MARIAGRAZIA BERTARINI
Mariagrazia Bertarini
NARRATIVA
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Il segreto del faraone Un viaggio inaspettato porta Niky in Egitto, una terra ricca di fascino, misteri e pericoli inattesi. Per l’occasione la nonna le regala un amuleto che qualcuno però le vuole rubare a tutti costi. Riuscirà Niky a risolvere l’intricata matassa di misteri che legano il suo portafortuna a uno dei più grandi faraoni dell’antico Egitto? Riuscirà a scampare al pericolo nascosto tra le piramidi?
IL SEGRETO DEL FARAONE
Mariagrazia Bertarini
Una storia coinvolgente in cui il paesaggio, e soprattutto la storia dell’antico Egitto, diventano protagonisti di un’avventura mozzafiato.
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Complemento gratuito allegato al volume FINESTRE SUL MONDO 4
Il piacere di apprendere
Gruppo Editoriale ELi
Storie per crescere
Questo racconto appartiene a ................................
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Il segreto del faraone Testi: Mariagrazia Bertarini Redazione: Micaela Di Trani Art Director: Letizia Pigini Progetto grafico: Romina Duranti, Valentina Mazzarini Illustrazioni: Miriam Gambino Impaginazione: Carmen Fragnelli Copertina: Elisabetta Giovannini Tutti i diritti riservati © 2022 Cetem Via G. B. Fauché 20 – 20154 Milano info@cetem.it Visita il nostro sito: www.cetem.it Stampa: T ecnostampa - Pigini Group Printing Division Loreto – Trevi 22.84.050.0 Tutti i diritti riservati. È assolutamente vietata la riproduzione totale o parziale di questa pubblicazione, così come la sua trasmissione sotto qualsiasi forma o qualunque mezzo, senza l’autorizzazione del Gruppo Editoriale ELi. Il Gruppo Editoriale ELi usa carta certificata FSC per le sue pubblicazioni. È un’importante scelta etica, poiché vogliamo investire nel futuro di chi sceglie ed utilizza i nostri libri sia con la qualità dei nostri prodotti sia con l’attenzione all’ambiente che ci circonda. Un piccolo gesto che per noi ha un forte significato simbolico. Il marchio FSC certifica che la carta usata per la realizzazione dei volumi ha una provenienza controllata e che le foreste sono state sottratte alla distruzione e gestite in modo corretto.
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indice cap.1 • Un viaggio all’improvviso cap.2 • Il potente amuleto cap.3 • Tra le nuvole cap.4 • Tentato furto sul Nilo cap.5 • Babysitter… mai! cap.6 • Ladri di reperti cap.7 • Lo scarabeo cap.8 • La foresta di pietra cap.9 • La mappa del tesoro cap.10 • Un terribile incidente cap.11 • Nella valle dei re e delle regine cap.12 • I Tuareg cap.13 • La chiave del mistero cap.14 • Tutti i nodi...
Dossier
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Capitolo 1
Un viaggio all’improvviso Come ogni mattina, Irene entrò in camera di Nicole, le diede un bacio e aprì le persiane. «Mamma, ti scongiuro, lasciami dormire ancora un po’. È domenica. Ti prego». «Su su, dormigliona, abbiamo un sacco di cose da fare. E poi oggi torna nonna Amanda, dobbiamo andare a prenderla in stazione». «La nonna?! Non doveva tornare la settimana prossima?» «Sì, ma ieri sera tardi ha chiamato dicendo che non si sentiva molto bene e preferiva tornare a casa subito». Nicole balzò fuori dalle coperte e si inginocchiò allarmata sul letto. «Che cos’ha? Ha chiamato il dottore? Non è niente di grave, vero?!»
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Capitolo 1
«Tranquilla tesoro, non preoccuparti. Io penso che non abbia proprio nulla. Conoscendo lei e sua sorella, avranno sicuramente litigato. Si adorano, si telefonano ogni mezz’ora, ma non riescono a stare insieme un giorno senza bisticciare». «Come te e Pulce» scoppiò a ridere Nicole. Sentendo il suo nome, Pulce si precipitò nella stanza abbaiando, poi addentò il piumone e cominciò a tirarlo ringhiando. «Eccolo, che distrugge un’altra coperta. Pulce smettila! Hai capito, smettila subito!» sbottò Irene. Poi si chinò verso il cucciolo e disse qualcosa sottovoce. Pulce si irrigidì, lasciò immediatamente il piumone, strisciò ai piedi della padrona e la fissò con gli occhi languidi e la lingua fuori. «Ecco, bravo!» esclamò Irene soddisfatta. «È così che si comporta un bravo cagnolino». Pulce non era un bravo cagnolino, era un cucciolo tremendo con l’argento vivo addosso che combinava guai a non finire, ma era identico alla cockerina che Irene aveva da bambina. Così, quando due mesi prima lo aveva visto al canile, se ne era innamorata immediatamente. Era entrata e se l’era portato a casa con tanto di cesta, ciotola, osso di gomma e tutto quello che serviva.
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Un viaggio all’improvviso
«Che cosa gli hai detto?» chiese Nicole. «Niente di speciale» rispose la mamma. «Sai, farsi ubbidire dai cuccioli è un’arte speciale. E adesso, andiamo a fare colazione. L’ha preparata papà». Nicole sobbalzò. «Mamma, per favore…» «Su, non fare storie, sai quanto gli piace cucinare». «Lo so, ma perché non cucina a pranzo? Mangiare tutta quella roba la mattina appena svegli è impossibile». Quando Irene e Nicole entrarono in cucina Marco stava preparando il caffè, con tanto di grembiule e cappello da cuoco che aveva comperato addirittura in Francia, durante il suo ultimo viaggio. «Ciao, papà». «Ecco le mie principesse. Benarrivate! Prego, accomodatevi». «Che cosa hai preparato di buono?» chiese la mamma. «Pane tostato con burro e marmellata, caffè e latte, tè e una bella macedonia di frutta fresca allo yogurt» rispose il papà spegnendo la caffettiera. Nicole si sorprese. «Tutto qua? Niente frittelle?
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Capitolo 1
Niente uova con pancetta? Niente crêpes al cioccolato? Niente affettati e formaggi?» «Beh, so che il mattino non vi piace mangiare molto, così ho pensato…» La mamma si insospettì. «Marco, è successo qualcosa?» Per tutta risposta papà cominciò a muoversi da una parte all’altra della cucina camminando con le braccia e la testa di profilo. «Vi dice niente questo?» «Hai cucinato la faraona» rispose Irene. «È uscito il videogioco della mummia quattro» gridò Nicole inginocchiandosi sulla sedia. «Oppure, hai comprato il dvd di Poirot, Assassinio sul Nilo. Hai rotto la videocassetta a furia di guardarlo». Marco scosse la testa. «No, no, no. Tutto sbagliato, mie care, si tratta di una cosa molto più importante, eccezionale, magnifica, stupenda». «Dobbiamo preoccuparci?» chiese Irene perplessa. «Assolutamente no. Questa mattina ho aperto la posta elettronica e c’era una mail». «Una sola? Beh, sì questa è davvero una cosa strana» disse Niky. «Infatti, di solito ne ricevi almeno venti al gior-
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Un viaggio all’improvviso
no» aggiunse la mamma. «Non scherzate, sentite un po’ che cosa mi scrivono». Con aria misteriosa, Marco tolse un foglio piegato dalla tasca del grembiule, lo aprì, si infilò gli occhiali e cominciò a leggere.
Il Cairo, 7 maggio Pregiatissimo Studio Associato Renetti e Bini È con piacere che il Ministero Egiziano per lo Sviluppo Energia Alternativa vi informa che è stato approvato lo stanziamento economico relativo al progetto da voi presentato per la realizzazione e messa in opera di un impianto di produzione di energia eolica. Pertanto un vostro rappresentante è invitato a raggiungere Il Cairo per la definizione dei dettagli tecnici. Consapevole dell’inadeguata urgenza, il ministero avrà il piacere di ospitare…
Irene spalancò la bocca dallo stupore. «Vai in Egitto, papà?» chiese Nicole calma.
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Capitolo 1
«Sì. E c’è di più…» «Marco, mi avevi promesso che almeno per un anno saresti rimasto in Italia. Non stai lavorando a un impianto in Puglia?» «È vero, ma qui posso delegare. In Egitto, invece, devo occuparmi io dell’inizio lavori, e c’è di più…» La mamma si agitò moltissimo. «E quando dovresti partire?» «Il 22 maggio, tra due settimane. E c’è di più…» Irene scattò in piedi inciampando in Pulce e esplose. «Il 22 maggio?! Parti quattro giorni prima dell’anniversario del nostro matrimonio e non fai che ripetere e c’è di più. Che cosa può esserci di più?» Marco si avvicinò a Irene e le circondò la vita. «C’è che verrete anche tu e Nicole, amore mio. I lavori inizieranno a settembre, ora si tratta solo di un sopralluogo, di un incontro per definire i dettagli tecnici dell’accordo. È un viaggio di una settimana. Ci offrono un soggiorno in uno degli alberghi più esclusivi del Cairo. Non è magnifico?» Certo che era magnifico! Nicole lanciò un grido di felicità. Pulce si spaventò e cominciò ad abbaiare e a girare su se stesso nel tentativo di prendersi la coda.
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Un viaggio all’improvviso
Irene aggrottò le sopracciglia. «No, no e poi no. La bambina non può perdere una settimana di lezioni proprio alla fine dell’anno». «Mamma, non sono una bambina. Poi quest’anno non mi sono mai ammalata. Non ho perso nemmeno un giorno di scuola». «No, Nicole. Tu rimarrai a casa con nonna Amanda e Pulce. Poi a settembre se sarà il caso ci trasferiremo tutti per il tempo che servirà». «Ti prego, mamma. A me piace stare con la nonna, ma l’Egitto, il deserto, le piramidi e poi l’aereo…» In quel momento squillò il campanello. Nicole corse ad aprire la porta. «Nonna Amanda! Come sei arrivata?» «In taxi, amore mio». Irene si affrettò all’ingresso. «Mamma, hai preso il treno prima del previsto. Perché non mi hai avvisata?» «È domenica, non volevo disturbarvi». Irene scrutò sua madre. «Come stai?» «Niente di grave, solo un brutto raffreddore». «Non mi sembri raffreddata, mamma. Hai bisticciato con zia Evelina?» «Assolutamente no, cara. E in effetti, adesso sto meglio, l’aria del treno deve avermi fatto bene».
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Capitolo 1
Irene sospirò, sapeva bene che contraddire sua madre era praticamente impossibile. «Niky, amore, c’è papà?» «Sì, signora Amanda, ci sono» gridò il papà dalla cucina. «Lasci stare la valigia, prendo le sue chiavi e gliela porto in casa». «Grazie, Marco caro. Sai alla mia età… la mia schiena non è più quella di una volta e poi con questo raffreddore» replicò la nonna strizzando l’occhio a Nicole. Nonna Amanda condivideva con la figlia una casa bifamiliare; era una donna minuta, ma energica, attiva, indipendente e soprattutto sana come un pesce. Era un’archeologa e il mal di schiena di cui ogni tanto soffriva era causato da tutto il tempo che aveva passato negli scavi di mezzo mondo. Aveva amici sparsi nei cinque continenti, un’intensa vita sociale e mai, nemmeno per tutto l’oro del mondo, si sarebbe persa l’occasione di un viaggio. Non programmava mai nulla: se voleva partire, partiva, se voleva tornare, tornava, e per non dare troppe spiegazioni a Irene che si preoccupava sempre troppo, si inventava piccoli malanni o le scuse più strane. Nicole la adorava e nonna Amanda adorava Nicole.
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Un viaggio all’improvviso
Marco portò la valigia in casa di nonna Amanda e tornò in cucina. «Prende una tazza di tè con noi?» chiese il papà. «Irene vorrebbe parlarle». «Sì, volentieri. Un tè è proprio quello che ci vuole. Di che cosa mi vuoi parlare, cara?» «Ecco, vedi mamma, Marco e il suo studio hanno vinto l’appalto per un impianto in Egitto e…» «Complimenti. Bravo, sei davvero in gamba. Che soddisfazione! Quando partite?» «Appunto, mamma. La partenza è per il 22 maggio. Staremo via una settimana». «Stupendo! Potrete festeggiare l’anniversario del vostro matrimonio sul Nilo. L’Egitto è uno dei Paesi che preferisco, ci ho passato tanto di quel tempo… certo non è più quello di una volta, ma per Nicole sarà un’esperienza indimenticabile». «Veramente mamma, Nicole…» «Non penserete di lasciarla a casa, vero?!» «Beh, sai…» «Ferma, non dire una parola di più. Se è per questioni economiche, regalo io il viaggio a Niky». «No, non si tratta di questo». «E di che cosa allora? Tu sei sempre venuta con me e tuo padre, ti abbiamo portata dal Messico
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Capitolo 1
alla Groenlandia e non ci sono mai stati problemi». «Sì, va bene, ma… la scuola?» «La scuola? Benedetta figliola, sei una pittrice, ma secondo me tu passi troppo tempo tra i tuoi pennelli e i tuoi colori. Sei fuori dal mondo. Parlerò io con Achille, il preside intendo. Assegneranno a Nicole dei compiti da fare, lei li spedirà via mail e… dov’è il problema?» Niky lanciò un grido di felicità, le si tuffò addosso e la abbracciò forte. «Grazie, nonna. Sei grande!» «Lo so bene, amore mio. Certo non potevo farti perdere un’occasione del genere. Su, ora vieni con me, mentre preparo i bagagli ti racconterò qualcosa dell’Egitto». «Prepari? Vorrai dire disfi i bagagli, nonna». «No, cara. Hai capito bene. Mi hanno invitata a un convegno in Bretagna. Sembra abbiano trovato nuove tracce dell’esistenza di Re Artù e sai, per il mio lavoro… Beh, ragazzi, io vado. Grazie per il tè. Allora vieni, Niky?»
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Capitolo 1
Ciao Lisa, vado in Egitto!
«Sì, sì, ciao mamma, ciao papà. Io vado dalla nonna». Irene era sbigottita. «Mia madre riesce sempre a piani-
ficare la mia vita». «Non direi, cara» la contraddisse Marco. «Forse eri tu che volevi pianificare la sua lasciando a casa Nicole». Irene gli lanciò un’occhiata di fuoco, ma prima di potergli rispondere a tono, ebbe un sussulto. «E Pulce? Mia madre non lo terrebbe mai e se Nicole viene con noi, come facciamo con il cucciolo?» «Possiamo lasciarlo in una pensione per cani». «In una pensione? Mai. Piuttosto rimango a casa anch’io». «Ma figurati! Vorrà dire che portiamo anche il cane, va bene?!» «Stai parlando seriamente?» «Sì, amore. Pulce verrà con noi, contenta?» «Marco, sei un tesoro». «Anche tu, amore. Però, adesso è meglio mettersi al lavoro, organizzare un viaggio per tre persone e un cane non è uno scherzo». Per Marco e Irene le due settimane prima della partenza trascorsero in un soffio. Per Nicole furono interminabili. Aveva dodici anni e per la sua
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Un viaggio all’improvviso
età aveva già viaggiato molto. A cinque anni l’avevano porNiky! Che fortuna!!! tata a Parigi e a Euro Disney, ma era passato molto tempo e per ricordarsi di esserci stata doveva guardare le foto. Era stata in Sicilia in treno, in Austria in auto e in Sardegna con il traghetto. Da due anni però, da quando papà si era licenziato dalla ditta in cui lavorava e aveva aperto lo studio, non era più andata all’estero o in posti lontani. Niky era elettrizzata, considerava quello in Egitto il suo primo vero viaggio e per quanto si sforzasse non riusciva a pensare ad altro. La scuola era diventata una tortura. Gli insegnanti la richiamavano in continuazione. La Marchini di matematica poi era uno strazio: «Stai attenta, Nicole. Nicole, mi ascolti? Sai a che pagina siamo? Nicole, scendi dalle nuvole». Fu proprio a lei che Niky, durante lo svolgimento collettivo di un problema di geometria, rispose: «Non sono tra le nuvole prof, sono nel deserto». L’insegnante di matematica ebbe una reazione terribile: scattò in piedi. «Sei una maleducata». Niky era impietrita, si sentiva il viso in fiamme e gli occhi pieni di lacrime, ma non voleva piangere; non davanti ai maschi.
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Capitolo 1
Lisa, la sua migliore amica e compagna di banco, le strinse la mano per farle coraggio. «Dai Niky, fai finta di niente. Sai come è fatta la Marchini. Quella grida sempre, ma non è cattiva». Una lacrima scese lungo la guancia di Niky, le arrivò al mento e PLIC, cadde sul problema di geometria. Proprio in quel momento, a salvare il suo quaderno da una vera e propria inondazione, arrivò l’insegnante di italiano che stava facendo lezione in seconda A e fortunatamente prese le sue difese. «Mariateresa, non credo che Nicole volesse risponderti sgarbatamente. Certo era distratta e questo non va bene. È una sognatrice e fantastica spesso. È anche molto vivace e impulsiva, ma non ha mai dato problemi di comportamento. Non ha mai mancato di rispetto a un insegnante». Nicole si scusò moltissimo e per il resto della mattinata fece l’impossibile per non distrarsi e per farsi perdonare dalla prof Marchini. Il pomeriggio furono chiamati i suoi genitori e alla fine si sistemò tutto. Niky se la cavò, si fa per dire, con una strigliata da parte di mamma e papà e il compito ecologico di ripulire, per tre giorni dopo le lezioni, il cortile della scuola.
