N.20 SETTEMBRE 2020
IN QUESTO NUMERO // BENTORNATA, PALLACANESTRO // MACCHI: PENSO DUNQUE SONO // INSIDE A1: RIPARTE IL CAMPIONATO // FOCUS: UNA STORIA DI SUCCESSO // INSIDE A2: CREMA AL CUBO // QUESTIONE DI FEELING // WONDER BEA // CORNO, IL VINCENTE // RUBRICHE PINK
SETTEMBRE 2020
N.20
in questo numero 1 EDITORIALE
Bentornata pallacanestro
3 inside a1
Riparte il campionato
11 Focus
Una storia di successo
17 cover story
Penso dunque sono
23 inside A2
Crema al cubo
29 Primo piano
Questione di feeling
35 altri mondi
Wonder Bea
41 storie
Corno il vincente
46 pink mix 49 PALLA E PSICHE
Visualizzare emozioni
50 guardia e ladri
Il ritiro pre-campionato
52 BUZZER BEATER
Buzzer beater
DIRETTRICE RESPONSABILE Alice Pedrazzi caporedattore Massimo Mattacheo REDAZIONE Silvia Gottardi, Alice Pedrazzi,
Massimo Mattacheo,Francesco Velluzzi, Giulia Arturi, Manuel Beck, Chiara Borzì, Caterina Caparello, Eduardo Lubrano, Susanna Toffali, Alice Buffoni
PROGETTO GRAFICO Linda Ronzoni/ Meccano Floreal
IMPAGINAZIONE Grazia Cupolillo/ Meccano Floreal
FOTO DI Marco Brioschi,
Reyer Venezia/Gilardi, Daniele Capone, Giovanni Cassarino, Claudio Di Renzo, Alberto Nevado Matthew Smith, WNBA PINK PINK BASKET è un periodico di proprietà di Silvia Gottardi
editoriale
BENTORNATA PALLACANESTRO DI ALICE PEDRAZZI
Alla fine, il campo. Dopo troppi mesi, troppe settimane e troppi giorni sospesi, è tornato ad illuminarsi quel rettangolo di legno tanto semplice quanto sacro. Quel palcoscenico di sport che è vita, ribalta di ogni talento unito a sacrificio e determinazione. Mai bugiardo, sempre spietato quanto vero. Il campo non inganna, ammalia ed attrae proprio per questo: rimasto alle volte troppo solo nel dire la verità. In un mondo fatto di apparenze, il campo è sostanza. Ed è per quello che ci è mancato così tanto. C’è mancata la “sostanza dei giorni nostri”. Una lontananza forzata ed inaspettata, che ha minato molte certezze. Ma oggi che è finita, ci deve apparire come una grande opportunità: il vuoto che mette a fuoco il pieno. Ecco perché la stagione appena iniziata è diversa da tutte le altre. Gli antichi parlavano di kairòs, il momento opportuno, quello che interrompe lo scorrere di krònos, il tempo fatto di istanti che si susseguono, per rivelarsi come opportunità. Il nostro kairòs è oggi. È in questa stagione iniziata con due balli appassionanti (la Finale di Supercoppa di A1 a Schio e quella di Coppa Italia di A2 a Moncalieri sono state riconcilianti ed incoraggianti, per qualità di gioco espressa e per la competitività delle squadre). Certo, in ogni momento “supremo” si celano, come due facce della stessa medaglia, rischio ed opportunità. Il rischio di implodere, l’opportunità di esplodere. Il movimento però ha forza e volontà, per cogliere l’opportunità di un rinnovamento vero, iniziato negli anni passati, con una semina attenta e rigorosa, fatta di scelte ponderate e di passi (quasi) mai più lunghi della propria gamba. Ha resistito ad anni difficili per tutti i settori, mostrando una resilienza non comune. Ed ora i segnali di una vera svolta ci sono: sta a noi – tutti noi – leggerli correttamente. Le attrattive tecniche non mancano. Sono fatte di grandi ritorni, a cominciare da quello di Giorgia Sottana, la capitana azzurra che dopo le esperienze europee in Turchia e Francia è tornata a casa, di nuovi e prestigiosi arrivi, come Kuier a Ragusa e solide conferme, come Anderson – già vista a Torino – che si è presentata ai nastri di partenza da leader tecnico-emotiva di una Venezia capace di tornare a vincere, dopo 12 anni, sul parquet di Schio, eterna rivale di derby, la Supercoppa Italiana. Le visioni ci sono: dopo Venezia e Bologna, anche la Dinamo Sassari ha deciso di aprire la “division” femminile. Un modello che funziona, anche in altri sport (chiedere referenze al calcio femminile) e che dovrebbe essere perseguito ed incentivato, perché richiama attenzioni mediatiche ed aziona positivi circoli virtuosi, creando “comunità cestistiche territoriali” che crescono sempre più. I sogni, se ben piantati per terra ed appoggiati a solide basi, si realizzano: La Molisana Campobasso si affaccia da bellissima debuttante nella massima serie, completando un percorso di crescita serrato. Il basket femminile ha, ora più che mai, urgenza di un racconto appassionato e rinnovato. Perché le sue storie, bellissime, arrivino al cuore dell’Italia sportiva. Noi di Pink, siamo pronti.
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VINCITRICI L’UMANA REYER VENEZIA ALZA AL CIELO DI SCHIO LA SUPERCOPPA ITALIANA, AL TERMINE DI UNA GARA CONDOTTA SIN DALL’INIZIO E CONQUISTATA NEL FINALE.
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RIPARTE IL CAMPIONATO LA FAVORITA PER IL TRICOLORE È SCHIO. MA ALLE SUE SPALLE RAGUSA E,
SOPRATTUTTO, VENEZIA GIOCANO FINO ALLA FINE PER LO SCUDETTO. IL PROSSIMO SARÀ ANCHE IL TORNEO DELLE DEBUTTANTI, LA DINAMO SASSARI E LA MOLISANA CAMPOBASSO. E QUELLO DELLA SCELTA ITALIANA DI BRONI
Di Francesco Velluzzi
L
a sera dei miracoli della Reyer Venezia, targata Umana
nella culla del basket femminile, il PalaRomare di Schio, contro il totem Famila di Pierre Vincent, ci fa capire che Umana è la nuova stagione che ci aspetta dal prossimo weekend. Stagione numero 90. Campionato a 14 squadre, due grandi novità, l’accorpamento di una squadra femminile alla bella realtà della Dinamo Banco di Sardegna Sassari di Stefano Sardara e l’approdo nel massimo campionato di una piazza affamata di basket come Campobasso che ha in Rossella Ferro e nello sponsor che nobilita il movimento, la Pasta La Molisana, un partner di alto livello che si aggiunge a Segafredo che a Bologna ha fatto un anno prima quel che stanno cercando di fare a Sassari e che già impera nel calcio donne: ovvero, il club maschile che inserisce e ingloba il settore femminile. Per questo il calcio ha messo la freccia sulla pallacanestro, pur avendo lo stesso numero di tesserate e, per certi versi, un coinvolgimento originario minore. La Lega ha trovato un main sponsor in Sardegna a Selargius
(lo stesso del club di A-2), Techfind, ingegneria, consulenza, rappresentanze industriali. E questo è importante, ma la battaglia va condotta più sulla possibilità di vedere le partite in chiaro in televisione. Perché quello è il modo migliore per conquistare partner e seguaci.
SFIDA Nel campionato che, causa Covid-19, parte senza
la splendida vetrina dell’Opening Day (idea, vincente, dai tempi di Di Marco e De Angelis, oggi dg a Schio) non vedremo più le facce di due grandi protagoniste che in questo ambiente hanno fatto la storia. Chicca Macchi, la giocatrice più forte vista nell’ultimo decennio, a 41 anni è in attesa del giusto progetto, come leggeremo su questo numero di Pink. Da lei ci si può aspettare di tutto, anche che rimetta scarpe e sacca tra due ore... Chiara Pastore, dopo Venezia e la dolorosa perdita del papà, ha scelto il lavoro che a 34 anni per una donna è naturalmente la priorità e ha deciso di giocare in B (per salire in A-2) a due passi da Reggio
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Emilia. Ci mancheranno, anche mediaticamente. Entrambe, in carriera, hanno vestito le maglie di Schio e Venezia che partono come nella serie A di calcio con una sorta di sfida, in stile Juventus-Inter. Da una parte c’è il Famila (la Juve) che negli ultimi nove anni ha conquistato lo scudetto sette volte cucendosi la stella, e dall’altra c’è l’Inter, l’ambiziosa che vuole ribaltare le gerarchie e che spende per vincere, cioè l’Umana Venezia, sostenuta dalla forza del Presidente-Sindaco (riconfermato alla guida della città) Luigi Brugnaro, sempre presente al Taliercio. Venezia ha vinto bene
domenica la SuperCoppa nel catino di Schio contro le favorite che, però, lamentavano le assenze di due pezzi da novanta come Cloud e Dolson che devono ancora arrivare. Schio sembra ancora una corazzata. Ha cambiato negli anni, ma ripropone un ritorno come quello di Giorgia Sottana che è una delle poche italiane di livello internazionale e punta sulla fisicità (a patto che si convinca dei suoi mezzi) di Valeria De Pretto che dopo una vita in giro torna a giocare a casa sua. Le straniere, quattro (c’è anche Harmon) sono super, Crippa sta recuperando dal lungo infortunio, Cinili è
MVP FRANCESCA PAN, NEO ACQUISTO DELLA REYER, È STATA NOMINATA MIGLIORE GIOCATRICE AL TERMINE DELLA FINALE VINTA CONTRO IL FAMILA SCHIO.
la più atletica ala italiana. Ma Venezia ha sorpreso le orange con una bella riscoperta: Francesca Pan, la giovane guardia tiratrice (ha sbagliato poco o nulla) che è andata a studiare in America e ora è rientrata alla base. Giusto assegnarle il riconoscimento di Mvp. Ha fatto la differenza più lei di Petronyte... Mentre Schio è rimasta appesa all’inesauribile talento di Sandrine Gruda. Troppo poco per ribaltare una gara sempre in salita. Il duello Scudetto sarà questo, anche quando i roster si completeranno con l’arrivo delle americane impegnate in WNBA. Schio impera, ma dovrà guardarsi attenta-
mente dalla quadratura della squadra che Giampiero Ticchi ha tra le mani con l’ex scledense Martina Bestagno, promossa capitana ed Elisa Penna che adesso non ha più scuse: deve esplodere. E in più ci sono Natali e Attura, le stelline prelevate da Vigarano, che possono recitare un ruolo importante. Il futuro è tutto loro.
TERZA INCOMODA - Nel duello tra Schio e Venezia si inse-
risce come sempre la Passalacqua Ragusa che uno Scudetto continua a sognarlo e sfiorarlo, ma è la terza o seconda forza del campionato che va ad incomin-
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inside A1 ciare. Non può dire andiamo a comandare il tecnico Gianni Recupido, perché ancora c’è tanto da lavorare, ma la sua squadra è buona nelle individualità. Tutto dipende dalle straniere (Marshall piace), ma lui ne ha “una” in più, in cabina di regia, quella Nicole Romeo (play in Nazionale) che in campionato fa eccome la differenza. Capitan Consolini e la mano, spesso calda, di Marzia Tagliamento, assicurano un gran contributo offensivo. In semifinale Ragusa ha perso nettamente da Schio, ma Santucci sembra una bella scoperta. Mai fidarsi delle biancoverdi di Sicilia e sul suo campo, pieno di appassionati (quando si potrà) è difficile vincere per chiunque.
LE ALTRE - Dietro queste c’è bagarre. Se Lucca di Fran-
cesco Iurlaro, tecnico che ama lavorare con le giovani facendole rendere al meglio, è stata la sorpresa della SuperCoppa a otto arrivando a giocarsi la semifinale con Venezia, ci sentiamo di dire che l’Allianz Geas Sesto San Giovanni (sconfitta da Ragusa) rappresenta la solidità e il bel progetto. Cinzia Zanotti è ancora la guida tecnica, così come Giulia Arturi è il leader in campo. Fuori c’è il sostegno della nuova team mana-
za dei tifosi nel suo fortino. Ma quelli che entreranno si faranno sentire. E occhio al talento della new entry Giulia Ianezic che ha fatto bene con le giovanili azzurre e ed è cresciuta a Udine dove con le ragazze più giovani lavorano ancora con amore. Orazzo, Togliani. Rulli, Madera, garantiscono stabilità. Battipaglia del “cuore” Giancarlo Rossini ha rivoluzionato molto, separandosi con tanto rumore dal coach Sandro Orlando. Ora c’è Giuseppe Piazza e c’è un ritorno in Campania (è di Napoli) che è quello della top scorer italiana dello scorso campionato: Sara Bocchetti. Che forse sperava nel salto in alto verso una big. Invece deve guidare Battipaglia alla salvezza. Come dovrà lottare la sua ex squadra, Vigarano che ha perso tutte, soprattutto le sue baby ragazze d’oro. Col lavoro del settore giovanile “campa”, invece Costa Masnaga. Che lotterà per tenere il posto nel massimo campionato.
