WolverNight fanzine - n°54, luglio 2021

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ONE LITTLE INDIAN Records I dischi del piccolo indiano di Stoto Massimiliano Come per Nick Cave nel numero scorso, vale la pena spendere, anche in queste pagine estive, qualche parola su quella che è stata ed è, l’unica casa discografica che Björk ha avuto, da quando per lei il gioco s’è fatto serio. Intendendo con questo la discografia dagli Sugarcubes in avanti. I Flux Of Pink Indians sono un gruppo anarcoide che si forma nella regione dell’Hertfordshire, a nord-est di Londra, nei primi anni ottanta incidono un Ep per la Crass Records, etichetta dove si sono accasati anche i KUKL, la seconda band di Björk. I FOPI fanno solo un breve passaggio alla Crass, incideranno infatti i loro primi due LP “Strive To Survive Causing Least Suffering Possible” del ‘82 e “The Fucking Cunts Treat Us Like Pricks” del ‘84 su Spiderleg Records un’etichetta da loro formata. I dischi di questa band si rifanno in pieno all’attitudine punk dell’epoca testi al vetriolo, avversione al potere, politico, economico e religioso e critica perenne alla società consumistica. Il secondo disco del gruppo, avrà dei problemi con la censura perché accusato di avere testi violenti. Colonna portante dei Flux Pink Of Indians è Derek Birkett, che assieme al cantante Collin Latter porterà avanti il nome fino a ridurlo a Flux e con questa sigla pubblicherà nel 1986 “Uncarved Block”. Unici due membri originali a concludere la storia, che ha nell’epitaffio finale della sua produzione, l’opera più meritevole di essere segnalata. Trentacinque minuti che vedono un cambio di registro musicale importante che abbraccia sonorità dub sperimentali che flirtano con ritmiche tribali e chitarre post punk e che vede il coinvolgimento di nomi importanti come Adrian Sherwood alla produzione, Ray Shulman, Paul White, Kenny Wellington, Brian Pugsley, Style Scott e molti altri. Il secondo e il terzo della lista saranno poi coinvolti, in maniera diversa, nell’esordio degli Sugarcubes. TP 1 o TPLP1CD questa la sigla di catalogo del primo prodotto della One Little Indian Records fondata da Derek Birkett assieme a Tim Kelly, un’ex chitarrista dei Flux Pink Of Indians, quando staccatosi dal, e stancatosi del punk, abbracciò canoni musicali di chiara matrice crossover, genere che in quegli anni stava emergendo. Sfruttando l’esperienza maturata con la Spiderleg Records, fondata anch’essa da Birkett, Derek e Tim partono quindi per questa fortunata avventura che si chiamerà fino al Giugno dell’anno scorso One Litlle Indian Records. Prima di pubblicare il 7” di “Birthday”, lato A in inglese e B in islandese, i due hanno modo di pubblicare altri artisti, tra questi i più rinomati furono gli A.R. Kane che di fatto esordirono

con il singolo “When You’re Sad”per la OLI Rec. nel 1986. Ma fu negli ambienti della Crass Records che Derek incontrò i ragazzi che daranno una svolta all’etichetta. Con il fenomeno degli Sugarcubes la casa discografica si pone sotto la luce dei riflettori anche se negli anni successivi saranno solo due i grandi nomi che l’etichetta accoglierà tra le sue fila i Kitchens Of Distinction di Dan Goodwin, Julian Swales e Patrick Fitzgerald che usciranno per l’etichetta fino al 1994 con la parte più importante delle loro produzione musicale, e i The Shamen che tra l’89 e il ’96 usciranno con un buon numero di album e un più folto numero di Ep’s. Furono proprio gli Shamen con il brano “Ebeneezer Goode” a far registrare il primo grande “craque” della One Little Indian, mettendo a segno un colpo da primo posto nelle classifiche dei singoli del 1992. Il pezzo, che nel titolo contiene la citazione del famoso personaggio di Dickens, parla esplicitamente dell’uso di droghe e dell’Ecstasy in particolar modo. Per questo viene bandito dalla BBC per diverso tempo, cosa che non gli impedisce di diventare un grande successo e un grande classico del genere indietronica. A mio parere questi sono gli Shamen più tamarri, ma anche quelli più efficaci nel coniugare l’essenza del genere indie house con i gusti più commerciali dell’epoca. Rimane inequivocabile il fatto che il loro classico “In Gorbachev We Trust”, uscito nel 1989 su Demon, artisticamente sia un album che anticipa tante cose e di una purezza artistica inattaccabile. Direi che è un ascolto obbligato per ogni appassionato del genere. Gli affari con l’etichetta di Birkett si chiudono male nel 1996 con accuse reciproche, su sballate strategie artistiche, probabilmente più ingigantite che altro, la frase topica di Birkett che fa suo il vecchio adagio calcistico in cui i giocatori sarebbero più importanti degli allenatori, con lui che la gira dicendo che “i gruppi sono più importanti delle etichette”, non è sufficiente a sanare la questione.


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