Birra Nostra Magazine 1_2023

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BIRRA NOSTRA

NOVITÀ, DEGUSTAZIONI, PRODUZIONI, ITINERARI NEL MONDO BIRRARIO

TERRITORIO

TERRITORIO

L’ANNO CHE VERRÀ

L’ANNO CHE VERRÀ di Luca Giaccone

BIRRE DA RACCONTARE

BIRRE DA RACCONTARE

LA SARDEGNA IN UN BICCHIERE: BIRRA PUDDU

LA SARDEGNA IN UN BICCHIERE: BIRRA PUDDU di Christian Schiavetti

STILI BIRRARI

STILI BIRRARI

LO STATO DELL’IGA di Andrea Camaschella

LO STATO DELL’IGA

FOCUS

Fermentazioni alternative: l’Idromele

di Michele Matraxia  N.1| GENNAIO-FEBBRAIO 2023 MAGAZINE

Le guide Le guide Le guide

I COLORI DELL’IDROMELE

L’idromele è la bevanda alcolica prodotta dalla fermentazione del miele ed è considerato il più antico fermentato al mondo. Questo volume vuole fornire alla sempre più ampia platea degli appassionati una guida pratica e completa per realizzare un ottimo idromele fatto in casa. Il libro ripercorre la storia dell’idromele, dalle origini fino al rinnovato interesse degli ultimi anni, ne descrive le varie tipologie e mostra come prepararlo con chiare indicazioni passo passo, corredate da trucchi, segreti e approfondimenti per ottenere sempre un prodotto di qualità. Completano il libro numerose ricette tratte dall’esperienza pluriennale dell’autore.

ISBN 9788868959203

Pagine 208 | A colori

Prezzo 16,90 euro

BUON COMPLEANNO a tutti noi!

della

Non ci piace fare bilanci sul passato ma ci piace programmare il futuro. Del resto a camminare con lo sguardo rivolto indietro si rischia di inciampare, mentre per chi guarda avanti invece l’orizzonte è sempre un’ottima e ambiziosa meta da raggiungere! Ecco quindi perché, nell’ultimo numero del 2022, non avete trovato traccia di riflessioni su quello che è stato ma invece, in questo, trovate il nostro sguardo lungo sugli obiettivi che intendiamo raggiungere.

Il 2023 per noi è un anno importante; nel 2013 registravamo la testata giornalistica e iniziavamo a lavorare, anche a livello editoriale, per consolidare il nome e diventare media partner dei più importanti appuntamenti ed eventi brassicoli italiani. Se nell’anno in corso abbiamo confermato il nostro ruolo a fianco di Hospitality a Riva del Garda, di Beer & Food Attraction a Rimini, di Cibus Parma e infine, per il momento, di Tuttofood a Milano saremo anche contemporaneamente al fianco delle più autorevoli manifestazioni non fieristiche italiane. Molto altro bolle in

pentola, le idee non mancano e riuscire a incrociare e conoscere chi ci legge è per noi galvanizzante e ci permette di fare tesoro delle osservazioni dei lettori e degli investitori. Del resto, se noi oggi siamo qui, è soprattutto per merito di chi ci legge e di chi ha creduto e crede in noi e nella nostra attività di divulgatori di una cultura brassicola sempre meno sotterranea che si sta ritagliando un ruolo di tutto rispetto anche nel panorama enogastronomico italiano. Stiamo crescendo nella distribuzione, nella raccolta pubblicitaria e anche nel numero di collaboratori; altre firme, infatti, si aggiungeranno presto all’elenco dei collaboratori con l’intento di riuscire a toccare gli ambiti più vari e produrre contenuti che possano essere sempre al passo con i tempi, con il mercato e con i gusti dei lettori. Questo è insomma l’anniversario di tutti coloro che ci hanno accompagnato in questo cammino e, nella speranza di potervi presto abbracciare uno a uno, vi diamo appuntamento nelle pagine del magazine.

BIRRA NOSTRA MAGAZINE 3 gennaio-febbraio 2023 Editoriale
Buona lettura e buona bevuta! MIRKA TOLINI Professionista scrittura e della comunicazione, collaboro da dieci anni al progetto Birra Nostra
4 BIRRA NOSTRA MAGAZINE gennaio-febbraio 2023 SEGUICI SU facebook.com/BirraNostraMagazine IN QUESTO NUMERO... EDITORIALE Buon compleanno a tutti noi! 3 TERRITORIO L’anno che verrà 6 di Luca Giaccone MARKETING Tanto se la bevono! Il dilemma della qualità della birra artigianale italiana 10 di Matteo Malacaria BIRRE DA RACCONTARE La Sardegna in un bicchiere: Birra Puddu 18 di Christian Schiavetti MATERIE PRIME Come sta la brassicoltura italiana? Stato attuale e prospettive di sviluppo 24 di Francesco Licciardo (CREA PB), Katya Carbone (CREA OFA) STILI BIRRARI IGA: facciamo il punto 30 di Andrea Camaschella 6 30 24 18 NOVITÀ, DEGUSTAZIONI, PRODUZIONI, ITINERARI NEL MONDO BIRRARIO MAGAZINE BIRRA NOSTRA

Birra Nostra Magazine - Bimestrale

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BIRRA NOSTRA MAGAZINE 5 gennaio-febbraio 2023 HOMEBREWING Homebrewing ieri e oggi 34 di Davide Bertinotti RICERCA Idromele: studio di lieviti autoctoni 38 di Michele Matraxia
Lo stile è fatto anche di schiuma 44 di Eleni Pisano
BIRRARIO
birrario narrato tra luoghi, birre e fantasia - Terza tappa: Napoli 50 di Francesco Donato
BIRRARIO Colombia, birra craft in fermento 54 di Vanessa Alberti e Federico Viero
SCRITTO PER NOI
TECNICA
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Viaggio
TURISMO
HANNO
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L’ANNO CHE VERRÀ

L’inizio di ogni anno è tradizionalmente occasione di bilanci e buoni propositi. Lo è particolarmente quando si manda in archivio un periodo complicato come quello che stiamo vivendo. Tra la pandemia del Covid, la guerra in Ucraina, la crisi energetica e l’inflazione all’11,8% (dato di novembre 2022, una cifra che non si vedeva dal lontanissimo 1984) il triennio appena trascorso è certamente una di quelle pagine che si girano molto volentieri.

È bene quindi provare ad immaginare quali possano essere le ricette per sollevare il comparto birra artigianale, che si è scoperto essere molto fragile, forse più fragile di quello che si potesse pensare. Anche perché gli ultimi tre anni sono stati particolarmente crudeli: hanno prima compromesso gli sbocchi commer-

ciali tipici (con le chiusure Covid di pub, bar, ristoranti), per poi alzare i prezzi su praticamente tutto (dalle materie prime alle bottiglie, dai cartoni alle lattine) e infine imponendo costi energetici assolutamente improponibili.

Luci e ombre della crescita del mercato italiano

I birrifici sono quindi obbligati - oggi più che mai - a impegnarsi per cercare di raggiungere una buona sostenibilità aziendale, per poter avere un futuro meno cupo. Anche perché l’impressione è che si stia davvero perdendo un treno. Le birre artigianali stentano a decollare, la loro quota di mercato è pressoché stabile da anni, a fronte di un numero di aziende che continua a salire e - soprattutto - di un mercato che registra un’importante

crescita. I dati Assobirra dicono che nel 2021 (anno, va ricordato, ancora fortemente segnato da limitazioni Covid, Green pass, limiti ai tavoli, mascherine ecc.) in Italia si sono consumati 20,8 milioni di hl di birra. Nel 2011 il totale dei consumi era fermo a 17,7 milioni: equivale ad una crescita - in 10 anni - del 17,6%. In termini di consumi pro capite, siamo passati da 29,8 a 35,2 litri. Un dato molto confortante, perché uno dei pochissimi col segno positivo in Europa. Per fornire qualche dato esemplificativo, nello stesso periodo (gli ultimi dieci anni) la Slovenia ha perso consumi per 10 litri pro capite, la Germania per 12, la Finlandia per 17, l’Irlanda per 30, il Lussemburgo per 35. I dati non sono sempre semplicissimi da analizzare - non tutte le fonti riportano cifre identiche - ma dicono chiaramente

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TERRITORIO di Luca Giaccone

che l’Italia sta vivendo un periodo di crescita nei consumi della bevanda di Cerere. Crescita che però non sembra essere sufficientemente cavalcata dai birrifici artigianali se è vero che (stando alle statistiche Assobirra) la quota di mercato di Heineken è passata dal 29,8% del 2011 al 33,7% del 2021. Cioè in dieci anni il gruppo è passato da 5,3 milioni di hl a 7 milioni di hl. Una crescita di 1,7 milioni di hl, l’equivalente di 1.700 hl per ciascuno dei mille birrifici artigianali attivi nel nostro Paese! Qualcosa, quindi, non funziona. In questi ultimi 10 anni il numero complessivo dei birrifici artigianali è cresciuto di 715 unità (dati Microbirrifici.org: erano 249 nel 2011, diventati 1.064 alla fine del 2021), la cultura della birra di qualità si è certamente diffusa molto, anche la stampa generalista si occupa - non sempre in modo impeccabile, va detto - della divulgazione del nostro amato fermentato, ma l’impressione è che il mondo dei birrifici artigianali non riesca a esplodere e si impone quindi una riflessione molto profonda. Si tratta di una sfida (forse) senza precedenti, ma personalmente credo possa essere vinta, lavorando sulle debolezze del comparto e su quegli aspetti che possono essere migliorati senza stravolgere l’impostazione generale dell’azienda.

Taproom e sai cosa bevi!

Una tendenza fortunatamente già in forte crescita, ma che mi auguro possa

prendere ancora maggiore quota. Non c’è nulla di più bello di andare a bere direttamente nella taproom del birrificio, che può anche essere rustica e spartana, può anche non avere un’offerta gastronomica, ma certamente ha il fascino della mescita diretta. Al di là della maggiore marginalità, l’importanza della taproom sta nel rafforzare il legame tra il birrificio e il suo territorio, nel creare un collegamento - fondamentale - tra produttore e consumatore e nel fidelizzare i clienti, molto più e molto meglio di qualsiasi azione marketing.

Devono esserci orari certi (e non aperture sporadiche, mal comunicate e poco chiare) e un servizio accettabile (non basta mettere una spina al muro, bisogna che ci sia qualcuno che accoglie i clienti), ma osservate alcune piccole at-

tenzioni, la taproom può avere un ruolo importantissimo nell’economia e nella salute del birrificio. Inoltre, non c’è nulla di più triste di un birrificio chiuso al pubblico, senza la possibilità di poter entrare, dare un’occhiata all’impianto (anche solo da dietro i vetri), assaggiare le birre, comprare qualche bottiglia o lattina da portare a casa. I birrifici dovrebbero essere più accessibili, più facili da trovare. Ancora pochi fanno la vendita direttaalmeno con degli orari strutturati - e ancora meno fanno mescita, è un aspetto invece molto importante. È ovviamente tutto un altro contesto, ma il birrificio Zehendner di Mönchsambach, Germania, produce circa 6000 hl, serve circa 400 hl nella gaststätte (locale di mescita molto semplice, con un suggestivo cortile esterno) ma soprattutto vende

BIRRA NOSTRA MAGAZINE 7 gennaio-febbraio 2023 TERRITORIO

la bellezza di 4500 hl direttamente alla porta del birrificio. Equivale ai tre quarti della produzione totale, un dato che mi ha sempre fatto pensare.

Visite guidate per conoscere il birrificio e i suoi prodotti

Un altro elemento rilevante - strettamente connesso con il precedente - è quello delle visite in birrificio. Tra le sue debolezze, la birra artigianale ha certa-

mente quella del prezzo, che per molti è un ostacolo e che la allontana decisamente dai prezzi ridicoli non solo delle birre da discount, ma anche dei marchi più blasonati, sostenuti, tra le altre cose, da sponsorizzazioni milionarie (penso alla visibilità di Heineken con la Formula 1, ad esempio). Ma i birrifici artigianali hanno un enorme vantaggio, rispetto alle multinazionali: possono fare vedere la loro azienda, mostrare come a fronte

MERCATO LOCALE E MERCATO GLOBALE

L’apertura verso il pubblico, sulla quale personalmente insisto sempre molto, si lega ovviamente al tema di questo primo numero dell’anno. Va ovviamente benissimo il mercato dei locali specializzati, è un onore e un merito se una birra prodotta da uno sperduto birrificio in una provincia periferica trova un suo spazio tra le spine di un pub di Roma, di Londra o di Copenaghen, ma quello che trovo inammissibile è che la birra non sia presente nel bar del paese o comunque nel territorio limitrofo. Un prodotto artigianale è parte integrante della propria terra, dovrebbe essere un vanto e un orgoglio poter bere una birra prodotta nella zona in cui si vive.

Non è solo una questione di microeconomia (comprando una birra locale i soldi rimangono nel mio territorio),

ma anche di sostenibilità ambientale; perché la birra dovrebbe viaggiare per migliaia di km? Già lo fanno - quasi sempre - le materie prime, perché deve farlo anche il prodotto finito? Senza contare, ovviamente, la freschezza del prodotto: più la birra è locale e meno c’è il rischio che si sia danneggiata nel trasporto e/o nella conservazione. Il concetto è riassunto ottimamente da uno slogan della americana Brewers Association, che trovo splendido: support your local brewery. Ovviamente però non basta la buona volontà dei bevitori, bisogna che i birrifici investano e credano nel proprio territorio. Può non essere semplice, ma è assolutamente necessario, se si vuole crescere nelle vendite e nelle quote di mercato. Per molti consumatori la reperibilità

di alcune apparecchiature che possono sembrare “industriali”, ancora molto del processo sia fatto - appunto - artigianalmente e una visita in birrificio può essere un modo decisamente forte di “capire” e di “entrare dentro” al prodotto. Entrando in birrificio si percepiscono i profumi, si intuiscono la difficoltà e la delicatezza della produzione, si visualizza un processo che - per la maggior parte dei consumatori - è del tutto sconosciuto. E se è vero che la birra artigianale ha bisogno di un po’ di racconto in più, allora la visita guidata potrebbe essere davvero un ottimo strumento, anche remunerativo. Per fare un esempio, il birrificio Maltus Faber organizza visite guidate (con degustazione) al sabato pomeriggio: forse anche grazie a questo, lo spaccio interno al birrificio è diventato il primo cliente per fatturato. Pur non essendo affatto in un luogo centrale (chi si è arrampicato almeno una volta per la val Polcevera sa cosa intendo) il birrificio è diventato un luogo molto impor-

delle artigianali è un problema: se non le trovano vanno al supermercato e si rivolgono all’industria.

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tante per la comunità locale, un punto di riferimento, un centro di aggregazionequello che dovrebbe essere.

Tanta varietà equivale a qualità?

Per estendere il mercato e cercare di mettere la testa fuori dalla famosa “nicchia”, bisogna naturalmente avere il prodotto giusto. Per gli appassionati sono sicuramente molto interessanti le one-shot, le collaboration, le “bombette freschissime” (espressione che detesto fieramente), ma siamo sicuri che la stessa cosa valga anche per i consumatori “normali”? Non si corre il rischio - con costanti novità - di disorientare il consumatore non particolarmente attento?

Sulla piattaforma web Untappd il birrificio Crak ha in elenco la bellezza di 277 birre. È un birrificio nato nel 2015, quindi vuol dire una media di 35 birre nuove all’anno, quasi tre al mese… Non ho nulla contro i ragazzi di Crak - che anzi per tanti aspetti stimo molto e che hanno una taproom che dovrebbe essere presa a modello da tutti i colleghi - ma mi chiedo sinceramente quanto possa essere in difficoltà il consumatore, nella scelta. Anche perché spesso le proposte dei birrifici artigianali sono tutt’altro che facili da bere o da comprendere. Servono birre più semplici, fatte bene ma senza troppi fronzoli, non possiamo pensare di convincere il grande pubblico a colpi di West Coast Ipa o di Pastry Stout.

Comunicare la birra (soprattutto) agli analfabeti birrari

La birra artigianale non deve solo imparare a essere più stabile e più costante da cotta a cotta (alzi la mano chi non ha mai trovato un lotto non in ordine, anche di birre molto blasonate), ma deve anche fare lo sforzo di essere meno spocchiosa, altezzosa, difficile da capire. Se continuiamo a descrivere le birre come “DDH Neipa” è ovvio che i consumatori in grado di capirci qualcosa saranno pochissimi. Il mondo è pieno di gente

che non ha la minima idea non solo di che cosa sia una Neipa, ma nemmeno di cosa siano gli stili più diffusi. Pensiamo che chiunque sappia cos’è una Blanche o una Tripel. Non è così!

Recentemente ho partecipato alla commissione d’esame di un corso di degustazione. La maggioranza degli esaminandi non ha saputo dire né le spezie tipiche della Blanche (per alcuni aveva i chiodi di garofano), né il colore della Tripel (per molti era scura). Evidentemente il racconto chi ha fatto la lezione sul Belgio non è stato così avvincente…, ma era un corso di secondo livello! Avrebbero dovuto essere consumatori avanzati! Dovremmo quindi fare tutti un bel passo indietro e cercare di metterci nei panni di un consumatore che in media è quasi all’analfabetismo (birrario). Nell’ultima edizione della Guida alle birre d’Italia abbiamo provato a inserire alcuni descrittori - molto semplici - accanto al nome di ogni birra: dolce, amara, complessa, facile da bere, acida ecc. È un tentativo, non so se sia la strada giusta, ma bisogna assolutamente fare qualcosa per cercare di essere più comprensibili per il grande pubblico.

Anche l’occhio vuole la sua parte

Le migliori birre italiane sono tra le più buone al mondo. Non è solo parere mio, i nostri birrai sono bravissimi e alcune

nostre birre sono anche bellissime da vedere, originali nelle loro bottiglie particolari, oppure molto efficaci nelle moderne grafiche delle lattine. Non tutti i birrifici però sono a un livello sufficiente. Alcuni fanno ottime birre, ma le “vestono” in modo pessimo e certamente questo non aiuta. In più, pochissimi birrifici hanno un archivio digitale con le immagini dei loro prodotti. Mi è capitato, più di una volta, di chiedere a un birraio una foto di una sua birra e di sentirmi rispondere «scusa, non ce l’ho, ma te la faccio» per poi ricevere poco dopo una foto fatta con il cellulare, storta e sfocata. Non va bene. I birrifici vendono birre, dovrebbero avere un archivio pronto, con tutte le foto e - ovviamente - un sito internet all’altezza, dove le birre devono essere presenti, aggiornate, presentate con tutti i dettagli necessari.

I nostri birrifici hanno enormi potenzialità. Alcuni producono birre splendide, tutti possono essere una valida alternativa alle birre delle multinazionali. In Italia ci sono circa 150 mila bar. Se uno su due consumasse un fusto da 30 litri alla settimana di birra artigianale, sarebbero un milione 170 mila hl all’anno, più di 1000 hl per ogni birrificio esistente (per molti sarebbe raddoppiare la produzione). Molta strada è stata fatta, molto terreno è stato seminato, ma ora è giunto davvero il momento di fare di più e meglio.★

BIRRA NOSTRA MAGAZINE 9 gennaio-febbraio 2023 TERRITORIO

TANTO SE LA BEVONO!

Il dilemma della qualità della birra artigianale italiana

Che il 2023 inizi come da tradizione, ovvero con i migliori auspici: fare le pulci al fenomeno della birra artigianale italiana. Anche quest’anno, esattamente come già accaduto nel corso del 2022, mi lascerò ispirare dai fenomeni che ci circondano

– niente paura, non c’è nulla di paranormale –, visti però con gli occhi di chi ha a cuore l’aspetto più squisitamente marketing della birra artigianale.

Il tema di oggi riguarda la logica commerciale e le riflessioni a monte di questo articolo sono state fornite da

due occasioni distinte: la prima è l’acquisto da parte del mio babbo di tre cartoni di birra artigianale, la classica scorta di sopravvivenza in previsione delle feste e del ritorno del figliol prodigo in Calabria, mia terra natale; la seconda è uno dei tanti concorsi di bir-

10 BIRRA NOSTRA MAGAZINE gennaio-febbraio 2023 MARKETING
di Matteo Malacaria

ra per homebrewer cui ho avuto la fortuna di partecipare, durante il quale, tra i vari argomenti affrontati, è emerso quello pruriginoso del rapporto tra qualità e prezzo della birra artigianale italiana. Come sempre, evito qualunque panegirico e a sviluppare l’articolo odierno una riflessione alla volta.

