WolverNight fanzine - n°54, luglio 2021

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INTRO

Björk in cuffia di Tiziana Scaciga “Noi vogliamo, per quel fuoco che ci arde nel cervello, tuffarci nell'abisso, Inferno o Cielo, non importa. Giù nell'Ignoto per trovarvi del nuovo.” Charles Baudelaire, I fiori del male Ascolta una traccia di Björk. Dimmi: in quali orizzonti arrivi? E dimmi - come ti senti? Ascoltare Björk (betulla in islandese) per me, da sempre, è un po’ come ascoltare intimamente la vita in dinamica trasformazione. Il primo album l’ho scoperto a quindici anni, lo ascoltavo in cuffia. Erano gli anni di “Debut”. In copertina lei, con le mani giunte, avvolta in un colore seppia che rimanda alle sfumature del cielo quando le nuvole sono ovattate e non hanno la minima intenzione di alzarsi. Lì, appoggiate al ventre della montagna. Le nuvole. E la voce di Björk. La sua voce, in costante esplorazione ed evoluzione, estremamente femminile, sempre simile e mai identica, è ciò che ha alimentato la mia curiosità e la voglia di ascoltarla nel corso del tempo. Preferibilmente in cuffia. In Björk la motivazione biologica che spiega la riproduzione del suono oltrepassa il confine fisico, biologico orientandosi in una dimensione in cui la carne e il respiro, il pensiero e la parola lasciano emergere un immaginario collettivo (archetipo) e narrativo (biografico). E la sua voce diventa metafora di un viaggio emotivo sostanziale capace di evocare ampi orizzonti e spazi visceralmente intimi. L’estetica della sua voce rimanda ad un substrato culturale in cui la natura della vita, la natura dell’ambiente (inscindibili le radici islandesi dalla musica di Björk) tramanda storie ataviche e futuristiche, librandosi in una dimensione in cui l’aspro e il delicato, il ruvido e il morbido si uniscono in un principio di non dualità. In musica - la voce è considerata uno strumento musicale, primo e imprescindibile. Sì, se la sai esplorare. E Björk, in questo processo di esplorazione, è una speleologa, capace di rendere manifesti suoni sommersi e di curare le sfumature vocali in modo microscopico, unendo precisione esecutiva alla capacità di esprimere emozioni dense. La sua voce, dalla versatilità istintiva, è talento naturale e racchiude studio, disciplina, ricerca, ampia sperimentazione.

Fin da bambina riproduce canzoni sui tasti del pianoforte così, a orecchio, memorizzando le melodie con facilità sorprendente. In età precoce studia solfeggio, flauto e pianoforte. La sua educazione musicale è molto varia e la sua curiosità sull’argomento è senza limiti. A dodici anni è introdotta dal suo insegnante di musica all’ascolto della musica elettronica di Stockhausen. Con i Kukl, band che precede gli Sugarcubes, Björk inizia a mostrare le indicazioni di ciò che sarebbe diventato il suo caratteristico stile canoro, punteggiato da ululati - a tratti graffianti a tratti delicati - e caratterizzato da picchi improvvisi. L’artista, come un filo rosso che si dipana di album in album, fa ricorso a differenti tecniche vocali - scat singing, belting, whistle register - che intreccia come ordito e trama in modo sapiente e imprevedibile. Lo scat singing (nato nella musica jazz con l'imitazione vocale di strumenti musicali tramite la riproduzione di fraseggi simili a quelli strumentali) prevede la sostituzione del testo con sillabe improvvisate con puro valore sonoro. In Björk - non immaginiamoci lo scat singing di “One Note Samba” di Ella Fitzgerald - teniamo in considerazione che stiamo parlando di un’artista che dalla realtà che osserva ne rielabora una sua traccia personale, singolare, caratteriz-


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