PROGETTI - Il finale è dedicato a sogni e progetti. Quello della Segafedo Bologna, con la Virtus che ha inglobato le donne lo scorso anno. Ora la squadra è affidata a mani esperte come quelle di Lollo Serventi. Un lavoratore. Elisabetta Tassinari, la macchina da punti di casa,
Il duello scudetto sarà tra Schio e Venezia. Il Famila impera, ma dovrà guardarsi attentamente dalla quadratura della squadra che Giampiero Ticchi ha tra le mani. ger Veronica Schieppati. La conferma di Oroszova è un buon passo, ma sono le giovani Ilaria Panzera e Caterina Gilli, l’acquisto di qualità preso dal progetto giovanile di Vigarano, a fare pensare che il Geas con la sua anima e il suo spirito battagliero possa recitare un ruolo importante in questo campionato. Naturalmente occhio a Lucca che ha scelto come capitana Spreafico e che è sempre particolarmente rognosa da affrontare. Come la Fila San Martino di Lupari del duo Giuriati (presidente umano e coinvolto in toto) Abignente, un coach che fa dell’intensità e dell’aggressività le componenti fondamentali. Giulia Ciavarella non è solo una grande giocatrice di tre contro tre, ma sta crescendo sempre più e la leader Marcella Filippi ha un amore per questo sport che meriterebbe un premio per tutto quel che ha dato. Uno splendido spot per il movimento a 35 anni, ora che le super big hanno lasciato.
REALTÀ – Una importante realtà continua a essere Em-
poli che ha una dirigenza familiare e per questo rende la partecipazione di chi gioca una splendida esperienza. In più c’è coach Alessio Cioni, uno di famiglia, pure lui...L’esperienza di Premasunac, Ravelli e Narviciute può bastare per la salvezza. Alla quale ambisce Broni, una piazza storica, un po’ penalizzata dalla mancan-
deve riuscire a esplodere, il resto è affidato all’estro di D’Alie, una piccola che fa malissimo alle grandi, e alle straniere. Sassari è l’ultima idea di Sardara, artefice del miracolo Banco di Sardegna in campo maschile, che ha aperto al femminile affidandosi all’esperienza del coach cagliaritano Antonello Restivo e della capitana, ormai sarda d’adozione Cinzia Arioli, una che non molla mai. Da Selargius, dove il duo imperava, si sono trasferite un paio di italiane, tra cui Delia Gagliano, algherese e sorella del calciatore, che dovranno misurarsi con il livello superiore. Obiettivo, salvezza ed entusiasmo tra la gente di Sassari che ama la pallacanestro. Come quello che c’è alla Molisana Campobasso dove guida Mimmo Sabatelli, compagno nella vita di Rossella Ferro, la regista di tutto. Si è lavorato tanto anche per il nuovo impianto. Ogni dettaglio è curato in una piazza appassionata che parte innanzitutto dall’idea fissa della salvezza, ma può costruire un rapporto serio e solido col movimento inserendosi col tempo tra le big. Emilia Bove è una lunga italiana di affidabilità. Siamo curiosi di vedere il ritorno in A-1 di Elisa Mancinelli, una guardia che mette il cuore quando va in campo. Molte conferme per chi c’era in A-2, ma in A-1 sono quasi sempre le straniere a decidere il destino delle partite e quindi di una stagione.
TERZO INCOMODO LA RINNOVATA PASSALACQUA RAGUSA SI PRESENTA AL VIA DEL TORNEO CON L’AMBIZIONE DI GIOCARE FINO ALLA FINE PER LO SCUDETTO. OTTIMO DEBUTTO PER IL NEO ACQUISTO SANTUCCI.
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CON
TANTE NEWS CAMPIONATI a1 e a2 SPECIAL GUESTS
LBF 2019 L’OPENING DAY LBF 2019 SI È TENUTO A CHIANCIANO TERME. NELLA FOTO COSTANZA VERONA (GEAS) SFIDA AL TIRO GATLING (PALERMO).
focus
UNA STORIA DI SUCCESSO IL CAMPIONATO ITALIANO DI SERIE A1 FEMMINILE NON INIZIERÀ, QUEST’ANNO, CON L’APPUNTAMENTO TRADIZIONALE DELL’OPENING DAY. UN PRODOTTO DI SUCCESSO, CHE HA DATO RISALTO ALLO SVILUPPO DEL MOVIMENTO ED È STATO IMITATO IN ALTRE NAZIONI, CON GRANDI RISULTATI
DI ALICE PEDRAZZI E MASSIMO MATTACHEO
P
er diventare grandi, bisogna poggiare i propri so-
gni su basi solide e concrete. È quanto è successo nel basket femminile per l’Opening Day, un evento unico nel suo genere, che da 18 anni a questa parte ha caratterizzato l’apertura del massimo campionato della nostra pallacanestro femminile. Non solo un modo che da originale è diventato tradizionale, di edizione in edizione, consolidando sempre più il proprio format, per aprire la nuova stagione, ma anche uno strumento dalle grandi potenzialità di promozione del movimento. Mancherà, quest’anno, in questa annata attraversata dall’epidemia di Covid-19 e grandi incertezze. Mancherà fortemente, ma nel ripercorrere la sua storia, bellissima, siamo certi che questo stop forzato ed oggettivamente consigliabile, non segnerà la fine dell’Opening Day, ma anzi, farà sì che quando tornerà – perché tornerà – sarà ancora più ricco di significati.
Una magnifica utopia. Con queste parole si può racchiu-
dere l’idea della Lega Basket Femminile che, alla ricerca di una maggiore visibilità per l’intero movimento, ha ideato, sviluppato e condotto per diciotto anni la formula dell’Opening Day. Un viaggio lungo tutto lo stivale, iniziato a Como nel 2002 e proseguito – attraverso tappe differenti – fino a Chianciano Terme, nel 2019. Una idea, nata sotto la presidenza di Mario Di Marco, che è stata poi alimentata dalla passione, dalla lungimiranza e dalla competenza dei suoi successori. Pasquale Panza, Stefano Pennestrì, Paolo De Angelis, Massimo Protani: questi i volti e i nomi di sognatori che hanno voluto destinare energie, risorse e potenzialità al movimento femminile nostrano.
Un prodotto di successo, che ha saputo emozionare ad-
detti ai lavori, tifosi e semplici appassionati di un gioco, il basket, capace di regalare gioie e dolori, vittorie e sconfitte ai grandi protagonisti di questo sport. Gli atleti e, in questo caso, le atlete.
focus
SPAGNA ANCHE LA LIGA FEMENINA SPAGNOLA UTILIZZA LA FORMULA DELL’OPEN DAY. L’EDIZIONE 2019, SI È GIOCATA A SARAGOZZA. NELLA FOTO UN MOMENTO DEL MATCH TRA PERFUMERIAS AVENIDA E MANN FILTER.
Già, proprio loro, le atlete. Nel nostro campionato hanno giocato in tante. Italiane e straniere. Le più forti transitate nel nostro continente. Tra loro, Raffaella Masciadri, Laura Macchi e Angela Gianolla. Tre “mostri sacri” della nostra pallacanestro. Per anni, lustri o decenni, delle vere e proprie icone pop. L’esempio da seguire per arrivare in alto. Al massimo livello possibile. Tre giocatrici che hanno in comune una cosa: il record di partecipazioni all’Opening Day. E solo l’esclusione di Napoli dal campionato, con conseguente cancellazione dei risultati ottenu-
ti nell’annata 2018/19, ha privato Macchi di essere presente a tutte le diciotto edizioni finora disputate.
Un evento, l’Opening Day, cresciuto e sviluppatosi nel
corso degli anni. Sempre migliore, sempre innovativo. A cui è stata, spesso e volentieri, abbinata la Serata di Gala della LBF. Un momento importante, in cui vengono premiati i migliori della stagione precedente. Anche qui, Chicca Macchi primeggia: con cinque riconoscimenti di Migliore Giocatrice Italiana è la migliore in assoluto in questa graduatoria,
istituita nel 1996. Ed è la migliore in assoluto anche considerando le giocatrici straniere. Un vanto, per il nostro movimento. Così come motivo di vanto il fatto che il Premio di Migliore Allenatore dell’Anno sia andato quasi esclusivamente a coach italiani, I migliori? Roberto Ricchini e Nino Molino, santoni del nostro basket, con tre vittorie a testa. Le uniche eccezioni straniere? Miguel Mendez, nel 2014, e Pierre Vincent, nel 2018. Entrambi, da allenatori del Famila Schio, cannibale di trofei negli ultimi anni. Le venete sono anche l’unica formazione che ha pre-
so parte a tutte le edizioni dell’Opening Day, 18. Solo tre le sconfitte patite nella partita inaugurale: Maddaloni (nel 2005), Priolo (2009) e Taranto (2011). Una tradizione vincente, come da storia recente della squadra più ambiziosa del nostro basket. Un traino per il movimento: anche questo è stato, ed è tuttora, l’Opening Day. Una esclusiva del basket femminile che – in questo caso – ha deciso di discostarsi dai “fratelli” maschi per proporre un format vincente. Tutte le squadre del campionato in un unico campo di gioco. Una full immersion di pallaca-
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focus nestro, la possibilità di vedere da vicino, conoscere e fare rete con numerosi addetti ai lavori. Una strategia di marketing, che ha dato visibilità al basket rosa, anche a livello televisivo: LBF TV, infatti, ha tramesso buona parte degli incontri inaugurali dei campionati. Evolvendosi, migliorandosi e strutturandosi, fino a diventare il punto di riferimento per tutti gli appassionati.
Ma l’Opening Day è anche di più. È promozione del terri-
torio, di città e luoghi del paese più bello del mondo. Dalla Capitale di oggi (Roma) alla prima d’Italia (Torino), da città d’arte come Venezia, Lucca e Ragusa a centri strategici a livello marittimo (Napoli, Taranto, La Spezia e Cagliari) passando per piccoli centri quali Cinisello, San Martino di Lupari, Cervia e Chianciano Terme per arrivare a capoluoghi di provincia e di regione (Chieti e Pescara). Eccellenza sportiva ed eccellenza paesaggistica unite, per un evento che ha riscosso molto successo e si è ripetuto per anni, diventando una tradizione che quest’an-
nuova linfa all’iniziativa, proponendo idee sempre innovative e all’avanguardia: tra queste, il Match des Champions, disputato a partire dal 2014 tra la squadra vincitrice del campionato e quella della Coppa di Francia. Una gara secca, uno spettacolo garantito. Un evento unico che, progressivamente, ha sostituito l’idea dell’Opening Day. Arrivata a fine ciclo, per i transalpini. Nell’aprile 2020, infatti, l’attuale presidente di LFB Philippe Legname, ha dichiarato che l’Opening Day non farà più parte del progetto di sviluppo del basket nel paese. La motivazione? La volontà, condivisa anche dai Club, di ideare e perseguire nuovi progetti nel piano di sviluppo ribattezzato LFB2024, che guarda al futuro del movimento femminile. Per chiudere il giro d’Europa, ecco la Spagna. Solo nel 2017 gli iberici hanno sviluppato l’idea di iniziare il massimo campionato femminile con un Opening Day. Un evento a 360 gradi, arricchito da una serata di Gala e dal photoshooting cui hanno preso parte tutte le squadre partecipanti. E dalla premiazione di
Un prodotto di successo, che ha saputo emozionare addetti ai lavori, tifosi e semplici appassionati di un gioco, il basket, capace di regalare emozioni ai grandi protagonisti di questo sport. no non verrà riproposta: alla base di questa scelta, presa dalla LBF, ci sono “motivi di opportunità legati alla diffusione del Covid-19”. Una idea, che ha avuto successo e seguito, anche in altri paesi europei. A cominciare dalla Francia, che vanta quindici edizioni consecutive dell’Opening Day. Fin da subito, Oltralpe si sono resi conto della bontà della strategia italiana, sperimentando dapprima la formula in un torneo precampionato (nel 2002 a Temple-sur-Lot e, nel 2003, a Orléans) per poi proporla, come evento unico della pallacanestro transalpina, a partire dal 2005. Promotore dell’iniziativa Jean-Pierre-Siutat, il Presidente della LFB all’epoca. In un primo momento, l’Opening Day veniva disputato con il nome di “Basket and the City”. Evento così bene strutturato e di rilievo da ottenere un prestigioso riconoscimento, il “Prix spécial du Jury des Trophées Sporsora du Marketing Sportif” nel 2006. Dall’anno successivo, LFB-TV ha trasmesso le gare dell’Opening Day in tutto il mondo. Diversamente dall’Italia, in Francia si è scelta una sola cornice per questo evento. La più romantica e prestigiosa, forse. Parigi. Lo stadio “Pierre de Coubertin” in grado di ospitare fino a 4000 persone. Una scelta di marketing e visibilità, senza dubbio, perché la Capitale non vanta una formazione nel massimo campionato femminile. Anche in Francia i successori di Siutat hanno dato
tutte le atlete che – a livello giovanile e senior – hanno conquistato delle medaglie con la maglia della Nazionale rendendo lustro a tutto il paese. Anche in Spagna, l’attenzione mediatica attorno al prodotto Opening Day è progressivamente cresciuta. Ben tre le televisioni che, nel corso degli anni, hanno trasmesso le gare inaugurali del torneo: Teledeporte, Canalfeb.tv e La Liga Tv. Grande attività e interazioni anche sui social – Twitter in particolare – della Federazione, che ha raccontato le gesta delle atlete. L’edizione del 2019, disputata a Saragozza (Città Spagnola della Pallacanestro in quell’anno), è stata arricchita da una serie di eventi collaterali – tra cui una conferenza dal titolo “La salute della pallacanestro femminile”ʺ- che hanno garantito un forte numero di presenze in occasione delle partite. Un evento sempre più importante che “dà maggiore visibilità alla pallacanestro femminile e valore a una Liga che cresce di livello”. Parole e musica di Jorge Garbajosa, Presidente della Federazione. Una iniziativa che, però, non vedrà la sua attuazione nel 2020, come accaduto in Italia e Francia. Un evento, l’Opening Day, bene descritto dalle parole della canzone Sara di Pino Daniele: “Imparerai a guardare il cielo, a inseguire un sogno vero nelle cose della vita”. Un magnifico sogno diventato una solida e duratura realtà.
