competenza sanitaria e dell’essere al servizio del paziente e dei meno fortunati. Medici, infermieri, Oss, addetti alle autoambulanze, paramedici e personale amministrativo, meritano la nostra

riconoscenza e gratitudine perché, nella quotidianità dell’emergenza e in questi difficili momenti, oltre alle loro specifiche competenze e cura degli ammalati, hanno saputo sostituire gli affetti familiari, impossibilitati ad essere accanto ai loro congiunti, infondendo ai degenti particolare vicinanza umana e sostegno morale. E anche se la guerra contro il Covid19 dovesse continuare, come purtroppo sta avvenendo, noi siamo certi che in tutte le strutture sanitarie nazionali e quindi anche in quella di Borgo Valsugana ci saranno sempre, accanto a noi, i nostri angeli custodi e “nostri veri eroi”. A Loro, di vero cuore e con immensa riconoscenza, un grande GRAZIE.

o Valsuo da una operatrice sanitaria del San Lorenzo di Borg Riportiamo questo breve pensiero che è stato scritt la sua ma ire, sissimo turno. Certo, avrebbe dovuto è voluto dorm gana, durante una notte insonne dopo un fatico i occhi le sofferenze e le pene altrui. mente continuava a rimanere in ospedale con negl vista, lascerà un altri, veramente impegnativo sotto tutti i punti di E noi siamo certi che questo tempo, dedicato agli no contro il ici, infermieri e Oss che hanno lottato e ancora lotta med , atori oper gli tutti in e lei in o segn lebile inde coronavirus. come andrà a finire. Nel bene e nel male, però, sai che uando un paziente varca quella soglia, non sai mai da una malattia ancora sconosciuta e che mette Tu lo accompagnerai in quel cammino, rappresentato tanta, ma tanta paura. o il suo punto di Sopporteremo con lui la fatica e la sofferenza. Sarem Noi, però, non avremo paura. Saremo la sua forza. a. stanz di avrà sarà la nostra o quella di un compagno riferimento. Dopo quella porta l’unica compagnia che a quelle le lasceremo vincere! Perché dietro a quelle maschere, non noi ma oni, padr da no faran la tezza incer , Paura quella porta molleranno mai. Lotteranno per vincere e per far sì che armature, ci sono , Oss ,infermieri e medici che non funzioni anche in uscita. nti. ggeremo la vittoria comune e saremo sempre conte E per ognuno che guadagnerà la via di casa noi feste non tutto che ne inzio ale, con lacrime e tristezza, ma con la conv Per chi invece ci lascerà, avremo di lui un ricordo speci è stato inutile ! ne sono emo più ricchi e più forti, consapevoli che quelle perso Ogni volta perderemo qualcosa, ma ogni volta ne uscir li, come gnar mpa tante cose e noi abbiamo avuto la fortuna di acco state genitori, nonni ,fratelli,sorelle,amici. Sono state ti e siamo tutti amici. fossimo parenti ... perché in covid siamo tutti paren e paure, ma forti e consapevoli, con tutte le nostre fragilità, le nostr E tutti noi ne usciremo e rinasceremo. E saremo più avuto e ha. estremamente grati per la vita che ognuno di noi ha . i dei pazienti e veri nemici di questo maledetto virus amic o E quindi possiamo dircelo: al San Lorenzo siam : do mon il momento e come ormai echeggia in tutto Buon lavoro a tutti i colleghi che condividono questo ce la faremo, andrà tutto bene !”

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Il personale del reparto Covid dell’Ospedale San

Lorenzo di Borgo Valsugana

Si ringrazia Loretta Capri ed Enrico Lenzi per la gentile concessione delle foto

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La donna nella Storia di Waimer Perinelli

Francesca Romani Degasperi Una grande donna di Borgo

Di lei si è scritto poco, la sua figura è stata sempre data per scontata e quello che conosciamo emerge soprattutto dagli studi e memorie compiuti sulla vita del celebre marito e statista. Ma forse i fiori più belli sono quelli che vivono nella penombra

A

lcide Degasperi desiderava avere un figlio maschio. Ebbe quattro figlie l’ultima nata nel 1933, la chiamarono Paola. Racconta Cecilia, la terza, nata nel 1930, che la madre Francesca, tagliò corto ai desideri di Alcide e disse: “bé adesso basta ad aspettare sempre questo Paolo, chiameremo Paola lei.” Ecco il carattere vero di Francesca Romani, moglie di Degasperi, aveva 39 anni quando diede questa testimonianza di forza e determinazione. Era nata a Borgo Valsugana il 30 agosto del 1894. Figlia di un commerciante benestante che aveva avuto otto figli, tre dei quali morti da piccoli e un altro in Russia durante la grande guerra; i quattro rimasti hanno frequentato le scuole elementari di Borgo. “ La mamma, racconta Cecilia Degasperi in una conversazione del 2005 con il giornalista Giuseppe Sangiorgi, nel 1906 è stata iscritta nel prestigioso collegio delle dame di Sion, a Trento, nel quale le allieve dovevano parlare unicamente francese, anche a tavola e nei momenti liberi, ed é rimasta per cinque anni. Poi l’hanno mandata a Ninfenburg, in Germania, vicino a Monaco, a studiare il tedesco e poi l’hanno mandata a Brighton, in Inghilterra, a studiare l’inglese”. Un’educazione raffinatissima, data l’epoca, che ha certamente costruito la donna forte, libera ed indipendente dalla quale il giovane Alcide venne affascinato.

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1 novembre 1950 - Alcide Degasperi con la moglie Francesca e Giulio Andreatti (da giulioandreaotti.org)

Alcide Degasperi con la moglie Francesca (da Democrazia Cristiana)


La donna nella Storia to dalla politica, lei che aveva seguito anche un corso di dattilografia, ad aiutarlo trascrivendo a macchina i discorsi che Alcide scriveva a mano. E di questo Alcide le fu sempre riconoscente. Francesca Romani con il marito Alcide Gasperi (da Pourfemme.it) La testimonianza dell’amore e collaborazione, è nelle lettere che le scrisse pubblicate con il titolo “Cara Francesca” dalla figlia Maria Romana nel 1999. Sono lettere scritte tra il 1921 ed il 1928 nel periodo Alcide Degasperi-con la moglie e le figlie Maria Romana, del fidanzamento Lucia, Cecilia e Paola (da Trentino Cultura) e primi anni di matrimonio. Nel carteggio mancano quelle scritte da Francesca, forse distrutte dalla donna stessa o andate smarrite. Non fu mai sottomessa e non le fu mai richiesto. Scrive Degasperi: “Ti voglio libera compagna, amica di pari iniziativa e indipendenza e nulla mi ripugna di più che il farti da maestro e di frugare nella tua coscienza”. Si erano sposati nel 1922, lei era più giovane di 13 anni. Egli era parlamentare ma la scelta di opporsi al fascismo gli costò molto cara. Fu condannato a quattro anni di reclusione Nel 1922 si sposa con Francesca Romani e trascorse in carcere 16 mesi. Sono nella chiesa arcipretale di Borgo Valsugana (da Slider Player) anni difficili, di ristrettezze economiche, in cui Francesca e le figlie si devono spostare da Roma al Trentino. Una donna in grado di rivestire un Cecilia racconta:” Quando papà è stato ruolo importante nella società, in in prigione la mamma prima è stata a molte professioni, ma che scelse Trento con le bambine, poi è andata a quello di moglie e amica accanto Borgo Valsugana a casa di sua madre al proprio uomo. La loro unione era che le ha mantenute perché lei non fondata sull’amore e forti di questo aveva niente. Queste persone aiutavasentimento sono cresciuti assieme no mia madre, che a sua volta aiutava nella società. Lui fin da giovane attira-

molto papà. Gli batteva le traduzioni a macchina, dell’amministrazione di casa si è sempre occupata lei, mio padre in casa non sapeva fare niente, zero, neppure un caffè, non sapeva dove erano le cravatte, non sapeva pagare l’affitto, faceva tutto la mamma. Lui dava i soldi alla mamma, anche quando era presidente del Consiglio le consegnava la busta senza sapere quello che c’era dentro e non tratteneva un soldo per sé”. Nel 1928 Alcide ottenne la libertà condizionata lavorò come traduttore e per alcuni anni, come collaboratore precario aggiunto, nella Biblioteca Vaticana. La situazione economica rimase precaria ma venne affrontata con coraggio e determinazione grazie all’affetto e all’intelligenza di Francesca. Doti riconosciutele dal marito. È lo statista a scriverle “ la nostra vita in comune è stata avventurosa e drammatica, ma siamo stati felici,” Francesca ha reso a sua volta testimonianza all’intelligenza di Alcide. “Mio marito - ricordava in una delle rare interviste concesse - si occupava e si preoccupava della gente; era un uomo che ha rappresentato l’ Italia senza fare l’ uomo di partito. La scelta democratica è stata la sua linea politica, accompagnata da un grande senso dello Stato, una totale onestà e una profonda religiosità”. Alcide Degasperi muore a Sella Valsugana il 19 agosto del 1954. Francesca proseguì con discrezione l’attività sociale e nel 1966 fu nominata presidente del comitato femminile della Croce Rossa italiana, e vi rimase per dieci anni. Nel 1998, all’età di centoquattro anni, Francesca muore a Roma. Questa donna intelligente, colta, preparata, ha scelto la famiglia, la casa: ha vissuto una vita piena, ma discosta dalla storia, entrandovi come compagna, amica di un uomo importante. Alcide scrive a Francesca: …sento che Dio mi dà in te il suo compenso e la sua benedizione. Tu sei il sovrabbondante premio di tutta l’opera mia”.

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Qui Usa - L’intervista a Francesca Gottardi di Armando Munao’

Lotta al Covid-19:

uniti si vince L

a pandemia da Corona Virus dimostra la fragilità umana anche nel mondo globale e tecnologico. Nel pianeta i contagiati sono stati quasi quattro milioni e trecentomila sono morti. I dati sono ancora relativi e già impressionanti. La nostra collaboratrice Francesca Gottardi vive nella pandemia che ha colpito gli Stati Uniti d’America dove sta maturando una grande esperienza culturale e professionale. In questo grande Paese il virus si è diffuso ovunque seppure in modo non omogeneo. Il 13 marzo il Presidente USA Donald Trump ha dichiarato lo stato di emergenza nazionale. Si è trattato di un cambio di rotta repentino, a seguito di un atteggiamento inizialmente restio e scettico. In poco più di due mesi si sono registrati più di un milione trecentomila casi e oltre 72.000 decessi. Finora più colpite sono le grandi città, in particolare New York, e gli Stati del New Jersey, Massachusetts, Illinois e California. La

situazione sembra ora migliorare. L’esperienza ci aiuta a capire l’importanza della solidarietà, della collaborazione e disciplina. Ci invita a cambiare la società a migliorare lo stato sociale e la sanità. L’ intervista a Francesca Gottardi I numeri ci dicono che gli Stati Uniti, purtroppo, sono ora diventati il primo Paese al mondo per casi di corona virus. Sono stati fatti errori nel contenimento e nel diffondersi del virus? Credo che gli Stati Uniti abbiano agito con un certo ritardo. Mentre in Asia e in Europa il virus divampava e le relative implicazioni risultavano sempre più chiare, qui i vertici al governo non sembravano preoccuparsene. Quasi come se negli USA il virus non sarebbe mai arrivato. Questo ritardo ha causato un rapido aumento del sottostrato della popolazione che nel frattempo è stato contagiato. Inoltre, i 50 Stati USA, che

Francesca Gottardi

godono di ampia autonomia decisionale, non hanno agito in modo coordinato tra loro. Questo ha comportato il crearsi di situazioni paradossali, dove per diverse settimane alcuni Stati erano in quarantena, mentre altri non avevano nessuna misura in essere. La pubblica opinione è del parere che il Presidente Trump abbia agito in ritardo e con superficialità all’inizio dei primi segnali di contagio? E poi, quali i provvedimenti? Inizialmente l’opinione pubblica si chiedeva come mai Trump non sembrasse preoccuparsi dell’arrivo del virus negli USA. Tra gennaio e marzo il Presidente ha rilasciato diverse dichiarazioni dove appariva chiaro che stesse sottovalutando la portata degli effetti del virus negli USA. (24 febbraio: “Tutto assolutamente sotto controllo negli USA”; 28 febbrario: “presto il Coronavirus, come

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Qui Usa - L’intervista a Francesca Gottardi

un miracolo, sparirà). Poi però, quando l’11 marzo l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha dichiarato il Coronavirus pandemia, Trump ha repentinamente cambiato rotta. Il 13 marzo ha dichiarato lo stato di emergenza nazionale, invitando gli Stati USA a prendere delle misure preventive ed impegnandosi a sbloccare i fondi necessari per rendere l’attuazione di tali misure possibile. Il 27 marzo il Congresso USA ha approvato il “Coronavirus Aid, Relief, and Economic Security Act” (“CARES Act”). Si è trattata di una manovra da 2.200 miliardi di dollari, e del pacchetto finanziario di aiuti più consistente nella storia americana. Prevedeva assegni pari a 1.200 dollari per ogni adulto e 500 dollari per bambino. Il CARES Act considerava inoltre sussidi a Stati e governi locali, aiuti per chi è rimasto senza lavoro e per le aziende in difficoltà e fondi riservati ad educazione e salute pubblica. E sempre in marzo, a sostegno dell’economia USA, la Federal Reserve, ovvero la banca centrale statunitense ha tagliato i tassi d’interesse con l’obiettivo di contenere gli effetti della diffusione del virus sull’economia. Alla luce dei nuovi numeri di contagiati come sta vivendo il popolo americano la pandemia coronavirus?

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Con un certo spirito di rassegnazione. Chi può lavora e studia in remoto. Si cerca di stare a casa il più possibile e di evitare uscite non necessarie. Certo, si esce per prendere una boccata d’aria, o fare un po’ di attività fisica, ma sempre prendendo le dovute precauzioni. L’utilizzo della mascherina non è obbligatorio, ma in molti la indossano quando si recano in luoghi pubblici. Quali sono state le misure intraprese dal governo Trump per arginare il diffondersi del contagio? Gli Stati Uniti sono un governo federale. Questo comporta che vi sia un’autorità centrale che però deve fare i conti con una forte autorità a livello dei singoli 50 Stati USA. Nonostante lo stato di emergenza, il presidente USA ha poteri limitati, molta più autorità d’azione hanno i governatori dei vari stati. La maggior parte degli Stati (chi prima, chi con molto ritardo) hanno emesso delle ordinanze intimando ai cittadini a stare a casa ed alle aziende ed università di andare in remoto. Solo supermercati e negozi che forniscono servizi ritenuti essenziali sono aperti al pubblico, con orari ridotti rispetto al solito. Sappiamo che la sanità, che è per lo più in mano alle assicurazioni

private, può causare serie conseguenze ovvero facilitare l’espandersi del contagio per il fatto che moltissimi americani non possono curarsi come dovrebbero. Di fronte all’epidemia Coronavirus assumono particolare rilevanza le conseguenze del persistente rifiuto degli USA di introdurre un’assicurazione sanitaria pubblica. La sanità negli Stati Uniti è infatti per lo più in mano alle assicurazioni private. Questo comporta che vi siano milioni di persone non tutelate appieno in caso di malattia, in quanto non in grado di pagare per un’assicurazione sanitaria. Il tema è molto controverso ed assume particolare importanza in luce della pandemia Covid-19. In caso di ricovero, chi pagherà? In un articolo del “Time” del 19 marzo, Abigail Adams ha stimato che le spese medie per trattare il COVID-19 in America possano arrivare a 34.000 dollari a persona. E pare che il governo federale si impegnerà a stanziare dei fondi per garantire a tutti un vasto accesso ai servizi medici Molte assicurazioni si sono inoltre impegnate ad agevolare i propri clienti affetti dal virus e ad assorbirne le spese. Ma c’è ancora molta incertezza sui dettagli di cosa sarà coperto e cosa no. Ed è vero che sono vietati tutti i


Qui Usa - L’intervista a Francesca Gottardi viaggi e spostamenti per turismo sia per l’estero che sul territorio nazionale? Per ora le limitazioni sono solo relative ai viaggi internazionali. Solo quelli ritenuti essenziali o urgenti non sono soggetti a restrizioni. Ad oggi (inizio maggio) vige ancora il divieto di ingresso negli USA per chi è stato in Paesi dell’area Schengen negli ultimi 14 giorni. Il divieto non riguarda i cittadini americani o gli stranieri con residenza permanente negli USA, che però devono comunque sottoporsi al loro arrivo alle disposizioni previste dal Dipartimento per la Sicurezza Nazionale. Vi è invece piena libertà di movimento di beni e persone tra i confini dei 50 Stati USA. Non ci sono restrizioni per gli italiani che desiderano lasciare gli Stati Uniti per rimpatriare in Italia, dove si dovranno attenere alle procedure adottate dalle autorità italiane. Il problema è di disponibilità di voli e della possibilità di un eventuale successivo rientro in USA. Gli USA sono un grande Stato federale. Le direttive del Presidente Trump posso essere discusse, cambiate a disattese dai vari Stati dell’Unione? Il Presidente può dare delle direttive generali. Fin tanto che tali direttive rientrano nei poteri (limitati) del Presidente durante lo stato di emergenza nazionale, devono essere rispettate dai vari Stati.

La pandemia da Covid 19 ha diffuso in tutto il mondo anche il “virus” della paura, dell’ansia sociale. Come hanno reagito gli americani? L’epidemia Covid-19 ha creato nell’immediato reazioni peculiari tra la popolazione USA. Nei supermercati sono scomparsi dagli scaffali disinfettanti, approvvigionamenti alimentari e…carta igienica. Non ci si spiega il perché. Forse un fraintendimento dei possibili sintomi del Coronavirus? Un comportamento comune in tutti i paesi del mondo. Gli Stati Uniti hanno avuto fenomeni particolari? Si. Il fenomeno peculiare degli Stati Uniti è stata la corsa alle armi riscontrata sia in alcuni tra gli Stati maggiormente colpiti dal virus, come California e New York, sia tra quelli più rurali e conservatori come l’Idaho, e l’Oklahoma. Si sono registrati picchi fino al 60% nell’acquisto di armamenti. Pare che il fenomeno derivi dalla paura di comportamenti irrazionali e violenti da parte dei propri concittadini in tempi di crisi, e dal timore di possibili azioni oppressive del governo federale. Come sarà il dopo virus? Questa è una domanda da un milione di dollari! Chi lo sa…in molti sperano che questa sia una presa di coscienza rispetto al bisogno di ampliare l’accesso

all’assistenza sanitaria in USA. Si spera inoltre che questa pandemia dimostri che nessuna nazione, neanche la più potente, è immune ad un’epidemia. Il mondo globalizzato ed interconnesso di oggi offre immense possibilità, ma il Covid-19 ci ricorda quanto il genere umano sia vulnerabile. Corsa alle armi ed altre reazioni inaspettate L’epidemia Covid-19 ha creato nell’immediato reazioni peculiari tra la popolazione USA. Nei supermercati sono scomparsi dagli scaffali disinfettanti, approvvigionamenti alimentari e…carta igienica. Non ci si spiega il perché. Forse un fraintendimento dei possibili sintomi del Coronavirus? La corsa alle armi è un altro fatto peculiare riscontrato sia in alcuni tra gli Stati maggiormente colpiti dal virus, come California e New York, sia tra quelli più rurali e conservatori come l’Idaho, e l’Oklahoma. Si sono registrati picchi fino al 60% nell’acquisto di armamenti. Pare che il fenomeno derivi dalla paura di comportamenti irrazionali e violenti da parte dei propri concittadini in tempi di crisi, e dal timore di possibili azioni oppressive del governo federale. Fonte dati casi COVID-19 : Worldometers, https://www.worldometers.info/ coronavirus/country/us/

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In controluce di Veronica Gianelo

Un tempo nuovo: cosa me ne faccio? Tempo, una parola che oggi più che mai ci rimbomba nelle orecchie. Perché non ce n’è mai abbastanza, perché siamo presi da tante, troppe cose ogni giorno, e il tempo ci scappa, ci sfugge dalle mani; un’altra giornata arriva a termine e non ce ne siamo neanche accorti. “Ah, se avessi tempo…”, e si spengono luci e pensieri ed è già ora di andare a dormire.

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on c’è tempo di chiederci chi siamo, o perché corriamo come i matti, non c’è tempo per chiederci “Ne vale la pena?”, non c’è tempo per un abbraccio, per un caffè che non sia al bancone, non c’è tempo per fermarsi a indovinare la forma delle nuvole. Carpe diem, direbbero gli antichi, cogli l’attimo, ma anche tempus fugit, il tempo fugge: chissà, forse erano confusi anche loro dalla misura del tempo, proprio come lo siamo noi? Perennemente tesi tra il desiderio di sfruttare al meglio le nostre giornate, di incastrare tutto, di vivere il momento per poterlo raccontare, e lo scorrere delle lancette che ci ricorda inesorabile che, mentre siamo impegnati a vivere e pensare, il tempo è già passato. E così questo carpe diem diventa quasi una minaccia, una corsa, l’unico traguardo possibile per sistemare la nostra vita. Eppure, forse, è proprio questa cognizione che abbiamo perso: il senso del tempo. E lo sapeva bene Zygmunt Bauman, che non ritrovava più l’uomo nel caos della modernità. Sappiamo dire cos’è importante? Sappiamo capire cosa merita più tempo e cosa meno? Sappiamo che il nostro tempo ha un valore? E soprattutto, sappiamo che, come suggerirebbe Tabucchi, il tempo invecchia in fretta? Sì, perché il tempo non passa ma invecchia, raggrinzisce, svanisce… È un tempo che passa,

tra sogni e incubi e poi si ferma, torna indietro e rende inquieto il presente, che torna a fuggire via. Eppure “c’è tempo, c’è tempo, c’è tempo”, cantava Fossati, talmente tanto che quando ce lo ritroviamo tra le mani… Non sappiamo cosa farcene. E diventiamo bambini, che davanti a un sacchetto di caramelle vivono delle piccole crisi esistenziali sulla scelta di quella da mangiare. Il momento storico che stiamo vivendo ci ha insegnato questo: rincorriamo in affanno il tempo, sospiriamo per averne un po’ di più, troviamo scuse per non impegnarci perché “tanto non ho tempo”, e quando all’improvviso ci viene regalato non sappiamo come gestirlo. Questa quarantena, questo #restareacasa, ci ha seduti di fronte al tempo. Tanto atteso, tanto desiderato, e ora? Alla fine questo tempo nuovo, questo tempo immobile spaventa, un po’ perché non l’abbiamo scelto, un po’ perché ci ha spiazzato. E allora c’è chi si rilassa, chi davvero riesce a riprendersi il proprio tempo, chi riscopre cose dimenticate, chi impara a giocare con i propri figli, chi a cucinare, chi a stare lontano da chi ama. C’è chi continua a farlo, chi dopo due giorni si stufa e non vede l’ora di uscire. C’è chi si ama, chi non si sopporta più, chi ogni giorno ringrazia. C’è un’Italia che riscopre il pane fatto in casa, un esercito di “copertina,

divano e film” che scopre di essere un atleta. C’è chi s’inventa un lavoro, chi un modo per strappare un sorriso. E si impara a disegnare, a contare, a dire “mi manchi”. Si riordinano cantine, si appendono fotografie, si impara che esistono altri modi di lavorare e che quel corso di aggiornamento sull’utilizzo del computer, forse, avrei dovuto seguirlo. Si sta su Zoom, su Facebook, si ha paura di restare tagliati fuori e di perdersi una diretta che t’insegni la vita. E allora le agende s’infittiscono di nuovo perché alle 8 c’è la colazione della famiglia felice, alle 10 c’è yoga alle 11 la seduta gratis online con il life coach, e di nuovo è già sera, ed è ora di spegnere luci e pensieri, e ancora non siamo riusciti ad acchiapparlo questo tempo. Ma allora che senso ha avuto tutto questo? Chiediamo che il mondo rallenti e poi, quando lo fa, corriamo per superarlo. Un tempo nuovo non è un tempo sprecato, e allora ecco che ci viene in aiuto la fisica che ci ricorda che il tempo è relativo, e ci insegna che non esiste un dentro o un fuori: siamo noi a decidere che valore dare al nostro tempo

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La storia di “Ieri” di Armando Munao’

Il Piano Marshall I

n quest’ultimo periodo, anche e soprattutto per effetto della particolare situazione sanitaria ed economica che sta vivendo il nostro paese, sempre di più, nei dibattiti televisivi e nelle pagine dei media, si parla della necessità di attuare un “Piano Marshall” che sostanzialmente possa aiutare l’Italia a uscire o limitare al massimo la crisi finanziaria che inevitabilmente vivrà il nostro paese quando il coronavirus, e ciò che ha causato e determinato, scomparirà dalla nostra quotidianità. Un evento che tutti noi ci auguriamo e che permetterà a tutte le aziende, siano esse commerciali, industriali e artigianali, di riprendere, seppur lentamente, la loro attività produttiva.

