Valsugana News n. 9/2020 Novembre

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Società oggi di Elisa Corni

Microplastiche:

pericolo (quasi) invisibile per tutti

A

umenta la consapevolezza che ognuno di noi ha sui danni causati all’ambiente e all’ecosistema da materiali inquinanti. Tale consapevolezza è frutto della corretta comunicazione e al coinvolgimento delle generazioni più giovani. Ad esempio sappiamo tutti ormai che la produzione dei rifiuti è uno dei grandi problemi del nostro tempo e in particolare la plastica, che si disperde ovunque, è una delle più acerrime nemiche dell’ambiente. Pensate che nel Pacifico è stata individuata, con poca difficoltà vista la sua estensione, una vera a propria isola di plastica. Le stime le danno una superficie di 1,6 milioni di chilometri quadrati pari a tre volte quella della Penisola Iberica. Quest’isola si sarebbe formata autonomamente per via delle correnti oceaniche a partire dagli anni Settanta. Ma non sono solo le grandi dimensioni a doverci preoccupare, perché esistono pericoli altrettanto gravi che si aggirano invisibili in mari, oceani e corsi d’acqua dolce: le microplastiche. Come suggerisce il nome si tratta di minuscole particelle di plastica originatesi dall’usura di bottiglie, sacchetti e quant’altro ch’è stato disperso nell’ambiente. La plastica necessita infatti di periodi lunghissimi per degradarsi, si parla di centinaia o migliaia di anni. E mentre attende di essere polverizzata, la nostra bottiglia dimenticata in spiaggia, rilascia piccoli pezzettini di sé nell’ambiente. La dimensione non supera i 5 millimetri e per questo motivo viaggia velocemente ovunque, in tutto il globo! Microplastiche sono state trovate, ovviamente, nell’acqua del mare, nel

terreno dei campi coltivati, negli impianti idraulici, nello stomaco di pesci e altri animali, nei cibi che consumiamo. È di pochi giorni fa l’allarmante risultato di una ricerca del Trinity College di Dublino: i lavaggi ad alte temperature e la sterilizzazione dei biberon ne compromette la stabilità del polipropilene, il materiale utilizzato per biberon e contenitori per alimenti, liberando una quantità impressionante di microplastiche che poi siamo noi stessi o i nostri piccolini a ingerire. Ma non si tratta di un problema così localizzato: dai 5-12 milioni di tonnellate di plastica che vengono gettate in mare, secondo l’ONU si producono 51 mila miliardi di particelle di microplastiche che pesci e altri animali marini ingeriscono. Una fetta di queste ci torna indietro, sotto forma di sushi o pesce al forno - secondo una ricerca del WWF ne mangiamo circa 250 grammi all’anno. Ma una quota notevole va ad avvelenare letteralmente la fauna marina. Sì, perché la plastica contiene

sostanze tossiche per l’organismo degli esseri viventi; ingurgitandone troppa molluschi, pesci e altri animali non si fanno certamente del bene. Secondo uno studio del 2017 condotto dall’UNiversità delle Marche, Green Peace e il CNR di Genova restituisce un dato inquietante: il 30% circa dei pesci esaminati ne contiene in grosse quantità. Certo, gli effetti di queste sulla nostra salute non sono provati scientificamente, ma se la nostra dieta non prevede la loro ingestione, forse non sono l’alimento per noi. Cosa fare? Beh, ormai lo sappiamo, produrre meno rifiuti possibili, fare la raccolta differenziata per un giusto trattamento dei materiali ed evitare prodotti con troppi incarti sono le basi. Fortunatamente a livello europeo si stanno realizzando politiche atte a ridurne l’utilizzo e a migliorarne il trattamento, nonché incentivi per l’utilizzo di materiali sostenibili e per promuovere l’economia circolare piuttosto che la produzione di rifiuti. Staremo a vedere

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