FRANCIA DURANTE L’OPENING DAY FRANCESE DAL 2014 SI SVOLGE ANCHE IL “MATCH DES CHAMPIONS”, L’EQUIVALENTE DELLA NOSTRA SUPERCOPPA. L’EDIZIONE 2019, GIOCATA A PARIGI, È STATA VINTA DAL LIONE DI MARINE JOHANNÈS.
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WNBA ANCHE DUE STAGIONI NELLA WNBA PER MACCHI. NEL 2004 E NEL 2005 HA INDOSSATO LA MAGLIA DELLE LOS ANGELES SPARKS.
cover story
PENSO DUNQUE SONO PER LA PRIMA VOLTA DOPO 21 ANNI LA SERIE A1 PARTE SENZA MACCHI, CHE È IN PROLUNGATA PAUSA DI RIFLESSIONE: “ME LA SONO GUADAGNATA, DOPO LO SHOCK DEL LOCKDOWN”.
FUTURO APERTO ANCORA NEL BASKET, COME ALLENATRICE O DIRIGENTE. “MA MI STO ANCHE ALLENANDO”: OGNI SORPRESA È POSSIBILE PER IL GRAN FINALE CHE LA PANDEMIA HA NEGATO
DI GIULIA ARTURI
“È
un discorso ricorrente per me, sollevare ogni vol-
ta un po’ l’asticella”. I gesti di un saltatore in alto sono sempre gli stessi. La concentrazione, la rincorsa, gli ultimi due passi, lo stacco, la salita, l’inevitabile ricaduta accompagnata dalla delusione del fallimento o dalla gioia del successo. Chicca Macchi, in un salto durato una carriera, non ha conosciuto la discesa. Dove la discesa non è la sconfitta, l’errore, parte di un gioco che ha amato per 25 anni e tutt’ora ama, ma l’accontentarsi. In questo lei ha continuato a salire. Se l’asticella non si può più alzare perché il cielo è stato raggiunto, allora si sposta un po’, per scoprire altre dimensioni. Con l’attitudine da campionessa, Macchi affronta anche questo momento più riflessivo del suo percorso. La pandemia ci ha costretto a mettere parte della nostra vita in pausa e Chicca sta aspettando il momento giusto per premere play e riprendere dalla rincorsa, con lo stesso spirito e lo stesso talento che l’hanno resa unica in campo.
Per la prima volta dopo 21 stagioni, la serie A femminile inizierà orfana di Chicca Macchi. “Ho fatto questo calcolo giusto poco tempo fa: è dal 1998 che non salto una preparazione. Stranissimo. Di solito l’estate scorre con quel punto fisso davanti a te: la consapevolezza che prima o poi riprenderai ad allenarti. Provo sensazioni strane, ma non direi che sto poi così male, soprattutto in questo momento iniziale di stagione”. Alla fine della scorsa stagione hai preso una pausa di riflessione. A che punto siamo? “Non ho ancora deciso quale sarà il mio futuro. Per la prima volta dopo tanto tempo sono ferma, mi sto prendendo del tempo per me. Sicuramente tutto ciò che il Covid-19 ha comportato ha influito: stare chiusi in un appartamento, lontano dagli affetti, è stato tosto e mi ha fatto riflettere. Ho realizzato quanto tempo ho trascorso lontano dalla famiglia e da qui l’esigenza di prendermi un attimo di tempo per capi-
cover story
I SUCCESSI HA GIOCATO 21 STAGIONI IN SERIE A: 7 A COMO, 1 A RIBERA, 11 A SCHIO, MEZZA A NAPOLI E 2 A VENEZIA. HA VINTO 9 SCUDETTI, 8 COPPE ITALIA, 11 SUPERCOPPE, 1 EUROCUP.
re. Purtroppo, la situazione non dà grandi certezze e penso di essermelo guadagnato. È difficile, ma sono serena, pensavo di avere molta più ansia. Ero abituata ad una routine scadenzata tra allenamenti, partite, trasferte, è una rivoluzione, ma mi piace questa nuova libertà, senza la necessità di incastrare tutto. Un privilegio del momento”. La pandemia ha significato un drastico cambiamento della quotidianità e della vita per milioni di persone. Parlando di atleti, da un giorno all’altro ci siamo trovati dall’adrenalina della palestra all’immobilità del lockdown. “Già, per questo ho ancora dei dubbi. L’anno scorso giocavo con la consapevolezza che sarebbe stata la mia ultima stagione. La brusca interruzione è stata scioccante, per tutti ovviamente, a maggior ragione nella mia situazione. Ho letto del ritiro di Valentina Marchei, la pattinatrice, l’idea di finire una carriera così, di punto in bianco, mi ha colpito. Quando hai dedicato una vita ad uno sport, ti aspetteresti un finale diverso. Ma forse aveva ragione mia mamma quando diceva ‘niente vien per niente’. Non so cosa mi aspetta o cosa c’è scritto per me, ma in questo momento la cosa giusta è prendermi questa pausa. Per osservare la mia vita da una finestra, con più distacco. Non voglio avere rimpianti, per aver rispetto della mia carriera ho bisogno di metabolizzare le cose e di non decidere su due piedi. È stato quasi impossibile farlo mentre ero presa nel viverla: considerato che pensavo che avrei smesso a 30 anni
e sono arrivata a 41 senza neanche accorgermene! (risata)”. Insomma, la brusca interruzione ha complicato le cose. “Sì, anche se sicuramente ho smesso di pensare che tutte le carriere importanti debbano finire con la ciliegina sulla torta. È presuntuoso crederlo. Io ho avuto l’esempio di Betta Moro: ha dato il suo addio al basket vincendo lo scudetto, segnando il canestro della staffa. È l’immagine di una fine perfetta, ma non può essere così per forza. Forse questo pensiero è una forma di protezione per quello che è successo, ma non sono stata già abbastanza fortunata nella mia vita e nella carriera con tutto quello che ho fatto? Bisogna anche guardare in faccia la realtà”. Una volta mi hai raccontato che il futuro ti incuriosiva. Cosa ti ha proposto il mondo del basket? “La pallacanestro è stata la mia vita, al momento faccio fatica a vedermi in un altro ambiente. Ma ho una certezza: qualsiasi cosa farò, deve avere alle spalle un progetto, un senso, un filo che colleghi quello che ho fatto al mio futuro. Mi sono arrivate tante proposte e tante idee. Allenatrice, procuratrice, team manager, giocatrice-allenatrice. L’idea di fare la team manager mi piace, potrei portare quello che ho imparato in questi anni. Allenare? Bisogna capire che possibilità ci sono. Mi sono state anche proposte soluzioni con un paio di allenamenti a settimana e la partita. Non sono io, vorrei esserlo
ma non sono quel tipo di giocatrice. Ho sempre voluto vincere anche al campetto, mi viene difficile immaginarmi in una situazione a metà diciamo. Ma al momento non escludo neanche di tornare a giocare, non per fare altri 4 anni, ma per finire la carriera sul campo, non sul divano di casa com’è successo a marzo. Non mi precludo nessuna possibilità”. Ti stai allenando? “Sì, mi sto allenando, quindi astenersi perditempo! (risata)”. Il basket che hai conosciuto agli inizi e quello per ora messo in pausa sono diversi? “Sì da un lato è diverso, a livello mediatico è tutto cambiato. I social sono una rivoluzione. In campo mi sono accorta che c’è un po’ meno fame. Sicuramente, com’è normale, le generazioni sono diverse. In questi anni ho realizzato che ero io a dover fare un passo indietro e capire. Ma vedo che è più facile accontentarsi. Anche se alcuni momenti della mia carriera non me li sarei goduti di più se non avessi voluto sempre fare qualcosa meglio”. Però dall’altra parte hai sempre preso con un certo spirito il giocare a basket. “Anche durante le partite sono sempre riuscita a trovare quel momento di divertimento, quella cazzata in campo, anche con le avversarie. Mi chiedevo ogni tanto perché non tutti la prendessero così: ci stiamo divertendo, stai facendo la cosa che ami. Ha sempre
fatto parte del mio modo di essere un po’ scanzonato, soprattutto in campo. La cosa più irrazionale che ho fatto è stata durante una finale scudetto, nel 2008, contro Taranto: in un momento cruciale mi sono accusata di una deviazione e la rimessa è tornata alle avversarie. Eravamo pari, era gara5, se avessimo perso quella partita ero finita! Ma che figura di merda avrei fatto se non fossi stata onesta? (risata). Quando in cuor tuo lo sai, come si fa a non ammetterlo. Non dico che il pubblico di Schio mi abbia fischiato, ma forse quasi (risata)”. Hai giocato in delle corazzate in carriera. Como o Schio? “Schio. Ho vinto di più e ho avuto la possibilità di giocare l’Eurolega, è stata la mia avventura più completa. Ma a Como è impossibile dimenticare l’anno che abbiamo vinto lo scudetto giocando in 6/7, nel 2004. Era stato lo scudetto delle italiane”. Un litigio memorabile? “Le battaglie più grosse le ho fatte con Betta Moro, avversaria a Taranto, compagna a Schio. Come le ho sempre detto, era la persona che amavo di più fuori e che odiavo di più in campo, era proprio una questione di pelle. Poi crescendo, con gli anni, ho capito che il suo atteggiamento era proprio quello che la portava a essere la campionessa che è stata”. C’è una frase che vorresti non aver mai pronunciato?
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cover story “Non che si possa dire (risata). Ufficialmente no, ecco”. La Nazionale è un rimpianto? “La Nazionale non è un obbligo, né un regalo, è un privilegio farne parte e quindi bisogna viverlo per quello che è. Per quel che mi riguarda, quando non sto bene in un posto si vede chiaramente e quindi quando un’atleta non si sente integrata nel gruppo, questo si riflette subito anche nel rendimento in campo. Ho fatto fatica all’idea di tornare in azzurro: un gruppo diverso, tante giovani, avevo la sensazione di essere troppo ingombrante per loro, di non essere nel posto giusto al momento giusto. Però ho rubato un po’ di quella leggerezza dell’essere giovani e mi sono detta ‘ma chi se ne frega, vivi quello che stai vivendo senza pensarci troppo’ e ho ritrovato grande entusiasmo. Il mandibola day è stata una mazzata, forse ci saremmo potute togliere qualche soddisfazione in più”. C’è un gesto tecnico che avresti voluto fare meglio? “Sì, una marea. Come dice sempre il buon Giustino Altobelli ‘la difesa non è roba tua’ (risata). Poi sicuramente l’arresto e tiro, come non ha mai mancato di ricordarmi mio padre sino all’ultima partita giocata. Per me si trattava di tirare da metà campo o entrare a prendere botte!”.
‘adesso cosa fai, hai visto, non inizi tu e non fanno neanche l’opening day’! (risata)”. Il tuo sport preferito al di fuori dal basket? “Lo shopping si può dire? A parte gli scherzi, paradossalmente la verità è che io non ho mai potuto provare uno sport al di fuori dal basket. Ho sempre detto che una volta chiusa la carriera avrei voluto provare il bungee jumping, è in cima alla lista di cose da fare!”. Veramente una lista di cose da fare? Le prime due? “Il bungee jumping appunto. E poi parapendio, con il mio amico Martino. Certo non cose propriamente tranquille! Ma come si fa a vivere senza quelle emozioni uniche, quell’adrenalina che si prova in campo? Forse questa sarà la cosa più difficile da superare. Quando si è abituati a un certo tipo di sensazioni tutto il resto sembra noia e qualsiasi altra strada intraprenderai non si avvicinerà neanche lontanamente a quello che hai provato per tanti anni in campo. E quindi ho sì una lista di cose che mi piacerebbe fare”. Torniamo al basket giocato. L’avversaria più difficile da affrontare? “La noia. Secondo me la prova più difficile da superare per un’atleta è quella di sentirsi annoiata in pale-
“Ho una certezza: qualsiasi cosa farò, deve avere alle spalle un progetto, un filo che colleghi quello che ho fatto al mio futuro”. Tuo papà è sempre stato il tuo primo tifoso. Come ha preso il tuo momentaneo distacco dal campo? “È già iniziata l’agonia! (risata). Gliel’avevo detto: ‘Papà ti ufficializzo che è l’ultimo anno, quindi cerchiamo di viverla nel modo migliore’. Le telefonate post partita non sono mai mancate in 25 anni di carriera e da piccola poi ancora peggio; come tutte le ragazzine con un minimo di talento, appena l’allenatore non mi faceva giocare apriti cielo: ‘Ci sarà un motivo per cui non hai giocato?’ mi diceva mio padre, una solfa che proseguiva con ‘rivediamo insieme la cassetta’, perché pure si registrava le partite!”. Quindi primo tifoso, ma anche primo critico! “Assolutamente. Ogni tanto partiva un fischio, ben udibile nel palazzetto: era mio padre che richiamava la mia attenzione. C’erano i momenti in cui gli allenatori mi suggerivano di stare tranquilla, di non aggredire la partita, ma di aspettare che venisse da me. Tutto giusto, ma poi ecco che arrivava il fischio seguito da un ‘allora ti svegli o no?’ (risata). Inflessibile. Devo dire che aveva preso abbastanza bene il discorso ultimo anno, era entrato nell’ottica giusta. Ma ora, quando è stato il momento, e mi ha chiesto
stra. A me è capitato, e non si tratta di una mancanza di rispetto dire mi sto annoiando, ma della necessità di alzare sempre un po’ l’asticella per mantenere vivo l’interesse. Soprattutto per la nuova generazione, che ha già tutto fuori dalla palestra, sarebbe interessante tenere a mente questo aspetto”. Hai preso il patentino di allenatore nazionale. Com’è trovarsi dall’altra parte della barricata? “L’ho fatto perché mi stimolava, si torna sempre al discorso di spostare sempre un po’ l’asticella. È qualcosa che riguarda il mio mondo, ma da una prospettiva diversa. Se non sono stati i 15 giorni più difficili della mia carriera, ci siamo andati vicino! È stato impegnativo dal punto di vista mentale ed emotivo. Mi devo rimangiare tutto quello che ho sempre detto sugli allenatori: da atleta ti devi allacciare le scarpe e portare te stessa in campo. Tutto quello che c’è dietro è proprio un altro paio di maniche”. Chi vince quest’anno? “Schio ha fatto una squadra davvero illegale, con delle straniere così si gioca per arrivare alle Final Four di Eurolega”.