Il consumatore medio

Partiamo dal mio babbo. Il signor Antonio può essere considerato un consumatore medio, colui che a seconda del caso acquista “per sentito dire” oppure “a sentimento”, preferendo di gran lunga scegliere in funzione di ciò che gli suggerisce lo stomaco anziché la coscienza. Una vittima del marketing, appunto. A differenza del sottoscritto, non ha nessun particolare background rispetto alla birra, né tanto meno è un esperto assaggiatore di vino oppure ancora possiede qualsivoglia declinazione della gastronomia italiana. Il mio babbo mangia e beve per il puro piacere di farlo, senza troppi fronzoli. Punto.

Ora, cosa succede le rare volte che mio padre va a fare la spesa? Succede che diventa bersaglio di strategie di marketing che hanno individuato in lui la buyer persona ideale, ovvero l’identikit del cliente perfetto. Vittima inconsapevole di condizionamenti esterni che fanno leva sulla propria emotività, mio padre acquista di impulso, portando a casa tutto quello che un abile commerciale oppure un brillante scaffale gli hanno propinato. Un consumatore molto poco attento, facilone, che bada troppo all’etichetta e poco al contenuto e che, in assenza di informazioni, utilizza due discriminanti di scelta assai spicciole: il packaging più bello (perché esteticamente più appagante) e il prezzo più alto, o comunque superiore alla media (perché viene considerato indice di qualità – ma questo non significa che basti fare il prezzo più alto per assicurarsi la vendita).

Un “nuovo” birrificio che non è innovativo Rispetto al suo modus operandi tra gli scaffali del supermercato e tra le piccole botteghe artigiane, io e mio padre abbiamo solo una cosa in comune: ci piace fare la spesa, ci gratifica, e siamo contenti di tornare a casa con le braccia piene mostrando i frutti della nostra uscita. Nell’ultima occasione lui si è portato dietro tre cartoni di birra artigianale locale, complice l’incontro con i soci del birrificio in occasione di un evento. Tempo di tornare anch’io in Calabria, codesti cartoni mi vengono presentati come il frutto succulento dell’ultima avventura imprenditoriale made in Calabria, laddove un altro birrificio nasce con l’ambizione di entrare in un mercato di nicchia che evidentemente continua a fare gola – nonostante le statistiche siano abbastanza

chiare sul fatto che della vacca grassa dei bei vecchi tempi è rimasto ormai davvero poco da mungere. Un nuovo birrificio che affronta la sfida attuale facendolo con un approccio fin troppo tradizionale: assieme ai cartoni a mio padre è stata consegnata la classica brochure informativa a tre colonne, indicante nomi delle birre pur creativi ma con riferimenti stilistici piuttosto vaghi – le birre in questione sono classificate come Lager, Rossa e Sunshine Ale – e un packaging, inteso sia come contenitore di vetro che come etichetta, in fondo già visto e rivisto altrove e che non aggiunge nulla alla scena attuale. In soldoni, quella che per mio padre è una bella storia da raccontare, per me è l’ennesima trovata imprenditoriale che – perdona il cinismo – nella migliore delle ipotesi sguazzerà in un mare di mediocrità. L’unica fortuna degli ultimi

BIRRA NOSTRA MAGAZINE 11 gennaio-febbraio 2023 MARKETING

arrivati è quello di essere la novità: immagina un contesto dai forti connotati protezionistici come la Calabria, dalla forte tradizione vinicola, quanto possa suonare entusiasmante apprendere dell’apertura di un birrificio, riuscendo in questo modo ad assicurarsi la presa sul pubblico pur in assenza di una precisa strategia di comunicazione. Mettici poi la confusione – e questo vale a livello nazionale – sul tema dell’artigianalità della birra ed è scacco matto al consumatore non consapevole.

L’industria sa fare marketing

Lo sa bene l’industria, che scimmiottando sempre più frequentemente gli stili artigianali da una parte – hai visto che persino Heineken si è lanciata in una sua personale battaglia a favore della cultura birraria, tirando in ballo

addirittura il Lambic? – e acquisendo birrifici artigianali dall’altra, si è fatta spazio nel cuore (e nel portafogli) di una fetta crescente di consumatori, sottraendo quote di mercato non occupate oppure già occupate dalla birra artigianale italiana. Proprio per via di questa scarsa conoscenza del prodotto, mio padre acquisterebbe tranquillamente una Ichnusa e me la presenterebbe a tavola raggiante, orgoglioso di condividere con me i frutti delle sue ultime scoperte al supermercato e curioso di sapere cosa ne penso della famosa birra “non filtrata”, che piace ed è sulla bocca di tutti. Ovviamente del successo commerciale della birra industriale c’è poco da discutere: è un dato di fatto ed è tutto merito delle leve di marketing utilizzate. Ritornando al mio babbo, invece, vorrei farti notare che

per lui sarebbe stato molto utile un’etichetta in grado di descrivere la birra per quello che è, con un riferimento stilistico più preciso di Sunshine Ale, e magari con un accenno di descrizione organolettica. Nulla di tutto ciò è accaduto, mio padre continua a non conoscere la differenza tra birra artigianale e industriale, l’industria continua a vendere giocando sulla sottile linea di demarcazione tra questi due mondi e il birrificio artigianale si accontenta di essersi portato a casa un’altra vendita. Del domani non v’è certezza, almeno per oggi si è portata a casa la pagnotta.

L’importanza dello storytelling…

Purtroppo, è questo che manca: la capacità di ragionare in prospettiva, la visionarietà che è tipica degli imprendi-

12 BIRRA NOSTRA MAGAZINE gennaio-febbraio 2023 MARKETING
the eating out experience show rimini expo centre 19 ² 22 FEBBRAIO 2023 organizzato da: in contemporanea con: con il patrocinio di:

tori più lungimiranti e delle imprese di maggior successo. Quello stesso birrificio si è lasciato sfuggire l’occasione per trasformare un prodotto senza alcuna identità nel carismatico protagonista di un avvincente storytelling. Oggi sono state le parole dei venditori a convincere mio padre a effettuare l’acquisto, ma stai pur certo che domani la sua attenzione sarà catturata da un’altra novità che metterà in ombra l’anonimo birrificio e le sue birre. Lo storytelling è oggi fondamentale per fare la differenza in un mercato dove la logica dominante è ancora quella del prezzo, dove la birra priva di reale contenuto è paragonabile a una qualunque commodity, ovvero un bene che viene acquistato solo in virtù del prezzo più basso. Il che, considerando i costi di produzione, soprattutto alla luce dei recenti aumenti dei costi dell’energia e della galoppante inflazione, equivale a un suicidio. Pertanto, mi chiedo se il già menzionato birrificio abbia mai realizzato un business plan e una strategia di comunicazione atti a trasformare l’investimento in qualcosa di diverso da un buco nell’acqua. Perché ad affermare di fare qualità sono bravi tutti; la verità – come sottolineato negli articoli precedenti – è che il marketing pensa piuttosto alla percezione della qualità, senza la quale il consumatore non potrà mai spiegarsi il divario di prezzo tra birra artigianale e industriale, trovandosi a preferire sempre quest’ultima.

…e di una comunicazione

completa e corretta

Tralasciando volutamente l’assaggio, comunque privo di piacevoli sorprese, vorrei riportarti qui il succo della conversazione avvenuta con mio padre, che per me è stata a dir poco illuminante. Innanzitutto, pur avendo avuto la fortuna di parlare direttamente con il birrificio, mio padre si è portato a casa le birre senza avere la più pallida idea di cosa fossero. Dolci o amare? Chissà! Il colore? C’è “la Ros -

sa” ma tutto il resto rimane in dubbio. E il bicchiere ideale oppure la corretta temperatura di servizio? Questi sconosciuti. Ovviamente non pretendo che mio padre fosse in grado di servire la birra nelle condizioni ottimali; tuttavia, avrei tanto apprezzato che conoscesse quantomeno le basi. Facendo un paragone con il vino, chiunque sa che un vino rosso predilige un balloon, mentre un vino bianco un calice. Il che è già un segnale tangibile di come concettualmente il vino si sia radicato nella mentalità del consumatore e aiuta il consumatore stesso a essere critico nei confronti di chi non rispetta questi pur minimi parametri. Se un nuovo birrificio non si rende conto dell’importanza di distinguere bassa e alta fermentazione, limitandosi piuttosto a spiegare la birra facendo riferimento al colore – come si è sempre fatto – forse converrai con me sul fatto che il mercato della birra artigianale italiana non è maturo come si crede, a discapito dei suoi oltre trent’anni di storia. Quando dicono che gli italiani sono un popolo di mammoni hanno ragione, perché come imprenditori faticano a liberarsi dall’amorevole abbraccio della loro comfort zone .

Il rapporto tra qualità e prezzo nella birra artigianale Durante la conversazione con mio padre è venuto a galla un altro elemento importante, lo stesso che mi offre l’assist per introdurre il secondo argomento di oggi: il rapporto tra qualità e prezzo della birra artigianale italiana. Un rapporto ahimè poco vantaggioso, per ragioni che abbiamo già affrontato in precedenza e che in questa sede mi limito a riportare a titolo conoscitivo: l’assenza di economie di scala per i birrifici artigianali italiani e la drammatica sconfitta commerciale al fronte, dove il prezzo della birra italiana perde in partenza contro Paesi più virtuosi quali Germania e Belgio. Senza scendere nel dettaglio delle differenze tra Paesi, se-

condo te quanto dovrebbe costare in Italia una bottiglia/lattina di birra artigianale per essere interessante agli occhi del consumatore medio?

In Italia vige la regola non scritta delle cinque euro a bottiglia/lattina, perlomeno al dettaglio nei locali ristorativi, mentre per la spina ci aggiriamo tra dodici e quindici euro a litro a seconda della referenza. Prezzi esorbitanti?

Direi di no, sono più che accettabili, perlomeno finché non vengono confrontati con altre fattispecie che giocano in un campionato diverso. A me, per esempio, è venuto il dubbio di passare al lato vitivinicolo della forza quando,

14 BIRRA NOSTRA MAGAZINE gennaio-febbraio 2023 MARKETING

in occasione della spesa per le festività natalizie, mi sono trovato a confrontare i prezzi di due bottiglie di birra al confronto con una di vino. Le prime costano molto di più, praticamente cinque volte tanto quelle di una bottiglia. E non perché sono quantitativamente il doppio, quanto appunto perché la singola bottiglia ha prezzi necessariamente superiori. Il doppione è volutamente inserito perché, vista la ridotta quantità di alcol, tendenzialmente un calice di vino equivale a un bicchiere di birra; pertanto, il consumo di quest’ultima è nettamente superiore. Insomma, come avrai capito per quest’anno mi sono

voluto rovinare, perché portare a casa una dozzina di bottiglie da 75 cl è costato tanto quanto una scorta mensile di bottiglie di vino.

Il problema della qualità

Il problema è che la birra sconta la percezione di bevanda popolare, che necessariamente deve possedere un prezzo popolare per essere appetibile al grande pubblico. In questo modo, a parità di prezzo, si scontra con un ventaglio di alternative immenso, includendo anche analcolici, vino e perfino superalcolici. Circoscrivendo l’argomentazione all’ambito birrario, si può

ulteriormente scendere nel distinguo tra birra artigianale sui generis e birra buona, senza troppi fronzoli: la prima sfrutta la leva mediatica per vendere un prodotto mediocre, la seconda vale la spesa. Ed è qui che si concentra il “mosto” del mio discorso, che è volutamente partito da lontano per cercare di vagliare tutti i possibili punti di vista, arrivando finalmente al nocciolo della questione: tutte le birre hanno lo stesso prezzo ma non tutte hanno la stessa qualità. Anzi, considerando l’oltre migliaio di birrifici con e senza impianto sparsi lungo lo Stivale, probabilmente la maggior parte non sanno neppure cosa sia la costanza qualitativa e ancora meno sono quelli che riescono a ottenere standard di qualità elevati. Di conseguenza, in cambio di quei famosi cinque euro, ci si trova nel bicchiere una birra mediocre, bevibile per carità ma francamente molto poco memorabile. Il mio babbo, per esempio, era più che soddisfatto di una birra per me deludente. Laddove doveva esserci il luppolo ne era rimasta solo una lontana reminiscenza, sulla bassa fermentazione il livello di pulizia era opinabile e anche sulla birra di punta, l’immancabile doppio malto, sono stati sufficienti un paio di sorsi per apprezzare tutti gli alcoli superiori contenuti nei suoi solo 7,7 gradi alcolici. Per il mio babbo saranno quindi queste tre birre il metro di paragone per confrontare altre birre, siano esse industriali oppure artigianali. Con due effetti contrapposti: il primo, certamente positivo, è quello di apprezzare la differenza tra una birra artigianale e il suo succedaneo industriale; il secondo, assolutamente negativa, è che si innesca un meccanismo tendenzioso da cui è difficile uscire. Di fronte a un pubblico dal palato diseducato il birrificio non ha alcuno stimolo a migliorare la qualità della sua produzione, consapevole che basta poco per vendere l’intero lotto. Tanto il prossimo andrà meglio. E così via, spazio all’approssimazione.

BIRRA NOSTRA MAGAZINE 15 gennaio-febbraio 2023 MARKETING

L’INCAPACITÀ DEI CONSUMATORI DI PERCEPIRE I DIFETTI

Per esperienza personale posso dire che l’astringenza, così come l’effetto puzzola, difficilmente vengono percepiti come difetti: l’astringenza viene considerata un fattore che valorizza l’amaro della birra, rendendola una bevanda dal carattere deciso; il secondo non viene neppure percepito perché ficcare il naso nel bicchiere è roba da sfigati, mentre bere la birra a canna dalla bottiglia – o comunque servita in un bicchiere senza schiuma – è da fighi. Fa male riconoscere che questi stereotipi giurassici rappresentino ancora oggi l’immagine comune del consumo di birra in Italia, eppure è così. E se trent’anni di birra artigianale italiana, oltre a non riuscire a fissare nella mente del consumatore la differenza concettuale con la birra industriale, non sono neppure riusciti a palesarne le evidenti differenze sul fronte gustativo, ecco che l’errore di comunicazione si trasforma in orrore.

Le eccellenze sono l’eccezione, non la regola

La situazione appena descritta è all’opposto di un virtuoso regime concorrenziale, dove la sana competizione spinge ciascun attore verso il costante miglioramento. Fortunatamente le eccellenze ci sono, il problema è che rappresentano l’eccezione anziché la regola. I più bravi li conosciamo io, tu e un circoscritto gruppo di appassionati, oppure tutti quei consumatori di prossimità che hanno la fortuna di vivere nelle loro vicinanze. Purtroppo, sono proprio questi valorosi birrifici i principali svantaggiati di questa tendenza involutiva, dove diventa sempre più difficile promuovere il consumo di birra artigianale di qualità al di fuori del suo circoscritto parametro. Potrebbero alzare il prezzo, dici? La vedo dura, visto che i prezzi hanno davvero poco aggio,

schiacciati tra l’incudine (il prezzo della birra industriale/crafty) e il martello (il concetto popolare che storicamente caratterizza la birra, prezzo compreso).

La migliore qualità, per intenderci, non può permettersi di praticare un prezzo premium sulla falsariga di un ristorante stellato, perché possiede qualche rico-

16 BIRRA NOSTRA MAGAZINE gennaio-febbraio 2023 MARKETING

noscimento più degli altri: semplicemente sarebbe fuori mercato. E questo è un ulteriore incentivo alla mediocrità: la qualità costa e i birrifici preferiscono risparmiare sulle materie prime e sul processo produttivo, preferendo leve di vendita più spicce. E finché il livello di conoscenza rimane basso possono permettersi di farlo.

Segnali positivi

Mi permetto tuttavia di concludere alla mia maniera, ovvero con toni ottimistici – oppure, per contestualizzare, guardando il bicchiere mezzo pieno. L’avrai verificato anche tu sulla tua lingua: seppur pochi, alcuni birrifici hanno veramente fatto della qualità il loro baluardo, migliorando notevolmente la tecnica produttiva rispetto a pochi anni fa; altri, seppur in misura ancora minore, sono stati talmente audaci da

affiancare all’ottima produzione un’eccellente strategia di comunicazione, realizzando alcuni dei migliori esempi di imprenditoria birraria in Italia. Purtroppo, siamo in pochi a essercene accorti. Troppo pochi. Questo perché tutti siamo bravi a riempirci la bocca di un termine altisonante come qualità. Ammetterai tu stesso che, andando a considerare il motto di tutti i birrifici presenti sul suolo nazionale, questo termine appare inflazionato più che in altri settori. Il dilemma sta nel fatto che la qualità è nulla se prima non si lavora sulla qualità percepita. In Italia saremmo dovuti partire da lì, quel lontano giorno di oltre trent’anni fa. Purtroppo, non l’abbiamo fatto. Pertanto, la domanda che ti rivolgo è: secondo te siamo ancora in tempo per riparare il danno oppure la birra artigianale italiana è definitivamente destinata a rimanere una nicchia circo-

scritta ai soliti noti? Osservando la tendenza in atto nella politica italiana, che di anni sulle spalle ne ha molti di più della birra artigianale, mi sembra chiaro che siamo spacciati.

Tuttavia, come disse il saggio, siedi lungo la riva del fiume e aspetta di veder passare il cadavere del tuo nemico. Il problema è chi è il vero nemico: il birrificio industriale oppure il birrificio artigianale senza pretese? Mentre attendo, mi godo la birra artigianale italiana, quella buona però, consapevole che è un diritto ma anche un sacrosanto dovere del consumatore consapevole utilizzare i propri soldi con parsimonia, scegliendo gli esempi più virtuosi. Del resto, si prospetta un 2023 di ristrettezze economiche e chi sono io per venire meno ai precetti del buon homo oeconomicus? Ascoltali anche tu: il tuo palato ringrazierà, il tuo portafogli pure!★

BIRRA NOSTRA MAGAZINE 17 gennaio-febbraio 2023 MARKETING

La Sardegna in un bicchiere: BIRRA PUDDU

In questo numero facciamo ritorno in Sardegna per conoscere Birra Puddu, un birrificio originariamente fondato negli anni Sessanta a Oristano e rinato in tempi recenti. Mauro Fanari, Fabio Porcu e Giuseppe Carrus sono i soci della compagine societaria e ci raccontano di questo nuovo birrificio.

?

Partiamo da lontano: quando e dove nasce storicamente il marchio Birra Puddu? Raccontate ai nostri lettori tutta la storia che avete alle spalle.

Birra Puddu nasce agli inizi degli anni Sessanta, quando i tre fratelli Antonio, Luigi e Giorgio Puddu, con grande coraggio e spirito imprenditoriale decisero, in un’Italia birraria composta da soli grandi gruppi industriali, di creare un piccolo birrificio a Oristano, loro città d’origine. In realtà tutto parte nel 1955, quando viene creata la società IN.BI.GA s.r.l. (Industria Bibite Gassate), e solo dopo alcuni anni di pratiche burocratiche, nel 1962 viene affiancata una fabbrica di birra. Grazie alla collaborazione con un mastro birraio austriaco, si avviano gli impianti con la prima cotta della Birra Puddu,

producendo una birra a bassa fermentazione in stile Pils, come erano d’altronde quasi tutte le produzioni di quel periodo. In pochi anni Puddu diventa la birra della città e supera i confini provinciali arrivando a essere distribuita in tutta l’Isola. Veniva confezionata esclusivamente in bottiglie da mezzo litro con tappo meccanico, chiaramente vuoto a rendere come di norma in quegli anni. L’etichetta originale, oltre alla scritta Birra Puddu, rappresentava la torre medievale situata nel centro storico della città (chiamata Torre di Mariano in onore del giudice arborense Mariano II che la fece costrui-

18 BIRRA NOSTRA MAGAZINE gennaio-febbraio 2023 BIRRE DA RACCONTARE
di Christian Schiavetti
Costumi tradizionali durante il carnevale di Oristano.

re nel 1290). Bisogna evidenziare che in quegli anni Birra Puddu non era l’unica produzione locale: esisteva infatti un altro grande birrificio indipendente in Sardegna, Birra Ichnusa, all’epoca ancora di proprietà della famiglia Capra, che rappresentava il principale competitore del birrificio oristanese.

? Com’era strutturato l’allora birrificio e cosa ne è rimasto?

Il birrificio di allora, progettato da Giulio Negri, già braumeister della Birreria Metzger, era situato in una zona oristanese ricca di fermento, in quella che veniva chiamata “Pratza e’ is bois” (piazza dei buoi), dove settimanalmente si svolgeva il mercato del bestiame più importante dell’isola. Lo stabilimento storico è stato tristemente demolito qualche anno fa per costruirci, al suo posto, un centro commerciale, ma grazie alla memoria degli eredi e di chi frequentava il birrificio all’epoca è stato possibile recuperare molte informazioni. Il birrificio occupava un intero isolato e l’edificio principale era a più piani. Al pian terreno erano installati gli impianti con una sala cottura da 50 hl a marchio Ziemann a tre recipienti, cinque tini fermentatori da 200 hl cadauno e 14 tanks di deposito in alluminio della valdostana Guinzio e Rossi, sempre da 200 hl cadauno, una linea di imbottigliamento automatica. Nel marzo del 1962 viene prodotta la prima cotta, e a fine anno gli ettolitri di birra realizzati diventano 12.000; due anni dopo si arriva a 14.000 hl con 20 persone impiegate che diventeranno una cinquantina negli anni successivi. Si racconta che nei giorni di cotta ci fosse una grande fila di carretti trainati da cavalli impegnati a recuperare le trebbie ancora calde da portare al bestiame. Negli anni successivi diversi problemi e difficoltà finanziare portano a una significativa diminuzione della produzione che verrà sospesa nel 1969. Il birrificio chiude definitivamente, così come la produzione di bibite gassate.