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Capitolo 2
Il potente amuleto Sabato 21 maggio, Niky uscì da scuola all’una meno venti, abbracciò forte Lisa, le giurò eterna amicizia e tornò a casa più in fretta che poteva. Infilò le chiavi nella serratura e subito Pulce iniziò ad abbaiare e a raspare la porta dall’interno. «Uffa! Pulce, sono io. Dai, spostati da lì. Lasciami entrare» gridò Niky. Niente da fare. Ogni giorno la stessa storia. Per non fargli male, spinse molto lentamente la porta e, come al solito, infilò un piede nello spiraglio. Il cockerino si tuffò sulla scarpa da ginnastica, azzannò i lacci e cominciò a tirare e ringhiare, permettendo a Niky di aprire la porta. Il corridoio era un disastro. Le ante dell’armadio a muro erano spalancate e c’erano borse, zaini, trolley e marsupi dappertutto. Niky prese in braccio Pulce,
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Capitolo 2
se non altro per staccarlo dalle sue stringhe e riuscire a camminare. «Mamma, dove sei?» «Sono in camera. Perché sei a casa a quest’ora?» «È l’una, mamma». Il letto dei suoi genitori era letteralmente sommerso da vestiti: gonne, pantaloni, pantaloncini, camicie, maglie, magliette, cappelli, cappellini, teli e costumi da bagno, e il pavimento era ricoperto di valigie spalancate. Irene si mise le mani nei capelli. «L’una? Non è possibile. Già l’una? Non ce la farò mai. Come faccio a non superare i quindici chili? Non è possibile, non ci riuscirò!» «Ti aiuto, mamma?» «No, tesoro. Devo fare da sola. Tu, piuttosto, mangia qualcosa. In frigorifero c’è un po’ di tutto». Nicole andò in cucina e si preparò un panino. Irene era davvero una mamma in gamba, ma una cosa che Niky non sopportava era la sua testardaggine. Voleva fare tutto e tutto da sola. Niky la conosceva bene e sapeva che in quegli attacchi di ostinazione era meglio sparire dalla circolazione e lasciarla sola. Così, si mangiò due super panini e diede un po’ di prosciutto a Pulce che in quell’occasione imparò a camminare sulle zampe posteriori.
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Il potente amuleto
Quando Niky tornò in camera, Irene era inginocchiata su un grande trolley e stava armeggiando con la cerniera. «A che punto sei, mamma?» «Ho quasi finito. Ancora uno sforzo e…» «Posso iniziare a preparare la mia valigia?» «Certo, tesoro. Adesso finisco quella di papà, poi vengo ad aiutarti. Prendi la valigia blu, quella rigida con le rotelle». «Va bene, mamma». «Ah, ricordati gli occhiali da sole. E le scarpe argentate, domani sera c’è una festa elegante». «Sì, mamma». «E il golfino con le stelline. In Egitto c’è una forte escursione termica». «Un’escursione che?» «Di sera fa freddo. Prendi anche il giubbino di jeans. Prepara tutto sul letto. Poi vengo io a riempire la valigia». Niky smise di rispondere e lasciò che la mamma continuasse a parlare da sola. Dopo mezz’ora il papà si affacciò alla porta della sua camera. «Bravissima, vedo che hai già preparato tutto. Dov’è la mamma?» «Eccomi, ero scesa in garage a prendere la gabbietta di Pulce».
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Capitolo 2
Pulce arrivò di corsa. Vide la gabbietta e scappò a nascondersi sotto una poltrona del soggiorno. Marco scoppiò a ridere. «Penso che domani sarà un problema convincerlo a stare lì dentro». «Non preoccuparti» disse la mamma. «Ho una parola magica, ricordi?» «Già e io… guarda qua» disse Marco. «Ho tutto: i passaporti, i certificati per Pulce e la prenotazione per il parcheggio in aeroporto. Dobbiamo essere là alle sei e mezza». Niky sgranò gli occhi. «Alle sei e mezza di mattina?» «Esatto! Tra dodici ore precise. Ci pensate? Si parteeee». Era difficile prendere sonno. Poche ore e sarebbe partita alla scoperta di una terra lontana, misteriosa, di cui non conosceva altro che le immagini viste sul libro di storia. Pensò alle piramidi, alla sfinge, ai faraoni, all’immensa distesa di sabbia che circondava oasi lussureggianti. Quella notte, le luci dei lampioni del vialetto disegnarono sulle pareti della stanza di Nicole immagini fantastiche. Vide se stessa a cavallo di un dromedario che camminava lentamente, ondeggiando sotto il sole tra le dune del deserto disegnate dal vento. Un accampamento beduino. L’anziano della tri-
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Il potente amuleto
bù che preparava il tè e una ragazza che le indicava, lontane, le grandi piramidi. Alle quattro e mezza squillò la sveglia di un telefonino. Poi un’altra. Pulce cominciò ad abbaiare e a correre per la casa. Niky si alzò dal letto. Le tremavano le gambe dall’eccitazione. Alle cinque erano tutti in garage pronti a partire. La nonna arrivò quasi di corsa, in vestaglia e con qualche bigodino in testa. «Avete tutto?» «Sì, siamo pronti» rispose Marco chiudendo il bagagliaio. «Bene, allora buon viaggio e vi raccomando, divertitevi» disse la nonna e avvicinandosi a Niky le diede un sacchettino di camoscio blu. «Ecco, l’ho trovato. Ti porterà fortuna». «Grazie, nonna. Sei eccezionale» replicò Niky abbracciandola forte. «Adesso vai, o farete tardi». Marco chiuse il bagagliaio e aprì la porta del garage. Irene prese in braccio Pulce, gli sussurrò qualcosa nell’orecchio e lo mise nella sua gabbietta. Poi tutti salirono in auto. La nonna seguì l’auto lungo il vialetto. «Chiamate, vi raccomando... sul telefonino». Irene aprì il finestrino. «Sul telefonino? Parti di nuovo?»
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Capitolo 2
«Sì tesoro, vi ho parlato del convegno in Bretagna… non posso certo rimanere qui». «Allora, buon viaggio anche a lei signora Amanda» rise Marco salutandola con la mano. «Grazie caro e buon divertimento». L’auto si allontanò e Niky si inginocchiò sul sedile posteriore per salutare ancora una volta la nonna. «Niky, che cosa c’è in quel sacchettino?» le chiese la mamma. «Un amuleto. È un antico amuleto portafortuna che la nonna ha portato dall’Egitto tanti anni fa. Guarda!» Niky mostrò alla mamma un ciondolo turchese appeso a un cordoncino di cuoio. «È uno scarabeo!» risero mamma e papà. «Perché ridete? È bellissimo e ho promesso alla nonna che lo porterò sempre» si indispettì Niky legandosi il cordoncino al collo. Il papà imboccò l’autostrada Ciao Lisa, e i primi raggi di sole colpirosono partita. no il parabrezza. Niky mandò TVB un messaggino a Lisa e iniziò a giocare con il telefonino. Alle sei arrivarono al parcheggio dell’aeroporto. Un ragazzo li aiutò a scaricare le valigie, prese le chiavi e portò via l’auto. Papà entrò nell’uffi-
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cio per prendere la ricevuta. Niky si sedette sul suo trolley blu, tra l’assonnato e il pensieroso. Afferrò il suo amuleto e lo strinse forte. Ora che si avvicinava il momento di salire in aereo, un portafortuna le serviva. Fino Niky, scrivimi a quel momento non ci aveva tutto quello pensato, ma adesso… che fai. Proprio in quel momento arrivarono altre tre auto e in un baleno il parcheggio si riempì di gente. Era una compagnia di persone anziane, vestite con colori sgargianti e cappelli di paglia. Erano allegri e rumorosi. Pulce, che aveva russato per tutto il viaggio e dormiva ancora, si svegliò di soprassalto e cominciò ad abbaiare e ad agitarsi tanto che la gabbietta si rovesciò su un lato. Irene la raddrizzò immediatamente, aprì lo sportello, fece uscire il cockerino e gli mise il guinzaglio. Pulce cominciò a correre da una parte all’altra poi, inaspettatamente, puntò una signora con una lunga gonna rossa e luccicanti scarpe da ginnastica dorate. Le si avvicinò, alzò una zampa posteriore e… «Noooo!» l’urlo di Irene terrorizzò la signora che fortunatamente fece un balzo all’indietro ed evitò il disastro.
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Capitolo 2
La donna lanciò a Pulce e alla sua padrona uno sguardo di fuoco, la mascella le si irrigidì e avrebbe sicuramente detto cose orribili se in quel momento il bus navetta non fosse entrato dal cancello. L’autista spense il motore. Tutti si avvicinarono al minibus, per salire per primi e prendere i posti migliori, ma subito si aprì il portellone laterale e scese un ragazzo in divisa, dalla carnagione scura. «No signori, mi dispiace questo è un mezzo riservato, non è la navetta del parcheggio». Il ragazzo richiuse la portiera, entrò nell’ufficio e ne riuscì dopo qualche istante. Si avvicinò a Marco e sorrise. «Prego, ingegnere. La navetta è per voi». «Per noi? Deve esserci un errore». «Lei è l’ingegner Renetti». «Si, certo, ma…» «Io sono Nadir, steward di terra dell’Egypt Air. Sono qui per accompagnarvi in aeroporto e per rendere piacevole il vostro viaggio fin dall’inizio». «La ringrazio». «È un piacere. Se volete salire, io mi occuperò dei bagagli e di tutto il resto». «Devo mettere il cagnolino nella gabbietta?» chiese Irene.
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«No, signora. Può tenerlo al guinzaglio, solo in volo deve essere rinchiuso». Irene prese in braccio Pulce e salì. Poi salì Niky e infine Marco. Nadir caricò i bagagli e si mise alla guida. Una volta al terminal, furono accompagnati direttamente al controllo documenti e da lì verso una porta a vetri blu con la scritta AREA VIP. Nella stanza c’erano grandi poltrone e un tavolo imbandito per la colazione. Un ragazzo con i capelli neri, la pelle ambrata e bellissimi occhi verdi si stava versando un bicchiere di succo d’arancia. Per un istante il suo sguardo incrociò quello di Niky e lei arrossì. «Prego, signori. Servitevi Ciao, Lisa. pure, l’imbarco è tra un’ora Aeroporto. esatta, avete tutto il tempo Ragazzo stracarino! per la colazione» disse gentilmente lo steward. Poi si rivolse al ragazzo, sussurrò qualcosa in arabo e uscì dalla stanza. Marco era molto allegro. «Avete visto? Penso proprio che non vi pentirete di essere venute. Avremo un’accoglienza fantastica. Vuoi una tazza di caffè, cara?» «Sì grazie. Lascia… faccio io». Irene versò due tazze di caffè e si accomodò su una delle grandi
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Capitolo 2
poltrone in pelle accanto al marito. «Non siamo mai stati in un’area vip». «Chissà se incontreremo qualche attore o qualche cantante?» ridacchiò Niky. Irene la guardò e si alzò di scatto. Bevve in fretta il caffè, frugò nella sua borsa e prese una piccola trousse. Poi le diede il guinzaglio. «Tienilo tu, tesoro. Vado a cercare uno specchio. Voglio truccarmi un po’. Devo essere un disastro». Niky rimase di stucco. La mamma che si preoccupava del trucco era una cosa molto strana, ma non la contraddisse e si versò un bicchiere di succo d’ananas. Non ebbe però il tempo di assaggiarlo che Pulce cominciò a strattonarla, riuscì a liberarsi e si precipitò verso il ragazzo che stava mangiucchiando una brioche. Poi si alzò sulle zampette posteriori e cominciò
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ad agitare la coda guaendo e ansimando. «Pulce! Vieni qui immediatamente. Lascialo stare» gridò Niky. Marco abbassò il giornale. «Forse ha fame. Tesoro, dagli qualcosa». Niky prese dalla borsa della mamma il pacchetto di biscotti per cani, ne scartò uno e cominciò a sventolarlo chiamando Pulce. Niente da fare, il cagnolino si era ancorato con le unghiette ai jeans del ragazzo e non aveva la minima intenzione di mollare la presa. «Posso darglielo io?» chiese il ragazzo divertito. Niky arrossì e gli porse il pacchetto di biscotti. «Sì, è meglio. Parli italiano?» «Certo. Sono italiano». Niky arrossì di nuovo e si sedette. Pulce mangiò tre biscottini, si accoccolò tra i piedi del ragazzo e rimase lì per tutto il tempo a farsi grattare la testa. Quando Irene tornò, guardò compiaciuta il ragazzo, riprese il suo posto e Pulce corse subito da lei. Poco dopo arrivò Nadir. «Signori, l’aereo sta imbarcando i passeggeri, se volete seguirmi». Poi si rivolse al ragazzo: «Vieni anche tu Karim, siete sullo stesso aereo».
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Il potente amuleto
Irene prese il guinzaglio di Pulce e tutti seguirono lo steward lungo un breve corridoio fino a un’uscita deserta davanti a cui era parcheggiata una grande jeep. Marco si irrigidì. «Questa non è l’uscita per l’imbarco». «No, ingegner Renetti. Questo è un gate privilegiato. Ecco le vostre carte d’imbarco. Prego, accomodatevi in auto. Vi accompagnerò all’aereo». Gli ospiti salirono, Nadir prese dal bagagliaio la gabbietta di Pulce e la diede a Irene. «Signora, vorrebbe per favore mettere il cagnolino nella gabbietta? Da qui in poi non può stare al guinzaglio». «Certamente. Speriamo che non si agiti troppo». Nadir si mise alla guida e l’auto partì. Pulce capì immediatamente che cosa stava per accadergli e si appiattì sotto un sedile. Irene riuscì a prenderlo in braccio e gli sussurrò qualcosa all’orecchio. Pulce abbaiò contento e la sua padrona lo infilò nella gabbietta. «Che cosa gli ha detto?» chiese Karim incuriosito dalla scena. «È una parola magica. Figurati che non l’ha mai detta nemmeno a me» rispose Niky. «Un giorno la scoprirai» rise Irene. Poi si rivolse
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al ragazzo: «Parli sia italiano che arabo?» «Sì, signora. Mia madre è egiziana e mio padre è italiano. Ma io sono nato qui, vado a scuola in Italia. L’arabo lo parlo così e così». «Che classe fai?» «La prima liceo scientifico a Milano». «Anche Nicole vuol fare il liceo scientifico. Chissà, potreste ritrovarvi nella stessa scuola». Niky arrossì. «Mamma!» Fortunatamente l’auto si fermò. Sulla pista c’era molto vento. Il rumore dei motori degli aerei metteva agitazione. Dall’autobus parcheggiato poco più lontano, gli ultimi passeggeri scendevano in fretta e salivano svelti la scaletta dell’aereo. Karim e la famiglia Renetti salutarono Nadir e salirono insieme agli altri.
