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“Amoglianimali”
Bellezza
Da leggere (o rileggere)
Da vedere/ascoltare
Di tutto e niente
Il desco dei Gourmet
Il personaggio
Il tempo della Grande Mela
Comandacolore
Incursioni
In forma
In movimento
Lavori in corso
Primo piano
Salute
Scienza
Sessualità
Stile Over
Volontariato & Associazioni
Minnie Luongo
Marco Rossi
Alessandro Littara
Antonino Di Pietro
Mauro Cervia
Andrea Tomasini
Paola Emilia Cicerone
Flavia Caroppo
Marco Vittorio Ranzoni
Giovanni Paolo Magistri
Maria Teresa Ruta
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Classe 1951, laureata in Lettere moderne e giornalista scientifica, mi sono sempre occupata di medicina e salute preferibilmente coniugate col mondo del sociale. Collaboratrice ininterrotta del Corriere della Sera dal 1986 fino al 2016, ho introdotto sulle pagine del Corsera il Terzo settore, facendo conoscere le principali Associazioni di pazienti.Ho pubblicato più libri: il primo- “Pronto Help! Le pagine gialle della salute”- nel 1996 (FrancoAngeli ed.) con la prefazione di Rita Levi Montalcini e Fernando Aiuti. A questo ne sono seguiti diversi come coautrice tra cui “Vivere con il glaucoma”; “Sesso Sos, per amare informati”; “Intervista col disabile” (presentazione di Candido Cannavò e illustrazioni di Emilio Giannelli).
Autrice e conduttrice su RadioUno di un programma incentrato sul non profit a 360 gradi e titolare per 12 anni su Rtl.102.5 di “Spazio Volontariato”, sono stata Segretario generale di Unamsi (Unione Nazionale Medico-Scientifica di Informazione) e Direttore responsabile testata e sito “Buone Notizie”.
Fondatore e presidente di Creeds, Comunicatori Redattori ed Esperti del Sociale, dal 2018 sono direttore del magazine online Generazioneover60.
Quanto sopra dal punto di vista professionale. Personalmente, porto il nome della Fanciulla del West di Puccini (opera lirica incredibilmente a lieto fine), ma non mi spiace mi si associ alla storica fidanzata di Topolino, perché come Walt Disney penso “se puoi sognarlo puoi farlo”. Nel prossimo detesto la tirchieria in tutte le forme, la malafede e l’arroganza, mentre non potrei mai fare a meno di contornarmi di persone ironiche e autoironiche. Sono permalosa, umorale e cocciuta, ma anche leale e splendidamente composita. Da sempre e per sempre al primo posto pongo l’amicizia; amo i cani, il mare, il cinema, i libri, le serie Tv, i Beatles e tutto ciò che fa palpitare. E ridere. Anche e soprattutto a 60 anni suonati.
DOTTOR MARCO ROSSI SESSUOLOGO E PSICHIATRA
è presidente della Società Italiana di Sessuologia ed Educazione Sessuale e responsabile della Sezione di Sessuologia della S.I.M.P. Società Italiana di Medicina Psicosomatica. Ha partecipato a numerose trasmissioni televisive e come esperto di sessuologia a numerosi programmi radiofonici. Per la carta stampata collabora a varie riviste.
DOTTOR ALESSANDRO LITTARA ANDROLOGO E CHIRURGO
è un’autorità nella chirurgia estetica genitale maschile grazie al suo lavoro pionieristico nella falloplastica, una tecnica che ha praticato fin dagli anni ‘90 e che ha continuamente modificato, migliorato e perfezionato durante la sua esperienza personale di migliaia di casi provenienti da tutto il mondo
PROFESSOR ANTONINO DI PIETRO DERMATOLOGO PLASTICO presidente Fondatore dell’I.S.P.L.A.D. (International Society of PlasticRegenerative and Oncologic Dermatology), Fondatore e Direttore dell’Istituto Dermoclinico Vita Cutis, è anche direttore editoriale della rivista Journal of Plastic and Pathology Dermatology e direttore scientifico del mensile “Ok Salute e Benessere” e del sito www.ok-salute.it, nonché Professore a contratto in Dermatologia Plastica all’Università di Pavia (Facoltà di Medicina e Chirurgia).
DOTTOR MAURO CERVIA MEDICO VETERINARIO
è sicuramente il più conosciuto tra i medici veterinari italiani, autore di manuali di successo. Ha cominciato la professione sulle orme di suo padre e, diventato veterinario, ha “imparato a conoscere e ad amare gli animali e, soprattutto, ad amare di curare gli animali”. E’ fondatore e presidente della Onlus Amoglianimali, per aiutare quelli più sfortunati ospiti di canili e per sterilizzare gratis i randagi dove ce n’è più bisogno.
giornalista scientifico, dopo aver girovagato per il mondo inseguendo storie di virus e di persone, oscilla tra Roma e Spoleto, collaborando con quelle biblioteche e quei musei che gli permettono di realizzare qualche sogno. Lettore quasi onnivoro, sommelier, ama cucinare. Colleziona corrispondenze-carteggi che nel corso del tempo realizzano un dialogo a distanza, diluendo nella Storia le storie, in quanto “è molto curioso degli altri”.
classe 1957, medico mancato per pigrizia e giornalista per curiosità, ha scoperto che adora ascoltare e raccontare storie. Nel tempo libero, quando non guarda serie mediche su una vecchia televisione a tubo catodico, pratica Tai Chi Chuan e meditazione.