? Veniamo ai giorni nostri. Chi c’è dietro il ritorno di Birra Puddu, ci raccontate chi siete, dove e quando nasce la voglia di ridare vita a questo marchio storico di birra made in Sardegna e quali esperienze avete nel mondo della birra artigianale?

Siamo tre amici, diventati soci in nome di Birra Puddu. Io (Mauro Fanari, n.d.r.) ho fatto da collante, conoscevo entrambi gli altri soci e li ho fatti incontrare e conoscere. Sono birraio con diversi anni di esperienze alle spalle, anche una all’estero in Inghilterra, mentre quella più importante è stata a Birra Perugia, dove ho lavorato per due anni sin dall’apertura. Inoltre, ho diverse collaborazioni con istituti di ricerca focalizzati sulla birra artigianale. Fabio lavorava presso i molini Cellino, prima

ancora alle distillerie lussurgesi e ora è il mio braccio destro in produzione, mentre Giuseppe fa l’assaggiatore di vino al Gambero Rosso e ha un’attività imprenditoriale a Cagliari. Essendo

BIRRA NOSTRA MAGAZINE 19 gennaio-febbraio 2023 BIRRE DA RACCONTARE
Una bottiglia Puddu degli anni Sessanta. Giuseppe Carrus, Mauro Fanari e Fabio Porcu.

entrambi appassionati di birra artigianale, quando ho chiesto loro se volevano seguirmi in questo progetto non ci hanno pensato due volte. Burra Puddu rinasce un anno e mezzo fa a Oristano in via Giovanni XXIII lungo la strada che unisce Oristano e Santa Giusta.

? Birra Puddu parte due, quindi. Com’è strutturato l’attuale birrificio? Avete anche uno spaccio e/o un locale di mescita?

Il birrificio è costituito da una sala cottura a vapore da 10 hl e da una cantina composta da fermentatori isobarici da 10 e 20 hl con tino di rimescola utilizzato per l’imbottigliamento, che allo stato attuale è effettuato completamente utilizzando la tecnica della rifermentazione in bottiglia. Abbiamo inoltre un ampio magazzino con cella fredda e cella di ri-

Linea popolare

fermentazione e un locale tecnico con le attrezzature necessarie alla produzione. Fin dal principio abbiamo pensato a un locale che un domani potesse accogliere anche uno spazio di mescita, con i tavoli e un bancone. Questo domani è arrivato prima dei programmi e da novembre 2022, quindi a meno di un anno e mezzo dalla prima birra messa in commercio, è nata Casa Birra Puddu, al civico 7 di via Giovanni XXIII. Ci sono le nostre birre in mescita, ma abbiamo in progetto di avere con continuità almeno un altro birrificio ospite che faremo ruotare, qualche vino del territorio, salumi e formaggi da accompagnare alle birre: sempre prodotti artigianali delle nostre zone. Ci piace fare sinergia tra le aziende e aiutarci a vicenda.

? Quali birre producete al momento?

Golden Ale è quella che amiamo definire la nostra birra quotidiana. Prodotta con malto pils e luppolata con East Kent Goldin e Citra, risulta una birra semplice ma dotata di un intrigante comparto aromatico che spazia dal fruttato all’erbaceo.

IPA, che rientra nell’omonimo stile, è prodotta con malto pale inglese e una luppolatura completamente americana con Mosaic, Citra e Ekuanot utilizzati anche in dry hopping. Il risultato è una birra da 6 gradi alcolici a metà strada tra l’Inghilterra e l’America, con un profilo fruttato intenso, un buon corpo e un finale amaro che chiude benissimo la bevuta.

Porter, estremamente tradizionale, è prodotta con malto Maris Otter e Brown, come di usanza nell’Ottocento londinese, e luppolata con East Kent Golding e Fuggle. Dal colore mogano intenso tendente al nero e una schiuma beige, sentori di caffè, cioccolato e liquirizia, buon corpo e grande carattere.

Saison è invece prodotta con un frumento locale denominato «Trigu de Oro» e coltivato a pochi passi dal birrificio. Si caratterizza da note speziate derivate dal lievito e bilanciate da notte agrumate e resinose dovute da una generosa luppolatura; finale secco come da tradizione belga.

Bitter, l’ultima nata e presentata poche settimane fa, con soli 3,8 gradi alcolici, risulta perfetta per grandi bevute. Anch’es-

Al momento produciamo 7 referenze in totale, 5 delle quali rientrano in quella che ci piace chiamare la linea popolare. Sono infatti tutte birre di grande carattere ma anche di facile beva. Su questa linea abbiamo appositamente deciso di chiamare le birre con lo stile di riferimento in modo da ottenere una comunicazione diretta e accessibile anche ai meno esperti del settore.

Alle referenze attuali abbiamo aggiunto 60 Anni, una one shot prodotta per festeggiare l’anniversario del marchio Birra Puddu che nel 2022 ha compiuto appunto, sessant’anni. In realtà, era pensata come produzione una tantum ma la birra ci ha convinti al punto da volerla tenere in linea: è una birra molto classica che ricalca le pils tradizionali tedesche con l’aggiunta di un dry hopping di Hallertau Mittelfrüh che

sa estremamente British e dalla base maltata di Maris Otter e Crystal e una luppolatura vecchia scuola di East Kent Goilding e Bramlig Cross.

20 BIRRA NOSTRA MAGAZINE gennaio-febbraio 2023 BIRRE DA RACCONTARE
Linea popolare. (Prosegue a pag. 22)

La distribuzione di birre artigianali italiane ha un nuovo player:

L’online permette a mondi distanti di incontrarsi, creando nuove opportunità. Come per il settore della distribuzione della birra artigianale italiana, che supera i confini regionali con Trovabirre: una vetrina su tutto il territorio nazionale per i birrifici e più scelta e libertà per locali di ristorazione e pub.

Trovabirre si presenta come la rivoluzione nel mondo della distribuzione di birre artigianali italiane, offrendo grandi opportunità ai birrifici e un nuovo modello di distribuzione, con più scelta e senza vincoli.

Un’idea che ha seguito diverse fasi di fermentazione

Il progetto nasce con l’obiettivo di dare più spazio e nuovi sapori all’Italia amante della birra e curiosa di scoprire nuovi gusti ed etichette. Da qui, l’idea di una piattaforma che permetta ai birrifici di proporre i propri prodotti e ai locali di scegliere, in totale libertà, la propria fornitura da un ampio catalogo di birre artigianali italiane e sidri.

Il progetto ha poi incontrato il favore di investitori che hanno creduto nell’approccio innovativo, riconoscendo le

grandi opportunità e cogliendo la validità del messaggio che Trovabirre si propone di divulgare. E a buona ragione. Di fatto, nonostante la piattaforma possa considerarsi relativamente giovane, ha guadagnato fin da subito una discreta attenzione da parte di birrifici e attività del settore Ho.Re.Ca. E, a oggi, propone un catalogo di oltre 1200 etichette tra birre e sidri artigianali prodotti in Italia e più di 800 locali registrati, tra pub, ristoranti e pizzerie. A conti fatti, Trovabirre non solo dispone del catalogo di birre artigianali più ampio d’Italia, ma vanta anche i migliori prezzi e più di un servizio in grado di agevolare sia produttori che clienti Ho.Re.Ca, come il Priming.

Agevolazioni per i birrifici

Il Priming è un servizio gratuito che offre ai birrifici una maggiore visibilità e la possibilità di usufruire dello stoccaggio dei propri prodotti presso il magazzino di Trovabirre, sollevandoli dall’impegno logistico degli ordini.

Per una fornitura veloce e prodotti consigliati da esperti

Per pub, pizzerie e ristoranti il Priming è anche una garanzia in più. Ogni prodotto inserito nella categoria, infatti, è affi-

dato all’esperienza di un sommelier che ne assicura l’elevata qualità. La registrazione sulla piattaforma e il Priming sono gratuiti, come anche il servizio pensato per ristoranti e pizzerie: la carta delle birre. Ovvero, il supporto di un esperto per la selezione delle birre più adatte ai piatti del menu.

Zero vincoli né contratti di esclusiva, senza ordine minimo e nessun costo di registrazione. Con questo, possiamo solo aggiungere che Trovabirre sembra avere davvero il sapore della rivoluzione. ★

BIRRA NOSTRA MAGAZINE 21 gennaio-febbraio 2023 INFORMAZIONE PUBBLICITARIA
TROVABIRRE.IT

dona note resinose e speziate e una bevuta appagante.

L’ultima referenza è D’Inverno, la nostra birra di Natale. Produzione stagionale per 500 bottiglie da 1 litro, etichetta in lamina di rame, tappo meccanico in ceramica e cartone dedicato con ceralacca. Ricetta che varia di anno in anno, per la stagione 2022 abbiamo prodotto una American Strong Ale luppolata esclusivamente con Mosaic in fiori.

? Un birrificio giovane, ma capace di portarsi a casa già due premi importanti, vedi i riconoscimenti all’European Beer Star con la Porter. Ci raccontate le vostre emozioni per questo traguardo raggiunto?

Con la Porter avevamo già vinto alcuni premi nei mesi precedenti, il riconoscimento come “Etichetta imperdibile” nella guida Slow Food 2022 e un oro al concorso “Cerevisia 2022” di Perugia, ma quando qualche settimana prima della premiazione è arrivata la mail dall’European Beer Star, quello che viene considerato più importante d’Europa, che ci comunicava di aver vinto un oro a poco più di un anno dall’avvio degli impianti, quasi non riuscivamo a crederci! Andare poi a Monaco e salire su quel prestigioso palco a ritirare il premio è stata un’emozione unica, tanta adrenalina e tanta soddisfazione per tutta la passione, l’energia e il coraggio che mettiamo quotidianamente nel nostro progetto di vita. Non solo, dopo poco meno di un mese sono arrivati altri due premi per la nostra Porter, un altro oro al Internatio-

nal Beer Challenge nel Regno Unito e soprattutto un argento in Belgio al Brussel Beer Challenge, anche questo uno dei concorsi Europei più importanti. Una birra che ci sta sicuramente regalando tantissime soddisfazioni, ma anche la Saison si è fatta valere, vincendo, oltre al Cerevisia di Perugia, anche un oro al CICA di Palma di Maiorca. Insomma, tantissime emozioni per questo nostro primo anno di vita.

? Dove volete arrivare nei prossimi anni e quali birre vorreste produrre in futuro?

Il nostro obiettivo è quello di perfezionare giorno dopo giorno i nostri prodotti e il nostro progetto, lavorando sempre sui dettagli e non dando niente per scontato. Abbiamo in programma una birra estremamente interessante, un proget-

22 BIRRA NOSTRA MAGAZINE gennaio-febbraio 2023 BIRRE DA RACCONTARE
Porter. D’Inverno.

to di ricerca e sviluppo in collaborazione con Sardegna Ricerche e Porto Conte Ricerche finalizzato alla produzione e immissione nel mercato di una birra artigianale di qualità accessibile, destinata anche a categorie svantaggiate, quali soggetti con limitate possibilità di assunzione di alcol, affetti da disfagia, intolleranti al glutine e ipovedenti o non vedenti. Concretamente parlando, creare una birra che sia al contempo a bassa gradazione alcolica, senza glutine, con un basso contenuto in carbonica e dotata di etichetta autoadesiva con stampa in rilievo dei caratteri Braille.

? Raccontateci una birra, che non sia la vostra e un luogo che più vi è rimasto a cuore in questi anni di passione birraria.

Mauro: scelgo la Jaipur, l’IPA pluripremiata di Thornbride, il birrificio inglese nel quale ho avuto la mia prima esperienza professionale birraria. Era il gennaio del 2010, durante il mio ultimo anno di università, quando per la prima volta misi piede nel nuovo birrificio appena installato e conobbi l’allora Head Brewer Stefano Cossi, esperienza che segnò profondamente la mia tecnica birraria e il mio destino. Il luogo, sicuramente il Pub “The Coach and Horses” di Sheffield, posto nel quale bevvi per la prima volta la Jaipur - a pompa tra l’altro - e in un istante decisi che la birra sarebbe stata il mio futuro.

Fabio: la mia preferenza è per una birra prodotta tanti anni fa da un amico homebrewer, che oggi fa il birraio di professione: una bitter inglese. Il po -

sto è la sua piccola cantina nella quale ho passato lunghe e bellissime serate a bere e parlare di birra, quando la birra artigianale in Sardegna era ancora un lontano miraggio.

Giuseppe: la Tipopils, birra di Birrificio Italiano, una bassa fermentazione che, come dice il nome, può essere considerata la Pils italiana per antonomasia, nata quando ancora i birrifici artigianali erano pochissimi. Il luogo? Senza dubbio il Ma che siete venuti a fa’? meglio conosciuto come Macche. Frequentavo il master del Gambero Rosso a Roma e le prime pinte di artigianali le ho conosciute e apprezzate grazie a Manuele Colonna, il publican di questo luogo di culto a Trastevere. ★

Info e contatti: www.birrapuddu.it

BIRRA NOSTRA MAGAZINE 23 gennaio-febbraio 2023 BIRRE DA RACCONTARE

Come sta la brassicoltura italiana?

STATO ATTUALE E PROSPETTIVE DI SVILUPPO

Trend recenti per la coltura del luppolo a livello mondiale

Negli ultimi anni il luppolo è certamente da annoverare tra le colture di maggiore interesse per la diversificazione dei redditi agricoli, soprattutto a livello nazionale dove il fenomeno delle birre artigianali ne sta favorendo la diffusione.

La coltivazione di luppolo commerciale è diffusa in tutti i continenti. La posizione di leader degli Stati Uniti nella luppolicoltura mondiale, così come quella della Germania in veste di secondo produttore, sono ben evidenti dalla Figura 1 dove, oltre ai due top player, sono riportati i principali paesi produttori di luppolo. Nel complesso,

tali paesi assommano quasi il 90% della superficie investita, realizzando il 91% della produzione globale. Stati Uniti e Germania sono gli attori chiave del panorama internazionale e nel loro insieme rappresentano i tre quarti sia della superficie investita che dei volumi di output generati a livello mondiale.

MATERIE PRIME
(CREA
(CREA OFA)
di Francesco Licciardo
PB), Katya Carbone
24 BIRRA NOSTRA MAGAZINE gennaio-febbraio 2023

Peso in termini di superficie coltivata Peso in termini di produzione raccolta

A livello mondiale, secondo le ultime stime della FAO, le superfici coltivate a luppolo nel 2020 hanno quasi raggiunto la soglia dei 66.400 ettari (Figura 2), in linea con il valore osservato nel 2019 (+ 1,4%). L’analisi dinamica, inoltre, mostra come nell’ultimo decennio, fatta eccezione per il periodo 2011-2013, il trend di espansione delle superficie a livello mondiale si mantenga saldamente positivo.

Secondo le stime fornite dall’International Hop Growers’ Convention, l’espansione globale delle superfici ha subito una battuta di arresto nel 2021: nel mondo sono stati coltivati 62.221 ettari di luppolo e la produzione si è attestata sulle 129.779 tonnellate. Tale tendenza sembrerebbe essere confermata anche per il 2022 (superficie: -3,3%; produzione: -2,6%). Gli Stati Uniti con oltre 25 mila ettari di superficie coltivata hanno realizzato quasi 53 mila tonnellate di luppolo e la Germania, con poco più di 20.620 ettari, un volume intorno alle 48 mila tonnellate. I dati sulla produzione confermano la crescita delle superfici anche se nel 2020 si è registrato un calo del -5,3% rispetto all’anno precedente. Nel complesso del periodo oggetto di osservazione (20002020), la produzione di luppolo raccolto

è aumentata significativamente, passando da 98 mila tonnellate del 2000 alle 124 mila attuali (Figura 3), dati che secondo

quanto indicato nel Barth-Haas Report sono da rivedere al rialzo per il 2021 (131 mila tonnellate).

BIRRA NOSTRA MAGAZINE 25 gennaio-febbraio 2023 MATERIE PRIME
Fonte: nostre elaborazioni da IHGC Economic Commission - Summary reports (aprile 2022). Figura 1: I primi cinque paesi produttori di luppolo (2021, valori in %). Figura 2: Andamento della superficie investita a luppolo a livello mondiale (2000-2020, ha). Figura 3: Andamento della produzione di luppolo nel mondo (2000-2020, valori in t). Note: i dati non comprendono il continente africano per problemi di stima legati alla produzione etiope. Fonte: nostre elaborazioni su dati FAO.

La performance positiva delle variabili prese in esame trova conferma nel volume di alfa-acidi raccolti che, nel 2021, ha raggiunto il suo massimo storico pari a 14.173 tonnellate. L’analisi dinamica mostra altresì che la crescita in volume registrata nell’ultimo anno (+12% rispetto al 2020) risulta superiore di oltre quattromila tonnellate rispetto al volume medio del periodo preso in esame con un incremento del 71% rispetto alla produzione di AA del 2000 (Figura 4).

Il luppolo è utilizzato in brassicoltura per le proprietà antisettiche e per il conferimento dell’amaro e dell’aroma alla birra.

Il boom del settore artigianale, sempre più teso negli ultimi anni alla produzione di birre con un profilo aromatico accentuato, ha spostato l’interesse dei mastri birrai da varietà di luppolo a elevato contenuto in alfa acidi a varietà aromatiche, in grado di arricchire il bouquet finale della birra. Questo ha prodotto uno spostamento nell’equilibrio varietale americano a favore delle varietà aromatiche, passando da una equa distribuzione del 50% tra luppoli alfa e aromatici nel 2012 all’80,5% di varietà aromatiche coltivate nel 2021 (Hop Growers of America, 2022).

A livello globale (Ŝredl et al. 2020; IHGC, 2022), l’area di produzione del luppolo aromatico costituisce il 67% della super-

ficie totale coltivata, con gli Stati Uniti principale produttore mondiale (20.294 ettari); si consideri che nel 2001 era meno della metà (28.069 ha).

Nel 2021, tra le varietà aromatiche prodotte negli Stati Uniti, il Citra rimane al primo posto e costituisce ben il 16% di tutta la superficie (Figura 5), il Mosaic passa al secondo posto, scambiandosi il posto con il CTZ (Columbus, Tomahawk

e Zeus), e il Cascade si scambia con il Simcoe per conquistare il quarto posto (cinque anni fa rappresentava la varietà principale). Il cambiamento varietale è comunque ancora in atto. Rispetto al 2021, negli Stati Uniti si stima un aumento di appena il 2% per le principali varietà coltivate.

La situazione italiana: aumentano superfici in produzione e aziende coinvolte

Nonostante l’importanza economica del mercato delle birre artigianali, che copre poco più del 3% del mercato nazionale, l’Italia importa quasi tutte le materie prime per la produzione di birra, soprattutto il luppolo (Gargani et al., 2017).

Legenda: (*) non comprendono le quantità distrutte negli incendi di magazzino. Fonte: nostre elaborazioni da Bart-Haas Report, annate diverse.

A oggi, la coltivazione di luppolo sul territorio italiano è ancora molto limitata: i luppoleti presenti, caratterizzati da appezzamenti ridotti e in alcuni casi di natura sperimentale, riescono a stento a coprire il fabbisogno di un piccolo birrificio artigianale. Tuttavia, proprio la crescente domanda di birra artigianale sta favorendo lo sviluppo di luppolo Made in Italy (Licciardo et al., 2021). An-

26 BIRRA NOSTRA MAGAZINE gennaio-febbraio 2023 MATERIE PRIME
Figura 4: Andamento della produzione a luppolo in alfa-acidi (2000-2021, valori in t). Figura 5: Principali varietà di luppolo coltivate negli Stati Uniti (2021, in % della superficie). Fonte: nostre elaborazioni da Hop Growers of America, 2022.
2 5 ANNI DI I NNOVAZION I E BIOTECNOLOGIE AGROALIMENTAR I AMMOSTAMENTO FILTRAZIONE RAFFREDDAMENTO BATTERI LATTICI RAFFREDDAMENTO FERMENTAZIONE LIEVITO MATURAZIONE CONFEZIONAMENTO BOLLITURA 12 - 24 h 100° C

che dal punto di vista normativo, negli ultimi anni si è cercato di incrementare lo sviluppo di questa filiera minore, istituendo, all’interno della legge di bilancio 2021 un fondo dedicato che prevede l’erogazione di un aiuto de minimis alle aziende produttrici di luppolo dell’importo di 300 euro ogni 2000 mq coltivati. I dati più recenti (fonte: AGEA) mostrano come la coltivazione del luppolo stia riscuotendo un interesse sempre maggiore a livello nazionale. Si registra un costante aumento delle superfici investite che sono passate da 43 ettari del 2018 ai 67 ettari del 2020. Nello stesso periodo anche il numero di aziende risulta in costante crescita (+60%), così come la di-

mensione media aziendale (4.065 mq), a conferma del forte interesse per la filiera brassicola.