Molti conoscono già cosa è stato e cosa ha rappresentato, per tutte le nazioni coinvolte nella seconda guerra mondiale, il Piano Marshall. Questo mio scrivere, però, è volutamente indirizzato alle tantissime e a me carissime “zie Teresa” e ai loro mariti “gli zii Giuseppe” che rappresentano la stragrande maggioranza dei miei lettori e che di certo avranno sentito parlare del piano Marshall, ma forse non conoscono esattamente il perché è stato istituito e come è stato attuato alla fine della seconda guerra mondiale. Chiamato ufficialmente “Piano per la ripresa europea, o Programma europeo di recupero” fu uno degli interventi politico-economici che

George C. Marshall

il Segretario di Stato americano del presidente Henry Truman, George C. Marshall (già generale USA), annunciò il 5 giugno del 1947 e che fu, senza alcun dubbio, uno dei momenti più importanti nella storia della politica internazionale del dopoguerra. Nei suoi principi attuativi mirava, per decisione unilaterale degli Stati Uniti d’America (per la cronaca il Piano

Tabella esplicativa con gli aiuti derivanti dal Piano Marshall per ogni Stato Stato Austria Belgio e Lussemburgo Danimarca Francia Germania Ovest Grecia Islanda Irlanda Italia * Paesi Bassi Norvegia Portogallo Svezia Svizzera Turchia Regno Unito Totale

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1948/49 1949/50 1950/51 Totale (milioni di dollari) (milioni di dollari) (milioni di dollari) (milioni di dollari) 232 166 70 468 195 222 360 777 103 87 195 385 1 085 691 520 2 296 510 438 500 1 448 175 156 45 376 6 22 15 43 88 45 0 133 594 405 205 1 204 471 302 355 1 128 82 90 200 372 0 0 70 70 39 48 260 347 0 0 250 250 28 59 50 137 1316 921 1 060 3 297 4 924 3 652 4 155 12 731


La storia di “Ieri” ebbe il sostegno bipartisan sia dei democratici e sia dei repubblicani), alla ricostruzione dell’Europa e garantiva un massiccio finanziamento economico – si parla di circa 13 miliardi di dollari di allora- (oggi sarebbero stati oltre 140 miliardi) da destinare a tutte le nazioni che avevano partecipato al conflitto mondiale e che avevano subito enormi danni, sotto tutti gli aspetti. Nel suo particolare discorso Marshall ha sottolineato che tutta l’Europa avrebbe avuto bisogno, per 4/5 anni almeno, d’ingenti aiuti, non solo economici, da parte degli USA, e in mancanza dei quali il nostro Continente avrebbe vissuto giorni neri e tristemente bui sia sotto l’aspetto politico, ma soprattutto economico e sociale. E il 5 aprile 1948 il piano Marshall prese l’avvio e gli aiuti interessarono

concretamente, in primis le nazioni stata considerata come beneficiaalleate, Regno Unito e Francia, di poi ria, non solo rifiutò i finanziamenti, anche altre nazioni dell’Asse come l’Ima li bloccò anche per tutti i paesi talia e quelle che erano rimaste neudel blocco orientale, quali Polonia e trali, sebbene coinvolte nel conflitto Ungheria. E per contrapporsi al Piano mondiale. Dai documenti storici si è Marshall, l’URSS concretizzò un suo quantificato che furono 18 le nazioni piano economico, noto come Piano a beneficiare del piano Marshall. Il Molotov, che immise grandi risorse maggior destinatario degli aiuti fu economiche nei paesi che erano stati il Regno Unito che ricevette, fino al politicamente suoi alleati. 1951, circa il 25% del totale pari a 3.297, Il 2 aprile del 1948 gli Stati Uniti approvano il Piano Marshall milioni di dollari. All’ per l’Italia e l’Europa (da il Giornale di Salerno) Italia andarono 1.204 milioni, poco meno del 10%. La Francia ebbe il 18%, pari a 2.296 milioni e la Germania Ovest, 1.448 pari al 11%. I testi di allora ci dicono che l’Unione Sovietica, pur essendo

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Umana-mente di Chiara Paoli

L’isteria ai tempi del

Covid-19

La clausura ai tempi del Corona virus è dura da sopportare, non è semplice per nessuno rimanere chiusi in casa per il bene comune eppure ancora in molti, troppi non hanno capito le regole imposte.

C

iò appare chiaro ed evidente vedendo il numero di sanzioni fatte a persone che non sapevano giustificare i loro spostamenti. Gli appelli fatti da più parti non sempre hanno avuto effetto e si sono visti in giro ragazzini incontrarsi al parco per chiacchierare e anziani a passeggio e in coppia a fare la spesa. Per queste persone assai dure di comprendonio si è reso necessario mobilitare i Vigili del Fuoco che hanno iniziato a girare per i paesi e per le strade ribadendo le regole al megafono, così che potessero essere sentite anche nel profondo girone infernale dei sordi e degli ignavi. Stare chiusi in casa non è piacevole per nessuno e soprattutto non lo è per chi ha bambini o ragazzi e non ha uno spazio esterno per farli giocare come un balcone o un giardino. Le limitazioni alla nostra libertà di movimento fanno inacidire e incattivire i “leoni da tastiera”, che divengono quotidianamente denunciatori offensivi di chiunque vedano passare fuori dalla propria finestra. E i commenti di risposta più ricorrenti CDC-coronavirus nella beata ignoranza

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di tutte le direttive é: “che fastidio ti do se vado a fare due passi mantenendo le distanze di sicurezza?”. Ma forse questa gente non ha capito che se

tutti andassero a fare due passi nel proprio comune di residenza, a spasso ci sarebbero migliaia di persone che sicuramente non riuscirebbero a mantenere le distanze necessarie per evitare il contagio. E allora qui scatta una domanda spontanea. “Perché dovrebbero esserci cittadini di serie A che se ne infischiano delle regole andando a correre, passeggiare in montagna e farsi i giri in bici, mentre altri cittadini si dimostrano ligi nel rispetto delle regole chiudendosi in casa con i propri bambini?” Dallo scorso anno è stato reintrodotto nelle scuole l’insegnamento dell’educazione civica e in casi come questo, è evidente il bisogno di ritornare a mettere al centro il bene di tutti e non del singolo.


Umana-mente Dobbiamo pensare che a volte un piccolo sacrificio è necessario per il nostro bene e per quello di chi ci circonda. Se non si può andare a trovare i nonni, li si può vedere e salutare in video chiamata, non si può festeggiare il compleanno in compagnia, ma possiamo comunque ricevere gli auguri di tutti e mangiare una bella fetta di torta, magari fatta in casa. È brutto non poter uscire e non aver contatti con parenti e amici, ma non lamentiamoci troppo della nostra gabbia dorata, fatta di divano e televisione, computer e smartphone, libri e possibilità di cucinare manicaretti. Questo XXI secolo ha visto avanzare sempre più il singolo, a discapito della comunità e forse questa emergenza sanitaria servirà a farci riscoprire il senso del bene comune, oltre ad un tempo lento cui non siamo

più abituati. E quindi finalmente si conoscono i vicini di casa e dirimpettai, gli unici che vediamo dal balcone e con cui possiamo a debita distanza parlare per conoscersi finalmente dopo tanti saluti scambiati al volo nella fretta della quotidianità. In questo momento di emergenza sanitaria, vi sono anche grandi eroi che meritano un plauso, sono coloro che

stanno lavorando per curare ammalati e anziani, chi lavora nelle farmacie e nei supermercati per garantirci gli approvvigionamenti, trasportatori e operai che portano avanti la produzione, oltre alle forze dell’ordine che vigilano sul rispetto delle normative. A tutti loro va un grosso e sentito ringraziamento e a noi non resta altro da fare che #RESTIAMO A CASA

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Ricordo di un’attrice di Katia Cont

Lucia Bosè Icona del cinema anni ‘50, nata da una famiglia operaia il 28 gennaio 1931 a Milano, figlia di Domenico Borloni e Francesca Bosè, Lucia iniziò a lavorare come commessa nella nota pasticceria Galli di Milano quando venne notata da Luchino Visconti che le disse: «Lei potrebbe diventare un animale cinematografico». E fu così che dal semplice apprezzamento di un grande regista nacque una carriera cinematografica e mediatica di respiro internazionale.

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e porte del cinema le si aprirono dopo il 1947 grazie alla vittoria del concorso Miss Italia a Stresa. Alla stessa edizione parteciparono altre concorrenti divenute poi famose attrici: Gianna Maria Canale, Gina Lollobrigida (classificatesi rispettivamente seconda e terza). Il debutto nel cinema, col nome d’arte di Lucia Bosè, avvenne nel 1950 con “Non c’è pace tra gli ulivi” diretto da Giuseppe De Santis. Ebbe poi dei ruoli in alcuni film di Michelangelo Antonioni come “Cronaca di un amore” del 1950 e “La signora senza camelie” del 1953. Fu diretta da Luciano Emmer in “Parigi è sempre Parigi “del 1951 e nel film che le diede la celebrità, “Le ragazze di Piazza di Spagna” del 1952. La sua arte cinematografica si differenziò fin da subito, allontanandosi in breve dal mondo fatuo dei concorsi di bellezza e riuscendo ad imporsi come una grande protagonista del cinema, anche se poco premiata, dimostrando tutta la sua bravura al fianco di attori di primo piano come Alberto Sordi, Carlo Dapporto, Lauretta Masiero e Nino Taranto. Negli Anni Sessanta girò vari film sotto direzioni eccellenti, tra cui “Sotto il segno dello scorpione” di Paolo e Vittorio Taviani (1969), al fianco di Gian Maria Volonté, e “Fellini Satyricon” di Federico Fellini (1969), pellicola che guadagnò una nomination all’Oscar come miglior regista nel 1971. Tra i lavori più interessanti girati negli anni successivi meritano di essere menzionati “Nathalie Granger”(1972), diretta da Marguerite Duras, “Cronaca di una morte

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Lucia Bosè

annunciata” (1987) di Francesco Rosi, “L’avaro” (1990) di Tonino Cervi, “Volevo i pantaloni” (1990) di Maurizio Ponzi, “Harem Suare” (1999) di Ferzan Özpetek, e “I Viceré” (2007) di Roberto Faenza. Per quanto riguarda la sfera privata, la sua vita fu piuttosto tormentata: nel 1955 sposò il torero Luis Miguel Dominguín, da cui ebbe tre figli, Miguel, Lucia e Paola, e da cui però si separò nel 1967 a causa delle continue infedeltà del marito. Donna di cinema e di cultura, nel 2000 Lucia Bosè realizzò nella cittadina di Turégano, nei pressi di Segovia, in Spagna, un museo dedicato agli angeli, dove vennero esposte circa 80 opere di artisti contemporanei, la cui ispirazione le derivò da una passeggiata effettuata anni prima su Pon-

te Sant’Angelo a Roma, ma soprattutto dal suo particolare rapporto di amicizia con Pablo Picasso, che le dedicò dei piatti con gli angeli. Tra l’artista spagnolo e l’attrice italiana ci fu un rapporto di grande affetto e amicizia al punto che Lucia diventò un’importante collezionista con circa 40 opere. Una spiccata sensibilità verso l’arte che caratterizzò gran parte della sua vita, e che le permise di intrattenere rapporti di amicizia e condivisione affettiva anche con tanti altri illustri artisti del calibro di Ernest Hemingway e Salvador Dalí. Lucia Bosè era una donna che amava definirsi “ribelle”, è rifiutò sempre l’idea di essere uguale alle altre. La sua ribellione iniziò all’età di 10 anni, quando si tagliò le trecce per non uniformarsi allo stereotipo delle bambine dell’epoca, fino ad arrivare alla caratteristica chioma blu che l’ha accompagnata negli ultimi anni della vita. Una capigliatura nata dalle sperimentazioni della nipote, come dichiarò nel corso di una recente intervista alla trasmissione “Domenica In”, ma dalla quale si sentiva pienamente rappresentata, come se con l’avanzare dell’età il suo corpo dovesse esprimere visivamente il suo mondo interiore fatto dei suoi angeli e di una bellezza che alla fine le ha fatto mettere in secondo piano il cinema rispetto alla famiglia. Dopo una vita ricca di avvenimenti ed una carriera piena di soddisfazioni, Lucia Bosè ci ha lasciati lo scorso 23 marzo all’età di 89 anni, a causa di una polmonite complicata dal Covid-19 che l’aveva costretta al ricovero in ospedale a Segovia, in Spagna.


La donna nella Storia di Waimer Perinelli

Nilde Iotti “la Signora della Repubblica” “Io stessa - non ve lo nascondo - vivo quasi in modo emblematico questo momento, avvertendo in esso un significato profondo, che supera la mia persona e investe milioni di donne che attraverso lotte faticose, pazienti e tenaci si sono aperte la strada verso la loro emancipazione”.

È

il 1979 quando Nilde Iotti, appena eletta alla presidenza della Camera dei Deputati, pronuncia queste parole. È la prima donna a raggiungere un traguardo tanto elevato nella Repubblica italiana che lei stessa ha contribuito a fondare. Leonilde, questo il suo vero nome, aveva 26 anni quando venne eletta Deputato alla Costituente nel 1946, subito dopo quel referendum del due giugno con cui gli italiani avevano bocciato la monarchia. Era nata nell’aprile del 1920 a Reggio Emilia, da una famiglia povera. Il padre era un deviatore delle ferrovie, sindacalista socialista, cattolico, “meglio stare con i preti che con il fascismo”, diceva. Fu anche per questo che Nilde s’iscrisse all’università Cattolica, facoltà di lettere, nel 1940, grazie ai sacrifici e all’ambizione del padre e della madre. Era matricola quando s’iscrisse al partito Comunista ed allo scoppio della guerra mondiale partecipò attivamente alla Resistenza come staffetta dirigendo anche i Gruppi di Difesa della Donna di Reggio Emilia, un’esperienza che la porterà, il 25 giugno del 1946, assieme ad altre venti donne, nella Costituente. È l’anno in cui viene riconosciuto alle donne il diritto di voto. Come deputata s’impegnò subito per la riforma del diritto di famiglia, la parità e dignità della donna. Una lotta non facile se ricordiamo che il Codice Penale entrato in vigore nel 1942, concepiva le donne

Nilde Iotti

come “beni”, sui quali il padre prima ed il marito poi, esercitavano assoluta autorità. Rafforzata dall’impegno nella Costituente ed eletta parlamentare nel 1948, Nilde proseguì l’impegno in difesa dei più deboli e delle donne promuovendo le più importanti leggi sulla famiglia, il matrimonio, il divorzio, i figli. Sono anni terribili quelli in cui viene eletta presidente della Camera. Il 9 maggio del 1978 venne ucciso dalle Brigate Rosse l’onorevole Aldo Moro, in un tentativo fallito di fermare il compromesso “Storico” fra Democrazia Cristiana e Partito Comunista Italiano. L’anno dopo, Nilde Iotti venne eletta Presidente della Camera ruolo che, secondo i suoi stessi colleghi ricoprì, con equilibrio e saggezza, fino al 1992. Nel 1993 ottenne la presidenza della Commissione Parlamentare per le riforme istituzionali e nel 1997 venne eletta Vicepresidente del Consiglio d’Europa.

Anche nella vita privata non sono mancate occasioni per difendere il ruolo della donna nella società e contro attacchi maschilisti. Al centro è la storia sentimentale con Palmiro Togliatti, leader carismatico del PCI. “Robusta, alta, i capelli sciolti sulle spalle, il manifesto desiderio di imparare a fare il deputato”, secondo la descrizione del suo portavoce alla Camera G. Frasca Polara, Nilde conobbe Palmiro Togliatti, a Montecitorio dove era da poco entrata. Fu un amore avversato da molti membri del partito, forse un uso strumentale nella lotta politica. Ma poiché era donna in occasione di discorsi brillanti si disse “Glielo avrà scritto lui”, e nei corridoi del Transatlantico alcuni compagni la evitavano. Togliatti morì nel 1964 e lei ricorderà qualche anno dopo, “”Solo dopo la sua morte il partito mi rispettò”. E iniziò la fase politica più importante della sua vita! Si è dimessa dalla carica parlamentare, per motivi di salute, il 18 novembre 1999 ed è morta il 4 dicembre.

Nilde Iotti con Palmiro Togliatti

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Tra passato e presente di Waimer Perinelli

Roma caput mundi: d’immigrati Migliaia di profughi siriani e altri paesi del vicino Oriente sono ammassati al confine tra Grecia e Turchia. Sembrano greggi sospinti contro i recinti chiusi senza vie di fuga e di scampo perché anche il rimanere dove sono è una condanna a morte. È la scena dell’anno Venti del Ventunesimo secolo, secondo millennio, che resterà nella storia mondiale delle migrazioni. A cui l’Italia non è nuova.

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oma, la Caput Mundi, secondo la leggenda, ma non solo, è nata da una migrazione: quella di Enea dalla città di Troia distrutta dagli Achei. Secondo Virgilio egli approdò nell’attuale Lazio e con un fortunato matrimonio e una guerra gettò le basi per la nascita della Città Eterna. Romani dunque popolo di migranti e di memoria corta, perché nella Roma di seicento anni dopo le migrazioni divennero un vero incubo ed i migranti, non venivano da terre lontane anzi, tanto prossime che il fenomeno prese il nome di questione italica. Ne scrive anche la storica Mary Beard descrivendo come nel 125 a.c. Anno 628 dalla fondazione della città, la popolazione di Fregelle (Fregellae) distante pochi chilometri a nord, nel territorio dei Volsci, si ribellò a Roma e fu sterminata, non prima di avere contagiato altre popolazioni italiche private di proprie terre date in concessione ai reduci legionari. I nuovi poveri si riversavano a Roma e nacquero i timori di fiumane di stranieri che avrebbero potuto inondare la città. Gli animi si eccitavano, non diversamente da quanto accade oggi, e un avversario di Gaio Cracco, tribuno della plebe passato alla storia come grande riformatore agrario e “gioiello” della madre Cornelia, nel corso ad una Contio (adunanza di popolo) adombrò visioni di una Roma sommersa da ondate di immigrati. Questo populista ante litteram così

profetizzò: “Una volta concessa la cittadinanza ai latini, credete che rimarrà qualche spazio per voi, come adesso, nelle assemblee, nei giochi o nelle feste? Non vi rendete conto che si prenderanno tutto.” Vi furono anche occasionali tentativi di rimpatriare gli immigrati o di impedire che gli italici ( e fra questi molti della Gallia Citeriore) si spacciassero per autentici cittadini romani. Parole la cui eco ancora sembra risuonare nelle nostre case. A questo proposito per sottolineare quanto fosse grave la situazione bisogna ricordare quanto fosse pericoloso sostenere la causa degli italici. Nell’autunno del 91 a.c. mentre infuriava la guerra civile, fra romani e italici, Marco Livio Druso, colpevole di avere proposto l’estensione dei diritti di cittadinanza a un più ampio settore dell’Italia venne accoltellato a morte nella sua stessa casa mentre salutava un gruppo di visitatori. La guerra, iniziata ad Ascoli dove vennero assassinati l’inviato di Roma e tutti coloro che l’ accompagnavano, fu condotta con estrema crudeltà da entrambe le parti e non si risolse sul campo di battaglia, bensì al tavolino quando Roma offrì la piena cittadinanza a tutti gli italici che non avevano preso le armi o erano pronti a deporle. Pace fatta in una città storicamente fondata da Romolo con un altro gesto magnanimo quanto interessato: la concessione dell’ Asylum, una sorta di protezione, a quanti dai territori limitrofi vi fossero approdati. Non si guardava al

censo né alla professione tanto è vero che fra gli immigrati ci furono briganti, disertori ed altra feccia. La storia la scrive chi vince ed alla fine Livio, Tacito, Svetonio, Sallustio.. hanno fatto grande Roma raccontando di eroi e poeti. Oggi con quasi tre milioni di abitanti è la più popolosa d’Italia e ricca d’immigrati da terre vicine e lontane: una città multi etnica di grande cultura.