Per Generazione Over 60, ha scelto di collezionare ricordi e riflessioni in Stile Over.
Barese per nascita, milanese per professione e NewYorkese per adozione. Ha lavorato in TV (Studio Aperto, Italia 1), sulla carta stampata (Newton e Wired) e in radio (Numbers e Radio24). Ambasciatrice della cultura gastronomica italiana a New York, ha creato Dinner@Zia Flavia: cene gourmet, ricordi familiari, cultura e lezioni di vera cucina italiana. Tra i suoi ospiti ha avuto i cantanti Sting, Bruce Springsteen e Blondie
MARCO VITTORIO RANZONI GIORNALISTA
Milanese DOC, classe 1957, una laurea in Agraria nel cassetto. Per 35 anni nell’industria farmaceutica: vendite, marketing e infine comunicazione e ufficio stampa. Giornalista pubblicista, fumatore di Toscano e motociclista della domenica e -da quando è in pensione- anche del lunedì. Guidava una Citroen 2CV gialla molto prima di James Bond.
COMANDACOLORE è uno Studio di Progettazione Architettonica e Interior Design nato dalla passione per il colore e la luce ad opera delle fondatrici Antonella Catarsini e Roberta D’Amico. Il concept di COMANDACOLORE è incentrato sul tema dell’abitare contemporaneo che richiede forme e linguaggi mirati a nuove e più versatili possibilità di uso degli spazi, tenendo sempre in considerazione la caratteristica sia funzionale che emozionale degli stessi.
MONICA SANSONE VIDEOMAKER
operatrice di ripresa e montatrice video, specializzata nel settore medico scientifico e molto attiva in ambito sociale.
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Generazione F
Per parlare di natura (e amarla) basta davvero poco Editoriale di Minnie Luongo
-11Foto d’autore E la cosiddetta natura morta prende vita di Francesco Bellesia
-15Da leggere (o rileggere) Quando ho visto le stelle in val Trebbia Di Amelia Belloni Sonzogni
-24Stile Over Picnic con formiche di Paola Emilia Cicerone
-29Incursioni Persico & Trota Di Marco Vittorio Ranzoni
-34Che festaaa... Con Giovanna
Gli artisti non si fermano mai come Giovanna & Co: ecco gli imperdibili appuntamenti di maggio. dalla Redazione
-40Benessere
Possibili cause di stanchezza negli over 50 dalla Redazione
-42In movimento
Una domenica futurista a Lecco (e non solo Gli Erranti
Considerato che di natura continueremo a parlare anche nel prossimo numero, ho pensato che per introdurre un tema così importante possono bastare anche pochissime parole (una “regola” che vale in genere per tutti gli argomenti di spessore), e quindi ho rubato da Facebook un post del nostro collaboratore Marco Vittorio Ranzoni, che sintetizza ciò che tutti dovremmo condividere entrando in un campo di mille papaveri rossi (citazione non casuale, of course).
La prossima volta –magari- vi scriverò di ciò che si intende per natura, almeno secondo l’autorevole Treccani: “sistema totale degli esseri viventi, animali e vegetali, e delle cose inanimate, che presentano un ordine, realizzano dei tipi e si formano secondo leggi”, ma per ora nulla mi sembra più appropriato del post di Ranzoni:
“Non raccogliete i papaveri, che sono belli dove stanno e recisi non durano un amen…”
Buona primavera e ricordiamoci che anche ognuno di noi appartiene alla natura e, soprattutto, ne è responsabile!
La” natura morta” è definita un genere artistico che consiste nella raffigurazione pittorica di oggetti inanimati, come fiori, frutta, ortaggi, strumenti musicali, bottiglie o, ahimè, animali morti. Ma qualcuno si azzarderebbe a dire che i fiori fotografati da Francesco Bellesia sono… morti? Per dimostrare la “natura viva” ottenuta dagli scatti dell’autore, eccezionamente, questo mese pubblichiamo ben tre foto di fiori del nostro artista.
Sono nato ad Asti il 19 febbraio del 1950 ma da sempre vivo e lavoro a Milano. Dopo gli studi presso il liceo Artistico Beato Angelico ho iniziato a lavorare presso lo studio di mio padre Bruno, pubblicitario e pittore. Dopo qualche anno ho cominciato ad interessarmi di fotografia, che da quel momento è diventata la professione e la passione della mia vita.
Ho lavorato per la pubblicità e l’editoria ma contemporaneamente la mia attenzione si è concentrata sulla fotografia di ricerca, libera da vincoli e condizionamenti, quel genere di espressione artistica che oggi ha trovato la sua collocazione naturale nella fotografia denominata FineArt.
Un percorso parallelo che mi ha consentito di crescere e di sviluppare il mio lavoro, una sorta di vasi comunicanti che si sono alimentati tra di loro. Molte sono state le mostre allestite in questi anni e molte le manifestazioni alle quali ho partecipato con premi e riconoscimenti.
Continuo il mio percorso sempre con entusiasmo e determinazione… lascio comunque parlare le immagini presenti sul mio sito.