IN AZZURRO CON LA NAZIONALE MACCHI HA DISPUTATO 6 EUROPEI, PER UN TOTALE DI 1387 PUNTI E 113 PRESENZE. DETIENE IL RECORD DI PUNTI IN UNA GARA: 36, NEL 2004 CONTRO LA BULGARIA.
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CLIMARAI FA SOGNARE LE CAMPIONESSE DEL FUTURO
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CREMA AL CUBO
LE LOMBARDE CONQUISTANO PER LA TERZA VOLTA DI FILA LA COPPA ITALIA (RECORD) DOPO UNA FINALE ALL’ULTIMO TIRO CON ALPO. BELLA FESTA A MONCALIERI DOPO 6 MESI E MEZZO DI STOP AGONISTICO. DAL 3 OTTOBRE VIA AL CAMPIONATO: LA NOSTRA ANALISI SUI DUE GIRONI, LE 28 SQUADRE, LE PROTAGONISTE
di manuel beck
C
i voleva. L’agonismo vero, le emozioni a ritmo serrato
della Final Eight, una finale all’ultimo tiro davanti a una bella cornice di pubblico. A Moncalieri, la Coppa Italia Azimut ha chiuso idealmente la stagione 2019/20 di A2 (era il recupero dell’evento rinviato in marzo, proprio all’inizio della pandemia) regalando l’ultima parola alle giocatrici anziché al virus. E a vincere è sempre lei, Crema, per la terza volta di fila, come mai nessuno prima d’ora nella coppa “cadetta”. In finale la squadra di Stibiel, con la coppia Nori (26 punti)-Melchiori (14 con 5 assist) in grande evidenza, piega 73-70 Alpo (Conte e Dell’Olio 17), che rimonta da -10 al pareggio ma negli ultimi minuti è tenuta a piccola ma decisiva distanza, fino alla tripla sul ferro a 3 secondi dalla sirena che le nega il supplementare. Veronesi protagoniste anche del clamoroso quarto di finale vinto su La Spezia, 111-106 dopo 3 overtime: 34 punti di Conte e 32 di Vespignani a domare i 33
di Templari, più 22 di Packovski e 19 di Sarni per le liguri. Aprire così la manifestazione è stato favoloso, anche se gli altri quarti, da pronostico, hanno avuto poca storia: 64-37 per Crema su Umbertide (Pappalardo 14; Giudice 13), 69-53 per Faenza su Carugate (Franceschelli 18; Olajide 17), 60-31 per Moncalieri sul Cus Cagliari (Katshitshi 12; Striulli 8; le sarde rimpiazzavano Campobasso, salita in A1). In semifinale, break nel 2° quarto per Crema su Faenza, priva di Ballardini e Morsiani, che rimonta ma non abbastanza (60-53; Melchiori 13; Schwienbacher 17); gran progressione nella ripresa per Alpo su Moncalieri (64-51; Conte 17; Katshitshi 9). Ma ora comincia a tutti gli effetti il 2020/21: dal 3 ottobre riparte il campionato, con 28 squadre, due in meno dello scorso anno: 26 giornate, in ambo i gironi le prime 8 ai playoff, la nona salva, playout da 10° a 13° posto, l’ultima retrocede direttamente. Ne parliamo nelle prossime pagine.
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Girone Nord // Ruolo da favorita per Crema. Prime antagoniste Castelnuovo, Alpo e Moncalieri. Per gli altri posti-playoff vediamo davanti Bolzano e Milano. Tante giovani di valore; Zara e Zimerle tra le novità in panchina Il girone Nord ha le stesse squadre dello scorso anno, a parte la defezione di Marghera.
PER IL VERTICE In pole position Crema, che partendo da
un livello già altissimo ha aggiunto, sotto canestro, Nori (dall’A1 di Battipaglia) e Pappalardo (tra le migliori del Sud lo scorso anno); e in regia l’ex azzurra Giulia Gatti, che torna in campo dopo un anno da assistente di coach Stibiel. Avendo confermato un perimetro di lusso con Rizzi, Melchiori, Capoferri, Caccialanza, così come Cerri e Zagni, è difficile trovarle punti deboli. Alpo, presenza fissa ai vertici, ha confermato in Coppa di potersi confermare tale, avendo mantenuto l’asse Vespignani-V. Dell’Olio, più Dzinic, Coser, Reani, Mosetti, inserendo una lunga versatile ed esperta (pur 24enne) come Vitari e il talento emergente Anastasia Conte, che compensano le uscite di Policari e Granzotto. Sempre Soave alla guida tecnica. Salgono le quotazioni di Castelnuovo, che ha affidato il timone a Francesca Zara. Due innesti dall’A1: il play-guardia Madonna, in recupero dall’infortunio che ha troncato la sua miglior stagione ad Empoli, e il pivot Valentina Gatti da Ragusa. Insieme alle confermate Podrug, Pavia, Claudia Colli, Bonvecchio, il gruppo sembra anche ben assortito per ruoli e caratteristiche. Moncalieri, che era in testa nella stagione interrotta, ha perso pezzi importanti (Grigoleit, Trucco, Conte), ma l’organico di coach Terzolo può ancora contare su Katshitshi, Reggiani, Berrad, Penz, Cordola, Domizi, Giacomelli, e sull’arrivo di Salvini dalla disciolta A1 di Torino, oltre che delle giovani Iagulli e Bevolo.
PER I PLAYOFF Il B.C. Bolzano di Sacchi, quarto a sorpresa al
momento dello stop, ha cambiato non poco, mantenendo però la trazione perimetrale di Servillo e Fall e l’azzurra 2002 Nasraoui vicino a canestro. La croata Molnar – già vista a Carugate due anni fa – non dovrà far rimpiangere la connazionale Trehub, fra le migliori lunghe della scorsa stagione. Tra le novità anche Profaiser, da Vicenza, e Cremona, dall’A1 di Battipaglia. Il Sanga Milano ha il vantaggio di ripartire dallo stesso gruppo che era cresciuto strada facendo nello scorso campionato: Toffali, Guarneri, Cicic, Quaroni, Beretta. Due rinforzi di rendimento affidabile: la lunga Novati e l’esterna Mandelli; alla corte del coach-patron Pinotti anche la giovane lunga romana Angelini. Tanti cambiamenti, invece, a Ponzano, dove rimangono solo Costanza Miccoli, Leonardi e coach Zanco. Nel “re-
styling” spiccano i nomi di Iannucci, classica top scorer della categoria, del play ceco Zitkova (ex Ariano), della lunga Egwoh, di giovani del calibro di D’Este, Rescifina, Martines, Celani. Molte novità anche a Udine. Si è ritirata la bandiera Vicenzotti; via anche, tra le altre, Vente (rimpiazzata dalla slovena Cvijanovic), Ianezic, Rainis, ma interessanti gli arrivi: Peresson, che torna da una lunga esperienza negli Usa; l’ala-pivot Scarsi; un trio da BasketLab: Blasigh, Braida e Medeot. A coach Matassini il compito di assemblarle con le confermate Da Pozzo, Pontoni, Sturma, Turel.
PER SALVARSI/SORPRENDERE Lo scorso anno Carugate fu tra le
rivelazioni; ma deve ricostruire dopo il ritiro di tre pilastri come Schieppati, Maffenini e Gambarini, e dopo la defezione di coach Cesari in precampionato: al suo posto Stefano Fassina. Sono rimaste solo Canova, Diotti e Grassia fra le senior; arrivate Beatrice Olajide (ottima a Vicenza lo scorso anno), Greta Miccoli e un trio di 2002 da Costa: Allevi, Discacciati, Colognesi. Può crescere più di altre. Vicenza era ad alto rischio di retrocessione prima dello stop per Covid. Ha voltato pagina con una rifondazione del gruppo, sulla carta migliorativa: agli ordini di Rebellato sono arrivate, fra le altre, l’argentina Villarruel da Marghera; Lazzaro e Tibè dal girone Sud; le giovani Vella, Tagliapietra e Vettori. S. Martino, laboratorio per le Lupe di A1, non utilizzerà più Toffolo, Pasa e Fietta ma, insieme ad Amabiglia e Beraldo (“veterane” a poco più di 20 anni), schiera una batteria di giovanissime come Peserico, Guarise, Giordano e i nuovi arrivi: la talentuosa coppia Varaldi, Arado da BasketLab e il fisicato trio Pini, Rech, Diakhoumpa. A guidarle è promossa Francesca Di Chiara. Sarcedo ha affidato la panchina ad Anna Zimerle; sotto canestro ha sostituito Shaw con la croata Mandic, sul perimetro ha preso un nome di primo piano come Pieropan. Tra le confermate Santarelli, Marina Fumagalli e Viviani. Mantova continua con il suo gruppo ben collaudato e compatto; le esperte Monica e Antonelli sono garanzie. Sono arrivate la giovane lunga Laura Gatti da Ragusa, l’esterna Marchi dal Progresso Bologna e l’argentina Llorente al posto di Kotnik. Il nuovo coach è Massimo Borghi. Linea verdissima per Albino, che lancia il progetto “Playing for Bergamo” affidandosi a Monica Stazzonelli. Sul campo le lunghe De Gianni e Carrara (un ritorno) saranno attorniate da tante giovani del territorio, tra cui il play Laube e l’azzurrina 2004 Rizzo.
MAGNIFICO TRIS CREMA, NEL WEEKEND, HA CONQUISTATO LA TERZA COPPA ITALIA CONSECUTIVA DI SERIE A2, IMPRESA MAI RIUSCITA PRIMA A NESSUNA ALTRA SQUADRA. LE LOMBARDE SONO LE GRANDI FAVORITE PER LA VITTORIA DEL GIRONE NORD.
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FAVORITA FAENZA SI PRESENTA AL VIA DEL CAMPIONATO CON IL DICHIARATO OBIETTIVO DI PROVARE A SALIRE IN SERIE A1, FORTE DI UN GRUPPO DI TALENTO ED ESPERIENZA. IN FOTO GRETA BRUNELLI.
Girone Sud // Faenza in testa al nostro ranking di un girone con 4 debuttanti. La Spezia, Valdarno, Nico le prime alternative. Livello più omogeneo degli anni scorsi: nomi di qualità anche fra le squadre meno accreditate Il girone Sud è più cambiato, con 4 squadre in uscita (Campobasso, ammessa in A1; Viterbo e Ariano Irpino, che hanno rinunciato, e il BasketLab federale) e altrettante in entrata dalla B: Patti, Firenze e le due settentrionali Brescia e Pall. Bolzano. Il club altoatesino ha fatto ricorso contro l’inserimento in questo gruppo: respinto. In effetti, più che “girone Sud” è un “girone Italia”, dalle Alpi alle isole. Il livello tecnico sembra più uniforme – in positivo – rispetto ai divari degli scorsi anni.
PER IL VERTICE L’annuncio di Ballardini di voler rimandare il
ritiro ha messo le basi per la riconferma di Faenza ai vertici; con lei è rimasto anche coach Paolo Rossi così come quasi tutto il gruppo, ricchissimo di opzioni (Franceschini, Schwienbacher, Morsiani, Franceschelli, Brunelli, Soglia, Meschi, Caccoli), con due aggiunte importanti: Porcu in regia e la lettone Vente sotto canestro. Discorso simile, anche se con un organico più corto, per La Spezia, che riparte dalle certezze offerte dal trio Packovski-Sarni-Templari e dalla guida tecnica di Corsolini; un paio di uscite importanti come Diene e Isabella Olajide sono compensate dagli arrivi di Giuseppone e Isabel Hernandez (rientrante dagli Usa) e dal ritorno di Linguaglossa (da maternità). S. Giovanni Valdarno ha condotto un mercato d’assalto, ingaggiando la croata Trehub (ottima lo scorso anno a Bolzano), le giovani Nativi e Gregori e la bombardiera Miccio, tutte e tre dall’A1. In aggiunta alle confermate Bona, De Pasquale, Missanelli, G. Togliani, è un bell’avere per coach Franchini, anche se la sfortuna gli ha tolto un altro colpo, Ngo Ndjock, fermata dalle visite mediche. In salita anche le quotazioni della Nico Ponte Buggianese, che ha rimpiazzato Pochobradska con la lituana Zelnyte e ha preso Ramò e Botteghi dall’A1, Gianolla di ritorno dagli Usa e la giovane Frustaci (vivaio Costa Masnaga). Tra le confermate: Giglio Tos, Nerini, Puccini, Innocenti, così come coach Andreoli.