Fontana di Trevi (Roma)

Il Vaticano (Roma)

Il Colosseo (Roma)

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Attualità di Elisa Corni

Coronavirus e inquinamento: studi e controversie È sicuramente ancora presto per tirare le somme di questa epidemia ancora in corso, da ogni suo punto di vista. Eppure scienziati, studiosi, sociologi, psicologi e esperti dei vari settori hanno iniziato a scandagliarne gli effetti fin dal principio. Uno dei binomi emersi prepotentemente è quello tra inquinamento e coronavirus, che può essere visto in entrambe le direzioni. La prima, la più palese, sotto l’occhio di ognuno di noi è come una delle misure messe in atto da amministratori e autorità per il contenimento del coronavirus, il cosiddetto lock down che ci sta tenendo quasi tutti a casa da settimane, stia provocando effetti non da poco sull’ambiente. L’espressione più macroscopica la si vede quotidianamente aprendo quella finestra sul mondo esterno che sono i social; chi di voi non ha visto il video dei delfini che tornano a nuotare nel porto di Trieste? E che dire dei cinghiali a spasso per le strade “in” delle

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città di tutta Italia che hanno invaso le nostre chat di Whatsapp? I telegiornali, poi, hanno mostrato come nella stupenda Venezia, invasa un tempo da turisti e persone, anche le acque dei torbidi canali siano tornate così cristalline da poterci vedere anche i pesci che nuotano sul fondale. Ma la vista non è l’unico senso che ci testimonia di come la natura si stia riappropriando dei propri spazi. Aprite la finestra, uscite in giardino o sul terrazzo. Non vi sembra che l’aria sia più fresca e frizzantina anche nei nostri paesi tra le montagne? Beh, sappiate che non è solo una sensazione, ma che, in tutto il mondo, si stanno registrando notevoli abbassamenti di inquinamento dell’aria. L’ESA (European Space Agency) tra el altre cose scattta immagini quotidiane del nostro pianeta dallo spazio; osservando le foto pre e post quarantena, agli esperti è apparso fin da subito chiaro come ad esempio la quantità di diossido di azoto nell’atmosfera, prodotto

prevalentemente dal traffico veicolare, si sia radicalmente ridotto già nelle prime settimane. Secondo il Sistema Nazionale di Protezione Ambientale questa riduzione sarebbe arrivata addirittura al 50%. Anche il particolato, di cui fanno parte le famose PM10 che si sentono spesso nominare, risulta diminuito. Anche se questa diminuzione non è stata così importante, ma questo perché le micropolveri non svaniscono miracolosamente,, hanno bisogno che anche le condizioni meteo diano una mano. E così queste giornate di alta pressione non aiutano a ripulire del tutto l’aria. Ma, in generale, il nostro pianeta sta beneficiando del blocco del traffico, della riduzione della CO2 emessa da noi esseri umani in maniera non indifferente. Secondo i dati raccolti in un articolo del Corriere della Sera, nella settimana tra il 25 febbraio e il 4 marzo il traffico veicolare sulla nostra rete autostradale si è ridotto del 18%, e la


Attualità stima è che nelle regioni di Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna siano state emesse quasi 140 mila tonnellate in meno di CO2. Ma, purtroppo, i risultati di questo blocco li vedremo solo a medio-lungo termine. E solo se continueremo a mantenere comportamenti per tutelare il nostro pianeta. L’altro lato della medaglia è invece meno appariscente, ed è il frutto di una serie di studi, come ad esempio quello targato Havard University. L’incidenza del COVID-19 in alcune aree del pianeta ha riportato l’attenzione su alcune ricerche che mettevano in correlazione l’inquinamento dell’aria e la letalità di epidemie come la SARS (della quale il COVID-19 è espressione) in Cina nel 2002. In effetti Whuan, Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna -le zone dove l’incidenza della mortalità di questo virus è stata molto alta- sono aree altamente produttive

e, di conseguenza molto inquinate. La nostra Pianura Padana nell’inverno 2019-2020 era al primo posto in Europa per i tassi d’inquinamento dell’aria. Innanzitutto bisogna tenere conto che diverse ricerche in passato hanno evidenziato la stretta correlazione tra inquinamento e malattie all’apparato respiratorio: l’inquinamento alto corrisponde ad altrettanto alte ospedalizzazioni per patologie di questo tipo. Alta esposizione a particolati come il PM10 è, secondo numerosi studi, corrisposto a serie compromissioni delle funzionalità polmonari nonché all’aumento della carica virale dei virus stessi. Al momento della scrittura di questo articolo, però, non esistevano “studi approvati e condivisi dalla comunità scientifica” che dimostrino inequivocabilmente una correlazione tra inquinamento e incidenza del Covid-19. Non si può però ignorare

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il documento pubblicato dalla Sima (Società itraliana di medicina ambientale) che la suggeriva vista la coincidenza tra l’esplosione del coronavirus in Lombardia e Emilia Romagna e il superamento dei limiti di polveri sottili rilevate nel periodo tra il 10 e il 29 febbraio. Sicuramente qualcosa su cui riflettere. Intanto l’ESA ci informa che il buco dell’ozono si sta chiudendo… speriamo!

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A parere mio

di Francesco Zadra

L’uomo, la religione e la civiltà

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e è vero che impariamo dagli errori, è altrettanto vero che la nostra esistenza terrena è fin troppo breve per commetterli tutti. Dunque, a meno che non siate seguaci di qualche dottrina orientale, conviene cercare una valida alternativa alla reincarnazione. Da quando l’homo sapiens ha fatto la sua comparsa ha sempre cercato, ben prima dell’invenzione della scrittura, di raccontare la propria storia e ascoltare l’altrui testimonianza. Lo dimostrano le antichissime tradizioni orali dei popoli mediorientali, i dipinti rupestri rinvenuti in ogni parte dell’orbe terreste, i miti e le epopee greche e scandinave. Tutte vestigia di antichissime civiltà che, in modo letterale o figurato, vogliono tramandare alle generazioni a venire un qualche insegnamento o nozione. Ma a che cosa è dovuta questa predisposizione istintiva e innata dell’es-

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sere umano? Per quanto riguarda le civiltà primigenie si può facilmente fugare il dubbio alludendo ad un qualche istinto di sopravvivenza che portava i nostri antenati a condividere con i propri simili ciò che avevano appreso circa lo stare al mondo, possibilmente senza morire di fame o finire sbranato da qualche bestia selvatica. Un’argomentazione di tutto rispetto ma, a meno che non fermiamo il nostro concetto di Civiltà al cinquemila avanti Cristo, è troppo scarna per saziare il nostro piccolo pusillanime interiore. Possibile che i più grandi letterati della Storia, da Cervantes a Manzoni, abbiano sprecato fiumi d’inchiostro solo per dirci di non prendere freddo o di mangiare sennò “stiamo sciupati”, manco fossero delle apprensive nonne meridionali? Certamente, con l’evolversi della

scienza e della tecnica, il nemico dell’uomo non è più rappresentato dalla natura selvaggia o dal lupo cattivo. Non di meno ci troviamo ad affrontare ben altre “selve oscure” o fiere affamate. Stando alla piramide dei bisogni di Maslow, una volta riempita la pancia e lenito il bisogno di un giaciglio sicuro, che per un animale equivarrebbe ad aver raggiunto lo scopo della vita, l’uomo è costantemente alla ricerca di qualcosa che lo faccia sentire realizzato e sazi la sua fame di senso. Non ci accontentiamo di sapere come funziona la realtà che ci circonda, vogliamo anche sapere il perchè, i motivi che spingono noi e gli altri a comportarci in una determinata maniera, le cause più profonde del nostro agire. Per questo motivo prima dell’Illuminismo non c’era una netta distinzione


A parere mio tra conoscenze umanistiche o scientifiche che fossero. Erano considerate due facce della stessa medaglia, tanto che i più illustri scienziati dell’epoca, come il fisico settecentesco Leonardo Eulero, avevano ricevuto una solida formazione umanistica. Gli uomini avevano una concezione di sè pari a quella di nani sulle spalle dei giganti del passato. Giganti del pensiero e maestri di vita dai quali bisognava imparare per trovare le chiavi che avrebbero permesso di decodificare anche i problemi del tempo corrente. Dalla rivoluzione francese in poi si è diffusa invece l’idea che la realtà fosse pienamente conoscibile, misurabile, catalogabile e prevedibile in maniera deterministica e attraverso criteri oggettivi. L’incapacità di raggiungere una risposta portò a credere che essa non esistesse.

Questa fu la “macula originalis” che aprì la strada al relativismo, il quale portò ad una crisi esistenziale che accese la miccia dei più cruenti totalitarismi del Novecento. O, in maniera più subdola, non avendo più maestri da cui imparare né fonti da cui attingere esperienze di vita, al mito di D’Annunziana memoria del “self-made-man”, l’uomo che si fa da sè, che è maestro e guida di sè stesso sul sentiero della vita. Ma nel lungo periodo questa modalità non regge. Abbiamo un disperato bisogno di attingere nozioni ed esperienze altrui per districarci nel, sempre più complesso, labirinto della Realtà che ci avvolge. E se questo compito non lo svolgono più i libri e tantomeno le relazioni umane, finisce che proiettiamo le nostre aspettative sulle nuove tecnologie.

Ed è così che il cellulare è diventato il binocolo attraverso cui i novelli guardoni sbirciano nelle vita (finte) degli altri alla ricerca di modelli da imitare o, nella gran parte dei casi, da invidiare. Ma a che pro? In assenza di risposte e di armi per combattere e capire lo scorrere della storia nella quale siamo immersi, preferiamo autosedarci con frivolezze, nell’illusione che il Tempo non esista. Credo che l’unico argine a questo disorientamento generale sia quello di riprendere in mano, in forma analogica o digitale, quei forzieri di vita vissuta che contengono, nero su bianco, le pillole di saggezza dei nostri antenati. La vita è troppo breve per girare a vuoto credendo di avere la verità in tasca. Anzi, dentro ad una cover.

ro durante l’epidemia

li all’este Covid-19: Gli studenti internaziona

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rnazionali negli ono più di un milione gli studenti inte del mondo e Stati Uniti. Provengono da ogni parte tivo all’economia contribuiscono in modo da significa introiti per un totale del Paese. Nel 2018 hanno apportato liaia di ragazzi sono di 44,7 miliardi di dollari. Tra questi, mig studenti italiani che italiani. Sono infatti più di 100 mila gli o. Gli Stati Uniti sono ogni anno partono per studiare all’ester globalizzato ed intertra le mete più gettonate. Un mondo a prova dall’emergenza connesso il nostro, messo però a dur Covid-19. 9 è in preoccupante Negli USA il numero dei casi di Covid-1 za il numero degli aumento. È difficile stabilire con esattez sura delle università o, ed in particolare negli USA. La chiu ster all’e cati bloc o son nto me mo al scorso. studenti italiani che izione del Presidente USA il 13 marzo pos di bio cam ino ent rep del uito americane è stata inaspettata a seg va da parte delle univerato una comunicazione poco esausti ent lam ito sub da fin no han li iona ntanarsi Gli studenti internaz o (F-1). Il Visto F-1 non consente di allo esc ent stud o Vist del a tem il e zion corso di studi in terra sità. In particolare, desta preoccupa il rischio di non poter riprendere il per a pen si, me 5 ai re erio sup iodo per delle dagli Stati Uniti per un Visitor Program (SEVP), sta sviluppando ge han Exc t den Stu lo ne, stio que a azione. In molti Americana. L’ente che si occupa dell li che si dovessero trovare in questa situ iona rnaz inte i ent stud agli ntro inco Uniti. Le linee guida per venire termini potranno tornare negli Stati che in ed se ezza cert con ere sap za sigliato agli studenti hanno però deciso di rientrare sen ere in territorio USA. È stato inoltre con man per di le, sibi pos ove o, iand sigl università stanno con tuale emergenza medica e di aprire assicurazione sanitaria copra un’even pria pro la che re fica veri di li iona internaz nto. (Francesca Gottardi) con la propria ambasciata di riferime un contatto di comunicazione diretta

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Qui Pianeta Terra di Giorgio Turrini

Un Mondo di plastica È incredibile come l’uomo possa devastare l’ambiente giorno per giorno senza pietà, rilasciando immense quantità di plastiche nei mari di tutto il mondo. Gli studi sulle isole di plastica rilevano che le quantità depositate e rilasciate nei mari come negli oceani superano ogni stima.

L

’Età e l’era della plastica come l’analisi delle stesse campionature hanno rilevato che il 75% del materiale supera un diametro di 5 centimetri di media. Prevalentemente derivano da contenitori, dalle bottiglie, dai coperchi, dalle reti da pesca e dagli evasivi nastri da imballo. Il problema delle rovine microplastiche, dalle sue minute particelle, sono atomi deleteri e micidiali per la fauna e per tutta la natura circostante. Questi, a macchia d’olio, distruggono parte della comune catena alimentare dei pesci. Le microplastiche che visivamente sembrano ed appaiono ai nostri microscopi come innocenti al sistema immunitario, si stanno accumulando ad un ritmo elevatissimo, quasi impensabile. Negli anni settanta se ne raccoglievano lo 0,4 di chilogrammi per chilometro quadrato. Oggi si è arrivati a 1,23 chilogrammi per chilometro quadrato. Per questo gli oceani e i mari sono in pericolo costante. Entro il 2050 ci sarà più plastica che pesci se non curiamo l’ecosistema del pianeta, se non procuriamo se non si elaborano nuovi metodi alternativi per

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dufendere tutto ciò che la natura ha creato e ci ha dato. Pensate che sono minacciate 700 specie marine ufficialmente a rischio estinzione! L’uomo così ha chiaramente dimostrato di aver e di poter attingere al potere di degradare la flora e la fauna in questo modo, scaricando l’usura delle plastiche nelle nostre nature marine. L’UNEP l’organizzazione internazionale che opera dal 1972 contro i cambiamenti climatici a favore della tutela dell’ambiente e dall’uso sostenibile delle risorse naturali, documenta che, ogni anno oltre 8 milioni di tonnellate di plastica finiscono negli oceani. ESA l’agenzia spaziale europea invece ha attinto un monitoraggio delle plastiche avviando un programma ben specifico. Con i satelliti dice, abbiamo la possibilità di realizzare mappe dettagliate delle correnti oceaniche simulando così i percorsi e le aree not out dove vanno ad accumularsi le plastiche. Si potrà decifrare cosi lo spettro negativo di tutte queste fosse poliuretaniche con un sistema satellitare simile a quello di identificare le mansioni cito-

plasmatiche dei suoi sedimenti e dei vari inquinanti sospesi nelle correnti marine. Strumenti preziosi per sondare, analizzare e satellizzare quali percorsi prendono i rifiuti, dove vanno a concentrarsi e con questi dati analizzati si consumerà così un progresso. Un vero processo di pulizia. Chiaramente gli aiuti che l’uomo può dare sono quelli di ridurre le spese con le nostre plastiche usa e getta differenziando con l’occhio sempre più clinico i residui. Anche i colossi dell’economia mondiale si alleano contro l’abuso della plastica. Una trentina di multinazionali della petrolchimica hanno deciso di combattere la sporcizia prodotta dai rifiuti di plastica, sopratutto quella che arriva dai mari e dai nostri oceani. La sigla AEPW è un’alleanza composta da quasi 30 aziende che ha investito più di un miliardo di dollari nella lotta contro questi “moderni” rifiuti, cerca di mettere fine ai problemi creati. Formata da aziende nazionali e internazionali dalle più evolute multinazionali nel mondo, AEPW - Alliance to End Plastic Waste vive di queste innovative azien-


Qui Pianeta Terra de con la quale i produttori di plastica sono gli stessi che inquinano l’universo naturale delle acque del nostro pianeta. Il seguente obiettivo di conforto che permette a queste grandi multinazionali è stato ed è quello d’investire più di un miliardo di dollari con il processo di destinare 1,5 miliardi di dollari per la lotta contro i rifiuti di queste plastiche disperse nell’ambiente. AEPW intende sviluppare, realizzare e impiegare metodi e modalità alternative per ridurre e gestire i rifiuti promuovendo soluzioni per la plastica usata come il riutilizzo ed il riciclo, pregando così che queste dispersioni di celluloide si allarghino meno. Questa è un’organizzazione che opera senza scopo di lucro ed è composta da società attive in Nord e Sud America, Europa, Asia, Sud-Est asiatico, Africa e Medio Oriente. NON NEL MIO PIANETA è una

campagna di sensibilizzazione avviata nell’aprile del 2019 che cura le azioni sui rifiuti plastici promosse in regione dall’agenzia per la depurazione della Provincia autonoma di Trento. Trentino, parte della regione autonoma anche nell’ambito del differenziato, raccoglie numeri che ci collocano agli apici nazionali per la prevenzione e il criterio che qualifica la gestione dei rifiuti come questi. Per quanto questa potente autonomia regionale possa essere forte per differenziare i rifiuti, di questi ahimé ne produciamo comunque troppi. Si sa che la plastica in sintesi, per non uscire dai termini e dai meccanismi che inquinano gli oceani, occupa una parte importante per l’uso e la produzione domestica. Per questo l’emergenza plastica si offre per essere da alcuni anni il centro delle preoccupazioni della comunità scientifica anche

in Trentino. L’inquinamento della plastica si cura, e deve essere prematuro l’intervento per rieducare la produzione di rifiuti i quali sfumano, come le bellissime immagini fotografiche dell’artista presa in questione, nelle profondità come nelle superfici marine della nostra preziosissima terra. OLTRE LA DERIVA sottotitola il fatto che l’uomo non può permettersi di peggiorare l’ambiente e lo sviluppo di un progetto informativo globale open-souce, che serve per supportare i progetti di gestione dei rifiuti a livello internazionale, raccogliendo dati affidabili e certi, misurazioni e nuovi metodi per aiutare i governi e i leader comunitari identificando così quali sono, o sarebbero le soluzioni necessarie per ovviare ad efficaci termini di blocco delle plastiche prima che raggiungano le derive dei mari.

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Tra passato e presente di Veronica Gianelo

Quarantena: la lezione di Boccaccio

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uarantena. Una parola che abbiamo imparato ad usare molto spesso di questi tempi, una parola che, come molte altre, può acquisire un significato più o meno negativo, a seconda di come si decida di viverla. Inutile dire che per molte persone non si tratta di scegliere come vivere questo periodo di isolamento forzato: parlo di lavoratori, di volontari, di malati che si trovano inevitabilmente nel vortice della pandemia. Molte altre persone però, hanno avuto la possibilità di #restareacasa, con più o meno commissioni da sbrigare, bambini da badare, compiti da svolgere, persone da accudire. Persone in ansia, in pensiero: persone con il cuore fuori casa. Una sfida, questo è certo, per tutti. Eppure, si sa, non siamo stati i primi della storia. Siamo stati i primi di quest’Era nuova, di questo vivere a mille all’ora, di questo tecnomondo che gira in modo strano. Quarantena (in realtà forma veneta di “quarantina”) prende origine dall’isolamento di quaranta giorni che veniva imposto agli equipaggi delle navi come misura di prevenzione contro le malattie che imperversavano nel XIV secolo. Prima grande città di mare e commercio a imporre questa pratica preventiva fu Venezia che iniziò a utilizzare addirittura un’isola lagunare—e in seguito più di una—come ospedale per i contagiati: da qui il nome odierno dell’isoletta di Lazzaretto Vecchio. Quarantena, abbiamo imparato, vuol dire tante cose: isolamento, mancanze, realizzazioni improvvise, difficoltà,

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certo, ma anche possibilità. Così in questo tempo nuovo, inaspettato, scopriamo e riscopriamo noi stessi. Abbiamo visto la rincuorante nascita di nuovi lettori, l’esercizio fisico quotidiano, pani, panetti e pagnotte di ogni genere, penne che disegnano e scrivono, abbiamo visto genitori giocare con i propri figli, case finalmente vissute e folli artisti al balcone di questa Italia immobile. In tutto ciò una fortuna e una condanna, come sempre: la tecnologia. Possiamo condividere, possiamo parlare, possiamo essere più vicini alle persone che amiamo, possiamo studiare, tenerci aggiornati, confrontarci… Se vogliamo. Questa è stata la nostra quarantena. Tuttavia un tempo, ormai molto lontano, un tempo in cui non c’erano respiratori, terapie intensive e la gente moriva per strada, c’era chi senza farsi prendere dal panico provava a rifugiarsi. Siamo improvvisamente nel 1348, in una Firenze devastata dalla peste, e un gruppo di giovani amici decide di isolarsi fuori città. Sono 7 ragazze e 3 ragazzi, e tra di loro c’è anche un certo Giovanni Boccaccio. Grazie a loro e ad altri documenti storici, ritroviamo descritta la realtà dell’epoca: una realtà per certi aspetti vicinissima a noi. Si racconta di gente con le mani piene di fiori e lembi profumati di spezie che annusava spesso, come protezione e scudo dalla peste. Si legge “Assai e uomini e donne abbandonarono la pro-

pria città, le proprie case, i lor luoghi e i lor parenti e le lor cose, e cercarono l’altrui o almeno il lor contado”, e la nostra mente corre subito alle immagini della Stazione Centrale di Milano. La bellezza della letteratura, spesso, è il suo essere senza tempo. Diciamolo, tutti abbiamo sbadigliato in classe


Tra passato e presente

Xaver Winterhalter Decameron

mentre il professore leggeva qualche novella del Decameron di Boccaccio, eppure, oggi più che mai, quel ragazzo scappato dalla città per scampare la peste ci sembra più vicino e ci insegna che esistono intrattenimenti che fanno bene al cuore. Il Decameron, scritto per l’appunto in queste giornate di isolamento,

raccoglie 100 novelle raccontate e scritte da questo gruppetto di amici per passare il tempo in questa reclusione: un gioco bellissimo che ci regala oggi una delle testimonianze più importanti della nostra letteratura. Il taglio delle novelle è spesso umoristico e non mancano i richiami all’erotismo bucolico, per questo la raccolta sarà spesso censurata. La struttura è ben definita, così come i temi, scelti giornalmente da ognuno dei ragazzi. L’intenzione del Boccaccio è quella di offrire una panoramica quanto più ampia della

società fiorentina del Trecento, con i loro—molti—vizi e le loro virtù. A rincorrere l’uomo nella varietà della propria vita sono Fortuna e Natura, le antiche ministre del mondo, che si intrecciano tra loro delineando già il nuovo uomo che uscirà da questo cupo periodo. Si tratta di un uomo nuovo, consapevole, creatore del proprio destino: l’uomo dell’Umanesimo e del Rinascimento. Boccaccio con il suo Decameron infatti, traccia un’analogia con l’Exameron di Sant’Agostino: come quest’ultimo riformula in versi la Genesi biblica, così Boccaccio narra la ri-creazione dell’umanità. Sono solo dieci ragazzi che, per passare il tempo, si raccontano delle storielle, eppure la loro lezione è grande: la scrittura e l’ingegno umano hanno il potere di rifondare un mondo nuovo, e chissà… Magari migliore di quello di prima.

