NO 12 DICEMBRE 2020
I’GIORNALINO
“Il momento più felice della vita coincide con il secondo prima di mettere in bocca il miele. Quel secondo non è secondo a nessuno” -Winnie The Pooh
REDAZIONE 2
Direttrice AURORA GORI (VA)
Redattori
GIULIA AGRESTI (IVB), MARGHERITA ARENA (IVB), FILIPPO BELLOCCHI (IIIB), GEMMA BERTI (IIIB), NICCOLÒ BETTINI (IIIB), EMANUELE IPPOLITO BOZZO (IA), DIEGO BRASCHI (VA), ELENA CASATI (IIIB), GIOVANNI CAVALIERI (IIA), ELISA CIABATTI (VB), FILIPPO DEL CORONA (IIIB), GIOVANNI GIULIO GORI (IIB), DANIELE GULIZIA (VB), MATILDE MAZZOTTA (VC), RACHELE MONACO (IIB), ALESSIA MUÇA (VA), ALLEGRA NICCOLI (IIIB), ALESSIA ORETI (IVA), FRANCESCA ORITI (IVB), SARRIE PATOZI (IVB), PIETRO SANTI (VA), IRENE SPALLETTI (VA)
Fotografi SILVIA BRIZIOLI (caposervizio, VA), MARIA VITTORIA D’ANNUNZIO (IIIB)
Collaboratori MARGHERITA CIACCIARELLI (IIB), MADDALENA GRILLO (VB), ALLEGRA NICCOLI (IIIB), ALESSIA ORETI (IVA), ALICE ORETI (VB) Art Director DANIELE GULIZIA (VB)
Disegnatori GREGORIO BITOSSI (IVA), VIOLA FANFANI (IVA), FABIOLA MANNUCCI (IVA), CATERINA MEGLI (IVA), SILVIA MONNO (IVA), REBECCA POGGIALI (VA), ERICA SETTESOLDI (IVA), FRANCESCA TIRINNANZI (IVB)
Social Media MARGHERITA ARENA (IV B), MARIANNA CARNIANI (IVB), MARTA SUPPA (IVA)
Ufficio Comunicazioni GIULIA AGRESTI (IVB)
Impaginatori GIULIA AGRESTI (IVB), DIEGO BRASCHI (VA), PIETRO SANTI (VA)
Collaboratore esterno GIULIA PROVVEDI
Referenti PROF. CASTELLANA, PROF.SSA TENDUCCI
VERNICE GIALLA, FELICITÀ QUOTIDIANA……………..4 YOUNGPOLITIK……………………………………………..6 L’UNIVERSO NON È VERAMENTE NERO………………9 I VARI CANONI DI BELLEZZA NELLE PERSONE…….10 L’AIDS………………………………………………………..11 FAKE NEWS…………………………………………………13 I GIORNI CHE MANCANO ALLA MATURITÀ..…………14 LA LIBERA INFORMAZIONE FINISCE IN GALERA…..18 LOUJAIN AL-ATHLOUL.…………………………………..20 ARTOGRAPHY……………………………………………..22
INDICE
LA MIA PITTURA…………………………………………..24 PASTELLI AD OLIO………………………………………..26 JORIT AGOCH………………………………………………28
ESPLORANDO L’ITALIA, SAN GIMIGNANO…………..29 ICCHÉ TU DICHI, DIALOGO……………………………..30 DIEGO ARMANDO MARADONA…………………………32 MEGA UTILE………………………………………………..34 DIARIO DI SOPRAVVIVENZA PER IL LICEO…………..36 ARIA SOTTILE………………………………………………37 PADRI E FIGLI………………………………………………39 EVA CONTRO EVA…………………………………………40 L’ANGOLO DEL POETA……………………………………43
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Vernice
felicità
di Rachele Monaco
C
imponeva questa pratica quotidiana, certo che, hi di noi non ha mai sentito parlare
una volta deglutito, i migliori pensieri e
del grande Vincent van Gogh?
sentimenti lo avrebbero accompagnato per un
Nessuno, presumo. È un artista che
po’ di tempo.
mi sta particolarmente a cuore, probabilmente
Ora, la vernice non è fatta per essere mangiata,
per la sua lucida follia, che ha sempre trovato
non è un vero toccasana per l’intestino! E
spazio su di una tela bianca, che dipingeva con
allora perché l’artista si ostinava a mangiarla,
i colori il suo mondo interiore, che nessuno era
nonostante le lamentele del suo stomaco
mai riuscito a comprendere.
qualche ora dopo?
Tra le tante follie di questo artista, oggi sappiamo che adorava mangiare vernice gialla, poiché la associava alla gioia. Era
Noi umani siamo fatti così. Crederemmo a qualunque cosa pur di farci sentire meglio, ci illudiamo da soli molto spesso.
convinto così di farsi del bene, si auto 4
gia⊃a,
quotidiana Che voi ci crediate o no, dopo aver ingerito
rilasciava della serotonina (ormone della
quella strana poltiglia gialla, Van Gogh stava
felicità).
davvero meglio, si sentiva davvero più felice,
È stato anche dimostrato che semplicemente
era davvero più gioioso.
sorridendo, anche senza motivo, possiamo
È un semplice trucchetto che la nostra mente
ingannare il nostro cervello, fargli pensare che
usa: una volta che si convince di una cosa,
siamo davvero felici, che davvero ci siamo
quella, per quanto bizzarra, accade sempre. Per
divertendo, dandogli così motivo di rilasciare
questo siamo tutti registi pluri premiati di film
le sostanze che ci fanno stare bene.
mentali, perché è la testa a decidere come ci
La verità è che abbiamo tutti bisogno di costruirci castelli di carte, di illuderci di qualcosa, anche se poi ci verrà un'intossicazione alimentare!
sentiamo. Una volta mangiata quella vernice, il cervello di Van Gogh magari davvero
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MP A I RE CR O I N I 6
YOUNGPOLITIK di Francesca Oriti
Noi studenti ci stiamo avvicinando in questi anni di formazione all’impegno civico che dovremo portare avanti per tutta la nostra vita, per questo abbiamo deciso di intervistare Marco Pierini, uno studente universitario poco più grande di noi, diventato vicesindaco di Montespertoli a 23 anni. Buonasera, ti ringrazio per averci concesso questa intervista, immagino che la vita da vicesindaco sia abbastanza caotica! Inizio col chiederti quale è stato il percorso che ti ha portato a dove sei adesso. Devi sapere che ho iniziato la mia militanza nel Partito Democratico nel 2012, all’età di sedici anni, influenzato dall’ambiente familiare, in cui fortunatamente parlare di politica non è mai stato un tabù. Per quanto riguarda la mia attività all’interno del partito, ho toccato l’apice nel 2017, quando sono entrato a far parte della Direzione Nazionale, tuttavia sono sempre stato particolarmente concentrato sulla politica locale. L’interesse a incidere positivamente sulla mia comunità mi ha infatti spinto a candidarmi per le elezioni amministrative del 2014, che mi hanno portato a far parte del Consiglio Comunale di Montespertoli, il mio paese natale, di cui cinque anni dopo sono diventato vicesindaco. C’è una forte motivazione che ti ha spinto a tesserarti in un partito e partecipare attivamente alla vita politica? In tutta onestà è stata una decisione presa con serenità, non banale ma semplicemente naturale. Se per molti miei coetanei di allora e per tanti adolescenti di oggi, tesserarsi in un partito a sedici anni sembra una cosa fuori dagli schemi, a me sembrava l’ovvio perseguimento dei miei interessi. Certamente ci sono degli obbiettivi che mi pongo, ma non sono mete ambiziose o ideologie rigide, intanto perché non ho intenzione di essere una meteora politica, che giunge all’apice in poco tempo per poi finire nell’oblio, e poi perché non ha senso portare avanti lotte se non sono in sintonia con i bisogni dell’elettorato. Essere vicesindaco a 24 anni è senz’altro un bel traguardo. C’è stato un momento determinante in cui hai capito che fare politica sarebbe stata una parte della tua vita e che importanza avrebbe rivestito? Sicuramente ricordo con entusiasmo il mio primo intervento in pubblico, quando parlai alla Leopolda, nel 2012, in occasione delle elezioni per il segretario del Partito Democratico. Affermai con convinzione che concedere il voto dai sedici anni in su per le primarie di partito non avrebbe compromesso l’integrità delle elezioni, ma purtroppo quell’anno parteciparono solo i maggiorenni. Da quel momento in poi ho avuto l’opportunità di partecipare attivamente alla vita politica, sia del partito che del mio Comune, così ho acquisito importanti doti organizzative e ho capito quanto sia importante il lavoro sul territorio, la gavetta, che costituisce la base di ogni solida carriera. Tuttavia la mia attività politica non è il mio unico interesse, tento comunque di coniugarla con lo studio, perfino con le responsabilità triplicate che la pandemia ha comportato. Spero di riuscire a finire il mio percorso di studi che parte dalla laurea in Scienze politiche e studi internazionali per proseguire con la Magistrale in studi europei e relazioni internazionali. Il mio sogno sarebbe poter continuare la ricerca che attualmente sto portando avanti sul Medio Oriente, con un focus particolare sulla storia e l’attualità di Israele. Cosa vorresti comunicare ai giovani che sono attratti da una carriera in politica? Immagino che la mia prima indicazione sarebbe quella di non entrare a far parte delle sezioni giovanili dei partiti perché si otterrebbe una visione distorta ed edulcorata di quella che è l’attività politica. Chi ha avuto esperienza di questi ambienti li descrive come una sorta di simulazione del partito “degli adulti”, in cui si dibattono questioni effimere, ciò di cui gli altri non si vogliono 7
occupare e che non conta per chi detiene il potere. Consiglio invece di misurarsi con la prova certa della candidatura, che costituisce il confronto con i problemi concreti e non con valori astratti. In caso di elezione si avrà così l’opportunità di imparare abilità amministrative come la gestione delle risorse umane e di acquisire le competenze pratiche necessarie all’ampliamento del progetto politico. Queste doti costituiscono la base solida di una carriera politica, personalmente io non credo in post scritti frettolosamente su Instagram che si fingono articoli affidabili, o in persone che si scontrano con intransigenza con l’establishment per le loro idee, senza favorire un atteggiamento costruttivo. Ti ringrazio, buona fortuna per tutto!