Di Amelia Belloni Sonzogni – scrittrice
Quando ho visto le stelle in val Trebbia, ho visto qualcosa di molto difficile da dire, dato che non sono Giorgio Caproni. Lui, però, raccontava per me mentre osservavo un cielo trapunto. Era blu, blu notte e profondo; se ne vedeva solo un rettangolo, grande quanto la finestra che dava luce alla mansarda del camper, sufficiente a contornare lo splendore. L’aria era tanto pulita, fredda e al tempo stesso accogliente, da indurci a non sprecare nel sonno quella bellezza. Così, a pancia in giù, con le coperte tirate fino al collo, abbracciati stretti, ci siamo messi a guardare le stelle, innumeri e lucenti. Eravamo fermi in un piazzale, lungo la statale 45, immersi nel nostro stesso silenzio, solo qualche fruscio e richiamo di uccelli notturni, il deserto umano intorno. Il paese – non mi ricordo quale fosse – in cui avevamo gironzolato all’arrivo, nel pomeriggio, pareva disabitato e in parte era diroccato. Tutto era color pietra legno e fumo, mischiati dall’uso; il tempo, grigio; la notte si era trasformata nel più bell’esempio di stellata tersa che mi fosse capitato di vedere fino ad allora. Pedro dormiva sotto il tavolo. Era merito suo se avevamo un camper: il modo più sicuro per evitare i divieti di accesso ai cani Lui, Pedro, è stato ovunque siamo stati noi: un esploratore intrepido, pronto a qualsiasi cambiamento, felice di ogni viaggio . Certo, dal cuscino nella verandina della tenda (la sua prima estate in campeggio, e la mia) alla cuccia al riparo nel camper, il miglioramento era evidente e apprezzato, anche da me: alla mia veneranda età (ero già negli “anta”) non ero mai stata in campeggio e, quella volta in Grecia, dove ero andata alla ventura con un’amica, non avevo neanche un sacco a pelo in cui infilarmi per superare la notte all’addiaccio sulla spiaggia di Sifnos, sbarcata da un traghetto così in ritardo da non trovare aperto neanche un bar. Albeggiava, quando un gruppo di papere, starnazzanti dietro un’oca capofila, mi è sfilato vicino, impettito e sculettante, senza neppure degnarmi di uno sguardo: noi andiamo in acqua e, comunque, qua qua
Il contachilometri, soprattutto i primi tempi, girava a manetta . Ogni fine settimana scappavamo dalla gente: per vedere l’alba a Esino Lario, camminare in riva al lago a Colico, considerare che sul Sasso Remenno l’ambiente era affollato, meglio cambiare meta e, guidati dal sentore del tartufo, fermarci lungo un pendio, nelle Langhe, seduti tra fili d’erba e coccinelle, poco lontano dalla casa natale di Cesare Pavese; non importa se il sole è sparito e pioviggina, è autunno, e il risotto giallo si può preparare al momento mentre Pedro corteggia una femmina nera, arrivata sullo spiazzo di Calamandrana, un balcone naturale affacciato sulle colline. Con i primi tepori, il passo si allungava più volentieri verso il mare: Genova per noi, ma anche più giù in cerca della Maremma, per un puccio nelle acque di Saturnia: l’acre odore di diavolo ha impregnato per mesi ogni angolo, fino all’assuefazione di ogni naso. Sull’altra sponda, dove la luce dell’est è più luce che altrove, si andava con percorsi a pettine, dentro e fuori dai colli che il guardo escludono, fino al mare, per lasciar correre Pedro sulla sabbia e mettere tutte le zampe sotto un tavolo di qualche ristorantino “piedi in acqua”. Dormivamo lungo la litoranea la notte del terremoto all’Aquila. Il sobbalzo anomalo, ripetuto, del camper ci ha svegliato, mentre Pedro annusava l’aria. Forse era già all’erta, non so.
Il Rodano in piena aveva allagato Arles in una notte di pioggia torrenziale, passata al riparo della tettoia di un distributore di benzina: saltava la tappa in quella città, la Camargue si è vista di passaggio, il mare era in tempesta a Saintes Marie de la Mer, dove Pedro guardava fitti stormi di gabbiani, incuriosito dai loro voli tra gli spruzzi, incapace forse di decifrare i loro linguaggi.
Saintes Maries de la Mer
La forza del vento era violenta. Tirava – abbiamo letto il giorno dopo sul Corse Matin – a 170 km all’ora il libeccio che alzava i granelli di granito rosa della spiaggia di Lozari per lanciarli sulle fiancate del camper, che spingeva senza tregua, aggressivo, forzuto, instancabile, una sorta di Ercole impalpabile, ma capace di spostare, dalla sede alla quale parevano fissati, tutti i 35 quintali del mezzo. Una giornata e una notte in preda alla forza della natura, di fronte alla quale nulla puoi, se non sperare di non farti male.
Le canne intrecciate del tetto della pajotte del Vavaù erano scarmigliate come chi si sveglia da un incubo. Infreddoliti, con gli occhi stanchi per la nottata quasi insonne, giravamo attorno al camper in cerca – per fortuna infruttuosa – di possibili danni derivanti dallo spostamento ben visibile. È stata una delle poche mattine in cui al risveglio, aperta la porta, non mi sono tuffata in mare. Il bagno in mare appena svegli, è una delle gioie della vita, con la natura addosso e tu dentro.