Più nello specifico, si può osservare una certa concentrazione degli areali di coltivazione nelle regioni settentrionali (Figura 6), con Emilia-Romagna, Veneto e Piemonte che rappresentano oltre il 50% della superficie italiana, rispettivamente con 23,3 ha, 8,2 ha e 5,1 ha, seguite da Friuli-Venezia Giulia, Toscana, Lombardia e, nell’Italia centrale, Lazio (10,0%).

Nello scenario attuale, il luppolo coltivato in Italia viene utilizzato quasi interamente per le esigenze del mercato delle birre artigianali e agricole.

LE VARIETÀ MAGGIORMENTE UTILIZZATE IN ITALIA

Sulla base di un’indagine condotta da Unionbirrai nel 2020, alla quale hanno partecipato 86 dei suoi associati, le prime quattro varietà impiegate nella produzione di birre artigianali, alle quali è possibile ascrivere il 66% del totale, risultano Citra (18,8%), Cascade (18,3%) e, in misura uguale (14,4%), Mosaic e Saaz.

28 BIRRA NOSTRA MAGAZINE gennaio-febbraio 2023 MATERIE PRIME
Figura 6: Numero di aziende agricole e superfici a luppolo in Italia (anno 2020) Note: per la Valle d’Aosta e la Puglia i dati non sono disponibili. Fonte: nostre elaborazioni su dati AGEA.

IL LIVELLO MEDIO DEI PREZZI DELLE PRINCIPALI VARIETÀ DI LUPPOLO

Per il livello dei prezzi delle diverse varietà commercializzate ci si può riferire ai dati forniti dagli associati al Consorzio Birra Italiana (Coldiretti); si tratta, quindi, di valori indicativi che devono essere interpretati come proxy e che non necessariamente coincidono con i prezzi dei distributori di luppolo. Considerando l’intero paniere delle varietà per la produzione di birre artigianali, si può indicare un prezzo medio di 24,37 euro/kg per il luppolo tradizionale e di 39,13 euro/ kg per quello biologico. Per i luppoli tradizionali, il valore minimo si legge in corrispondenza della varietà Brewer’s Gold che viene quotato 12,90 euro/kg,

Un settore in fermento alla ricerca di un futuro possibile

A partire dalla seconda metà degli anni ’90 il settore brassicolo ha subito un processo di trasformazione produttiva che, in maniera incrementale, sta progressivamente contribuendo a rinnovare sia gli assetti produttivi sia gli stili di consumo e, di conseguenza, la tipologia di consumatori. Questo fenomeno è stato determinato dalla nascita dei

mentre il valore massimo è espresso dalla varietà Idaho 7Cryo (74,80 euro/ kg). Nel caso del luppolo biologico, la forbice risulta più contenuta con il prezzo minimo (30,00 euro/kg) espresso dalla varietà Hallertau Spalter Select e il massimo dalla varietà Citra (53,80 euro/kg). Rispetto alle varietà richieste dai birrifici artigianali, e considerando solo i luppoli tradizionali, il prezzo più basso è per il luppolo della varietà Saaz (19,20 euro/kg); seguono, in ordine crescente, Cascade (21,60 euro/kg), Mosaic (35,80 euro/kg) e Citra (37,50 euro/kg). I prezzi riportati possono variare in diminuzione di circa il 15% in base alla quantità acquistata.

su un mercato altamente competitivo. Negli ultimi anni si è quindi passati dal fenomeno delle fresh harvest, birre speciali prodotte con luppolo fresco, che hanno avuto il pregio di valorizzare le produzioni luppolicole locali, all’introduzione di birre artigianali a ridotto contenuto alcolico e all’approdo delle lager in un mercato fino a ora dominato dall’alta fermentazione e dalle IPA (India Pale Ale). Entrambe queste nuove tendenze potrebbero rappresentare reali opportunità di crescita per un settore, come quello italiano, che soffre di uno stallo sostanziale dopo anni di crescita a due cifre.

Riferimenti

Barth-Haas Group (2022), The Barth report, Hops 2021-2022.

birrifici artigianali, il cui successo ha interessato più di recente anche le multinazionali di settore, che hanno avviato processi di diversificazione produttiva anche attraverso l’acquisizione di birrifici artigianali.

L’ambito artigianale per sua natura è sicuramente da considerarsi un laboratorio di ricerca continua, necessaria per l’affermazione di un prodotto di qualità e al contempo fortemente innovativo

L’ARTIGIANALITÀ DELLE BIRRE ITALIANE

La nascita del primo birrificio artigianale italiano è fatta risalire alla fine degli anni ‘80 (Tarangioli & Carbone, 2020).

A livello regionale la presenza di birrifici si concentra nell’Italia settentrionale (Lombardia, Piemonte, Veneto, EmiliaRomagna), dove storicamente sono nati i primi opifici, spesso per azione di aziende d’oltralpe, importando una

tradizione produttiva non presente in Italia.

Si tratta di un fenomeno dinamico e innovativo che può vantare una crescente penetrazione sui mercati nazionali ed esteri, grazie all’elevata tipicità delle birre artigianali che vengono proposte e che rimandano al legame con il territorio, alle tradizioni e a valori identitari (Carbone et al., 2017).

Carbone K., Amoriello T., Pagano M., Sperandio G., Assirelli A., Tarangioli S., Monteleone A. (2017), Prospettive interessanti per il luppolo italiano, L’informatore agrario n. 20, pp. 49-51.

Gargani, E., Ferretti, L., Faggioli, F., Haegi, A., Luigi, M., Landi, S., Simoni, S., Benvenuti, C., Guidi, S., Simoncini, S., D’Errico, G., Amoriello, T., Ciccoritti, R., Roversi, P.F. and Carbone, K. (2017) ‘A survey on pests and diseases of Italian Hop crops’, Italus Hortus, 24(2), pp. 1-17. doi: 10.26353/j.itahort/2017.2.117

Hop Growers of America (2022) - Statistical Report 2021.

International Hop Growers’ Convention (2022), Economic Commission - Summary Reports, November.

Licciardo F., Carbone K., Ievoli C., Manzo A., Tarangioli S. (2021), Outlook economico-statistico del comparto luppolo. CREA, Roma. ISBN: 9788833851228.

Šrédl K, Prášilová M, Svoboda R, Severová L. (2020), Hop production in the Czech Republic and its international aspects. Heliyon. 2020 Jul 11;6(7):e04371. doi: 10.1016/j.heliyon.2020. e04371

Tarangioli S., Carbone K. (2020), il comparto delle birre artigianali e le attività di ricerca sul luppolo, in A.A. (2020), Annuario dell’agricoltura italiana 2018 LXXII, CREA, Roma. ISBN: 9788833850412.

BIRRA NOSTRA MAGAZINE 29 gennaio-febbraio 2023 MATERIE PRIME

IGA: FACCIAMO IL PUNTO

Le Italian Grape Ale, o IGA che dir si voglia, godono oggi di grande considerazione. All’inizio erano più apprezzate all’estero e dal solito nugolo di appassionati. Ora mi capita di sentirmi chiedere cosa ne penso “di queste birre con il vino, le Italian Grape Ale”, nei posti e dalle persone da cui meno me lo aspetterei. Dunque, il concetto sta uscendo dalla nicchia ma questo non rende comunque semplice capirlo né darne una spiegazione esaustiva.

Le nuove “Guidelines” del BJCP

Sul finire del 2021 le prime indiscrezioni sull’uscita delle nuove “Guidelines” a cura del BJCP hanno permesso ulteriormente alle IGA (orrendo ma comodo acronimo di Italian Grape Ale) di salire agli onori della cronaca visto che l’associazione americana che aveva sdoganato nel 2015 proprio lo stile Italian Grape Ale (ecco spiegato il perché del nome in inglese) paventava l’intenzione di eliminare “Italian” dal nome (se IGA non mi piace granché GA è anche peggio…).

Alla fin fine si è giocato a lascia o raddoppia e il BJCP ha… raddoppiato lasciando le IGA dove stavano, negli stili locali, categoria X3, e aggiungendo alla

categoria 29, quella dedicata alle birre con la frutta, la categoria “29D. Grape Ale”. Le nostre amate Italian Grape Ale sono dunque salve ma secondo il BJCP se prodotte fuori dall’Italia non possono avvalersi dell’aggettivo Italian - con buona pace delle American IPA, APA e compagnia bella.

In ogni caso perdere il suffisso “Italian” non sarebbe poi stato così grave se consideriamo che le Pils Boeme non esistono più sul BJCP 2021 ma sono confluite nella categoria 3B col nome di Czech Premium Pale Lager (con alcol tra i 4.2% e i 5.8%) mentre le German Pils hanno ancora una loro categoria, la 5D. Questo almeno a livello di storicità, visto che le Pils sono nate in Boemia oltre 180 anni fa. Tanto per sottolineare l’arroganza americana di cui il BJCP non fa difetto.

Uno stile non facile da definire

Di norma uno stile è rappresentato con dei paletti che vanno dalle tipologie di ingredienti alle modalità produttive, a dati ancora più tecnici e stringenti, come le unità di amaro, il colore e l’alcolicità; le IGA restano invece un campo aperto, tanto quanto le Grape Ale, che hanno parametri leggermente più limitati.

X3 - Italian Grape Ale:

Vital Statistics:

OG: 1.045 – 1.100

IBUs (unità di amaro): 6 – 30

FG: 1.005 – 1.015

SRM (colore): 4 – 25

ABV: 4.5 – 12%

29D - Grape Ale:

Vital Statistics:

OG: 1.059 – 1.075

IBUs: 10 – 30

FG: 1.004 – 1.013

SRM: 4 – 8

ABV: 6.0 – 8.5%

Poi fa sorridere che nella categoria Grape Ale, che ha il limite superiore dell’alcol a 8,5%, vengano indicate come esempi di etichette in commercio Il Tralcio del Birrificio del Forte che è al 12% o la Firestone Walker Feral Vinifera da quasi 10%. Le idee sono un po’ confuse oltre Atlantico ma le Italian Grape Ale non rendono la vita facile a nessuno.

Analizzando i dati raccolti dal Progetto Grape Ale (www.italiangrapeale.org) su oltre 250 IGA censite le differenze produttive tra un birrificio e l’altro sono no-

30 BIRRA NOSTRA MAGAZINE gennaio-febbraio 2023
di Andrea Camaschella STILI BIRRARI

tevoli, tanto da rendere complicato creare delle categorie. Il concorso IGA Beer Challenge, giunto alla seconda edizione, si basa su una distinzione tra sour e non sour e alto e basso grado alcolico. Trovo invece inutile se non fuorviante l’idea del concorso Birra dell’Anno di dividerle tra bacca bianca e bacca rossa: in molti casi l’uva a bacca rossa viene vinificata in bianco o sta comunque a contatto per tempi molto brevi con le bucce (la fermentazione potrebbe iniziare prima del voluto); esistono poi – pochi, pochissimi ma esistono – esempi di birre prodotte sia con uva a bacca rossa sia a bacca bianca. Il colore della birra non dipende necessariamente dall’uva utilizzata: un Sangiovese o un Nebbiolo potrebbero essere integrati in una birra chiara. Infine, il compianto Luigi Veronelli dimostrava con assaggi alla cieca come bacca bianca e bacca rossa, in molti casi, fossero indistinguibili.

Un’espressione del terroir

Si può dire – con le dovute eccezioni –che le IGA sono un’espressione del terroir, concetto normalmente effimero nel campo brassicolo moderno, ma da qui a ricavarne uno stile la strada è lunga e impervia. Probabilmente è anche sbagliato il concetto di stile in sé in questo contesto: le Italian Grape Ale sono un caleidoscopio del panorama brassicolo italiano. E non solo per gli aromi, i profumi, i sapori e le sensazioni tattili: sono anche lo specchio della creatività dei nostri birrai, già ampiamente esibita nella reinterpretazione di stili canonici e che con queste birre raggiunge nuove frontiere, rendendo di fatto impossibile scrivere i dettagli di uno stile.

Lo stile della birra base

Anche solo analizzando la ricetta della birra base, lo stile di partenza o quanto meno l’ispirazione iniziale, si nota che i territori esplorati sono praticamente tutti. Oggi la maggior parte dei birrifici si ispira al Belgio, che in fondo è la scelta più ovvia visto che l’uso di ingredien-

ti non canonici, l’aggiunta di spezie, frutta o altro, è abbastanza disinvolto e storico nel panorama delle birre locali e anche molto conosciuto dai birrai italiani. Si spazia però dalle Blonde Ale alle Saison, passando per Blanche e Tripel, senza scordare Dubbel e Strong Ale ma anche Blanche e poi il mondo delle fermentazioni spontanee e miste. Altri birrifici però guardano anche alla Gran Bretagna e in effetti la prima nata, quanto meno a livello commerciale, la BB10 del birrificio Barley, fu (ed è tuttora) una Imperial Stout. Ci sono birrifici, pochi per la verità, che guardano al nuovo mondo, alle birre di ispirazione nordamericana e ancora meno che guardano alla solida quanto normalmente rigida tradizione della bassa fermentazione tedesca.

La scelta dell’uva Questo, la scelta della birra base, solitamente è il secondo passaggio: il primo è la scelta dell’uva. Qui solitamente, ma non sempre a dire il vero, gioca il territorio attorno al birrificio: spesso le birre sono scelte da cantine con cui in qualche modo si collabora o che comunque il birraio frequenta e conosce molto bene. Siamo pur sempre italiani e il vino

è una costante, una certezza. Difficilmente conosciamo tutti i vitigni italiani e tanto meno tutti i vini italiani, ma quelli della nostra zona li conosciamo piuttosto bene e i birrai non fanno eccezione. A volte, è direttamente la cantina vinicola che propone a un birrificio di fare una Italian Grape Ale. Può sembrare un passaggio innocuo ma non va sottovalutato, basti pensare che la sola Sardegna ha più vitigni autoctoni dell’intera Francia!

L’utilizzo dell’uva

In ogni caso la scelta del vitigno e il come è stato scelto è solo un primo passo perché a questo punto occorre decidere come utilizzare l’uva. Anche qui, ça va sans dire, le strade si dividono in un incrocio con molte possibilità. Nicola Perra nel 2006 scelse la sapa (mosto cotto a lungo) ma c’è chi sceglie di usare diret-

BIRRA NOSTRA MAGAZINE 31 gennaio-febbraio 2023 STILI BIRRARI

tamente uva, marmellata di uva, mosto diraspato, mosto fresco, mosto fiore, mosto pastorizzato, uva pigiata, uva o mosto termizzati (trattamento termico atto a stabilizzare il prodotto), tanto per fare alcuni esempi dei più utilizzati senza entrare nel merito di ogni singolo birrificio. Qualcuno usa anche le vinacce che però sarebbero illegali in ambito birrario visto che contengono, benché in percentuali molto basse, alcol. Ciò va contro le indicazioni della legge n. 1354 del 16 agosto 1962 che norma la produzione della birra e la sua denominazione, lo si evince dall’articolo 1 in cui si legge che “La denominazione “birra” è riservata al prodotto ottenuto dalla fermentazione alcoolica con ceppi selezionati di saccharomyces [sulla Gazzetta ufficiale è riportato saccharonyces, con la N… NdA] cerevisiae dei mosti preparati con malto di orzo torrefatto e acqua, amaricati con luppolo. […]” ed è esplicitato dall’art. 4 al comma d): “È vietato nella preparazione della birra […] aggiungere alla birra o, comunque, impiegare nella sua preparazione alcool, sostanze schiumogene o sostanze amare diverse dal luppolo” e nel caso rimarcato nel comma e) in cui è fatto divieto di “impiegare ogni eventuale altra sostanza, il cui uso non sia stato specificatamente autorizzato dal Mini-

stro per la sanità, sentiti i Ministeri dell’agricoltura e delle foreste, dell’industria e del commercio e delle finanze, ciascuno per la parte di rispettiva competenza, e il Consiglio superiore di sanità”. Per lo stesso motivo è vietato miscelare birra e vino; cioè, lo si può anche fare ma non si può poi chiamare il prodotto né birra né vino, ergo non sarebbe nemmeno una Italian Grape Ale. Ma torniamo a parlare dell’uva (o delle sue varie forme) e di come il birraio può decidere di utilizzare o forse sarebbe meglio dire quando, perché anche qui i casi di analogia sono pochi. Si può aggiungere al mosto della birra durante la bollitura (solitamente verso la fine). Ha un vantaggio dato dalla temperatura che pastorizza l’uva, impendendo così un contributo nella fermentazione da parte della flora naturale (che dipende anche dai trattamenti prece-

denti, a cura della cantina) ma allo stesso tempo la temperatura tende anche ad annichilire il contributo aromatico. Discorso analogo per l’aggiunta in fase di whirlpool, dove la temperatura è comunque più bassa ma ancora sufficiente a stabilizzare.

Altri birrai scelgono il fermentatore come campo di azione ma anche qui si può intervenire in vari momenti: dall’inizio della fermentazione fino a fermentazione quasi conclusa o a inizio maturazione, ogni momento è buono. In questo caso la scelta se aggiungere un mosto o un’uva senza un precedente trattamento termico o una stabilizzazione può cambiare parecchio le carte in tavola, aprendo ulteriori sviluppi non sempre sotto il reale controllo del birraio. In ogni caso, l’uva qui offre un maggiore apporto aromatico.

La fermentazione

Parrebbe essere arrivati alla fine della questione ma manca un elemento fondamentale: la fermentazione e dunque la scelta del lievito o dei lieviti, perché alcuni birrai hanno iniziato a lavorare con dei blend di saccaromiceti differenti e, nel caso delle IGA, affrontano anche il mondo enologico utilizzando lieviti selezionati per il campo vini -

32 BIRRA NOSTRA MAGAZINE gennaio-febbraio 2023 STILI BIRRARI

colo. In effetti la questione è complicata: i lieviti da birra sono abituati a lavorare con il maltosio, con zuccheri che derivano da un mosto di cereali; se il mosto di uva viene aggiunto in concomitanza con il mosto di birra possono abituarsi al nuovo ambiente ma potrebbero comunque andare in difficoltà verso fine fermentazione. I lieviti da vino, al contrario, faticano con il maltosio ma alcuni ceppi sono in grado di esaltare le proprietà aromatiche di un determinato uvaggio. Dunque, anche qui le scelte sono molteplici e si affidano all’esperienza e allo studio del birraio oltreché alla sua sensibilità. In linea di massima trovo che l’utilizzo di due lieviti differenti (uno vinicolo e uno brassicolo) aiutino nel risultato finale ma ci sono ovviamente eccezioni che non permettono di stilare un vademecum certo e assoluto.

A queste esperienze vanno aggiunte anche quelle di chi cerca la fermentazione mista o spontanea, con apporto o meno di botti e barrique, uso di starter indigeni (pied de cuve) o attesa che l’uva faccia il suo corso e non si devono neppure trascurare le scelte in fase di confezionamento che vedono alcuni birrifici lanciarsi nel metodo classico con tanto di sboccatura.

Appare chiaro, a questo punto, che le Italian Grape Ale sono tuttora un mondo più che uno stile, un macro-contenitore di idee, di tecniche e di soluzioni per una serie di risultati nel bicchiere spesso davvero emozionanti.

La difficoltà, in molti casi, è legata alla stagionalità di queste produzioni (sono ancora pochi i birrifici che riescono a conservare uva o mosto e a produrre con continuità): una cotta all’anno limita molto la crescita tecnica, l’affinamento produttivo, spalmandolo anziché su qualche mese su svariati anni.

Il concorso internazionale legato al Progetto Grape Ale

La crescita del settore e le conferme arrivano analizzando i risultati del concorso internazionale legato al Progetto Grape Ale.

Si evince che il Centro e il Sud Italia non abbiano nulla da invidiare al Nord nell’interpretare al meglio l’uva a disposizione e, a fronte di un numero minore di birrifici, ottengono importanti riconoscimenti: nell’edizione conclusasi da poco, con Opperbacco che ha mostrato un percorso di crescita notevole arrivando a sbancare, letteralmente, la categoria 3 di cui ha monopolizzato il podio, Alveria si conferma riportando a podio la Regola Zero e imponendo la Regola Aurea nella categoria 1.

