ZABAIONE
intervista a colangelo, un magistrato anticamorra intervista al professor piazza per un viaggio nel nostro archivio
premio kihlgren, intervista a un'autrice emergente

intervista a colangelo, un magistrato anticamorra intervista al professor piazza per un viaggio nel nostro archivio
premio kihlgren, intervista a un'autrice emergente
Volli, volli e fortissimamente volli parlare di Dante in questo editoriale di marzo, beandomi di poter finalmente celebrare un Dantedì… ahi lassa, non ho potuto.
Il letargico mondo del Ministero dell’Istruzione e del Merito pare essersi dato una scrollata per far parlar (male, principalmente) di sé per una decina di giorni.
E no, non parlo della maturità.
Tutto ha avuto inizio con quel che è accaduto lo scorso 18 febbraio al Liceo Michelangiolo di Firenze; evento dalla copertura mediatica alquanto ambigua e fortemente schierata, con esagerazioni ed inesattezze che, confrontando le fonti, parevano sbucare da ogni parte.
Quando ho accettato il fatto che a tentare di barcamenarmi tra micro-editoriali moraleggianti e segmenti di programmi d’inchiesta decisamente sensazionalistici non ne venivo fuori, ho cercato qualche fonte diretta, tra le mie conoscenze fiorentine, e ho chiesto qualche chiarimento circa i fatti stessi (il che potrebbe aprire una riflessione sull’ostinata soggettività degli eventi che ci sforziamo di riportare oggettivamente, perché anche di questi circolano parecchie versioni - ma non è questa la sede adatta).
L’ipotesi più accreditata all’interno del Liceo è che ai sei ragazzi di Azione Studentesca era stato chiesto di allontanarsi dall’edificio; due stavano volantinando, gli altri erano lì in zona appostati e aspettavano, forse, un pretesto per scon-
trarsi con i ragazzi del collettivo che già conoscevano, tra cui il candidato rappresentante, il ragazzo aggredito.
Ai fatti deplorevoli e condannabili del Michelangiolo si aggiunge la ormai famosa lettera della Preside di un altro liceo fiorentino, il Leonardo, che, volendo dare un messaggio di antifascismo ai propri studenti, ha mischiato - a ragione? non a ragione? - la politica con il suo ruolo dirigenziale.
Diventata virale la lettera, si è scomodato pure Valditara, che con ormai nota delicatezza elefantina ne ha detta una di troppo (ricordiamo l’umiliazione come strumento pedagogico!): se si poteva, a livello politico, aprire un dibattito circa la proprietà o meno dei contenuti della lettera, sottintendere una futura ed eventuale presa di misure contro la Preside certamente ha alzato un po’ troppo i toni.
Insomma, i fatti del Michelangiolo sono stati strumentalizzati, come spesso accade, oltre che snaturati, dando il via a giorni di polemiche che forse non avevano poi tanto a che fare con l’episodio in sé e la sua natura, finché, dopo diversi scambi di battute, si è giunti ad una sorta di culmine della degenerazione con l’affissione ai primi di marzo davanti al Liceo Carducci dell’effigie del Ministro capovolta, accanto a quella del Presidente del Consiglio: azione che fortunatamente è stata stroncata sul nascere e condannata da tutti, a partire dagli studenti e dalla comunità scolastica del Liceo Carducci, come violenta e aberrante.
In tutto questo si sono levate
voci dalle opposizioni che richiedevano alla maggioranza di condannare gli atti del Michelangiolo: e quando le dichiarazioni di condanna sono giunte, ad alcuni non sono parse abbastanza.
C’è chi ha anche gridato ad un ritorno agli anni di Piombo, ma non credo si sia giunti a questo punto: destra e sinistra a livello studentesco si scontrano dal Sessantotto. Ma suscita forse una certa apprensione il sospetto, stando alla versione più accreditata, che l’atto del Michelangiolo fosse premeditato, al contrario dei precedenti.