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In giro per il mondo di Katia Cont

Il paradosso culturale Rinchiusi in casa ma, di fatto, in giro per il mondo…anche se solo virtualmente. Ecco a voi la mostra di “Frida Kahlo” a portata di divano, il “Museo Egizio” di Torino, il Louvre di Parigi, e perché non fare un salto all’interno del “Metropolitan Museum” di New York? E poi ancora le “Gallerie degli Uffizi” a Firenze, il “Van Gogh Museum” ad Amsterdam, ed ecco che in poche ore abbiamo compiuto il giro del mondo sul tappeto volante dell’etere di casa nostra.

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n questi giorni difficili per chiunque, il mondo culturale si è subito aperto a tutti indistintamente, come un salvagente, come se volesse correre ad allietare le difficili e cupe giornate del periodo. Non è passato un giorno in cui l’offerta non venisse ampliata: i bambini hanno potuto accedere a tutti gli audio libri messi a disposizione dalle biblioteche online, e sono persino tornati ad ascoltare le favole, proprio come si faceva una volta. Gli amanti del teatro hanno potuto rivedere spettacoli che difficilmente avrebbero rivisto nella programmazione della propria città, mentre gli appassionati della danza hanno goduto delle movenze di alcuni fra i migliori étoile mondiali grazie alla messa in onda dei balletti da parte del “Teatro alla Scala” di Milano sull’emittente televisiva Rai 5. La percezione della gente è cambiata: «Quanta cultura!», «Quante proposte!», «Non mi ero mai reso conto di tutte queste possibilità», hanno iniziato ad osservare in molti. Cinema, teatri, letture di gruppo, musei, gallerie d’arte, tutto con un clic del telecomando.

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Per uno dei settori più penalizzati è stato d’obbligo reinventarsi, e nonostante le critiche e le innumerevoli difficoltà, in molti hanno potuto scoprire o riscoprire il meraviglioso mondo dello spettacolo dal vivo e quello della conoscenza, concedendosi così una piccola “evasione”, una sana voglia di “uscire” e di abbandonare la spesso noiosa routine casalinga. Certo, era meglio non arrivasse il COVID-19 a ricordarcelo. Sarebbe bastato aprire un giornale o consultare internet per scoprire una miriade di possibilità. Anche in quest’occasione, però, abbiamo dato per scontato troppe cose, dimenticandoci quello che tutto ciò potrà significare nel prossimo futuro. Dopo questa esperienza, la prossima volta che entreremo in un teatro, forse riusciremo ad apprezzare la sensazione che trasmette e le emozioni che fa vivere. Quando invece

visiteremo un museo in una grande città, non si tratterà solo di passeggiare per i corridoi di un edificio, ma capiremo l’importanza di poter osservare con i nostri occhi e a pochi centimetri dal proprio naso le opere più importanti della storia dell’arte mondiale. Quando un giorno, più in là, entreremo in un cinema, magari non penseremo soltanto ai popcorn, ma ne apprezzeremo l’impianto audio, la definizione dello schermo e l’importanza delle “basse”. Allora, forse, questo momento sarà servito…


#iorestoacasa di Patrizia Rapposelli

Italia tra pandemia e giovani irresponsabili Regole, moniti e moduli per limitare e controllare gli spostamenti dei cittadini. È questa l’Italia del Coronavirus. Il dieci marzo è entrato in vigore il decreto Dpcm “Io resto a casa” necessario a fronteggiare il virus che ha messo in ginocchio un Paese. Il nostro Paese.

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l decreto chiedeva a tutti di stare a casa e uscire solo per ragioni motivate da comprovate esigenze. Nonostante questa sembri l’unica arma per far fronte ai numeri contagi, vittime e collasso del sistema sanitario, troppi sono stati i cittadini che hanno fatto i furbi e i maggiori beffardi sono stati i giovani. Il loro individualismo spesso non li ha fatti rinunciare alla quotidianità. Il problema globale sottovalutato e la fantasia onnipotente non hanno fatto pensare alle conseguenze. Quella del Covid-19 è pandemia; simile ad una guerra e il popolo è stato chiamato a servire la nazione. La chiave è il sacrificio: le abitudini devono essere cambiate e si deve rinunciare a qualcosa per il bene dell’Italia. La politica e la gente ha più volte parlato di trovare un buon equilibrio tra protezione della salute, riduzione al minimo delle perturbazioni economiche e sociali e rispetto dei diritti umani, ma troppo poco del senso di responsabilità. Molti cittadini hanno mostrato un forte senso comunitario nell’aiutare, nello scongiurare la paura e nel rispettare l’operato meraviglioso della sanità, ma tanti altri sono stati incuranti sia del senso civico che del rispetto delle regole. Pensieri positivi, messaggi colorati e di speranza, musica tra i balconi delle case per sentirsi abbracciati seppur lontani eppure la gravità del momento ha messo in evidenza un problema

significativo. Che i grandi stiano educando i giovani all’egoismo e a una non responsabilità comune? Non si deve tralasciare che in prima linea ci sono anche adulti irresponsabili. Il governo ha chiesto di stare a casa e di rinunciare, per un periodo, alla libertà personale, non è semplice, ma neanche impossibile, c’è chi sta facendo ben altri sacrifici. Da Nord a Sud questi noncuranti sfidano il contagio e l’hashtag #iorestoacasa ha faticato ad entrare in testa. Nasce una consapevolezza. Chiedere all’improvviso a un giovane d’oggi, cresciuto nell’individualismo, di aprirsi all’altro è fantasia; infatti questo è un percorso che bisogna iniziare da piccoli. Insieme alla drammaticità del momento affiora l’emergenza educativa degli ultimi tempi. I giovani sono i massimi esperti di relazioni sociali e di mondo digitale, ma ad oggi qualcosa non funziona. I ragazzi hanno bisogno di

“buoni esempi” e forse sono proprio questi a non funzionare. Il Paese chiede responsabilità reciproca, un patto tra generazioni in cui ognuno nell’urgenza viene chiamato a fare la propria parte. Gli adulti dovrebbero essere autorevoli e solidali, ma l’autorevolezza si conquista con la credibilità. L’Italia ai tempi del Coronavirus è un Paese che vive una tensione collettiva e questa mette in luce aspetti positivi e negativi. Da una parte la paura e la coscienza comunitaria crea sentimenti che aiutano a sistemare l’ordine logico dei valori e delle cose da scegliere : la gente partecipa in modo corale allo sforzo per uscire dall’emergenza Covid-19. Dall’altra risaltano giovani e non solo disattenti che dimostrano una povertà culturale di scarsa formazione morale. Alla fine di questa pandemia saranno molti gli aspetti che dovrebbero far riflettere.

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Verande Finstral: un’oasi

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livello progettuale ci si immagina una veranda come un’estensione dello spazio abitativo. Ma le esigenze da considerare e soddisfare sono molto alte. L’idea è semplice: estendere gli ambienti abitativi fino al giardino, facendo svanire i confini tra interno ed esterno. Per essere utilizzabile tutto l’anno, la nuova oasi in vetro deve garantire un’efficace protezione da calore, freddo, vento e rumore. Molti sottovalutano all’inizio quanto siano importanti le proprietà isolanti delle verande. Solo quelle termoisolate offrono un clima abitativo piacevole sia d’estate che d’inverno. Elevati valori di isolamento, ampie superfici vetrate Le verande Finstral possono essere rivestite in alluminio sul lato esterno e, se lo si desidera, anche sul lato interno, mentre nel nucleo è sempre

Le porte scorrevoli sono dotate di soglie ribassate prive di barriere architettoniche e di scanalature profonde, dove altrimenti si depositerebbe lo sporco.

presente un profilo in PVC saldato negli angoli. I profili sono sempre dotati di un rinforzo in acciaio, certificato dall’ente TÜV, che garantisce stabilità statica anche in presenza di elevati carichi di neve. Ciò consente un’ottima tenuta e valori isolanti fino a Uf = 1,0 W/m²K. Inoltre viene impiegato un eccezionale triplo vetro isolante con una leggera protezione solare, lavorato direttamente negli stabilimenti Finstral. Con le tipologie Mediterran e Sun-Block il produttore di serramenti altoatesino offre vetri a controllo solare in grado di diminuire l’apporto di calore del 20-60%. Tenere

fuori il freddo e ridurre al minimo il caldo in estate: grazie ad ampie superfici vetrate diventa possibile. Una veranda dalle linee sottili I montanti di soli 50 mm della veranda Penta conferiscono un aspetto slanciato all’intera struttura. Impressione accentuata dall’estetica a tutto vetro delle porte scorrevoli in esecuzione Nova-line. Da fuori non si vede alcun profilo aggiuntivo oltre ai montanti e la superficie vetrata prosegue fino a filo pavimento. Un elegante dettaglio nell’esempio presentato è il binomio di materiali e colori: sul lato esterno profili rivestiti in alluminio grigio scuro, sul lato interno PVC bianco satinato.

Finstral: passione per i serramenti Finstral costruisce serramenti di qualità da più di 50 anni. Perché i nostri prodotti sono speciali? Perché ci occupiamo di tutto noi: dalla progettazione dei profili alla loro realizzazione nei nostri stabilimenti, fino alla posa in opera. Con ben 1.400 dipendenti e 1.000 rivenditori partner in 14 paesi, Finstral è uno dei principali produttori di serramenti in Europa e può vantare anche il maggior numero di certificazioni del settore. Ancora oggi la sede principale dell’azienda – fondata e gestita dalla famiglia altoatesina Oberrauch – si trova ad Auna di Sotto, vicino a Bolzano. Negli ultimi 30 anni abbiamo costruito 30.000 verande in tutta Europa. Ognuna è un pezzo unico. Ma il nucleo è sempre in PVC.

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i di benessere tutto l’anno stabili lamelle, offrono la possibilità di arieggiare anche quando non si usufruisce dell’ambiente, senza che polvere, gatti o altri “intrusi” possano entrare. Le zanzariere integrate tengono lontani fastidiosi insetti. Le lamelle sono composte con l’innovativo materiale ForRes, prodotto da scarti di PVC e bucce di riso. Su richiesta è disponibile una porta-finestra con apertura ad anta e ribalta in esecuzione serrabile da entrambi i lati. Per ulteriori informazioni: www.finstral.com. (PR) Un’oasi di comfort a tutto vetro: la veranda perfettamente isolata di Finstral costituisce un prolungamento dello spazio abitativo, utilizzabile per tutto l’anno.

Le esclusive superfici goffrate in PVC – prive di pellicole adesive – hanno un numero ridotto di micropori e dunque richiedono una manutenzione minima, perché si accumula meno polvere. Si può scegliere tra numerose colorazioni, superfici goffrate e satinate: nove colori per il PVC in svariate tonalità di bianco, grigio e decori legno. Agli amanti del legno massiccio proponiamo otto colori classici e sette varianti in stile moderno. Per il lato esterno in alluminio Finstral offre 243 colori, incluse numerose finiture speciali e decori a struttura legno. Dettagli studiati nei minimi particolari Le verande Finstral conquistano con

ricercati dettagli: la soluzione con traverse posizionate all’interno e vetro strutturale a gradino è elegante e consente di far defluire facilmente l’acqua piovana, evitando l’accumulo di fogliame all’esterno. Le lastre in vetro per il tetto sono le più grandi disponibili sul mercato, con misure che arrivano fino a 110 cm di larghezza. Le soglie delle porte scorrevoli, prive di barriere architettoniche, non presentano scanalature profonde, nascondigli preferiti di sporco e polvere. La soluzione Nova-line, in cui il vetro ricopre completamente il profilo sul lato esterno, impedisce che lo sporco si depositi lungo i bordi del telaio. Le ante di aerazione, collocate dietro a

La pratica anta di aerazione Vent – grazie alla presenza di stabili lamelle – favorisce il ricambio dell’aria senza che dall’esterno sia possibile capire se l’anta è aperta o chiusa

Studio Finstral Borgo - Sempre una consulenza perfetta Le piacerebbe scoprire dal vivo le nostre finestre, porte d’ingresso e verande, senza limitarsi ad osservarle soltanto? Desidera conoscere quali opportunità offriamo per realizzare le Sue idee? Venga a trovarci! Nello Studio Finstral Borgo può ammirare, toccare con mano e testare il nostro intero assortimento di prodotti su una superficie espositiva di 350 m². Siamo pronti a rispondere a tutte le Sue domande. Alluminio oppure PVC? Forme classiche o linee sottili? Ho bisogno di un doppio o di un triplo vetro? Quali opzioni ho a disposizione per proteggermi dal sole? I desk di progettazione rappresentano il “cuore” dei nostri Studio Finstral. Qui può provare ogni soluzione immaginabile, combinando diversi materiali, per dare forma ai Suoi desideri. Ma non è finita qui: ancora più finestre, porte d’ingresso e verande su una superficie di 600 m² nello Studio Finstral Auna di Sotto vicino a Bolzano.

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Attualità di Cesare Scotoni

Corona virus Il giorno dopo, come ripartire Il Corona virus ha attaccato l’uomo, la società, il sistema economico. Si è parlato di effetto guerra e quando passerà l’organizzazione sociale ed economica dovrà reagire proprio come se di guerra si fosse trattato. Con qualche vantaggio e molte mancanze.

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’apparato industriale e produttivo è integro, così come lo è il sistema del welfare per il quale, come si è visto nella situazione di emergenza, ci sono ampi spazi di miglioramento per la semplificazione ed il contenimento degli sprechi, con il vantaggio che il livello di qualità della vita e delle tutele per i lavoratori. Le prime vittime del virus sono le PMI (piccole medie imprese) già carenti per competitività e di produttività in particolare laddove sono meno valorizzati gli elementi di diffusione che devono accompagnare il diffondersi dell’Innovazione tecnologica. Le micro PMI non si sono avvan-

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taggiate degli effetti moltiplicativi aggiunti dall’economia digitale che rivoluzionano tutte le organizzazioni “alleggerendone” ed “integrandone” i costi indiretti. Su questa carenza pesano gli equivoci nella Pubblica Amministrazione incapace di comprendere la rivoluzione tecnologica relativa all’utilizzo, standardizzazione e integrazione dei dati nei processi di semplificazione. Un elemento ambivalente è fornito dell’elevato tasso di disoccupazione giovanile che ha forse permesso in passato di contenere in parte il costo del lavoro senza per questo averne un vantaggio competitivo per il quale è indispensabile un ripensamento del

Sistema del Welfare e relativi oneri contributivi. Serve oggi un Welfare rimodulato in favore delle nuove generazioni che garantisca un livello minimo obbligatorio ed uniforme delle prestazioni e segua nell’offerta le esigenze di chi comincia una carriera lavorativa e familiare con attenzione con una flessibilità giocata sugli assegni familiari e le detrazioni per i minori o gli anziani a carico seguendo altre curve anagrafiche nel differenziare le prestazioni offerte, lasciando, a chi può andare oltre a quel livello minimo, la possibilità d’integrare privatamente la prestazione di base che NON può non puntare all’Equità. Terzo elemento critico è l’elevata liquidità negli Istituti di Credito che, in virtù di norme immaginate per “modelli produttivi” diversi da quello nazionale, non arriva più dalle Banche alle Microimprese che sono il tessuto produttivo di ampie porzioni del Territorio. Ora bisognerebbe ricalibrare i CONFIDI, anche alla luce degli errori del passato, standardizzare i formati con cui si presentano i piani economico – finanziari a Banche ed alla P.A. per gli strumenti di supporto, standardizzare e convenzionare 2 o 3 forme basilari di garanzia bancaria o di collaterale tra CONFIDI e BANCHE o tra Enti e Banche attingendo a Fondi Pubblici di garanzia, permettendo alle Micro Imprese di garantire sia li-


Attualità nee di anticipo fatture che mutui a breve – medio periodo per Innovare e/o far fronte a crisi di liquidità. L’emissione di prodotti finanziari garantiti ed a rendimento differito a finanziamento del debito, come la proposizione di una nuova alleanza tra chi emette e chi colloca il debito. Si deve immaginare la Partecipazione del Sistema del Credito allo Sviluppo e Collocamento degli Strumenti dedicati che la P.A. volesse darsi per la valorizzazione e/o la collocazione dei propri assets o per la valorizzazione di elementi strategici e non pubblici del Sistema Produttivo Territoriale. Come quarto intervento si devono riportare le Forze Sociali a confrontarsi sull’interesse generale e ad acquisire che questo coincide con quello delle nuove generazioni. Formazione, ricerca, innovazione, integrazione e ricalibrazione dei Servizi Pubblici possono e devono tradursi in uno sforzo che consenta al Capitale di Circolare per favorire la Creazione di Ricchezza.

Non la Spesa Pubblica, ma l’allargamento agli spazi di Intrapresa debbono essere la chiave dell’intervento pubblico in Economia. In Trentino le molte partite aperte devono essere gli spazi di crescita per la ricchezza del territorio e la parte pubblica deve favorirla. Se i capitali per quella Crescita affluissero anche dall’esterno sarebbe un bene per un Sistema che da 4 decenni lavora più come reazione che promozione della stessa. A tutto questo necessita un intervento pubblico dirigistico che supporti le capacità progettuali , i processi di integrazione ed aggregazione utili alla crescita al Sistema pulviscolare di microimprese. In questo panorama, ha spazio anche il NO PROFIT che deve sperimentare nuove forme di welfare e di recupero delle marginalità sociali e non porsi in competizione a chi opera in regime di Concorrenza, poiché è il PROFIT e la sua tassazione ad offrire al pubblico le risorse per erogare servizi.

A ciascuno il suo IL POTERE E COVID 19 Il Potere logora! Torna di attualità il noto slogan del 1968 quando la Democrazia Cristiana dominava la scena politica nazionale. Il concetto ha origini antiche. Platone ne racconta descrivendo in Sapheneia l’uccisione di Archelao. Il Potere, ovvero la volontà di controllare gli altri con la forza al di là del loro consenso, ha un grande fascino, come nelle cose apparentemente più impensabili; ad esempio la difesa dal Covid 19. Restate a casa! Un ordine perentorio accettato, pena multe e denunce. Ha avuto successo. Ci si può innamorare del Potere? Il rischio c’è : chi ha potere si compiace e si nutre dello stesso dal quale riceve soddisfazioni materiali e psicologiche. Al celebre slogan sessantottino Giulio Andreotti rispondeva :Il Potere logora chi non ce l’ha. E c’era del vero per chi era all’opposizione da oltre vent’anni. Più tardi, giunto in età più avanzata, il brillante Andreotti, ha ammesso che il potere logora ma, ha aggiunto: meglio non perderlo.

COVID E PETTEGOLEZZO Il Corona virus è solo una malattia, e allora perché vergognarsene? Una vergogna individuale e collettiva. Abbiamo visto negare l’evidenza. Persone ammalate, coscienti di essere a rischio positivo, ostinarsi a condurre una normale vita sociale. Nel condominio, in luoghi pubblici. La legge li ha puniti. La legge li ha purtroppo protetti con l’anonimato. Solo dai telefonini, dal pettegolezzo, abbiamo saputo i loro nomi. Ufficialmente sapevamo solo il numero anonimo dei nuovi casi positivi e solo chi ha il Potere accedeva alle loro frequentazioni. Vi è capitato di scoprire del ricovero ospedaliero di un ciarliero, simpatico, disinvolto concittadino? Cosa sarebbe accaduto se avessimo saputo della sua malattia? L’avremmo lapidato? Sicuramente evitato, ma affidato alle cure specialistiche. Il Covid 19 è solo una malattia, per fortuna sempre meno mortale. L’ anonimato ha invece scatenato illazioni, fotografie di sospetti inviate alle forze dell’ordine, pettegolezzi, maldicenze. A volte la gestione del Potere è solo incapacità di decidere fra cento commissioni e mille specialisti. Per questo dobbiamo ringraziare chi con senso civico si è messo in quarantena ed ha avvisato amici e conoscenti. di Waimer Perinelli

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Attualità di Elisa Corni

22 aprile: Earth Day, amiamo il nostro pianeta

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gni anno, da cinquant’anni a questa parte, il 22 aprile siamo tutti invitati a festeggiare qualcuno di veramente importante: il nostro pianeta. In questa data ricorre infatti l’Earth Day (Giornata della Terra), iniziativa nata nel 1970 per sottolineare la sempre più prepotente esigenza di salvaguardare l’unico pianeta a nostra disposizione da ciò che lo minaccia si è presto trasformata nella più grande manifestazione ambientale del pianeta. Un momento in cui tutti i cittadini del mondo sono chiamati a unirsi per celebrare il nostro pianeta e promuoverne la salvaguardia. L’iniziativa fu voluto dal senatore e ambientalista statunitense Gaylord Nelson che aveva sensibilizzato il presidente John Fitzgerald Kennedy sui temi ambientali, facendo sì che questi, prima della sua morte, se ne facesse carico. Oggi questa iniziativa coinvolge quasi un miliardo di persone in ben 192 paesi del mondo con il benestare delle Nazioni Unite, che si sono fatte madrina delle celebrazioni. Negli anni Settanta il tema caldo era quello della conservazione delle risorse naturali, problema che oggi è tutt’altro che superato e al quale si sono aggiunte altre questioni ambientali, molte delle quali non hanno ancora trovato una soluzione. Pensiamo ad esempio al tema del buco dell’ozono per il quale molto si è fatto ma per ridurre drasticamente il quale solo questa quarantena forzata a

causa del coronavirus sembra riuscire a fare qualcosa - notizia dell’8 aprile scorso. Da movimento universitario e studentesco, oggi questa è diventata un’occasione trasversale per informare, educare e sensibilizzare sui temi ambientali. E, bisogna ammetterlo, questi sono davvero molti:: l’inquinamento di aria, acqua e suolo; la distruzione degli ecosistemi; le migliaia di piante e specie animali che scompaiono, la cosiddetta sesta estinzione della quale siamo noi esseri umani gli unici responsabili; l’esaurimento delle risorse non rinnovabili. Pensate, ad esempio, al tema dell’Earth Overshoot Day, ovvero del calcolo del giorno in cui esauriamo le risorse disponibili per l’anno in corso. Nel 1971, quando si cominciò a calcolare quante delle risorse disponibili si consumas-

sero in un anno solare, ci bastava un pianeta solo e le risorse si esaurivano a dicembre; nel 2019 le risorse prodotte quell’anno si sono esaurite il 31 luglio; ciò significa che da agosto a dicembre abbiamo dovuto consumare le scorte. Le iniziative organizzate dal 1970, anno di un tragico disastro ambientale che ha fatto sì che il movimento prendesse piede, a oggi sono state diverse e originali. Le prime manifestazioni studentesche sono mutate in momenti eroici, come la prima scalata in diretta satellitare del Monte Everest nel 1990, al termine della quale la squadra internazionale di alpinisti trapsortò a valle oltre 2 tonnellate di rifiuti abbandonate da precedenti missioni. Oggi, grazie a Internet e a testimonial del calibro dell’attore Leonardo di Caprio o di Greta Thunberg, la partecipazione a questa giornata speciale coinvolge centinaia di migliaia di persone in tutto il globo; in questo momento di quarantena e isolamento sociale la manifestazione non si è fermata: andate sul sito earthday.org e scoprite le iniziative digitali per celebrare il nostro unico pianeta!