Enrico Ciani, di Birra dell’Eremo, si prende la categoria 2 ma soprattutto dimo-

RISULTATI 2021

Categoria 1 - Italian Grape Ale non acide, bassa gradazione alcolica (minore o uguale al 7%)

1° posto: Tonda di Malaspina Brewing (Lombardia)

2° posto: Gadduresa di Harvest Sardinian Craft Beer (Sardegna)

3° posto: White IGA di Fèlsina Birrificio (Toscana)

menzione d’onore: Politianus I.G.A. di Birrificio Montepulciano (Toscana) menzione d’onore: Polyphemus di Birrificio dell’Etna (Sicilia)

Categoria 2 - Italian Grape Ale non acide, alta gradazione alcolica (superiore al 7%)

1° posto: Casana 2018 di Crak (Veneto)

2° posto: Genesi di Birra dell’Eremo (Umbria)

3° posto: Vulpus Barrel di 61Cento (Marche)

RISULTATI 2022

Categoria 1 - Italian Grape Ale non acide, bassa gradazione alcolica (minore o uguale al 7%)

1° posto: Regola Aurea di Alveria (Sicilia)

2° posto: Vineyard di Birra Gaia (Lombardia)

3° posto: La Baronz 2022 di An.Gi.Bi. (Sicilia)

menzione d’onore: Inevitabile di Sei Terre / Birrificio Lyon (Veneto)

menzione d’onore: IGA di Birrificio Quattro Venti (Abruzzo)

Categoria 2 - Italian Grape Ale non acide, alta gradazione alcolica (superiore al 7%)

1° posto: Monogram di Birra dell’Eremo (Umbria)

2° posto: Selva di Birra dell’Eremo (Umbria)

3° posto: Genesi di Birra dell’Eremo (Umbria)

menzione d’onore: Naviga di Birra Le Corti di Porana (Lombardia)

stra che il lungo e complicato lavoro che ha fatto (e sta facendo) sui lieviti sta dando i suoi frutti.

Nella categoria 4 Fèlsina (o Podere La Berta che dir si voglia) vince tenendo i piedi tra Nord (Emilia Romagna) e Centro (Toscana).

Un concorso come questo permette dei confronti raramente possibili: nella maggior parte dei casi le IGA si bevono a sé, magari con altre birre, raramente con altre IGA e praticamente mai in un confronto così ampio. Le sorprese non mancano com’è giusto per una categoria di birre che sono, per loro natura, sorprendenti. ★

Categoria 3 - Italian Grape Ale acide, bassa gradazione alcolica (minore o uguale al 7%)

1° posto: Gargan-IGA di Birrificio Agricolo Sorio (Veneto)

2° posto: Nature Terra 2019 di Microbirrificio Opperbacco (Abruzzo)

3° posto: Insolita di Fabbrica della Birra Perugia (Umbria)

menzione d’onore: Old River #3 di Birrificio Castagnero (Piemonte)

Categoria 4 - Italian Grape Ale acide, alta gradazione alcolica (superiore al 7%)

1° posto: Regola Zero di Birrificio Alveria (Sicilia)

2° posto: Merlot Riserva 2017 di Crak (Veneto)

3° posto: Nature Terra 2020 Cuvée di Microbirrificio Opperbacco (Abruzzo)

menzione d’onore: Nature Viva 2020 Terraviva di Microbirrificio Opperbacco (Abruzzo)

Categoria 3 - Italian Grape Ale acide, bassa gradazione alcolica (minore o uguale al 7%)

1° posto: Nature Terra 2019 di Microbirrificio Opperbacco (Abruzzo)

2° posto: Nature Terra Cataldi Madonna 2021 di Microbirrificio Opperbacco (Abruzzo)

3° posto: Nature Terra Cuvée di Microbirrificio Opperbacco (Abruzzo)

Categoria 4 - Italian Grape Ale acide, alta gradazione alcolica (superiore al 7%)

1° posto: Tèra Sour di Podere La Berta (Emilia-Romagna)

2° posto: Selva Sour di Birra dell’Eremo (Umbria)

3° posto: Regola Zero di Alveria (Sicilia)

menzione d’onore: Nature Terra Passito 2020 di Microbirrifcio Opperbacco (Abruzzo)

BIRRA NOSTRA MAGAZINE 33 gennaio-febbraio 2023 STILI BIRRARI

HOMEBREWING ieri e oggi

La produzione casalinga di birra in Italia ha ormai raggiunto i 28 anni di piena liceità legislativa: è infatti del 1995 il “Testo unico delle disposizioni legislative concernenti le imposte sulla produzione e sui consumi e relative sanzioni penali e amministrative” che, all’articolo 34 comma 3 recita: “è esente

da accisa la birra prodotta da un privato e consumata dallo stesso produttore, dai suoi familiari e dai suoi ospiti”. In realtà, anche prima del 1995 esistevano birrificatori casalinghi che, nell’ombra, si dedicavano a questa attività, pur con grandi difficoltà per il reperimento delle materie prime. I più fortunati abitavano

in prossimità dei pochi impianti industriali di produzione birraria presenti nel nostro paese, e da un amico o parente riuscivano in qualche modo a ottenere qualche pugno di malto o una bottiglietta di slurry di lievito. Altri si rivolgevano ai rivenditori di estratto di malto per panificazione e alle erboristerie per ot-

34 BIRRA NOSTRA MAGAZINE gennaio-febbraio 2023 HOMEBREWING
di Davide Bertinotti

tenere luppoli dalle improbabili qualità amaricanti e organolettiche. Eliano Zanier (successivamente fondatore della PAB Mr Malt) rivendeva sin dal 1991 kit di importazione per “creare in casa la bionda spumeggiante”, inevitabile giro di parole per non inserire in etichetta e nei listini il termine “birra”, a quel tempo illecito.

Personalmente, nel 2023 giungo al quarto di secolo di brassazioni casalinghe e vorrei condividere alcune riflessioni sullo stato dell’hobby con i lettori di Birra Nostra Magazine. Tante cose sono cambiare rispetto al 1998, anno in cui la nascita del newsgroup it.hobby.birra creò la prima comunità virtuale di homebrewer. Erano gli albori di internet e sulle piattaforme unicamente testuali venivano scambiati consigli tecnici, ma si organizzavano anche incontri reali di assaggio delle proprie produzioni casalinghe. I primi concorsi per appassionati sarebbero partiti un paio d’anni dopo, nel 2000.

Come cominciava a brassare in quegli anni l’homebrewer principiante? Già l’essere a conoscenza della possibilità di realizzare birra autoprodotta era una conquista: i pochissimi appassionati pensavano spesso di essere gli unici tra tutti i propri conoscenti, se non nella propria città, a praticare l’hobby. Qualche negozio brico e fai-da-te iniziava a proporre i kit di estratto luppolato, posizionati (quasi nascosti) tra gli accessori di vinificazione e le attrezzature per la passata di pomodoro. La scoperta di altri homebrewer avveniva spesso grazie alle prime chat e newsgroup di internet: io stesso ero a venuto a conoscenza della birrificazione casalinga grazie a un viaggio di fine anni ’80 nel Regno Unito e alla rivelazione del reparto dedicato all’homebrewing in un supermercato, ma è solo grazie a it.hobby.birra che nel 1998 ho scoperto che anche in Italia esisteva un fornitore di attrezzature e materie prime. Altri centri di aggregazione erano i primi birrifici artigianali che non di rado erano disponibili a offrire i

FONTI E LIBRI

Agli albori della birrificazione casalinga le informazioni tecniche erano molto limitate: il passaparola era il modo più usato per avere qualche suggerimento sulle procedure e i libri sull’argomento si potevano contare sulle dita di una mano, considerando anche quelli di lingua inglese. Il primo manuale testuale è stato scritto da alcuni homebrewer e messo a disposizione su it.hobby.birra (le “megafaq”). In 25 anni è cambiato tanto su questo aspetto: molti brassatori casalinghi della prima ora (io tra questi) si sono impegnati a fare divulgazione attraverso blog e siti internet, e molte informazioni tecniche sono state messe a disposizione con questa

modalità, aiutando a incrementare il numero di appassionati. Il numero di libri sull’argomento è stato in costante crescita, giungendo oggi ad avere una disponibilità di almeno una trentina di titoli di alto livello in lingua italiana dedicati alla birrificazione casalinga, tra traduzioni di testi stranieri e volumi originali. Anche i contenuti sono progressivamente mutati, passando da manuali generalisti a specializzazioni tecniche elevate, con contenuti di potenziale interesse anche per birrai professionisti. Oggi, di fatto, l’homebrewer italiano ha facile accesso a un know-how particolarmente evoluto, oserei dire il completo e attuale stato dell’arte brassicola.

propri locali per eventi a tema: in fondo si trattava di impegnarsi per fare conoscere a tutti l’altra birra, non filtrata e non pastorizzata e quella prodotta nella propria cucina era quasi paragonabile, concettualmente, a quella brassata in un brewpub.

Attrezzature e materie prime Tanti homebrewer hanno iniziato il proprio percorso con i noti estratti luppolati, barattoli di estratto di malto che consentivano (e consentono) di limita-

re lo sforzo produttivo alle sole fasi di fermentazione e di imbottigliamento: l’attrezzatura necessaria si poteva limitare quindi a un paio di fermentatori in plastica e qualche accessorio, come tubi per travasi e tappabottiglie. Qualcuno manteneva questo approccio facilitato nel corso dell’intera carriera di homebrewer, ma la maggior parte di quelli che si appassionavano alla fine giungevano alla conclusione che era sicuramente più stimolante prendere in mano le redini di ulteriori variabili produttive

BIRRA NOSTRA MAGAZINE 35 gennaio-febbraio 2023 HOMEBREWING
Le varietà di lieviti disponibili nell’anno 2000 sul catalogo Mr Malt.

per personalizzare le proprie creazioni. Spesso, dopo un periodo di test produttivi nella modalità “estratto di malto più grani”, in cui l’equipaggiamento veniva implementato da una semplice pentola o poco più, si giungeva al procedimento completo “all grain”.

In questo caso, il fai-da-te era la modalità più utilizzata: pentole usate su fornelli di cucina o, per i più ardimentosi, su fornelloni da salsa di pomodoro, filtrazioni in secchi di plastica forati o per mezzo di maglie di acciaio (bazooka). Il pHmetro era la dotazione tecnologica più avanzata a disposizione. Nel corso degli anni la disponibilità di attrezzature è progressivamente aumentata, anche a costi maggiormente accessibili, ma ritengo che il punto di svolta per la crescita del numero di appassionati sia avvenuto a partire, approssimativamente, dal 2010 con l’apparizione dei macchinari all-in-one, dapprima abbastanza costosi ma successivamente con versioni sufficientemente economiche per attrarre chi voleva realizzare il procedimento produttivo completo con una modalità semplice e rapida. Non amo particolarmente questi impianti per ragioni squisitamente tecniche, ma ammetto che è una soluzione particolarmente comoda per chi

desidera utilizzare l’elettricità (e non il gas) e non dispone di spazi adeguati a pentole e tini di filtrazione. A parte l’aspetto produttivo, alcuni sviluppi legati al servizio della birra non erano nemmeno immaginabili pochi anni fa: oggi sono disponibili sistemi di inlattinamento in contropressione per homebrewer! Mi chiedo tuttavia se ha senso effettuare investimenti così cospicui per pochi litri prodotti in casa.

Per le materie prime, PAB Mr Malt, l’unico rivenditore italiano sino ai primi anni 2000, inizialmente offriva una discreta varietà tra malti, luppoli e lieviti ma nulla di paragonabile alle disponibilità di un odierno homebrewer: sono vertiginosamente aumentate le varietà coltivate di luppolo e disponibili ai birrificatori casalinghi; nuovi rivenditori offrono oggi cereali di ogni tipo da malterie sparse per il globo e il numero di ceppi di lievito utilizzabili è a tripla cifra. Anche lo sviluppo della logistica ha contribuito a fare arrivare all’homebrewer prodotti sempre più “freschi” e qualitativamente rilevanti.

Costi

L’incremento quantitativo della platea dei birrificatori casalinghi (diverse deci-

ne di migliaia oggi in Italia) e l’ingresso di nuovi operatori commerciali ha consentito di rendere il mercato maggiormente competitivo e di ridurre i prezzi di attrezzature e materie prime. Se consideriamo l’attuale congiuntura economica come meramente transitoria (almeno speriamo lo siano pandemia, guerre e pressioni sull’energia) è indubbio che, a parità di potere d’acquisto, costerebbe oggi meno farsi la birra in casa rispetto a 25 anni fa. La questione è forse che oggi quasi nessun homebrewer produce più birra nelle pentole con attrezzatura minimale e tutti si affidano a impianti semiautomatici con un certo investimento iniziale; probabilmente il costo/litro di autoproduzione è di fatto incrementato, anche in considerazione della enorme diffusione di approcci produttivi che includono luppolature elevatissime: forse il luppolo è diventato oggi il costo variabile maggiormente incisivo in un boccale.

Motivazioni

In quasi 30 anni di homebrewing in Italia le aspirazioni del birrificatore casalingo medio sono rimaste sostanzialmente le stesse oppure sono cambiate? È interessante soffermarsi su questo aspetto perché, secondo me, può dare qualche indicazione sul possibile futuro dell’hobby. Sino ad alcuni anni fa le motivazioni per impegnarsi nella produzione birraria domestica erano probabilmente abbastan-

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za differenziate, ma ritengo che quella più diffusa fosse quella di sopperire a un mercato commerciale relativamente limitato: le disponibilità di etichette diverse dalle classiche mass-market lager da supermercato erano minime e il consumatore che avesse desiderio di degustare stili birrari meno diffusi era quasi costretto all’autoproduzione. L’hobbista si rendeva immediatamente conto del fatto che – soprattutto per certi stili – la filtrazione, la pastorizzazione e la minor freschezza della gran parte delle birre commerciali limitava l’impatto organolettico nel bicchiere e che una birra casalinga, pur con tutte le limitazioni in know how e attrezzatura, risultasse migliore rispetto a molte bottiglie acquistate. La sperimentazione era poi un elemento fondamentale: ricreare stili non distribuiti in Italia oppure estinti se non addirittura inventare nuove ricette era un punto fermo nel bagaglio esperienziale di ogni homebrewer della prima ora. La nascita dei birrifici artigianali ha, da un certo punto di vista, smorzato queste due motivazioni: l’ampia diffusione di brewpub e tap room permette oggi all’appassionato di apprezzare birre non pastorizzate, fresche, quasi a km zero e l’autoproduzione alla ricerca della qualità del prodotto non è ormai più così strettamente necessaria.

L’approccio sperimentativo è stato progressivamente acquisito da tantis-

simi birrifici artigianali nati negli anni e, anzi, il “famolo strano” è stato elemento distintivo di molti marchi birrari artigianali, al punto che si può affermare che “è stato provato quasi tutto” nell’approccio inusuale alla birra: con oltre 1600 birrifici in Italia (tra quelli con impianto proprio e beer firm), la ricetta birraria “strana” è sempre stata elemento di marketing cavalcato in funzione di un aumento di visibilità nel mercato, pur se, purtroppo e non di rado, con risultati qualitativi poco apprezzabili.

Guardando alle singole esperienze dei birrifici artigianali in Italia, soprattutto negli anni dell’esplosione dell’incremento numerico del settore (2006-2016), è evidente come l’homebrewing abbia rappresentato un motore di crescita fondamentale: tanti birrificatori casalinghi, ispirati dai primissimi birrifici e brewpub, hanno fatto di quest’hobby una vera e propria palestra e trampolino di lancio professionale per l’apertura di un proprio birrificio. Il passaggio dalle pentole agli impianti, in un paese come il nostro, senza scuole birrarie storiche e centri di formazione universitari, era probabilmente l’unica soluzione attuabile negli anni sopra citati. Ovviamente ci sono state eccezioni: alcuni aspiranti birrai italiani sono andati all’estero (Germania e Regno Unito principalmente) per conseguire

diplomi nei noti centri di formazione birraria, ma hanno rappresentato una minoranza nell’esperienza formativa del nostro paese.

Probabilmente oggi, in un mercato birrario divenuto altamente competitivo, questo approccio non è più vincente: per emergere sono necessari investimenti molto rilevanti ed economie di scala sufficienti a generare un giro di affari adeguato e la gestione degli impianti, della cantina e di altri aspetti tecnici e commerciali diventano elementi parimenti fondamentali rispetto alle conoscenze di materie prime e processo che l’esperienza di homebrewing può fornire a un birraio. Chi aspira alla professione dovrebbe, a mio parere, perseguire una seria e completa formazione accademica: non è più tempo per autodidatti.

Quindi, in considerazione di quanto sopra, ha ancora senso l’homebrewing oggi? Certamente sì: per personalizzazione di approccio, per soddisfazione personale, come occupazione solitaria o di gruppo continua a essere una delle migliori attività casalinghe. Ma immaginandolo esattamente come attività di hobby, inteso letteralmente citando il dizionario Treccani: “occupazione, diversa da quella a cui si è tenuti professionalmente, alla quale ci si dedica nelle ore libere, per svago ma con impegno e passione”. ★

BIRRA NOSTRA MAGAZINE 37 gennaio-febbraio 2023 HOMEBREWING

IDROMELE: studio di lieviti autoctoni

Tra le bevande alcoliche, l’idromele è un prodotto molto antico e popolare nell’Europa orientale (Polonia, Slovenia e Paesi Baltici). Oggi è diffuso tra le popolazioni del vecchio continente e comunemente consumato in Inghilterra e Germania ma anche in alcuni paesi africani, tra cui Etiopia e Sudafrica. Nonostante la sua popolarità in questi Paesi, l’idromele è quasi sconosciuto in altri, come l’Italia, dove la sua

diffusione commerciale è molto limitata rispetto ad altre bevande alcoliche comunemente consumate, come vino e birra. Per quanto riguarda gli aspetti produttivi, l’idromele si ottiene attraverso la fermentazione alcolica (FA) del miele, unito ad acqua in rapporto variabile. La qualità dell’idromele è influenzata da diversi fattori che dipendono dalle condizioni di produzione del miele, dalla varietà botanica di provenienza e soprattutto dal processo di fermentazione. A tal proposito, uno dei problemi principali della qualità è rappresentato dalla produzione di off-flavours da parte dei lieviti. Recentemente, molti studi si sono concentrati sul miglioramento della produzione di idromele: i parametri più importanti da monitorare durante la produzione di idromele sono il pH, la concentrazione di etanolo, l’acidità volatile, l’acidità titolabile, il contenuto di zucchero e il contenuto di acidi organici. La presenza di lieviti è fondamentale per ottenere prodotti di alta qualità; oltre alle prestazioni fermentative ottimali necessarie per metabolizzare gli zuccheri e generare alcol, i lieviti sono importanti per produrre i composti aromatici desiderati. Tuttavia, anche la varietà di miele può influenzare significativamente il sapore dell’idromele finale, facendo quindi acquisire un grande potenziale commerciale a questa antica bevanda. I problemi legati all’efficienza fermentativa del lievito sono generalmente dovuti a carenze nutrizionali che causano stress e possono essere facilmente contrastati con l’aggiunta di nutrienti a base

di azoto, minerali e vitamine. In generale, i lieviti utilizzati come starter per la produzione di idromele appartengono alla specie Saccharomyces cerevisiae, ma l’uso di ceppi non-Saccharomyces per migliorare il profilo aromatico dell’idromele merita attenzione. Tra i lieviti non-Saccharomyces, Torulaspora delbrueckii e Lachancea thermotolerans hanno mostrato risultati interessanti. T. delbrueckii produce una bassa concentrazione di etanolo lasciando un elevato contenuto di zuccheri residui, conservando l’aroma primario del miele. Gli idromeli ottenuti dalla fermentazione con L. thermotolerans hanno mostrato un elevato contenuto di acetato di etile e acido n-decanoico.

In generale, l’idromele è la bevanda alcolica che più risente dei progressi della ricerca e che necessita ancora dell’ottimizzazione del processo produttivo e della selezione di microrganismi adatti a condurre il processo fermentativo. Nel tentativo di fornire indicazioni utili per guidare le fasi di fermentazione, lo scopo del lavoro svolto presso l’Università di Palermo (dip. SAAF) è stato quello di valutare l’effetto di ceppi di lieviti isolati da matrici legate al settore del miele per la produzione di idromele siciliano non pastorizzato. In particolare, nel presente caso-studio sono stati impiegati ceppi di S. cerevisiae e Hanseniaspora uvarum isolati da sottoprodotti del miele, in sostituzione agli starter provenienti dal mondo enologico e brassicolo che comunemente vengono utilizzati per la produzione di questa

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Michele Matraxia

bevanda. I ceppi selezionati sono stati inoculati in maniera sequenziale. Durante la FA sono stati valutati l’evoluzione microbica e i parametri chimici, mentre sui prodotti finali sono stati analizzati la qualità sensoriale e i profili dei composti organici volatili.