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Tra le nuvole La hostess li accolse a bordo e fece accomodare i quattro in prima fila: Marco e Irene con la gabbietta di Pulce da una parte del corridoio, Niky e Karim dall’altra. Dopo un istante, si chiusero le porte e si accesero i motori. Attraverso l’interfono si sentì il benvenuto del comandante e le hostess iniziarono a illustrare le misure di sicurezza a bordo dell’aereo. Niky si allacciò la cintura. L’aereo cominciò a rollare sulla pista. Il rombo dei motori si fece sempre più potente. Irene allungò un braccio e accarezzò la mano di Niky. «Buon viaggio, tesoro». «Buon viaggio, mamma». La velocità dell’aereo aumentava sempre più. Niky appiattita contro lo schienale stringeva con una mano l’amuleto che aveva al collo e con
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l’altra il bracciolo della poltrona. «Hai paura?» le chiese Karim. «Assolutamente no. Ho il mio portafortuna. È un amuleto antichissimo. È infallibile». Karim scoppiò a ridere. Niky lo detestò e se solo fosse riuscita ad aprire gli occhi lo avrebbe incenerito con lo sguardo. L’aereo decollò. Le si tapparono le orecchie e sentì lo stomaco scenderle alle ginocchia. Con un movimento impulsivo lasciò l’amuleto e afferrò anche l’altro bracciolo. Finalmente l’aereo arrivò in quota e ritornò in posizione orizzontale. Il rumore diminuì, le hostess ricomparvero nel corridoio e consegnarono
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un paio di cuffie a ogni passeggero. «Adesso potresti lasciare la mia mano?» disse Karim. Niky sussultò. Aprì gli occhi e spalancò la mano. «Scusa, io credevo...» «…che fosse il bracciolo. Per fortuna non avevi paura. È la prima volta che voli?» «È la settima» mentì lei. «E tu a che numero sei?» «Io faccio questo viaggio cinque o sei volte all’anno». Karim accese il piccolo schermo davanti a lui. Si mise le cuffie, aprì la parte superiore del bracciolo destro, premette alcuni pulsanti
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e sullo schermo comparvero delle immagini. Era una partita di calcio. Niky aggrottò le sopracciglia, aprì il suo sacchettino con gli auricolari e li mise alle orecchie. Accese lo schermo davanti a lei, sollevò la parte superiore del bracciolo e cominciò a premere i pulsanti a caso. Comparve un menù come quelli sullo schermo del computer: 1 English 2 Français 3 Deutsch. Niente italiano. Niky scelse il meno peggio e la scritta Death on the Nile diede inizio al film. «Parli inglese?» chiese Karim. «Pochissimo, ma tanto lo so a memoria, l’ho già visto dieci volte». E appunto perché quel film lo conosceva bene, dopo aver mangiucchiato qualcosa, si addormentò. DLIN DLON. I signori passeggeri sono pregati di allacciare le cinture di sicurezza e di collocare lo schienale in posizione verticale. Stiamo iniziando la discesa verso l’aeroporto internazionale del Cairo. Il tempo è soleggiato e la temperatura a terra è di 29 gradi. Niky sobbalzò «Siano già arrivati?» Irene allungò un braccio attraverso il corridoio
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e le strinse la mano. «Tra poco, tesoro. Tu e Pulce avete dormito tutto il tempo». L’aereo iniziò a scendere. Niky ancora un po’ assonnata si sentiva molto più tranquilla di quanto fosse stata durante il decollo. L’aereo toccò delicatamente il suolo. Poi si sentì un rumore forte e continuo. Niky guardò la mamma. «Sono entrati in azione i freni, tesoro. L’aereo sta già correndo sulla pista. Siamo a terra». Niky si sentì sollevata. Ora che era tutto finito pensò che non era valsa la pena preoccuparsi. I motori si spensero. Una hostess prese la gabbietta di Pulce e guardò attraverso lo sportellino. «Complimenti, signoLisa, era in aereo ra. Il suo cagnolino si è seduto vicino a me. comportato molto bene. Si chiama Karim. Tra poco potrà liberarTutto merito del lo. C’è una macchina portafortuna che mi ha dato mia nonna! che vi attende». Karim fu il primo a uscire, Niky dietro di lui fu investita da un forte vento caldo. Strinse gli occhi quasi accecata da quello specchio di luce. Il sole di mezzogiorno dipingeva il cielo di un azzurro intenso, perfino l’asfalto della pista sembrava brillare. Iniziò a scendere la scaletta e il rumore metallico dei suoi
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passi sui gradini di alluminio Un portafortuna? risuonò sulla pista e nel suo Che cos’è? petto. In fondo alla scaletta c’erano due persone: un uomo sulla cinquantina in maniche di camicia e un ragazzo in divisa da steward. L’uomo strofinò la testa di Karim e gli diede una pacca sulla spalla, poi i due salirono in auto. Karim abbassò il finestrino, sporse la mano e salutò Niky. «Ciao, buon divertimento!» «Ciao, Karim. Arrivederci!» Quando anche Marco e Irene furono scesi, lo steward aprì la portiera di un fuoristrada. «Ben arrivati signori. Salite, prego». Non appena l’auto fu in moto l’accompagnatore disse a Irene che poteva liberare il cagnolino e mettergli il guinzaglio. Liberarlo fu semplice, ma farlo star fermo per agganciare il moschettone al collare fu davvero un’impresa. «Perché non usi la tua parola magica?» suggerì Niky alla È uno scarabeo! mamma. «Penso ci voglia un intervento più… sostanzioso». Irene prese qualcosa dalla sua borsa, si inginocchiò sul sedile e allungò la mano. Pulce mangiò quel qualcosa e si tranquil-
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lizzò abbastanza da permettere a Irene di agganciare il guinzaglio al collare. «Allora, la parola magica è Che schifo!!! una cosa che si mangia?» Speriamo almeno «Beh, sì». che sia magico. «E che cos’è?» «È un segreto». Niky alzò gli occhi al cielo. Era sorprendente come sua madre fosse testarda. Ma era meglio non dirle una cosa del genere. L’auto si fermò davanti a una porta a vetri. L’accompagnatore scese e aprì le portiere. «Prego signori, siete arrivati. Penserò io ai bagagli». L’intera famiglia, con Pulce al seguito, passò i controlli e uscì dalla dogana. Ad attenderli c’era un uomo in giacca e cravatta con un copricapo arabo e un paio di occhiali scuri che teneva in vista un cartello con la scritta ING. RENETTI. Marco andò verso di lui e gli strinse la mano. «Ben arrivato, ingegnere, sono Talib Wahab, il vostro interprete. Spero abbiate fatto buon viaggio. Ora aspettiamo i vostri bagagli e vi accompagnerò in albergo». Poco dopo arrivò un carrello spinto da un ragazzo con le loro valigie e tutti si diressero verso l’uscita. Quando passarono davanti al primo negozio
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di souvenir, Niky arrossì. Davanti al secondo, afferrò l’amuleto che teneva al collo e lo strinse forte. Davanti al terzo se lo tolse e lo mise in una tasca dello zaino. Che delusione! Ecco perché tutti ridevano del suo prezioso antico portafortuna: non era prezioso e nemmeno antico. La nonna l’aveva presa in giro. Nei suoi primi dieci passi in Egitto aveva visto almeno tre enormi ceste piene di scarabei turchesi assolutamente identici al suo. Forse più piccoli, ma anche più belli. All’aperto li aspettava una lunga auto blu. Durante il viaggio fino all’albergo, Marco parlò tutto il tempo con l’interprete, Irene scrisse messaggi a mezzo mondo, mentre Niky, continuando a pensare alla nonna e allo scarabeo, non staccò nemmeno per un attimo il naso dal finestrino. Le strade erano immense, le auto sfrecciavano a velocità sostenuta su tre, quattro corsie. Il traffico era caotico. Ogni tanto riusciva a intravedere i marciapiedi affollati da una miriade di gente che camminava o chiacchierava e gesticolava davanti a un infinito susseguirsi di negozi all’aperto. I colori delle merci così forti, così vivaci, spiccavano ancora di più in contrasto con i muri bianchi degli edifici e colpirono tanto Niky che alla fine si sentì confusa.
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Tentato furto sul Nilo L’auto si fermò davanti a un sontuoso albergo. Subito, due ragazzi in livrea aprirono le portiere e un facchino scaricò i bagagli. «Eccoci arrivati, ingegnere. Abbiamo riservato una suite per lei e la sua famiglia. Il Ministero Egiziano per lo Sviluppo dell’Energia Alternativa spera sarà di vostro gradimento» disse Talib Wahab in modo molto formale. «Penso che staremo benissimo» rispose Marco serio. Irene era imbarazzata, Niky non riusciva a chiudere la bocca tanto era meravigliata da quell’edificio. «Bene. Ora potrete riposarvi. Questa sera verso le sette ci sarà la cena di gala del ministero qui in albergo». L’uomo si congedò lasciando i suoi ospiti stupefatti.
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Capitolo 4
Niky non aveva mai visto un albergo così, la hall era piena di gente e grande come la palestra della sua scuola. I pavimenti luccicavano come specchi e al centro c’era addirittura una sfinge. Niky andò a toccarla. Toc... toc… Era finta, ma era enorme. Dall’altissimo soffitto pendevano lampadari così grandi che uno solo avrebbe illuminato l’intero parchetto dietro casa. L’amuleto della nonna forse non era così raro, ma fino a quel momento aveva funzionato. Tutto era andato alla perfezione. Mentre mamma e papà consegnavano i documenti alla reception, Niky si avvicinò a una vetrinetta. Accidenti! C’erano un sacco di scarabei anche qui: d’oro, d’argento, di turchese incastonati in anelli e bracciali, piccoli, grandi, medi. Nicole sospirò e si sedette su un divano, prese il suo amuleto dallo zaino e cominciò a osservarlo. Sì, era proprio come tutti gli altri e per di più era ricoperto di crepe e piccole fratture e si intravedeva qualcosa di verde. Una donna accaldata le si avvicinò e indicò il suo portafortuna. «Beautiful!» «Come scusi?» «Belisssimo» disse la donna con un forte accento inglese. «Posso vedere?» «Prego, guardi pure».
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La donna lo osservò attentamente. Prese perfino una lente dalla borsa per osservarlo meglio. «Grazie» disse a questo punto Niky porgendo la mano per riaverlo e perplessa se lo mise al collo. Il fattorino li accompagnò nella loro suite al quindicesimo piano. Il soffitto era celeste con stelline dorate, i pavimenti ricoperti di morbidissima moquette blu con arabeschi giallo oro in stile arabo. Alle pareti erano appesi grandi specchi con pesanti cornici dorate. C’era un salotto con enormi divani gialli e una grande vetrata. Niky corse alla finestra. Guardò in basso: sotto di lei scorreva il Nilo, attraversato da un grande ponte su cui si muovevano interminabili file di automobili. Poi alzò lo sguardo e in lontananza vide le piramidi. Lanciò un grido di sorpresa. «Mamma, guarda! Andiamo a vederle da vicino? Ti prego, non ci vorrà molto. Sono proprio lì, a due passi dall’albergo». «Con calma, tesoro. Vedremo tutto il possibile, non preoccuparti. Domani mentre papà lavora, noi ce ne andremo in giro». «Gentili le mie ragazze» rise papà. «Adesso non riusciremo ad andare alle piramidi, ma un tuffo in piscina lo possiamo fare. Su, usciamo, non vorrete stare qui tutto il pomeriggio vero?!»
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Irene e Niky furono subito d’accordo e in meno di dieci minuti si ritrovarono nella bellissima piscina dell’albergo. Era quasi deserta, il sole era alto e faceva molto caldo. Niky si tolse l’amuleto dal collo e si tuffò in acqua. Quando riemerse vide la signora inglese che aveva incontrato nella hall, seduta sulla sua sdraio accanto alla mamma. Non era giovane e nemmeno bella, anzi, robusta e tozza con una disordinata chioma di capelli biondi e crespi. Incuriosita, Niky si avvicinò al bordo per sentire di che cosa parlassero. Non sapeva bene perché, ma quella donna non la convinceva, anzi, non le piaceva affatto. Stava chiacchierando del più e del meno con la mamma: parlavano del caldo, del sole, dell’albergo e cose del genere. Niky fece alcune vasche. Nuotare la faceva sentire libera e non avrebbe smesso se, a un certo punto, non avesse sentito un improvviso vuoto nello stomaco. Era fame! Erano le tre e, a parte qualche biscotto in aereo, non aveva ancora toccato cibo. Uscì dall’acqua, si avvicinò alla sua sdraio, prese l’accappatoio e se lo infilò. Cercò il suo ciondolo e con sorpresa si accorse che la donna lo aveva preso e ci giocherellava con noncuranza passandolo da una mano all’altra.
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«Ecco mia figlia» disse Irene. «Su, tesoro. Presentati alla signora». Accidenti, che rabbia! Quando sua madre la trattava in quel modo non la sopportava. Come un automa porse la mano: «Io sono…» «Ho letto il tuo nome sullo zaino. Lucy Amstrong, please to meet you». «La signora è un’archeologa sai, come nonna Amanda» intervenne Irene. La donna si irrigidì. «Amanda Artusi?!» «Sì, è mia nonna». «Non conosco» ribatté l’inglese con una voce nasale che tradiva un certo nervosismo. Niky rimase di stucco. Cercò lo sguardo della mamma, ma Irene si era avvicinata al bordo della piscina per rinfrescarsi. In quel momento arrivò papà. «Ho ordinato uno spuntino. Signora, vuole unirsi a noi?» «Thank you. Mi piacerebbe, ma ho un appuntamento tra poco. Sorry, devo andare». Lucy Amstrong si alzò in fretta, raccolse da terra la sua borsa e si allontanò. Niky cercò il suo ciondolo. Accidenti, era scomparso! «Mi scusi, signora. Il mio scarabeo». «Tesoro, che cosa stai dicendo?» intervenne Irene per rimproverarla.
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«Pardon?» esclamò la donna fingendo di non capire. «Quello che ha nella mano!» grido Niky indicando il pugno che la donna teneva stretto. «Quello è mio!» Lucy Amstrong aprì la mano. «Stupid me. Sorry, non mi ero accorta. Sorry» disse imbarazzata restituendole lo scarabeo. «Ma si figuri, scusi lei» disse Marco ancora più imbarazzato. «Cosa vuole, è un oggetto di nessun valore, ma sa come sono le bambine».
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Capitolo 4
Quando la donna se ne andò fu un sollievo per tutti. Irene era seccata. «Nicole che figure ci fai fare? In Egitto ci sono milioni di ciondoli come quello. C’era bisogno di fare quella scenata?» Anche Niky era molto arrabbiata. Mise lo scarabeo in una tasca dello zainetto e chiuse la cerniera. «Appunto perché ce ne sono milioni, se ne può comperare un altro. Deve proprio prendere il mio?» «Ok, calmatevi» intervenne papà. «Siamo tutti stanchi e nervosi. Adesso mangiamo qualcosa e poi ci riposiamo un po’. Questa sera non possiamo permetterci di essere imbronciati, giusto?!» Lo spuntino si rivelò un pranzo. Arrivarono tre camerieri con quattro piatti l’uno e imbandirono due tavolini a bordo piscina. «Marco, che cosa hai ordinato? Mi sembra eccessivo per uno spuntino». «Un cameriere al banco dello snack bar ha indicato una torta salata e io gli ho detto di portarne mezza». Un uomo anziano e molto distinto che stava leggendo il giornale seduto su una poltrona di vimini scoppiò a ridere. «Mi scusi se rido, signore. Ma
Lisa, una signora inglese ha cercato di rubare il mio scarabeo!
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la stessa cosa è accaduta anche a me, tanti anni fa». Marco lo guardò stupito. «Vede, lei ha detto mezza e il cameriere le ha portato le mezzah. È il tipico antipasto misto egiziano e come vede è molto ricco». Irene rise. «E adesso?» chiese Marco grattandosi la testa. «Beh, adesso assaggiate tutto. Sono specialità davvero tipiche e sono ottime. Dovete credermi». Niky prese un gamberetto e se lo mise in bocca. AAAGH! Immediatamente si sentì la gola in fiamme. Si portò le mani al collo, aprì la bocca e cominciò ad annaspare. «Aiuto! Brucio!» Irene e Marco si spaventarono e le versarono subito un bicchiere d’acqua. «No, fermi! Ci vuole dello shami» disse l’uomo porgendole un cestino. «Non preoccuparti è pane». Niky prese un panino e lo addentò. Poco a poco il bruciore si affievolì e dopo due shami scomparve. «Grazie» disse non appena fu in grado di parlare. «Lei sa un sacco di cose». «Ero una guida turistica. Ho lavorato in Egitto per vent’anni e ora insegno in Italia». «È qui in vacanza?» chiese Marco.
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Capitolo 4
«Veramente no, mi ha chiamato il ministero egiziano per accompagnare in giro certi ospiti italiani...» «Noi siamo ospiti del ministero» gridò Nicole. «Allora, forse… lei è l’ingegner Renetti?» «Sì» rispose papà. «Che coincidenza incontrarci, l’albergo è così grande. Io sono il professor Alberto Mariani. Sarò la vostra guida nei prossimi giorni». «Piacere» gridò Nicole stendendo la mano. «Io sono Niky, lui è mio papà Marco e lei è mia mamma Irene». «Piacere di conoscervi». «È più di un piacere. Lei mi ha salvato la vita. Se non ci fosse stato lei sarei morta soffocata». «Ma figurati! Quella era solo paprica, non certo veleno. Se non ci fossi stato io, sarebbero senz’altro arrivati i pompieri!» Tutti risero e sotto la guida Lisaaaa! Sono esperta del professore, riusalva per miracolo. scirono ad apprezzare il loro Un gamberetto ha spuntino senza più incidenti. tentato di uccidermi. Verso le cinque le ombre cominciarono ad allungarsi rapidamente. «È già il tramonto. Scusate signori, vorrei salire in camera a riposarmi un po’ e a prepararmi per
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la cena» disse il professore. «Sì. Si è fatto tardi, saliamo anche noi» aggiunse Irene. «Grazie per la piacevolissima compagnia. Sono contenta che sia la nostra guida». «Anch’io. Lei è il professore più simpatico che abbia mai conosciuto. Posso chiederle una cosa?» «Certo, dimmi». Niky prese lo scarabeo dallo zaino e lo mostrò al professore. «Come mai qui ci sono così tanti amuleti come questo?» «È uno scarabeo. Per gli antichi egizi era il simbolo della rinascita. È un amuleto molto prezioso. Nei prossimi giorni avremo più tempo e ti racconterò tutto». «Non adesso?» «Tesoro, non essere impaAccidenti, Niky, ziente. Adesso è tardi, dobsei in un posto biamo prepararci» intervenne pericolosissimo! Irene. Torna a casa! «Va bene, allora a dopo, professore» si rassegnò Niky. «A dopo. Signora… ingegnere…» Il professore si allontanò. Marco raccolse asciugamani e accappatoi e salirono in camera.