PER I PLAYOFF Non sarà facile per Umbertide, del neo-co-
ach Staccini, ripetere la scorsa stagione sopra le attese; ha però un bel ventaglio di conferme (Giudice, Kotnis, Pompei, De Cassan, Paolocci, Moriconi) cui ha aggiunto le giovani Baldi e Sofia Dell’Olio da Faenza, e Stroscio dall’A1 di Ragusa. Ha cambiato molto Selargius, complice il varo del progetto-Sassari in A1, che le ha preso coach Restivo (sostituito da Fioretto) e tre riferimenti importanti come Arioli, Gagliano e Pertile; ma si è rifatta un bel look con il mercato:
Cutrupi, Manzotti, El Habbab, Granzotto, Ceccarelli, oltre al ritorno di Mura. Ci sembra Patti la più attrezzata fra le matricole. Con Mara Buzzanca in panchina, le messinesi hanno attinto dall’A1: Cupido e Marta Verona da Palermo, Galbiati da Battipaglia. Anche l’italo-bulgara Stoichkova rinforza il gruppo proveniente dalla B. Il pubblico, specie se si tornerà a capienza piena durante la stagione, può essere l’arma in più. Il Cus Cagliari di Xaxa può confermarsi nelle zone medio-alte che occupava lo scorso anno, avendo conservato gran parte del gruppo, su tutte Striulli, Ljubenovic, Caldaro e Puggioni. Due buoni acquisti sono Prosperi da Umbertide e l’italo-bulgara Petrova dall’A1 di Torino.
PER SALVARSI/SORPRENDERE La Pall. Bolzano ha rinforzato tutti i
ruoli, prendendo l’olandese Kuijt in regia, la lunga Villarini dalle concittadine del Basket Club, Chiabotto da Faenza e l’esperta Piermattei. La squadra di coach Pezzi soffrirà la lunghezza delle trasferte, ma vale anche per le avversarie che dovranno salire fino all’estremo Nord. Altra matricola che si è mossa bene per garantirsi competitività è Firenze, che ha preso tre elementi d’esperienza e qualità da altri club toscani: Pochobradska e Perini dalla Nico, Calamai da Valdarno. A coach Corsini il compito di amalgamarle con le varie giovani. La Virtus Cagliari di Iris Ferazzoli ha un organico di qualità, ma che ha bisogno del ritorno di Favento dal grave infortunio dello scorso anno. Nel frattempo ha inserito, accanto alle confermate Brunetti, Zolfanelli, Lussu, l’argentina Ledesma (da Capri in B) e le lunghe Chrysanthidou, da Campobasso, e Savatteri, da BasketLab. Brescia ha voluto la salita in A2 per valorizzare le giovani del suo vivaio, tra cui spicca l’azzurrina 2005 Carlotta Zanardi, figlia di coach Stefano e dell’ex-A1 Laura Marcolini. Ad accompagnarle nella nuova avventura sono arrivate la torre francese Turmel, Rainis da Udine e, dalla B lombarda (ma già viste in A2), Benedetta Bonomi e De Cristofaro. Livorno, che lo scorso anno da neopromossa mostrò carattere, ha ringiovanito il gruppo (out Bindelli e Tripalo), inserendo l’emergente Degiovanni e Giangrasso sul perimetro, Guilavogui e Patanè sotto canestro; Orsini rimane la leader per coach Pistolesi. Per Civitanova da assorbire il cambio tecnico in extremis (è arrivato Dragonetto) e varie partenze, anche se l’esperta Rosellini e le giovani Castellani e Bolognini portano nuova linfa a un gruppo quasi tutto “under 21”, in cui spiccano Bocola e Paoletti.
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VALENTINA GATTI IN ESTATE SI È TRASFERITA A CASTELNUOVO SCRIVIA, IN SERIE A2 GIRONE NORD. ALLA BASE DELLA SUA SCELTA, IL FEELING CON FRANCESCA ZARA.
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QUESTIONE DI FEELING
VALENTINA GATTI, DOPO DIVERSE ESPERIENZE IN SERIE A1, SI È TRASFERITA A CASTELNUOVO SCRIVIA, IN A2. ALLA BASE DELLA SUA SCELTA, IL LEGAME PROFESSIONALE E UMANO CON FRANCESCA ZARA, HEAD COACH DELLA SQUADRA PIEMONTESE, SVILUPPATO NELL’ESPERIENZA CONDIVISA A BRONI
Di CHIARA BORZì
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opo ben otto stagioni trascorse in Serie A1, Valentina
Gatti riparte dopo il lockdown scendendo di categoria per vestire la maglia di Castelnuovo Scrivia.
La lunga lombarda, 32 anni, tornerà in campo ingaggiata
da una delle formazioni favorite per la promozione nel girone Nord. In estate, Valentina ha deciso di lasciare la Passalacqua Spedizioni Ragusa, formazione in cui ha militato nella passata stagione terminata anzitempo a causa della diffusione della pandemia da Covid-19 che ha imposto alla FIP di concludere tutti i campionati senza assegnare alcun verdetto definitivo. Nella stessa, incerta, situazione di Gatti si sono trovate anche molte altre giocatrici italiane; allo stesso tempo, il periodo di stop forzato ha riacceso e scatenato in Valentina voglia di tornare a giocare, allenarsi, inseguire obiettivi con l’entusiasmo che la distingue. È lo stesso amore per la pallacanestro che nella nu-
mero 44 (scelto non a caso!) ex Sanga, Chieti, Brindisi, Cagliari, Torino, Lucca, Broni e Ragusa nasce dall’esigenza di condividere il gioco, di parlarne con le compagne, cosa che Micia non poteva fare ad esempio a nuoto, suo sport preferito fino agli undici anni. “Non ho iniziato subito a giocare a basket, dai sei agli undici anni ho fatto nuoto agonistico, poi stanca di non poter parlare con nessuno in piscina e ho iniziato a giocare a pallavolo. Al primo allenamento mi sono rotta un dito, ma mio padre ha continuato comunque a spronarmi perché voleva facessi uno sport, quindi a 13 anni ho ceduto e ho iniziato a giocare a basket: da lì mi sono innamorata! Seguivo i miei genitori che a loro volta erano molto al fianco di mio fratello Simone, ma mi scocciavano parecchio gli allenatori che mi invitavano a giocare vedendo quanto ero alta. Non accettavo quasi per fare un dispetto”.
Ci sono giocatrici che mettono piede in campo partendo da zero
con i fondamentali e poi c’è Valentina Gatti, arrivata
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in palestra conoscendo già la tecnica di tiro.
“Non sapevo fare molto della pallacanestro, sapevo solo
tirare – spiega -. Mio fratello mi aveva insegnato la dinamica ma davvero riuscivo a fare solo quello. Piano piano mi sono messa a pari con le mie compagne sfruttando soprattutto la mia fisicità. Non sono mai stata una bambina esile, ho sempre con-
vissuto con qualche chilo in più e con il mio metro e novantuno. Nessuno nella mia famiglia è sotto il metro e settantacinque, mia nonna era alta un metro e ottanta, tutti siamo così. Non ho mai considerato un limite essere in sovrappeso – aggiunge Valentina – non è un limite se vuoi diventare qualcuno nel mondo dello sport perché ci si può comunque lavorare. All’inizio altezza e peso mi hanno perfino age-
44 IL NUMERO PREFERITO DI “MICIA”. IL RIFERIMENTO ALLA CANZONE “44 GATTI” RIVELA TUTTA LA SUA IRONIA.
volata, ero sempre il doppio delle altre e una botta di qua e una di là ce la facevo sempre. Nella mia carriera rimpiango piuttosto non aver giocato per bene un campionato giovanile”. Perché è utile da giovane giocatrice arrivare fino in fondo a una competizione under? “I campionati giovanili spesso sono preambolo del
professionismo. In finale giochi contro squadre di altre regioni confrontandoti con i talenti di domani. Spesso si crede che una giovane imparerà poi, dopo le giovanili, ma in realtà serve dare un bagaglio importante proprio in quella fase. Io ho giocato a Varese tutte le giovanili tranne un anno fatto con la Pool Comense. Mio padre ha visto i miei miglioramenti e mi ha spinto per andare a Como, ma Varese mi ha
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permesso di fare lì solo un anno. Con loro ho fatto la B2 e la promozione in B1. In quello stesso periodo diverse persone mi chiedevano se volessi spostarmi per giocare fuori, ma i miei mi chiedevano di prendere almeno il diploma e poi andare via, per questo
cialista” in promozioni, traguardo che raggiungerà successivamente anche con il Cus Chieti. L’A1 diventerà il suo campionato di appartenenza e sei stagioni dopo solo il Covid-19 la costringerà a lasciare il parquet delle vice campionesse d’Italia del-
Francesca Zara sarà la mia allenatrice, devo ringraziarla perché negli ultimi anni con lei ho fatto un salto di qualità. Grazie a questa stima reciproca è arrivata la chiamata a Castelnuovo. sono rimasta a Varese fino al quinto anno di superiori e poi ho ricevuto un’offerta dal Sanga Milano dove ho iniziato la B1. Era una squadra fortissima, giocavo con Silvia Brioschi, Claudia Barzaghi, Silvia Gottardi con cui abbiamo conquistato la promozione in Serie A1”. Da quel periodo Valentina Gatti diventa una “spe-
la Passalacqua Spedizioni Ragusa per scegliere di ripartire da una categoria inferiore. Fondamentale per questo epilogo, però, non è stato il Covid-19 ma il bagaglio di rapporti umani costruito a Broni. Nelle due stagioni in biancoverde nasce il feeling professionale con Francesca Zara, coach oggi di Castelnuovo Scrivia.
OTTO STAGIONI I CAMPIONATI CONSECUTIVI DISPUTATI DA “MICIA” IN SERIE A1 FEMMINILE. L’ULTIMA ESPERIENZA, ALLA PASSALACQUA SPEDIZIONI RAGUSA, NELLA STAGIONE 2019/20.
“Francesca Zara sarà la mia allenatrice quest’anno, ma ci
siamo conosciute a Broni dove lei era preparatrice e vice allenatrice. Devo ringraziarla perché mi ha plasmata fisicamente, con lei ho fatto davvero un salto di qualità e perso dodici chili. Obiettivamente mi sono sentita meglio. Perdendo chili tecnicamente tutto rimane uguale, ma i movimenti sono più fluidi e più veloci. In estate mi facevo seguire sempre da lei e anche durante l’ultimo lockdown, mentre ero a Ragusa, mi ha dato consigli nei due mesi di stop. È grazie a questa stima reciproca che è arrivata la chiamata a Castelnuovo, trovato l’accordo ho accettato subito”. La squadra castelnovese è nuova, inserita in un piccolo contesto, ma cestisticamente riconosciuta come ambiziosa. Scrivia è stata brava a convincere un’atleta da otto anni stabile in Serie A1 a scendere in Serie A2. “Mi trovo in un paesino di cinque mila abitanti, la dirigenza non ci ha messo pressioni e ha semplicemente chiesto di onorare con il nostro impegno il campionato, senza brutte figure. Non vogliamo creare aspettative pur sapendo di avere una squadra
molto buona e che è considerata favorita per la promozione con Crema. È vero, ho fatto otto anni di fila in A1, – spiega Gatti - l’anno scorso a Ragusa sono stata bene e mi è dispiaciuto finire l’anno con il Covid-19. La Passalacqua ha scelto poi di ringiovanire tanto la squadra e per questo ho dovuto guardarmi attorno. Pur avendo delle offerte in Serie A1 ho scelto l’A2 perché a parità di trattamento avevo la possibilità di essere allenata da un’amica e una professionista con cui sapevo sarei stata bene. A Castelnuovo tornerò a prendermi delle responsabilità, ad avere il gioco tra le mani e giocare palloni per me e le compagne. Ne avevo bisogno e proprio voglia e per questo mi sono detta, vai e divertiti”. Con la formazione piemontese Valentina Gatti esordirà anche come allenatrice delle giovanili. Sarà vice in under 15 e aiuterà in under 18.
“Inizio questo percorso per capire se potrà piacermi e credo
potrebbe succedere! Con le giovani della squadra ho già l’abitudine a dare già consigli, chiedere attenzione ai particolari quando possono essere migliorati”.
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BEATRICE ION È NATA NEL 1998 A ORSOVA, IN ROMANIA. A 6 ANNI SI È TRASFERITA CON LA FAMIGLIA A ROMA DOPO AVER CONTRATTO LA POLIOMIELITE.
altri mondi
WONDER BEA
BEATRICE ION HA 22 ANNI, TALENTO E IDEE CHIARE. GIOCA IN SERIE A CON L’AMICACCI GIULIANOVA E NELLA NAZIONALE ITALIANA DI BASKET IN CARROZZINA. SUL CAMPO LOTTA COME UNA LEONESSA, MENTRE FUORI DISARMA CON LA SUA GENTILEZZA E CAPARBIETÀ
DI CATERINA CAPARELLO
D
olcezza, grinta e consapevolezza sono le parole per-
fette per descrivere Beatrice Ion. Al telefono, la sua voce squillante mette subito di buonumore mostrando un carattere socievole e tosto allo stesso tempo. Bea è una giovane stella della Nazionale italiana di basket in carrozzina, gioca in Serie A con l’Amicacci Giulianova e studia Scienze della comunicazione all’Università di Teramo. Ma non è finita. 3 campionati giovanili, 2 scudetti, 3 Supercoppe italiane, 3 Coppe Italia e ai campionati Europei di Lignano Sabbiadoro del 2018, con la Nazionale italiana, è stata eletta nel quintetto ideale della manifestazione. Una vera Wonder Woman.
