Natura e società di Elisa Corni
Se le piante aiutano a risolvere i crimini Nella cassetta di un buon investigatore non possono mancare un taccuino, una lente d’ingrandimento e un manuale di botanica. No, non è una battuta divertente: il pollice verde non è una caratteristica da disdegnare in chi vuole risolvere i crimini. Questo perché da molti anni ormai, lo studio e l’analisi d i piante, foglie, spore e quant’altro è entrato a far parte delle conoscenze della cosiddetta scientifica; gli agenti del noto telefilm americano CSI, per intenderci. La disciplina di cui stiamo parlando è la cosiddetta botanica forense, ovvero l’applicazione dello studio delle piante per la risoluzione dei crimini
C
on la giusta formazione e le adeguate capacità deduttive si può riuscire a fare il terzo grado a piante e arbusti. Possono certo sembrare interrogatori fuori dal comune, ma non per questo i risultati che portano sono tutt’altro che banali. Si tratta certamente di una scienza nuova, ma con una storia molto lunga. Avrete sicuramente sentito parlare del “Caso O. J. Simpson”, caso che ha capeggiato le prime pagine dei giornali statunitensi per mesi al punto da arrivare anche sulla nostra stampa nazionale. Il famoso ex giocatore di football fu accusato nel 1994 di aver ucciso l’ex moglie Nicole Brown e il cameriere Roland Lyle Goldman; arrestato anche a causa del suo passato
O.J. Simpson
di marito violento, O. J. fu a lungo il principale e unico sospettato del processo, mosso secondo gli inquirenti da una forte gelosia. Diverse prove, tra cui un paio di guanti insanguinati, sembravano puntare proprio sull’ex marito della vittima, ma a scagionarlo dalle accuse fu anche la testimonianza di una pianta. Sembrava, infatti, che il colpevole si fosse nascosto dietro un arbusto prima di commettere l’atroce gesto. Si trattava di una pianta che in quel periodo dell’anno produceva tanto polline, del quale non si trovò traccia sull’imputato. Anche vicende “di casa nostra” ci raccontano dell’importanza di questa ricerca. Un team di ricercatori, capeggiati dal britannico James Dickson, ha infatti studiato attentamente i muschi e le piante che la mummia più famosa dell’arco alpino, Ötzi, aveva attaccate ai vestiti o nell’apparato digerente arrivando a diverse conclusioni molto interessanti. Tanto per cominciare l’uomo del Simulaun aveva con sé oltre 75 specie di muschi e piante, molte delle quali simili a quelle che ancora oggi, dopo cinque millenni, crescono sulle nostre montagne. Solo che non si tratta esclusivamente di muschi di quell’area geografica. Grazie alla botanica forense gli scienziati hanno ricostruito in parte il viaggio di Ötzi fino a quella valle tra Italia e
Otzi (da en.wikipedia.com)
Austria. Solo il 30% di queste piante sono tipiche di quelle aree e di quelle altitudini, altre invece si trovano in Val Senales, ad esempio. Questa scoperta conferma studi precedenti sui pollini e apre nuove prospettive sulla mobilità dell’uomo del Similaun. Pensate che l’Università di Genova ha attivato, nell’anno accademico 2018-2019, un corso proprio di questa disciplina, atto a formare gli investigatori del futuro. Nel frattempo, sempre negli Stati Uniti, si sta cercando di velocizzare il processo di ritrovamento dei cadaveri sepolti in boschi e foreste grazie a osservazioni aeree. Lo studio è ancora in corso, ma sembrerebbe che il processo di decomposizione comporti delle variazioni spettrografiche nell’aspetto delle piante viste dall’alto. E così basta una fotografia delle chiome degli alberi per scoprire dove si trova un cadavere.
augana
NEWS Periodico gratuito d’informazione e cultura
39