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Babysitter… mai! Alle sette in punto arrivò una telefonata. «Ingegnere, sono Talib. Vi aspetto nella hall». «Siamo pronti. Scendiamo immediatamente». Irene mise in bagno una ciotolina d’acqua e una di croccantini, l’osso di gomma e la pallina di stoffa, poi spinse una poltrona fin davanti alla porta dell’antibagno in modo da costruire a Pulce un ampio recinto. «Ecco, così almeno i disastri saranno limitati». Il cockerino abbaiò, poi si accorse che nessuno badava a lui e cominciò a giocare con la sua pallina correndo avanti e indietro per tutta la lunghezza del bagno. Marco, Irene e Niky elegantissimi, in abito da sera, scesero nella hall. Talib Wahab li accompagnò verso la sala dove avrebbero conosciuto
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i rappresentanti del ministero, i consulenti e il console italiano in Egitto. Marco era agitatissimo e non faceva che sistemarsi il papillon. «Va bene così, caro» gli sussurrò Irene. «Stai tranquillo. Se siamo qui il progetto è già stato approvato, non devi essere nervoso». Seguendo Talib passarono dalla forte luce dei corridoi dell’albergo a una grande sala in penombra. Tutto era in stile arabo, dal soffitto ad archi e volte da cui pendevano lampade in lucido ottone riccamente lavorate, al pavimento ricoperto di magnifici tappeti dai colori vivaci. In un angolo, un gruppo di musicisti suonava antichi strumenti dalle forme strane e un’insolita musica riempiva l’aria. Al centro della sala era apparecchiato un lungo tavolo ovale con stoviglie raffinate e preziose. Uomini in gallabeya bianca, una lunga tunica, turbante e ciabattine di cuoio con la punta all’insù erano schierati lungo una parete in attesa di servire le vivande. A Niky sembrava di essere nel film di Aladino e a ogni meraviglia che intravedeva sentiva una scossa e un brivido correrle lungo la schiena. Arrivò il professor Alberto e di seguito, a piccoli gruppi, uomini e donne, vestiti all’occidentale.
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Capitolo 5
Talib iniziò subito le presentazioni: il ministro dell’energia alternativa, il ministro dell’ambiente, i consulenti tecnici, gli esperti geologi, il segretario dell’ambasciatore, il console italiano in Egitto. “Finalmente un italiano” pensò Niky. «Tu sei Nicole?» le chiese il console. «Sì, signore». «Credevo fossi più piccola. Pensavo avessi cinque o sei anni. Tra un attimo arriveranno mia moglie e mio figlio. In questi giorni, mentre tuo padre è impegnato, terranno compagnia a te e a tua madre». «Grazie, signor console». Dall’agitazione di papà Niky aveva capito che essere educata e gentile era un dovere assoluto. Ma se il console la pensava più piccola, allora suo figlio era un bambino e l’idea di dover fare da babysitter a un bambino, magari anche pestifero, le cambiò l’umore. Lei sarebbe stata benissimo con Aiutoo! mamma, Pulce e quel simVogliono farmi fare patico professore, non aveva la babysitter. assolutamente bisogno della compagnia di un bimbetto che le avrebbe rovinato la vacanza. Mentre Niky era impegnata a guastarsi la sera-
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ta con pensieri pessimisti, una bellissima donna egiziana, alta, slanciata, dai capelli neri e lucenti raccolti in una lunga treccia avanzò lentamente verso di loro. «Signora Renetti, le presento mia moglie». «Piacere di conoscerla, signora». «Il piacere è mio» rispose la moglie del console in un ottimo italiano. «Mi chiami Zahra, se staremo insieme qualche giorno è meglio che usiamo il tu, non crede?» Irene sorrise e Niky pensò che quella donna e la mamma sarebbero senz’altro diventate amiche. «Lui dov’è?» sussurrò il console alla moglie. «Sta arrivando. Non ha voluto mettere la camicia e la cravatta e ha fatto un sacco di storie per le scarpe di vernice. Voleva mettere le scarpe da ginnastica… figurati». «Ah eccolo» disse il console alzando leggermente un braccio. «Ecco mio figlio». Niky nemmeno si voltò e facendo un lungo giro intorno alla sala sgattaiolò fuori. L’amuleto! Lo aveva lasciato in camera e doveva recuperarlo. Antico o no, si era convinta che funzionava e in quell’occasione solo un colpo di fortuna poteva salvarla. Così camminò in fretta fino all’ascensore e salì al quindicesimo piano. Raggiunse la
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suite, aprì la porta e ascoltò attentamente. Niente, nessun rumore. Pulce si era evidentemente addormentato. Silenziosamente, al buio per non svegliarlo andò nella sua stanza, prese lo scarabeo e lo strinse forte. Ora si sentiva più sicura. Uscì dalla suite, raggiunse di nuovo l’ascensore e scese. Al piano terra la porta si aprì. Uscì e… «Karim! Che cosa fai qui?» «Non lo so. Anzi, lo so benissimo e vorrei essere in qualsiasi altro posto». «A chi lo dici! Pensa che vogliono farmi fare la babysitter!» «Beh, mal comune mezzo gaudio». «Che cosa vuoi dire?» «Che mezz’ora fa ho scoperto che mio padre mi ha fatto venire al Cairo per lo stesso motivo. Devo tenere compagnia a una bambina». «E io a un bambino. Magari ha cinque anni. Ti immagini?!» Karim rise. «Se anche a te è capitata la stessa cosa, il tuo portafortuna non funziona molto bene». Niky arrossì. «Lascia perdere. Pensa che oggi hanno tentato di rubarmelo». «Non ci credo. Chi avrebbe…» Il professor Mariani arrivò a interrompere
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la conversazione. «Ragazzi, dove eravate finiti? I vostri genitori vi stanno cercando dappertutto. Su venite».
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Capitolo 5
Un pensiero attraversò la mente di Niky e improvvisamente capì. Infilò una mano in tasca e strinse forte lo scarabeo. Forse… Sì, assolutamente sì. Aveva funzionato di nuovo! Quando i tre entrarono nella sala tutti erano già seduti a tavola. Irene e Zahra lanciarono un’occhiataccia ai rispettivi figli e i ragazzi si misero a sedere l’uno accanto all’altro. «Tu sei il figlio del console?» sussurrò Niky. Karim la guardò perplesso. A quel punto anche lui capì e tirò un sospiro di sollievo. «Già, e non ho bisogno di una babysitter». «Beh, sicuramente nemmeno io» scoppiò a ridere Niky e si beccò una nuova occhiataccia da Irene. La cena fu lunga, lunghissima, interminabile. I ragazzi iniziarono a far palline con la mollica di shami e a farle rotolare da un bicchiere all’altro. Questa volta fu Zahra a intervenire rimproverando il figlio. Niky, allora, raccontò a Karim tutto quello che era accaduto in piscina e di come secondo lei la signora inglese avesse cercato di rubarle l’amuleto. Ma presto l’argomento si esaurì e i ragazzi ricominciarono a far palline di shami e a tirarsele. Zahra era molto infastidita. «Insomma, domani
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Babysitter… mai!
partiamo. Hai intenzione di comportarti così anche sulla nave?» «Sulla nave? Quale nave?» Il professor Mariani chiese il permesso e si alzò da tavola. «Su su voi due… venite con me. Vi racconterò il programma della settimana». «Posso andare, mamma?» chiese Karim. «Posso andare anch’io?» chiese Niky. «Shukran» ringraziò Karim. «Shukran» lo copiò Niky. Uscire da quella stanza fu una liberazione. I ragazzi e il professore andarono al bar della piscina e davanti a un gelato scoprirono l’entusiasmante programma dei giorni successivi. La cosa a cui Niky teneva di più erano le piNiente babysitter. ramidi e quando seppe che il Il bambino nn è giorno dopo sarebbero andati un bambino è K. proprio lì, fece letteralmente i salti di gioia.
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Capitolo 6
Ladri di reperti La domenica mattina alle nove Niky, Irene, Pulce, Zahra, Karim e il professore erano davanti all’ingresso dell’albergo ad aspettare il taxi che avevano prenotato. Arrivò una grande monovolume a nove posti. «Per Giza?» gridò l’autista dal finestrino. «Siamo noi» rispose il professore. I sedili erano ricoperti di pelli. Potevano essere di pecora, di cammello, di capra; quel che è certo è che a Niky non piacque sedersi su quella roba. Quando tutti furono saliti il tassista accese la radio a un volume assordante. «Non preoccupatevi! Qui è normale» gridò il professore. «Questo è l’Egitto. Non subite la musica, godetevela!» Karim si voltò verso la parte posteriore della
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monovolume per recuperare Pulce che terrorizzato si era rintanato sotto i sedili liberi dell’ultima fila e si accorse che un uomo e una donna stavano inseguendo il taxi sbracciandosi e sventolando i cappelli. Lo disse al professore che chiese al tassista di fermarsi. L’auto frenò bruscamente, tutti furono sbalzati violentemente in avanti e poi subito indietro contro gli schienali… BAM! Pulce rotolò fin in mezzo ai piedi del professore che sedeva di fianco all’autista. Lucy Amstrong, la donna inseguitrice, raggiunse l’auto ansimando. «C’è posto per due persone, please? Sapete, vorremmo andare to the pyramids. Così se state andando lì, se non è un disturbo…» «Prego, salite pure» gridò Stai attenta Irene per farsi sentire e l’auto alle mummie! ripartì. Il breve viaggio fino a Ahahah! Giza per il professore e i due ragazzi fu elettrizzante; per gli altri, terrorizzante. Sembrava di essere sulle montagne russe e i passeggeri venivano continuamente sballottati avanti, indietro, a destra e a sinistra. Il tassista guidava in modo pericoloso e spericolato e Sto andando a vedere le piramidi nella piana di Giza!
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da quello che si poteva vedere dal finestrino, gli altri automobilisti non erano da meno. «Ehi, ma come guidano qui?» gridava ogni tanto Irene. «Attento! Attento, quello ci viene addosso». «Non si preoccupi, si goda il brivido» rideva il professore. Finalmente l’auto si fermò in un grande piazzale, Niky scese impaziente e si ritrovò in un parcheggio immenso, pieno di pullman e veicoli di ogni tipo con autisti nervosi che suonavano i clacson a tutto spiano. Il professore la prese per un braccio. «Via. Andiamo via di qui». Niky si lasciò trascinare fino a quando non vide sotto i suoi piedi la sabbia ocra del deserto. La sentì calda, alzò gli occhi e rimase senza fiato. Le si accapponò la pelle, si sentì piccola, infinitamente piccola, il cuore le batteva forte. Era lì, davanti alla piramide di Cheope, la più grande, la più antica di tutte, costruita più 4.500 anni fa. Per un attimo la vide splendente, ricoperta di pietra bianca come doveva essere un tempo. Si portò la mano sugli occhi per affievolire la luce abbagliante della sua immaginazione.
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«È alta 146 metri, ci vollero 30 anni e migliaia di schiavi per costruirla ma… fermo! Che cosa fa?» all’improvviso un grido del professore la fece sobbalzare. Niky tolse la mano dalla fronte e spalancò gli occhi. Herby Amstrong, il marito di Lucy, aveva superato le transenne che circondano la piramide e con un coltellino stava tentando di graffiare una delle enormi pietre. «Che cosa vuole che faccia?» rispose l’ometto sgarbatamente. «Ne prendo un pezzettino per ricordo. Guardi quante ce ne sono di queste pietre… non sarà un gran danno se ne prendo una scheggia». «Lei è pazzo!» gridò il professore. «Esca subito di lì o la farò arrestare». Lucy intervenne in difesa del marito. «Non si scaldi tanto. Herby! Herby, come here!» «Cara, ma sei stata tu a dire...» «A dire che cosa? Esci di lì». Herby, un ometto basso e minuto, con dei buffi occhiali tondi su un naso adunco, saltellò accanto alla moglie e le sussurrò qualcosa all’orecchio. Lei gli strattonò la giacca in segno di disapprovazione e la visita continuò. Accanto alla piramide di Cheope, più piccola ma un po’ più in alto, c’era la piramide di Chefren e
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più avanti ancora, la terza piramide, quella di Micerino. «È quella su cui pesano le maledizioni più spaventose» disse il professore, «Al suo interno furono trovati i resti mummificati di un ladro che aveva tentato di saccheggiare il suo contenuto. Niky, affascinata dagli inquietanti racconti del professore, camminava sotto il sole quando, all’improvviso, alzando gli occhi si trovò di fronte alla Sfinge. La colossale statua, simbolo dell’antica civiltà egizia, vista mille volte sui libri e nei film, era davanti a lei, imponente e misteriosa. «In arabo si chiama Abu-el-Hawl, che significa “padre del terrore”, e rappresenta il faraone Chefren come un felino che fa la guardia alla propria necropoli» spiegò il professore. Il gruppo con gli Amstrong al traino stava ritornando al parcheggio, quando un ragazzino si avvicinò a Niky. «Habibi, tu vuoi cammello?» «Assolutamente no. Non voglio un cammello». «Habibi, tu volere cammello. Stop. Guardare». Il ragazzino si mise due dita in bocca e fischiò. Arrivarono altri ragazzi su altissimi dromedari. «Accidenti! Io non voglio un cammello che poi ha una gobba sola e quindi è un dromedario» gridò Niky. In quel momento avrebbe voluto saper
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parlare l’arabo quanto quel ragazzo parlava l’italiano. Almeno si sarebbe spiegata una volta per tutte. «Habibi. Stop. Tu volere cammello». Niky sbuffò. Karim rise: «Guarda che ti sta chiedendo se vuoi fare un giro sul cammello. Non vuole venderti il cammello». Niky si bloccò. «Posso cavalcarne uno?» «Certo, lo fanno tutti». «Mamma, posso? Posso salire?» Zarah e il professore sorrisero. «Sì, puoi» rispose Irene. «Se non è troppo tardi». «No, abbiamo tempo» replicò il professore. Per non rischiare di perdere l’amuleto Niky se lo tolse dal collo e lo mise nello zaino. «Ti tengo lo zaino?» le chiese Lucy Amstrong. «No, grazie» rispose lei seccata. «Me lo tiene la mamma». Uno dei ragazzi fece accovacciare il dromedario e Niky salì. L’animale si alzò facendola ondeggiare pericolosamente da una parte all’altra. «No paura. Lui buono» disse il ragazzo e lei si tranquillizzò. Il ragazzo non lasciò nemmeno un attimo la corda con cui teneva il cammello. Lo condusse avanti e indietro per tre o quattro volte, poi si fermò.
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«Finito». «Tutto qui?» esclamò Niky. «Finito» ripeté il ragazzo e fece accovacciare il dromedario. Niky non era molto soddisfatta del giretto. Aveva creduto che la accompagnassero nel deserto. Si sarebbe unita a una carovana nomade e dopo un lungo, lento viaggio sotto il sole cocente avrebbero finalmente avvistato un’oasi. Si sarebbero fermati ad abbeverare i dromedari e lei avrebbe bevuto il tè in una tenda beduina. Ma poi pensò che forse aveva fantasticato troppo, così scese e tanto per usare l’unica parola araba che conosceva disse «Shukran». «Maasalama» rispose il ragazzo. Niky immaginò volesse dire arrivederci e fu contenta di aver imparato una nuova parola. Improvvisamente, ricordò di aver sentito molte volte habibi. Ma quando Karim le disse che significava tesoro mio, amore mio e cose del genere, prima arrossì, poi si arrabbiò. Nessuno poteva chiamarla tesoro o addirittura amore, senza il suo permesso, e quindi decise che quella parola se la sarebbe senz’altro ricordata.
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Capitolo 7
Lo scarabeo Gli Amstrong decisero di rimanere a Giza, mentre il resto del gruppo risalì in taxi. Il volume della radio era ancora al massimo. «Khan Al-Khalili» gridò il professore. L’auto partì bruscamente. «Khan Al-Khalili, vuol dire torniamo in albergo?» chiese Niky al professore. «No, è il nome del grande antico bazar del Cairo. Vedrai, ti piacerà». Il taxi percorse lunghe strade affollate e si fermò davanti a un grande arco. «Scendiamo qui » disse il professore. «Questa è la porta principale. Ricordate di non perdere di vista me o la signora Zahra. Orientarsi in questa miriade di viuzze non è semplice». Attraversarono la porta e come per incanto si
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Lo scarabeo
ritrovarono nel bazar descritto dalle fiabe. Ovunque splendeva il luccichio del rame, dell’oro, dell’argento, bigiotteria, lampade, pentole, piatti e bicchieri di metallo. Stoffe, abiti, borse, sgabelli di cuoio, tappeti, piccole piramidi, sfingi e statuette a non finire. Scarabei di ogni dimensione, neri, turchesi, chiavi della vita, papiri e tanti souvenir da poter ricostruire dieci, cento, mille volte l’intero Egitto in miniatura. E poi spezie: grandi sacchi di juta pieni di zafferano, zenzero, pepe, paprica e cumino dall’odore pungente che riempiva l’aria. Ogni viuzza di quel labirinto era un ininterrotto susseguirsi di negozi stipati delle merci più diverse. Il vociare dei turisti, dei mercanti e delle loro contrattazioni, il flusso continuo di gente da cui era facile essere trascinati, insieme agli odori forti e ai colori vivaci alla fine confondevano i sensi. Il professore guidò tutti attraverso le stanze di un grande negozio di stoffe fino a un’uscita seminascosta da pesanti drappeggi. La sorpresa fu grande. Il gruppo si ritrovò nel piccolo cortile di un antico palazzo. Tutto intorno correva un porticato sostenuto da colonne dorate e tra l’una e l’altra, grate intarsiate d’ottone lucente lasciavano intravedere bassi tavolini
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circondati da cuscini di velluto e di broccato. Al centro del cortile un ulivo secolare affondava le radici in un’aiuola senza erba circondata da tappeti usurati dal tempo e ricoperti qua e là da altri cuscini. Il silenzio era interrotto solo dal raro tintinnio di bicchieri e dal sussurrare di alcuni clienti. Il professore chiuse gli occhi e inspirò profondamente. «Sentite? Questo è il profumo del karkadè preparato secondo l’antica tradizione araba. Questo è karkadè di Assuan. Non è facile trovarne di così squisito. Sediamoci». Si sedettero in cerchio sui grandi cuscini e subito arrivò un cameriere con un pesante vassoio d’argento finemente lavorato e lo appoggiò a terra. Poi ne arrivò un altro con un vassoio più piccolo pieno di dolci. Il professore prese la piccola teiera in metallo e versò il karkadè nei bicchierini di vetro. «Se volete fare un po’ di shopping» disse poi rivolgendosi a Zahra e Irene, «io vi aspetterò qui con i ragazzi. Dovremmo tornare in albergo verso le tre. Avete tutto il tempo che vi serve». Le due donne furono subito d’accordo. Irene lasciò a Niky Pulce, stordito da tutta quella confusione, e insieme a Zahra si rituffò nel labirinto del bazar.