Come in val Trebbia, e anche di più, la luce e il numero delle stelle di Corsica non si possono dire. Ci si addormentava come sotto una coperta, mentre il Re di Pietra sorvegliava la costa . Avevo chiamato così il profilo di una torre di avvistamento, a ponente del golfo. Il sole le tramontava dietro, rendendo visibile, alla mia immaginazione, una testa. coronata, appoggiata al crinale. Ho fantasticato parecchio, ho chiesto agli abitanti del luogo se conoscessero storie, leggende, racconti. Nessuno sapeva nulla. Un giorno abbiamo deciso di andare a vedere da vicino. Non lo avessimo mai fatto: l’antica torre era un ammasso di pietre, in alcuni punti pericolanti e pericolose, tutto intorno una discarica di rifiuti umani che ho impedito a Pedro di esplorare. Degrado, incuria per l’ambiente e incuranza per la Storia. Meglio guardare la torre da lontano e pensare che il Re di Pietra appare solo a chi lo sa vedere, quando il sole tramonta.
Nella scelta della copertina per il mio libro su Pedro, sono stata molto indecisa tra due immagini che lo ritraggono più o meno nella stessa posizione, immerso nella natura, all’ombra di una vegetazione simile: la prima è scattata in Corsica a Mucchio Bianco; la seconda in Sardegna, in una delle insenature di Costa Corallina.
Mucchio Bianco è un posto magico: una spiaggia di sabbia finissima che cambia colore con la luce. Una spiaggia azzurra, mi aveva detto Andrea che c’era già stato. Non ci credevo, invece era vero. Azzurra, bianca, rosata come il granito delle rocce circostanti, grigia come il cielo coperto di un Ferragosto deserto: sì, Ferragosto deserto. Guardare per credere:
E tira forte il vento, lì: lo sapevano gli alberi che avevano piantato le radici al riparo, dietro le rocce.
Lo sapevo anch’io, che ho cercato una piscina praticabile, perché il bagno in mare non me lo puoi impedire, vento, neanche tu.
Per la copertina del libro, ho poi scelto l’altra immagine di Pedro, quella scattata a Corallina, perché più adatta alla storia che il libro racconta, perché nell’istante in cui l’ho scattata eravamo soli, io e lui, consapevoli entrambi di quanto era in corso, del come si sarebbe “naturalmente” evoluto, ignari solo di quanto sarebbe durato . Ed è stata proprio matrigna, la natura, con Pedro, ma lui non ci badava: era superiore e filosofo. A lui importava solo di noi tre. Ho scelto quello scatto perché eravamo “insieme” e ci dicevamo tutto
quanto come sempre, a conforto e sostegno reciproco. Se poi c’era qualche insegnamento da trarre, era di sicuro Pedro a darlo a me. Da quella stessa riva, mi aveva osservato nuotare in giorni freddi e piovosi per definizione (il 2 novembre), quasi scandalizzato dalla mia presunta follia natatoria.
Su quella stessa riva l’ho visto osservare la linea dell’orizzonte e Tavolara, con la sua consapevole saggezza.
Non sono più tornata sulla nostra panchina a Monte, nella verde Brianza: un pezzo di tronco che sarà ancora là, presumo . Ci fermavamo a parlare anche lì, al ritorno dal giro quotidiano in un parco che è stato per lui una palestra di vita : giocava con le farfalle, gareggiava con le lepri (non per dire, davvero ! ), mangiava more e acini d’uva, scovava fagiani e cancellava con una leccata ogni mio turbamento
Non siamo più andati in Corsica, e anche la Sardegna fa parte del nostro accaduto, né possediamo più il camper, ma quando guardo il mare, sempre con Giatt (il nostro cane ora), sento che Pedro è comunque con noi, appoggiato a me a scrutare e proteggere insieme i miei pensieri
L’altro motivo che ci aveva portato a diventare camperisti era la decisione di cercare un posto in cui sistemarci “da grandi”. Girando e rigirando ne avremmo ben trovato uno tutto per noi! E, come in un gioco dell’oca che voglio credere abbia un senso più alto, siamo tornati al punto di partenza quando abbiamo compreso che Levanto, il luogo a noi più noto, più caro, più adatto, era quello in cui ci eravamo conosciuti. Qui c’è il mare, c’è il verde della campagna, ci sono pesci di ogni tipo e i delfini si incontrano con facilità . Ci sono ora persino i lupi. Uno di loro è stato ripreso a percorrere all’alba di un giorno di aprile la via principale del paese, tra due file di auto in sosta. Altri ne stanno avvistando. Mi auguro non capitino incidenti tali da far imbracciare i fucili.
Qui riusciamo a vivere bene, in pienezza e in natura; sempre accanto a Giatt, e – zampe sul bottazzo – Pedro ci controlla.
Sono soprattutto due le cose che mi vengono in mente quando ripenso ai picnic della mia infanzia: l’insalata di riso preparata da mia madre, e le formiche . All’epoca, parlo dei primi anni ’60, per i romani le scampagnate erano una solida tradizione, e in primavera i miei genitori organizzavano delle sobrie trasferte portando in un luogo ameno, in genere una pineta, un cesto di vettovaglie, una coperta e qualche altro genere di conforto, di solito una radiolina, oltre a libri e giornali.
Il piatto forte del menù era spesso un’insalata di riso con tonno e olive: non ricordo di averne mai mangiate di così buone, e sospetto che a renderla tale fosse una dose generosa della maionese fatta in casa da mia madre. A volte, in alternativa, c’erano spaghetti freddi conditi con salsa di pomodoro e basilico, anche in questo caso nettamente superiori a tutte le paste fredde mangiate negli anni successivi.