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L’UNiVERSO NON È VERAMENTE NERO di Margherita Arena “L’universo non è completamente nero, e ancora non sappiamo cosa questo comporti” Questa è la frase con cui alla fine di questo anno molto particolare ci hanno sconvolto i ricercatori. Infatti un gruppo di astronomi ha scoperto, osservando le foto scattate dalla navicella spaziale New Horizons, arrivata a visitare Plutone nel 2015, che l’universo è due volte più luminoso rispetto a quanto si aspettavano gli scienziati. La luminosità pura dell’universo viene calcolata togliendo al numero ottenuto dalle foto i coefficienti della luminosità dei pianeti, delle galassie, delle stelle, dei buchi neri e dei residui celesti così da rimanere con la luminosità del solo cielo. Per fare questo comunque gli astronomi hanno scelto di utilizzare una foto scattata a 6.400.000.000 km dal sole, dai pianeti luminosi e dalla luce prodotta dai corpi interplanetari dove la luce di questi corpi arriva solo in minima parte e appunto lo spazio era più luminoso. Per far capire la quantità di luce che è stata scoperta possiamo fare questo esempio: immaginate di essere a letto, svegli, in una notte particolarmente buia, con le tende aperte e di fissare le pareti della vostra stanza: se il vostro vicino di casa si sveglia e accende la luce la vostra stanza sarà più luminosa, ma non abbastanza da notarlo. Sono state sviluppate due ipotesi per spiegare il fatto: la prima, la più probabile, è che siano presenti più corpi celesti che contribuiscono alla luminosità dello spazio o dei buchi neri di altre galassie stanno attirando più energia rispetto ai modelli calcolati dagli scienziati. La seconda spiegazione, della quale gli studiosi sono più preoccupati, è che non sia stata identificata una fonte di luce che invece sarebbe dovuta essere notata da molto tempo. Inoltre alcuni fisici hanno elaborato un’altra teoria, dalla quale gli astronomi si allontanano poiché non fa parte delle loro competenze, ovvero che la luce trovata derivi dalla materia nera, sostanza ancora non chiara per l’uomo, da cui si pensa sia composto lo spazio dell’universo. Coloro che hanno sviluppato questa teoria partono dal presupposto che essa sia formata da una nuvola di particelle esotiche subatomiche, che scontrandosi e/o decadendo radioattivamente, si annientino tra di loro creando dei flash di energia che fanno brillare l’universo. La luce extra presente nell’universo risulta essere circa 10nWm2sr (nano watt per metro quadrato per steradiante). Con un risultato del genere c’è solo una possibilità su 3.5 milioni di sbagliarsi secondo gli studiosi. Ma in generale l’universo è nero? Non proprio, nei secoli passati è stato considerato giusto il seguente paradosso: poiché l’universo è infinito e statico tutte le linee di vista dovrebbero finire su una stella, quindi tutto lo spazio dovrebbe risultare luminoso come il sole. Oggi sappiamo con sicurezza che l’universo non è statico, ma al contrario si sta espandendo, perciò molte linee di vista non finiscono su una stella ma sulla materia luminosa che deriva dal Big Bang. La luminosità di questa materia si disperde via via nel tempo, e al momento è talmente offuscata che non è visibile ad occhio nudo. Quindi l’universo non è nero, ma la sua luminosità è per noi invisibile. 9
I vari canoni di bellezza nelle persone di Filippo Bellocchi Storia della bellezza L’esempio di perfezione fisica più antico che si possa trovare è una statuetta di pietra raffigurante la donna ideale della preistoria, soprannominata Venere di Willendorf dal luogo di ritrovamento, che ha un aspetto tutt’altro che perfetto per i canoni moderni più comuni; non ci sono esempi di bellezza preistorica ideale per gli uomini. Andando nell’antica Grecia e Roma, si può notare come nelle donne si esorti a non essere eccessivamente truccate o in forma, lasciando spazio ad una beltà piuttosto naturale con l’unico requisito di avere una pelle candida, mentre negli uomini si ricerchi un’armonia del corpo nei muscoli e nel colore della pelle, che deve essere bruna e scura. In tempi più recenti, nel corso dei vari decenni del Novecento, lo standard di bellezza è continuamente cambiato e si basava principalmente sugli artisti e modelli più famosi dell’epoca; come negli anni ‘50-’60, quando il più grande esempio di fascino femminile era Marilyn Monroe perché carismatica, famosa e formosa, il che era molto apprezzato ai tempi, mentre per gli uomini gli esempi più grandi furono Elvis Presley ed i Beatles, perché innovativi, giovani e sfacciati. Oggi non ci si basa più sull’essere in un determinato modo e sull’avere determinate caratteristiche, si cerca di non avere quelli che comunemente sono intesi come “difetti”, ad esempio l’avere cellulite o smagliature più comunemente per le donne e l’essere bassi o poco muscolosi più comunemente per gli uomini, e tutto ciò non per piacere a se stessi ma agli altri, ai nostri amici o in generale a chi ci conosce o segue sui social. Perché non può esistere la bellezza assoluta Può dunque esistere un canone fisso di fascino, stabile nel tempo? Molto probabilmente no, il perché è da ricercare nel passato: infatti solamente il secolo scorso ad ogni decennio che passava, emergeva una nuova figura di bellezza ed un nuovo standard da seguire per “essere belli”. Ma cosa vuol dire realmente essere belli? Piacersi o piacere? Personalmente, ritengo che ognuno dovrebbe apprezzare se stesso basandosi su ciò che preferisce e pensa sia meglio per lui, indipendentemente da cos’è di moda e cosa no, e non ricercare una perfezione che, se effettivamente esiste, un domani magari non più. Tuttavia, non sono d’accordo con chi afferma che tutte le persone sono belle, perché la vedo come un’imposizione ed una privazione di pensiero su cosa effettivamente possa piacere o no, essendo abbastanza impossibile che a qualcuno piaccia ogni tipo di apparenza fisica. Per concludere, la bellezza, sia di se stessi che degli altri, è un qualcosa di soggettivo, appartenente alla persona; la bellezza si basa su un gruppo di tratti apprezzati dal pensiero comune, ciò che affascina la maggioranza, ma essendo estremamente mutevole, è più utile basarsi su cosa piace a noi stessi senza preoccuparsi che sia comune o no, ma ritenendo almeno che sia giusto secondo il nostro pensiero. 10
L’AIDS di Sarrie Patozi
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l primo dicembre è stato dichiarato Giornata Mondiale contro l’Aids. Ma siamo davvero consapevoli di cosa sia? Spesso si tende erroneamente a sovrapporre l’HIV all’AIDS, non ponendo attenzione alla natura di queste due condizioni mediche. L’HIV (Human Immunodeficiency Virus) è un virus che attacca e distrugge principalmente un tipo di globuli bianchi, i linfociti CD4, “responsabili della risposta immunitaria dell’organismo”, come attesta il Ministero della Salute, e il sistema immunitario ne risulta così indebolito. L’infezione da HIV inoltre non ha una specifica manifestazione in quanto è possibile vivere per anni senza alcun sintomo e l’unico modo per “scoprirla” è sottoporsi allo specifico test. L’AIDS (Acquired Immune Deficiency Sindrome) invece “identifica uno stadio clinico avanzato dell’infezione da HIV”, e si rende palese nel momento in cui le cellule CD4 “calano drasticamente e il sistema immunitario perde la sua capacità di combattere anche le infezioni più banali”. Queste malattie opportunistiche sono provocate da agenti patogeni che normalmente non trovano riscontro nell'organismo di una persona sana e dei quali possiamo indicare i principali: • i protozoi tra cui lo Pneumocystis carinii e il Toxoplasma gondii. Il primo provoca un particolare tipo di polmonite che prende il nome di pneumocisti, il secondo è invece responsabile della toxoplasmosi, particolare malattia parassitaria che colpisce numerosi animali domestici e può attaccare anche l’uomo. • i batteri soprattutto il Mycobacterium tubercolosis, il bacillo responsabile della tubercolosi. • i virus ad esempio l'Herpes simplex, ne esistono due tipi: di tipo 1 (HSV-1) e di tipo 2 (HSV-2). L’HSV-2 in particolare causa principalmente l’Herpes genitale e aumenta il rischio di trasmettere o acquisire il virus HIV ed è tra le infezioni più comuni nelle persone con HIV. • i funghi come la Candida albicans, presente 11
nell'organismo umano allo stato saprofitario, ma può diventare patogena in specifiche condizioni provocando la candidosi. •i linfomi e in particolare il sarcoma di Kaposi, un tumore che prende origine dalle cellule che ricoprono l'interno dei vasi sanguigni o linfatici e il carcinoma del collo uterino, una malattia dovuta alla moltiplicazione incontrollata di alcune cellule situate a livello della giunzione squamocolonnare che si trasformano in cellule maligne. Nel 1987 è stato introdotto il primo farmaco antiretrovirale, la zidovudina e successivamente nel 1997 hanno fatto la loro comparsa gli inibitori della proteasi capaci di ostacolare l’avanzata del virus. Tuttavia c’è un continuo rinnovo di medicinali tra il novero di questi farmaci anche a causa della forte tendenza di mutazione dell’HIV: abbiamo ad esempio gli inibitori della fusione (impediscono la penetrazione del genoma virale nella cellula ospite), della integrasi (limitano l’applicazione virale) e della CCR5 (inibiscono il recettore CCR5 della cellula bloccando così l’entrata del virus). Attualmente i sieropositivi vengono sottoposti a una terapia altamente efficace chiamata HAART (Highly Active AntiRetroviral Therapy) che consiste in una combinazione di più farmaci. Va inoltre ricordato che le cure mediche non sono in grado di declassare completamente il virus ma aiutano a tenerlo sotto controllo e ridurne drasticamente la carica batterica: infatti un trattamento che sussiste da almeno sei mesi, rende il virus non trasmissibile (si parla in questo caso di U=U ovvero Undetectable=Untrasmissible).
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FAKE NEWS di Elisa Ciabatti In un periodo storico in cui tutti sanno tutto di tutti, i social sono ormai il miglior modo per comunicare qualsiasi tipo di notizia, ma bisogna prestare attenzione a ciò che si legge e condivide.