Il piano sperimentale

Il disegno sperimentale per la produzione di idromele è illustrato nella Figura 1 ed è stato realizzato prezzo l’azienda “Nettare di Sicilia S.a.s. - Cirrito” (Caltavuturo, PA).

In breve, sono stati preparati cinque lotti da 8 litri di mosto di miele, con una densità iniziale 18 °KMW (gradi Babo) e un pH di 4,41, utilizzando miele millefiori aziendale e acqua in bottiglia. Seguendo la pratica comune di integrazione di fonti azotate durante la produzione di idromele, sono stati aggiunti 20 g/hL di nutriente organico a base di autolisato di lievito e 20 g/hL di nutriente minerale a base di fosfato di ammonio e tiamina, rispettivamente all’inizio e a metà della FA.

Le tre prove sperimentali (TH, THS e TS) sono state inoculate come segue: TH, inoculato con monocultura di ceppo H. uvarum YGA36; THS, inoculato sequenzialmente prima con ceppo YGA36 e poi, dopo 48 ore, con ceppo S. cerevisiae SPF21; TS, inoculato con monocultura di ceppo SPF21. La prova di controllo C1 è stata inoculata con una monocoltura del ceppo S. cerevisiae EC1118. L’ultimo lotto, non inoculato con alcun lievito, ha rappresentato la prova di controllo (C2) per la fermentazione spontanea. Prima dell’inoculo del lievito, è stato aggiunto metabisolfito di potassio (50 mg/L) a tutte le prove, tranne C2, per prevenire la crescita delle principali specie batteriche alterative. La FA è stata condotta a 20 °C. I ceppi di lievito S. cerevisiae SPF21 e H. uvarum YGA36, entrambi isolati da sottoprodotti del miele, appartengono alla collezione di lieviti del Dipartimento di Scienze Agroalimentari e Forestali (SAAF; Università di Palermo). S. cerevi-

siae EC1118 è un ceppo commerciale di derivazione enologica, comunemente impiegato nella produzione di idromele artigianale. I lieviti sono stati inoculati a una densità cellulare finale di 2,0 × 106 cellule/mL. Tutte le prove sperimentali di fermentazione sono state eseguite in triplo.

I livelli di lieviti totali sono stati valutati su substrato selettivo/differenziale WL Nutrient Agar, che permette di discriminare immediatamente la morfologia delle colonie di lieviti Saccharomyces (colore bianco) e non-Saccharomyces (colore verde per il genere Hanseniaspora) (Figura 2).

La determinazione del grado zuccherino Babo (°KMW) è stata eseguita mediante un densimetro con scala Babo. Le concentrazioni di glucosio, fruttosio, etanolo, azoto ammoniacale e alfa-amino azoto (TN), glicerolo e acido acetico sono state determinate per via enzimatica, attraverso l’analizzatore iCubio iMagic M9.

I prodotti finiti, dopo essere stati sottoposti a chiarifica statica e imbottigliamento sono stati analizzati dal punto di vista dei composti organici volatili (COV) e sensoriale.

Come riportato nelle schede di valutazione impiegate da diversi autori, i de-

scrittori sensoriali utilizzati per valutare l’ idromele sono stati suddivisi in tre categorie: aspetto (colore), aroma (intensità, persistenza, fruttato, floreale, miele, speziato, acetico rancido, ossidato, vinoso e gradimento complessivo aromatico) e gusto (intensità, persistenza, dolce, acido, rancido, acetico, ossidato, vinoso e gradimento complessivo gustativo). L’intensità del colore è stata valutata visivamente su una scala dal “giallo paglierino” al “giallo ambrato”. È stato incluso anche il descrittore

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Figura 1. Piano sperimentale della produzione di idromele. Figura 2. Capsula Petri con colonie di S. cerevisiae (bianche) e H. uvarum (verdi).

“qualità complessiva”, una valutazione generale basata sui punteggi di tutti gli attributi.

Risultati e discussioni

Conte microbiche

L’evoluzione delle popolazioni di lievito durante la FA dell’idromele per le diverse prove è riportata nella Figura 3.

La dinamica di crescita dei lieviti ha confermato il classico andamento fatto registrare in altri studi durante la fermentazione di mosti a base di miele.

L’aggiunta del ceppo SPF21 di S. cerevisiae ha provocato un’improvvisa diminuzione della popolazione di Hanseniaspora spp. nella tesi THS. La riduzione della popolazione di Hanseniaspora spp. è dovuta alla natura dell’interazione con S. cerevisiae, principalmente a causa della competizione per i nutrienti, ma anche a causa di metaboliti prodotti da S. cerevisiae che ostacolano la normale crescita di H. uvarum

Parametri fisico-chimici

Le analisi delle caratteristiche fisico-chimiche hanno evidenziato diverse differenze in termini di consumo di zuccheri e azoto e di produzione di glicerolo ed etanolo (Tabella 1). Le prove TH e C2 sono state le uniche che hanno fatto registrare un’elevata concentrazione di zuccheri residui (rispettivamente di 72,62 e 77,80 g/L), mentre nelle altre prove tale valore è risultato inferiore a 5 g/L.

La concentrazione finale di etanolo più alta è stata osservata nella prova TS con il 12,37% (v/v), seguita dalle prove THS e C1, entrambe con il 12,29% (v/v). Questi valori di etanolo registrati alla fine della FA sono superiori a quelli registrati in altri lavori sulla fermentazione dell’idromele, segno che l’impiego di ceppi provenienti da matrici affini a quella in cui vengono inoculati può influire positivamente sui parametri di efficienza fermentativa.

Altre differenze sono state registrate in termini di fabbisogno di azoto, caratteri-

stica che dipende anch’essa dall’attività metabolica di ciascun ceppo di lievito. La concentrazione finale di azoto della prova THS è stata particolarmente elevata rispetto a quelle riscontrate nelle altre prove, segno che le necessita in azoto per i ceppi SPF21 e YGA36 risulta molto inferiore rispetto ai classici ceppi impiegati di derivazione enologica. I valori di acido acetico sono risultati variabili tra le diverse prove. La concentrazione più bassa è stata registrata nelle prove C1 (0,29 g/L), TS (0,31 g/L) e THS (0,39 g/L), mentre il valore più alto è stato registrato nella prova C2 (0,71 g/L). Il contenuto di acido acetico delle prove C1, TS e THS era inferiore a quello rilevato da altri autori, nonché al di sotto della soglia di percezione sensoriale di 0,7 g/L di acido acetico.

Il contenuto di glicerolo ha mostrato il valore più alto nella prova THS (7,25 g/L) e il più basso nella prova C1 (4,31 g/L). Anche se i valori di glicerolo erano inferiori a quelli comunemente registrati nei vini, le loro concentrazioni alla fine della FA erano paragonabili a quelle trovate da diversi autori nell’idromele.

Composti organici volatili

Dalle analisi condotte sugli idromeli imbottigliati, sono stati rilevati quarantadue composti con attività aromatica, raggruppati in sei diverse classi chimiche: alcoli, composti carbonilici, acidi carbossilici, esteri, idrocarburi aromatici e idrocarburi monoterpenici. La rappresentazione grafica dell’analisi dei COV è riportata nella Figura 4. Il grafico della heat-map ha mostrato che

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Figura 3. Evoluzione delle popolazioni di lieviti nelle diverse tesi. Tabella 1. Risultati dei principali parametri fisico-chimici analizzati.

i ceppi di lievito hanno influenzato significativamente i COV dell’idromele, evidenziando 11 composti che hanno mostrato una maggiore variabilità. Gli esteri e gli alcoli sono state le classi di COV dell’idromele più abbondanti. La prova C1 ha mostrato la maggiore quantità di esteri totali identificati (41,16 ppm), seguita da TS (39,30 ppm), THS (30,17 ppm) e TH (26,68 ppm). Concentrandosi in modo approfondito sugli esteri etilici generati, è emerso che l’estere etilico più abbondante è l’acetato di etile (o etil acetato). I livelli di tale composto erano estremamente bassi in C1 (2,5%) e TS (2,95%) e variavano notevolmente tra TH (27,25%) e THS (11,90%). Come riportato da altri studi, il contenuto di acetato di etile è strettamente correlato alla produzione di acido acetico durante la FA. Nel nostro studio, le differenze in termini di acido acetico e acetato di etile potrebbero essere spiegate dall’uso di ceppi non-Saccharomyces; infatti, un effetto simile è stato registrato in un altro studio condotto sull’impiego di H. uvarum nella birra, già approfondito in uno scorso numero di BNM, dove questo ceppo ha incrementato sia il livello di acetato di etile sia di acido acetico. Gli esteri etilici più abbondanti presenti negli idromele finali sono stati l’ottanoato di etile (o caprilato di etile), particolarmente presente quando sono stati aggiunti ceppi di Saccharomyces (20,30 ppm in TS e 16,61 in C1), il decanoato di etile (caprato di etile) e il dodecanoato di etile, composti associati all’aroma fruttato e floreale. Gli ultimi due composti sono stati rilevati soprattutto nei campioni fermentati con ceppi non-Saccharomyces. L’esanoato di etile, responsabile dell’aroma di ananas, è stato trovato solo negli idromi delle prove C1 e THS (rispettivamente 4,15 e 2,86 ppm).

L’alcol più abbondante in tutti i campioni è stato il 3-metil-1-butanolo (alcol isoamilico), generalmente presente negli idromeli.

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Figura 4. Heat-map dei composti organici volatili più caratterizzanti. Figura 5. Spider-plot dei principali descrittori sensoriali.

Analisi sensoriale

I risultati dell’analisi sensoriale (Figura 5) hanno mostrato differenze rilevanti in relazione ai ceppi starter Saccharomyces e non-Saccharomyces impiegati. Una delle principali differenze era rappresentata dall’aspetto, valutato in termini di tonalità sul colore giallo, che è correlato al contenuto di fenoli, flavonoidi e minerali, nonché ai prodotti delle reazioni di ossidazione o condensazione o al loro assorbimento da parte dei lieviti fermentativi. Le prove TS e TH hanno mostrato un colore giallo paglierino chiaro, mentre il THS ha dato origine a un idromele di colore più giallo-oro, confermando che i ceppi starter influenzano il colore del prodotto finale.

L’analisi sensoriale quantitativa ha rivelato un’elevata eterogeneità tra le prove. Per ogni prova, due attributi legati all’aroma hanno mostrato i punteggi più alti: floreale e miele per TH; persistenza e gradimento generale per THS; fruttato e vinoso per TS; intensità e speziato per C1. I punteggi più alti per gli attributi negativi (rancido, acetico e ossidato) sono stati registrati nella prova a fermentazione spontanea (C2).

In termini di gusto, la tesi TH è stata caratterizzata dalla maggiore dolcezza, dal momento che la FA non è stata completata, TS dalla maggiore intensità gustativa, C1 dall’elevata persistenza e acidità, THS dal maggiore gradimento complessiva. Per quanto riguarda la qualità complessiva, l’idromele TS è risultato il prodotto migliore, seguito dagli idromeli THS e C1.

Il grafico riportato in Figura 6, ottenuto tramite un approccio di clustering gerarchico dei dati, ha classificato le prove in base alla loro reciproca dissimilarità statistica. Questa analisi ha classificato gli idromeli utilizzando le 22 variabili dell’analisi sensoriale quantitativa. Tutte le tesi sperimentali sono state chiaramente separate in tre cluster, considerando una dissimilarità

del 20,58%. È interessante notare che tutte le prove fermentate con l’impiego di un ceppo di S. cerevisiae (TS, THS e C1) sono state raggruppate nello stesso cluster.

Conclusioni

Nonostante l’impiego comune nell’idromele di ceppi di lievito di origine enologica e brassicola, in questo lavoro, per la prima volta, sono stati testati in combinazione due diversi ceppi di lievito appartenenti a generi diversi, isolati da matrici legate al miele, per valutare il loro effetto sulle proprietà fisico-chimiche di questa bevanda. I diversi inoculi hanno mostrato un miglioramento complessivo della qualità organolettica rispetto alla produzione effettuata con il solo ceppo commerciale S. cerevisiae EC1118. Nelle prove sperimentali condotte con i ceppi autoctoni (H. uvarum co-inoculato con S.

cerevisiae) è stata osservata l’assenza di off-odors e off-flavours e una migliore percezione aromatica. Oltre alla maggiore produzione di alcol, i ceppi di S. cerevisiae hanno determinato un’elevata concentrazione di esteri etilici e una bassa produzione di esteri acetati. Gli esteri etilici più abbondanti presenti in queste prove erano esteri di acidi grassi associati a un aroma fruttato e floreale. In definitiva quindi, l’applicazione di ceppi di Saccharomyces e non-Saccharomyces provenienti da sottoprodotti del miele si è dimostrata la soluzione naturale per produrre idromele di alta qualità. ★

A cura di Michele Matraxia, Antonino Pirrone, Rosario Prestianni, Vincenzo Naselli, Giuliana Cinquemani, Antonio Alfonzo, Giancarlo Moschetti, Nicola Francesca

Nicola.francesca@unipa.it

BIRRA NOSTRA MAGAZINE 43 gennaio-febbraio 2023 RICERCA
Dip. SAAF Università degli Studi di Palermo Figura 6. Raggruppamento statistico delle tesi sulla base dei risultati ottenuti.

LO STILE È FATTO anche di schiuma

Frequentando il mondo brassicolo o semplicemente volendo bere qualche birra, sarà capitato a chiunque, almeno una volta nella vita, di restare perplessi davanti alla quantità di schiuma con cui una birra viene servita. Quello su cui spesso ci si focalizza, infatti, senza saperne esattamente il perché, è il livello della schiuma nel bicchiere.

Precisiamo innanzitutto che la schiuma deve esserci, in modo e livelli diversi per ogni stile, ma talvolta si crede erroneamente che un alto livello di schiuma coincida con l’aver avuto una birra spillata male o, ancora peggio, di averne nel bicchiere meno di quella pagata. Osservazioni spesso non corrette, perché l’analisi della schiuma è un elemento sostanziale come prima valutazione visiva ma è importante saperlo comunicare al consumatore, così da fargli apprezzare al meglio quello che sta bevendo.

La spillatura è il momento fondamentale di passaggio per mantenere la coerenza tra l’impegno e l’attenzione messi in fase di ricettazione e produzione e le fasi

“M

a la prima sorsata! Comincia ben prima di averla inghiottita. Già sulle labbra un oro spumeggiante, frescura amplificata dalla schiuma, poi lentamente sul palato beatitudine velata di amarezza. Come sembra lunga, la prima sorsata. La beviamo subito, con un’avidità falsamente istintiva.”

La

diPhilippeDelerm

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prima sorsata di birra e altri piccoli piaceri della vita
di Eleni Pisano

della mescita e della degustazione. Sbagliare questo passaggio o non dargli la giusta importanza rischia di rendere un prodotto potenzialmente interessante e di qualità un elemento di basso livello. Da come viene spiegata e presentata la schiuma è possibile comprendere anche l’attenzione e la bravura del publican e l’interesse del locale all’accoglienza e alla presentazione e degustazione di buoni prodotti e buon servizio.

La schiuma è un elemento importantissimo ed essenziale per poter esaltare al meglio una birra e valorizzarla nella sua composizione organolettica. Serve a mantenere l’aroma, la temperatura e a

I CINQUE SENSI DELLA SCHIUMA

Per una buona analisi della schiuma si devono considerare ogni volta almeno cinque elementi fondamentali.

1. Finezza: dimensione e uniformità delle bollicine.

2. Aderenza: si valuta attraverso l’aderenza alle pareti del bicchiere e la formazione di cerchi che vengono lasciati durante la degustazione sulla sua superficie interna. Più ce ne sono e maggiore è il livello di aderenza.

3. Compattezza: tanto maggiore quanto più la schiuma forma un corpo uniforme che non si disgrega con le oscillazioni e non tende a uscire dal bicchiere. Questo dipende dalla quantità di luppolo e di proteine del malto presenti nella birra.

4. Cremosità: il risultato del livello di finezza e compattezza. La schiuma cremosa delle stout è in assoluto tra le più persistenti.

5. Persistenza: il tempo di durata della schiuma nel bicchiere. Questo valore, misurabile con metodi scientifici, indica la capacità della schiuma di restare compatta e apprezzabile per un tempo prolungato. Il sistema di misurazione della persistenza più noto è il Nibem, dal nome del suo inventore, grazie al quale, attraverso un apposito sensore, è possibile misurare la stabilità della schiuma in minuti secondi, dando informazioni immediate e di dettaglio sulla schiuma.

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consentire una bevuta che accompagni la degustazione. Infine ricordiamo che il tipo di schiuma varia in relazione allo stile di birra e alla ricetta utilizzata.

Come si forma la schiuma?

La birra è un’alchimia creata da una soluzione complessa composta principalmente da molecole idrofile e molecole idrofobiche ma anche di glicoproteine che sono le responsabili della formazione della schiuma. Queste molecole sono infatti composte da una parte detta “testa” idrofilica e da una parte terminale detta “coda” idrofobica. Quando queste molecole si trovano sulla superficie della birra si distribuiscono a forma di cerchi con le teste rivolte verso l’interno e le code all’esterno da cui si crea una bolla di CO2. Per favorire la schiuma sarebbe meglio utilizzare ingredienti ricchi di proteine e glicoproteine; tra i più utilizzati nella produzione di birra possiamo citare i fiocchi di frumento, d’orzo, il malto wheat e il semplice malto d’orzo.

Gli alfa acidi, insieme agli ioni metallici, favoriscono la stabilità della schiuma. Tra questi i più noti sono quelli contenuti nei luppoli. Un altro fenomeno, utile all’analisi visiva, e che determina una buona presenza di alfa acidi sono i cerchi di schiuma

che restano sul bicchiere, chiamati anche merletti di Bruxelles, che denotano una buona qualità della birra e un buon servizio. Nel caso in cui non si vedano in assoluto i merletti di Bruxelles la causa potrebbe, ad esempio, essere che il bicchiere non è stato ben lavato prima della spillatura, ecco perché è sempre importante fare due passaggi: uno nella lavabicchieri e un secondo che prevede di sciacquare il bicchiere prima di riempirlo e servirlo; un’altra causa della mancata presenza dei merletti potrebbe essere che la

TECNICA
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Qualità

la progettiamo, la costruiamo, la imbottigliamo

E la coltiviamo dal 1946, con la stessa passione e l’instancabile spirito d’innovazione con cui costruiamo ogni singolo pezzo. È la stessa qualità che inizia nella scelta delle materie prime e viene mantenuta fino al riempimento delle lattine e delle bottiglie. Perché Gai nasce a fianco dei più importanti e ambiziosi birrifici artigianali, garantendo un supporto costante grazie agli oltre 100 rivenditori e centri assistenza nel mondo. Da oltre 75 anni condividiamo con voi la ricerca della qualità.

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birra ha avuto qualche problema di tenuta o conservazione, già nel fusto.

Dimmi di che schiuma sei…

Le ale inglesi hanno una minima quantità, caratterizzata da un decadimento abbastanza veloce.

Le stout irlandesi formano un cappello di circa un centimetro e mezzo che ha una persistenza tra le più lunghe del panorama birrario.

Le birre belghe “monastiche”, come tutte le birre rifermentate, con un’alta concentrazione di CO2, creano una schiuma persistente e spessa almeno un paio di centimetri.

Le lager tedesche hanno schiume alte, abbondanti e che si mantengono nel tempo.

Il ruolo chiave della spillatura

La spillatura è importante per ottenere, nel bicchiere, una birra valorizzata al meglio. La spillatura dalla bottiglie dovrebbe, in generale, seguire le stesse regole e distinzioni della spillatura al rubinetto. Prima dell’avvento della spillatrice, nell’epoca vittoriana (1837- 1901),

la birra, come il sidro e altre bevande fermentate, veniva spillata direttamente dalla botte applicando un rubinetto che sfruttava la forza a caduta. Questo metodo però aveva il grosso problema di servire birre spesso troppo calde e al limite del giusto bilanciamento; per questo poco dopo si cominciarono a posizionare le botti di birra in luoghi

freschi, dotate di una semplice pompa a pistone cilindrico. Per migliorare la qualità venne successivamente introdotta nel barile una coltre di gas CO2 per isolare la birra dall’aria e prevenirne l’ossidazione. Oggi, grazie ai moderni metodi di conservazione e spillatura, è possibile mantenere costante la temperatura e la qualità della birra. ★

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Viaggio birrario narrato tra luoghi, birre e fantasia TERZA TAPPA: NAPOLI

Nelle puntate precedenti:

Metà giugno. Fabio e Roberto sono amici d’infanzia. Durante un corso di degustazione di birre che Fabio tiene a Milano al quale partecipa Roberto, conosce Elisa, la ragazza di quest’ultimo. Elisa, insieme all’amica Claudia, è intenzionata ad aprire un locale a forte connotazione birraria.

