IDEE
Rompere lo specchio U
n nome, un volto, una personalità, un atteggiamento. Sono i primi pensieri che si presentano nella nostra mente quando cerchiamo delle caratteristiche da dare ad una persona per identificarla. Classificare le persone in base alla considerazione, all’affetto, alla sensazione di sintonia che proviamo verso di loro, per noi è naturale. Ognuno di noi vede nel prossimo delle qualità e dei difetti, e dopo un bilancio, dà un giudizio. Il giudizio non è necessariamente morale, semplicemente esso determinerà il tipo di rapporto che intraprenderemo con la persona giudicata. Mano a mano che entriamo in confidenza con qualcuno, disegniamo l’immagine che il nome, il volto, la personalità, e gli atteggiamenti di quella persona hanno riflesso dentro di noi. Ma se quindi l’immagine che ognuno fornisce agli altri varia di giudizio in giudizio, da persona a persona, esiste una identità unica e definita? Immaginate di essere circondati da una folla di persone che vi osservano. Trovandosi tutti in punti differenti, ognuno vi scruterà da un’angolatura differente, osservando un lato di voi che gli altri non vedono. Possiamo quindi dire che nessuno conosce la vostra vera identità, o che tutti conoscono un’identità differente. E voi? Voi avete davanti uno specchio, che però riflette solo il lato che vedete, o che avete scelto di vedere. Quanti di voi pensano di poter dare un giudizio completo di voi stessi? Non dovrebbe essere così difficile se fossimo sicuri della nostra identità. Il nostro stesso io che quotidianamente giudica gli altri, a maggior ragione dovrebbe essere in grado di giudicare noi stessi. Eppure ci capita spesso di contraddirci, di pentirci, di avere rimorsi. La persona che vorremmo essere non sempre è la persona che pensiamo di essere. Ed è esattamente per questo che spesso ci preoccupiamo del giudizio degli altri più del giudizio di noi stessi. Perché pensiamo che solo gli altri ci possano offrire quello che noi non siamo in grado di darci: l’identità. Molti scrittori hanno cercato di dare una risposta alla domanda: chi siamo veramente? Il più importante è sicuramente Luigi Pirandello che ne “Il Fu Mattia Pascal” e in “Uno, nessuno e centomila” dimostra che rispondere a questa domanda non è affatto semplice. Il protagonista del primo libro si ritrova alla fine senza
un’identità, senza sapere neanche se si può considerare vivo o meno. Nel secondo il protagonista si chiede se, dato che ognuno lo vede in modo diverso, lui ha centomila identità diverse, senza quindi essere effettivamente nessuno di preciso, se quindi lui è uno, nessuno, o centomila persone. Entrambi i romanzi finiscono con un senso di incompletezza del protagonista, che si accorge che, dietro la maschera che ogni persona quotidianamente gli fa indossare, non vi è nessuno. Trovare la propria identità è qualcosa che alcune persone cercano con impazienza, con l’ansia di potersi vedere riflessi allo specchio e poter dire: “si, quest’immagine è la mia, e non potrei mai volerne un’altra”. Sono poche le persone che ci riescono, forse non esistono. Però esistono molte persone che si sentono orgogliose delle proprie scelte. E se proprio il nostro modo di giudicare, di scegliere, di vedere il mondo e le cose, di attribuire un’identità agli altri, costituisse la nostra stessa identità? Se ognuno di noi ha un punto di vista che nessun altro possiede, forse è quel punto di vista che ci rende unici e ci distingue dagli altri. Forse non siamo il nostro nome, il nostro volto, la nostra personalità e i nostri atteggiamenti, ma siamo i nostri pensieri, i nostri dilemmi, i nostri conflitti interiori e le nostre decisioni sofferte. Penso dunque che dietro alla maschera pirandelliana ci siano infinite sfaccettature di noi stessi; ciò che ci costituisce è talmente grande che la parola “identità” è quasi riduttiva. Siamo però forse troppo occupati a recitare una parte per gli altri per accorgerci fino in fondo di quanto è ricco il nostro essere. O forse siamo così abituati a costruire maschere per chi ci circonda che lo facciamo anche per noi stessi. In effetti, spesso diamo un giudizio troppo superficiale e troppo affrettato di qualcuno, e non ci accorgiamo che così facendo finiremo per guardare anche noi stessi con superficialità. Per conoscere gli altri e noi stessi dovremmo almeno tentare di toglierci la maschera, di guardare attraverso lo specchio, di rompere lo specchio. Forse solo allora avremo risposto all’imperativo di Socrate: “γνῶθι σεαυτόν”. MARIA GUERRIERI
32