UNA BRUTTA PARENTESI Due mesi fa Bea e la sua famiglia
hanno subìto, in prossimità della loro abitazione, un’aggressione a sfondo razzista e discriminatorio da parte di un uomo (in aggiunta ad altri rimasti fermi a guardare) che le contestava il diritto al parcheggio per le persone con disabilità. “Al momento
non ci sono novità. C’è una denuncia in corso e ci vuole tempo. Onestamente, sono passati solo due mesi però ci siamo ripresi e la situazione si è calmata. Non mi aspettavo tutto quel riscontro, è stata una sorta di montagna russa. Alla fine l’attenzione ha aiutato ma è stato anche stressante, insomma ci stiamo riprendendo”. Il lavoro più duro, per una supereroina, è quello di continuare a guardare davanti a sé tenendo bene in mente la strada da percorrere, insieme a quelle emozioni che l’hanno resa più forte.
GLI INIZI DI BEA Nei migliori fumetti e film che si rispet-
tino, supereroine e supereroi scoprono per caso di avere degli straordinari poteri. E Bea lo sa bene. “Ero una nuotatrice e lo sono stata per 12 anni. Ma per quanto fosse bello e mi aiutasse fisicamente, il nuoto non mi dava molto a livello personale, nonostante sia una persona socievole. A quel punto la mia fisioterapista mi propose anche il basket. Provai e me ne innamorai subito. Ho sempre praticato il
altri mondi basket come divertimento, non mi è mai pesato andare agli allenamenti, anzi. Tutti i risultati che sono arrivati, la serie A e la Nazionale, non me li aspettavo assolutamente. Avevo iniziato per passione e ovviamente volevo arrivare a livelli alti, a quel tempo mi sembravano traguardi impossibili da raggiungere ma ora ce l’ho fatta e ne sono davvero contenta. È tutto nato per caso e allo stesso modo è continuato”. Inizia tutto con il Santa Lucia, squadra romana in cui rimane dalle giovanili, passando per le serie B e A, all’età di 18 anni. “Quante emozioni fantastiche che ho provato e continuo a provare. Può sembrare strano da dire, ma effettivamente ti alleni per quelle
hai una squadra-famiglia a proteggerti il resto non conta. “Giocare a livello agonistico a 12 anni non è stato facile. Nei weekend ero sempre in trasferta. Mi ha sicuramente aiutato a diventare indipendente, ma non posso dire di non aver sofferto. Alle prime trasferte mi mettevo a piangere perché mi mancava mia mamma. Ma la squadra, come accade anche ora a Giulianova, non mi ha mai fatta sentire sola. Ero e sono in famiglia. Idem per la Nazionale. Spesso, infatti, partiamo durante le vacanze di Pasqua o subito dopo Natale, quindi si sacrificano le feste per una passione che hai, è fondamentale avere una squadra e una famiglia che ti supportino in modo da sentirti
NOI SIAMO INDIPENDENTI, NOI SIAMO INTELLIGENTI. È NECESSARIO AMARSI IL PIÙ POSSIBILE, NON DARE PESO ALLE COSE E APPREZZARE LE PERSONE CHE CI STANNO VICINO. emozioni. Giochi tutto l’anno per vincere e, quando ci riesci, è sempre bello. È davvero tutta una questione di emozioni. La più bella è stata la vittoria del primo campionato con la giovanile, il primo in assoluto della società. Per non parlare della serie A, dove giocavo con persone di alto livello, americani, inglesi, olandesi ed era tutto surreale”.
UN AZZURRO CHE VALE DOPPIO Bea è nata 22 anni fa a Or-
sova, in Romania. Nel 2004, quando ha solo 6 anni, si trasferisce a Roma con mamma Giorgia e papà Eduard per curare, all’ospedale Bambino Gesù, la poliomielite contratta a 3 mesi. Da 16 anni è in Italia e, quando è stata convocata per l’azzurro, l’emozione è stata doppia: “Ho origini straniere ma cittadinanza italiana. Indossare la maglia della Nazionale è stato un altro segnale del fatto che mi sia integrata così bene. È una cosa di cui sono grata perché non mi sarei mai aspettata di giocare con Italbasket e a rappresentare un Paese in cui, oggettivamente, non sono nata, ma che mi ha permesso di integrarmi. Soprattutto, è merito dei miei genitori che hanno fatto davvero di tutto da quando siamo arrivati, sono loro che mi hanno cresciuta così. Per me è sempre un onore indossare quella maglia. Ricordo che, a Londra, al mio esordio a un Europeo, i miei genitori mi avevano accompagnata, approfittando anche per farsi una meritata vacanza, ed erano sugli spalti. Quando è iniziato l’inno mi sono messa a piangere perché vedevo loro due che piangevano di emozione. È stato bellissimo, non li avevo mai visti piangere”.
BASKET È FAMIGLIA Quando inizi a giocare giovanissima,
la paura di stare soli è sempre dietro l’angolo. Ma se
meno solo”. Soprattutto se c’è Thor, il suo meraviglioso cagnolino, a tenerle sempre compagnia.
DANILO GALLINARI Il basket che Bea segue da spetta-
trice è quello dell’NBA e, su tutti, troneggia Danilo Gallinari: “Lo adoro. Un giorno mi ha chiamata su FaceTime e non avendo ovviamente il suo numero - d’altronde chi ha il numero di Gallinari in rubrica? - si presentò dicendo “ciao, sono Danilo Gallinari”. Ecco. Ero in macchina con papà, anche lui lo segue tantissimo, ci siamo guardati e ho involontariamente esclamato “oh cazzo”. Ero scioccata. Dopodiché abbiamo parlato, ci siamo scambiati i numeri e mi ha regalato l’NBA League Pass per vedere le partite e gli allenamenti. Insomma, faccio letteralmente la sua stalker. Ho ricevuto tante chiamate di solidarietà, anche dalla Lega, ma Danilo è stato fantastico”.
OLTRE LA BEA CESTISTA, DARE UNA VOCE Ma chi c’è al di là del-
la Bea giocatrice? “La Bea cestista è molto diversa dalla Bea della vita di tutti i giorni. In campo sembro una bestia, mentre nella realtà sono dolcissima. Amo gli animali, ho Thor, i tanti gatti nel giardino dei miei e sono vegana da quando ho 9 anni. Sono soddisfatta di quello che sto studiando e vorrei fare tantissime altre cose, come aiutare gli animali facendo volontariato. Vivo giorno per giorno anche cestisticamente, mi piacerebbe che ci qualificassimo ai Mondiali e chissà, magari anche le Paralimpiadi. Ma quello che vorrei tanto è aiutare qualsiasi persona con disabilità. Anche per me non è stato facile andare avanti e ci ho messo anni a passarci sopra e capire. Succede spesso che ragazze e ragazzi mi cerchino per chiedermi consigli, lo faccio volen-
OLTRE IL BASKET MILITA NELL’AMICACCI GIULIANOVA E STUDIA SCIENZE DELLA COMUNICAZIONE ALL’UNIVERSITÀ DI TERAMO. È VEGANA E NON SI SEPARA MAI DAL SUO CAGNOLINO THOR.
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altri mondi
tieri perché è capitato di trovarmi davanti persone che pensavano avessi sì una disabilità fisica, ma di conseguenza anche mentale. Ecco, io vorrei mandare questo messaggio: noi siamo indipendenti, noi siamo intelligenti. Disabilità non vuol dire per forza stare in casa e non fare nulla. Conosco persone con disabilità che hanno una vita fantastica, viaggiano e
hanno figli e, personalmente, mi sono rotta le scatole di questo stigma che c’è su di noiʺ.
AMARSI IL PIÙ POSSIBILE “Quando hai una disabilità, capi-
ta di incontrare persone ignoranti che ti giudicano, soprattutto a scuola, magari per farsi due risate con gli amici. A me ha dato molto l’arrivare alla consa-
AZZURRA CON LA NAZIONALE ITALIANA, NEL 2018 AGLI EUROPEI DI LIGNANO SABBIADORO, È STATA ELETTA NELLO QUINTETTO IDEALE DELLA MANIFESTAZIONE.
pevolezza del fatto che, se avessi camminato, mi avrebbero presa comunque in giro per un altro motivo. Quindi che tu sia disabile, alto o basso, magro o in carne, biondo o con i capelli rosa, per un motivo o per un altro ti prendono in giro. E quello che puoi fare è cercare di amarti il più possibile, anche se non è sempre semplice, e non dare peso alle cose, per-
ché si viene presi in giro per qualsiasi motivo. Non è nemmeno facile integrarsi e fare amicizia, proprio per lo stigma di cui parlavo prima. Ma è anche fondamentale, oltre ad amarsi, apprezzare le persone che abbiamo vicino e che spesso diamo per scontate”. Questo è il messaggio di Bea, questo è il messaggio di una Wonder Woman.
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ALDO CORNO ALLENATORE DELLA NAZIONALE FEMMINILE PER 7 ANNI, IN 3 DIVERSI MOMENTI, HA CONQUISTATO L’ARGENTO AI GIOCHI DEL MEDITERRANEO 2001 E ALLE UNIVERSIADI 2003.
storie
CORNO IL VINCENTE L’ALLENATORE PIÙ VINCENTE DELLA STORIA DELLA PALLACANESTRO FEMMINILE
ITALIANA FA LE CARTE ALLA SITUAZIONE DEL MOVIMENTO NAZIONALE, ATTRAVERSO
UN CONFRONTO CON I PIÙ IMPORTANTI PAESI EUROPEI. L’ANALISI DEL MOMENTO E LE SOLUZIONI DA METTERE IN ATTO PER LO SVILUPPO DEL NOSTRO BASKET
DI EDUARDO LUBRANO
“A
lla mia età si diventa pessimisti. Ho vissuto l’e-
poca d’oro del basket italiano sia in patria che in Europa, ho avuto la fortuna di allenare grandi squadre e oggi vedo un lungo momento di difficoltà”. Parole e musica di Aldo Corno, 70 anni da compiere a dicembre (strano che un Sagittario sia pessimista, ndr) con un curriculum di vittorie che parla da sé e lo rende il coach più vincente della storia della pallacanestro femminile italiana. Eccone una sintesi: 12 scudetti (4 a Vicenza, 8 a Como dal 1984 al 1999, con cicli consecutivi dal 1985 al 1988 e poi dal 1992 al 1999), 6 EuroLega (4 a Vicenza dall’85 all’88, 2 con Como nel 1994 e 1995) 6 Coppe Italia, 4 Supercoppe italiane, 1 Mundialito per club (Comense nel 1996), per 3 volte allenatore della Nazionale (per un totale di 7 anni). Prima, una carriera di giocatore di tutto rispetto tra Udine e poi Lazio, Stella Azzurra e Vis Nova nella sua città, Roma. In questo periodo, dopo lo stop che si è imposto prima del lockdown mentre
allenava a Vicenza in serie A2, sta recuperando da alcune riabilitazioni fisiche che gli hanno portato via un po’ di tempo. “Tra poco posso anche tornare a giocare – dice sorridendo a Pink Basket – perché il mio palleggio-arresto e tiro l’ho mantenuto. Ufficialmente non sono ancora in pensione e sono pronto. Se qualche presidente pensa di volermi offrire una squadra, parliamone…” Cos’è questo lungo momento di difficoltà che sta vedendo? “Partiamo da una base: le grandi squadre sono forti e vincenti se hanno giocatori e, nel nostro caso, giocatrici italiane forti. Ed io, senza voler mancare di rispetto a nessuna di loro, vedo poche atlete forti. Ce n’è una in particolare, Cecilia Zandalasini, che però gioca in Turchia. Questo ha un riflesso immediato sulla Nazionale maggiore: se non hai nella rosa 4/5 italiane forti, che spostano a livello continentale, non
storie
IL RITORNO CORNO È TORNATO SULLA PANCHINA VICENTINA 24 ANNI DOPO L’EPOPEA DEGLI ANNI OTTANTA. PER LUI 3 STAGIONI IN SERIE A2 CON LA VELCOFIN.