Il padre di Elisa avrebbe altri piani per lei ma la ragazza, all’attività di famiglia, preferisce cambiare vita e alimentare la sua passione per la birra artigianale. Un cambio radicale che

Spaccanapoli

Giugno ci straripa addosso con Spaccanapoli che si lascia ammaliare dai colori del primo pomeriggio. Il brulichio di persone è costante e reso lento dal caldo che inizia a penetrare i vicoli, brulichio al quale io e Roberto ci uniamo in processione con la speranza di viverci Napoli scrostando dal nostro viaggio ogni stato d’ansia e di fretta. Di Spaccanapoli abbiamo modo di ammirare i luoghi di culto della cristianità napoletana come la Chiesa del Gesù Nuovo, chiamata anche della trinità Maggiore e, proprio di fronte, la Basilica di Santa Chiara. Di quest’ultima ci colpiscono la maestosa

travolge anche il rapporto con Roberto. Le due ragazze intraprendono un lungo viaggio alla scoperta dei luoghi birrari partendo dalla Puglia. Seguite a distanza da Roberto e Fabio, che decide di far da guida all’amico. Ad accompagnare telefonicamente l’avventura di Roberto, c’è Simona, figura che a distanza darà delle dritte sugli spostamenti dei due. Dopo aver seguito le due ragazze tra le realtà birrarie di Taranto e Lecce, la carovana fa ingresso a Napoli.

facciata e il gigantesco rosone centrale. All’interno fanno da corredo alla spiritualità del luogo i danneggiamenti subiti dalla Basilica durante i bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale.

Dopo un immancabile spuntino a base di pizza a libretto (conosciuta anche comunemente come pizza a portafoglio) il nostro giro nell’arteria che divide la città da nord a sud si chiude di fronte alla Basilica di San Domenico Maggiore. Roberto appare molto rilassato.

Probabilmente ha abbandonato, sfinito, l’idea di dover a tutti i costi ricercare il volto di Elisa in una città così enorme come Napoli. Di contro, io ho già una

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Francesco Donato
Spaccanapoli.

sorta di itinerario birrario da seguire, ma il poco tempo a disposizione mi mette in seria crisi nei confronti della scelta dei luoghi turistici da visitare in una città con così tanta scelta.

Piazza del Plebiscito

Ho sentito Simona mentre con Roberto ci dirigevamo verso Piazza del Plebiscito. Abbiamo parlato poco, la presenza di Roberto al mio fianco ha condizionato la mia voce e il contenuto della telefonata. Abbiamo chiacchierato riguardo i locali birrari da visitare e l’ordine degli spostamenti che avevo in mente, chiedendo anche consigli sull’itinerario ideale in termini di praticità. Roberto, per la prima volta forse da quando ci siamo in cammino in questo viaggio, ha chiesto qualcosa riguardo Simona, probabilmente incuriosito dalle continue chiamate e dal suo momentaneo distacco dal pensiero di poter incontrare Elisa ovunque. Rispondo in modo fuggevole, preferendo tenere al momento lontano Roberto dalla mia vita privata. Arriviamo a Piazza Plebiscito con il tramonto in dirittura d’arrivo. I 25.000 metri quadri che la rendono una delle piazze più grandi d’Italia si distendono come un tappeto davanti ai nostri occhi. Con Roberto scattiamo un paio di foto e consumiamo un cuoppo fritto, aperitivo perfetto per anticipare la nostra prima tappa birraria.

Il cuoppo fritto (o cuppetiello) non è altro che un piccolo assemblaggio di fritture tipiche del cibo di strada partenopeo: crocchè di patate, pizzelle fritte, fiori di zucca pastellati e fritti, palle di riso e l’immancabile frittata di maccheroni. Nonostante sia tutto fritto, restiamo piacevolmente sorpresi dalla quasi nulla presenza di olio nei singoli pezzi, caratteristica che riscontriamo anche in un altro cuoppo che prendiamo poco distante, stavolta con aggiunta di scagliuozz, quadratini di polenta fritti.

La sete che avanza senza fare prigionieri reclama un anticipo sulla nostra tabella di marcia, quindi ci dirigiamo verso la

funicolare che in poco meno di un quarto d’ora ci porterà al Vomero.

Il pub Mosto al Vomero

Il Vomero rappresenta il quartiere collinare più famoso della città partenopea, certamente una delle zone più eleganti e residenziali di Napoli. Ad accoglierci le ultime fasce luminose di un ammaliante e mozzafiato tramonto panoramico sul mare. Per la nostra prima birra all’ombra del Vesuvio siamo al Mosto.

Il Mosto rappresenta uno dei locali di riferimento della scena birraria napoletana. Molto dinamico nel ruotare l’offerta birraria, si contraddistingue per l’ottimo marketing sfoggiato sia online sui relativi social sia attraverso la brandizzazione di svariati articoli di vestiario e quant’altro. All’ingresso l’atmosfera è gioiosa e accomodante, siamo accolti con un sorriso dai ragazzi in maglia nera con le tre bande verticali gialle a simboleggiare la lettera M, icona visiva che rappresenta da sempre il locale. A dettar legge è il bancone che si sviluppa abbracciando quasi completamente la zona d’ingresso.

Nonostante le piccole dimensioni riusciamo a trovare posto proprio lungo il

bancone bramando subito la prima birra di questa nuova esperienza. Optiamo per la chiara di casa, simpaticamente chiamata Kiara-tskelia in onore dell’attaccante del Napoli. La ristrettezza degli spazi ci fa subito notare la non presenza delle due ragazze all’interno, ma l’occhio di Roberto tra un sorso e l’altro resta sempre concentrato verso l’entrata. Sono circa le ventuno, rassicuro Roberto sulla possibilità che Elisa e Claudia a quell’ora si stiano godendo un’ottima pizza chissà dove, e lo invito a bere rilassato. L’orario di prima serata mi fornisce anche un ottimo assist per scambiare

BIRRA NOSTRA MAGAZINE 51 gennaio-febbraio 2023 TURISMO BIRRARIO
Piazza del Gesù nuovo.

due chiacchiere con Fabrizio Ferretti, il publican e anima del locale. Mentre ordiniamo la seconda birra, la Tripel di casa chiamata semplicemente Mosto Tripel, mi spiega che lui insieme alla compagna Noemi Criscuolo sono partiti con il progetto Mosto nel 2015, in

un locale sempre di una manciata di metri quadri (28 per la precisione) in zona Chiaia, un’area centralissima con boutique trendy che di giorno è dedicata per lo più allo shopping mentre di sera si trasforma in zona di movida da bar. Scopriamo, sempre dalle parole di Fabrizio, che esiste anche un altro Mosto situato nel Centro Storico.

Ordiniamo due ottimi hamburger (nel locale di Chiaia i ragazzi del Mosto partirono senza cucina per poi aprire al food nei due locali successivi) e restiamo affascinati dall’ottima selezione di liquori e distillati. Roberto si dirige in bagno e io approfitto per prendere in mano il cellulare e controllare se ci sono novità. Dopo le ultime domande di oggi da parte di Roberto sul mio rapporto con Simona meglio tenere la situazione sotto controllo. È proprio un messaggio di Simona che fa capolino alla lista dei messaggi WhatsApp. “Corri al Frank Malone. Elisa è lì”.

Incontro ravvicinato al Frank Malone

Ricordavo dagli appunti birrari che avevo preso prima del viaggio che il Frank Malone si trovasse proprio lì in zona Vomero, ma controllo ugualmente su Goo-

gle Maps che conferma quanto avevo in memoria.

Aspetto dunque il ritorno di Roberto dal bagno e senza fargli particolare fretta lo invito a finire la sua birra in modo tale da fare un giro da un’altra parte. Mi guarda un po’ confuso come se fosse quasi contrariato dal lasciare il locale proprio nel momento in cui l’affluenza soprattutto femminile stava aumentando considerevolmente. In pochi minuti siamo già in strada, la distanza che ci separa dalla nostra prossima birra è di appena un quarto d’ora a piedi e ne approfittiamo per fumare una sigaretta. Il locale si espande già all’esterno sul largo marciapiede frontale con un gran numero di tavolini, condizione che ci permette già da lontano, senza mettere piede all’interno, di notare la presenza delle due ragazze. È Roberto ad anticipare la mia vista con un secco “eccole”. Ci fermiamo dietro uno degli alberi che fiancheggiano la strada e il marciapiede e chiedo a Roberto riguardo le sue intenzioni. Resta in silenzio, mentre lo osservo. “Entriamo senza far finta di nulla?” domando. “Preferisci se andiamo a bere da un’altra parte?” rilancio. Temevo una situazione del genere. “No, voglio andarci a parlare. Tu resta qui se vuoi”. Lo invito ad aspettare e riflettere. “Cosa le diresti scusa? Lei sta bevendo la sua birra e sicuramente non si aspetta nemmeno di vederti. Non sarebbe meglio fare gli indifferenti, entrare al locale e aspettare che siano loro, eventualmente, a notarci?”. Mi guarda tra perplessità e convinzione. “Ok facciamo come dici tu.”

Ci avviamo verso l’entrata facendo finta di smanettare sui rispettivi cellulari. Con la coda degli occhi osservo da una parte Roberto, che pare ripeta le mie stesse operazioni con gli occhi, dall’altra cerco di evitare la gente che mi arriva davanti. Siamo a pochi passi dall’entrata, adesso. La porta d’ingresso si apre verso l’interno e in questo momento è tenuta aperta da un ragazzo che aspetta che esca qualcuno dal locale. Possiamo sgattaiolare dentro molto velocemente. Roberto

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L’ingresso del pub Mosto. Il pub Frank Malone, al Vomero.

con un guizzo degno dei migliori attaccanti si stacca e si dirige deciso verso il tavolo delle ragazze. D’istinto allungo la mano per afferrarlo ma non faccio più in tempo, anche perché mi si para davanti una coppia sorridente e mezza brilla intenzionata a entrare dentro. Il mio sguardo punta subito le ragazze. Sono fisse a guardare nella nostra direzione, ma qualcuno sta trattenendo Roberto. Mi avvicino preoccupato, Roberto è spaventato e non dice una parola. Un uomo enorme con mezza vita di palestra lo trattiene cercando di dare all’occhio della gente, poi con un grosso sorriso cerca di tranquillizzarlo invitandolo a entrare dentro al locale per bere. Afferro Roberto per un braccio mentre l’uomo lo lascia andare e lo tiro a me. Qualcuno ai tavoli ha notato la scena e ci guarda in modo non proprio sereno. Elisa e Claudia non sono più al tavolo e anche l’omone si sta allontanando. Mi passa per la testa il pensiero di rincorrerlo, chiedergli chi è e cosa volesse, ma rimando titubante finché lo perdo di vista. “Cosa ti ha detto?”

Chiedo a Roberto. “Nulla. Di non provarci”. Ci pensa il bancone del Frank Malone a rimetterci in sesto l’umore.

Il birrificio Maneba a Striano

Apro gli occhi con il pensiero di un babà e di un ottimo caffè a colazione. Roberto sta ancora dormendo sfinito dal viaggio, dalla serata e dall’accaduto. Presumo non sia riuscito ad addormentarsi facilmente. Ho preferito non addentrarmi in quanto accaduto proprio per non permettere il sovraffollarsi dei pensieri all’interno della sua testa. È molto provato da questa storia e sicuramente il fatto che abbia agito d’istinto per avvicinarsi al tavolo di Elisa è un campanello d’allarme che dovrò mettere in conto per i giorni a venire.

La mattina procede con un’abbondante colazione in centro a base di tutto quello che la pasticceria napoletana può offrirci e un’immancabile pizza per pranzo. Il pomeriggio si apre con una gita fuoriporta a Striano, dall’altra sponda del

Vesuvio, dove ci aspetta Nello Marciano, birraio del birrificio Maneba. Avevo fissato giorni fa quest’appuntamento con Nello incuriosito dalle sue birre e dal suo nuovo locale. Durante il tragitto cerco il dialogo con Roberto. Mi appare più disteso e convinto di una sua strampalata teoria riguardo quanto accaduto la sera precedente. A suo modo di pensare, l’omone sarebbe un bodyguard di Elisa, venuta a sapere non si sa come della nostra presenza lungo il suo viaggio. Inizia inoltre a farmi domande su come io faccia a sapere in modo così dettagliato gli spostamenti delle due ragazze e mi chiede sincerità su questi punti. Rispondo che prima di partire avevo consigliato a Elisa dei locali e dei birrifici, dandole io stesso i contatti.

Nello ci accoglie con un sorriso e il suo viso da eterno ragazzo. Il birrificio Maneba (Marciano Nello Birra Artigianale) na-

sce nel lontano 2008 e ha mantenuto nel tempo intatta la sua linea di birre storiche (Vesuvia, L’Oro di Napoli e la Clelia), allargando la produzione nel tempo ad altre quattro tipologie (A Livella, Masaniello, Malafemmina, Partenope). Mentre ci serve Clelia, la blanche di casa, ci spiega il suo più recente progetto, ovvero Maneba Industries. Sempre a Striano, Maneba Industries è il locale direttamente collegato al brand del birrificio. Un locale dove Nello può unire il servizio delle sue birre a un’offerta food dove campeggiano in primo piano pizze e panini molto originali negli accostamenti. Prima del tramonto salutiamo facendo scorta di un paio di birre e ci rimettiamo in viaggio.

Il telefono squilla e il nome Simona illumina il display con il Vesuvio che ci saluta alle spalle. (Appuntamento alla prossima puntata.) ★

BIRRA NOSTRA MAGAZINE 53 gennaio-febbraio 2023 TURISMO BIRRARIO
Nello Marciano, anima del Maneba.

COLOMBIA, birra craft in fermento

Il nostro viaggio alla ricerca delle birre artigianali presenti sul globo ci porta in Colombia, paese con una biodiversità unica: foreste pluviali, alte montagne andine, piantagioni di caffè, spiagge paradisiache e città coloniali tra le più belle al mondo. Certo non mancano le mille sfaccettature e contraddizioni, conseguenze della storia violenta del paese che lo aveva reso tra i più pericolosi al mondo. Dalle nostre ricerche sembra che la scena della birra artigia-

nale sia in pieno sviluppo e quindi vogliamo verificare se questo paese saprà placare adeguatamente la nostra sete.

Fin dai tempi antichi in sud-America erano disponibili bevande ottenute dalla fermentazione del mais e di altri cereali, ma anche da frutta o dalla manioca. Un esempio è la chicha che potete trovate in tutto il paese. Pare che i primi semi d’orzo giunsero in Colombia nel 1539 e che il primo birrificio venne fondato a Bogotà nel 1826. Alla

TURISMO BIRRARIO di Vanessa Alberti e Federico Viero 54 BIRRA NOSTRA MAGAZINE gennaio-febbraio 2023
Cartagena.

fine del 1800 il numero dei produttori incominciò a crescere ma fu l’industrializzazione del ventesimo secolo che permise la creazione di molti altri birrifici, anche a opera di immigrati tedeschi e olandesi. Oggi, il mercato birrario di largo consumo è dominato da poche birre, tra cui Aguila, una pale ale, e Club Colombia, disponibile in diversi stili, prodotte dalla Bavaria. A essere sinceri, anche se queste non sono birre artigianali non mostrano quel sapore metallico e maltato di altri prodotti industriali. La scena artigianale nasce all’inizio degli anni 2000 e attualmente si contano più di 250 birrifici sul territorio colombiano. La Bogotà Beer Company (BBC) fu il primo birrificio artigianale, aperto nel 2002 ma nel 2015 è stato acquisito dal colosso AbInbev; propone una decina di referenze e ha locali e punti di vendita in tutto il paese. Oggi il consumo di birra in Colombia è tra i più alti dell’America latina e il trend cresce anno dopo anno. L’amore per la birra ha permesso la nascita della competizione “Copa de Cervezas del Caribe” in cui, dal 2015, birrifici e homebrewer possono proporre le loro birre.

Bogotà, la Mecca della birra artigianale

Il nostro viaggio inizia a Bogotà, la capitale da sette milioni di abitanti situata in una valle a 2640 metri di altitudine. Il giorno del nostro arrivo era previsto l’insediamento del nuovo presidente (primo presidente di sinistra dopo quarantadue presidenti di destra) e passiamo la giornata girovagando tra le strade della città con gente in festa, i riti tradizionali eseguiti dai diversi gruppi etnici arrivati per l’evento e la visione della proclamazione dai maxischermi presenti in città. Possiamo considerare Bogotà la Mecca della birra artigianale colombiana, dato che si trovano davvero tanti birrifici e locali. Il nostro albergo si trova nel quartiere di El Chapinero e iniziamo la nostra esperienza dal moderno pub del birrificio El Mono

Bandito che propone principalmente birre proprie con qualche birrificio ospite. Proviamo la Pils da 4,5% con leggere note citriche e la Hoppy Red, una birra dal corpo medio con una presenza di malto coprente che faceva sparire il luppolo. Nonostante la buona impressione iniziale, le birre non ci entusiasmano e ci spostiamo nel vicino Hanna Hops, uno dei migliori birrifici trovati in viaggio.

Il locale è moderno con molte luci al neon e un bel bancone con spine a parete, tra le quali scegliamo la AutentIPA, una IPA da 5,8% davvero ottima con aromi di pompelmo, ananas e lychee con un piacevole amaro finale. La Eureka è una hazy IPA da 6,5% con sentori di frutta tropicale ma anche con un vegetale che rovinava un po’ la bevuta. Infine, la Amazon sour del birrificio ospite Ramonas Beer, una fruit gose da 5% prodotta con arazá e gua-

yaba agria, due frutti locali agrumati, e durazno santandereano, una tipologia di pesca. Una piacevole scoperta rinfrescante e ben eseguita. Il giorno successivo girovaghiamo per la città vecchia dove visitiamo il museo di Botero in una tipica casa coloniale e il Museo de Oro dove ammiriamo una grande collezione di manufatti e monili d’oro di epoca pre-colombiana.

Tornando verso il nostro alloggio ci fermiamo al birrificio Statua Rota. Il locale si presenta abbastanza minimale e moderno ma accogliente, le birre presenti al momento sono, stranamente per la Colombia, dal grado alcolico importante. Iniziamo con la Piernas de fuego, una double red IPA da 8%, prodotta con infusione di peperoncini affumicati e maturata con fiori di ibisco, dal carattere dolce e speziato ma senza eccessi. Passiamo poi alla Datura, una Belgian strong Ale da 8,5%, prodotta

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L’Hanna Hops a Bogotà.

con miele e zenzero, una buona reinterpretazione dello stile. Pur preferendo generalmente birre più leggere e di facile beva, siamo rimasti piacevolmente stupiti data la pulizia e la qualità generale dei prodotti.

Il deserto del Tatacoa e la foresta di San Agustin

Ci spostiamo verso sud e passiamo qualche giorno letteralmente nel bel mezzo del nulla: alloggiamo infatti all’interno del deserto del Tatacoa, in realtà una foresta semi-arida divisa in due zone (rossa e grigia) dove resistono solo lucertole, cactus e piante urticanti. Non essendoci inquinamento luminoso, questa zona è perfetta per ammirare il cielo e le sue meraviglie e decidiamo di visitare l’osservatorio vicino al nostro alloggio. Sotto un cielo carico di stelle assistiamo alla lezione di astronomia di un professore locale che con un laser mostra le diverse costellazioni

visibili solo nell’emisfero sud. Sono disponibili anche diversi altri telescopi per ammirare i crateri della luna e altri pianeti: davvero un’esperienza interessante. Nella polverosa cittadina di Villavieja, a qualche chilometro di distanza dal deserto, si trova il brewpub del birrificio La Planta. Un locale enorme che è più un club con piscina dai murales colorati, diverse zone dove sedersi e un palco dove si esibiscono band. Le birre francamente non sono affatto apprezzabili e sinceramente non capiamo che tipo di aspettativa abbiano i turisti nei confronti di questo posto, davvero stonato nel contesto. Lasciamo il deserto per spostarci ancora più a sud fino a San Agustin, un piccolo paese tra le montagne dove si trova un importante parco archeologico con statue e tombe pre-colombiane sparse nella foresta di cui gli archeologi sanno ancora poco. Nelle zone intorno a questa piacevole cittadina si possono vedere altre statue

particolari e cascate raggiungibili con una bella passeggiata a cavallo.