Per la mia generazione e per quelle precedenti, il picnic è soprattutto un’occasione per stare in contatto con la natura, mangiare nel verde senza formalità e magari riposare sotto un albero . Ed è curioso pensare che all’inizio il termine definisse delle feste campestri in cui c’erano sì un buffet imbandito e divertimenti, ma non necessariamente all’aperto. E anche i primi pranzi all’aperto erano ben diversi da quelli attuali: niente panini e uova sode e soprattutto niente formiche. Durante il diciottesimo secolo erano i nobili a organizzare queste scampagnate, spesso a margine di una battuta di caccia, supportati da un corteggio di servitori che imbandivano tavolate all’aria aperta e a volte cucinavano le prede appena catturate .
Sembra che la tradizione di organizzare queste scampagnate sia nata in Francia, e si sia poi diffusa in Europa dopo la rivoluzione francese quando gli aristocratici sfuggiti al Terrore hanno esportato le loro usanze:
tutti noi abbiamo visto, in film come Emma , tratto dal romanzo di Jane Austen, spedizioni organizzate con cura in cui le vivande portate da casa erano servite con una certa eleganza, anche se l’occasione consentiva un atteggiamento meno formale e i divertimenti organizzati erano considerati un’occasione propizia per il corteggiamento.
Successivamente i pic nic sono diventati assai più spartani: il termine stesso, diffusosi dalla fine del diciassettesimo secolo, dovrebbe derivare dal francese piquer (prendere, spilluzzicare) abbinato all›arcaico nique (piccolezza, cosa di poco valore). Con lo sviluppo della società borghese il picnic assume un aspetto simile a quello moderno : la consumazione di un pasto informale tra amici o in famiglia, per passare qualche ora in allegria sui prati, in riva ad un fiume o sulla spiaggia
E’ l’immagine che ci rimanda Le Déjeuner sur l’herbe , (Colazione sull’erba) di Édouard Manet, i cui partecipanti consumano un semplice spuntino: l’incongruenza, che all’epoca suscitò non poco scandalo, sta nella nudità della ragazza ritratta accanto ai suoi compagni vestiti di tutto punto.
Agli inizi del ‘900 nascono poi i cestini da picnic, corredati di tutto quanto può occorrere per mangiare con qualche comodità, e le prima riviste femminili fanno a gara per proporre le ricette più adatte - cibi poco sporchevoli, facili da trasportare e che non soffrano troppo il caldo- mentre oggi ristoranti e negozi di gastronomia offrono cestini già pronti e le attrezzature necessarie.
Non resta che sfidare le due grandi incognite di ogni picnic che si rispetti: il meteo e le formiche. Per me, a dire la verità, queste ultime non rappresentavano un grande problema, anzi... Le ho sempre amate molto, complice anche un libro sugli insetti che mi era stato regalato e avevo letto con passione
Certo, non gradivo trovarle nel panino, ma una volta finito di mangiare, le infinite varietà di formiche che popolavano la pineta di Castelfusano - piccole, grandi, nere, rosse o bicolori, aggressive o industriose - mi offrivano una gradevole distrazione fino all’ora di andare via. Mi bastava osservarle, magari disturbarle mettendo qualche ostacolo sul loro cammino o vedere come si comportavano con le briciole o i pezzetti di cibo che non mancavo mai di mettere da parte per loro. Senza formiche, in fondo, il picnic sarebbe stato assai meno divertente…
Dico una cosa scontata, per chi leggerà queste righe, ma felicità può essere anche aprire un libro e trovarsi subito dentro a una storia che sa di buono.
Il tutto va anche inquadrato: primavera iniziata, che permette di stare in terrazzo con un sigaro Toscano, un pomeriggio da pensionato da riempire e una spy-story che son sicuro mi piacerà . Del libro parlerò dopo : iniziato un mese fa senza finirlo, solo una decina di pagine e l’avevo mollato . Non che fosse scritto male, anzi, ma va così, ci sono periodi in cui leggo e altri no . Ma adesso mi ha “agganciato bene”, poche pagine ancora e…anzi, no, interrompo la lettura e fisso un paio di cose che se no scappano e non mi tornan più.
Ho già detto che la felicità per me è fatta di momenti, io non sono una persona solare, tendo molto alla malinconia, che non è mai infelicità vera, ma una melassa dolceamara che mi avvolge
Ho un amico che vedo poco. Anzi, che non vedo mai, ma al quale mi sento costantemente legato e che penso spesso. E falla, una telefonata ogni tanto, cosa ti costa ? Ma non serve, mi dico per mascherare la pigrizia, tanto basta un attimo ed è come se fossimo stati assieme sempre. Con lui ho trascorso molti di quegli attimi che dicevo e che compongono quel quadro di cose che val la pena di non dimenticare.
Il mio amico, che chiamerò Massimo (si chiama Massimo) è un vero “laghée”, uno nato cresciuto e vissuto sul lago che non lascerebbe per niente al mondo. Siamo a Osteno, paese sul versante italiano del lago di Lugano, terra di contrabbandieri, pescatori, tipi originali e lavoratori frontalieri . Lugano è lì, non si vede ma è quasi di fronte. La strada finisce vicino all’attracco del battello con una ripida salita che porta alle ultime case, poi solo boschi e roccia a strapiombo e poco più in là ancora il confine svizzero. Ci ho passato le vacanze per anni, in quegli anni che ti segnano perché da bambino ti sembra di diventare adulto a strappi .