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Ieri avvenne di Chiara Paoli

12 maggio Giornata Internazionale dell’Infermiere Il 12 maggio di 200 anni fa, nasceva Florence Nightingale, fondatrice dell’assistenza infermieristica. Per questo in tale data viene ancor oggi celebrata la giornata internazionale dell’infermiere; una categoria che vogliamo ringraziare e commemorare soprattutto in questo periodo di emergenza sanitaria, che li ha visti operare con abnegazione e profondo senso del dovere, anche mettendo a rischio la loro salute e in alcuni casi perdendo la vita.

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lorence, come dice il nome stesso nasce in Italia, a Firenze, ma il cognome tradisce l’appartenenza ad una famiglia della borghesia inglese residente nel Buckinghamshire. Florence, guidata da un forte spirito cristiano, avverte la chiamata di Dio a soli 17 anni e a 24 decide di dedicare la sua vita ai malati, andando contro i progetti che la sua famiglia aveva in serbo per lei e rifiutando ben 3 pretendenti. A quell’epoca le infermiere erano considerate al pari delle sguattere e la madre e la sorella rimasero scandalizzate dalla sua decisione, cercando di opporvisi in ogni modo. Pur non avendo una formazione medica, Florence si rende conto delle mancanze in questo settore e si mette in prima linea per promuovere il miglioramento delle cure mediche fornite negli ambulatori per le persone in difficoltà. Ciò sarà possibile grazie all’appoggio di Charles Villiers, primo leader del Poor Law Board, ente fondato nel 1847, e per merito della riforma generale del sistema di assistenza ai poveri. Nel 1850 trascorre un periodo a Düsseldorf, in un ospedale gestito in maniera impeccabile da diaconesse luterane; vi tornerà l’anno seguente per ottenere il diploma di infermiera e

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Florence Nightingale

predisporre un accurato resoconto che verrà pubblicato in maniera anonima. Nel 1853 lascia la tenuta di famiglia di Embley Park, trasferendosi a Londra, dove dirige e si occupa della formazione del personale di una casa di cura per donne in difficoltà; può permettersi di fare ciò grazie alla consistente somma di mantenimento che il padre le versa ogni anno e grazie alla zia Mai, che finanzia la ristrutturazione dell’istituto. L’anno successivo l’Impero Britannico prende parte alla guerra di Crimea e in seguito alle preoccupanti notizie sui feriti, il 21 ottobre Florence Nightingale,

autorizzata dal ministro della guerra e suo amico, Sidney Herbert, parte insieme alla zia Mai e a 38 infermiere per Scutari, dove ha sede l’ospedale inglese. La situazione dei soldati feriti è molto grave, l’ospedale è molto sporco, mancano gli strumenti necessari, anche l’acqua scarseggia e proliferano le malattie infettive. Florence insieme al suo “esercito” di infermiere si dedica alla sanificazione e razionalizzazione delle procedure. Se gli ufficiali cercano di sabotarla, in patria il Times la dipinge come la “Signora della Lampada”, angelo custode che veglia i malati anche di notte. Nasce un fondo che porta il suo nome per la raccolta di offerte, grazie ad un comitato presieduto dal duca di Cambridge. Nel 1855 Florence torna a Londra, chiede di istituire una commissione che esplori la sanità militare e rende nota la necessità di una riforma in tal senso. Affetta da una malattia infettiva, la brucellosi, si ristabilisce e ritorna al fronte. Si occuperà poi del sistema sanitario indiano e si dedica alla scrittura di fascicoli per le commissioni ministeriali, nelle quali inserisce numerose statistiche, rese comprensibili a tutti grazie all’uso di grafici e inventando lei stessa l’istogramma circolare o ragnatela. Per ottenere ciò che tanto desidera scrive


Ieri avvenne circa 15.000 lettere a diverse personalità autorevoli, politici, giornalisti e parenti che la sostengono. Le colonne portanti del suo scritto intitolato “Notes on Nursing”, che separa la terapia dall’assistenza, sono l’igiene e un adeguato nutrimento. Nel 1860 prende vita la Training School of Nursing dentro l’ospedale St. Thomas di Londra, dove forma le prime 15 infermiere professioniste, sebbene ancora non pagate per il proprio operato. L’anno seguente si diploma qui la prima infermiera americana Linda Richards, che divenne pioniera della professione anche in Giappone. È inoltre consulente per gli stati dell’Unione, nel periodo della guer-

ra civile americana. A Natale la salute di Florence sembra crollare, ma si riprende e continua a scrivere per chiedere maggiori servizi sociali. Assieme all’amica di vecchia data, Elizabeth Blackwell nel 1869 costituisce il Women’s Medical College di New York. Nel 1872, ispirato dal suo operato, Henry Dunant fonda la Croce Rossa Internazionale e nel 1883 le fa onore la Regina Vittoria, conferendole la Croce Rossa Reale. A 75 anni è costretta a letto e non vedente, muore novantenne, il 13 agosto del 1910. Ricordando miss Nightingale, vogliamo ringraziare ancora una volta tutti gli infermieri che ogni giorno lottano a sostegno della salute di tutti.

Ieri Beverly Hills Supper Club: ia Americana or st lla ne le ta le ù pi io nd ce in o rz Il te . Hills Supper Club era in gran fermento a notte del 28 maggio 1977 il Beverly iano ood tigio: il cantante e attore Hollyw Avrebbe infatti accolto un ospite di pres John Davidson. zona. un locale notturno molto popolare in Negli anni settanta, il Beverly Hills era tra Ohio e ti, si trovava in una posizione strategica Situato a pochi chilometri da Cincinna clientela ambiente elegante frequentato da una Kentucky. Il sito era noto per essere un ricano di spicco, come l’attore e cantante ame benestante. Aveva attirato personalità Sinatra. Dean Martin, Marylin Monroe, e Frank . Quelin sicurezza un massimo di 600 persone itare La sala cabaret del locale poteva osp 1500 a e. L’intera struttura poteva ospitare fino la sera ve ne erano ammassate più di mill gio ve ne erano 3000. persone, ma nel complesso quel 28 mag one e avvolto la struttura, uccidendo 165 pers La notte del 28 maggio fiamme hanno . più letale della storia americana moderna ferendone 200. Si tratta del terzo incendio specula che fossero state bloccate si e , a erano insufficienti rezz sicu di te usci Le . ttivo dife io lagg Causa dell’incendio: cab ata di un sistema di allarme antiare il biglietto. La struttura non era dot pag za sen asse entr tela clien la che a livello federale che per evitare ortanti modifiche nella legislazione sia imp te orta app e stat o son ndio ’ince incendio. A seguito dell rvento necessario, seppur tardivo, me sulla sicurezza antincendio. Un inte nor le ti gen strin e re chia più o end pubblici. statale, rend ve nel regolare la sicurezza dei luoghi enti prev ni azio re enta lem imp di a che sottolinea l’importanz Hills Supper Club. Solo una collina dove una volta si ergeva il Beverly sulla ento ravv sop il o pres ha ione etaz perso la vita in Ora la veg del 28 maggio 1977 165 persone hanno te not ica trag la e dov to pun sul ta svet grande croce di legno Gottardi) questo disastroso incendio. (Francesca

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Società oggi di Elisa Corni

Giornata mondiale per la sicurezza sul lavoro L’Organizzazione internazionale del Lavoro (ILO) è un’agenzia delle Nazioni Unite, la prima specializzata a farne parte dal 1946. Lo scopo di questo ente internazionale è quella di formulare le condizioni minime per un lavoro dignitoso, costituire una carta dei diritti dei lavoratori e promuovere la sicurezza sul lavoro. Ne fanno parte 187 paesi, tra i quali l’Italia.

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ppure, nonostante questa sia attiva da più di un secolo (nel 2019 l’ILO ha spento 100 candeline) la situazione della sicurezza sul lavoro si può dire tutt’altro che risolta. Per questo motivo ogni anno, il 28 aprile, si celebra la giornata mondiale per la sicurezza sul lavoro. Iniziative di ogni genere vogliono promuovere la salute nel mondo lavorativo, per tutti i lavoratori e in

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ogni settore. Come emerso nel rapporto Safety and Health at the heart of the future of work: Building on 100 years of experience (Salute e sicurezza al centro del futuro del lavoro: costruire su cento anni di esperienza) pubblicato proprio lo scorso anno a ILO, nelle 52 settimane lavorative oltre 372 milioni di persone sono nel mondo vittime di incidenti sul lavoro o si ammalano a

causa del lavoro che fanno. Secondo l’organizzazione internazionale il peso sul PIL (prodotto interno lordo) degli infortuni sul lavoro è mediamente pari al 4% (ovvero il deficit stimato per il 2020 provocato dalla crisi economica connessa al COVID-19). Una riflessione, questa, che riguarda non solo i lavoratori ma la società tutta se si pensa che nel nostro paese, ad esempio, si spende per Ricerca e Sviluppo solo l’1,53% del PIL e nell’istruzione poco meno dell’8% (dati 2019). Solo a gennaio 2020, secondo un rapporto INAIL (Istituto nazionale Assicurazione Infortuni sul Lavoro), in Italia 52 persone hanno perso la vita in incidenti sul lavoro, con un incremento di ben 8 unità rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente (+18,2%). La maggior parte di questi è avvenuta nel settore dell’industria, e hanno coinvolto quasi esclusivamente uomini. Il rapporto 2019 pubblicato dal medesimo ente ha fotografato un’Italia ancora troppo spesso complice della cattiva salute sul lavoro. Se da un lato rispetto all’anno precedente diminui-


Società oggi

scono i decessi (-44 rispetto al 2018) aumentano gli infortuni e soprattutto crescono velocemente le patologie collegate al lavoro. I morti sono stati comunque troppi: più di mille i decessi nel 2019 avvenuti nello svolgimento della propria professione. Quali sono i motivi di questa strage troppo spesso silenziosa? Spesso il

mancato rispetto delle regole, il non utilizzo dei dispositivi di sicurezza, la fretta, la disattenzione ma purtroppo anche la casualità. Ma soprattutto la mancanza dei controlli. I settori più colpiti sono l’edilizia e l’industria, ma sempre più spesso colpevoli sono gli incidenti stradali; a soffrire di più sul lavoro, di conseguenza, sono gli

uomini. E l’area geografica è il Nord. Secondo ILO sono quattro le principali trasformazioni che potrebbero apportare seri cambiamenti in questo tragico ambito: la tecnologia che, se applicata correttamente, può aiutare a ridurre le esposizioni pericolose, facilitare la formazione e le ispezioni sul lavoro; attenzione alle specificità d’età e di genere che possono essere analizzate proprio attraverso studi e report - i lavoratori più giovani hanno bisogno di indicazioni, quelli più esperti di strumenti di sicurezza, le donne di elasticità; i legislatori dovranno tenere conto di come i cambiamenti climatici influenzino anche il mondo del lavoro e agire di conseguenza; infine, i cambiamenti nell’organizzazione del lavoro devono essere tenuti sotto controllo: anche lavorare oltre 40 ore alla settimana non fa bene alla salute.

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Fatti di casa nostra di Massimo Dalledonne

Castel Ivano: il mistero del Guardi Il Comune cerca investigatore. Referenze: fiuto e cultura.

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ll’appello hanno risposto diverse persone. Non solo professionisti del settore, anche studenti e laureandi in storia o beni culturali. L’iniziativa è stata promossa dal comune di Castel Ivano. “Cerchiamo uno storico, con piglio da detective per una piccola impresa – si leggeva sull’annuncio – per ricostruire le vicende offuscate legate ad un’opera d’arte”. C’era tempo fino alla fine del mese di marzo per dare la propria disponibilità. E presso la sede della biblioteca comunale Albano Tomaselli a Strigno ne sono arrivate davvero molte. Di cosa si tratta ce lo spiega l’assessore alla cultura del comune di Castel Ivano Giacomo Pasquazzo. “L’opera d’arte in questione è la tela della Sacra Famiglia, un dipinto attribuito al Guardi, di una storia che a Strigno è riemersa alcuni anni fa”. Tutto è partito dal libro “Il Borgo di Strigno – storia, arte e devozione” dello storico ed appassionato d’arte Vittorio Fabris. Una vicenda finita nel dimenticatoio della memoria collettiva poco più di un secolo fa. “Proprio così. Parliamo di un’opera – ricorda l’assessore alla cultura- presente fino allo scoppio della Grande Guerra nella chiesa parrocchiale di Strigno. È un quadro a carattere devozionale, una libera interpretazione di un dipinto di Andrea Pozzo (pittore di Trento del ‘600) che si pensa sia stato commissionato al Guardi dal decano di Strigno don Paolo Giuseppe Pasqualini tra il 1743 ed il 1765”. Non è certo se l’opera sia da attribuire ai due fratelli, Francesco e Gian Antonio Guardi, o se deve essere ritenuta opera di uno solo dei due. Certo è che verso il 1920, secondo le ricostruzioni di Fabris che definisce il dipinto come una trasfigurazione pittorica autoctona,

l’opera era presente nella collezione d’arte così pregevole”. E per fare chiarezza dell’antiquario veneziano, il conte Dino ora si cerca la collaborazione di storici, Barozzi. Due anni dopo venne esposta a professionisti dell’arte e studenti in storia Firenze in occasione della mostra dedicata o beni culturali. Già in passato il comune alla pittura italiana tra il ‘1660 ed il’700 a di Castel Ivano, grazie alla collaborazione palazzo Pitti per finire, subito dopo, nella del professore Vittorio Fabris, è riuscito collezione privata del magnate statunitena recuperare un dipinto di Strigno del se dell’industria vetraria Edward DrumMarchioretto ed arrivare al restauro, esemond Libbey. Nel 1901 aveva fondato il guito da Roberto Borgogno tra il 2007 ed Museum of Art di Toledo, in Ohio, dove il 2008, della Madonna col bambino sulla oggi si trova il dipinto che il museo falce di luna del pittore di Borgo Paolo attribuisce a Francesco Guardi. “Quello Naurizio. Ora si cerca di fare luce anche che stiamo cercando di capire – prosegue sul quadro del Guardi, uno dei vedutisti Pasquazzo – è come ha fatto la tela a finire più affermati all’epoca del Canaletto. La da Strigno nelle mani del Barozzi e poi in Sacra Famiglia è uno dei lavori di gioventù dell’artista, le cui opere hanno un America. Nella pieve del paese non esiste valore notevole anche nel mercato delle un altare dedicato alla Sacra Famiglia e si opere d’arte. Un quadro che fa parte della desume che il dipinto fosse esposto nella memoria storica di Strigno, una vicenda canonica. Perché venne silenziosamente “offuscata” su cui il comune vuole vederci ceduto all’antiquario veneziano? Esistono chiaro. Una piccola impresa per detective. dei documenti che possano testimoniare questo passaggio di proprietà?” In questi mesi il comune e la biblioteca sono entrati in contatto con il Toledo Museum of Art che si è dimostrato sensibile e collaborativo per ricostruire la storia, così vaga e misteriosa, della scomparsa della Sacra Famiglia da Strigno. “Non vogliamo creare problemi a nessuno, men che meno al museo di Toledo. Quello che chiediamo è di fare chiarezza su questa vicenda – conclude Giacomo Pasquazzo - anche perché è un vero peccato che la parrocchiale di Strigno e la Valsugana più in generale La Sacra famiglia - Il quadro del Guardi siano state private di un’opera

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Ieri avvenne di Chiara Paoli

L’America di “Via col vento” “Via col vento” rimane un film indimenticabile, record di Oscar e di incassi, ma soprattutto emozionante nel suo narrare le vicende amorose di Rossella O’Hara ambientate a Tara, in una piantagione di cotone del sud, all’epoca della guerra civile americana.

L

a guerra di secessione americana prende avvio il 12 aprile del 1861, sconvolgendo le vite dei protagonisti. La causa scatenante di questa lotta fra nordisti e sudisti risiede nell’abolizione della schiavitù, per volere del presidente repubblicano Abraham Lincoln, eletto l’anno precedente. A scontrarsi sono gli Stati Uniti che affrontano gli Stati Confederati del sud, costituiti inizialmente da Alabama, Florida, Georgia, Louisiana, Mississippi e Carolina del Sud, cui si aggiungono nel maggio 1861 anche Texas, Virginia, Arkansas, Carolina del Nord e Tennessee. In questi stati circa la metà della popolazione, a volte anche di più era costituita da schiavi che lavoravano nelle piantagioni di cotone per pochi spiccioli. Nella realtà dei fatti, il soldato dell’Unione soprannominato Billy Yank,

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combatteva non tanto nell’intento di aiutare i fratelli neri, quanto piuttosto per vendicarsi di chi aveva scelto di abbandonare gli Stati Uniti d’America, realtà istituita dai padri fondatori e ritenuta indivisibile. Il soldato confederato, noto con il nome di Johnny Reb, si immola invece per preservare la società rurale in cui vive, rappresentando i cosiddetti Dixies e la neonata confederazione. Ad attaccare per primi sono i sudisti che si dirigono verso Fort Sumter guidati dal generale Robert Lee, conquistandolo e dimostrando la loro superiorità militare. Nord e Sud apparivano già


Ieri avvenne come due mondi molto diversi tra loro, il primo fortemente industrializzato e con una popolazione di 22 milioni in continuo aumento, mentre il meridione era costituito da appena 5,5 milioni di abitanti, per lo più da aristocratici militari proprietari di latifondi, che avevano già combattuto in precedenza nei diversi conflitti del XIX secolo. I Sudisti inoltre potevano contare sull’equipaggiamento britannico, ritenuto uno dei migliori all’epoca e su artiglieria francese così si spiegano i primi successi militari delle forze della confederazione. Ben presto però le sorti si ribaltarono, il Nord aveva investito nell’addestramento degli uomini, dando vita a un esercito di volontari ben addestrato ed equipaggiato. Grazie ai contatti con l’Europa, l’Unione era riuscita a ottenere armi innovative e aveva più che quadruplicato le navi della propria Marina Militare. La zona settentrionale, con le industrie non fece mai mancare ai propri uomini il necessario, dai rifornimenti alimentari alle munizioni, mentre al Sud pian piano tutto ciò cominciò a mancare, a causa dei blocchi navali messi in atto dai nordisti. Questa tattica volta ad indebolire il sud era stata proposta dal tenente generale Winfield Scott, il piano venne presentato con il nome Anaconda e prevedeva appunto l’embargo e mirava a dividere in due la Confederazione, attraverso un attacco al di sotto del fiume Mississipi. Il primo gennaio 1863 venne emesso il Proclama di emancipazione, che prevedeva la liberazione di tutti coloro che negli stati confederati vivevano in stato di schiavitù, ma questa pratica centenaria terminerà solo nel dicembre 1865, con il XIII emendamento alla Costituzione degli Stati Uniti d’America, nella quale lo schiavismo venne dichiarato fuori legge. Nel corso del tempo le nuove forze

militari dimostrarono il proprio valore, così avvenne per Ulysses Simpson Grant che nel marzo del 1864 divenne luogotenente generale e comandante di tutti gli eserciti dell’Unione. Egli aveva dimostrato il suo talento conducendo le truppe ad una serie di successi militari nella cosiddetta campagna di Vicksburg, che si concluse vittoriosamente nel luglio del 1863. Una volta preso il comando il comandante Grant si dirigeva a sud verso Richmond, mentre William Tecumseh Sherman conduceva una parte dell’esercito ad est verso Atlanta e successivamente Savannah, conquistata il 21 dicembre 1864, nell’intento di dividere l’esercito sudista. I sudisti persa Richmond si ritrovarono accerchiati e furono costretti alla resa, avvenuta il 9 aprile del 1865. A

Statua di Abraham Lincoln

pochi giorni dalla fine della guerra, nella serata del 14 aprile all’interno del Teatro Ford un attore spara nella nuca del presidente Abramo Lincoln, che morirà il giorno seguente. «Il conflitto era terminato: il Sud aveva pagato cara la sua tentata secessione; nulla era più come prima. Città incendiate, case distrutte, la morte ovunque.» (Mario Francini in “Storia dei presidenti americani”, Tascabili Newton 1996) La guerra di Secessione Americana che mirava a riunire tutti gli stati sotto un’unica bandiera era durata quattro anni e aveva messo in ginocchio il sud, dimostrando la superiorità del nord industrializzato. Il risultato finale stimato della lotta fra abolizionisti e schiavisti è la morte di oltre 750 mila soldati e 50 mila civili, cui si sommano circa 400 mila feriti a carico della società. Sono poi da mettere in conto 56 mila i soldati che furono segregati nei campi di prigionia, uscendone come spettri di umanità e più di 60mila sono coloro che furono vittime di orribili mutilazioni. Il divario fra Nord e Sud continua a crescere dopo la fine del conflitto e lo schiavismo rimane, sotto forma di segregazionismo. Rialzarsi da questa sconfitta è difficile, anche per l’altezzosa e viziata Rossella che si ritrova a patire la fame e infine da sola, come unica consolazione la terra, la sua Tara, di cui riconosce il valore solo a guerra finita.

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In ricordo di un amico di Massimo Dalledonne

È morto Nerio Fontana: artista del bello Disegnatore, pittore, incisore, scultore e fotografo. All’età di 89 anni è scomparso Nerio Fontana, artista curioso e poliedrico, originario di Cembra ma borghesano e valsuganotto di adozione.