La zona cafetera

Ci muoviamo verso la zona cafetera, dal bellissimo paesaggio dominato dalle piantagioni di caffè, e soggiorniamo nella cittadina di Salento dove le basse casette dai mille colori rendono il passeggiare tra le strade acciottolate un’esperienza davvero piacevole. Qui è possibile vivere una tipica esperienza colombiana giocando a Tejo, sport nazionale di origine indigena, che consiste nel colpire un bersaglio contenente polvere da sparo con un disco metallico. Ci sediamo in un dei bar nella piazza principale che serve birre della BBC, che purtroppo si conferma essere un birrificio di livello appena sufficiente. Proviamo anche alcune birre artigianali in bottiglia disponibili nei chioschi come la Pale Ale di Continental Cerveceria, una APA da 2,89% prodotta con le 3C (Cascade, Centennial e Chinook), luppolo in dosi omeopatiche per una birra sufficiente. Salento è il miglior punto di partenza per la scoperta della Valle del Cocora nel Parco Nazionale di Los Nevados. Qui si possono trovare le palme di Cera,

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Il bancone dello Statua Rota a Bogotà. Strane piante grasse nel deserto del Tatacoa. (Prosegue a pag. 58)

TRUMER PILS

Do everything differently than everyone else

Esistono birrifici che, attraverso secoli di storia, riescono a mantenere intatta la propria identità, facendosi fieri portatori di valori oltre che di ricette. È questo il caso di Trumer. Questo storico birrificio di Salisburgo, celebre per le sue Pils, da oltre 400 anni produce birre a bassa fermentazione eccezionalmente scorrevoli e dissetanti.

La storia

Il documento di fondazione di Trumer risale al 22 dicembre 1601. Nel 1775 il birrificio viene acquisito da Josef Sigl I, un commerciante di luppolo del mercato di Perlesreuth. Con il passare degli anni il birrificio serve un’area sempre più vasta della regione e a partire dal 1909 inizia l’ammodernamento, sia dal punto di vista strutturale che tecnologico che verrà portato avanti fino ai giorni nostri.

A partire dal 2013 Josef Sigl VIII ha continuato il lavoro dei suoi antenati rendendo Trumer uno dei birrifici più premiati d’Austria, concentrando le energie sulle ricette delle sue Pils e portando avanti il lavoro del padre che nel 2004 ha deciso di aprire un birrificio a Berkeley in California, in modo da servire anche il mercato statunitense con la birra più fresca possibile.

I principi e la filosofia

Trumer da sempre produce birre a bassa fermentazione secondo le rigide regole dell’editto di purezza: acqua, malto, lievito e luppolo usato solo in infiorescenza. Anche per questo, dal 2012 il birrificio ha ricevuto la certificazione Slow Brewing.

corporate responsibility e valori etici. Oltre 500 requisiti che solo 32 birrifici in tutta Europa soddisfano a pieno.

Le birre

In oltre 400 anni di storia sono molti i cambiamenti avvenuti in questo birrificio. Ciò che non è mai cambiato è il suo focus sulle birre a bassa fermentazione, tutte di estrema bevibilità e freschezza. Oggi la gamma di Trumer, disponibile in Italia tramite Ales&Co (www.alesandco.it), si compone di quattro birre disponibili in bottiglia e fusto in acciaio.

Trumer Pils, 4,9% abv, Pils leggera e fragrante con una delicata luppolatura floreale e un amaro bilanciato.

Questa certificazione unica nel suo genere attesta l’al-

Imperial Pils, 7,2% abv, Pilsner di buona struttura con sentori di frutta tropicale e leggere note di miele in evidenza. Hopfenspiel, 2,9% abv, Pils luppolata con Simoce, Triskel e Cascade responsabili di un profilo fruttato con note di mango e albicocca su una base leggera e dissetante. Obertrumer, 4,8%, Zwicklbier morbida e di buona struttura, ha una buona base maltata e note di agrumi sul finale.

Il servizio

tissima qualità dei prodotti e l’Azienda produttiva nel suo insieme: fermentazioni lente, rinuncia alla post-diluzione,

Per godersi una birra al massimo del suo potenziale, servizio e bicchiere sono fondamentali. Per questo motivo, oltre venti anni fa, Trumer ha disegnato lo “Schlanke Stange”, un bicchiere le cui forme sono studiate per esaltare il profilo aromatico delle Pils. ★

BIRRA NOSTRA MAGAZINE 57 gennaio-febbraio 2023 INFORMAZIONE PUBBLICITARIA

albero nazionale, nonché le più alte del mondo: possono raggiungere i 60 metri. La valle è davvero stupenda e capiamo perché sia una delle attrattive più famose della Colombia. Per poter vedere le altissime palme si parte dalla piazza di Salento a bordo di Willys, fuoristrada della Seconda guerra mondiale, modificate, che regaleranno un viaggio indimenticabile soprattutto stando in piedi nel retro del veicolo. Dato che siamo nel centro dell’area di produzione del caffè, non poteva mancare la visita a una finca con annessa piantagione e assaggi di caffè vari. Dobbiamo però lasciare questa verde valle in direzione Medellin, che raggiungiamo con un breve volo.

Medellin

Medellin è forse la più famosa città della Colombia, data la sua storia legata a Pablo Escobar, il più potente narcotrafficante degli anni ‘80. Partecipiamo a

un’interessante visita guidata alla Comuna 13, abbarbicata sul fianco della montagna: era un tempo una zona sgangherata e degradata dove la violenza, la presenza delle FARC (Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia) e il narcotraffico regnavano sovrani. Oggi è una zona da non perdere, con street art e gallerie d’arte ovunque, improvvisazioni di break dance e hip hop e tanti sorrisi della gente che ci vive. Siamo rimasti sorpresi dalla quantità e dalla qualità delle birre trovate nei diversi chioschi e bar quindi diamo un’occhiata in giro per fare interessanti scoperte. La migliore tra quelle provate è la 420 di La Comuna 13 Brewing, una Belgian Strong Golden Ale da 10% di facile bevuta nonostante la gradazione alcolica con note fruttate e un leggero aroma di luppolo e cannabis. Proviamo anche le birre di 3 Cordilleras fondata da un ragazzo brasiliano trasferitosi nel 1996 ad Atlanta, dove ha imparato

l’arte brassicola, aprendo poi a Medellin il proprio birrificio nel 2006. Il loro cavallo di battaglia è la Mestiza, un’APA da 4,8% prodotta con luppoli americani, con aromi floreali e agrumati uniti a un leggero caramellato; il finale secco completa questa buona birra. Dopo aver girovagato per la Comuna 13 ci dirigiamo nel quartiere di El Poblado dove si trovano il nostro alloggio e diversi pub. Prima tappa al Metropole, piccolo locale aperto nel 2017 con una decina di spine dedicate a birrifici della città. Tra le opzioni disponibili proviamo la IPA da 5,7% di 4 Hermanos, una birra “vecchia scuola” con una base maltata predominante e una leggera luppolatura con aromi agrumati, e una coffee stout da 6% del birrificio Caos dall’intenso aroma di caffè, veramente ben eseguita. Ci spostiamo verso la seconda tappa, l’enorme brewpub di 20 Mission Cerveceria, un locale molto ampio con palco per la musica dal vivo,

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Statue antropomorfe a San Agustin. Il Metropole a Medellin.

una griglia da asado e parecchi tavoli per trascorrere la serata in compagnia. Le birre sono mediamente un po’ anonime ma senza difetti, e questo è già un buon traguardo, la migliore è risultata la porter da 5,5%, il classico mix di malti tostati e aromi di cacao e caffè: da manuale.

La nostra terza tappa è il brewpub di Bipolar Brewing, una recente realtà a Medellin con lattine dalla grafica accattivante. La Fake and Real è una session IPA da 4,7%, rinfrescante dal sapore citrico e tropicale, altamente beverina, mentre la Irish Extra Stout da 7,3% risulta cremosa e morbida con note tostate e un buon finale secco. Ultima tappa, il brewpub di Maestre aperto nel 2017 in cui assaggiamo diverse proposte, tra cui la birra più luppolata trovata fino a ora. La Citra IPA, una session IPA da 4,8% stagionale, e la Stout da 6%, si sono rivelate delle ottime bevute; peccato per il diacetile presente nella Irish red. Possiamo affermare che a Medellin la scelta è ampia e a parte qualche intoppo si riescono a bere birre piacevoli, la scena è in fermento e sta crescendo rapidamente. Quello che abbiamo riscontrato finora, e confermato anche dai publican, è che il gusto colombiano è molto improntato sui sapori dolci e questo si riflette su un minor utilizzo di luppolo con conseguente monotonia dei sapori. Siamo però convinti che in futuro anche il gusto evolverà.

Da Medellin partiamo alla volta di Guatapè, un piccolo villaggio dalle casette colorate dove si erge a pochi chilometri di distanza un enorme ammasso di roccia che prende il nome di Piedra del Peñol. Saliamo i 650 scalini per raggiungerne la sommità e godere di una stupenda vista sulla baia sottostante e girovaghiamo per questo pittoresco villaggio prima di partire verso una tappa di puro relax. Passiamo infatti qualche giorno immersi nella natura della penisola di Barù andando anche alla scoperta delle vicine isole de

BIRRA NOSTRA MAGAZINE 59 gennaio-febbraio 2023 TURISMO BIRRARIO
Fake Real di Bipolar Brewing. Il Maestre a Medellin.

Las Rosario. Mare cristallino, spiagge bianche e palme sotto cui ripararsi dal sole: è un peccato partire ma ci aspetta una delle città coloniali più belle del sud-America.

Cartagena, una città

dai mille colori

Cartagena des Indias è una città portuale sulla costa caraibica della Colombia con un mix di culture e di storie. Fu il principale avamposto dell’impero

spagnolo e porto principale per il commercio del sud-America con il resto del mondo, incluso quello degli schiavi provenienti dalle colonie africane. Le case colorate, il centro storico con le sue piazze, la musica sempre presente, i murales e la street art diffusa rendono Cartagena davvero interessante. È una città molto vivace ed esistono diversi luoghi dove trovare birra artigianale, anche se alcuni di questi si trovano in centri commerciali un po’ fuori città.

Nel centro storico si possono trovare birre di qualità accettabile e a nostro parere il miglior locale è il Beer Lovers nel quartiere di Getsemani. Buona selezione di birre alla spina e un grande frigo con proposte nazionali e internazionali, Belgio soprattutto. Il birrificio Tresquince si rivela ottimo, la Centurion de la Noche è una tropical stout da 5,6% dove i malti tostati sono in equilibrio con i sentori tropicali. Dello stesso birrificio proviamo anche la Lacrimas de caiman, una gose con limonada de coco da 4,4%, sentori di cocco e sapori che ricordano la Pina Colada senza risultare troppo dolce: davvero ben fatta e rinfrescante. Tra le bottiglie scegliamo la COLPA di Lino Brewing, fondato da Lino Kim, un homebrewer coreano che dopo aver vinto diversi premi nel proprio paese si è trasferito per lavoro in Colombia e nel 2019 ha deciso di aprire il proprio birrificio. Una Colombian Pale Ale da 5% dal colore dorato con aromi di frutto della passione. Un buon equilibrio tra malti e luppoli con un finale leggermente secco, una buona bevuta pulita e senza difetti. Proviamo anche il birrificio Moonshine, situato a Bogotà, con la ZIPA IPA, una IPA dry hopped da 6% prodotta con luppoli importati dalla Yakima Valley. Ci aspettavamo qualcosa di più esplosivo a livello di sapore e aromi; in effetti, però, nulla di eccezionale.

Santa Marta e il bellissimo Parco di Tayrona

A poche ore di distanza da Cartagena si trova Santa Marta stretta tra lo stupendo mare dei Caraibi e le montagne della Sierra Nevada. Nevada Cerveceria è il principale birrificio della zona e produce birre dal 2014 con l’acqua proveniente dalle montagne. Abbiamo avuto modo di assaggiare diverse loro birre e, complessivamente, si tratta di produzioni apprezzabili. La Happy Nebbi è una classica pils da 5% dall’amaro erbaceo e rinfrescante, la Happy Coca

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Street art a Cartagena.

è una pale ale da 5% prodotta con foglie di coca e un sapore erbaceo particolare. Chiude la serie la Happy Tucan, una Irish Red Ale classica da 5% dall’aroma maltato di caramello. Santa Marta è la porta di ingresso del Parco Nazionale Tayrona, bellissimo parco naturale dove si cammina lungo percorsi che passano in mezzo alla foresta pluviale per arrivare a spiagge idilliache dove riposarsi sotto le palme. Il parco è abitato da diversi gruppi indigeni che si possono incontrare durante il trekking. Passiamo la giornata

tra le diverse spiagge e facciamo ritorno a Santa Marta dove un volo interno ci riporta a Bogotà per trascorrere l’ultimo giorno di vacanza. Questo viaggio in Colombia ci è davvero piaciuto: i paesaggi e i luoghi molto diversi con foreste, montagne e un mare dalle mille sfumature di blu vi conquisteranno. Rimarrete però anche soddisfatti dai molti birrifici presenti sul territorio e dai pub delle città e sarà una sfida scegliere quale provare! E come dicono a Medellin “Que chimba Colombia!”. ★

BIRRA NOSTRA MAGAZINE 61 gennaio-febbraio 2023
Le magnifiche spiagge del Parco Tayrona.
TURISMO BIRRARIO
Il Beer Lovers a Cartagena.

HANNO SCRITTO PER NOI

Davide Bertinotti

Dal… secolo scorso viaggio, bevo, produco (per autoconsumo) e racconto birre. Sono autore di libri sulla produzione, servizio della birra e sul mondo dei microbirrifici italiani. Docente di produzione presso ITS Mastro Birrario Torino.

Andrea Camaschella

Appassionato di birra da svariati anni, sono coautore dell’Atlante dei Birrifici Italiani, docente ITS Agroalimentare per il Piemonte e in svariati altri corsi.

Katya Carbone

Ricercatore presso CREA Centro di ricerca Olivicoltura, Frutticoltura, Agrumicoltura. Responsabile del laboratorio di “Chimica e Biotecnologie degli Alimenti”, sono da anni impegnata nel settore brassicolo e in quello luppolicolo in particolare. Coordinatrice di diversi progetti nazionali sulla filiera, sono autrice di numerose pubblicazioni ed esperto tecnico al Tavolo di settore presso il Masaf, dove coordino il GdL “Ricerca e Sperimentazione”. Sono membro dello Steering Committee per la stesura del Piano di settore del luppolo.

Francesco Donato

Pioniere della divulgazione della cultura birraria nel Sud Italia, mi occupo da oltre vent’anni di ristorazione, maturando esperienze come publican sia da dipendente, sia da titolare. Ex Consigliere MoBI, giudice a Birra dell’Anno, sono formatore e docente per svariate associazioni.

Luca Giaccone

Cuneese, bibliotecario, fin dalla prima edizione sono curatore della Guida alle birre d’Italia di Slow Food Editore, giudice internazionale (Birra dell’Anno, Brussels Beer Challenge, European Beer Star, World Beer Cup), docente per i master dell’Università di Scienze Gastronomiche e per i corsi birra di Slow Food, Unionbirrai e Fermento Birra.

Francesco Licciardo

Sono un economista agrario impegnato in attività di analisi e ricerca presso il CREA - Politiche e bioeconomia. I miei studi ricomprendono, fra gli altri, gli effetti delle politiche di sviluppo rurale, i processi di aggregazione nel settore agroalimentare e le analisi di filiera, tra cui quelle minori come il luppolo.

Matteo Malacaria

Giudice qualificato BJCP e beer sommelier, autore del blog Birramoriamoci.it e del libro Viaggio al centro della birra. Mi occupo di comunicazione e marketing applicati al settore birro gastronomico e sono docente presso la NAD di Verona.

Michele Matraxia

PhD Student presso il Dipartimento Scienze Agrarie, Alimentari e Forestali (SAAF) dell’Università degli Studi di Palermo e docente presso l’Istituto d’istruzione superiore agrario “Stanga” di Crema. Mi occupo di selezione e screening tecnologici su lieviti non-convenzionali per le produzioni di birre e idromeli. Ho da poco discusso la mia tesi di dottorato dal titolo “Innovazioni biotecnologiche nei processi fermentativi delle birre e di bevande fermentate a base di miele”.

Eleni Pisano

Scrivo, fotografo, insegno e racconto di cibo. Esperta di turismo esperienziale in ambito brassicolo, beerchef, food stylist e beernauta in cerca di eccellenze in ambito brassicolo. Ho lavorato per grandi marchi del mondo birrario italiano e poi mi sono avvicinata al mondo brassicolo artigianale. Lavoro come consulente e beerchef in diversi locali tra Milano e Monza. Mi occupo di collaborazioni sul beer pairing.

Christian Schiavetti

Appassionato alla birra con le prime bottiglie collezionate e i primi sottobicchieri. Dal 2010 ho iniziato a viaggiare in Belgio e in Franconia, ma non solo. Diversi corsi targati MoBI, anche da homebrewer e Good Beer mi hanno portato ad aprire il blog Birre Bevute 365 e a collaborare, tra gli altri, con Giornale della Birra e Guida alle birre D’Italia Amo viaggiare e in particolare amo le birre tedesche.

Federico Viero e Vanessa Alberti

Coppia di chimici industriali appassionati di birra artigianale da diversi anni. Essendo dei giramondo abbiamo unito la nostra passione brassicola con quella dei viaggi, andando a scovare birrifici anche nei posti più remoti del globo.

62 BIRRA NOSTRA MAGAZINE gennaio-febbraio 2023 NEWS
Davide Bertinotti Andrea Camaschella Katya Carbone Francesco Donato Luca Giaccone Francesco Licciardo Matteo Malacaria Michele Matraxia Eleni Pisano Christian Schiavetti Federico Viero e Vanessa Alberti

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LA CULTURA BIRRARIA NELLE ANTICHE CIVILTÀ

Pensieri, abitudini alcoliche e dinamiche sociali dai Sumeri alla caduta dell’Impero Romano di Simonmattia Riva

In qualsiasi angolo del mondo una birreria

è probabilmente il luogo in cui più facilmente può capitarvi di fare nuove conoscenze iniziando a conversare con perfetti sconosciuti.

Perché lo spumoso nettare di malto e luppolo esibisce un potere socializzante che nessun’altra bevanda pare possa eguagliare? La risposta non risiede certo solo nella presenza, peraltro estremamente modica, di alcol, ma deve necessariamente coinvolgere aspetti più profondi e istanze vitali che accompagnano donne e uomini fin dagli albori della civiltà.

Questo libro, per la prima volta, prova a mettere a confronto storie, pensieri e abitudini alcoliche dei popoli antichi alla ricerca di una traccia da seguire.

ISBN 978-88-6895-286-0

Pagine 200 | BN

Prezzo 18,90 euro

www.edizionilswr.it edizioniLSWR seguici su

Craft Beer Range

R A S TAL ha i n te r p ret a t o le e sig e nze d el s e t t o re “ B i r r a Ar t i g ia na l e ” i ta li a n o con u n a g a m m a di c a lici, bicchi e r i e b o cc a li unica pe r d esi g n , f u nzi o n a lit à e co m plet e zza . Prodotti che uniti alla decorazione diventano un supporto indispensabile per favorire la crescita e la diffusione dei marchi.
I mi g l io ri calici e tumb l ers b i rr a RASTAL Italia srl Via Angelo Calvi, 35 29015 Castel San Giovanni Tel. +39 0523 883805 Fax +39 0523 881995 info@rastal.it www.rastal.it

Le guide Le guide Le

LE TUE BIRRE FATTE IN CASA

Ricette per tutti gli stili - Seconda edizione di Davide Bertinotti, Massimo Faraggi

Davide Bertinotti e Massimo Faraggi, tra i massimi esperti italiani di birra fatta in casa e artigianale, in questo libro hanno selezionato oltre 90 ricette per realizzare nella propria cucina i più diversi e apprezzati stili birrari, dalle Lager alle Ale inglesi, dalle IPA ai Lambic. Tutte le ricette sono state premiate in concorsi birrari e includono sia birre strettamente aderenti allo stile presentato sia “interpretazioni” più libere, comunque testate e approvate da esperti giudici degustatori. Per ogni stile è presente la descrizione completa tratta dalla revisione 2021 del BJCP (Beer Judge Certification Program), ossia il disciplinare che descrive e definisce ogni stile birrario in termini tecnici e organolettici, e che è alla base delle più importanti competizioni amatoriali e commerciali in tutto il mondo.

ISBN 9788868959470

Pagine 368 | Colori

Prezzo 22,90 euro

www.edizionilswr.it edizioniLSWR seguici su

T i p o d i c a m p i o n e : M o s t o

M o s t o i n f e r m e n t a z i o n e B i r r a f i n i t a

P a r a m e t r i :

A l c o l , S G , d e n s i t à , p H , R D F , e s t r a t t i ( g r a d o P ° ) e c a l o r i e

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BeerFoss™ FT Go fornisce i dati chiave per il controllo dell’intero processo di birrificazione, dal mosto alla birra finita. Utilizzando BeerFoss™ FT Go puoi sapere esattamente cosa sta succedendo nel fermentatore senza necessità di filtraggio o degasaggio

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