Di qualche anno più grande, aveva gioco facile per diventare un mito: pescatore, cacciatore, atleta non da competizioni ma che eccelle in tutto: pallacanestro, calcio, tennis (non aveva mai giocato in vita sua, gli dico: proviamo? Dopo dieci minuti mi stracciava da fondo campo con colpi tesi, cinque centimetri sopra la rete. Un nervoso…), camminatore di montagna e umano recipiente di saggezza innata.
Ma come sempre divago. Lo spunto mi viene dal libro, ambientato proprio in quel minuscolo paesino del Ceresio, quando descrive un episodio di pesca e lo descrive molto bene, tanto che mi ha sbloccato un ricordo vivissimo. Anzi due , che il terzo lo terrò per un’altra volta.
Il mio amico aveva una barca di legno, bellissima: dura da avviare perché pesante, ma poi filava veloce e diritta; andava per persici e ce n’erano davvero tanti e grossi, allora. La pesca con la tirlindana si fa costeggiando la riva con un filo trainato dalla barca sotto la spinta costante dei remi, ma è molto difficile farla bene. Bisogna conoscere il fondale a menadito per insidiare le prede nei punti giusti e tenere la lenza sempre in tiro per non lasciare l’esca sul fondo, incagliata a un masso o a qualche vecchio rottame sommerso. Dopo aver provato a remare un po’ e perso due o tre montature di pesca senza che ciò turbasse la calma olimpica di Massimo, avevo capito che mi si addiceva di più il ruolo (peraltro superfluo, lui pescava benissimo da solo) di recuperatore di lenza: meglio lasciargli i remi. Il ricordo della sua remata calma, il suono della pala del remo che entra in acqua senza spruzzi e il leggero cigolio degli scalmi sono ancora in un angolo del mio cervello, posso richiamarli in ogni momento e sono un antistress che uso spesso.
Procedeva zigzagando, a schivare ostacoli che non vedeva, ma che conosceva bene. Tornammo con la barca piena di persici, enormi come non ne vedo più da anni , con la pinna dorsale piantata su una grande gobba.
Se non avete mai provato l’emozione di avere tra le dita una lenza con attaccato un bel pesce, avete perso qualcosa. Fa molto “il vecchio e il mare”, lo so, ma tant’è. Ore di felicità, dunque.
Sempre a Osteno c’è un orrido molto bello, che fino alla metà del secolo scorso era meta delle scampagnate dei milanesi : una guida ti portava con una piccola barca a remi nei meandri del lungo budello dove scarsa luce arrivava dall’alto. Nei primi anni ’70 era ormai da tempo caduto in disuso e l’accesso vietato.
Ma le trote nel torrente Telo c’erano, eccome, e il mio amico mi portò verso un’altra avventura. L’idea era di scavalcare l’alto cancello di recinzione con un piccolo canotto, percorrere l’orrido fin dove si poteva e pescare con la canna corta e il cucchiaino. Il mezzo gonfiabile, poco più di un canottino giocattolo giallo e blu, venne fornito - a sua insaputa - da mia cugina Anna, ma issandolo sulle punte in ferro arrugginito del cancello si squarciò subito sgonfiandosi in un attimo. Anche senza mezzo da sbarco percorremmo tutto l’orrido costeggiando la parete di roccia umida, abbarbicati ai pochi appigli delle pareti scivolose e superando passaggi che a un goffo milanese in vacanza apparivano di sesto grado, con gli stivali a tutta coscia e la canna
tra i denti. Se ci ripenso capisco perché la mortalità per incidenti tra i giovani è molto più alta nei maschi. Ma catturammo una trota da leggenda, che al peso, sulla bilancia dell’amico macellaio, segnò un chilo e mezzo e ci diede gloria eterna .
E quella giornata fu di pura felicità. Non per la cugina, che ci rimase male, quando volle usare il canotto e lo trovò squarciato, ma si sa: nelle grandi imprese a volte si sacrificano degli innocenti.
Adesso mollo qui e torno al libro, che si preannuncia pieno di ricordi sovrapponibili ai miei (non tutti, per fortuna: nel romanzo ci sono un po’ di omicidi). Mi aspetto quindi altra felicità.
Se vi capita e soprattutto se conoscete quei posti, leggetelo, il libro: “La casa dell’inglese”, molto ben scritto da Fabio Pedrazzi (che stranamente non conosco, ma colmerò presto la lacuna) per i tipi di PlaceBook.
GLI ARTISTI NON SI FERMANO MAI COME GIOVANNA & CO: ECCO GLI IMPERDIBILI APPUNTAMENTI DI MAGGIO.
Nell’attesa di ritrovarci a settembre con i nuovi impegni dell’infaticabile Giovanna Nocetti, ecco gli appuntamenti da segnare in agenda, fornitici sempre gentilmente da Alessandro Paola Schiavi, Press Manager & Ufficio Stampa Kicco Music Milano . (Minnie Luongo)
Kicco Music Edizioni Musicali S.A.S di Giovanna Nocetti & C. – Milano
Via Filippo Corridoni, 10 – 20122
Continuano gli appuntamenti al Teatro Cagnoni di Godiasco Salice Terme per la direzione artistica affidata dal Sindaco Fabio Riva alla cantante Giovanna Nocetti e al giornalista Alessandro Paola Schiavi.