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«Adesso professore, mi racconta dello scarabeo?» chiese Niky tra un dolcetto e l’altro. «Anche oggi ne ho visti almeno un milione». «Lo scarabeo è tra gli amuleti più importanti dell’antico Egitto. Venivano realizzati anelli, bracciali, pettorali, collane e potevano essere d’oro, d’argento, di qualsiasi materiale, ma sempre avevano la stessa particolarità: l’addome piatto». Niky prese il suo ciondolo che dal giretto sul dromedario era rimasto nello zaino. «Anche il mio sotto è piatto». «Certo, infatti doveva essere una base su cui incidere importanti informazioni o formule magiche che proteggevano dalla sfortuna».
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«Sul tuo non c’è inciso un bel niente» ridacchiò Karim. «Lo so» ribatté Niky seccata. «Beh, allora se non c’è scritto niente, non serve a niente». «No, Karim, questo non è esatto!» intervenne il professore. «L’efficacia dell’amuleto è soprattutto la forma dell’amuleto stesso». «Che cosa vuol dire?» chiese Niky. «Vuol dire che ha la forma di uno scarabeo e per gli antichi egizi questo coleottero era il simbolo della continua rinascita, dell’immortalità». Niky cominciava a confondersi. «Che cosa c’entra con l’immortalità?» «È uno scarabeo stercorario». «Stercoche?» sbottò Karim. «Stercorario. Tra poco capirai. Questo animaletto forma delle palline di sterco che conserva come riserva alimentare o per proteggere le sue uova da cui nasceranno altri scarabei». «Che schifo! Se le mangia?» chiese Karim disgustato. Niky si portò una mano allo stomaco e una alla bocca per nascondere una smorfia. «Non posso pensarci». «Vi capisco. Ma agli antichi egizi non faceva
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schifo. Anzi, il modo in cui lo scarabeo fa rotolare questa pallina ricordava loro il moto continuo del sole e la sua eterna rinascita». «Mah?» Niky si grattò la testa perplessa. Proprio non capiva che cosa c’entrasse tutto questo con gli Amstrong e il suo ciondolo. Sapeva che doveva esserci un nesso. Era arciconvinta che quella donna lo volesse, ma che cosa avesse visto in quello scarabeo era un mistero. «Eccoci di ritorno!» la voce della mamma fermò i suoi pensieri. «Siete puntualissime» si compiacque il professore. «Avete fatto shopping?» Irene era entusiasta. «Ho comperato un sacco di cose. Soprattutto spezie, hanno colori incredibili e non ho potuto resistere. In Italia certo la luce è diversa, ma l’idea di provare a riprodurre i colori caldi e intensi di questa terra...» «Lei dipinge?» chiese il professore. «Sì. Almeno ci provo». Niky sbuffò, infastidita dalla ritrosia della mamma. «È bravissima». «Allora qui troverà davvero molti spunti per i suoi quadri, vedrà, me rimarrà meravigliata» replicò il professore. «Sì, ma qui la vera artista è Zahra. Dovete
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vedere come è brava a contrattare, mi ha fatto ottenere sconti stupefacenti». Zahra rise. «Non dimenticare che sono egiziana cara e hai ragione, per noi contrattare è un’arte vera e propria. Se non partecipi, si offendono, ma ti assicuro che non mi hanno fatto nessuno sconto». «Zahra ha ragione» rise il professore. «Ora su, andiamo». La comitiva ripercorse i vicoli affollati, colorati, profumati di spezie, raggiunse il taxi e tornò in albergo. In poco più di tre ore tutti insieme avrebbero volato a Luxor, l’antica Tebe, e lì si sarebbero imbarcati sulla nave da crociera. L’organizzazione del professore era molto efficiente e la sua grande esperienza traspariva da ogni dettaglio. Nonostante questo, ci fu un piccolo doloroso contrattempo: Pulce. Mezz’ora prima della partenza per l’aeroporto il professore chiese a Irene se avesse pensato alla sistemazione per il cockerino. Quella domanda fu come una doccia fredda. Lei che pensava sempre a tutto non aveva considerato il fatto che in crociera non poteva portare Pulce. Cominciò subito a cercare una soluzione. Prima pensò di lasciarlo a Marco, ma poi considerò che sarebbe stato
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chiuso tutto il giorno in camera da solo e cambiò idea. Chiese alla reception se ci fosse qualcuno che si poteva occupare di lui. Immediatamente, il vice direttore in persona iniziò a telefonare a destra e a manca e alla fine quando sembrava non ci fosse più speranza, una delle ragazze della reception si offrì di portare a spasso e far giocare Pulce nelle ore libere e di tenerlo con sé la notte. Irene tirò un sospiro di sollievo: non l’avrebbe mai confessato ad anima viva, ma rinunciare a una crociera sul Nilo era l’ultima delle sue intenzioni. Se costretta, per Pulce lo avrebbe fatto, ma le sarebbe dispiaciuto molto. Il volo dal Cairo a Luxor durò un’ora. Alle sette di sera si imbarcarono sulla motonave Nadira e alle otto e mezza, durante il cocktail di benvenuto Niky ebbe una brutta sorpresa. «Herby, guarda chi c’è. Che piacevole coincidenza! Mai e poi mai avrei pensato di incontrarvi qui!» Il professore, Irene e Zahra erano imbarazzati e infastiditi. Niky sussurrò qualcosa all’orecchio di Karim. «Ma figurati se ti seguono» rispose lui. «Eppure è così. Quelli vogliono a tutti i costi il mio portafortuna. Prima ieri in piscina e poi
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questa mattina alle piramidi. C’eri anche tu. Hai sentito che quella voleva tenere il mio zaino mentre salivo sul dromedario». «Voleva essere gentile». «No, quella non voleva essere gentile. Voleva prendere lo scarabeo». «Tu hai le traveggole». «Che cosa avrei io?» «Le traveggole. Vedi e senti cose che non esistono». «E tu non capisci niente!» si spazientì Niky. «Ehi ragazzi che cosa succede?» intervenne il professore. «Qualcosa non va?» «Sì, lei ha le manie di persecuzione». «Io non ho manie di persecuzione, io… io…» Niky era infuriata e stava per esplodere. «Calma ragazzi. Siete stanchi. Ora ceniamo e poi tutti a letto. Domani vedrete qualcosa di stupefacente e vi dirò altre cose sullo scarabeo». «C’è dell’altro?» si stupì Nicole. «Molto altro» rispose il proCiao Lisa, fessore con aria misteriosa. sono sulla nave. «E domani ci sarà anche una Detesto K. sorpresa». Per tutta la cena Niky non rivolse più la parola a Karim e dopo il dolce salì sul ponte a guardare
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la luna e il Nilo che scorreva lento davanti a lei. Scrisse un messaggio a Lisa e voleva mandare una richiesta d’aiuto alla nonna, ma a un tratto, sentì delle voci che venivano dalla piscina. Due persone stavano confabulando in modo concitato. Le riconobbe immediatamente. Erano loro: gli Amstrong. Cercando di non far rumore e di non essere vista, si avvicinò quel tanto che bastava per riuscire a distinguere le parole. «Cara, perché ti ostini? Come fai a sapere che è proprio quello?» «Perché c’entra l’Artusi. Sai quanto la odio. E poi lo so, lo sento. Ho visto quelle piccole fratture. Sono anni che lo cerco e finalmente ora sarà mio» Niky sussultò. Artusi. Aveva sentito benissimo. In piscina quella donna aveva detto di non conoscere la nonna, eppure, per la seconda volta aveva pronunciato il suo nome. Lei non aveva le traveggole e questa era un’ulteriore prova. Karim non le voleva credere? Pazienza! Avrebbe scoperto il mistero che collegava gli Amstrong alla nonna Nonna, conosci Lucy Amstrong? e all’amuleto e avrebbe fatto tutto da sola.
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Capitolo 8
La foresta di pietra Il mattino dopo, alle sei suonò la sveglia. Irene era già vestita, seduta su un divanetto davanti alla vetrata che dava sulle acque del Nilo. Aveva in mano un taccuino e stava disegnando. Niky guardò i messaggi ricevuti. Niente, la nonna non aveva risposto. «Mamma, a che ora ti sei svegliata?» «Verso le cinque. Sono ansiosa di uscire. Su, alzati. Tra venti minuti abbiamo appuntamento con gli altri». Niky si fece la doccia e si vestì in un baleno. «Brava, tesoro. Sei stata velocissima. Prima di andare, vuoi dirmi che cosa è successo ieri sera tra te e Karim? Perché avete litigato? Mi sembrava di aver capito che ti piacesse». Le guance di Niky diventarono bordeaux. «Chi?
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Quello? Nemmeno per sogno, e poi non abbiamo litigato. Anzi, veramente sì. Però è colpa sua». «Perché è colpa sua?» Lucy Amstrong? «Perché dice che invento le No. Chi è? cose». Baci. Nonna. «Che cosa inventeresti?» «Le cose riguardo agli Amstrong. Mamma, mi stai facendo un interrogatorio?» «No, tesoro. Sei tu che rispondi a ogni domanda con due parole, se tu unissi per lo meno due frasi, sarebbe meno faticoso». «E va bene. In piscina, alle piramidi e poi sul ponte ieri sera. C’entrano la nonna e lo scarabeo. Quella lo vuole. Non so perché ma lo scoprirò. Mi segue per prenderlo. Hai capito? Mi credi?» «Ti potrei credere, ma non ho capito niente. Senti facciamo così: andiamo dagli altri poi questa sera, con calma, mi spieghi di nuovo tutto. Va bene?» No, per Niky non andava affatto bene, ma non aveva voglia di discutere di nuovo di quella storia e quindi fece finta di niente. Il professore chiamò una carrozza e la comitiva partì verso il tempio di Luxor. Arrivarono all’inizio di un viale costeggiato da sfingi con teste d’ariete e camminarono fino a un’immensa
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Capitolo 8
porta che attraversava altissime mura di pietra rossa. Niky era stupefatta. Tutto, ogni statua, ogni obelisco, ogni costruzione era enorme, altissima e metteva a disagio. Il pensiero che sua nonna avesse contribuito a far scoprire tali meraviglie la inorgogliva, ma nonostante questo, continuava a sentirsi piccola. Qui vide i primi geroglifici. A lei sembravano bellissimi. L’idea che delle persone avessero inciso nella pietra e colorato ogni particolare la sbalordiva e il pensiero che quei segni avessero un significato e che quei disegni si potessero leggere l’affascinò subito. Ogni tanto il professore si fermava davanti a una statua, indicava alcuni segni racchiusi in una specie di ovale e leggeva: «Thwt ms questo è il cartiglio di Thutmosi terzo… Ra ms sw ecco quello di Ramsete…» «Sai leggere i geroglifici?» chiese Niky a Karim. «Io? Perché dovrei?» «Se tua mamma è egiziana, un po’ devi saperli leggere per forza». «Tu sai il latino?» «Che cosa c’entra?» «C’entra sì. Mica adesso in Egitto scrivono con i geroglifici». Niente. Una matta. TVB
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Niky si rese conto di aver fatto una domanda stupida. «Però ho un cartiglio» continuò lui. «Davvero?» «Se ne vuoi uno, puoi fartelo fare». «Dove?» «Nei negozi che vendono cartigli. Che domanda!» Già, pazzesco, aveva fatto due domande e una più stupida dell’altra. Per non fare altre figuracce decise si stare zitta per un po’. Mentre Irene scattava mille fotografie a ogni particolare e ascoltava con estrema attenzione ogni parola, Niky cominciava a perdersi tra i nomi di tutti quegli dei e faraoni. Si era entusiasmata e quasi arrabbiata per la storia di Hatshepsut. Un faraone donna di cui il successore, un certo Thutmosi terzo, aveva fatto cancellare il viso da tutti i dipinti, ma poi per il resto era stato tutta una lista di nomi che faceva fatica a ricordare. A furia di guardare all’insù e con il caldo che iniziava a farsi sentire, cominciò a girarle la testa. «Non preoccuparti, tra poco entreremo nella foresta» disse Zahra. «Vedrai che ti sentirai meglio». Niky decise di non chiedere spiegazioni, ma una
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Capitolo 8
foresta nel deserto le sembrava una stupidaggine e così pensò di cambiare argomento. «Professore, dov’è la sorpresa?» «Quale sorpresa?» «Ieri sera, mi ha detto che oggi…» «Ah, sì. Hai ragione, adesso ricordo. Ci siamo quasi, ma ora guarda». Niky alzò lo sguardo. Il sole era scomparso. Era in una sala piena di colonne così grandi che non bastavano tre persone a braccia aperte per circondarle e tutte ricoperte di incisioni e di geroglifici. Era la foresta: una foresta di pietra, naturalmente. Irene e Zahra si sedettero al fresco, Karim e Niky iniziarono a camminare tra le colonne parallele e a contarle. Impresa inutile, erano tante, troppe, tutte uguali e…
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«Sono centotrentaquattro» disse il professore ridendo. «Centotrentaquattro? E come hanno fatto a costruirle e a metterle in piedi?» «Questo è uno dei tanti misteri. Ora andiamo, è tempo della sorpresa». Il gruppo uscì dalla sala e dal tempio e arrivò a uno specchio d’acqua. «Questo è il lago sacro» disse il professore. «E quello...»
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Capitolo 8
«Uno scarabeo gigantesco!» si entusiasmò Niky. «Questa sì che è una sorpresa. È enorme. A che cosa serve?» Nicole cominciò a girare intorNonna, ho visto no al grande monolite, accarezlo scarabeo più zando le pareti con la mano e grande del mondo. guardando in su per vedere da tutte le angolazioni lo scarabeo che vi era sopra. «Hai scoperto a che cosa serve» rise Zahra. «Secondo un’antica superstizione, se fai un giro intorno allo scarabeo, avrai fortuna. Ma le donne dell’antica Tebe erano convinte che facendo tre giri, avrebbero trovato l’amore entro l’anno. Era uno dei tanti riti magici degli antichi egizi». «Proprio così» continuò il professore, «questo grande scarabeo fu fatto costruire da un faraone in onore del dio Khepri per assicurarsi la vita nell’aldilà ancor prima di morire. Come vi ho detto al Cairo, lo scarabeo era il simbolo dell’eterna rinascita. Veniva collegato a Khepri, il dio della trasformazione e della resurrezione. Durante il rito della mummificazione, gli egiziani mettevano un amuleto a forma di scarabeo sul cuore del defunto. In questo modo chiedevano a Khepri di accompagnare il defunto e di farlo rinascere nell’aldilà».
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Niky cominciava a perdere il filo. Più cose sapeva sullo scarabeo più era perplessa. Afferrò l’amuleto che portava al collo e lo osservò ancora una volta. Improvvisamente, Allora sei vide dei sandali di cuoio e alzò a Karnak. lo sguardo. Davanti a lei c’era Divertiti! una ragazzina più o meno della sua età, vestita in abiti arabi. La fissava con uno sguardo intenso e sussurrava qualcosa. «Non capisco. Mi dispiace non capisco» replicò Niky. La ragazza sorrise, le mise tra le mani uno stelo di papiro e scappò via. «Tesoro, che cosa ti ha detto?» le chiese Irene. «Non lo so, mamma. Non ho capito. Però, mi ha dato questo». «È un piccolo stelo di papiro» osservò Zahra. «Penso sia venuta a far pubblicità al negozio di papiri. Tanto per ricordarci di non andarcene senza averlo visitato». «Possiamo andarci?» chiese Niky. «Sì» disse il professore. «Se anche gli altri sono d’accordo…» Il sole di mezzogiorno e il caldo divennero ben presto insopportabili e la comitiva decise di allontanarsi dal tempio.
