Parma Magazine Salute e Benessere n.26

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Ciao Faber, giornalista e galantuomo IL RICORDO DEI TUOI AMICI E COLLEGHI DI EDICTA Daniele Quel parlare a lungo raccontandoci i fatti della vita nelle pause pranzo, quel ragionare di politica, di sport, di rugby con il suo bagaglio di valori, che erano anche i suoi, perché Faber, come lo chiamavamo in redazione, è sempre stato un uomo limpido e onesto, proprio come il suo rugby e questo è il ricordo forte che porterò sempre con me. Ciao Faber.

Erika F. Ciao “Baffo”, chissà a cosa stai pensando a vederci tutti persi nel tuo ricordo. E in mezzo ai ricordi ci sono gli infiniti sorrisi che ci hai strappato con quel sarcasmo d’autore, puntuale e preciso di chi la vita ha saputo viverla e non farsela raccontare da altri. Quindi non smettere di prenderci in giro, noi da qua sapremo ridere con te. Buon nuovo viaggio Faber...

Davide Ho sempre apprezzavo la tua “parmigianità”, si parlava delle tradizioni gastronomiche del nostro territorio, i suoi personaggi, gli aneddoti e l’Opera. Grande amante del Rugby, sei stato una persona di spirito con cui era sempre piacevole intrattenersi. Ora che la partita è finita ti auguro un buon 3° tempo Faber.

Erika V. “Che gelida manina, se la lasci riscaldar... Cercar che giova? Al buio non si trova. Ma per fortuna, è una notte di luna, E qui la luna... l’abbiamo vicina”. Ciao Faber!

Diana Grande Faber, il mio ricordo sta nel tuo baffo. Cornice, insieme bonaria e burbera, di un sorriso che mostrava all’arroganza dei miei vent’anni che, nella vita come nel giornalismo, occorre non prendersi troppo sul serio. Elena Custodirò dentro di me il suo carattere calmo e diplomatico anche quanto ero terribilmente in ritardo nel consegnare i materiali delle pubblicità, il suo sorriso rassicurante e paterno, e soprattutto la sua voglia di stare in compagnia, nelle serate spensierate al rugby Noceto. Eleonora A 23 anni e il tuo primo lavoro, un collega come Faber è un dono. Decano del gruppo. Leale giornalista della vecchia guardia. A noi novelline guardava con gli occhi affettuosi di un babbo, divertito dalla nostra caciara, curioso del cambiamento.

Federica “Sbagliando s’impara, è un vecchio proverbio. Il nuovo potrebbe essere che sbagliando s’inventa.” (Rodari). Abbiamo lavorato, riso, imprecato, imparato. Grazie Faber! Francesca Quei baffi che da soli riempivano la stanza. Mai una volta sopra le righe, una presenza pacata e rassicurante, Fabrizio sapeva rendere serena e allegra ogni giornata. Giorgia Ciao Fabri, la tua identità elegante si respirava nell’aria! Si sapeva che c’eri anche quando non ti si vedeva. Ilaria Collega, amico (e non è sempre facile essere entrambe le cose, mi hai detto una volta)... di più: compagno di banco! Di imprese a volte sgangherate, ma poi sempre riuscite, di risate - sotto e sopra i baffi - di bonari scazzi, di sigarette e soddisfazioni. Ciao Faber, maestro di lealtà, pazienza e ironia.

Matteo Porterò sempre nel cuore gli aneddoti sul rugby, le arie verdiane intonate sui gradini in pausa sigaretta, le arrabbiature, i mille consigli e soprattutto le grandi risate fatte insieme. Grazie Faber. Mauro Se dovessi descrivere Fabrizio a chi non l’ha conosciuto gli citerei le pagine di Calvino sulla leggerezza: “Prendete la vita con leggerezza, perché leggerezza non è superficialità, ma planare sulle cose dall’alto, non avere macigni sul cuore”. Pietro Fabrizio era un signore: quando ripenso a lui, ai suoi modi e al suo sottile umorismo, lo associo allo stile e all’eleganza british. Un inglese trapiantato a Noceto con la passione per il rugby, la cucina emiliana e il cuore in un’isola greca. Fabrizio, Faber, era il nostro David Niven. Rosaria Indimenticabili i tuoi modi gentili. Ricordo quel giorno in cui, dopo una vacanza in Grecia, ti sei presentato in ufficio con un pensierino per ognuna di noi. Tu eri un galantuomo. Ciao Fabri. Simone Ho sempre ammirato quella sua capacità di sapersi sempre prendere il tempo giusto per assaporare la vita. Avendo capito che quello che conta è il percorso del viaggio e non la sua meta. Caro Faber, pensandoti ora mi viene in mente una frase di Albert Einstein: “Io amo viaggiare, ma odio arrivare”.

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