Aprile si è concluso con Dario Gay, di recente tornato alla ribalta grazie a ”The Voice Senior” su Rai 1, volto noto per aver partecipato a due Festival di Sanremo negli anni ’90 e per aver collaborato con Renato Zero, Enrico Ruggeri e Rita Pavone. Il cantante, con la sua band ha inaugurato la prima data del tour ”Dario Gay… e gli altri no!”, riservando la prima al Teatro di Godiasco
→ Maggio vedrà invece tre appuntamenti culturali di diverso taglio e importanza, ossia il ritorno dell’opera lirica con ”Il Barbiere di Siviglia” nel riadattamento da camera per la regia di Filippo Pina Castiglioni, un nome della musica lirica internazionale , celebre proprio per aver riproposto le arie da camera in prestigiosi luoghi culturali, come lo scorso anno al Castello Sforzesco di Milano. Appuntamento alle ore 17.00, ingresso gratuito.
→ Domenica 21 Maggio un nome mondiale della musica calcherà il palcoscenico del Cagnoni per incantare con le sue mani: Sante Palumbo. Il pianista e jazzista di stampo unico che ha suonato con Elle Fitzgerald, Ennio Morricone e i più grandi del mondo, suonerà le sue musiche preferite al pubblico in sala . L’attesa è per le ore 17.00 ad ingresso gratuito, il suo nome è una perla unica live dato che da diversi anni il pianista, salvo alcune eccezioni, si è praticamente ritirato dalle scene.
→ L’ultima Domenica del mese invece, il 28 Maggio, grande attesa per l’appuntamento per l’evento di chiusura in memoria dell’indimenticata Raffaella Carrà. Il tributo a lei dedicato vedrà lo scrittore e giornalista Antimo Verde, che ha curato il libro ”Raffaella Carrà, una leggenda in 3 minuti” bestsellers da oltre un anno. Il ricordo sarà accompagnato dalle canzoni più famose di Raffaella eseguite da Roberta Bonanno , ex star di ”Amici” nel 2007 e finalista a ”Tale e Quale Show” nel 2020. Sarà così un modo per ritrovare il pubblico a Settembre per la stagione nuova, traendo così un bilancio di successi e sold-out che hanno visto oltre 15 appuntamenti da Novembre 2022 a Maggio 2023 per il cartellone dei due neo Direttori Artistici.
A cura della Redazione
Man mano che gli anni passano, percepire un calo delle energie fisiche più o meno significativo e avere la tendenza a stancarsi più facilmente sul piano fisico e mentale è un fatto assolutamente fisiologico, che più o meno tutti sperimentano.
Ciò non significa, però, che ci si debba arrendere alla stanchezza e lasciare che l’invecchiamento prenda il sopravvento, deteriorando anche l’umore. Almeno entro certi limiti, è infatti possibile reagire positivamente e supportare la propria vitalità fisica e psichica fino alla tarda età, attraverso un’alimentazione sana ed equilibrata, il movimento costante, relazioni affettive e sociali solide e stimolanti e l’apprendimento continuo. Per supportare ulteriormente il metabolismo energetico, può essere consigliabile integrare la dieta con preparati a base di vitamine (in particolare quelle del gruppo B) e altri micronutrienti essenziali, caratterizzati da un’azione antiossidante (in particolare, vitamine A, C ed E, zinco e selenio). Un esempio è il Supradyn® Ricarica 50+, un integratore alimentare specificamente formulato per sostenere il benessere e la vitalità degli over 50 grazie ai suoi componenti che giocano un ruolo chiave nel metabolismo energetico e nella produzione di energia . Oltre a vitamine e minerali Supradyn Ricarica 50+ contiene estratti di foglie di olivo
e olive che insieme alla vitamina E e C ad alto dosaggio contribuiscono alla protezione delle cellule dallo stress ossidativo. Supradyn Ricarica 50+ è un integratore alimentare. Leggere sempre le avvertenze prima dell’utilizzo.
Prima di ricorrere a questi rimedi può essere necessario, tuttavia, verificare con l’aiuto del medico quale sia l’esatta causa della stanchezza lamentata, per escludere che alla sua origine vi siano patologie meritevoli di terapie specifiche e per poter pianificare l’approccio “rivitalizzante” più appropriato, compatibilmente con l’età e con lo stato di salute generale.
Fattori nutrizionali e metabolici all’origine della fatica
Durante l’accrescimento e nella prima età adulta il metabolismo energetico dell’organismo sano è estremamente attivo ed efficiente. I nutrienti assunti attraverso una dieta sana e bilanciata vengono prontamente trasformati in energia o indirizzati verso le reazioni anaboliche necessarie per costruire e rinnovare rapidamente massa muscolare e ossea, cellule e tessuti. Ciò permette di mantenere una risposta ottimale all’impegno fisico e intellettivo, avere un’elevata resistenza alla stanchezza e pronte capacità di recupero.
Già a partire dai 30 anni, la velocità metabolica inizia gradualmente a diminuire, ma è soprattutto dopo i 40-45 anni che questo rallentamento viene percepito in modo consapevole, come un calo generalizzato di energia, maggiore facilità all’affaticamento e necessità di un tempo più prolungato per ristabilire una condizione di pieno benessere dopo uno sforzo intenso. Tutti questi fenomeni diventano via via più marcati dopo i 50-60 anni e peggiorati dal contemporaneo incremento della produzione di radicali liberi e specie reattive dell’ossigeno (ROS), a opera della respirazione ossidativa mitocondriale.
Oltre a questo “deficit biochimico” di produzione dell’energia, man mano che l’età avanza tendono a subentrare altri fenomeni, contribuendo a determinare uno stato di affaticamento.