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Capitolo 9
La mappa del tesoro La cittadina di Luxor e soprattutto i negozi di souvenir erano presi d’assalto dai turisti desiderosi di portarsi a casa un piccolo obelisco o la riproduzione in miniatura di una delle tante statue del tempio. Il professore guidò il gruppo fuori dalla calca in freschi vicoli semideserti. Dopo una breve passeggiata arrivarono in una piazzetta con aranci, banani e grandi tinozze in cui nascevano steli di papiro. «Il negozio di papiri!» esclamo Niky. «È in quel vicolo» disse il professore. «Entriamo!» Il negozio era una grande stanza con le pareti ricoperte di papiri di tutte le dimensioni dai colori forti e intensi e ovunque sul pavimento cesti ricolmi di fogli arrotolati.
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«Sono antichi?» chiese Irene. «No, sono riproduzioni» rispose Zahra. «Sono molto suggestive e ben fatte. Vuoi vedere come si costruisce un foglio di papiro?» «È possibile?» «Sì, certo. Aspetta un attimo». Zahra si avvicinò a una commessa e le sussurrò qualcosa. La ragazza uscì in fretta dal negozio e ritornò dopo qualche istante preceduta da un uomo alto e distinto dai capelli brizzolati che parlava un ottimo italiano. «Buongiorno, signori. Volete vedere una dimostrazione?» «La prego» rispose Irene. «Mi piacerebbe molto». Altri clienti si avvicinarono. L’uomo andò dietro al bancone, prese da una scatola alcuni steli di papiro, un coltellino, una bacinella, che chiese di riempire d’acqua, e iniziò la lavorazione. Irene ascoltava ogni parola e riprendeva con il telefonino ogni movimento. Karim e Niky, invece, si stancarono presto e cominciarono a gironzolare per il negozio. Stavano guardando una vetrinetta in cui era esposto un papiro evidentemente molto prezioso, quando sentirono una voce dietro di loro.
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«Volete vedere un papiro davvero antico?» I due si voltarono di scatto. Dietro di loro c’era la ragazza che avevano incontrato al tempio. Ora però indossava abiti diversi. «Tu?» sbottò Karim. «Perché ci hai fatto venire qui?» «Qui siamo lontani dal centro. Non viene quasi nessuno e volevo dare una mano a mio padre. Mi chiamo Maisa». «La storia del papiro antico è vera o è un altro trucco?» chiese Niky. «È vera. Venite». Maisa li accompagnò nello scantinato del negozio e li precedette attraverso una porta seminascosta da una tenda. I ragazzi si ritrovarono in un laboratorio molto moderno, con computer, microscopi supertecnologici e un grande tavolo su cui, protetti da teche di vetro, c’erano minuscoli frammenti di papiro. «Ecco questi sono pezzettini di antico papiro egizio. Mio padre li sta ricomponendo. È uno scienziato, sapete?!» «Davvero?» si stupì Karim. «Sì, è uno dei pochissimi che sa restaurare i papiri antichi. Lavora per il museo di Luxor». «È il signore che sta facendo la dimostrazione?» chiese Karim.
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«Sì, quello è mio padre». «Perché non è al museo?» «Perché questo negozio esiste da dieci generazioni e lui ci è affezionato. Così lavora un po’ al museo e un po’ qui» rispose Maisa con la voglia di cambiare discorso. Poi indicò un papiro appeso a una parete. «Quella è la copia del primo che ha ricostruito tanti anni fa. Lo avevano ritrovato dove vi ho incontrato oggi. Dentro il grande piedistallo che regge lo scarabeo gigante. Papà si era convinto che fosse una specie di mappa per trovare un tesoro, ma dopo dieci anni ha dovuto arrendersi. Si era perfino ammalato per questa storia».
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Niky lo osservò attentamente. «Che cosa c’è scritto?» «Una formula magica. Papà dice che non è niente di speciale, ma io non posso credere che abbia studiato una mappa per dieci anni se davvero non era niente di speciale». «Hai ragione» concordò Niky. «In negozio ce ne sono un sacco di copie. Papà spera sempre che se non lui, almeno qualcuno scopra qualcosa. Però, nessuno ne ha mai comprato uno». «Nicole! Karim! Dove siete?» «Il professore ci sta chiamando. Dobbiamo andare». «Ok, vi riaccompagno di sopra». Quando i ragazzi raggiunsero gli altri, Irene aveva già comperato quattro papiri. «Mamma, posso averne uno Nonna, sai niente anch’io?» le chiese Niky. di un papiro-mappa «Sì, tesoro. Quale ti piace?» trovato nello Niky cominciò a scrutare scarabeo gigante? le pareti. «Vorrei… vorrei… quello!» disse indicando la copia del papiro visto nel laboratorio. Maisa cercò con gli occhi lo sguardo del padre. Prese un rotolo da un cesto e glielo porse. «Ecco-
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lo, questo è un regalo da parte mia». Niky lo accettò con entusiasmo. Era sicura che tutto ciò che le stava accadendo era più di una serie di coincidenze. Tutto doveva avere un senso e lei lo avrebbe scoperto. Il gruppo tornò alla motonave e passò il pomeriggio in piscina a riposare, chiacchierare e ascoltare il professore riguardo l’escursione del giorno dopo. «La sveglia è alle quattro e mezza» annunciò il professore. «Alle quattro e mezza?» sbottò Karim. «Visiteremo la Valle dei re ed entreremo nelle tombe. Dobbiamo farlo presto o il caldo ce lo impedirà e poi la motonave salpa a mezzogiorno. Non abbiamo molto tempo». «Nelle tombe ci sono i papiri?» chiese Niky. «No, cara. Nelle tombe non c’è più niente. Solo qualche sarcofago, pareti dipinte e geroglifici». No, cara. Stai bene? «A proposito, lei sa leggerli, vero?!» «Un po’, ma non sono un esperto. Perché me lo chiedi?» Niky raccontò al professore di Maisa, del laboratorio, del papiro e di dove era stato ritrovato.
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Poi corse in cabina a prenderlo. Il professore si mise gli occhiali, lo osservò attentamente e alla fine scoppiò a ridere. «Forse quel signore ha fatto bene ad arrendersi. Non vorrei deluderti, ma mi sembra uno scherzo». «Che cosa c’è scritto?» insistette Niky. «Dunque, vediamo un po’… più o meno dice: Di verde diaspro incastonato sotto l’inizio della vita di Menkheperra solo e incoronato rivela della regina il volto cancellato. Sembra una specie di indovinello». «E chi è Menkheperra?» «È il nome da incoronato di Thutmosi terzo». «Quello che ha fatto cancellare il viso della regina Hatshepsut perché era una femmina?» «Sì, e anche perché era la sua matrigna, una donna crudele assetata di potere. Lui la odiava. Esistono molte storie su Thutmosi e Hatshepsut. Ogni tanto qualcuno ne inventa di nuove per farsi pubblicità. Questo papiro potrebbe essere stato messo in giro per architettare una falsa scoperta». La conversazione fu interrotta da una voce stri-
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dula e sgraziata. «Buongiorno! Vedo che siete già tornati anche voi!» Lucy Amstrong seguita da Herby carico di pacchi e fagotti arrivò sul ponte. Niky arrotolò in fretta il suo papiro. «Buongiorno Lucy» rispose Irene. «Avete fatto acquisti?» «No, ma abbiamo trovato qualche repertuccio». «Che tipo di repertuccio?» si allarmò il professore. «Qualche pietruzza raccolta qua e là, niente di importante. Siamo stati al tempio di Karnak. Possiamo offrirvi un cocktail?» «No, grazie. Sono un po’ stanco. Vado a riposare in cabina» si congedò infastidito il professore. «Non vuole vedere i nostri ritrovamenti?» chiese Herby. «La ringrazio. Vado. Prima di spazientirmi e chiamare la polizia».
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Capitolo 10
Un terribile incidente Con una scusa o l’altra tutti lasciarono il ponte e gli Amstrong. Nessuno però aveva la minima intenzione di rinchiudersi in cabina, così andarono a sedersi nella sala lettura al piano inferiore. Irene, Zahra e il professore iniziarono a sfogliare alcune riviste e guide turistiche. Niky si sedette sul pavimento davanti a un tavolino basso e srotolò il suo papiro. Karim la raggiunse. «Che cosa vuoi fare?» «Ancora non lo so. Sono sicura che qui c’è sotto qualcosa, ci sono troppe coincidenze». «Io non le vedo. Che cosa c’entra il papiro con lo scarabeo gigante?» «Il professore ha detto che lo scarabeo è il simbolo della resurrezione, giusto?» «Giusto. E allora?»
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«Questo vuol dire che qualcuno ha messo un indizio nello scarabeo per far resuscitare la regina». «Tu vedi troppi film di fantasmi, zombi e roba del genere». Che rabbia! Essere presa in giro non le piaceva neanche un po’. «È un modo di dire. Far resuscitare la regina nel senso di farla vivere facendo vedere l’immagine di quella Hatshepsut a tutti. E il mio scarabeo c’entra. Ne sono sicura» sussurrò seccata Niky appoggiando sul pavimento il ciondolo che teneva stretto nella mano. «Sciocchezze! Una statua di Hatshepsut l’hanno già trovata». Karim si voltò verso il professore. «Vero che esiste una statua di Hatshepsut?!» «È questa» rispose il professore porgendo a Karim la guida che stava sfogliando. Niky prese il libro e osservò l’immagine. «Questa non è una donna. Ha la barba». Karim scoppiò a ridere. «Tutti i faraoni hanno la barba. Era finta. Se la legavano con una cordicella dietro le orecchie. Se la mettevano per essere importanti». Niky sbuffò. «Se si mettevano la barba, magari si mettevano anche un naso o delle orecchie finte e la faccia di questa senza barba magari era diversa. Che cosa ne sai tu?»
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Capitolo 10
Questa volta tutti risero e lei si offese. «Qui ci vuole un bel gelato» suggerì Zahra per allentare la tensione e con un cenno della mano chiamò un cameriere. Subito arrivò un ragazzo con passo svelto per prendere l’ordinazione e… CRACK. Il ragazzo si bloccò, quasi fosse stato colpito da un fulmine, alzò il piede imbarazzato e confuso. «AAAAGH!» Niky lanciò un grido. Arrivò correndo il responsabile del bar. «Mi dispiace moltissimo signori, sono mortificato». Poi guardò lo scarabeo sgretolato sul pavimento e tirò un sospiro di sollievo. «Per fortuna, non era niente di prezioso! Se i signori vorranno accomodarsi al negozio di souvenir della nave, la direzione sarà lieta di offrire alla signorina uno scarabeo nuovo di zecca». «Nuovo di zecca?! Io non voglio uno scarabeo nuovo. Io voglio il mio». Irene si innervosì. «Smettila. Non fare la bambina». «Mamma! Questo era la chiave per scoprire il mistero».
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Capitolo 10
«Basta! Smettila di dire sciocchezze. Il signore ti ha detto che ne avrai uno nuovo». Niky smise di ascoltarla, prese un tovagliolino di carta e cominciò a raccogliere i frammenti di argilla smaltata sparsi qua e là. Karim la stava aiutando, quando sotto il tavolino vide un pezzo più grande degli altri. «Niky, guarda!» «Che cos’è?» «Te lo dico dopo. Vieni». Karim trascinò l’amica all’aperto. «Fammi vedere che cosa hai trovato?» disse Niky. Karim glielo mostrò. Era uno scarabeo in pietra verde ancora sporco di polvere di argilla. «Il ciondolo che avevi, era un involucro. Questo è il vero amuleto. È verde». «Già. Di verde diaspro incastonato sotto l’inizio della vita di Menkpherra… Adesso mi credi?» «Forse! Rientriamo o tua Nonna quando hai madre si arrabbierà ancora di trovato lo scarabeo più». di che colore era? La sera, dopo cena, tutti andarono nel negozietto di souvenir della nave. La commessa, avvisata dal direttore, chiese a Niky di scegliere il souvenir che più le piaceva. «Anche un braccialettino con il mio cartiglio?»
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Un terribile incidente
chiese lei stupendo tutti. «Certo» rispose la commessa. Poi le misurò il polso, scrisse Niky in geroglifico e le disse che sarebbe potuta passare a prenderlo la sera successiva. Uscendo dal negozio il professore inciampò in un piede. Era di Lucy Amstrong. «Ah siete qui? Stavamo cominciando a preoccuparci» disse la donna con voce nasale. «Niky ha rotto il suo scarabeo così…» «Rotto?» Le guance di Lucy si infuocarono. Cominciò ad annaspare, boccheggiare, si portò le mani alla testa e cadde all’indietro su una poltroncina. Tutti si spaventarono. Amore, adesso Niky diede una gomitata a sono molto impegnata. Karim. «Hai visto che reazione?» gli disse sottovoce. «Lucy, non si preoccupi. Non era un oggetto importante. Su non faccia così». Irene cercò di rincuorarla, ma ben presto si accorsero che il colorito della donna stava tendendo al blu e chiamarono il medico di bordo.
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Capitolo 11
Nella valle dei re e delle regine Alzarsi alle quattro e mezza fu un’esperienza traumatizzante. Il sole era già sorto, ma la luce non riuscì ad aprire gli occhi di Niky e di Karim. Si vestirono sognando, fecero colazione dormendo e partirono in dormiveglia. Quando finalmente si svegliarono, si trovarono su una strada sconnessa tra aspre montagne desertiche. Il pulmino si addentrò tra pareti rocciose e arrivò in un parcheggio. All’entrata del sito archeologico, la guida locale li avvisò che solo cinque tombe erano aperte al pubblico. «Possiamo vedere quella di Thutmosi terzo?» chiese ansiosa Niky. «Sì, ma dovrete camminare. È la più lontana e la più difficile da raggiungere».
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Niky era entusiasta e la comitiva si mise in cammino attraverso un paesaggio spettrale fatto di sabbia e rocce rossastre. Poi, finalmente, il professore indicò un punto a circa dieci metri di altezza. «Guardate là. Su quella parete rocciosa. Quello è l’ingresso della tomba di Thutmosi terzo». Salirono una ripida scaletta in ferro e arrivarono all’ingresso. Da qui percorsero un lungo cunicolo scavato nella montagna. Niky e Karim vollero contare i passi. «Cinquanta» disse lui. «Cinquantasette» disse lei. «Tu hai le gambe più corte». «Va beh» chiuse Niky. Non c’era abbastanza aria lì dentro per discutere. Alla fine della galleria entrarono in una sala ovale, a forma di cartiglio. Nel centro c’era un grande sarcofago di alabastro rosso e le pareti erano ricoperte di geroglifici e di dipinti tutti rossi e neri su uno sfondo bianco. Il professore spiegò che il faraone aveva voluto far dipingere ora per ora il suo viaggio dalla vita terrena all’aldilà. Niky però era delusa. «Dove sono le statue, i gioielli e la mummia? Professore, qui non c’è niente». «La mummia di Thutmosi non è mai stata ritrovata. Quando gli archeologi sono entrati qui,
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Capitolo 11
la tomba purtroppo era già stata saccheggiata». «E come fanno a sapere che è proprio la sua?» Il professore indicò due cartigli su una parete. «Qui ci sono i suoi nomi. Il nome di nascita Thutmosi e il nome che prese all’incoronazione: Menkheperra». «Nel secondo cartiglio c’è uno scarabeo» disse sottovoce Karim a Niky. «Sì, l’ho visto». Le altre tombe non interessarono i ragazzi più di tanto e quando a Irene mancò l’aria e si decise di tornare alla nave, furono contenti. A mezzogiorno in punto si sentì il suono forte e cupo della sirena. La nave partì tra l’eccitazione generale verso Kom Ombo, il tempio di Sobek, il dio coccodrillo. Il pomeriggio trascorse lentamente e pigramente per tutti. Gli unici che non riuscivano a fermare i pensieri erano Niky e Karim. Dopo aver fatto il bagno in piscina, aver ascoltato il racconto del professore sul tempio del dio coccodrillo che avrebbero visto il giorno successivo e aver assecondato Irene nell’osservare il blu dell’acqua, il verde lussureggiante della riva e il giallo ocra del deserto, riuscirono finalmente a liberarsi degli adulti e si rifugiarono nella sala lettura. Le pareti della saletta erano rivestire di
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scaffali in legno stipati di libri sull’antico Egitto; era una vera e propria biblioteca galleggiante in miniatura. «Prima di tutto mettiamo in fila gli indizi» disse Niky. «Abbiamo uno scarabeo verde che qualcuno ha ricoperto di argilla smaltata di turchese. Perché?» «Per nasconderlo?» «Esatto, per non farlo trovare…» «Perché è la chiave per un tesoro». «Bravo. Però per trovare il tesoro ci vuole anche una mappa». «E la mappa è il papiro. Allora abbiamo la mappa e la chiave. Adesso che cosa facciamo?» «Aspettami qui». Niky corse via. Tornò trafelata dopo qualche minuto con lo scarabeo e con il papiro. Srotolò il foglio, lo stese su un tavolino e indicò un ovale che conteneva i disegni di un cerchietto, una specie di pettine e uno scarabeo.