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lasse 1931, ancora giovane con la famiglia si trasferisce in Valsugana. Prima a Strigno, poi a Borgo ma è a Venezia che affina la sua tecnica e l’arte. In laguna frequenta il Liceo Artistico e l’Accademia delle Belle Arti. Come insegnante lavora per diversi anni nelle scuole medie di Borgo, Brentonico e Mezzolombardo. La passione per la fotografia arriva ancora prima, negli anni ’50. Ecco come il critico d’arte Rinaldo Sandri, per molti anni responsabile della pagina culturale del giornale l’Adige, ne scriveva diversi anni fa. “Le opere fotografiche di Nerio Fontana hanno un corpo straordinario. Come egli avverte, sono lungamente progettate, elaborate in sede di stampa, sovvertite affinché affiori nell'immagine una verità che l'autore ha saputo presentire e infine coniugare attraverso l'incessante sperimentazione. Costituiscono una ricerca durata molti anni soprattutto sulla figura (ci sono molti ritratti e molti nudi) sulle luci che l'accompagnano. Fontana non ricorre mai a un'illuminazione artificiale, per lasciare naturalità alle superfici, sempre ricercatissime nel dettaglio espressivo, e soprattutto fedeli a quella regola, ormai antica, secondo la quale unicamente nella sensibilità umana dell' artista va cercata e trovata la certezza per ogni giusta conoscenza”. Nel 1958 la prima mostra personale alla Galleria degli Specchi, ne seguirono tantissime altre (anche collettive) che l’hanno visto protagonista in tutta la Regione. Una volta andato in pensione ha potuto dedicarsi completamente all’attività artistica. Nelle sue opere pitto-

riche, scultoree e fotografiche le donne rappresentano il suo amore sensuale, struggente e tormentoso per il mistero della vita. Come sculture ha lavorato diversi materiali come la terracotta, la ceramica, il marmo ed il bronzo. In tutti queste decenni di attività di Nereo Fontana hanno recensito opere e mostre, sia personali che collettive, oltre allo stesso Rinaldi Sandri anche Ugo Tait, Fiorenzo Degasperi, Luigi Serravalli, Palmiro Boschesi, Gian Pacher, Floriano Menapace, Luciano Coretti, Mariapia Laghi, Riccarda Turrina e Renzo Francescotti che ricorda come “Neri abbia avuto la vita dominata da due ossessioni: l’arte e la donna”. Le donne le ha spiate, idoleggiate, ritratte con tutti gli strumenti come la matita, il pennello, la spatola, il bulino, la sgorbia e la macchina fotografica. Nei momenti di maggiore felicità artistica, di fronte alle figure femminili, quasi per miracolo riusciva a trovare la loro perfezione plastica, l’equilibrio delle forme e la pienezza del-

la luce. Spero che ora sia planato in uno spazio più luminoso di questo nostro, così oscuro. “La realtà – ricordava spesso Nerio Fontana– non cesserà mai di stupirmi con la sua bellezza e le emozioni che mi regala e che al di là delle correnti e delle mode non ha mai tradito o illuso lungo tutta la storia millenaria dell’arte, che ad essa si indirizza ed ispira”. Così lo ricorda il sindaco di Borgo Enrico Galvan. “Negli ultimi anni abbiamo inaugurato allo Spazio Klien diverse sue mostre temporanee. Nerio Fontana ha lasciato molte sue opere in tante case del paese, scorci e paesaggi ma anche splendidi nudi. Una mano geniale, sensuale. A breve le sue sculture saranno valorizzate nella zona dedicata agli artisti al Parco della Pace. Ci mancherà la sua presenza costante, il suo silenzioso rispetto per l’arte e per gli artisti. Non mancheremo certo di organizzare una mostra per rivedere Nerio nei suoi quadri e nella sua amata Borgo”.

Foto di Dido Fontana

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Accadde Ieri di Chiara Paoli

La prima milionaria di colore d’America In questo periodo difficile è bello leggere storie che ci inducono ad avere fiducia nel futuro, racconti di vita che dimostrano che i sogni possono avverarsi se siamo dotati di resilienza e tanta forza di volontà.

“L

’idea mi venne in sogno. I capelli sono bellezza. I capelli sono emozione. I capelli sono il nostro retaggio. I capelli ci dicono chi siamo, dove siamo stati e dove andiamo. Mi chiamo Sarah Breedlove e creare prodotti per capelli è stato il mio sogno”. Queste le parole che danno inizio alla miniserie visibile su Netflix, che narra le vicissitudini della prima afroamericana che diviene milionaria fondando il suo impero sulla cosmesi agli albori del ‘900, dando lavoro a migliaia di ragazze di colore e facendo scoprire loro non soltanto la bellezza, ma anche la dignità di esseri umani che possono prendersi cura di sè. Sarah Breedlove è la quinta di 6 figli e nasce il 23 dicembre 1867 a Delta, piccolo villaggio della Louisiana che contava poche case e numerose baracche di legno in cui tiravano a campare gli schiavi di colore. La madre, il

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padre e i fratelli più grandi versavano in stato di schiavitù, costretti alla raccolta del cotone, in una piantagione a Madison Parish. Sarah nasce poco dopo il proclama di emancipazione, la piantagione di Burney nel 1865 era stata requisita dagli uomini dell’Unione, ma la famiglia rimane alle dipendenze del proprio padrone. Rimasta orfana di madre a soli 4 anni il padre si risposa, ma anche lui in breve tempo viene a mancare. Sarah si trasferisce nella casa dalla sorella e di suo marito Willie Powell che la maltratta e la induce a sposarsi a soli 14 anni con Mosè McWilliams per sfuggirgli. Nel 1885 nasce la figlia Lelia, che a soli due anni si ritrova senza padre, mentre Sarah, vedova decide di trasferirsi a Saint Louis dove i fratelli praticano l’attività di barbieri. Qui si mantiene lavorando come lavandaia per i bianchi. Nel 1894 sposa John Davis, ma il matrimonio non è affatto

Madam C.J. Walker (1914)

felice, l’uomo si rivela un alcolista giocatore d’azzardo che non ha alcuna voglia di lavorare e per giunta la picchia, l’unione durerà fino al 1903. Sarah come tante altre donne inizia a perdere i capelli, le malattie del cuoio capelluto si moltiplicavano a causa della scarsa igiene. È così che inizia a testare alcuni prodotti presenti sul mercato per la crescita dei capelli, in particolare la pomata Poro, formulata e commercializzata da Annie Malone che aveva aperto una sede a St. Louis e per la quale Sarah lavora come venditrice porta a porta. Nella miniserie, basata sul libro scritto dalla pronipote A’Lelia Bundles e intitolato “On her own ground - the life and times


Accadde Ieri of Madam C. J. Walker”, vediamo una Sarah C.J. Walker rifiutata come venditrice come “troppo nera” e soprattutto impresentabile quale modello di bellezza ideale. Da qui si scatena la rivalità tra le due donne, Sarah si trasferisce a Denver e si sposa con Charles Joseph Walker, che realizza pubblicità per i giornali; qui si dedica a sviluppare una nuova formula per shampoo e pomata a base di zolfo e inizia a commercializzare il suo prodotto. Annie Malone di rimando inserisce nei suoi inserti pubblicitari la dicitura “beware of imitations” (attenzione alle imitazioni)! In realtà non esisteva all’epoca alcun brevetto, tanto più che i benefici dell’igiene del cuoio capelluto e le proprietà dello zolfo erano note sin dal ‘500. Leggenda narra che la formula del prodotto di Madame Walker le sia stata rivelata in sogno da un “grande uomo nero”, ma la realtà dei fatti porta a credere che sia stata elaborata grazie all’aiuto di un farmacista, Edmund L. Scholtz.

Il sogno prende forma vendendo a domicilio il suo “Madam Walker’s Wonderful Hair Grower” e ampliando velocemente la rete di vendite. Nel 1908 si trasferiscono a Pittsburgh dove inaugurano il Lelia College, scuola di formazione per agenti di vendita e parrucchiere, dando una possibilità di guadagno e indipendenza economica a numerose ragazze di colore, altrimenti costrette a lavorare al servizio dei bianchi. Nel 1910 viene costruita una grande fabbrica a Indianapolis e i suoi prodotti raggiungono i Caraibi. Si dirigono quindi alla volta di Harlem dove comprano casa e aprono un salone di bellezza, insieme a una nuova scuola per venditrici. Nel 1917 si trasferisce nella Villa Lewaro a Irvington, eretta su progetto del primo architetto nero ad aver ottenuto la licenza

nello stato di New York. Sarah C.J. Walker si dedica anche alla politica per favorire e sostenere la rivendicazione dei neri troppo a lungo sfruttati, filantropa e sostenitrice di progetti culturali come il Walker Theatre, ogni anno finanziava con 10 mila dollari gli studi di giovani neri. Si spense il 25 maggio 1919, per complicazioni dovute all’ipertensione di cui soffriva. Nel 1993 è entrata a a far parte della National Women’s Hall of Fame.

BORGO

In ricordo di un amico - Ciao Giancarlo

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iancarlo Corradin ci ha lasciato. Da qualche settimana la comunità di Borgo ha salutato una persona dalla grande umanità e disponibilità. Classe 1942, se n’è andato all’età di 77 anni. Originario di Lomazzo, una cittadina di 10 mila abitanti in provincia di Como, in Valsugana era arrivato agli inizi degli anni ’60. A Borgo trova lavoro assunto, inizialmente come perito elettrotecnico, presso le Ceramiche Ingres. Giancarlo aveva una grande passione per il calcio. Tifosissimo dell’Inter, indossa per qualche anno la casacca giallorossa dell’Us Borgo e diventa capo fabbrica all’Ingres, ruolo che avrà fino al momento della chiusura dello stabilimento. Una volta in pensione, Giancarlo Corradin si dedica anima e corpo alla sua comunità. Dopo aver appeso le scarpe al chiodo, diventa accompagnatore, dirigente e, per tre anni, anche presidente dell’Us Borgo: dalla stagione 1986/87 fino a quella 1988/89 quando lascia l’incarico a Bruno Divina. Ma la sua passione sportiva andava oltre il calcio: era appassionato di ciclismo, direttore di corsa tanto da essere sempre presente, ogni anno, nel comitato organizzatore della Coppa d’Oro. È stato tra gli organizzatori del Palio della Brenta, manifestazione che, assieme a tanti altri, aveva fondato nel 1985. Sempre presente all’interno della vita parrocchiale, disponibile a dare una mano a tutti, non faceva mai mancare la sua presenza nell’attività dell’oratorio, all’interno dell’Avulls e della San Vincenzo. Aveva sempre parole di conforto per tutti, sempre sorridente, allegro e solare.(M.D.)

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Ieri avvenne di Massimo Dalledonne

Un frate regicida Sono passati quasi 120 anni da quando, il 19 luglio del 1900, a Monza venne ucciso, all’età di 56 anni, il re d’Italia Umberto I. Il monarca trova la morte per mano dell’anarchico Gaetano Bresci ma in pochi, anzi pochissime persone, compreso il sottoscritto, erano al corrente che in quelle febbrili settimane che seguirono l’attentato anche un bonario e cordiale padre francescano venne sospettato del regicidio. Una storia, quella raccontata dalle pagine di Voci Amiche da don Armando Costa, infaticabile storico e documentarista di tutte le vicende che riguardano il suo paese natale e la V alsugana, che a quel tempo era stata riportata anche dalla rivista dei gesuiti “La Civiltà Cattolica”.

È

bene ricordare che a quei tempi, siamo nel 1900, Borgo Valsugana faceva parte dell’impero austroungarico, uno dei tanti comuni della provincia del Tirolo. Era il 24 agosto quando padre Piero, all’anagrafe Giampietro Matuella, originario di Mezzolombardo, di stanza presso il convento di Borgo decise di partire per trascorrere alcuni giorni in laguna, a Venezia. Come ricorda don Costa “era nato il 30 luglio del 1869 e vestì l’abito serafico a Santa Maria delle Grazie presso Arco. Emise i voti solenni il 29 settembre del 1890 e venne ordinato presbitero il 10 luglio del 1892”. Suc-

Gaetano Bresci

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cessivamente venne trasferito presso la famiglia francescana di Borgo. Al suo ritorno da Venezia decise di fare una tappa a Padova per visitare la basilica del Santo. “Dopo aver pregato – continua don Armando Costa – e passato al convento dei Conventuali, finalmente si era messo in una locanda in attesa del passaggio del treno che doveva portarlo a Borgo”. In quei giorni e settimane convulse la polizia italiana era stata tutta mobilitata per rintracciare a catturare l’attentatore di Umberto I ed i suoi complici. “Si stava avvicinando l’ora della partenza quando gli si parò davanti un signore che, manifestatosi per delegato di questura, l’invito a seguirlo in Polizia. Il povero francescano – si legge nell’articolo – fece di tutto per persuadere il delegato che ci doveva essere un equivoco ma invano. Dovette fare di necessità virtù ed andare in questura dove venne perquisito da cima a fondo e sottoposto a un noioso interrogatorio per più di un’ora. Poi venne condotto e consegnato ai Conventuali e rimesso in libertà”. Ma i guai per il tranquillissimo e popolarissimo “padre Piero” non era ancora finiti. A Borgo, come

ricorda anche don Armando Costa, a quel tempo era conosciuto come un frate bonario e cordiale, confessore ricercato, simpatico e amabile per le sue battute acute. “Il frate prese la via della stazione, si presentò allo sportello per comperare il biglietto quando un altro delegato di questura lo fermò nuovamente. Questa volta lo dichiara in arresto e lo mena in prigione. Viene sottoposto ad un altro interrogatorio e, dopo una minuta perquisizione fino allo spoglio dell’abito, gli viene levata anche la corona, il cingolo e una fascetta di lino che copriva una piccola piaga ad un piede. Poi viene posto in prigione”. Una vicenda decisamente singolare. Come prosegue nel suo racconto don Costa “il povero frate, impedito di corrispondere con chicchessia, tenuto sotto stretta e severa sorveglianza, senza sapere dove la vicenda sarebbe andata a parare, dovette starsene due giorni nella celletta dei malfattori. Finalmente, verificato l’equivoco, quando la questura si rese conto di averlo scambiato per un complice del regicida Gaetano Bresci, fu rimesso in libertà e poté tornarsene al suo convento di Borgo”. In Valsugana padre Piero rimase ancora diversi decenni e morì il 31 gennaio del 1959, all’età di 90 anni, presso l’infermeria dei Francescani di Trento.


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Storie di ieri di Massimo Dalledonne

In memoria di Giovanni Ernesto Fante GRIGNO – Giovanni Ernesto Fante oggi è ricordato nel monumento ai Caduti di Enego in Piazza S. Marco e da un cippo in capo al ponte di Tezze, sulla riva destra del fiume Brenta, nel comune di Grigno. Nella frazione, infatti, la vita gliela strapparono a calci e pugni il 0 settembre del 1944. Una storia, la sua, che merita di essere raccontata prendendo spunto dalle pieghe della memoria grazie alla ricerca paziente dello storico Giuseppe Sittoni, impegnato a ricostruire le vicende partigiane dell’altopiano di Asiago e del Canal di Brenta.

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iovanni Ernesto era il primogenito dei sette figli di Antonietta Mocellin e Antonio Fante, un «ragazzo del ’99» che fece in tempo a vivere da soldato bambino gli orrori della Grande Guerra, da uomo le angherie riservate agli antifascisti. È la storia di un ragazzo di diciannove anni travolto dagli orrori della guerra. Con la famiglia abitava a Pianello Vallon, terra di confine, un pugno di case sulla destra del Brenta, sotto il Comune vicentino di Enego. Poco più su Pianello di Sopra, un altro grumo di abitazioni sotto Grigno: in mezzo il confine tra Italia e Alpenvorland, tra Salò e la Zona di Operazioni delle Prealpi sotto diretto controllo tedesco, a due passi il cippo che segnava il confine fra l’impero austroungarico e il regno d’Italia.

Di lui ne ha scritto Giuseppe Sittoni, così come Attilio Pedenzini in un ampio servizio pubblicato il 9 settembre del 2008 dal quotidiano l’Adige. Gente pratica, quella dei due Pianello, divisa da un segno sulla carta geografica ma unita nelle vicende quotidiane. Il padre lavorava un piccolo appezzamento strappato al Brenta nel fondovalle, che da solo non bastava a sfamare i sette ragazzi. Così aveva preso in affitto anche una malga sull’altopiano e tirava avanti nonostante la guerra. Tutti sapevano che sull’altopiano c’erano molti partigiani. I più vicini quelli della Divisione Sette Comuni: trecento uomini, in massima parte cattolici e monarchici, di stanza in Mesagranda, in prossimità della malga Val d’Antenne di Angelo e Domenico Stefani

di Tezze. Per raggiungerli c’erano e ci sono ancora tre sentieri: il primo partiva proprio vicino alla casa di Giovanni Fante, il secondo al vecchio cippo del confine e l’ultimo, il più ampio, al ponte di Tezze. Tutti erano battuti dai partigiani che

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Storie di ieri di notte, ricorda Nerina Montibeller, scendevano alla ricerca di cibo e di armi, e dai tedeschi che li inseguivano sulla montagna ma più spesso si accontentavano di piazzare le mitragliatrici per il fuoco di sbarramento. Giovanni salì in montagna nell’agosto del 1944 e si unì alla compagnia «Fiamme Verdi» della «Sette Comuni». La divisione, trasferita a Frizzon dopo il proclama Alexander con il nome «Ortigara», aveva il compito di provocare il maggior danno possibile alla ferrovia e ai depositi di carburante ed esplosivo della Todt, impegnata nelle opere di fortificazione fra Tezze e Ospedaletto e nelle riparazioni alla ferrovia con duemila uomini a Cismon e un altro migliaio alle dipendenze di Carlo Zanghellini di Strigno. La linea ferrata della

Valsugana aveva assunto una certa importanza strategica dopo che quella del Brennero era stata resa pressoché inservibile dai bombardamenti alleati e dalle incursioni nella zona di Fortezza dei partigiani della «Calvi» che dalla Val Cordevole scendevano attraverso la Pusteria. La recluta Giovanni, ai comandi di Giulio Vescovi «Leo», non ebbe il tempo di prendere un nome di battaglia. I nuovi arrivati dovevano prima concludere il periodo di addestramento, che prevedeva il supporto ai compagni nelle azioni economiche per procurare le derrate alimentari che abbondavano nei magazzini Todt. L’otto settembre scese per viveri assieme ad altri due partigiani, ma non riuscirono a salire il ripido sentiero al ponte di Tezze con tutto il carico. Nonostante il parere contrario del comandante Leo e dei compagni decisero di scendere il giorno successivo per recuperare quanto era rimasto occultato nel bosco. Arrivarono in valle verso l’imbrunire ma trovarono ad attenderli i tedeschi e i militi del Corpo di Sicurezza Trentino. Erano quasi accerchiati quando Giovanni cadde ferito gridando aiuto. I due compagni, uno dei quali, Antonio Todesco «Pardo», morirà poco dopo sotto le torture dei tedeschi, fuggirono per non cadere nelle mani naziste. Girolama Stefani, di Tezze, ha ancora nelle orecchie il rumore degli spari,

negli occhi il lampeggiare dei fucili all’altra estremità del ponte, le invocazioni «Mamma! Mamma!» della recluta ferita. Ma i trentini del CST e i nazisti non si impietosirono. Le urla del ferito sembravano quasi reclamare una maggiore ferocia. Infierirono su Giovanni e poi, non paghi, lo legarono per i piedi e lo trascinarono moribondo per le vie di Tezze fino alla vecchia dogana nei pressi della chiesa. Le botte e le ferite al volto, ricorda ancora la signora Nerina, lo avevano reso irriconoscibile. Il tempo di constatarne la morte e via, verso la casa di famiglia a Pianello Vallon per una punizione esemplare, armati di taniche di benzina per cauterizzare l’onta nel fuoco. Per salvare gli altri ragazzi e la casa, ad Antonio e Antonietta non fu risparmiato lo strazio di dover negare che il povero corpo alla dogana appartenesse al figlio. Il giovane rimase dietro la porta della dogana anche il giorno successivo, domenica. Lo vide Antonio Voltolini andando a messa. Lo vide Rita Stefani, che nella strada verso la chiesa notò le tracce del trascinamento. Arrivata alla parrocchiale venne raggiunta da una persona che, agitata, le chiese una corona del rosario. Lei, senza capire, le diede la sua e, incuriosita, la vide avvicinarsi a un capannello di territoriali e tedeschi per metterla fra le mani del morto: un gesto di pietà che riaccese l’ira dei soldati.

BRAVISSIMA FRANCESCA - COMPLIMENTI E CONGRATULAZIONI

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a nostra corrispondente USA, Francesca Gottardi, è una dottoranda ed assistente universitaria in diritto internazionale e scienze politiche presso l’Università di Cincinnati, negli Stati Uniti. Ha conseguito la laurea in giurisprudenza presso l’Università degli studi di Trento nel 2016, seguendo un percorso di diritto europeo transnazionale. Si è poi trasferita negli Stati Uniti, dove nel 2018 ha conseguito un master post-laurea in diritto americano ed internazionale, che l’ha portata a lavorare presso il Ministero degli Interni della Georgia, dove nell’estate 2018 ha vinto una borsa di studio per lavorare nel campo dei diritti umani. Recentemente, e siamo felicissimi per Lei, ha superato l’esame di avvocato negli Stati Uniti, e ora lavora come consulente legale presso la General Electric.”

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Conosciamo il territorio di Chiara Paoli

“La Brenta” Dai laghi di Caldonazzo e Levico prende vita il fiume Brenta, da tutti conosciuto al femminile, come “La Brenta”, che con i suoi 174 km si colloca al tredicesimo posto per lunghezza in Italia.