C
irca l'86% delle notizie su internet è falsa. L'oggettività, la credibilità del tema e il contesto contribuiscono ad accrescere la tendenza di alcune persone a credere a qualsiasi cosa venga loro detta. Di solito ci si affida alla presunta cultura del declamatore di fake news, altre alla fatica di comparare diverse fonti, altre ancora esclusivamente alla fiducia, ma è proprio a causa di questi piccoli comportamenti che poi una semplice notizia nata dal nulla, senza basi concrete, si diffonde in modo smisurato, girovagando a volte per tutto il globo. Già in tempi lontani, con i cantastorie medievali, i cosiddetti "affabulatori", circolavano tantissime storie totalmente inventate, raccontate però in un modo talmente veritiero che riuscivano ad assumere l'identità di racconti reali. È il caso di un famoso nobile fiorentino, il quale, a causa di una presunta relazione incestuosa, fu escluso dalla vita sociale di tutta la città e poi decapitato per ordine della Chiesa davanti a tutto il popolo; successivamente fu provato dagli storici che era tutto totalmente falso, messo in scena da un altro nobile, geloso dell'ingente ricchezza del malcapitato. L'inclinazione a credere a molte delle cose che ci vengono raccontate non è quindi un problema solo delle generazioni tecnologiche, ma è forse propria di molte persone, qualsiasi secolo esse vivano. Certo, ad oggi subiamo un bombardamento mediatico, molto più abbondante di quello che potevano avere nei secoli precedenti, che aumenta ancora di più il rischio di diffusione di vere e proprie fesserie. Un'azienda statunitense ha condotto un'indagine prendendo ad esempio i maggiori social utilizzati (Facebook, Youtube, Instagram, Twitter e Tumblr) ed ha dedotto che almeno una notizia su 3, tra quelle che ci appaiono sui nostri schermi, è falsa. Se ci soffermiamo a
pensare è un numero esorbitante, che ci mette davanti a come sia semplice ormai far circolare un qualsiasi tipo di notizia. La psicologa sociale Serena Ferrinetti ha affermato in un'intervista che "la società ormai è più legata a condividere che a vivere", spiegando come ad oggi le persone si soffermino a malapena a leggere ciò che condividono perché troppo concentrate a postare, a mostrarsi al mondo, ad essere integrati in un ambiente sociale che si declama sempre più acculturato. C'è infatti la necessità di far vedere ad altri che siamo in grado di avere le informazioni prima di tutti, che siamo il motivo per cui altre persone sono messe al corrente di una specifica notizia, che siamo più intelligenti di altri perché sappiamo, tramite l'utente Facebook @peppe261168, cosa succede nel mondo. La spasmodica voglia di condividere pensieri personali facendoli passare per verità assolute è un'altra delle cause della diffusa moda delle notizie false, che contribuisce ancora una volta a dare uno spaccato di una società senza basi culturali forti, manipolabile ed ingenua. Le fake news sono ormai entrate nella quotidianità di ognuno di noi, creandoci spesso allarmismi o preoccupazioni inutili su argomenti che meriterebbero solo una ricerca in più o una verifica delle fonti per smentire o confermare i nostri pensieri. Per questo è importante informarsi tramite più siti o documenti riguardo una determinata notizia, non lasciarsi ingannare dai grandi titoli, che da sempre sono i più comuni specchietti per le allodole delle testate giornalistiche, e soprattutto leggere attentamente e fino alla fine un qualsiasi documento prima di condividerlo o anche solo parlarne a sproposito. Perché ci si può sempre imbattere in un articolo menzognero come questo, fatto di dati inventati, persone inesistenti, aziende fantasma e pensieri estremamente soggettivi.
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I giorni che mancano alla maturità di Matilde Mazzotta e illustrazione di Francesca Tirinnanzi Cosa significa essere una ragazza che frequenta la quinta superiore durante una pandemia globale? Difficile a dirsi. Da sempre, o perlomeno negli ultimi 40 anni, la quinta liceo, l’ultimo anno delle superiori è stato visto come un traguardo e la maturità il premio finale dopo l’ultimo scatto. La scuola dopotutto è una corsa e al diavolo chi dice che studiare non è uno sport, non che sia mai stata un asso nelle discipline sportive, ma sono certa che la scuola possa essere definita come una maratona. Bisogna fare attenzione alle buche, alle sorprese dietro l’angolo; ci sono persone che hanno la fortuna di avere qualcuno che fa il tifo per loro, che gli porge una bottiglia d’acqua nel momento del bisogno o che addirittura li spinge, c’è chi purtroppo non ha l’aiuto di nessuno e c’è chi nemmeno lo raggiunge il traguardo. Ma una cosa è certa, prima o poi questo percorso finirà, prima o poi arriverà quell’ultimo scatto, quegli ultimi 80 metri dove già s’intravede la fine e tra la stanchezza, il fiatone, l’adrenalina e quell’atmosfera che pare quasi irreale uno dovrà affrontare se stesso per raggiungere finalmente il meritatissimo riposo. Come nelle maratone, del resto, non è importante arrivare primi, certo sarebbe una bella soddisfazione, ma non è questo il punto: il punto è arrivare alla fine sapendo di essersi impegnati al massimo, sapendo di aver dato il tutto per tutto e di aver raggiunto quel risultato, quel premio con le proprie forze. E alla fine, nonostante la fatica, sono quegli ultimi attimi, poco prima dell’arrivo, ad essere i più significativi. La quinta superiore, la coronazione di una vita passata tra i banchi, notti insonni e preghiere dietro ai libri durante l’ora di quell’odiata materia, sancisce la fine dell’adolescenza e l’entrata nel mondo reale, quello degli adulti dove improvvisamente devi diventare una persona responsabile, fare delle scelte che avranno delle effettive conseguenze. La quinta superiore, in sostanza, è l’anno del “ora o mai più”. È quel periodo della vita di uno studente dove sì, ci dev’essere la serietà dello studio, ma c’è anche quella fierezza nel sentirsi i veterani della scuola, attraversare i corridoi sapendo di aver già vissuto tutto quello che gli altri ragazzi stanno vivendo. È l’ultimo anno nel quale ti sarà possibile scherzare con un bidello, con un insegnate, dove farai follie e penserai “al diavolo, se non adesso, quando?”, è l’anno in cui ti fermerai a pensare “mi ricapiterà mai più un’occasione del genere?”, “è l’ultima volta che aprirò questo libro, per questa lezione, per questo giorno della settimana?” e così via… L’anno delle ultime occasioni. 14
Sì, senz’altro dopo c’è chi sceglierà l’università, chi magari avrà il fegato di studiare medicina e potrà stare tranquillo, il mondo del lavoro lo incontrerà tra una decina d’anni. Eppure non è la stessa cosa, all’università, come sempre ripetono tutti gli insegnanti delle superiori, sei solo. Sei un adulto. Le scelte che prenderai avranno delle conseguenze, delle ripercussioni e d’accordo, magari avrai la fortuna di poter contare su dei genitori celestiali che si faranno carico dei tuoi danni e che riusciranno a rimediare ai tuoi errori. Ma tu sarai comunque un adulto, non più un ragazzo, che tu te ne accorga subito o meno. Quindi ora o mai più, no? Sentirsi il re dei corridoi, fare scherzi agli insegnanti, sperando che non abbia ripercussione sull’esame, il ballo finale, la complicità con i compagni, quella vita come ce la insegna la televisione italiana degli anni novanta. Che una vita del genere, o anche soltanto che il sogno di una vita del genere esista o meno, non è “affare” della classe 2020-2021. Sappiamo tutti che la pandemia ha cambiato ognuno di noi, ci ha privato del contatto con le realtà e allo stesso tempo non è mai stata tanto vivida davanti ai nostri occhi e proprio per questo, irraggiungibile. Come se fosse costantemente ad un passo da noi, abbastanza vicina da poterla sfiorare, non abbastanza da poterla toccare, farla nostra. E’ questo l'obiettivo della quarantena, giusto? Il distanziamento fisico e, non volontariamente, mentale. Ironicamente, l’unica azione effettiva che possiamo fare per evitare l’avanzamento di questo mostro immateriale, il virus, è isolarci, non fare niente. Rimanere nel nostro. Ci dicono di “unirci nello spirito”, di “stare lontani oggi per abbracciarci domani”, ma quando arriva questo domani? Quando potremo smettere di rimandare e quando, soprattutto, saremo in grado di riprendere in mano le nostre vite? In questo contesto sembra impossibile non sentire il desiderio di evadere, di andare oltre, scavalcare la realtà per vivere in una dimensione lontana, sognare e perderci. Quindi noi adolescenti, diciassettenni, diciottenni, diciannovenni, ventenni, qualsiasi sia la nostra età, quest’anno dovremo affrontare un esame di stato che definirà, in parte, la persona che potremo diventare. Noi, individui a metà tra l’essere bambini e adulti dobbiamo scegliere CHI diventare in questo presente in cui il domani non esiste. In un presente che cambia costantemente: “oggi zona rossa, domani si vedrà”. Ci chiedono di concentrarci sulla consegna di lunedì, sulla verifica che ci sarà quando torneremo in presenza, sulla maturità a giugno e sul percorso che vorremmo intraprendere come adulti. Così tanti futuri diversi, più vicini e più lontani e nessuno che sembra avvicinarsi veramente. Forse ci chiedono cosa vogliamo fare un domani per farci scordare quello che abbiamo perso oggi, quello che siamo costretti a rimandare. Un giorno ritornerò a scuola, un giorno potrò riabbracciare gli amici, tornare a chiacchierare normalmente coi compagni, fare il galletto veterano che si aggira per i corridoi squadrando i primini. La possibilità di sognare, talvolta, sembra essere l’unica cosa rimasta. Sarà perché, fin da piccoli, viviamo in questo assurdo sogno della gioventù che non tornerà mai 15