Dopo giorni di dibattiti, mediatici e non, lettere, accuse e prese di posizione resta l’amaro per aver messo ancora una volta la scuola al centro, non della cultura, ma della polemica e dello scontro. SOMMARIO
Un magistrato anti-camorra
Caso plusvalenze
Mai lamentarsi, mai spiegare
SOS archivio
Un tuffo nel passato
Parere di un'autrice
emergente
Acqua in bocca
L'angolo del libertario
Zabaoroscopo
Zabarecensioni
...e Berta filava
Zabaenigmistica
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Ritieni che la cattura di Matteo Messina Denaro rappresenti il declino della “vecchia mafia”? Quali potranno, secondo te, essere gli sviluppi della lotta alla mafia?
La cattura di Matteo Messina Denaro è un episodio del contrasto alla criminalità organizzata e alla mafia in particolare, non credo che porti alla sconfitta definitiva della mafia perché, affinché questo accada, ci vuole una presa di coscienza generale. Il fatto che Matteo Messina Denaro sia rimasto latitante per trent’anni in un paese così piccolo, dove sono state già trovate una serie di persone che erano a conoscenza della sua vera identità, e probabilmente se ne troveranno anche altre, dimostra che godeva di una base d’appoggio, di un supporto logistico, di consenso o di omertà o di timore che gli ha consentito di eludere la cattura per tutto questo tempo. Questo è quindi, sicuramente, un episodio importante, ma come diceva Falcone: “La mafia è un fenomeno umano e come tutti i fenomeni umani ha un inizio, una sua evoluzione e una sua fine.” Siamo certamente in una fase evolutiva, quali saranno le conseguenze lo potranno dire solo il futuro e la tenacia della lotta alla criminalità organizzata.
Secondo te quanto distorce la stampa fatti di questo genere per arrivare allo scoop?
Come per tutte le cose umane c’è la stampa migliore, quella più seria, più consapevole e anche più responsabile, che cerca di riportare i fatti in modo oggettivo, ma anche quella meno fedele. Ci sono indubbiamente, e ci saranno sempre, i casi in cui sono stati enfatizzati o sminuiti alcuni aspetti piuttosto che altri per arrivare allo scoop, per fare il titolone o per dare risalto alla notizia. La cosa importante nel giornalismo è che ci siano sia i fatti che l’opinione del giornalista. Si deve però mettere il lettore in una posizione tale che sia in grado di distinguere la realtà oggettiva dai pareri dell’autore.
Com’è cambiato il modus operandi della mafia rispetto agli anni Novanta?
Credo che sia una cosa abbastanza evidente: se si scorrono le cronache a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta si vedono una serie di fatti violenti, omicidi, attentati, esplosioni, vittime che lavoravano per lo Stato e anche vittime innocenti come, per esempio, la bambina che morì a Firenze per l’esplosione di una bomba. Questo perché la mafia, in quel periodo, decise di operare attraverso azioni simboliche, aggressive e clamorose, per imporre con la violenza manifesta la sua opposizione allo Stato. Questi fatti nell’opinione pubblica hanno provocato sconcerto, reazioni e anche opposizione, quindi la mafia ha cambiato sistema, passando a metodi più
sofisticati, sottotraccia e meno evidenti. La criminalità organizzata adesso agisce soprattutto tramite l’amministrazione, mediante forme di corruzione, con persone qualificate a livello professionale che vadano ad inserirsi nei tessuti economici e sociali in maniera subdola e nascosta. Le iniziative giudiziarie hanno evidenziato un diverso livello di operatività e di governance delle mafie. Accanto alla mafia tradizionale si è sviluppata una mafia imprenditrice che opera anche con la corruzione, il riciclaggio e gli investimenti leciti e illeciti nel tessuto dell'economia.
Quali sono gli ostacoli e gli intralci che hai incontrato durante la tua carriera e che ti hanno impedito di svolgere il tuo lavoro come avresti voluto?