L

a Brenta, nasce dal lago di Caldonazzo, attraversa la Valsugana orientale, dove raccoglie l’acqua dei torrenti Centa, Larganza, Moggio, Ceggio, Maso, Chieppena e Grigno per giungere in Veneto dove viene raggiunta da ulteriori affluenti per finire il suo corso a sud di Chioggia, dove confluisce con il Bacchiglione nell’Alto Adriatico. Con il nome di brenta si indica in realtà anche un contenitore, molto simile ad una gerla come forma, ma realizzata con assi di legno incurvate e con una capienza di ben 50 litri. All’interno di essa si conservava acqua o si pestava l’uva con l’ammostatoio, come ricorda Camillo Andriollo nel video realizzato per “L’alfabeto delle cose”, tra le risorse messe on-line dal Museo degli Usi e Costumi della Gente Trentina di San Michele all’Adige. Ma se per i trentini la Brenta indica quindi anche una grande quantità di liquidi, per i veneti la “Bren-

Borgo Valsugana

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tana” diviene sinonimo di alluvione. Il corso del fiume è stato modificato nel tempo, gli studiosi ci dicono che prima dell’alluvione del 1589 esso passava attraverso la città di Padova, che per l’appunto deriva il proprio nome da Patavium, che significa invero “abitanti di palude”, seguendo il percorso dell’attuale linea ferroviaria. Medoacus, questo il nome attribuito al fiume dai romani, che voleva probabilmente intendere “in mezzo a due laghi”, quella di origine e la zona lacustre o forse piuttosto facendo riferimento al suo aver percorso quello che è oggi il corso del Canal Grande, passando tra i due laghi che un tempo si collocavano nel veneziano prima che questi si unissero per formare la laguna vera e propria. È in epoca medievale che fa la sua comparsa il nome “Brintesis”, tratto per alcuni dal termine latino “rumoreggiare”, per indicare le molteplici inondazioni, anche se l’interpretazione più accredi-

Il Brenta

tata vuole che questo termine derivi dal germanico “Brunnen” che significa fontana. In epoca medievale il controllo sui percorsi fluviali era di fondamentale importanza e la Brenta divenne motivo di contesa tra le città di Padova e Venezia, il delta del fiume non permetteva di definire in modo univoco i confini territoriali. Padova per evitare continue esondazioni costruì alti argini a Vigodarzere che impressionarono anche il celebre poeta Dante Alighieri, di passaggio in qualità di ambasciatore dei signori Da Polenta di Ravenna.«E quale i padovan lungo la Brenta / per difender lor ville e lor castelli / anzi che Chiarantana il caldo senta /[...] / a tale immagin eran fatti quelli / tutto ché né sì alti né sì grossi / qual che si fosse lo maestro felli» (Inferno, canto XV) La storia idrogeologica della Brenta è assai complessa, il suo corso è stato


Conosciamo il territorio soggetto nei secoli a numerose modifiche, effettuate a volte per garantirsi un passaggio diretto evitando il pagamento di dazi e gabelle, in altri casi prosciugando per lasciare senza acqua il nemico. Le variazioni si sono rese necessarie anche per evitare alluvioni e limitare l’imputridimento delle acque, che rischiavano di divenire paludose e quindi impraticabili e insalubri per gli abitanti. Nel 1604 è Gianluigi Gallesi a produrre un progetto per le deviazioni del corso del Brenta, con l’istituzione delle “Sette prese”. Girolamo Francesco Cristiani, fece parte della commissione per lo studio dell’influenza del fiume Brenta sulla laguna veneziana e i suoi studi matematici vennero pubblicati nel 1795 con il titolo: “Della inalveazione, e del regolamento del fiume Brenta conforme al piano idrometrico del sig. avvocato fiscale

Ponte Vecchio (Bassano del Grappa)

Angelo Artico approvato, e modificato da cinque matematici ”. Nell’ottocento, ad occuparsi della regolamentazione del fiume Brenta è invece l’ingegnere Pietro Paleocapa, ricordato con una grande statua all’interno del giardino Papadopoli di Venezia. Il fiume caratterizza il centro storico di Borgo Valsugana e la città di Bassano del Grappa, dove scorre sotto il celebre “Ponte Vecchio” o ponte degli Alpini con copertura lignea, presente già nel XIII secolo, ma ricostruito tra 1567 e

1569, seguendo il progetto di Andrea Palladio. Questo corso d’acqua contraddistingue la nostra valle e il vicino Veneto, permettendo anche diverse attività come la canoa, il rafting, la pesca sportiva, ma anche la navigazione su battello con visita alle splendide ville venete. Un fiume ricco di storia che ha le sue origini in Valsugana e con il suo corso ha dato vita a una delle più splendide cartoline italiane, la laguna di Venezia.

IL RICORDO DI PAOLO CAUMO

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di fare ed in silenzio se ne è n po’ schivo come era nel suo modo li Amici del Cavallo fino allo andato Paolo Caumo, presidente deg testimone perché diceva di scorso autunno quando ha passato il e questo ruolo. Il suo fisico indeboliaver timore di non riuscire più a ricoprir affrontate sempre con grande dignito da una lunga serie di complicanze, che se l’è portato via. Oltre ai suoi tà, non ha retto all’ultima fase cruciale no iazione e tutti gli amici, giovani e me familiari lo piangono i soci dell’Assoc per tutto questo tempo la passione giovani che con lui hanno condiviso disfazioni maturate al Centro Ippico per il mondo del cavallo e tutte le sod o. Presidente degli Amici del CavalDe Bellat alle Spagolle di Castelnuov fino appunto allo scorso autunno lo dal 2008, ha ricoperto questa carica allo sviluppo del Centro Ippico, sia impegnandosi con grande dedizione ità propriamente equestri, nonché di in termini di infrastrutture che di attiv creato di conseguenza i presupposti relazioni sociali e di volontariato. Ha ’ambito equestre, con l’attività assistita per il concretizzarsi di eccellenze nell ona equilibrata e capace di gestire un a cavallo come fiore all’occhiello. Pers professionalità con le istituà, rapportandosi correttamente e con colt diffi ve etti ogg con sso spe ivo sua salute, anche mondo associat e. Dovendo fare i conti anche con la zion ocia l’ass con e rativ abo coll pre zioni locali e provinciali sem e delle nuove infrastruttuegno e determinazione la realizzazion imp con uito seg pre sem ha ci, criti hanno cononei momenti più territorio. “Tutti i soci e gli amici che ti tro nos sul nza elle ecc di e estr equ re che garantiscono un centro i ed in quelli con difficoltà”. e che hai insegnato, nei momenti bell o fatt hai che llo que per lo Pao ano sciuto ti ringrazi enticheremo”. (M.D.) rti più fra noi, tutti ti dicono “Non Ti dim ave non per re cuo nel ezza trist la Con

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Medicina & Salute di Laura Fratini *

CORONAVIRUS... sensazioni ed emozioni

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ra dai tempi della seconda guerra mondiale che l’Italia non veniva messa tanto a dura prova: la pandemia del 2020 sta unendo e dividendo allo stesso modo tutta la popolazione. In questo momento ciascuno di noi si trova ad essere investito da molte emozioni diverse e la gestione di queste non è sempre facile e automatica. È in questo frangente che dobbiamo attingere il più possibile alle nostre risorse, sviluppando al meglio la nostra resilienza. Le emozioni che ci troviamo ad affrontare sono sicuramente, paura, ansia, rabbia e tristezza: sono tutte emozioni primarie che si attivano per la sopravvivenza, emozioni primitive che abbiamo fin dalla nascita e come tali ci aiutano a far fronte a qualcosa che potrebbe minacciare la nostra incolumità fisica. La pandemia causata dal COVID-19 ha creato in noi proprio un riattivarsi di quelle emozioni che hanno la funzione di preservarci, di metterci al sicuro. Paura e ansia: due stati che in questa quotidianità è normale che possano affacciarsi, anzi svolgono il proprio ruolo, in quanto ci troviamo a vivere uno stato di ‘’incertezza’’ che ci porta ad essere in allarme quindi preoccupati per come si svolgeranno i fatti. Il continuo crescere dei contagi e i decessi che ha caratterizzato l’esplosione della pandemia in Italia, ha attivato in noi la ‘’paura’’ che ci ha portato a difenderci stando in casa e facendo ciò che ci dicono le autorità competenti. Il problema è quando questa paura continua a perseguitarci in tutti i momenti della nostra giornata, inchiodandoci e bloccandoci definitivamente. Le emozioni negative possono portarci a rimuginare, a creare nella nostra

mente pensieri ripetitivi che non hanno nessuna funzione ‘’benevola’’ ma anzi, ci portano sempre più nella spirale disfunzionale creando in noi uno stato di malessere che alimenta questo circolo vizioso. Importante, quindi, non soffermarsi troppo su questi pensieri ma prendere atto di questi senza dare loro troppo peso: per farlo occorre introdurre nella nostra quotidianità attività piacevoli (hobbies, giardinaggio, lettura, cucito, visione di film, scrivere un diario di ciò che stiamo vivendo raccontandolo come una storia che poi verrà riletta, cucinare, occuparsi della casa, decoupage etc). Sono solo alcune idee per spostare l’attenzione della nostra mente dall’interno, quindi dai nostri pensieri negativi e dalle nostre emozioni ‘’catastrofichè’, all’esterno sulle cose che possiamo fare realmente. Oltre a questo, continuiamo a seguire in modo responsabile ciò che ci viene detto di fare per dare il nostro contributo ed aiutare noi e gli altri ad uscire quanto prima da questa situazione. Non solo paura ma anche rabbia in questo momento. La rabbia, rispetto alla paura, mostra somiglianze e differenze. È anch’essa come la paura un’emozione che segnala una minaccia, un pericolo. Essa però suggerisce una reazione differente. La paura porta alla fuga, la rabbia all’attacco. Le differenze risiedono nel tipo di soluzione proposta. A quali pensieri corrispondono queste differenze? Reagire al coronavirus con rabbia e non con paura significa cercare un autore cattivo, una intenzione malevola, intenzione che naturalmente non può essere attribuita al virus, invisibile e inoltre troppo elementare come organismo

per essere oggetto di un’aggressione sensata. L’aggressione si volge quindi verso gruppi umani a cui è addossata una intenzione malevola. Spesso ci sembra più facile e immediato attaccare e spostare il fulcro della propria sofferenze dall’interno verso l’esterno, quindi nel breve termine sembra più catartico aggredire qualcuno o attribuire colpe che stare veramente su una sofferenza interna che possiamo provare vista la situazione che stiamo vivendo. La rabbia umanizza il pericolo e quindi ci sembra più facile poterlo combattere, questo però porta a comportamenti di massa che creano a lungo termine soltanto disgregazione e ulteriore sofferenza. In questi giorni inquieti, in cui abbiamo oscillato dalla drammatizzazione di una banale influenza e la ripetizione della peste di Boccaccio e del Manzoni, dobbiamo stare più attenti alla rabbia piuttosto che alla innocua paura. Se stessimo esagerando con la paura, poco male. Si tratterà di recuperare qualche giorno di lavoro o di scuola persi. Se esageriamo con la rabbia invece finisce che qualcuno si fa male e a qual punto ci sarà poco o nulla da recuperare. * Dott.ssa Laura Fratini Psicologa - Psicoterapeuta Studio, Piazzale Europa n°7 - Trento Tel. 3392365808

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Il vero altruismo di Elisa Corni

Henry Dunant e la Croce Rossa Il simbolo di questa organizzazione internazionale e umanitaria lo conosciamo tutti: una croce rossa su sfondo bianco. Ma non tutti, forse, conoscono la sua storia. Era il 24 giugno del 1859, e sui colli tra San Martino nei pressi del Lago di Garda, stava per consumarsi una delle più sanguinose battaglie di quel secolo. Imperversava infatti la seconda guerra d’indipendenza italiana, che vide schierati in campo trecentomila soldati dei tre eserciti coinvolti: quello francese, quello sardo-piemontese e quello austriaco. Un terzo di questi furono feriti, morti o dispersi.

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a uno dei colli che sovrastavano il campo di battaglia, con sguardo colmo di terrore, il giovane umanista svizzero Henry Dunant assisteva impotente alla scena. O almeno così è come la raccontano. Ciò che è certo è che il trentenne di Ginevra si trovava lì per incontrare Napoleone III in cerca di finanziamenti per le sue imprese, e si trovò coinvolto nel terribile macello di quella guerra disumana. Nei giorni successivi i novemila feriti di quella battaglia furono portati a Castiglione delle Stiviere, un paese a sei chilometri da Solferino, dove esisteva un ospedale. Un piccolo ospedale che non era in grado di intervenire adeguatamente di fronte a quella emergenza. Da una terrificante esperienza di disumanità nacque però una grande opera di umanità: l’assistere impotente alla mancanza di una sanità militare che potesse intervenire sul campo fece nascere in Dunant l’idea che ci fosse bisogno di personale medico neutrale che potesse intervenire per salvare vite sui campi di battaglia. Il primo prodotto di questa illuminazione fu un testo unico e fondamentale, che fu tradotto poi in più di venti lingue: “Un Souvenir de Solferino”, scritto tra il 1860 e il 1861. Oltre a raccontare la crudeltà della guerra, egli mostrò per la prima volta un lato

della medaglia sconosciuto ai più: quella mancanza di interventi sanitari e medici, il totale disinteresse per i feriti, la mancanza di tutele e cure per i bisognosi che tanto lo avevano colpito pochi anni prima. In questo testo compaiono già quelli che saranno i capisaldi del suo pensiero: la creazione di un’entità per soccorrere i militari feriti e la necessità di stabilire delle regole di condotta. Queste due sfociarono rispettivamente nella Croce Rossa e nella Convenzione di Ginevra. Quest’ultima, siglata alla fine della prima conferenza di Ginevra nell’agosto 1864 oltre a fondare la Croce Rossa permise di indicare obblighi, limiti e ingiustizie nei diritti umani anche in caso di guerra. Durante questo incontro internazionale, si determinò, tra le altre cose, come le strutture e il personale sanitario della Croce Rossa fossero neutrali e come non potessero essere limitati nell’azione di cura e assistenza dei feriti. Da lì in poi le nazioni di tutto il mondo costituirono la loro CR; in Italia a fondarla nel 1864 fu il medico milanese Cesare Castiglioni. Come stabilito nella ventesima Conferenza Internazionale della Croce Rossa a Vienna nel 1965,

il Movimento internazionale della Croce Rossa si basa su sette principi fondamentali che oltre a costituire lo spirito del movimento stesso ne stabiliscono le basi etiche; sono Umanità, Imparzialità, Neutralità, Indipendenza, Volontariato, Unità e Universalità. Per tutto ciò Jean Henry Dunant fu insignito del prestigioso Premio Nobel per la pace nel 1901, primo anno in cui tale riconoscimento veniva assegnato. La giornata internazionale della CR è l’8 maggio.

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Medicina & Salute di Erica Zanghellini *

Il perdono a noi stessi e agli altri

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uanti di noi nella vita si sono trovati nella situazione difficile di dover perdonare qualcuno, ma che questa circostanza metta a dura prova se stessi? Il perdono non è un passaggio scontato, quante volte diciamo a noi stessi e agli altri che quell’azione, che quella cosa accaduta, non si può perdonare? Il perdono può essere definito come un concetto duplice; da una parte è un processo, che ci costa fatica e che racchiude tutto quell’insieme di atteggiamenti (coraggiosi) che si devono mettere in atto per riuscire a lasciare andare il rancore che proviamo, che ci rende prigionieri e che ci consuma dentro. Solo in questo modo potremmo accettare quello che è stato, ma soprattutto andare avanti con la progettualità della nostra vita. Dall’altra invece, il perdono può essere visto come un percorso mediante il quale riusciamo a risanare le ferite ricevute e le conseguenti

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emozioni negative, e piano piano arrivare alla pace interiore. Insomma, il perdono è un costrutto psicologico complesso, che coinvolge più piani della nostra vita, il piano emotivo, quello cognitivo e quello comportamentale. Ricordiamoci che anche perdonare sé stessi non è una cosa automatica, quanti di noi “portano ancora il segno” di azioni compiute o no, che avrebbero potuto cambiare le conseguenze delle nostre scelte e quindi la nostra vita significativamente? Perdonare non deve significare dirci che quello che è accaduto in un dato momento della nostra vita è stato positivo, o riappacificarci con la persona che ci ha fatto soffrire. Non è sentirci in obbligo o avere pietà di lei o di noi. Perdonare vuol dire lavorare su di noi, per evitare di essere logorati a livello personale per quel che è accaduto. L’arte di perdonare se stessi e gli altri può regalarci vantaggi sostanziali,

anche e soprattutto rispetto la nostra qualità di vita, del nostro benessere. Perdonare vuol dire liberarci di una buona dose di stress, di renderci liberi dalla rabbia. La rabbia, soprattutto se cronica può avere un impatto negativo importante su di noi e su chi ci sta attorno e a cui vogliamo bene. La ricerca riporta addirittura un aumento della nostra reattività allo stress, ma soprattutto l’ innalzare il rischio dello sviluppo di malattie croniche, e in primo luogo di quelle cardiovascolari. Altri studi dimostrano come il riuscire a perdonare, ha un impatto positivo invece sulla riduzione dell’ansia o dei disturbi dell’umore. Preciso che perdonare significa abbandonare ogni speranza di un passato migliore: non dimenticare o negare il fatto di essere stati feriti ma, invece, arrivare a relazionarsi in modo differente con il torto subìto, imparare a pensare in modo più funzionale. Non dobbiamo sentirci né


Medicina & Salute in obbligo a riconciliarci, né accettare passivamente e senza proferir parola di quanto successo. Perdonare insomma, significa liberarsi dei pesi della vita, che non meritiamo di avere. E non dobbiamo nemmeno commettere l’errore di pensiero che dobbiamo perdonare perché qualcuno si è scusato con noi. Cerchiamo di non cadere nella trappola mentale di pensare che chi ci ha offeso o danneggiato sia cosciente e capisca i suoi errori. Nei casi estremi potrebbe addirittura non ammettere di aver fatto qualcosa di sbagliato. La vita è così, e forse va bene lo stesso, perché bisogna ricordarsi che il perdono lo dobbiamo a noi stessi, questo processo lo facciamo per noi, per il nostro benessere e non per gli altri. I beneficiari di questo processo dobbiamo essere noi, e non deve dipendere: non ha bisogno di

qualcun altro per avere il via. Non dobbiamo pensare che chi perdona è un idiota, anzi…odiare ci sottrae energie vitali, la speranza, la tranquillità ed essendo un processo, dobbiamo capire che non sarà o tutto bianco o tutto nero. Non ci sarà un svolgimento interiore lineare per arrivare al perdono, ma più un percorso a montagne russe, qualche giorno un po’ meglio, qualche giorno invece, proveremo molta fatica per arrivare a lasciar andare il fastidio che proviamo. Forse non si arriverà mai a perdonare del tutto quella persona o se stessi, ma possiamo arrivare a scaricare una buona parte del risentimento che proviamo e liberarci del dolore, per avere energie da investire in altro. Costruttività, invece che distruzione, questo dobbiamo pensare. Un ultimo consiglio: la scrittura in questo può venirci d’aiuto. Il tenere

un diario su questo argomento, può sostenere questo processo. Ricordiamoci che il perdono è la pietra miliare di qualsiasi tipo di relazione, che sia amicale, di coppia o genitoriale. Non tutti vediamo il mondo con gli stessi occhi, di fatto ci sono molte percezioni, approcci alle cose e opinioni diverse e quelli che percepiamo come atteggiamenti provocatori, affronti o atti di disprezzo altro non sono che malintesi o espressioni di disaccordo. Per cui ampliare il nostro senso di comprensione e la capacità di perdono sembrerebbero dei buoni presupposti per il nostro benessere, e questo è l’unica cosa importante. * Dott.ssa Erica Zanghellini Psicologa-Psicoterapeuta Riceve su appuntamento Tel. 388 4828675

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Fatti di casa nostra di Massimo Dalledonne

Guerra in mostra a Borgo Pronti a riaprire la mostra all’ex mulino Spagolla di Borgo. Le novità raccontate da Fulvio Alberini.

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opo la pausa invernale ha riaperto (anche se per pochi giorni, a causa dell’emergenza sanitaria del Coronavirus) la Mostra Permanente della Grande Guerra in Valsugana e sul Lagorai. In attesa di poter mostrare ai visitatori ed ai tanti appassionati le novità 2020, Valsugana News le ha visitate per voi. Lo abbiamo fatto assieme al presidente dell’Associazione Storico Culturale della Valsugana Orientale e del Tesino Fulvio Alberini, una realtà che da 19 anni gestisce ed arricchisce, di volta in volta, questo vero e proprio “sistema culturale” con ricerche, conservazione e la valorizzazione di quanto attiene agli aspetti locali del grande conflitto. La parte del leone la fa la nuova vetrina dedicata alla guerra dei gas a monte Civeron. “Direi proprio di sì. Assieme all’uniforme ed alla medaglia d’argento al valor militare di un ufficiale italiano, caduto nelle battaglie dell’estate del 1916 – ricorda Alberini - trovano posto delle maschere

antigas utilizzate dal regio esercito nel corso del conflitto. Si va dal rudimentale tampone antigas Ciamician-Pesci alla britannica Small Box Respirator”. Presso l’ex mulino Spagolla di Borgo, sede della mostra, si trova anche una ricca biblioteca storica, un importante archivio fotografico e diaristico e pubblicazioni e periodici cicli di incontri divulgativi. L’ Associazione Storico Culturale della Valsugana Orientale e del Tesino da anni ha avviato un rapporto fiduciario con il Museo Storico Italiano della Guerra di Rovereto e, grazie alla Soprintendenza ai Beni Culturali ed alcuni collezionisti, nei locali che si affacciano sul fiume Brenta ora sono esposti alcuni notevoli cimeli storici. “Proprio così. C’è un fucile Werndl M1867 – prosegue Alberini - con relativa baionetta (l’antiquata arma mono colpo utilizzata ad inizio guerra dagli Standschützen in Valsugana), una rara baionetta per il fucile italiano Vetterly M1870-87, un lotto di equipaggiamento austriaco da montagna includente piccozza, ramponi ed un paio di sci militari con attacco

Bilgeri. Si possono trovare oggetti di recupero, come un tascapane italiano proveniente da ghiacciaio, la botticella lignea da appendere al basto del mulo per il trasporto di acqua/ vino alle prime linee e una cassa per gli effetti personali d’un militare del 4° reggimento Cacciatori Tirolesi”. In esposizione anche un raro esemplare di bomba austriaca d’aereo, risalente al 1915. Fin qui le novità del 2020. Ma Alberini ed i suoi collaboratori stanno già lavorando ad una nuova operazione, una importante acquisizione di valenza storica locale. “Siamo riusciti a recuperare, infatti, la targa marmorea – conclude il presidente dell’Associazione Storico Culturale della Valsugana Orientale e del Tesino - un tempo presente nei locali della ex Cassa di Risparmio di Trento e Rovereto. Dedicata a Vincenzo Molinari, già dipendente dell’istituto bancario e irredentista borghigiano (nativo di Olle) della prima ora, ferito a morte nella battaglia di monte Cima e medaglia d’argento al valor militare”.

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Le cronache locali BORGO

Municipium

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i chiama Municipium. È la nuova app recentemente attivata dal comune di Borgo Valsugana per avvicinare i cittadini all’istituzione ed avere un filo diretto con la comunità. Una nuova applicazione per smartphone, una app conosciuta in Italia tanto da essere stata adottata con successo in più di 600 enti presenti nell’italico stivale. L’app offre al comune molte funzioni utili e la possibilità di inviare ai cittadini comunicazioni istantanee grazie all’efficace sistema delle notifiche push. Tutti gli eventi e le news comunali possono essere condivise dai cittadini tramite sms, Whatsapp e sui principali social network direttamente dall’app. Sempre grazie a Municipium, i cittadini o i turisti possono consultare facilmente le mappe dei punti di interesse del comune, aggiornati con le informazioni di contatto e gli orari di apertura. Tutti possono mettersi in diretto contatto con segnalazioni, geolocalizzate e corredate di foto, eventuali situazioni per le quali viene ritenuto necessario l’intervento del comune e allo stesso modo comunicare i propri suggerimenti tramite la categoria di segnalazioni Idee e proposte. Come scaricarla? L’app Municipium è disponibile gratuitamente per i cittadini sugli store online sia per i telefoni Apple che per i telefoni Android. Una volta scaricata basta selezionare il comune di Borgo Valsugana e verificare che sia attiva l’opzione delle notifiche per questa app nelle impostazioni del telefono. (M.D.)