vinci. E senza fisicità le nostre giovani faticano ad entrare in Nazionale maggiore. Siamo molto forti a livello di play, guardie, ali piccole. Ma non abbiamo lunghe ed in Europa ci mangiano in testa. E se devo guardare alle straniere che giocano da noi dico un’altra cosa, anche qui senza offesa ad alcuna: ai miei tempi nessuna di loro si sarebbe allenata con le mie squadre”. Ci sarà un motivo per questo suo pessimismo oltre la questione dell’età? “Voglio subito dire che i risultati delle Nazionali giovanili femminili sono formidabili perché tatticamente e tecnicamente le nostre ragazze e i nostri allenatori sono bravissimi. Al momento di fare il salto nel mondo senior, però, paghiamo il gap fisico: siamo piccole. Il che non è una colpa genetica o atavica. Vuole dire che non abbiamo fatto più quel lavoro “porta a porta” di reclutamento delle atlete più alte e grosse sin dalla giovane età. So che questo dispiacerà a molti ma da vent’anni a questa parte la pallavolo femminile – e la maschile – ci ha cancellato a livello giovanile. Valentina Diouf, per esempio, ce la siamo persa perché non l’abbiamo corteggiata come si deve e lei (202 centimetri, ndr) ha abbracciato la pallavolo. Secondo me strutturalmente sarebbe stata una giocatrice di basket davvero ottima. Se non abbiamo mezzi fisici, l’esperienza che facciamo fare alle giovani serve solo in Italia. Non a caso, dopo il 2002 con Parma, in
offriamo? Il nostro è uno sport del quale è facile innamorarsi perché è intelligente, vario, veloce, pieno di fantasia e di gesti tecnici bellissimi. Ma bisogna metterli in mostra. E per farlo bisogna creare un movimento con delle basi più solide. In Francia e Spagna, che non a caso dominano a livello senior in Europa, la pallacanestro è molto presente nelle scuole. In Francia c’è l’École de Formation di basket e un mare di tesserate dalle quali poi è più facile scegliere le migliori. Una volta anche noi curavamo molto anche l’aspetto fisico, mentre adesso lo abbiamo quasi trascurato. E nessuno venga a dirmi che siamo un popolo piccolo, che non ci sono ragazze giovani italiane grandi e grosse: basta andare in giro per le strade. Però dobbiamo cercarle, intercettarle prima che scelgano altri sport più bravi ad attrarle. Bisogna fare un lavoro importante nelle scuole, convincere gli insegnanti di educazione fisica che insegnare basket è bello. Portare dentro con presenze costanti i nostri istruttori. E poi…” E poi non sia timido Corno… “E poi un mio vecchio pallino. L’altezza del canestro. Anche qui il confronto con la pallavolo ci vede battuti. La rete a livello femminile è a 2 metri e 23, nei maschi a 2 metri e 50. E questo cambia tutto. Noi? Tutti col canestro a 3 metri e 05. È sbagliato perché le donne sono diverse dagli uomini ed hanno biologicamente
I risultati delle nostre Nazionali giovanili femminili sono formidabili perché tatticamente e tecnicamente le nostre giocatrici e i nostri allenatori sono bravissimi. EuroLega non siamo più andati oltre i quarti di finale raggiunti qualche volta da Schio e Taranto. In Italia Schio fa la differenza giocandosela sempre con Ragusa e Venezia”. L’ultima vittoria italiana nella massima competizione continentale, infatti, risale al 1995, venticinque anni fa, per merito della Comense allenata proprio da Corno. Sempre la Comense è stata l’ultima squadra italiana a giocare una finale di EuroLega, nel 1999. Scorrendo l’albo d’oro dei tornei europei per Club, l’ultimo sorriso azzurro è del 2008, anno in cui il Beretta Famila Schio vinse l’EuroCup. L’ultima finale? La Reyer Venezia guidata da Andrea Liberalotto, nel 2017/18, che si è arresa al Galatasaray per somma di punti nelle gare di andata e ritorno dell’atto conclusivo del torneo. Forse c’è un problema di investimenti economici, la televisione che non aiuta il movimento… “E perché la tv dovrebbe aiutarci? Che spettacolo
una minor forza fisica. Vuoi vedere che se abbassiamo il canestro della femminile a 290 centimetri alcune, le più dotate, dopo qualche problema di misura, cominceranno a segnare meglio e di più? E che saranno molte di più di oggi quelle che riusciranno a schiacciare o a stoppare? Tradotto: gesti tecnici più adatti alla morfologia e alla forza femminile garantiscono maggiore spettacolo. Meno male che, quando ero nella Commissione della Fiba Europe, siamo riusciti a far passare il pallone più piccolo. Soffriamo un po’ lo stesso problema del calcio femminile che gioca con le stesse misure di quello maschile. Ma nello sport che tutti chiamiamo “Regina delle Olimpiadi”, l’atletica leggera, gli attrezzi maschili e femminili pesano allo stesso modo? No. Peso, giavellotto, disco e martello sono più leggeri. Le donne fanno i 100 ostacoli, e non i 110, con ostacoli più bassi”. Insomma, il suo sguardo sul basket femminile italiano è davvero molto oscuro.
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storie
COPPA CAMPIONI 1985, VICENZA BATTE A VITERBO IL DAUGAWA E VINCE LA SUA SECONDA COPPA CAMPIONI. NELLA FOTO, OLTRE A CORNO, SI RICONOSCONO GORLIN, FULLIN E POLLINI.
“Attenzione. Non è un problema solo italiano e femminile. Il livello medio in Europa si sta abbassando ad eccezione di due squadre russe, una turca, Praga che va a cicli, Francia e Spagna e le nazioni che a turno esprimono buone generazioni. E anche nel maschile, tanto da noi che in Europa, non mi pare che le cose vadano meglio. Tranne l’aspetto fisico nel quale fuori dai nostri confini sono più avanti. E non sono così convinto del discorso delle quote sulle straniere ed il relativo l’obbligo delle italiane in campo. Per fare le squadre devi avere le giocatrici nostrane. E non le abbiamo, è un fatto di numeri, di tesserate. Leggo di idee per campionati a 16 o 32 squadre e mi chiedo: ma con chi li facciamo questi mega campionati? Confesso che su questi argomenti io mi sono arreso nel 2004. E mi
sono però rafforzato in queste convinzioni nei tre anni che ho allenato in Francia (dal 2009 al 2012 a Challes-les-Eaux) dove ho raggiunto una semifinale scudetto. Lì come in altri paesi, il professionismo di giocatrici ed allenatori cambia di molto le cose in prospettiva e nel lavoro di base”. Apriamo uno squarcio di luce: la sua giocatrice preferita tra quelle che ha allenato? “L’ho sempre detto quindi non faccio torto a nessuna: Mara Fullin. Personalità e carattere con tecnica a disposizione della squadra. Il pensiero giusto, il passaggio giusto e l’azione decisiva per una partita. Esteticamente, e non solo, Catarina Pollini è stata uno spettacolo per la sua completezza, l’eleganza e la concretezza. Auguro alla Zandalasini di avere i
successi di queste due super atlete, mi sembra ben avviata perché ha tutto per emergere in ogni contesto, anche se pure lei avrà bisogno di avere delle compagne forti per vincere con l’Italia. E vorrei fare gli auguri a Lino Lardo. Credo che la scelta di affidargli la Nazionale senior sia stata fantastica. Ma lui per primo deve sapere che troverà i problemi di tutti gli altri e dovrà lavorarci sodo. In bocca al lupo”. Un’aggiunta al discorso di Corno? Beh noi italiani di idee ne abbiamo tante e proviamo a metterle in pratica con quello che abbiamo. Un esempio su tutte l’idea dell’Opening Day che è piaciuta subito ed ha convinto tutti perché è riuscita benissimo. E che Francia e Spagna, nazioni che a livello senior ci superano in questo momento (e che attingono da una base di circa 200mila tesserate) ci hanno copiato.
Lega e Federazione stanno lavorando per rendere concreta l’immagine di un movimento in crescita con atlete italiane di livello e con una qualità tecnica interessante. Non è facile ma l’impegno è indubbio ed il dibattito può aiutare a crescere. E su questa strada si stanno incamminando diverse squadre della serie A1 che stanno dando sempre più spazio alle giocatrici italiane giovani e meritevoli di stare in campo. La PF Broni93 per esempio che ha fatto una squadra tutta italiana nella quale Ianezic e Madera (Campionesse d’Europa Under 20 nel 2019) dovranno dimostrare tutto quello che sanno fare. Cioè molte cose e bene. Insomma che Sottana e Zandalasini siano un traguardo da raggiungere e superare per tutte e non solo due straordinarie colonne d’Ercole da ammirare.
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pink mix DI Manuel Beck
estate SKILLS E 3X3
coppe TUTTI IN BOLLA
tv CHI TRASMETTE
Nella desolante estate 2020, con tutti gli eventi agonistici per nazionali rinviati al 2021 o cancellati, la FIBA ha escogitato uno “Skills Challenge”, competizione mondiale U17, dal 18 al 23 agosto. In ogni partita le due squadre, collegate telematicamente dalla propria sede, effettuavano in staffetta, con 5 giocatrici, un percorso di abilità con slalom in palleggio e tiri da posizioni diverse: contavano sia le realizzazioni sia il tempo impiegato. L’Italia del c.t. Lucchesi – con Allievi, Blasigh, Merisio, Rescifina, Ronchi, E. Villa, M. Villa – ha primeggiato nel suo girone battendo Lussemburgo, Portorico e Libano, ma ha perso nei quarti con la Cina, che poi ha vinto la competizione. Dopo Ferragosto sono ripartiti i tornei 3x3 all’aperto; il 25 settembre la FIP ha organizzato a Reggio Emilia un torneo nazionale a 8 squadre, vinto dal Sanga Milano.
Dopo la stagione 2019/20 troncata all’inizio dei playoff e chiusa senza vincitrici, le coppe europee ripartono con una nuova formula, accorciata per motivi sanitari. Si giocherà in “bolle”, ovvero concentramenti di una settimana in cui le squadre di ogni mini-girone a 4 si riuniranno in sede unica, disputando 3 partite a testa. Così l’Eurolega farà l’andata dal 29/11 al 5/12 e il ritorno dal 17 al 23/1. Schio è in gruppo con Ekaterinburg, Riga e la vincente di uno spareggio preliminare. Per l’Eurocup, si parte in dicembre con le qualificazioni, in gennaio con la stagione regolare; per l’Italia c’è Venezia, in gruppo con Friburgo, Landerneau e Boom. Il formato a “bolle” vale anche per le nazionali: così, a novembre e febbraio, l’Italia riprenderà le qualificazioni a Eurobasket 2021 (contro Romania, Rep. Ceca e Danimarca) in due concentramenti, sedi da definire.
Con l’accesso ai palazzetti ancora limitato, diventa ancora più importante per gli appassionati poter seguire le partite in tv. Per il secondo anno c’è l’accordo con MediaSport Group (canale 814 del bouquet Sky oppure sul digitale terrestre) che trasmetterà ogni settimana una diretta di A1 e – novità – due differite di A2, oltre alla rubrica “Donne e basket” al giovedì. Continua anche lo streaming di Lega (lbftv.it), a un prezzo annuale di 19,99 euro, oppure mensile a 7,99: dà accesso a tutte le gare di A1. Un’istituzione fra gli streaming – sempre più numerosi, ormai anche autoprodotti dalle società utilizzando pure canali social come Facebook – è Directa Sport, che da anni trasmette le squadre sarde di A2. Segnaliamo su YouTube il magazine “BasketTiAmo” (canale “Trip TV”), condotto da Pietro Russo e specializzato nell’A2. Per l’Eurolega c’è il canale YouTube della FIBA.
SKILLS CHALLENGE IN ESTATE LA NAZIONALE ITALIANA HA PARTECIPATO ALLO SKILLS CHALLENGE U17 ORGANIZZATO DALLA FIBA. IL CAMMINO DELLE AZZURRE SI È INTERROTTO CONTRO LA CINA AI QUARTI DI FINALE.
pink mix
IL PROGETTO DIVENTARE DONNA La voglia di uscire dai mesi d’inattività con nuove idee per rilanciare il movimento; l’urgenza d’invertire il calo di tesserate giovani e la loro tendenza all’abbandono precoce. È nato così, durante il lockdown della scorsa primavera, il progetto “Diventare Donna”, messo a punto in una serie di incontri (telematici) fra dirigenti, allenatori e altri addetti ai lavori del femminile, fino all’approvazione da parte del Consiglio federale di agosto. A capo dell’iniziativa è Mara Invernizzi, vicepresidente FIP; tra i tanti collaboratori Maurizio Cremonini, responsabile nazionale minibasket, e Roberto Riccardi, c.t. della nazionale U18. La Lombardia sarà regione pilota, cioè la prima in cui partirà il progetto, “appena possibile”, assicura Invernizzi, che racconta: “Durante lo stop per il Covid-19, le società del femminile hanno espresso una forte richiesta di sostegno nel reclutamento e nella fidelizzazione delle ragazze, che si prospettano ancora più difficili del solito nel prossimo futuro. Se da un lato ci sono incertezze e timori, dall’altro non mancano l’entusiasmo e la voglia di fare. Partiamo dalla Lombardia perché serve un territorio omogeneo in cui mettere alla prova il progetto, che poi sarà adattato alle altre regioni, in base alle differenti realtà ed esigenze”. Quali sono le idee-guida di Diventare Donna? “Essere realizzabile anche con un budget contenuto e percorrere nuove strade nella formazione, nell’attività sul territorio, nella comunicazione & marketing. Servirà tanta collaborazione tra i Comitati FIP, le società, le leghe: in passato ci sono stati progetti validi per il femminile, ma limitati a singole realtà. Qui vogliamo lavorare tutti insieme. Coinvolgendo pure le società maschili, con progetti che diano visibilità, fornendo sostegno, anche tecnico, da parte della FIP. L’interesse è comune”. Il progetto è rivolto alla fascia dai 6 ai 14 anni perché è la più delicata? “Sì, corrisponde alla scuola dell’obbligo. Il futuro del movimento. Attualmente, in Italia, le statistiche dicono che solo un bambino per ogni classe elementare fa minibasket: ma possiamo fare in modo che quell’uno coinvolga compagni e compagne. Il prodotto del basket femminile italiano, a livello giovanile, è di alta qualità: lo dicono i risultati degli ultimi anni. Ma la quantità è ristretta. Se invece di mille bambine ne avessimo diecimila, avremmo ben altre possibilità di selezione, soprattutto tra i fisici eccellenti, come la pallavolo”. Nel concreto quali saranno le linee d’azione? “Ci adatteremo alle realtà locali: in alcune zone si punterà a far nascere sezioni femminili di club maschili; in altre, dove le società femminili sono già numerose, saranno più utili le collaborazioni. Molte bambine iniziano nei centri minibasket, vanno avanti coi maschi finché possono, poi si disperdono, spesso perché non trovano una squadra nel proprio territorio. Non possiamo più permettercelo. Parallelamente, la comunicazione, con il contributo del nostro partner Master Group, punterà anche a cambiare la percezione del basket femminile presso le famiglie: ci sono pregiudizi negativi da rimuovere. Dobbiamo far capire che, anche per le ragazze, il basket è una disciplina che insegna tanto, dentro e fuori dal campo: richiede un’applicazione a 360 gradi che fa crescere donne più consapevoli delle proprie capacità”.