Gli ostacoli e gli intralci non sono mai manifesti, ma sempre più nascosti, meno evidenti. Qualche volta, soprattutto nei reati di pubblica amministrazione o finanziari ed economici, sono l’occultamento di prove, di atti, la mancata collaborazione dei coinvolti e le pressioni esterne; a livello di criminalità organizzata, invece, sono ovviamente le forme di omertà o di paura da parte dei cittadini. Ma, mentre queste ultime sono più comprensibili, perché non si può chiedere a tutti di essere degli eroi, le forme più sottili di connivenza sono meno giustificabili e meno tollerabili. Diceva uno scrittore tedesco, Bertold Brecht:
“Beato quel popolo che non ha bisogno di eroi”, e sempre sulla stessa linea di pensiero Falcone diceva: “Perché la società progredisca e ciascuno abbia la possibilità di crescere e di migliorarsi, bisogna che ognuno faccia semplicemente il proprio dovere”, quindi non ho mai chiesto alla gente grandi atti di eroismo, ma solamente che ciascuno nel privato compia azioni di ordinaria legalità e sia consapevole di essere parte di un organismo più grande. Vedi, la mafia prende posto quando c’è una divisione tra Stato e cittadino, quando quest’ultimo si sente abbandonato e trascurato o non si identifica con lo Stato.
Chi ti ha ispirato a diventare un magistrato?
In realtà, è stata una cosa naturale, quando ho iniziato a studiare giurisprudenza non ho mai pensato di fare altro. Ritenevo che il rispetto della legge e della legalità fosse un compito importante, meritevole di sacrificio.
Secondo te le nuove generazioni continueranno la lotta alla mafia?
Secondo me c’è una diversa presa di coscienza da parte di tanti, soprattutto nei Paesi in cui la mafia è radicata, perché la sua presenza si sente costantemente; quanto questo si tradurrà in atti concreti è, però, un po' difficile a dirsi. Quando si chiede: “vorresti che la mafia cessasse di esistere?”, la risposta è inevitabilmente sì, il problema è l’applicazione pratica di queste affermazioni di principio. Un passo in avanti comunque è sicuramente stato compiuto, perché c’era un periodo in cui in certi territori, soprattutto al Nord,
non si ammetteva neppure l’esistenza della mafia.
Il futuro è in mano ai giovani, pensi che sia un futuro sicuro?
Io mi auguro di sì, però sai che cosa può salvare davvero il futuro dell’Italia? La cultura, la preparazione, lo studio: più una persona è preparata, più ha capacità di valutare i fatti, di interpretare la storia e di credere nelle proprie possibilità, riuscendo a migliorarsi e a migliorare gli altri. L’ignoranza impedisce di distinguere il vero dal falso e quindi di prendere in mano il proprio destino.
Qual è stato il momento nel quale hai avuto più paura? Hai mai pensato di mollare tutto?
Io non ho mai pensato di mollare, mai. Personalmente, ti posso dire che non ho avuto paura per me stesso, perché un magistrato ha tante possibilità di gestirsi in altri ambiti lavorativi, per esempio c’è il magistrato che si occupa di diritto di famiglia, civile o societario. È come se un chirurgo avesse paura del sangue, non dovrebbe fare il chirurgo. Quindi, avendo scelto questo lavoro, sono sempre stato a conoscenza delle conseguenze, e anzi, siccome ho dovuto andare in pensione in virtù di una legge che anticipava l’età pensionabile, quello è stato un momento di fortissima tensione interiore, perché avevo in mente dei progetti da realizzare sulla criminalità delle nuove leve della Camorra, che non ho mai potuto portare a termine.
Quali sono i sacrifici più grandi che hai dovuto fare a causa del tuo lavoro? Ne è valsa sem-
Io ho scelto il mio lavoro per passione, come ritengo si debba fare. Il lavoro già di per sé comporta fatica e se non ci sono la passione e la voglia di farlo diventa particolarmente gravoso. Chiaramente ho dovuto sacrificare qualcosa della mia vita privata, del tempo sottratto alla famiglia o a me stesso, ma non me ne sono mai pentito, nonostante, chiaramente, qualche volta i dubbi ci siano stati e non sempre i risultati siano stati pari alle aspettative. Un magistrato, però, non può pensare di fare giustizia in assoluto, è un obiettivo troppo grande, troppo complesso: deve assicurarsi che l’applicazione della legge sia coerente con la realtà dei fatti di cui uno dispone. Uso questa espressione perché molte volte le prove, sia nel giudizio civile, sia nel processo penale, sono diverse dalla realtà che uno può immaginare o supporre, ma si deve sempre giudicare secondo quelle che sono le risultanze degli atti.