In primo luogo, la diminuzione della sensibilità olfattiva e gustativa facilita il calo dell’appetito, spesso ulteriormente compromesso dalla contemporanea riduzione della funzionalità digestiva, da condizioni di stitichezza oppure da fastidi gastroenterici associati all’assunzione di farmaci necessari per la cura di patologie tipiche dell’età avanzata. L’eventuale presenza di difficoltà di masticazione e deglutizione porta a limitare ancora di più qualità e quantità dei cibi assunti, promuovendo il calo ponderale (con perdita prevalente di massa magra) e lo sviluppo di deficit di vitamine e minerali essenziali.
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Gli Erranti
Che cosa fare una domenica mattina, quando il tempo è uggioso e non ti va di passare la giornata in citta? Noi siamo partiti in direzione di Lecco. All’arrivo abbiamo parcheggiato sotto il campanile di San Nicolò, sul fianco sinistro della Basilica a lui dedicata, e abbiamo attraversato piazza Cermenati fino ad arrivare in piazza XX Settembre, in riva al lago . Lì siamo stati colpiti da un edificio in stile eclettico neogotico, edificato nel 1905 e poi ricostruito nel 1916: per i lecchesi è il “ Palazzo delle Paure ” perché è stato la sede della Guardia di Finanza, della Dogana e del catasto. Ai giorni nostri siamo più fortunati, il palazzo è stato adibito a museo e accoglie anche mostre temporanee. Noi abbiamo avuto l’opportunità di visitare FUTURISTI, UNA GENERAZIONE ALL’AVANGUARDIA -aperta fino il 18 giugno 2023 – una bella esposizione curata da Simona Bartolena con opere di Filippo Tommaso Marinetti, Giacomo Balla, Fortunato Depero e altri. ( http://www.museilecco.org )
Ci ha colpito in particolare l’Aerofuturismo di Tullio Crali. che ha voluto trasmettere attraverso i suoi quadri l’emozione del volo, ma oggi vogliamo soffermarci in particolare su un’artista, Olga Biglieri, pittrice, aviatrice e giornalista conosciuta nel mondo dell’arte con lo pseudonimo di Barbara, una delle tre donne che hanno partecipato al movimento futurista insieme a Regina Cassolo Bracchi e Benedetta Cappa . Nata a Mortara nel 1915, Olga Biglieri si trasferisce a Novara nel 1926.
A sedici anni, di nascosto dalla famiglia prende il brevetto di volo a vela all’Aeroclub di Cameri, e due anni più tardi quello da pilota di velivoli a motore. In seguito si iscrive all’Accademia di Brera a Milano e comincia a dipingere trasferendo sulla tela le sensazioni e le emozioni del volo . Marinetti la scopre per caso, vedendo nella vetrina di un corniciaio un suo quadro- Vomito dall’aereo, presente in mostra. - destinato alla sua prima personale, e la invita a esporre alla Biennale di Venezia del 1938 dove Barbara porta l›opera L’aeroporto abbranca l’aeroplano .
Da quel momento la giovane artista assume lo pseudonimo di Barbara ed entra a far parte del movimento futurista come ‘aeropittrice-aviatrice futurista’. Una scelta che non rinnegherà mai, anche se la pittrice rifiutò l’esaltazione della guerra e il maschilismo espressi dalla maggioranza del movimento, e negli anni ‘60 scelse di aderire al movimento femminista e pacifista .
Sposata con lo scrittore Ignazio Scurto, Olga/Barbara ha dedicato gran parte della sua vita al giornalismo, conducendo trasmissioni radiofoniche e fondando un’agenzia di stampa, la Telex press, mentre i suoi ultimi anni, fino alla morte avvenuta nel 2002, vedono una ripresa dell’attività artistica . Nel 1981 la pacifista
giapponese Machiyo Kurowama le chiede di partecipare con l’impronta della sua mano all’Albero della Pace, un’opera collettiva che ha visto la partecipazione di personaggi illustri, tra cui Sandro Pertini e Rita Levi Montalcini e che dal 1986 è esposta al museo della Pace di Hiroshima. Per le sue attività contro la guerra, nel 2000 Olga Biglieri fu candidata al premio Nobel per la pace.
Ma la mostra sui futuristi offre anche altre sorprese: nell’ultima sala abbiamo trovato le copie di due Pupazzi pubblicitari di legno realizzati da Fortunato Depero per l’azienda Campari, e ci siamo ricordati che sulla strada di casa, a Sesto San Giovanni, c’è la Galleria Campari quasi tutta dedicata alla cooperazione tra l’artista e l’azienda .
A quel punto abbiamo deciso di regalarci un’ulteriore sosta, e bisogna dire che ne valeva davvero la pena La Galleria ( www.campari.com/it-it/galleria-campari/ ) progettata dall’architetto Mario Botta è stata inaugurata nel 2010 in occasione dei 150 anni di Campari, e oltre alle campagne pubblicitarie di Depero ospita opere di Dudovich, Nizzoli, Munari, ma anche manifesti della Belle Époque e spot pubblicitari realizzati da registi famosi. Qui scoprirete (se non lo sapete già) che la bottiglia del Campari soda, ancora oggi attuale, è stata progettata da Depero negli anni ‘30. Insomma, è un mondo da scoprire, anche se, strano a dirsi, non c’è un bar dove assaggiare un buon aperitivo …
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