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più. Aspettative, riposte nell’adolescenza e in particolare racchiuse in quest’ultimo anno di superiori, che rimarranno tali e che continueremo a portarci dietro sperando che un giorno si avvereranno. Esperienze, all’apparenza banali, tradizioni infantili che però ci sono sempre state definite come necessarie per la crescita. Ricominciamo col circolo vizioso. Sogniamo, ci perdiamo, ci dissociamo dalla realtà e ci concentriamo sul domani, ma non quello che gli adulti vorrebbero per noi, piuttosto quello che non possiamo vivere oggi. Stiamo lontani oggi e domani chissà. Questo dovrebbe essere il motto perché ormai l’hanno capito pure i pesci rossi: nessuno può definire il futuro, non possono i medici, gli scienziati, i politici e di certo non i negazionisti, quindi come potremmo mai noi? Il nostro futuro un giorno arriverà, volendo o non volendo il liceo arriverà alla fine e noi ci ritroveremo soli. Ma ormai ci abbiamo fatto l’abitudine, no? Sarebbe bello poter pensare che non tutto il male vien per nuocere e questa esperienza non è da buttare, né da dimenticare. Indubbiamente è un anno diverso, gli ottimisti direbbero che è unico, considerando tutto però sappiamo già di non avere le facoltà di fare previsioni sul futuro. Non possiamo sapere se occasioni del genere ricapiteranno, ma non riguarderà noi. La nostra maturità è quest’anno, tra sei mesi, non tra sei anni. Questa è la nostra coronazione di una vita passata tra i banchi, dell’adolescenza, della nostra infanzia. Questa è la nostra quinta superiore e di nessun altro. Nemmeno del virus. Non voglio ripetere le classiche perle filosofiche, profetiche, non sono il messia di nessuno, ma è un dato di fatto che il mondo sta cambiando, noi stiamo cambiando, la scuola sta cambiando. Da luogo di crescita, socializzazione e apprendimento, dove dovrebbero nascere le curiosità, svilupparsi gli interessi, in modo da facilitarci la scelta della carriera lavorativa, è diventata un fine, non uno strumento. L’ansia della consegna, la paura della scritta “mancante” su Classroom, l’assenza di umanità e la consapevolezza che non c’è lo spazio per le distrazioni, per staccare un attimo, ogni lezione è essenziale, il programma va rispettato e siamo tutti terribilmente in ritardo. Una macchina priva di interessi. Non è colpa degli insegnanti, non è colpa degli studenti, è colpa di una situazione in cui se un’istituzione ha delle falle queste vengono a galla. Dove o si trova il modo di sfruttare al meglio le potenzialità o si cala a picco. Più che un film italiano degli anni novanta, sembra un apocalittico. Ma su con lo spirito, siamo in quinta superiore, durante una pandemia globale, isolati nelle nostre case, ad affrontare le aspettative che i nostri insegnanti e parenti ripongono in noi, cercando di rimanere in pari con le scadenze del programma scolastico attraverso collegamenti in cui a malapena riesce ad essere trasmessa una lezione, in un momento della nostra vita in cui dovremmo concentrarci sul percorso che vorremmo affrontare nella vita e senza che nessuno si preoccupi di indicarci una strada, sempre che comunque università e lavoro rimangano gli stessi. Ma siamo giovani. Possiamo affrontare tutto. Questa situazione già sembra una barzelletta, una storiella che tra qualche anno racconteremo ai nostri figli, o ai figli di amici, e riceveremo sguardi meravigliati pieni di ammirazione. Sarebbe bello pensarla così, la verità è che non abbiamo la più pallida idea delle sorprese che il futuro ha in serbo per noi. Chissà cos’altro dovremmo sopportare e cos’altro in passato le persone hanno già affrontato. La storia del resto è piena di pandemie e di anni sfortunati che non sembrano finire mai, eppure in qualche modo siamo andati avanti. I nostri nonni e bisnonni hanno affrontato la guerra contro popoli nemici, noi ne stiamo affrontando una contro la volontà di crollare, dobbiamo solo resistere un altro po’ e poi un altro po’ ancora. Per quanto possa sembrare una frase uscita da un biscotto della fortuna è la vita ad essere una maratona. Saremmo in quinta superiore, ma siamo soltanto i primini della vita. Pandemia o meno, adolescenza o meno, non saranno nove mesi a definire le persone che diventeremo, temo sia arrivato il momento di sfatare il mito della quinta superiore. Uno può essere giovane quando vuole. 17
La libera informazione finisce in galera di Alessia Muça e Diego Braschi
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n rapporto del Committee to Protect Journalists (CPJ), che viene stilato ogni anno, rivela che in questo 2020 sono stati incarcerati 380 giornalisti (senza contare coloro che sono stati successivamente scarcerati). Due terzi dei giornalisti sono stati accusati di crimini anti-statali come il terrorismo o l’appartenenza a gruppi vietati, mentre circa il 20% dei restanti, è stato incarcerato senza un'accusa pubblica. Julian Assange è un giornalista australiano nonché il più importante fondatore di WikiLeaks, famosa organizzazione che si occupa di pubblicare documenti in diversi formati denuncianti varî crimini di governi o personaggi di rilievo. La vicenda inizia il 18 Novembre del 2010, quando il tribunale di Stoccolma emette un mandato europeo di arresto successivamente alla denuncia di molestie da parte di due donne (una delle quali si rifiuterà poi di firmare le sue stesse dichiarazioni) rivolto al giornalista; così, il 7 Dicembre, egli si presenta spontaneamente a Scotland Yard venendo quindi arrestato, mentre la Svezia ne richiede alla Gran Bretagna l’estradizione, che verrà approvata nel Novembre 2011. Tuttavia, data la coincidenza temporale tra l’emissione del mandato di arresto e la pubblicazione su WikiLeaks di alcuni documenti diplomatici statunitensi e la preoccupazione che dalla Svezia potesse poi essere estradato negli Stati Uniti (dove potrebbe essere condannato a 175 anni di prigione o addirittura alla pena capitale con un processo per spionaggio), nel Giugno 2012 chiede asilo politico all’ambasciata dell’Ecuador, che verrà concesso in Agosto; rimarrà nell’ambasciata per sette anni, nei quali, durante le elezioni USA del 2016,
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diffonderà posta elettronica privata di Hillary Clinton (di quando era in carica come Segretario di Stato) confermando la partecipazione di Arabia Saudita e Qatar alla formazione e al sostegno dell’ISIS e ponendo forti sospetti sulla collaborazione degli stessi Stati Uniti. Nel 2017 dichiarò di potersi consegnare alle autorità statunitensi se queste avessero liberato Chelsea Manning, exmilitare accusata di aver consegnato a WikiLeaks documenti tra i quali un video riguardante l’uccisione, durante la guerra in Iraq, da parte di due elicotteri militari USA di diciotto civili disarmati a Baghdad, e perciò condannata sette anni prima a 35 anni di prigionia (in condizioni non augurabili): fortunatamente l’autoconsegna non fu
necessaria, giacché il governo americano le concesse la scarcerazione. L’11 Gennaio 2018 l’Ecuador concesse a Julian la cittadinanza del Paese. Nel 2019 tuttavia il paese dell’America latina, con il nuovo presidente eletto due anni prima, dà alla polizia londinese il permesso di prelevare il giornalista (dichiarando poi che la cittadinanza gli era stata “sospesa”), che viene condannato il 1 Maggio ad una pena di 25 settimane nella famigerata prigione di Sua
Maestà Belmarsh (HM Prison Belmarsh) e 25 in libertà condizionata; immediatamente gli Stati Uniti riaprono l’inchiesta sul legame tra Manning e WikiLeaks e la Svezia riapre il caso sulle molestie (lo chiuderà a Novembre per mancanza di prove). Si scoprì poi che Assange era stato sottoposto a spionaggio durante gli anni di permanenza nell’ambasciata, all’insaputa del governo Ecuadoregno. Il 30 Maggio non compare all’udienza in videolink poiché troppo malato, quando la settimana prima Nils Melzer, relatore all’ONU sulla tortura e i trattamenti inumani, aveva esortato i governi coinvolti a fornire un risarcimento e una riabilitazione a Julian e aveva espresso preoccupazione nel caso di estradizione negli Stati Uniti. Il 31 Luglio il Comitato nazionale democratico, principale organizzazione di governo dell’omonimo partito statunitense, perse una causa con cui accusava WikiLeaks di collaborare col governo della Federazione Russa, venendo così messa a tacere una considerevole parte di coloro che sospettavano tale sinergia. Si giunge al Settembre 2019, finalmente sta per essere concessa al giornalista la scarcerazione, ma questa gli viene negata. Nel Dicembre di quell’anno viene creata da un numeroso gruppo di giornalisti di moltissimi Paesi la petizione Speak up for Assange con l’intento di ottenerne la liberazione. Il 27 Gennaio 2020, in Belgio, viene fatto a gran voce un appello da importanti personalità ed associazioni al governo Belga per riconoscere lo status di rifugiato politico a Julian, ed una cosa simile viene organizzata anche in Germania a Febbraio. Il 28 Gennaio l’Assemblea parlamentare del consiglio d’Europa approva unanimemente un emendamento col quale si unisce a Melzer nel richiedere il rilascio di Assange e il divieto di estradizione negli USA. A Febbraio iniziano le udienze, alle quali Julian partecipa in condizioni di condizionamento, in quanto esse si svolgono in un tribunale per crimini terroristici, lui è costretto in un box isolato dai suoi avvocati (un’udienza è stata interrotta solo perché si è avvicinato al vetro separatore), ma anche per via dei trattamenti subiti in prigione. L’ultima fase del processo è cominciata a inizio
autunno: Julian non può vedere nessuno (ha visto la compagna poche settimane fa dopo mesi), nemmeno i suoi avvocati; ancora l’esito non è sicuro, ma è probabile che Assange verrà estradato negli Stati Uniti dove, è bene ribadirlo, lo aspetta una condanna di 175 anni o a morte. Ciò che dobbiamo capire noi, leggendo e seguendo la vicenda di questo giornalista (uno dei pochi che si merita ancora tale qualificazione) è che, se andasse in porto il progetto di distruggere Assange, saremo tutti in pericolo: sarà il segnale chiaro, come se la sua storia non lo fosse già, che la libertà di stampa è in un momento buio, e con essa varie altre cose che diamo per scontate. Per proseguire, uno degli autori più noti della Turchia, Ahmet Altan, incarcerato dal 2016, con l'accusa di aver appoggiato il Colpo di Stato (fallito) finalizzato al rovesciamento del regime di Erdoğan avvenuto lo stesso anno, dovrà scontare altri 6 anni di prigionia a Istanbul.
Non si tratta di semplici casi isolati, i giornalisti sono da sempre soggetti ad accuse (si parla di "infondate") da parte delle autorità; il problema quindi sorge quando ci troviamo di fronte a queste ingiustizie senza poter fare nulla, o ancora peggio, come sta succedendo, durante il periodo di emergenza, sanitaria e politica, senza neanche poterne venire a conoscenza (poiché come è avvenuto quest'anno 130 di loro sono stati incarcerati con la sola accusa di aver comunicato informazioni sulla crisi). Volendo riportare alcuni dati, in Cina sono stati incarcerati 117 giornalisti, in Arabia Saudita 34, in Egitto 30, in Vietnam 28 e in Siria 27. 19
LOUJAIN ALHATHLOUL, una vita per la libertà di Giulia Agresti
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oujain al-Hathloul ( ﻟـﺠﯿﻦ اﻟﮭـﺬﻟـﻮلin arabo) è un’attivista e social-media influencer saudita che si batte per i diritti delle donne nell’Arabia Saudita. È stata nominata terza nella lista del 2015 delle 100 donne arabe più influenti e nel 2019 una delle 100 persone più influenti al mondo. La sua attività nasce dalla richiesta di permettere alle donne di guidare attraverso il movimento Women to drive, di cui è la leader. È riuscita il 26 settembre 2017 a far emanare un decreto reale sulla sospensione del divieto, ma ha pagato il risultato a caro prezzo. Nel 2014 è stata tenuta in prigione per 73 giorni per aver guidato al confine degli Emirati Arabi Uniti, nonostante avesse una patente valida. Loujain ha provato a presentarsi come candidata per le elezioni locali saudite del 2015, ma è stata esclusa. A settembre del 2016 ha iniziato una petizione con altre 14000 attiviste per porre fine al cosiddetto ‘sistema del guardiano’, secondo il quale la donna deve sottostare a un uomo ‘guardiano’ che la controlli in ogni momento della sua vita. Successivamente, accusata per aver ‘sfidato’ il governo, è stata arrestata al King Fahad
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International Airport a Dammam e non le è stato concesso di vedere un avvocato o chiamare la sua famiglia.
