WolverNight fanzine - n°54, luglio 2021

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Gente Indipendente Il pensiero politico di Bjork fra universalità e indipendenza di Massimiliano Stoto “- Lo Sneffels! – gridò. – Lo Sneffels! Poi, dopo avermi raccomandato con un gesto il silenzio più assoluto, scese nella lancia che ci aspettava. Lo seguii, e ben presto cavalcavamo il suolo d’Islanda” (Jules Verne, “Viaggio al centro della Terra”, traduzione di Carlo Fruttero e Franco Lucentini, L’Unità/Einaudi, 1996) “Allora Bjartur si infuriò e si mise a parlare in maniera incoerente, e disse di essere un libero islandese e, e, e, non me ne importa un diavolo, e, e mi farete a pezzetti vivo come hanno fatto con la buonanima Gunnvör al cancello del cimitero di Útiraudsmýri, e lei non si è data per vinta, anzi li ha maledetti tutti in punto di morte, e si è avverato tutto, associazioni femminili e cooperative, io non cederò mai.” (Halldór Laxness, “Gente Indipendente”, traduzione di Silvia Cosimini, Iperborea, 2004) “A molti islandesi dà un certo fastidio quando i media internazionali o documentari come “Where To Invade Next” di Michael Moore raccontano una storia disneyana di una nazione intera unita nella lotta contro l’avidità e la corruzione. Qualche banchiere è finito in prigione, si, ma per il resto, quelli che prima della crisi erano ricchi sfondati in linea di massimo lo sono ancora.” (Egill Bjarnason, da “The Passenger - Islanda”, traduzione di Tomaso Biancardi, Iperborea 2018)

Gente indipendente, ostinata, caparbia, decisa. Ma non più del nonno di Heidi o di un tartaro della steppa. Così possono essere descritti gli islandesi secondo gli scritti della tradizione e i voleri dell’industria mediatica del ventunesimo secolo. Gente tosta, forgiata da elementi che modellano una terra inospitale d’origine vulcanica. Un popolo millenario e una nazione ancora adolescente (1944). Un posto che vive oramai da qualche anno un boom turistico sensazionale, che ha molto aiutato chi ci vive, a risollevarsi dopo la crisi economica del 2008. Turismo che ha generato ricchezza e ha presentato un conto non poi così salato, se a perdersi è stata un po’ di “tranquillità” della altrimenti sonnolenta Reykjavik. Un prezzo che molti islandesi sono stati ben lieti di pagare pur d’accogliere qualche turista in più, smanioso di fotografare l’ennesimo vulcano, il solito geyser o l’incantevole aurora boreale. Una scoperta, quella della terra d’Islanda a cui anche la musica ha contribuito non poco, ricordandomi, ciò che successe con la verde Irlanda negli anni ‘80. Ma facciamo un passo indietro: a quando Hitler invase la Danimarca. Fu infatti grazie a quell’intervento che il Regno Unito cominciò a considerare che l’eventuale occupazione

tedesca, del neutrale Regno d’Islanda, volontariamente unitosi alla Danimarca tramite referendum nel 1918, sarebbe potuta diventare un grosso pericolo per il controllo dell’Atlantico del Nord, perciò procedette ad un invasione molto soft nel Maggio del ’40. L’isola fu da quel momento di importanza strategica per gli alleati, soprattutto per gli americani che arrivarono nel 1941 se ne andarono ‘46, per poi tornarci nel ’49 e rimanerci fino al 2006. Un ’ occupazione perlopiù strategica quella U.S.A. che non riuscì, durante la guerra fredda, a mettere testate nucleari sul suolo islandese. Ma se con gli inglesi, come con i russi, i norvegesi e i danesi i rapporti furono sempre stati al limite della sopportabilità, più che altro per questioni legate alla pesca, con gli americani le cose andarono meglio e la presenza militare per cinquant’anni si è fatta “sentire” più culturalmente che militarmente e in seguito vedremo perché. Un esempio di questa influenza, di questo “sentire” è “Glin-Gló” l'album di Björk & Tríó Guðmundar Ingólfssonar, pubblicato nel 1990, un album jazz, che contiene dei classici internazionali, ma che non è espressamente un tributo ad essi, visto che la prima stesura in vinile conteneva 14 brani equamente distribuiti fra “standard” e altri firmati da autori islandesi. Autori che sono da annoverare fra categorie quali compositori e interpreti, tutta gente che attorno agli anni ‘50 aveva in media 25/30 anni. Fu la versione in cd (16 brani) editata lo stesso anno, a sbilanciare la tracklist a favore degli stranieri etichettare il disco come un tributo a un jazz più famoso. Ma cosa voglio dire con questo esempio ? Voglio dire che all’alba degli anni ’90 un gruppo di ragazzi islandesi, la cui cantante ha già alle spalle svariate esperienze interpretative, decide di reinterpretare una serie di brani riappropriandosi di una cultura musicale “importata” ma che in definitiva considerano anche propria, in virtù del fatto che dei loro coetanei appena quarant’anni prima l’avevano assorbita e riscritta. Certamente grazie alla radiodiffusione ma soprattutto grazie ai militari americani che ne portarono di

Louis Armstrong e Jón Múli Árnason


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