«Questo è uno dei cartigli di Thutmosi terzo. Qui c’è scritto Menkheperra. Lo abbiamo visto anche
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Capitolo 11
nella tomba. E questo disegno…» disse mettendoci sopra un dito «è uno scarabeo». «Lo vedo. E allora?» «Semplice. Mettiamo il mio scarabeo su quello del cartiglio e scopriamo il vero volto di Hatshepsut». Con movimenti solenni Niky appoggiò l’amuleto sul disegno nel cartiglio. «Non succede niente» sbuffò Karim. «Ci manca qualcosa. Dobbiamo scoprire dov’è l’inizio della vita di Menkheperra o di Thutmosi, insomma del faraone». «La vita del faraone è a Luxor, ma come facciamo a scoprire il punto preciso in cui è nato? Secondo me non c’è soluzione». «Se Lucy Amstrong vuole così tanto questo scarabeo, una soluzione deve esserci. Dobbiamo solo pensare». Durante la cena il capitano della motonave avvisò i passeggeri che l’indomani ci sarebbe stata la serata Mille e una notte a cui si doveva partecipare in abiti adatti. «Che cosa vuol dire abiti adatti?» chiese Niky. «Che ci vestiremo da arabe» rispose Irene elettrizzata. Dopo cena, la boutique della nave fu presa d’as-
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salto. La hall si trasformò in un grande camerino di prova in cui le ospiti si riparavano l’un l’altra mentre si infilavano e sfilavano tuniche bianche, gialle, turchesi, pantaloni trasparenti, corsetti ricamati di perline, nel tentativo di sembrare almeno minimamente principesse o ballerine arabe. Lo spettacolo era davvero divertente: gli animatori saltellavano da un ospite all’altro per sistemare turbanti, parrucche, arrangiare file di perline sulla fronte delle donne e appendere scimitarre di plastica ai calzoni degli uomini. Qualcuno cadde inciampando nelle ciabattine con la punta all’insù, altri si fasciarono la testa tipo mummia e molti sembravano sacchi di patate con la testa. Verso le dieci uno a uno gli ospiti cominciarono ad andarsene esausti, carichi di borse e sacchetti di plastica pieni di vestiti e accessori. Zahra entrò nella boutique e parlò per qualche minuto in arabo con il proprietario. L’uomo annuì e cercò con lo sguardo il resto del gruppo. «Che cosa gli hai detto?» chiese Irene. «Gli ho chiesto di procurarci abiti più caratteristici. Li avremo domani. Vedrai, saremo bellissime». «Anch’io?» chiese Niky.
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«Certo, saremo tutti perfetti… anche il professore». «Signore mie, io sono troppo vecchio per mettermi in costume». «Vedremo!» replicarono ridendo Zahra e Irene incamminandosi verso il ponte delle cabine. Il mattino successivo, per fortuna, tutti poterono dormire fino alle sette. Un’ora dopo la nave attraccò a Kom Ombo. Irene era malinconica, nervosa, di cattivo umore. «Che cos’hai mamma?» «Niente. Sono solo un po’ triste». «Perché? Ci stiamo divertendo un sacco!» «Sì, tesoro. È vero, ma…» Niky, improvvisamente, ricordò. «Oggi è il vostro anniversario di matrimonio?» «Sì». Niky non disse più nulla. Papà oggi è il Non sapeva proprio come convostro anniversario. solare la mamma, per fortuna Te lo ricordi? l’Egitto l’aiutò. Quando i passeggeri scesero a terra, subito si sentirono trasportati in epoche lontane. Salirono su un piccolo promontorio dove visitarono il tempio di Sobek e di Horus, il dio falco. L’aria era tersa e il sole illuminava il Nilo di riflessi dorati.
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Se si socchiudevano gli occhi era facile immaginare schiere di coccodrilli che si crogiolavano al sole. All’interno del tempio una guida locale mostrava con orgoglio coccodrilli mummificati di tutte le dimensioni. Karim rimase molto impressionato da quella vista. Niky ne fu disgustata. Irene nemmeno li vide i coccodrilli e passò tutto il tempo a fotografare i resti del tempio che si stagliavano sulle acque del Nilo. A mezzogiorno la nave ripartì. Dopo pranzo, Zahra era molto impaziente. «I nostri abiti devono essere arrivati. Andiamo a provarli!» Il gruppo si alzò da tavola giusto in tempo per incrociare Herby che era sceso a pranzare da solo. Lucy, a quanto disse, non si sentiva bene: era ancora sotto shock e preferiva rimanere in cabina. «Quella donna ha davvero grandi problemi» osservò Zahra. Il proprietario della boutique Papà hai fatto li stava aspettando e, non apgli auguri pena entrarono, iniziò un caalla mamma? rosello di abiti meravigliosi: da beduina, da ballerina e da principessa. Irene e Zahra scelsero abiti molto seducenti da odalisca. Li provarono e… erano bellissime. I lunghi capelli rossi di Irene, la carnagione appena
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arrossata dal sole e i suoi splendidi occhi blu risaltavano ancora di più in quei veli verde acqua e la facevano sembrare una vera principessa. Niky si infastidì. Perché la mamma si conciava in quel modo se papà non c’era? Zahra invece aveva scelto un abito giallo che facesse risaltare la sua carnagione ambrata e gli occhi neri. Anche lei era bellissima e seducente, ma Karim non ci badò nemmeno. Fatta la loro scelta le due amiche cominciarono a occuSono impegnato. Dopo la chiamo. parsi del professore che dietro una tenda si lasciò convincere, quasi con rassegnazione, a provare di tutto. Quando ricomparve, Karim e Niky non riuscirono a trattenere un’esclamazione di stupore. Indossava un abito da sceicco con tanto di stivali, scimitarra e turbante con una grossa gemma in fronte. Karim volle un vestito uguale e dopo che lo ebbe indossato, tutti pensarono che a lui stava anche meglio dal momento che non aveva la pancia. Finalmente, venne il turno di Niky. Si infilò un paio di pantaloni in tulle da danzatrice e un corsetto ricamato con paillettes e perline, poi si specchiò.
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«Questi pantaloni sono larghi» disse imbronciata. «Scendono sotto l’ombelico. Io non voglio che si veda». Zahra le si avvicinò. «Cara, tutti abbiamo l’ombelico. Dal momento in cui nasciamo…» Niky sussultò. «Ok, va bene! Questo vestito mi piace moltissimo. Posso andare?» «Dove?» le chiese Irene. Niky si rivestì in fretta. «Nella sala lettura. Ciao! Vieni Karim?» L’amico la seguì e i due scomparvero lasciando gli altri molto perplessi. «Hai sentito che cosa ha detto tua mamma?» «Sì, ho sentito. E allora?» «Come fai a non capire? L’ombelico! Lo abbiamo dal momento in cui nasciamo. Il segno dell’inizio della nostra vita da soli è l’ombelico». Karim strabuzzò gli occhi. «Tu sei matta! Completamente fuori zucca! Secondo te, dove troviamo l’ombelico di Thutmosi terzo? Anche se ci fosse la mummia, non credo che avrebbe ancora l’ombelico». «Su una statua. Dove vuoi trovare l’ombelico di uno morto da più di tremila anni? Andiamo a cercare tutte le immagini del faraone. Siamo sulla strada giusta».
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«Adesso mi sembra che tu fantastichi un po’ troppo» osservò Karim. Però, la seguì alla postazione internet nella sala lettura. I due ragazzi digitarono statua di Thutmosi terzo e avviarono la ricerca. Sì, una statua tutta nera compariva in continuazione, ma non si vedeva bene. Finalmente trovarono un sito in cui si poteva ingrandire l’immagine. Fu una conferma sorprendente. Proprio lì, sulla cintura sotto l’ombelico, c’era inciso il cartiglio di Menkheperra: un cerchio, un pettine e uno scarabeo. «Eccezionale!» esclamò Niky.
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«Pazzesco!» esclamò Karim. «Tu hai tirato a indovinare e…» «Non ho tirato indovinare, è una questione di logica, deduzione e un pizzico di intuito femminile, mio caro. Adesso, dobbiamo scoprire dov’è questa statua». Non riuscirono a trovare l’informazione in internet. Dovunque c’era la foto, ma in nessun sito c’era scritto in quale museo si trovasse. Erano ancora impegnati nella ricerca quando entrò il professore. «State giocando?»
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«Stiamo facendo una ricerca, ma non riusciamo a trovare dove sia questa statua» rispose Karim. Il professore andò alle loro spalle e guardò lo schermo. «Quella è la statua di Thutmosi terzo. Era nel museo di Luxor, ma ora è in mostra temporanea qui al museo di Assuan». «Andremo a vederla?» chiese Niky. «Certamente. Avevo previsto una visita. È un piccolo museo ma la collezione dei reperti di Thutmosi terzo è molto interessante». «Quando andremo?» chiese Karim. Il professore sospirò e si sedette di fronte a loro. «Bene ragazzi, adesso penso sia ora che voi mi diciate tutto». «Non possiamo» rispose Niky. «Anche se glielo dicessimo, non ci crederebbe mai». «Provate!» Niky si convinse. Andò a prendere lo scarabeo e il papiro e gli raccontò tutto. Il professore prese lo scarabeo e lo osservò attentamente. Sull’addome c’erano incisi dei geroglifici. «Mat» disse il professore decifrandoli. «Significa verità». Poi appoggiò l’amuleto sul tavolino e incrociò le braccia. «Ragazzi, le vostre deduzioni mi sembrano più che logiche; in effetti questo è uno scarabeo di diaspro verde e l’incisio-
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ne sull’addome è significativa, ma l’idea dell’ombelico di Thutmosi terzo…» il professore non riuscì più a trattenersi e scoppiò un una fragorosa risata. «È troppo ridicolo. Nessun archeologo, nessuno scienziato ci avrebbe mai pensato». Poi si asciugò le lacrime e cercò di ricomporsi. «Però, perché non tentare. In fin dei conti, tutti i grandi che hanno scoperto qualcosa sono andati per tentativi». «Questo vuol dire che ci porta al museo?» «Senz’altro. Mi prenderò del matto, ma proveremo a incastonare lo scarabeo nel cartiglio del faraone». In quel momento a Karim sembrò di vedere un’ombra allontanarsi furtivamente dalla porta della sala lettura, e correre lungo il corridoio, ma pensò che senz’altro si trattava di suggestione.
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Capitolo 12
I Tuareg Al tramonto Irene e Zahra li chiamarono. Era ora di prepararsi per la festa. Quando Niky andò in cabina, la mamma era già pronta. «Su ora tocca a te. Infilati i pantaloni». Niky ubbidì. «Ecco, ora il corsetto». «Mamma guarda, sopra quelle palme c’è un aereo piccolissimo!» «Saranno turisti in escursione» osservò Irene guardando fuori dalla vetrata. «Con quel trabiccolo?» «Sì. Deve essere un aereo privato. Puoi stare ferma, per favore?» Irene allacciò tutti i bottoncini. «Ora mettiamo i veli». «Mamma, guarda quei due!» Due uomini completamente vestiti di blu con
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I Tuareg
il viso semicoperto cavalcavano sulla sponda del fiume, mantenendo la lenta andatura della motonave. «Quelli sono Tuareg: nomadi del deserto. Stai ferma per favore?» si innervosì Irene. «Esistono ancora?» «Sì. Però, potrebbero anche essere attori. Chissà, forse stanno girando un film». Irene finì di sistemare Niky poi la guardò orgogliosa. «Sei bellissima». «Anche tu, mamma». Dopo qualche istante, Zahra bussò alla loro porta. Tutti salirono nel bar all’aperto della nave e si sedettero a un tavolino in attesa dell’inizio della festa. Karim sentì delle grida provenire dal fiume e andò ad affacciarsi al parapetto. «Ehi, Niky! Vieni a vedere». Una feluca aveva accostato la nave e da una scaletta di corda stavano salendo i due uomini vestiti di blu. «Mamma i Tuareg! Salgono a bordo». «Saranno animatori» disse il professore. «Di solito ci sono degli spettacoli durante la festa». I due uomini salirono a bordo. Erano alti e slanciati. Portavano un turbante blu con un capo
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sciolto che tenevano davanti al viso lasciando intravedere solo gli occhi. Uno di loro aveva in mano una pietra.
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«È una rosa del deserto» disse Karim. L’uomo si guardò intorno poi iniziò a camminare con passo deciso verso Irene. Arrivò davanti a lei e si inginocchiò. «Ehi, che cosa vuole quello da mia mamma?» «Habibi» disse l’uomo porgendo la rosa a Irene. Poi si rialzò. Le guance di Niky presero fuoco. «Come si permette quello? Habibi a mia mamma? Adesso vado lì e... e…»
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Ma Irene la anticipò. Scattò in piedi e lo abbracciò forte: «Marco, amore mio!» Niky rimase a bocca aperta e una lacrimuccia le rigò una guancia, poi corse da lui. «Niky! Sei bellissima. Ti è piaciuta la sorpresa?» «Papà, sei troppo forte. Sei stato eccezionale!» disse lei abbracciandolo. L’altro uomo era il console che, essendo travestito e in incognito, quella sera si divertì un sacco. Alla fine della serata, però, ci fu anche una brutta notizia. Marco disse che doveva tornare in studio al più presto e che la sera dopo sarebbero ripartiti per l’Italia anticipando il rientro di un giorno. Purtroppo, non sarebbero tornati al Cairo e non avrebbero visitato il museo. «E Pulce?» si allarmò Irene. «Pulce è qui. È alla capitaneria di porto. Domani andremo a prenderlo». «A che ora partiamo?» chiese Niky come si fosse risvegliata da un sogno. «Verso le cinque del pomeriggio». «Allora, al museo di Assuan possiamo andarci, vero professore?!» «Te l’ho promesso! Andremo in mattinata». La festa finì verso mezzanotte e tutti andarono nelle proprie cabine.
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Niky cercò di infilare la chiave magnetica nella fessura. «Papà, non riesco ad aprire». «Lascia, tesoro. Faccio io». Anche Marco provò, ma niente. La porta non si voleva proprio aprire. Chiamarono la reception e un addetto arrivò immediatamente. «Strano! Sembra che abbiano tentato di forzare la serratura» affermò l’uomo e chiamò il capo manutenzione con una ricetrasmittente. Attraverso il computer di bordo, la direzione sbloccò la porta e finalmente riuscirono a entrare. La cabina era in ordine, troppo in ordine. Né lei, né mamma erano mai così meticolose nell’impilare una rivista esattamente sopra l’altra, nel ripiegare perfettamente i vestiti o nel mettere le scarpe esattamente parallele. Niky ebbe uno strano presentimento e bussò alla porta della cabina di fronte. «Karim, scusa se disturbo. Hanno fatto le pulizie nella vostra cabina?» «Sì, certo. Questa mattina». «Sono tornati a riordinare anche durante la festa?» «No. Perché me lo chiedi?» «Niente, non importa. Buona notte e scusa ancora per il disturbo».
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«Buona notte, a domani» rispose l’amico e sfregandosi un occhio richiuse la porta. Qualcuno era entrato nella loro cabina. Ne era assolutamente sicura. Mentre mamma e papà erano seduti sul divanetto davanti alla grande vetrata a guardare il Nilo di notte, Niky iniziò ad aprire i cassetti uno a uno, poi prese dall’armadio il suo trolley. Accidenti! Qualcuno aveva rotto il lucchetto. Se mai avesse avuto bisogno di un’ulteriore conferma, questa era la prova definitiva. Sapeva benissimo chi si era intrufolato nella loro cabina, ma dirlo ai suoi genitori sarebbe stato inutile. Come al solito, le avrebbero detto che aveva troppa fantasia. «Mamma, dov’è la borsetta che avevi questa sera?» «Eccola tesoro» disse Irene porgendogliela. «Che cosa cerchi?» Niky aprì la piccola borsa argentata, infilò una mano nella taschina laterale e prese il suo scarabeo. «Il mio amuleto, mamma. Per fortuna, l’avevo messo qui».