Ma il vero incubo per Loujain è iniziato nel 2018: nel mese di marzo è stata rapita mentre si trovava negli Emirati Arabi Uniti e deportata in Arabia Saudita, da cui non le è stato concesso più di uscire. A maggio invece è stata arrestata senza alcun motivo valido e da allora è rimasta chiusa in prigione. Durante questi
anni è stata torturata, picchiata e violentata, suscitando la preoccupazione non solo della famiglia, ma anche del Parlamento Europeo. Alia Al-Hathloul, sua sorella, ha raccontato i terribili metodi usati per far confessare a Loujain crimini fittizi: oltre ad elettroshock, fruste e abusi sessuali, vengono utilizzate anche forme di tortura psicologica, quali obbligare la donna a spogliarsi davanti alle guardie della prigione, farle credere che alcuni membri della sua famiglia siano morti o minacciare di uccidere un suo parente e lasciare il suo cadavere nelle fogne. Il primo marzo 2019 il procuratore dell’Arabia Saudita ha deciso di iniziare un processo contro di lei per aver minato la sicurezza dello stato, ma nessuno è potuto entrare in tribunale. Da maggio 2020 a causa della pandemia per lunghi periodi non si sono avute più notizie di Loujain, aumentando l’inquietudine dei suoi cari che durante la loro ultima visita l’avevano trovata in condizioni disumane, con lividi violacei su tutto il corpo e non in grado di camminare. Nonostante sia stata sollecitata da più paesi e organizzazioni internazionali in varie occasioni, l’Arabia Saudita ancora si rifiuta di lasciar uscire la donna e il 29 novembre 2020 ha deciso di trattare il suo caso come terrorismo. La donna rischia ad oggi di essere tenuta per altri venti anni chiusa in carcere o addirittura di essere sottoposta alla pena di morte. Purtroppo Loujain non è la prima e non sarà l’ultima donna a essere privata dei suoi diritti. In Arabia Saudita le donne subiscono una vera e propria discriminazione: nel Global Gender Gap Report del 2016 del World Economic Forum il paese si è classificato 141esimo su 144 paesi rispetto alla parità di genere. A causa del sistema del guardiano, le donne non possono interagire con altri uomini al di fuori delle mura domestiche senza il consenso del loro tutore e prima del 2018 non potevano guidare autovetture o prendere mezzi di trasporto da sole. Inoltre, non hanno alcun diritto sulla scelta del marito, ma la famiglia sceglie per loro in base al ricavo che può trarre dal matrimonio. Si formano così nozze che sarebbero non solo impensabili, ma addirittura illegali nel nostro paese: anni fa una ragazzina
di 12 anni ha sposato un uomo di 80. In aggiunta, se il marito chiede il divorzio, la donna non può ottenere la custodia del proprio figlio. Anche le attività sportive sono concesse solo agli uomini e le scuole prevedono lezioni
di educazione fisica esclusivamente per gli studenti maschi. Si è ottenuto un grande passo avanti in questo settore nel 2012, quando è stato permesso per la prima volta ad alcune atlete saudite di partecipare alle Olimpiadi. Per quanto riguarda il mondo del lavoro, le donne possono avere un’occupazione solo in luoghi riservati ad un pubblico esclusivamente femminile o nella vendita di biancheria intima e cosmetici. Proprio per questo circa 1,7 milioni di donne saudite sono disoccupate, nonostante oltre il 50% di esse abbia una formazione universitaria. Infine, una legge emanata nel febbraio del 2013 vuole che tutti i negozi abbiano dei veri e propri muri alti 1,6 metri per separare i due generi. La strada per l’emancipazione femminile in Arabia Saudita, così come in molti altri paesi, è molto lunga; riusciremo mai a capire che tutti gli esseri umani devono essere trattati ugualmente? 21
“ARTOGRAPHY” disegni di Rebecca Poggiali e foto di Silvia Brizioli Per questo numero abbiamo deciso di proporre due figure maschili, entrambe inerenti al tema del “fantasy”. L’ambientazione è quasi inalterata: il lavoro si concentra principalmente sulle figure dei due ragazzi, mettendo in risalto le parti del viso che più catturano l’attenzione, e modificandole in modo tale da restituire l’atmosfera fantastica.
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La post-produzione in tavola grafica si basa proprio su questo: individuare i dettagli della foto che più saltano all’occhio, per poi modificarli, aggiungendo successivamente i dettagli. La parte più difficile di questo processo consiste nel rendere le parti disegnate il più possibili omogenee con la foto, attraverso l’utilizzo dei pennelli e delle texture adatti, e cercando di riprodurre i colori esatti della fotografia, in modo tale da non far notare alcuno stacco tra disegno ed immagine.
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La mia pittura di Daniele Gulizia Questo dipinto è stato concepito durante la mia prima quarantena (a novembre) quando, malato, ero costretto a passare le giornate passando molto tempo a letto. Così, molto istintivamente, ho deciso di immortalarmi in quel momento, nel tentativo di dare anche un senso a delle giornate che erano inevitabilmente molto vuote. Rifiutando gli stereotipi di genere, ho deciso di immortalarmi in una posa che potrebbe essere considerata “femminile”, con vari richiami alla curva (nell’inclinazione delle clavicole, nella disposizione della coperta e del volto) e delle movenze molto morbide e delicate. L’ambiente è la mia camera con le sue pareti verdi, una lampada che, accesa, emette una luce molto calda ed il letto (non rifatto) dove stavo trascorrendo quei giorni. Al verde della parete ho contrapposto i toni rosati della pelle così come al giallo/aranciato della felpa ho accostato la coperta blu ed il lenzuolo viola (verde/rosso, giallo/viola ed arancione/blu sono colori complementari tra di loro, se accostati, si risaltano a vicenda). Il vaso con la rosa sullo sfondo, concepito in prospettiva (si guardi la linea del letto) ha un significato simbolico, molto relativo al momento nel quale l’opera è stata ripresa e proseguita. Come nel resto dei miei dipinti, quel che ho ricercato non è un realismo accademico ed una attenzione morbosa al dettaglio: piuttosto, ho dato risalto ai colori (il vero motore della mia concezione della pittura), alla composizione, ma ancor di più (come mi ha sempre insegnato una pittrice che è stata fondamentale nella mia “crescita pittorica”) ho fatto attenzione al mio sguardo, dove è racchiusa la vera essenza di qualsiasi soggetto si voglia rappresentare.
In una celebre e fulminea parabola Borges parla di un pittore che dipinge paesaggi; regni, montagne, isole, persone. Alla fine della sua vita si accorge di aver dipinto, in quelle immagini il suo volto; scopre che quella rappresentazione della realtà e il suo autoritratto. La nostra identità è il nostro modo di vedere e incontrare il mondo: la nostra capacità o incapacità di capirlo, di amarlo, di affrontarlo e cambiarlo. Si attraversa il mondo e le sue figure, sulle quali si fissa lo sguardo, ci rimandano come uno specchio la nostra immagine, le nostre immagini che, man mano si avanza verso la meta finale del viaggio, restano indietro, appartengono via via a un tempo non più nostro, relitti che si accumulano nel passato. W. Benjamin
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‘Me’ Olio du tela, 60 x 80
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PASTELLI AD OLIO La Tinozza di Edgar Degas di Erica Settesoldi, Caterina Megli, Viola Fanfani, Fabiola Mannucci, Gregorio Bitossi e Silvia Monno Edgar Degas, nato nel 1834 a Parigi, rappresenta la linea realistica dell’Impressionismo: la volontà di dipingere ciò che si vede direttamente dal vero si unisce in questo artista all’intento di ottenere l’effetto della visione momentanea. La vocazione realistica di Degas è evidente nella scelta dei temi legati alla vita della società dell’epoca, come le corse dei cavalli o le ballerine dell’Opéra, con molta attenzione ai vari tipi umani e alla loro psicologia. A differenza degli altri Impressionisti, Degas era poco interessato al mondo paesaggistico e naturale; egli preferiva realizzare i suoi quadri in studio, ritraendo figure umane solo dopo una lunga fase preparatoria. Proprio Edgar Degas è stato uno dei più grandi artisti ad utilizzare la tecnica dei pastelli ad olio.
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Questa tecnica risale al XV-XVI secolo, probabilmente inventata in Francia. Inizialmente i pastelli ad olio venivano creati miscelando pigmenti di origine naturale, acqua e altre sostanze che fungevano da collante. Solo successivamente, nell'800, si iniziarono a produrre i pastelli ad olio artificialmente.
Alcune delle opere di Degas piĂš importanti realizzate con tale tecnica sono gli studi di nudo femminile della serie de La Tinozza, raffiguranti delle donne “spiate dal buco della serraturaâ€?, come lo stesso artista definiva i protagonisti dei suoi ritratti, in scene di vita quotidiana. In queste pagine proponiamo alcune nostre riproduzioni.
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JORIT AGOCH
Una vita con la bomboletta di Silvia Monno Jorit Agoch, all’anagrafe Jorit Ciro Cerullo, è un artista di street art, nato e cresciuto a Quarto, nel Nord di Napoli. Laureato all’Accademia di Belle Arti di Napoli con il massimo dei voti, nonostante non frequentasse molto le lezioni perché sempre occupato a dipingere qualche treno, ha approfondito la materia in cui riversava tanta passione e uno sconfinato interesse nonostante il mondo che lo circondava inizialmente non gliene avesse data la possibilità. Compie diversi viaggi all’estero, durante e dopo gli studi, il più importante dei quali è sicuramente quello in Africa nel 2005: qui Jorit rimane affascinato da una natura umana completamente diversa da quella che ormai si era abituato a vedere in Europa. Gli artisti del posto dipingevano non solo ciò che l’occhio poteva vedere ma anche ciò che l’anima era in grado di percepire. Questo viaggio segna a vita Jorit che da allora si interessa allo studio del volto umano e alle Foto da https://www.albatrosmagazine.net/ sensazioni che esso può trasmettere. coverstory/jorit-agoch Derivante probabilmente da questa esperienza è particolarmente famosa la serie di murales "Human Tribe", che ritraggono volti umani con delle strisce rosse sulle guance, tipiche di alcune tribù africane che appunto si tingevano il volto per mostrare l’appartenenza ad una determinata tribù. Queste opere sono realizzate con la tecnica delle bombolette spray, e l’importante messaggio che l'artista vuole trasmettere è di uguaglianza. Tutti i volti da lui dipinti hanno le stesse strisce rosse sulle guance, appartengono quindi tutti alla stessa grande tribù. Tecnicamente parlando, prima di procedere con il colore, Jorit si aiuta con delle "X" che fungono come una specie di quadrettatura, quindi servono per riportare correttamente le proporzioni. Prima della realizzazione effettiva dell’opera, l’artista riporta sul muro alcune frasi celebri del soggetto che ha scelto di ritrarre. Come ha affermato Jorit durante l’intervista a cura della https://videoinformazioni.com/jorit-agoch-eprofessoressa Stefania Silvari, per dipingere utilizza tutti pier-paolo-pasolini-un-nuovo-lavoro-ai tipi di tappini, e non si preoccupa poi molto di eventuali errori, poiché può sempre ripassarci sopra, in quanto lo spray è molto coprente. “I committenti delle opere possono essere sia pubblici sia privati”, spiega Jorit, “gli enti pubblici spesso però lasciano più libertà all'artista”. Riprendendo le parole della nostra intervistatrice, Jorit Agoch è un artista serio e diligente, pieno di tanta passione ancora da esprimere, e né lui né i suoi collaboratori si sono mai staccati dalla bomboletta! 28
ESPLORANDO L’ITALIA di Sofia Vadalà
SAN GIMIGNANO, PATRIMONIO DELL’UNESCO San Gimignano è un paesino che conta circa 7.743 abitanti e si trova proprio in Toscana, nella nostra regione, su una collina della Val D’Elsa, non molto distante da Montepulciano. È un luogo ricco di storia caratterizzato da vicoli molto stretti che tuttavia conservano il loro fascino; fu abitato addirittura dagli etruschi nel III sec. A.C, e si trovava lungo la via Francigena che, percorsa dal vescovo Sigerico, fu denominata “Sce Gemiane”. Più avanti nella storia, precisamente nel 1199 il paesino, avendo già una propria economia fiorente, riuscì ad ottenere la propria indipendenza comunale dai vescovi di Volterra; purtroppo la crisi del Trecento fece sì che anche questo piccolo borgo si consegnasse a Firenze. Nel Novecento fu riscoperto e dichiarato patrimonio dell’Unesco. San Gimignano è inoltre celebre soprattutto per le torri medievali che venivano costruite dalle grandi famiglie, simbolo della loro potenza; per la precisione ne troviamo 72. Personalmente, credo che potrebbe essere un’ottima meta per conoscere un po’ meglio la Toscana, trascorrere un momento in famiglia lontano dalla confusione della città ed ammirare gli splendidi paesaggi.