VIVERE L’ATTESA ROUTINE, ABITUDINI, MUSICA, CONCENTRAZIONE: LA PREPARAZIONE ALLA PARTITA È MOLTO PERSONALE, PER OGNI ATLETA. UN CONCENTRATO DI EMOZIONI ACCOMPAGNA OGNI GIOCATRICE.
VISUALIZZARE EMOZIONI Di Alice Buffoni - Centro Studi e Formazione in Psicologia dello Sport Lo sport vive di emozioni: la gioia e la felicità di una vittoria, la delusione per una sconfitta, la fiducia nei compagni, l’attesa prima della gara… Sono così importanti che lo stato emotivo di un giocatore può incidere sulla sua prestazione in campo e determinare l’esito di una partita. Ma da quasi sette mesi lo sport è in stand by e con lui tutta la carica emotiva che sostiene la motivazione degli atleti e anche dei coach. È ora di riprenderci tutto, con gli interessi! Rispetto alla media, gli atleti agonisti sono molto più allenati a riconosce e decifrare le emozioni, perché queste si manifestano attraverso il corpo, il loro strumento di lavoro. Possiamo dire che siano bombardati da stimoli emotivi e, pur essendo consapevoli dell’eventualità di interruzioni forzate dell’attività, come ad esempio un infortunio, nessuno è mai veramente preparato all’improvvisa perdita delle emozioni che arrivano dal campo. Molti atleti durante il lockdown hanno provato sensazioni di apatia, noia e irrequietezza. È esattamente ciò che succede a chi si infortuna: il tempo si dilata, rallenta e ci si sente confinati ed esclusi da tutto. È vero anche che gli atleti non si sono mai fermati del tutto: durante il lockdown hanno seguito le schede di allenamento individuale, conservando così la memoria degli schemi motori e potenziando la parte fisica. Molti di loro hanno continuato a lavorare anche sull’aspetto mentale, con gli esercizi di Mindcrossfit per regolare lo stato di attivazione, e allenando le tecniche di respirazione. Ma la memoria emotiva delle sensazioni che restituisce il campo, come si mantiene? È importante coltivarla e mantenerla viva per evitare di esserne sopraffatti quando finalmente sarà il momento di giocare. Ci viene in soccorso una tecnica di mental training specifica, la visualizzazione polisensoriale, che viene utilizzata durante il recupero da un infortunio. In questo caso, però, non rievocheremo un gesto tecnico o motorio da mantenere in allenamento, quanto invece un vissuto emotivo correlato alla partita, come uno stato d’animo particolarmente gratificante, ad esempio. L’ideale è rievocare un’esperienza di Flow, ossia la nostra migliore e più recente prestazione e visualizzarsi in quello stato mentale efficace e performante. Partendo da una base di rilassamento, si rievocano immagini visive dapprima semplici e si procede all’inserimento progressivo di stimoli acustici, tattili, cinestetici, olfattivi, favorendo il progressivo sviluppo di una rappresentazione polisensoriale il più completa possibile di un’esperienza vissuta in campo. Ad esempio visualizzeremo la sensazione tattile del pallone, il rumore delle scarpe sul parquet, le luci del campo, la sensazione della divisa sulla pelle o del contatto con gli altri giocatori. Le scene rievocate devono essere reali ed immersive, piacevoli e ricche di particolari. Ripetuta nel tempo, la visualizzazione polisensoriale aiuterà l’atleta a sentirsi perfettamente in zona di comfort quando vivrà l’esperienza reale. Provate a dedicare 10 minuti al giorno a questo esercizio, per arrivare carichi e preparati alla prima di campionato! Questa rubrica è tenuta da Centro Studi e Formazione in Psicologia dello Sport, una realtà che utilizza la Positive Psychology con atleti e allenatori, dai settori giovanili all’alto livello agonistico, per rispondere alle principali criticità che si incontrano sul campo di gara e di allenamento, per migliorare performance individuali e ottimizzare il rendimento di squadra.
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GUARDIA E LADRI
Il ritiro pre-campionato Pentalogo per una buona riuscita Di Susanna Toffali 1. La partenza
La partenza di un viaggio, in particolar modo di squadra, è una cosa seria. Non basta scegliere con pressapochismo una data, un orario e un luogo: va programmata analizzando dati statistici, seguendo la rotazione di cicloni e anticicloni, controllando l’allineamento dei pianeti e valutando strade primarie, secondarie, scorciatoie, piste ciclabili, tunnel sotterranei, cunicoli. Nonostante qualsivoglia studio e precauzione presa in merito, essa avverrà quasi certamente nella via meno alberata della città il giorno più caldo dell’estate, categoricamente verso orario di pranzo. (Provare a spiegare alla dirigenza che optare per domenica 23 agosto alle 12.30 non è stata una bellissima idea sarà completamente inutile, fidatevi).
2. Il viaggio
In quest’ambito, a seguito delle disposizioni sui trasporti del DPCM del 7 agosto 2020, si registra un notevole upgrade in materia di comfort e benessere. Detta in parole più povere: passare dall’essere in dodici individui stipati in un Ducato 9 posti insieme a borse, borsoni, tappetini, palloni, foam rollers, cinesini, coni e canestri (perché “non si sa mai”) al poter stare al massimo in due/tre ad un metro di distanza l’una dall’altra è stata una notizia accolta con non poco sollievo. Dalle atlete, sicuramente non dalla società.
3. La suddivisione delle stanze
Da che mondo e mondo, le probabilità di trovarsi in stanza con la compagna con cui speravi di essere sono inversamente proporzionali al numero di imprecazioni del coach dopo una palla persa del playmaker sul punteggio di 60 pari a 10 secondi dalla fine. Contro l’ultima in classifica. Quindi, nell’ordine: se hai un disturbo ossessivo-compulsivo, certamente ti troverai a condividere la camera con una delle papabili concorrenti del docu-reality “Sepolti in casa”; se possiedi l’invidiabile talento di saperti alzare, lavare e vestire nel giro di 59 secondi netti, dovrai condividere il letto con la classica persona che ama svegliarsi un’ora prima dell’orario convenuto per la colazione, aprendo le tende di scatto e cantando “Blinding Lights” dei The Weeknd a squarciagola, balletto annesso.
4. Il primo (traumatico) allenamento
La sfida più grande per una cestista dopo la pausa estiva non è la preparazione atletica, come si potrebbe erroneamente pensare, bensì il ricordarsi come si prepara il borsone. E se è un’operazione già di per sé complessa dopo qualche mese di inattività, figuriamoci a seguito di una pandemia mondiale, un lockdown ed un numero indecifrabile di giorni trascorsi in simbiosi con il divano.
RIPRESA L’AVVIO DELLE COMPETIZIONI UFFICIALI SEGNA LA FINE DEL PRECAMPIONATO. UN MOMENTO SEMPRE IMPORTANTE, ANCORA DI PIÙ IN QUESTA STAGIONE DOPO I MESI DI STOP ALLE GARE.
Superato questo spesso insormontabile ostacolo, la strada per la buona riuscita del primo allenamento della stagione è tutta in discesa. Una discesa stretta e piena di tornanti. Che in genere finisce con un burrone. Perché se si ha la fortuna di non trovarsi in una pista d’atletica, in un parco, o dinnanzi ad una parete di gradoni, il motivo può essere uno ed uno soltanto: navette. Ed è proprio in quel momento che ci si accorge di aver dimenticato a casa il Ventolin.
5. Il day-off
Il giorno di riposo è da sempre banco di prova per testare l’unità di squadra. La divisione in gruppetti sarà quasi automatica. I primi ad esprimere il proprio parere saranno i cosiddetti “cadaveri”, ossia coloro che vorranno vegetare a letto per il maggior tempo possibile. La controparte, formata dalle future finaliste di “Donna Avventura”, insisterà per organizzare un tour della durata di quattro ore e mezza per apprezzare le indiscutibili bellezze naturalistiche del luogo. L’ultima fazione, chiaramente più interessata all’enogastronomia, sarà quella che riuscirà a mettere d’accordo le prime due con una sola parola. “Aperitivo?”
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BUZZER BEATER
BUZZER BEATER Di Silvia Gottardi Un buzzer beater (battisirena) è il termine che nella pallacanestro definisce un canestro realizzato sul suono della sirena. Per essere considerato valido, il pallone deve essere rilasciato dalla mano del tiratore prima che la sirena di fine tempo suoni e che si accendano le luci rosse poste sul tabellone e sul tavolo degli ufficiali di gara. Sebbene la definizione sia valida per qualsiasi canestro realizzato sulla sirena (di fine periodo di gioco o al termine dei 24 secondi di tempo per il tiro) il termine viene utilizzato generalmente solo per i canestri realizzati allo scadere e che si rivelano decisivi per l’assegnazione della vittoria. Questo è quello troverete su Wikipedia se cercate sotto la voce buzzer beater, ma buzzer beater è anche il nome della mia nuova rubrica su Pink Basket Magazine. In estate siamo diventati una testata giornalistica, con Alice Pedrazzi nel ruolo di Direttrice responsabile. Alice, nonostante un’amicizia ormai trentennale, non ci ha pensato nemmeno un secondo per scalzarmi dall’Editoriale in apertura del Magazine… E pensare che io, sia nelle stagioni giocate assieme nei Club, sia in Nazionale, le ho sempre elargito molti palloni sotto canestro, come si confà ad una brava playmaker! Poco importa, ormai sono qui, in fondo al Magazine. Ma non mi dispiace, anzi. Anche da giocatrice preferivo finirle le partite, piuttosto che cominciarle. Perché sono i minuti finali quelli che contano veramente, quelli in cui si decide la partita. Quelli in cui un giocatore vincente vuole stare in campo. E qual è il modo migliore per vincerla una partita? Ovviamente con un canestro sulla sirena! Ci vuole sangue freddo, coraggio e testardaggine per giocarsi il tiro della vittoria. A volte anche un po’ di lucida follia. Quando si parla di buzzer beater non si può non pensare a Michael Jordan, uno che di canestri della vittoria ne ha segnati un bel po’. Quello con cui ha chiuso la serie contro i Cavaliers in Gara 5 dei playoff 1989 è probabilmente il canestro più famoso della storia, tanto da essersi guadagnato l’appellativo di The shot. Ve lo ricordate vero? A proposito di buzzer beater italiani, invece, c’è quello del 2005 di Rubén Douglas nella quarta partita di finale tra Fortitudo Bologna e Olimpia Milano, che ha regalato lo scudetto ai bolognesi. O quello di Curtis Jerrells a Siena nel 2014: grazie al suo canestro da due punti Milano pareggia la serie e poi vince il titolo due giorni dopo in Gara 7. Ma le donne? Certo che anche le donne sono capaci di buzzer beater clamorosi, come questi che vi elenco qui sotto, che mi fanno saltare sulla sedia ogni volta che li riguardo. Parto per forza di cose dal canestro più famoso nella storia della WNBA, quello di Teresa Weatherspoon, che ha giocato anche in Italia con la maglia della Comense. Con una preghiera da metà campo chiude Gara 2 delle Finals 1999 sul 68–67 per le sue New York Liberty, pareggiando la serie e costringendo le Houston Comets a Gara 3, che poi vinceranno le texane conquistando il titolo.
DIANA TAURASI UNA DELLE GIOCATRICI PIÙ FORTI IN ATTIVITÀ, HA CONQUISTATO DUE TITOLI NCAA, TRE WNBA E QUATTRO EUROLEGA. CON LA NAZIONALE USA HA VINTO QUATTRO EDIZIONI CONSECUTIVE DELLE OLIMPIADI.
Per quanto riguarda la WNBA, c’è ovviamente Diana Taurasi, che con un canestro epico in Gara 3 delle Finali WNBA 2014 stende Chicago e incorona le Phoenix Mercury campionesse. Ma c’è anche Dearica Hamby, ex Ragusa, che grazie ad una palla rubata e ad un canestro da metà campo impossibile manda in semifinale le Las Vegas Aces. Questo canestro viene ricordato come “Hamby’s Miracle”. Restando sempre oltreoceano non posso non citare gli incredibili buzzer beaters di Arike Ogunbowale che, alle Final Four NCAA del 2018, ne mette a segno ben due. Col primo fa fuori UConn in semifinale, con il secondo regola Mississippi State e regala il titolo a Notre Dame. Quest’ultimo canestro sarà poi decretato come il migliore degli ultimi secondi nella storia delle Final Four NCAA. Per quanto riguarda l’Europa va ricordato uno dei canestri più importanti della storia della pallacanestro femminile spagnola. Si tratta del buzzer beater di Anna Cruz contro la Turchia alle Olimpiadi di Rio 2016, che porta le iberiche alla loro prima semifinale olimpica. Eccoci però arrivati in Italia! C’è il pazzesco buzzer beater di Debora Carangelo da 4 punti che manda Venezia in Semifinale di Eurocup Women nel 2018. Dopo aver vinto in trasferta sul campo del Mersin 79-73, le lagunari stanno perdendo 5665 in casa, ma la prodezza di Carangelo regala il +1 nella differenza punti e quindi la semifinale. C’è poi la bomba di Marcella Filippi ai Mondiali di 3x3 del 2018 nelle Filippine: sul 13 pari contro la Cina, al supplementare, piazza il canestro che vale la finale, che poi sarà vinta contro la Russia. Si tratta della prima storica medaglia azzurra ad un Mondiale! Ed infine c’è il canestro più famoso di Laura Macchi, un’acrobazia in Gara 5 di finale scudetto 2015 contro Ragusa, che vale il settimo Scudetto di Schio. Non mi resta che augurarvi una Buona stagione con Pink Basket… Sperando di gustarci ancora molti altri buzzer beater!
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