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La chiave del mistero Il mattino seguente alle sette erano già tutti in piedi. Irene era ansiosa di rivedere Pulce e stavano facendo colazione all’aperto, quando si sentì abbaiare. Niky corse al parapetto della nave: «Mamma, vieni! C’è Pulce!» Irene prese qualcosa da una ciotolina sul tavolo, corse a vedere poi si precipitò giù per la passerella. Appena la vide Pulce si mise ad abbaiare, guaire di felicità, girare intorno per afferrarsi la coda e tirare il guinzaglietto che teneva un marinaio. Insomma, il cagnolino era l’immagine della felicità. Irene si chinò, lo accarezzò e gli diede qualcosa da mangiare, lui le saltò in braccio, le fece perdere l’equilibrio e lei cadde seduta a terra. Irene non riuscì più a salire sulla nave e per
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l’escursione al museo dovette aspettare che gli altri fossero pronti e la raggiungessero. Il professore chiamò un taxi abbastanza grande per tutti e il gruppo partì. Il museo si trovava su una collinetta a sud della città. Quando arrivarono, la cassiera stava ancora organizzando la scrivania per iniziare il lavoro. «Siamo i primi!» rise Marco. «No, signore. È molto presto, ma sono già arrivati altri due visitatori» disse la cassiera. «Posso portare il cane?» chiese Irene. «Veramente, non si potrebbe, ma se lo tiene in braccio, farò finta di non averlo visto. Sa, ho un cagnolino anch’io» sussurrò la donna alla cassa. Il gruppo entrò. Niky e Karim camminavano davanti a tutti, di fianco al professore. Il museo era più grande di quanto pensassero e le sale si susseguivano l’una dopo l’altra. Finalmente Karim vide un cartello con una freccia che indicava la direzione per la statua. Tutti la seguirono e improvvisamente si trovarono di fronte alla grande statua nera del faraone. La sala era deserta e illuminata da faretti che lasciavano molti angoli bui. Niky era emozionatissima. Si avvicinò e appoggiò le mani alla transenna di corda che circonda-
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va la statua. «Eccolo. Guardate lì. Sotto l’ombelico… la cintura… lo scarabeo». «Hai l’amuleto?» le chiese il professore. «Sì». Niky lo prese dalla tasca dei jeans e glielo porse. Le tremavano le mani, anzi, tremava tutta. «La prego, lo faccia lei. Io sono troppo agitata». «No, cara. Fatti forza. Deve essere tuo l’onore». Niky si guardò intorno, lanciò uno sguardo a Karim, cercò con gli occhi mamma e papà e vide che stavano osservando una teca insieme a Zahra e al console. Nessuno, non c’era nessun altro. «Adesso» disse il professore. Niky scavalcò la transenna e appoggiò lo scarabeo di diaspro verde sul cartiglio di Thutmosi. Si sentì il rumore di uno scatto TAC! Poi il rumore di qualcosa che scorreva SHHH. Tutti alzarono lo sguardo. «La barba!» gridò Karim. La barba del faraone si era staccata dal viso e scendeva lentamente lungo due sottili cilindri di pietra scoprendo un tubo marrone chiaro. Poi si fermò. Un rotolo di papiro cadde a terra. I due ragazzi e il professore erano senza parole. Il console si avvicinò. «Che cosa è successo?» e
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stava per chinarsi a raccogliere il papiro, quando da un angolo buio Lucy e Herby Amstrong gli balzarono addosso. Il console cadde. Lucy afferrò il rotolo. «È mio! È mio!» Goffamente la donna cominciò a correre preceduta dal marito. Marco tentò di fermarla, ma lei gli assestò una gomitata nel fianco che lo fece piegare in due. «Cornflakes! Pulce, prendila!» gridò Irene. Pulce partì all’attacco, azzannò la lunga gonna della Amstrong e cominciò a tirare. La gonna scese fino alle ginocchia scoprendo lunghi mutandoni a fiori e intrappolando le gambe della donna che cadde rovinosamente a terra. Il console e il professore la bloccarono. Niky recuperò il rotolo. «Presto, chiamate la polizia!» gridò Zahra. Subito arrivò la sovrintendente del museo. Niky le diede il papiro e quando
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lei lo srotolò, lentamente e in religioso silenzio, gli occhi le si riempirono di lacrime; quasi non svenne dall’emozione. Thutmosi terzo e la regina Hatshepsut erano seduti l’uno accanto all’altro su un grande trono e ognuno teneva in grembo il proprio cartiglio. Intorno all’immagine c’era una serie di geroglifici. Il professore li decifrò.
Nonna, hai fatto la scoperta del secolo!
Grazie regina Hatshepsut di avermi consigliato negli anni della giovinezza. Per ragion di stato il tuo viso verrà cancellato da ogni luogo, ma mai dal mio ricordo. «Ma allora, professore è questo il segreto del faraone! Thutmosi non odiava la sua matrigna, anzi in questo papiro la ringrazia» esplose Niky. «Chissà cara… pensa che l’ottanta per cento dei tesori e dei misteri dell’antico Egitto sono ancora sepolti sotto la sabia del deserto, quindi, molto di quello che si sa ora, può ancora cambiare». «E non scavano?» Il professore rise. «Certo che scavano, ma è un lavoro lungo. Molto lungo». Nicky rimase in silenzio ascoltando le sirene
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della polizia che si avvicinaNonna, vorrei che vano sempre di più. tu fossi qui. Dopo qualche minuto arriRispondimi. varono gli agenti capitanati dall’ispettore Umar Said che riportarono l’ordine e assicurarono Lucy Amstrong alla giustizia. Herby fu fermato due ore dopo, mentre comprava un biglietto aereo per Londra. Fu lui a confessare i tentativi di furto dello scarabeo e l’intrusione nella cabina di Niky. Anche tutti gli altri furono interrogati e finalmente i due ragazzi poterono raccontare la verità. «Perché non ci avete detto niente?» chiesero incredule Zahra e Irene. «Ho provato» rispose Niky, «ma tu dici sempre che ho troppa immaginazione». «Beh, adesso bisogna festeggiare!» intervenne il console. «Questa ragazza ha solo dodici anni e ha fatto una delle più grandi scoperte su Hatshepsut. Pensate che importanti archeologi stanno cercando di scoprire il mistero della sua identità da un centinaio d’anni». «Non è merito mio. È stata mia nonna a ritrovare lo scarabeo. Quello che è successo dopo è stata tutta una serie di coincidenze. E poi se non ci fos-
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se stato Pulce» continuò Niky Nonna, perché prendendo in braccio il cockenon rispondi? rino, «non so come sarebbe andata a finire». «Probabile» osservò il professore, «ma se tu non avessi colto le coincidenze nessuno avrebbe mai scoperto il vero volto della regina e la relazione di fiducia che esisteva tra i due». Quella sera i Renetti non partirono per l’Italia, Marco decise che festeggiare Niky era la cosa più importante e i problemi dello studio… potevano aspettare. Tutto il gruppo si trasferì dalla nave al Old Cataract, un antico e lussuoso albergo di Assuan. «Papà, sai che questo è l’albergo dove è stato ambientato Assassinio sul Nilo?» «Sì, Niky. Lo so». «E non sei emozionato? È il tuo film preferito!» «È vero, ma da oggi non è più Poirot il mio investigatore preferito». «Incredibile! E chi è?» «Una certa ragazzina, con i capelli rossi… con gli occhi blu… un po’ ribelle… la conosci?» «Uffa, papà. Non prendermi in giro». «Non sto scherzando. Sei stata grande, Niky».
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Tutti i nodi… La notizia, anche se con molte imprecisioni, trapelò e nel tardo pomeriggio arrivarono i giornalisti e i fotografi di tutte le più importanti testate del mondo. Per prudenza il console decise di non rivelare nulla, nemmeno il nome di Niky, fino al momento della conferenza stampa. Alle nove di sera, la sala conferenze fu aperta al pubblico e subito si gremì di gente. Niky con Pulce al guinzaglio e Karim entrarono da una porta che immetteva direttamente sul palco. Si trovarono davanti a una moltitudine di persone ammassate l’una accanto all’altra. «Due ragazzini e un cocker?» gridò un giornalista. «Che scherzo è questo?» si arrabbiò un altro. «Siamo venuti dal Cairo per farci raccontare
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una storia di ragazzini e cani? Chi si permette di prenderci in giro?» Niky iniziò a tremare, si voltò verso la porta per scappare da lì, ma BAM sbattè contro qualcuno. «Nonna, sei qui?» «Certo cara, mi sono venuti a prendere con un aereo privato, per niente al mondo mi sarei persa un’occasione del genere. Mia nipote è la ragazza più in gamba del mondo. Sono orgogliosa di te». «Ma è successo tutto per caso». «Non dirlo nemmeno per scherzo. Questo è intuito da vera archeologa. Sei mia nipote, no?!» Nonna Amanda prese per mano Niky e Karim e li accompagnò al centro del palco. Ora si sentiva un brusio. «Ehi guarda! Quella è l’Artusi» sussurrò un fotografo. «Sì, è l’Artusi. Zitto. Chissà che cosa ha scoperto questa volta! Spostati, non riesco a vedere» aggiunse un altro. Amanda Artusi regolò l’altezza del microfono e la conferenza stampa ebbe inizio. Wow! Straordinario! Strepitoso! Notizia da prima pagina! I giornalisti non riuscivano a trattenere continue esclamazioni di entusiasmo. Niky e Karim non facevano che strizzare gli occhi per i flash delle macchine fotografiche e Pulce
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si era rifugiato sotto il leggio. Amanda non nominò mai, nemmeno una volta, gli Amstrong e alla fine per i ragazzi e per il cockerino ci furono vere e proprie ovazioni. Niky, il negozio I giornalisti cominciarono a è pieno di gente. telefonare. La hall era piena Grazie! di gente seduta dovunque, anMaisa che sul pavimento, e tutti erano indaffaratissimi a digitare sui loro tablet gli articoli da spedire ai giornali e a inviare le foto. Piano piano, dopo un paio d’ore, la hall si svuotò. Niky prese il telefono della mamma e cercò la foto degli Amstrong. Sapeva di averne una e la mostrò alla nonna. «Ecco. Questi sono gli Amstrong». Lei inforcò gli occhiali e guardò attentamente l’immagine. «Non conosco quest’uomo, non l’ho mai visto. Lei invece, mi ricorda qualcuno. Si può ingrandire il viso? Vorrei vederla meglio». Niky allargò la foto. «Non è possibile! Com’è invecchiata! È Lucy, ma non si chiama Amstrong, forse è il cognome da sposata. È quell’invidiosa di Lucy Burglar. Eravamo insieme all’università, era convinta di essere un genio e cercava continuamente di imbrogliare e di prendersi i meriti degli altri. Ricordo
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che un anno, alla fine delle lezioni, l’università organizzò per noi studenti di archeologia un campus di due mesi a Karnak. Tutti emozionatissimi di poter partecipare a degli scavi veri, partimmo in una ventina, compresa Lucy. Non dimenticherò mai quell’estate. Il caldo era infernale, ma la speranza di riuscire a trovare un reperto, anche solo una scheggia, dava a tutti noi una forza incredibile». «E tu hai trovato lo scarabeo». «Sì, è successo un giorno in cui Lucy e io stavamo scavando insieme nel perimetro che ci avevano assegnato. Lucy non faceva che ripetere che tanto non avremmo trovato niente e lamentarsi del caldo, del sole e di tutto, così mi lasciò sola e andò a leggere all’ombra di una tenda. Il caso volle che dopo poco io trovassi quel piccolo scarabeo. Figurati, ero al settimo cielo. Ero la prima tra tutti i ragazzi ad aver trovato qualcosa». «E Lucy?» «Si arrabbiò furiosamente, iniziò a dire che quel reperto era suo, che lo aveva trovato lei e cose del genere. Naturalmente, conoscendola, nessuno le credette. Poi alla fine del campus, si scoprì che io non solo ero stata la prima, ma anche la più giovane studentessa ad aver trovato qualcosa e,
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come augurio, il sovrintendente agli scavi ebbe il permesso dalle autorità di regalarmi il piccolo reperto». «Allora, lei sapeva dello scarabeo» suggerì Niky. «Sì, e non ha mai accettato il fatto che io fossi stata premiata. Ha tentato di rubarmi lo scarabeo per mesi, fino a quando sono stata costretta a dirle che lo avevo perso e l’ho fatto rivestire di argilla smaltata» «L’hai fatto ricoprire tu?» «Era l’unico modo per tenerlo al sicuro. In seguito ci siamo incontrate a molte conferenze e qualche anno fa le ho confessato come avevo nascosto lo scarabeo. Non potevo certo immaginare che dopo tutto questo tempo ci tenesse ancora tanto». «Sapeva che era una chiave per trovare un tesoro?» «No, cara. Lo escludo. Non sapeva della mappa e del tesoro, altrimenti avrebbe usato metodi molto più forti. È una donna disposta a tutto». «Come poteva sapere che avevo io lo scarabeo e come ha fatto a trovarmi?» chiese Niky perplessa. «Lei è in Egitto quasi tutto l’anno. Spera sempre di scoprire chissà che cosa, molti sospettano che falsifichi reperti. Ma vi siete incontrate per
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caso. Sapeva di Irene e conosceva il suo nome da sposata. Sicuramente quando vi ha viste avrà pensato a qualche dispetto, non certo allo scarabeo. Poi ha notato il tuo amuleto e… ecco tutto!» «Se è così, questo vuol dire che il collegamento con il papiro l’ho scoperto io». «Esattamente! Te l’ho detto che sei in gamba». Niky era felice e orgogliosa di quanto aveva fatto. Quella notte, dopo i festeggiamenti, tutti fecero molta fatica ad addormentarsi: le emozioni erano state tante, tantissime. Niky si sorprese a pensare quanto fosse strano il tempo. I giorni prima della partenza non passavano mai e ogni ora sembrava un giorno. Poi, in Egitto, una settimana era passata in un soffio. Il mattino dopo, mentre stavano facendo colazione tutti insieme, arrivò un fattorino stracarico di quotidiani. Su quasi tutti, in prima pagina, spiccava l’immagine di Niky con Pulce in braccio e di Karim che mostrava il prezioso antico papiro. «Grazie, Karim» disse Niky. «E di che cosa?» «Di avermi creduta. Se non mi avessi aiutata, non ce l’avrei fatta».
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«All’inizio ho pensato che tu fossi matta…» «Ma poi hai cambiato idea ed è questo che conta» disse lei e impulsivamente lo abbracciò. «Grazie ancora, sei un amico». «Figurati…» rispose Karim arrossendo imbarazzato. «Questa è stata una vacanza elettrizzante anche per me. Mi dispiace che sia finita». «È finita, ma ce ne potranno essere altre» suggerì il console. «Non credete?!» «Sarebbe magnifico» esclamò Zahra. «Lei professore accetterà di farci nuovamente da guida?» «Molto volentieri, mie care signore. Sarà un vero piacere. Se poi la dottoressa Artusi vorrà unirsi a noi, con le sue conoscenze archeologiche la vacanza sarà ancora più interessante». Nonna Amanda abbassò il giornale che stava leggendo e lo guardò perplessa, poi accennò un sorriso imbarazzato. «Lei mi lusinga professor Mariani» e si nascose nuovamente dietro le pagine del quotidiano. Marco e il console si strizzarono l’occhio a vicenda. Irene e Zahra si scambiarono uno sguardo d’intesa e Niky diede una gomitata a Karim. Verso l’ora di pranzo, tutti partirono per l’Italia, anche Zahra e il console che avrebbero trascorso un po’ di tempo a Milano.
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Il volo di ritorno fu molto Lisa, tranquillo, forse un po’ masto tornando! linconico. Quando l’aereo decollò, Niky guardò un’ultima volta il deserto sotto di lei. Per un attimo ebbe la sensazione di camminare nella sabbia calda, chiuse gli occhi e rivide la grande piramide, la Sfinge. Risentì il vociare dei mercanti nel bazar, il profumo di spezie, il sapore di karkadè, il caldo umido, quasi soffocante della tomba di Thutmosi, rivide il cartiglio, la statua del faraone, il papiro cadere a terra. Che vacanza straordinaria! Niky si affacciò al finestrino. Tra le nuvole ogni tanto c’era uno spiraglio di azzurro intenso: forse era il Nilo o forse era il suo desiderio di trattenere quei bellissimi ricordi per sempre. Il cigolio del carrello spinto dalla hostess la riportò alla realtà. «Arriva il pranzo» disse Karim abbassando il suo tavolinetto. Niky prese il suo vassoio, lo aprì e osservò perplessa tre polpettine ricoperte di salsina rossa. Ricordando quello che le era successo con il gamberetto, si portò istintivamente una mano alla gola. «È pomodoro» la rassicurò Karim. «Non è male.
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Senz’altro è meglio di quello che si mangia alla mensa della mia scuola». «Scuola?» sobbalzò Niky. «Accidenti! Non ho fatto i compiti!»
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Ciao ragazze e ragazzi,
tutto quello di cui avete letto esiste davvero! Esistono le piramidi, i papiri, la foresta di pietra, la Valle dei
re e delle regine, i coccodrilli di Kom Ombo, così come sono esistiti Thutmosi III e la regina Hatshepsut.
Una delle statue del faraone è davvero nel museo di
Luxor, potete vedere la foto nella pagina accanto e, se guardate con attenzione, sotto l’ombelico c’è davvero il suo cartiglio!
La loro storia è vera: per molto tempo gli egittologi
hanno pensato che i due fossero acerrimi nemici, ma poi furono ritrovati dei papiri che testimoniano la loro collaborazione e il grande rispetto reciproco.
Beh, alla fine è poco probabile che le raffigurazioni di Hatshepsut siano state fatte distruggere da Thutmosi, ma chi sia stato di sicuro non si sa.
Come faccio a sapere tutte queste cose?
Beh, l’Egitto mi ha sempre affascinata. Ho
visto tantissimi documentari e ho letto tantissimi libri e… sono stata in Egitto sette volte!
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Perché così tante? Perché ogni volta lascio quel meraviglioso Paese con la sensazione di aver visto troppo poco e il desiderio di tornarci è sempre grandissimo.
Ah, anche… i gamberetti mooolto piccanti esistono davvero e quello che ho assaggiato io per sbaglio non lo dimenticherò facilmente.
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