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Icché tu dihi: il dialogo De rerum natura (di no’attri) delLa Franca e di Pietro Santi Personaggi: Lorenzo il Magnifico (LM) Marsilio Ficino (MF) Angelo Poliziano (AP) Ambientazione: Villa del Cafaggiolo, verso le quattro pomeridiane del dì 27 ottobre 1491. E’ nostri tornano da una breve passeggiata fora nel parco della Villa. MF- Oggi ‘l tempo parmi frigido, come ‘l dì decimo secondo di gennajo dell’anno ‘76, quande eramo ancor giovini. AP- Sic est! Or non sovviemmi lo anno da te rammentato, tamen al dì d’oggi interviene che v’è freddo e ritengo menomal che ‘n tal modo ei sii, giacché la natura sic ha stabilito ‘n tempi a noi immemorabili et non cognoscibili. Quande dall’Uno s’emanorno l’altre sostanze, e mente et idee, nel del mondo ‘l vago tempo di sua verde etate, spargendo ancor pel volto il primo fiore [Poliziano, Stanze per la giostra, versi 1-2]. LM- Ahi, reciti quel passo di tal poësia che favella le gesta e l’amor del frate mio estinto, data la fatal coniura che ruïna su mi’ famiglia stavéa pe’ gettar. Tamen gl’è iusto porre taï versi acciò di prencipiar concione ‘ntorno alla natura, abito dell’omo. Dicéano così, dirigendosi verso l’entratura di dreto della gran Villa. MF- Ben dicesti, O Lorenzo mio, sendo ver il fatto che natura sii abito felice dell’omo. Non vedi tu in fatti l’arberi belli ergentisi, chiome viridi, in sul parco che già avémo trapasso? Né vedi tu ‘l cielo azzuro interrupto ormai da rosee nuvole? E la Sieve che placida flue, non odi ‘l suo flebil romore? Puto te haec vidēre et audire. 30
LM- Molte òitte davvero, Marsilio amico mio, sonmi ritrovo a mirar il quïeto creato delle toscane campagne. AP- A questo punto giunti, non posso trattenermi dal recitare altri mia versi: Eran d’intorno violette e gigli fra l’erba verde, e vaghi fior novelli azzurri gialli candidi e vermigli: ond’io porsi la mano a côr di quelli per adornar e’ mie’ biondi capelli e cinger di grillanda el vago crino. Natura è pur stromento che l’omo puote adoperar, ma godendo de’ frutti sua, nondimanco gl’è obbligato a rispettar l’ordo da essa statuto et essa istesima. Lice in fatti che l’omo non ruïni l’opra grande edificando superbi e biechi edifizî, che, sconta di guardar, l’occhio prefere far le palpebre giuso; et oltra che diri magnati faccin lagorar più del dobbiuto la terra; che attendino da questa solo profitto e sudicio dinaro sanza che riposo le dieno. Ma verrà un giorno la figlia di Isvezia, Greta Tumberga, che, humanitate mala facta, torrà a questa il che impudente prese. Poscia ‘l lungo e profetico concione del Poliziano, già all’entratura arrivorno, et toltisi l’onuste vesti, pe’ corridoi della Villa prencipiorno ad ambulare LM- Non reputo che da settentrione possi giugner alcunché di bono, non i Franchi, non i Teutoni, allor manco e’ Normanni dall’asce bipenne. Tamen nella Res Medicea Publica della civitate florentina, giammai la natura verrà mal trattata, in guisa di ciò intorno cui pria favellasti. MF- Domine! O che bojate andavi tu narrando, o Angelo mio! Come puote l’omo divenir sì diro da tentar d’occider il creato! Ch’i’ non vegga tal disgrazia! I’ confido nell’anima umana, perno et iunctio tra Dio e materia, sic in charta, sic in realitate. Ho speme che quella intrinseca parte degli Angeli che rende l’omo tale, dimori ancor in questo, che possa indurlo ad agir bene. LM- Orsù! Il che sie, non ci è dato cognoscere, adunque: chi vuol esser lieto sia: di doman non v’è certezza. [Canzona di Bacco, vv 3-4]
Lunetta raffigurante la villa del Cafaggiolo: opera di Giusto Utens.
Link dell’immagine dello stemma dei Medici: https://commons.wikimedia.org/wiki/ File:Coat_of_arms_of_the_Grand_Duchy_of_Tuscany_(1562-1737).svg Autore: F l a n k e r 31
DIEGO ARMANDO MARADONA di Niccolò Bettini e Filippo Del Corona IL VINCENTE PERIODO A NAPOLI... Nel 1984 Maradona si trasferisce dal Barcellona al Napoli e, con l’aiuto de El Pibe de Oro (“Il piede d’oro”), la squadra vinse il suo primo scudetto nel campionato 1986-1987. Il Napoli vinse anche la sua terza Coppa Italia, vincendo tutte le 13 gare e l'accoppiata scudetto/coppa fu un'impresa che fino a quel momento era riuscita solo al Grande Torino e alla Juventus. Nella stagione 1987-1988 il Napoli, avendo vinto lo scudetto, partecipò per la prima volta alla Coppa dei Campioni, da cui fu eliminato dal Real Madrid. In campionato, il Napoli, fino alla ventesima giornata, mantenne cinque punti di vantaggio sulla seconda e, perdendo quattro delle ultime cinque partite, venne superato dal Milan. Maradona comunque fu capocannoniere del torneo con 15 reti all'attivo. Nel 1994 un pentito camorrista sostenne che Maradona e compagni avessero venduto lo scudetto su pressioni del Clan Giuliano di Forcella che, in caso di vittoria dello scudetto da parte dei partenopei, avrebbe perso decine di miliardi nelle scommesse clandestine, accuse che successivamente si riveleranno infondate. Nel 1989 il Napoli sfiorò la tripletta, concludendo il campionato ancora al secondo posto dietro l'Inter, arrivando in finale di Coppa Italia e vincendo la Coppa UEFA (terzo titolo internazionale). Durante l'estate del 1989, Maradona fu quasi sul punto di trasferirsi all'Olympique Marsiglia: aveva già firmato il contratto, ma poi il presidente del Napoli, Corrado Ferlaino, bloccò la trattativa. Nella stagione 1989-1990 il campionato fu riconquistato dal Napoli e Maradona si presentò al mondiale di Italia 1990 fregiandosi del titolo di campione d’Italia.La stagione 1990-1991 cominciò con la vittoria nella Supercoppa italiana del 1990 ottenuta battendo la Juventus per 5-1, ma il campionato iniziò con un punto nella prime tre partite e il sogno della Coppa dei Campioni svanì dopo la sconfitta nel secondo turno. L'esperienza italiana di Maradona finì il 17 marzo 1991 dopo un controllo antidoping effettuato al termine della partita di campionato Napoli-Bari che diede il responso di positività alla cocaina. ...E POI IL MESSICO Nel 1986 Maradona vinse il Mondiale messicano: segnò 5 gol e realizzò 5 assist nelle 7 partite giocate nel torneo. Match da ricordare è quello contro l’Inghilterra, durante il quale Maradona realizza due gol passati alla storia del calcio rispettivamente come «la mano de Dios» e «il gol del secolo». Segna il primo gol della partita di mano nel tentativo di anticipare il portiere avversario. Né l’arbitro né gli assistenti si accorgono dell'infrazione e il gol viene convalidato erroneamente (poi rivendicato da Maradona come atto di giustizia a seguito della sconfitta subita dagli argentini contro i britannici nella guerra delle Falkland del 1982). Il 2-0 lo segna dopo aver dribblato tutti 32
gli avversari che hanno provato ad ostacolarlo nella sua corsa dalla linea di centrocampo alla porta. La seconda rete è stata votata come il più grande gol nella storia della Coppa del Mondo in un sondaggio indetto dalla FIFA. L'Argentina affronta il Belgio in semifinale e Maradona sigla una doppietta nel 2-0 che vale la finale contro la Germania Ovest: nell’ultimo match, i tedeschi non gli lasciano libertà di manovra, tuttavia Maradona riesce a inventarsi l'assist per il 3-2 finale. Per l'Argentina si tratta del secondo Mondiale, l'unico vinto da Maradona. IL POST CARRIERA E LE CONTROVERSIE Diego Armando Maradona, da molti reputato il calciatore più forte di tutto il pianeta, ha avuto sicuramente una carriera da protagonista nella maggior parte delle squadre in cui abbia giocato. Purtroppo tutto questo viene come dire messo nel dimenticatoio per molto tempo dati alcuni suoi comportamenti sia dentro che fuori dal campo. Diego è infatti risultato più volte positivo ai test antidoping dei mondiali per uso di sostanze che sarebbero andate a migliorare le sue prestazioni. All'età di 37 anni, nel 1997, Diego decide di ritirarsi dal calcio giocato lasciando un'impronta importantissima per l'immagine di questo sport. Il post carriera non è stato uno dei migliori che si è visto nel calcio, anzi forse è il peggiore. Il peso dell’ormai ex-calciatore comincia ad aumentare a dismisura costringendolo a due bypass gastrici. Anche l’uso frenetico di cocaina aumenta diventando una vera e propria dipendenza, causa di tutti i suoi mali. Diego non ebbe solo problemi dal punto di vista salutare ma anche giudiziario, poiché venne più volte accusato dal fisco italiano di evasione fiscale per una cifra di 39 milioni di euro. Parlando della sua politica, Maradona è stato sempre un grande sostenitore di sinistra, che vedeva ai tempi come esponenti Fidel Castro ed Ernesto Che Guevara (del quale aveva anche un tatuaggio sul braccio). Diego provò sempre un avversione per la chiesa soprattutto per papa Giovanni Paolo II con il quale ebbe numerosi dibattiti e per l'ex presidente Americano Bush, dicendo in un'intervista: “Odio tutto ciò che viene dagli USA, lo odio con tutta la mia forza”. Per Diego i problemi di salute non finiscono, infatti il 2 Novembre di quest'anno viene portato di urgenza in ospedale per una delicatissima operazione al cervello. Si pensava che cominciasse a star meglio, quindi venne rimandato a casa, a Tigre, ma i dottori si sbagliavano. Diego il 25 Novembre 2020 muore di edema polmonare e con lui si spegne una grossa candela che faceva luce nel buio del calcio di oggi. Viene ricordato da molti giocatori importanti (esempio eclatante, Messi) come un grande amico ma soprattutto un giocatore fortissimo. La sua morte non si è sentita solo all'estero,a Napoli molti tifosi si sono recati sotto il murales a lui dedicato per omaggiarlo. Gli onori di questa città all'ex 10 napoletano non finiscono qui, poiché Aurelio de Laurentiis, presidente del Napoli Calcio, ha deciso di dedicare lo stadio interamente a lui, portando a termine le procedure per il cambio del nome con una velocità impressionante. E oggi, i napoletani possono ricordare il loro eroe anche così, con lo Stadio Diego Armando Maradona.