RONCEGNO

La variante panoramica

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ntro la fine dell’anno ci sarà la progettazione definitiva ed esecutiva. Quindi l’appalto dei lavori che dovrebbero concludersi entro l’estate del 2023. Che sia la volta buona? Sindaco e giunta comunale ne sono certi. Questa volta l’attesa, che dura oramai da 30 anni, dovrebbe essere finita. Parliamo della variante alla provincia 65 – Panoramica della Valsugana per portare, fuori dal centro abitato, tutto il transito di passaggio in direzione della montagna. È stata approvata la delega con la Provincia per la realizzazione dell’opera. Una soluzione, quella messa in campo, che permetterà di by-passare, con la nuova variante della provinciale, la località Grassi e l’esistente strettoia all’interno del paese. E, finalmente, dopo diversi decenni, riuscire ad allontanare soprattutto il traffico pesante dal centro abitato. Dopo una serie di sopralluoghi con i tecnici del Servizio Opere Stradali, Comune e Provincia hanno raggiunto l’accordo. L’unica soluzione fattibile ed economicamente sostenibile è quella di prevedere l’allargamento del Lungoargine Larganzoni. Si tratta di una strada che si trova, per chi sale dalla provinciale 65 da Marter, proprio all’ingresso dell’abitato di Roncegno. Pochi metri prima di attraversare il ponte di S. Antonio, con una svolta a sinistra, si sale verso il paese costeggiando l’esistente torrente Larganza. La strada termina nei pressi del ponte, proprio di fronte alla caserma dei Carabinieri, ricollegandosi all’arteria provinciale che porta a Ronchi e sulla montagna. La Provincia mette sul piatto 450 mila euro, una somma che permetterà di avviare l’iter burocratico della progettazione e finanziare i lavori iniziali. Nell’accordo tra Provincia e comune di Roncegno, tra l’altro, è previsto anche il declassamento da strada provinciale a strada comunale del tratto tra la pizzeria Il Picchio e la Caserma dei Carabinieri. La nuova variante, infatti, diventerà un nuovo tratto della strada provinciale 65 – Panoramica della Valsugana. (M.D.)

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In collaborazione con PEPE – BORGO VALSUGANA

Attenzione ai parassiti degli animali

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nostri piccolo amici, durante la stagione estiva, specialmente quando sono impegnati a giocare nel giardino di casa oppure durante le passeggiare, possono attirare ogni tipo di insetti e parassiti, a volte molto pericolosi perché possono provocare malattie anche letali. Da qui la necessità non solo di una buona prevenzione, ma anche – in caso ci si accorga in tempo- di una pronta e idonea cura. Prevenzione e cura che solo il veterinario o i negozi specializzati possono suggerire. Esistono due tipi specifici di parassiti: quelli esterni (che trascorrono la loro vita attaccati al pelo) e quelli interni che sono i più pericolosi perché o si sedimentano nelle vene o nelle arterie nutrendosi di sangue oppure s’introducono nell’organismo e causa-

re vere malattie che possono condurre anche alla morte dell’animale, specialmente se la cura non è fatta in modo adeguato e in tempi rapidi. Ed è bene anche sottolineare che qualche volta i parassiti si possono trasferire dall’animale all’uomo (come le zecche), causando problemi e patologie di varia entità. Anche in questo caso, per comprendere se la malattia che ha colpito l’animale è di origine parassitaria o altra natura, è sempre consigliato di rivolgersi al proprio veterinario di fiducia che saprà individuare il tipo e le cause della malattia e quindi proporre la cura migliore. In caso di parassiti esterni basta rivolgersi al proprio negozio di fiducia il quale saprà consigliare gli opportuni prodotti (quali collari e antiparassitari e vari articoli) per

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combattere al meglio i pidocchi, le pulci, gli acari, le zanzare, i pappataci e le zecche. E a proposito di zecche è bene sapere quando individuate sulla cute devono essere prontamente rimosse, ovviamente da persona esperta perché la probabilità che il nostro “piccolo amico” possa contrarre un’infezione è direttamente proporzionale alla durata della permanenza del parassita sull’ospite.

In questo periodo tante offerte su alimenti

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La Storia in cronaca di Elisa Corni

Jurij Gagarin

il primo uomo nello spazio

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ra il 12 aprile del 1961, una data indelebile nella storia dell’umanità: il sovietico Jurij Gagarin saliva a bordo della Vostok 1 per compiere il primo viaggio nello spazio! Prima dell’allunaggio, prima delle missioni apollo, prima degli esperimenti per portarci su Marte, prima di tutto questo un uomo solo che compie un passo incredibile nella corsa allo spazio facendo segnare all’Unione Sovietica un punto importante. Nato nel 1934 in una famiglia che lavorava in una fattoria collettiva in un paesino della Russia che venne occupata dall’esercito nazista durante la seconda guerra mondiale in seguito all’avanzata verso Mosca del 1941; gli anni della guerra sono stati duri e difficili per la famiglia Gagarin, dispersa tra i campi di prigionia e la loro terra occupata. Finita la guerra il giovane Gagarin riprese la sua vita, conseguendo il diploma e, grazie agli ottimi voti poté iscriversi al prestigioso istituto tecnico di Saratov. È qui che si avvicinò al volo, iscrivendosi all’ aeroclub e iniziando a pilotare un piccolo biplano. Tutto ciò gli aprì la strada per la scuola di volo militare du Orenburg sul Volga, che terminò con successo nel 1957 divenendo pilota a tutti gli effetti. Il 6 ottobre 1959, mentre Jurij era operativo nel Nord della Russia, il lancio della sonda lunare del programma Luna 3, uno dei primi successi nella corsa allo spazio, lo affascinò al punto da fargli presentare richiesta per il programma spaziale russo, il famoso Vostok.

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Jurij Gagarin (da Borderline24)

Fu sottoposto a impegnativi test fisici e psichici; Gagarin non solo era nella fascia d’età perfetta, tra i 25 e i 30 anni, ma con il suo 1,57 metro d’altezza rientrava perfettamente nei limiti imposti dai fisici del programma. Dei 154 piloti che si presentarono, Jurij rientrò in quei 20 selezionati dalla commissione ed approvati dal governo. Era entrato nel gruppo dei cosmonauti e poteva finalmente mettere piede nella famosa Città delle Stelle! Il percorso di addestramento prevedeva allenamenti estenuanti, prove fisiche impegnative, lanci con il paracadute, test attitudinali, prove psicologiche, esami e corsi di fisica. Ma a far sì che Gagarin fosse il primo uomo nello spazio fu l’opinione dei suoi stessi colleghi: ai candidati cosmonauti fu infatti chiesto quale di loro fosse il candidato ideale e, ad eccezione di tre, tutti fecero il nome

di Jurij. E così la mattina del 12 aprile alle 9:07 il maggiore Gagarin entrò nella navicella Vostok 1 (Oriente 1) per lasciare il suolo terrestre; mentre lasciava la Terra, non sapendo se avrebbe fatto ritorno, pronunciò quel famoso “Poyekahali!” (trad. “Andiamo!”) che nel blocco orientale da quel momento indicò l’inizio della nuova era. Volando a 27 mila chilometri all’ora, la navicella di Gagarin fluttuò attorno alla terra per 108 minuti, completando così un intero giro dell’orbita terrestre; l’altitudine massima raggiunta in quel primo volo nello spazio fu di 320 chilometri sopra il nostro pianeta. Tutto questo in una navicella che sembrava più una claustrofobica scatoletta per sardine che una vera e propria astronave. Il significato politico di questo evento fu immenso: la Russia comunista mostrava i muscoli


La Storia in cronaca al nemico al di là della Cortina di ferro, mostrando di padroneggiare la tecnologia e la scienza necessarie a portare l’uomo nello spazio (oltre che a farlo ritornare). Gagarin divenne eroe nazionale e fu insignito di titoli e onorificenze. Il suo volto sorridente capeggiava i giornali e le riviste di tutto il globo. Da quel momento in poi divenne l’uomo immagine del successo del modello comunista in campo tecnologico. Una volta atterrato incominciò a viaggiare senza potersi mai fermare: Regno Unito, Cuba, Canada, Islanda e molte altre furono le sue mete; non poté mettere piede sul suolo statunitense perché il presidente Kennedy ne temeva la fama in costante ascesa. Parimenti decollarono la sua carriera militare -in meno di un anno divenne colonnello- e quella politica, venendo eletto per ben due volte. Ma non lasciò più l’atmosfera terrestre. Vuoi perché la sua figura era politicamente troppo importante per il blocco sovietico, per la sua tendenza ad alzare il gomito e, più avanti, a causa della lunga distanza dai veicoli di volo, non gli fu più possibile partecipare alle missioni spaziali. Era il suo grande desiderio, ma a maggior ragione dopo Titov, Khruschev e Gagarin (1961)

l’incidente del Sojuz 1, la prima missione con equipaggio nel 1966, che ebbe una tragica fine con la morte dell’astronauta Vladimir Komarov. Ma Gagarin non fu solo un grande astronauta e pilota. Era un uomo appassionato di sport: ne aveva praticati di diversi, dall’hockey al basket, nonostante la sua bassa statura. Fu anche e soprattutto marito e padre. Sua moglie, Valentina, la conobbe durante la festa del primo maggio del 1957 a Mosca. La coppia ebbe due figlie, le gemelle Yelena e Galina; entrambe ebbero

grande successo nella vita. Il loro padre però non lo potè sapere. Il 27 marzo del 1968, a soli 34 anni di età, dopo aver raggiunto distanze incredibili, aver volato nello spazio, aver visto per la prima volta il nostro pianeta immerso nel nero profondo dell’universo, Jurij Gagarin morì in un incidente aereo. Per decenni sono state fatte ipotesi di ogni tipo, fino al 2003, quando il rapporto del KGB su quanto accaduto a Kirzac dove si trovava la base aerea dalla quale Gagarin decollò per l’ultima volta è stato desecretato. Nulla più che un banale incidente dovuto alla sfortunata coincidenza di fattori diversi è alla base della morte di uno dei più coraggiosi uomini del suo tempo. Un eroe del quale ci rimangono il sorriso, la storia, la passione.

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o d n a l l e r e h c io

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Cristini io iz r u a M a cura di

CRUCI...TRENTINO CRUCI... TRENTINO

LE GIUSTE ASSOCIAZIONI

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Nelle righe sottostanti sono riportate alcune parole poco note, a ciascuna delle quali corrisponde una delle successive comuni definizioni (indicate non nell’ordine) che la identifica. Associare ad ogni definizione la lettera della parola che la individua e riportarla nello spazio previsto. Se le associazioni saranno corrette, leggendo di seguito le lettere scritte otterrete la parola che definisce il segno che lascia un recipiente bagnato sul luogo dove è stato appoggiato.

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CHI LE TROVA ?

SOLUZIONI NR. DI MARZO 2020

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Cercate e cancellate nello schema tutte le parole elencate qui di seguito, scritte anche in diagonale, da sinistra a 30 destra (o viceversa)28o dall' alto verso il29basso (o viceversa). Le lettere possono essere31in comune a più parole. A N G L O O T N Quelle restanti, lette nell'ordine, daranno ilI nomeOdi un Comune doveGviene distribuita questa rivista. 32

33

S C E I C C O A B U G AMMUTINATO ANNAFFIARE APPUNTO ARIANNA ARIOSI ARMONIA ASSOPITO 34

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1) Furto di bestiame: ........................................................................................................................................................................................ 2) Ritrovamento casuale di una cosa non cercata mentre se ne cercava un’altra: ...................................................................................................................................................................................... 3) Raccolta letteraria di brani scelti, antologia: ........................................................................................................................................................................................ 4) Elemento chimico: ........................................................................................................................................................................................ 5) Incrocio tra un cavallo ed un’asina: ........................................................................................................................................................................................ 6) Rientranza del fondo delle bottiglie di spumante: ........................................................................................................................................................................................ 7) Battere un cuscino per meglio distribuirne l’imbottitura: ........................................................................................................................................................................................ 8) Insieme di armi varie appese a trofeo come ornamento: ........................................................................................................................................................................................ 9) Geranio: ........................................................................................................................................................................................

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bardotto (C) , sprimacciare (I) , florilegio (L) , gadolinio (A) , serendipità (U) , pelargonio (O) , abigeato (C) , panoplia (N) , picura (C)

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A gioco risolto, leggendo di seguito le lettere nelle caselle a sfondo colorato, si otterrà il nome di un illustre cittadino di Selva di Levico Terme.

A gioco risolto, leggendo di seguito le lettere nelle caselle a sfondo colorato, si otterrà ORIZZONTALI: 1. Libro con le istruzioni necessarie per imparare a leggere e scrivere - 10. Una delle prove in cui è il nome di manifestazione un illustre cittadino diLaSelva di Levico Terme. divisa una sportiva - 13. Ida, trentina che diede un figlio a Mussolini - 15. Un tipo di Società (sigla) 1 6 . Lusingata, elogiata - 17. Uno storico Palazzo di Mantova - 18. Un mare della Calabria - 20. Si ripetono nell'unguento - 21. Una lista di nomi - 23. Lo schiocco delle dita nei fumetti - 24. Una volta vendeva anche il Chinino di ORIZZONTALI: 1. Libro con le istruzioni necessarie per imparare a leggere e Stato - 26. Un Bill nei fumetti western del dopoguerra - 28. L'Ente Nazionale per l'Addestramento Professionale (sigla) scrivere - 10. Una- 33. delle prove è divisa manifestazione sportiva 13.vero Lanome è - 31. Vigile, accorta Redigono atti -in 35.cui In quel luogo - una 36. L'autore di questo gioco (iniz.) - 38. Il-suo Rapetti che - 40. In mezzo un al crocevia Insetto molto- tutelato in Trentino 42. E' protagonista Ida,Giulio trentina diede figlio -a41.Mussolini 15. Un tipo di- Società (sigla) di- una 16.famosa parabola citata da Luca - 45. Italiana Petroli - 46. Il Bruno già Presidente del Consiglio regionale del Trentino - 47. Fu Lusingata, - 17. diUno storico Palazzo 18. Un della Cala- - 50. la vincitrice elogiata del primo Festival Sanremo nel 1951 (iniz.) - di 48.Mantova Io... a Pieve -Tesino - 49.mare Si ripetono nell'esonero Lo -studioso struttura enell’unguento dell'evoluzione della- crosta terrestre. bria 20. Sidella ripetono 21. Una lista di nomi - 23. Lo schiocco delle dita nei fumetti - 24. Una voltagemellata vendeva ancheValsugana il Chinino digàStato - 26. Billspenze nei - 3. Fa VERTICALI: 1. La cittadina austriaca con Pergine - 2. La una sola roda Un e la se parte delwestern Gruppo BNP (sigla) - 4- .28. Trasformano in pecari - per 5. Sono sempre circondate daPropulcini - 6. fumetti delPARIBAS dopoguerra L’Ente pari Nazionale l’Addestramento Escursionisti Esteri - 7. Lo sono le belve ammansite - 8. Era l'Unione di Egitto e Siria (sigla) - 9. Sono ben diverse dalla fessionale Vigile, - 33. atti e- diffuse 35. In- 14. quel luogo - 36. realtà! - 10.(sigla) Un inno-al31. Signore - 11. accorta Quelle trentine sonoRedigono tra le più pregiate L'extraterrestre che... vuole telefonaredia questo casa! - 16.gioco Preposizione scontentare - 19. Un'articolazione delleIndita - 22. Il CT L’autore (iniz.)articolata - 38. Il- 18. suoDeludere, vero nome è Giulio Rapetti - 40. mezche ha vinto con l'Italia il Campionato del Mondo di Calcio nel 1982 (iniz.) - 25. E' caldo per gli inglesi - 27. Sono tanti zoquelli al crocevia - 41. Insetto molto tutelato in Trentino - 42. E’ protagonista di una sui laghi di Caldonazzo e di Levico - 29. Il Complesso pop da anni legato a Levico Terme - 30. Essenzialmente è famosa citata da- 32. Luca - 45. Italiana - 46. Il Bruno giàSi Presidente costituitoparabola da protoni ed elettroni Un fatto importante - 34.Petroli Il padre di Mila Di Codro - 37. consuma al fuoco nel - 39. Maligni... senza mani - 43. Termine- inglese usato sui Social senso di "identificatore" delcamino Consiglio regionale del Trentino 47. Fumolto la vincitrice delNetwork primocolFestival di San44. Lubrificante... inglese. remo nel 1951 (iniz.) - 48. Io... a Pieve Tesino - 49. Si ripetono nell’esonero - 50. Lo studioso della struttura e dell’evoluzione della crosta terrestre.

VERTICALI: 1. La cittadina austriaca gemellata con Pergine Valsugana - 2. La gà una sola roda e la se spenze - 3. Fa parte del Gruppo BNP PARIBAS (sigla) - 4. Trasformano pari in pecari - 5. Sono sempre circondate da pulcini - 6. Escursionisti Esteri - 7. Lo sono le belve ammansite - 8. Era l’Unione di Egitto e Siria (sigla) - 9. Sono ben diverse dalla realtà! - 10. Un inno al Signore - 11. Quelle trentine sono tra le più pregiate e diffuse - 14. L’extraterrestre che... vuole telefonare a casa! - 16. Preposizione articolata - 18. Deludere, scontentare - 19. Un’articolazione delle dita - 22. Il CT che ha vinto con l’Italia il Campionato del Mondo di Calcio nel 1982 (iniz.) - 25. E’ caldo per gli inglesi - 27. Sono tanti quelli sui laghi di Caldonazzo e di Levico - 29. Il Complesso pop da anni legato a Levico Terme - 30. Essenzialmente è costituito da protoni ed elettroni - 32. Un fatto importante - 34. Il padre di Mila Di Codro - 37. Si consuma al fuoco nel camino - 39. Maligni... senza mani - 43. Termine inglese molto usato sui Social Network col senso di “identificatore” - 44. Lubrificante... inglese.

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CHI LE TROVA?: CINTE TESINO

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ORIZZONTALI: 1. Amuleto, portafortuna - 11. La più famosa Christie - 12. Il Conte di San Bonifacio che dà il titolo alla prima opera di Verdi - 15. Gli elenchi esposti ai seggi elettorali - 16. Serpente a sonagli - 17. Favola... senza favo! 18. Beffeggiare - 20. Addis Abeba ne è capitale - 22. Nel caso che - 23. Contestazione da parte di un cliente - 24. Un Zmolto ambito E dagliLattori - 26. L La farina E più raffinata B - 27.OMisteriosa, A nascosta A - 28. LoIspecialista C che studia C la premio circolazione del sangue - 31. La provincia di Grigno - 32. Titolo arabo al quale si associa grande ricchezza - 33. A fine Novecento - 34. L'autore O si temeva A quello I del Millennium N L R di unaZceleberrima T fontana O in rameOche si trovava T a Borgo M Valsugana dedicata ad Evita Peron (iniz.) - 35. Organo contenente le spore in alcuni generi di funghi - 36. Sono uguali in Ala più meridionale 40. Un piccolo, N- 37. Laboratorio... E Min breveA- 39. Il capoluogo E N A delle T MarcheN(sigla) - E M moderno O scooter della Piaggio - 42. La Società ITEA... di Milano - 45. Voce che nell'antica Grecia definiva la tristezza e la malinconia I - 47.AE' moltoTvaria quella P delle zone E geografiche N ondulate A - 48.TLa boccaNdei Latini.U T T VERTICALI: - 2. Lo sono Prima di...PVegas - 4. R T1. Circolavano F in Valsugana N Onel 1600N A le persone E benestanti T - 3. O I Lo studio dei Pesci - 5. I portatori-guida himalayani - 6. Però - 7. Vi si trova Palù del Fersina rispetto a Pergine - 8. Un fiato nell'orchestra -E 9. Il Dies del Arma da lancio E I Giudizio F Universale I - 10. G L australiana I - 13. A Lo fu diOorigine ilHRe Porsenna P 14. Simbolo del tallio - 16. Un comune saluto - 19. Rincalzare le lenzuola o le coperte - 21. Le immagini sul desktop 22. E'Sfamoso quello diO Piné - 24.NI rifiuti che si C depositanoCnei cassonetti T dellaEComparsa Ma Montagnaga I S in Valsugana I O marrone - 25. Le periferie di... Calceranica - 27. Le vocali nel lago - 28. I chiacchieroni ne hanno due! - 29. Pari sulla schedina - 30. Il Toe che è il più semplice salto nel pattinaggio su ghiaccio - 32. Un fitto bosco - 33. Un Gruppo come S L A M P A D A R I O S The Indigo Devils di Levico Terme - 38. Un pipistrello... a Londra - 41. Lo è l'azoto - 43. Non qui - 44. Compose molte colonne sonore di Spaghetti western (iniz.) - 45. Arezzo - 46. In mezzo all'oceano.

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Il numero di maggio di Valsugana News è stato chiuso in redazione il 11 maggio 2020


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La Storia in cronaca: Jurij Gagarin

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Le cronache locali

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I nostri piccoli amici

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Medicina & Salute: il perdono a noi stessi e agli altri

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Borgo Valsugana: la guerra in mostra

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Henry Dunant e la Croce Rossa

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Medicina & Salute : Coronavirus, sensazioni ed emozioni

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In ricordo di Paolo Caumo

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Conosciamo il territorio: La Brenta

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Ieri avvenne: un frate regicida

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Storie di Ieri: Giovanni Ernesto Fante

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In ricordo di un amico: Giancarlo Corradini

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Società Oggi: la sicurezza sul lavoro

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La prima milionaria di colore d’America

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Fatti di casa nostra: Castel Ivano

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Ieri avvenne: 22 aprile, la giornata dell’infermiere

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L’incendio a Beverly Hills

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Il coronavirus, il giorno dopo

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LE VERANDE FINSTRAL

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pages 40-41

La pandemia e i giovani

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Tra passato e presente: la quarantena e il Boccaccio

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In giro per il mondo: il paradosso culturale

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Qui Pianete Terra: un mondo di plastica

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pages 34-35

L’uomo, la religione e la cività

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Studenti all’estero

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Coronavirus e inquinamento

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Tra passato e presente: Roma caput mundi

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La donna nella Storia: Nilde Jotti

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Umana-mente: l’isteria ai tempi del Covid-19

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Ricordo di un’attrice: Lucia Bosè

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La donna nella Storia: Francesca Romani Degasperi

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In Controluce

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Qui USA : Lotta al Covid-19

8min
pages 15-18

Punto e a capo

3min
pages 7-8

I nostri veri eroi

5min
pages 9-11

Editoriale

2min
pages 3-4
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