“L’ho conosciuto, e fuori non era una persona che sapeva esprimersi bene, ma fidatevi: con la palla ai piedi parlava meglio di un poeta” -Johan Cruijff 33
MEGA UTILE di Maria Vittoria D’Annunzio, Elena Casati, Gemma Berti, Giulia Bolognese e Allegra Niccoli Vi state chiedendo a cosa serve ciò che studiate e ancora non siete riusciti a darvi una risposta? Non sapete quale università scegliere? Non vi preoccupate! Siamo cinque ragazze pronte ad aiutarvi! Ogni mese intervistiamo degli studenti universitari che, con le loro risposte, potranno aiutarvi a porre fine ai vostri interrogativi. Per questo mese abbiamo intervistato Giovanni Berti, un ragazzo di 22 anni, che ha frequentato il Liceo Classico Dante. “Giovanni, che università frequenti?” “Sono all’ultimo anno della triennale chiamata Sviluppo Economico e Cooperazione Internazionale (S.E.C.I). È una facoltà, sotto Economia, che nasce 15 anni fa, con lo scopo di parlare di economia sociale e sostenibile, a favore dei paesi in via di sviluppo, con particolare attenzione ai fenomeni e ai soggetti dei quali nell’ultimo secolo l’economia classica si è occupata meno.” “È stata facile per te la scelta dell’università?” “No. Non è stata affatto facile. Sono stato per alcuni giorni in prova al DAMS di Bologna, successivamente ho frequentato per un anno la facoltà di giurisprudenza. Poi a seguito di un’esperienza estiva molto forte in Congo, ho deciso di cambiare e mi sono iscritto al S.E.C.I.” “Ritieni che il Dante ti abbia preparato all’università?” “Sicuramente sì! Ritengo, essendomi confrontato con moltissimi ragazzi che venivano da tante realtà differenti, che il Dante ti dia una preparazione e soprattutto un metodo di studio ottimi per affrontare gli studi universitari che, sebbene siano meno stressanti, richiedono una notevole capacità di organizzazione.”
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“Hai detto che il Dante lascia un buon metodo di studio, dicono però che lasci molto anche da un punto di vista umano, che dia una visione più profonda della vita, di ciò che affronti. Ti ritrovi in questa affermazione?” “Sicuramente il Dante ti aiuta molto anche in questo, ma credo che dipenda di più dalla sensibilità del singolo. Ho conosciuto tante persone provenienti da licei differenti appassionate e capaci di scavare sino al significato profondo delle cose. In generale lo studio del Dante ti abitua a pensare in modo astratto, a non dover per forza semplificare con riferimenti concreti, sviluppa, in un certo senso, la profondità del pensiero, e la capacità di svilupparlo tramite la scrittura. Il Dante ti arricchisce e te ne rendi conto solo una volta uscito ed eliminato lo stress. Io sono grato ai miei professori, in particolare a quelli di Italiano, che mi hanno reso difficili gli anni del liceo.” “Riesci a mettere in evidenza le differenze che vi sono tra il mondo universitario e quello liceale?” “L’università si divide in due semestri. In entrambi si ha una fase di tre mesi in cui ci sono le lezioni e una fase di tre mesi per gli esami. Cessa quindi tutto lo stress quotidiano caratteristico del liceo, hai più tempo per te stesso, per i tuoi interessi e per appassionarti a ciò che studi. Allo stesso tempo però il mondo universitario è più dispersivo, non si ha più il rapporto con i compagni di classe, e più in generale con l’ambiente-liceo, che era proprio la magia del Dante: vivere giorni super impegnati e stressanti, ritrovarsi la mattina con le occhiaie, i capelli spettinati, la faccia di chi aveva passato la nottata sui libri, a prendersi in giro o aiutarsi perché si era poco preparati, a vivere l’ansia per le interrogazioni continue. Tutto ciò l’università te lo fa vivere a piccoli pezzi, il senso di classe viene meno e i momenti di esame sono giornate singole che conosci benissimo, non ci sarà mai la tremarella che ti viene quando un professore dice che interroga o fa un compito a sorpresa.” “Tornassi indietro, la tua scelta del liceo cambierebbe?” “Assolutamente no. Anche se mi avesse preparato meno bene all’università, la risceglierei comunque, al Dante sono stato davvero bene!” “Hai un aneddoto particolare da raccontarci?” “Sì. Ho, ad esempio, un bel ricordo che mi lega alla professoressa Borghi. Durante l’ultima notte di una gita, eravamo a fare due chiacchiere nella hall dell’albergo e probabilmente stavamo facendo un po’ troppa confusione. La professoressa quindi scese per richiamarci. Era conosciuta per essere molto materna e buona, perciò vedendo arrivare lei tirammo un sospiro di sollievo. Dopo averci dato la buonanotte ed essere rientrata nell’ascensore infatti tornò su. Poco dopo, però, sentimmo lo stesso ascensore scendere e pensammo che fosse andata a chiamare altri professori. Eravamo perciò tutti molto spaventati. Quando le porte di aprirono però uscì la professoressa che, guardandoci, scoppiò a ridere e disse: <<Ah, sono finita allo stesso piano di prima!>>.” “Quando tu frequentavi il Dante c’era il giornalino?” “Sì, al tempo si chiamava “Il Divino”. Molto popolare, per la sezione conclusiva, “Gli Sputi”, brevi commenti, scritti in dei bigliettini in forma anonima, che venivano inseriti in una scatola. C’era un comitato che si preoccupava di selezionarli. Tutti aspettavamo l’uscita del giornalino per leggerli, c’era chi sperava di essere nominato, chi che il suo fosse stato pubblicato…” “Qual è un consiglio che vuoi dare ai ragazzi che oggi si trovano in difficoltà nella scelta dell’università?” “Secondo me è importante smettere di pensare a breve termine e iniziare a proiettarsi nel futuro, capire quali sono i propri veri interessi, le proprie vere passioni. Le possibilità sono infinite e si deve riuscire a collocarsi fra così tanta roba. Il mio consiglio è interessarsi, ascoltare i compagni, contaminarsi, non esitare a chiedere un consiglio ai professori, a stimolarli ad avviare delle riflessioni più generali sulle materie che spiegano. I licei in generale ti danno un grande metodo e un grande sguardo alle cose che studi, ma, giustamente, ti specializzano poco, perciò se non hai grandi interessi non è facile muoversi e collocarsi tra la miriade di possibilità di scelta.” 35
DIARIO DI SOPRAVVIVENZA PER IL LICEO
Discriminazioni di Alessia Oreti
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a scuola dovrebbe essere un posto in cui sentirci liberi di essere ciò che siamo, ma perché in molti casi non è così? Quando si parla di "discriminazioni" si aprono molte parentesi, poiché purtroppo, ancora oggi, sono molto frequenti in vari ambiti. Mi vorrei soffermare adesso su una cosa che ci accomuna tutti: i vestiti. Ognuno di noi ha i propri gusti e vorrebbe sentirsi libero di indossare ciò che vuole senza essere guardato male, o peggio ancora, insultato e deriso per un gusto personale. La scuola ha stabilito un regolamento che ci impone di non indossare certi capi, dal momento che potrebbero apparire irrispettosi. Certo, la scuola non è una discoteca, ma esclusi i top troppo corti o le minigonne, come mai ancora oggi veniamo classificati in base a ciò che indossiamo? Sentiamo spesso dire: "Felpe larghe, dread, e Globe... di sicuro va all'artistico!" o altrimenti "Giacca e cravatta? Classico, ovviamente". Ci battiamo per eliminare le etichette, ma anche questi luoghi comuni possono essere dannosi!
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La scuola è il nostro lavoro, ma è anche la nostra seconda casa. È un luogo dove dovrebbero insegnarci che non c'è niente di male nell'essere se stessi, senza omologarsi necessariamente alla moda del momento o agli standard del posto. Se metto una felpa larga e "sformata", non sono meno classicista di chi mette una camicia. Se indosso la cravatta, non appartengo meno degli altri al liceo musicale. Io sono chi voglio essere e metto ciò che più mi aggrada, nei limiti del rispetto. Questo problema è radicato sia tra i professori, che forse inconsciamente etichettano i ragazzi, sia tra gli studenti stessi. Rispettiamo se vogliamo essere rispettati e ricordiamo che non si giudica un libro dalla copertina. La libertà di espressione è meravigliosa e avere il coraggio di essere noi stessi lo è ancora di più! D'ora in poi potremmo provare a non giudicare gli altri, potremmo sentirci liberi di dire la mattina: "Okay, oggi niente camicia, mi metto la tshirt della mia band preferita”. Per essere più liberi assecondiamo le libertà altrui. È un grande passo per demolire finalmente i pregiudizi.
ARIA SOTTILE
di Irene Spalletti
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SULL’EVEREST SENZA OSSIGENO Era l’impresa ritenuta impossibile da tutti. Ma l’8 maggio 1978, Reinhold e Peter Habeler compirono l’incredibile: arrivarono in vetta all’Everest alle condizioni prefissate, ovvero senza ossigeno. Era la prima volta nella storia. I due rimasero sulla vetta, a 8848 metri, per circa quindici minuti; tempo di scattarsi una foto, girare un breve video, esultare per l’impresa appena compiuta e lasciare in cima uno spezzone di corda ed una batteria scarica della cinepresa per dimostrare di essere arrivati fino a lì. Non erano certo uomini comuni; Reinhold Messner è, ad oggi, l’alpinista più famoso al mondo. È stato il primo uomo al mondo a scalare tutti i quattordici ottomila della Terra. Il primo, con Habeler, a conquistare l’Everest senza ossigeno. Il primo a salire su un ottomila in solitaria, il Nanga Parbat. È stato il primo a scalare l’Everest in solitaria, sempre senza ossigeno. Primo, con Hans Kammerlander, a realizzare un concatenamento di due ottomila: Gasherbrum I e II. Primo a superare il sesto grado di arrampicata. Ha effettuato oltre 100 spedizioni e 3.500 ascensioni, di cui circa 100 sono prime assolute. Il 10 aprile del 2010 ha ricevuto il Piolet d’Or alla carriera, considerato il massimo riconoscimento alpinistico a livello mondiale. Peter Habeler afferma, in un’intervista: “La difficoltà più grande di salire in cima all’Everest senza ossigeno era quella psicologica, perché non sapevamo cosa volesse dire, nessuno l’aveva mai fatto. Non sapevamo se saremmo sopravvissuti e ammesso che ce l’avessimo fatta, se saremmo riusciti a tornare giù. L’unica possibilità era andare e provare”. “Era tutto un grande interrogativo – racconta Habeler -, l’unica possibilità era andare e provare. Messner era un compagno molto forte, ci conoscevamo da tempo e questo era molto importante: lui conosceva me, io conoscevo lui e alla fine la fortuna è stata dalla nostra. Scalare con lui era assolutamente divertente”. “Ci dicevano che eravamo matti con tendenze suicide – ha ricordato in un’intervista Messner – con la nostra impresa abbiamo smentito la scienza, che sosteneva che oltre gli 8.500 metri fosse impossibile resistere, che saremmo di certo morti. Noi, invece, siamo saliti a quasi 8.900 metri, per poi scendere al campo base sani e salvi”. “Sapevamo che gli sherpa avevano raggiunto gli 8.000 metri senza ossigeno e che una spedizione svizzera negli anni ’50 era andata oltre il Colle sud. Alla fine si trattava di aggiungere altri 500 metri. Messner e io avevamo pensato che sarebbe stato possibile farlo con la luce, senza zaini, avendo fiducia in noi stessi e andando piano” ha ricordato Peter Habeler in occasione del conferimento del premio WOP per il suo contributo al mondo dell’alpinismo a Bilbao, nel 2018. “Prima di iniziare a scalare ero più spaventato, ma mentre guadagnavamo quota mi sembrava di scalare sulle Alpi. Non ho più pensato ai problemi di ossigeno e mi sono concentrato su ogni passo che facevo. Aspettavo il momento in cui sarei diventato un po’ pazzo, aspettavo, aspettavo, ma quel momento non è mai arrivato“. 38
PADRI E FIGLI di Giovanni Cavalieri
Padri e Figli è un libro del romanziere russo Ivan Sergeevič Turgenev, pubblicato per la prima volta nel 1862 e se pensate che questa opera parli di come fare il genitore, avete sbagliato romanzo. TRAMA La storia inizia il 20 maggio del 1859, mentre Nikolaj Kirsanov, un proprietario terriero di modeste origini, sta aspettando il ritorno del figlio Arkadij, che frequenta l’università di San Pietroburgo. Ad accompagnare il figlio di Kirsanov vi è Bazarov, studente di medicina amico di Arkadij, che si definisce nichilista. Nella tenuta dei Kirsanov, Bazarov incontra Pavel Petrovič, zio di Arkadij e aristocratico reazionario. Con questi Bazarov si scontra numerose volte, frapponendo la sua visione materialista a quella tradizionalista di Pavel Kirsanov. La vicenda si sposta poi in una città vicina, dove Bazarov e Arkadij Ivan Sergeevič Turgenev s’imbattono in Anna Sergeevna Odincova, giovane, bella e intelligente donna che invita i due giovani nella sua tenuta. Lì Arkadij incontra Katja – sorella della Odincova –, di cui s’innamora. Bazarov s’innamora di Odincova, ma il suo anti-romanticismo gli impedisce di dichiararsi. Segue successivamente una visita dei due giovani ai genitori di Bazarov, molto religiosi e profondamente legati al figlio; poi la dichiarazione d’amore di Arkadij a Katja e infine un ennesimo scontro tra Bazarov e Pavel, che questa volta culmina in un duello. RECENSIONE Da quanto si può evincere dallo stesso titolo del libro, l’opera è un’esposizione del periodo di cambiamento nella Russia del tempo, che sembra anticipare i fermenti rivoluzionari d’inizio Novecento. Il romanzo tratta infatti di un contrasto tra i padri, nobili conservatori che passano giornate oziose nelle loro tenute di campagna, e i figli, che guardano al futuro e rifiutano la vita agiata dei loro padri. Di questo rifiuto delle tradizioni e delle regole ne è una piena incarnazione il personaggio di Bazarov, che delinea la figura del giovane carismatico che caratterizza la gioventù russa di fine Ottocento. Anche se nichilista e anti-romantico, Bazarov, inaspettatamente, si innamora di Anna Odincova, la quale, spaventata dal suo spirito critico, si ritrae da lui anche se ne è attratta. Questa delusione è per Bazarov un segno di fragilità che lo umilia e mina le sue certezze, portandolo a drammatiche conseguenze. Se ci si pensa, il tema dello scontro tra le generazioni ha sempre caratterizzato la vita dell’uomo, anche oggi. L’opera di Turgenev può così essere vista come un’interpretazione dell’incomprensione perenne tra le nuove e le vecchie generazioni.
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EVA CONTRO EVA di Giovanni G. Gori
“Eva contro Eva” (“All about Eve”, 1950) è un film del 1950 diretto da Joseph L. Mankiewicz e interpretato da Bette Davis e Anne Baxter. TRAMA La famosa attrice teatrale Margo Channing (Bette Davis) riceve la visita di una ragazza di nome Eva Harrington (Anne Baxter), che le viene presentata dalla sua amica Karen (Celeste Holm). Eva afferma di essere una fan sfegatata di Margo e di aver assistito a tutti i suoi spettacoli. Margo la assume come segretaria, ma ben presto Eva, che inizialmente appare come una ragazza dolce, timida e insicura, si rivela un’arrampicatrice, piena di arrivismo e doppiezza, che non esiterà a creare scompiglio nella vita di Margo, sia amorosa (cercando di sedurre il suo fidanzato, il regista Bill Sampson, interpretato da Gary Merrill, compagno della Davis anche nella vita reale!!!) sia, soprattutto, professionale: il vero obiettivo di Eva infatti è quello di conquistarsi la fiducia di Margo Channing per soffiarle il suo ruolo più importante e affermarsi come attrice. Soltanto il cinico critico teatrale Addison DeWitt (George Sanders) riesce a intuire le manovre di Eva, ammirandone al contempo l’audacia e la doppiezza… 40
RECENSIONE Un pezzo forte della cinematografia mondiale, che vanta punte di assoluta genialità, a partire dal titolo, sia in originale sia in italiano. Se nel primo si vuole far riferimento alla premessa originale che la vicenda narrata verte tutta su Eva, ovvero sulla sua storia e sulla sua complessa e ambigua personalità, da noi il titolo fa riferimento al concetto di “donna contro donna”, alludendo allo scontro tra Margo ed Eva che domina tutto il film e dal quale risultano entrambe vincitrici ed entrambe perdenti: Eva riuscirà a scalzare Margo e affermarsi come attrice ma finirà ricattata da DeWitt, che ha scoperto le sue menzogne e potrebbe rovinarla, mentre Margo, dal canto suo, pur avendo perso il suo ruolo più importante, riesce a conservare i suoi affetti e il suo amore. Nel film vengono messi a nudo la competizione, l’ambizione sfrenata e le scorrettezze del mondo dello spettacolo e nonostante si parli di teatro, vi è una chiara allusione anche al mondo del cinema hollywoodiano. Dal punto di vista psicologico il film è anche una riflessione sull’invidia, su come una persona possa odiare e fare di tutto per distruggere un’altra persona perché possiede ciò che egli non ha, ma che brama di avere a qualunque costo, o perché quella persona incarna proprio ciò chi la invidia vorrebbe essere, ma non è. Questa invidia porta la persona che la vive a non esitare a farsi avanti senza scrupoli, pervasa dall’orgoglio frustrato e dal bisogno di riconoscimento. La sceneggiatura e la regia di Mankiewicz (che già aveva vinto l’Oscar in entrambe le categorie l’anno precedente con “Lettera a tre mogli”) è sofisticata, soprattutto per il costrutto narrativo: tutto (tutta la verità) su Eva viene sviluppata da tre narratori (Karen, Margo e DeWitt), i quali offrono ciascuno il loro punto di vista. Tale stile narrativo verrà ripreso dal regista quattro anni dopo ne “La contessa scalza”(“The barefoot contessa”, 1954). Gli attori sono tutti perfettamente in 41
parte, ognuno in questo film dà il meglio di sé, anche se per una grandissima attrice del calibro di Bette Davis è sicuramente arduo stabilire quale sia la migliore interpretazione, e i dialoghi sono delle vere e proprie perle. Celebre è soprattutto la battuta di Margo: “Prendete il salvagente! Stasera c’è aria di burrasca”. CURIOSITÀ La pellicola vanta il record delle candidature agli Oscar (ben quattordici nominations!), che condivide con “Titanic” (1997) e “La La Land” (2016) e ne vinse ben sei: miglior film, miglior regia, miglior sceneggiatura non originale, miglior attore non protagonista (George Sanders), migliori costumi e miglior sonoro. Inoltre è l’unico film con quattro candidature femminili in due categorie diverse, anche se nessuna delle quattro candidate ha ottenuto la vittoria: Bette Davis e Anne Baxter furono candidate come miglior attrice protagonista, ma a vincere fu Judy Holliday in “Nata ieri” (“Born yesterday”), mentre Celeste Holm e Thelma Ritter (che interpreta la cinica e disincantata governante di Margo, Birdie Coonan) ricevettero la candidatura nella categoria della miglior attrice non protagonista, premio che andò invece a Josephine Hull in “Harvey”. Bette Davis considerò questo ruolo come il migliore della sua carriera. Pare che inizialmente la parte dovesse andare a Claudette Colbert, la quale però dette forfait. Nel film, nel ruolo della giovane aspirante attricetta che accompagna DeWitt alla festa per il compleanno di Bill troviamo una giovanissima Marilyn Monroe in quello che è il primo titolo importante della sua carriera.
Joseph L. Mankiewicz, il regista del film 42
Angolo del poeta Al gran ballo del tempo perduto di Giovanni Gori
Al gran ballo del tempo perduto, vanno sempre le grandi occasioni, che non si sono mai realizzate, che invano si son troppo aspettate. Al gran ballo del tempo perduto, danzan sempre i ricordi di un tempo che è volato via insieme al vento ed indietro non torna mai piÚ. Mentre danza la mente, nel cuore ci sovviene un ricordo passato, un ricordo mai piÚ ripetuto, che siamo solo noi a ricordar Mentre danza il cuor, nella mente ci sovviene di un tempo perduto, ora che tante persone sole, con il tempo vanno a ballar! Al gran ballo del tempo perduto, danzan sempre i sogni di un tempo che è volato via insieme al vento ed indietro non torna mai piÚ...
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