Che consiglio daresti ai ragazzi che vogliono intraprendere la tua stessa carriera?
Direi loro di intraprendere questo tipo di carriera solo nel caso in cui abbiano una particolare passione per questo lavoro, che presuppone dedizione e la necessità di un’ottima preparazione che deve essere continuamente aggiornata. Se si vuole essere un buon magistrato si deve capire che si hanno delle responsabilità molto grandi e che si deve continuare a studiare sempre, perché il diritto è in continua evoluzione e necessita di aggiornamenti costanti.
di edoardo bonalumi , alessia petrera e mattia sessa vitali
Il 20 gennaio 2023 sarà ricordato come un giorno storico per il calcio italiano: ancora una volta, purtroppo, per un ciclone abbattutosi su di esso, e in particolare sulla Juventus, dalla sala di un tribunale. La Corte Federale d’Appello ha infatti sanzionato la società torinese con ben 15 punti di penalizzazione da scontare nel campionato di Seria A tuttora in corso, per il cosiddetto “caso plusvalenze”: una bastonata micidiale per le speranze bianconere di partecipare alla prossima Champions League.
Prima di scendere nei dettagli occorrerebbe però spiegare esattamente cosa si intende con il termine “plusvalenza”. La plusvalenza è data dalla differenza tra il ricavo della cessione ed il valore contabile con il quale il bene oggetto di vendita risulta essere iscritto a bilancio. Per esempio, poniamo che la società calcistica A compri un giocatore a 10 milioni di euro per un contratto di cinque anni. Per calcolare la quota di ammortamento bisogna dividere il prezzo del cartellino per gli anni del contratto: in questo caso, quindi, ammonterà a 2 milioni. Così, alla fine del primo anno di contratto, il valore contabile - ossia la differenza tra il costo di acquisto e la somma delle quote di ammortamento stanziate fino a quel punto – corrispon-
derà a 8 milioni, dopo due anni a 6 milioni, e così via, fino a cinque anni dopo, quando il valore sarà pari a zero. Se però una società dovesse decidere di rivendere il calciatore prima della fine del contratto ad un prezzo superiore al valore contabile, si genererà la plusvalenza.
Fin qui non c’è nulla di strano, trattandosi esclusivamente di alta finanza. Il problema si verifica nel momento in cui si abusa di questo sistema, dando vita alle plusvalenze fittizie. Anche dette “a specchio”, si creano attraverso lo scambio di giocatori, non dando valutazioni reali dei cartellini, ma appunto gonfiando il valore di cessione. Si tratta di operazioni che offrono vantaggio a entrambe le società che eseguono lo scambio, poste in essere per “sistemare” i bilanci. A questo proposito esiste infatti il cosiddetto Fair Play Finanziario, introdotto dalla UEFA nel 2009. L’FPF altro non è che un meccanismo attraverso il quale vengono controllati i bilanci dei singoli club per verificare il principio del pareggio di bilancio, ossia un equilibrio tra le spese affrontate dalle società, come il costo degli stipendi o i cartellini dei giocatori acquistati, e i ricavi da esse ottenuti. Nello specifico esso deve risultare in positivo, pari tra le due voci di entrata e uscita, essendo comunque ammessa una lieve perdita di
massimo 5 milioni per ognuna delle tre annualità prese in esame ad ogni controllo.
Considerando ciò, viene comunque da chiedersi come mai solamente il club torinese abbia ricevuto un tale colpo, in quanto le altre otto squadre coinvolte nel processo sono state tutte assolte. Pare che la causa di questa punizione sia la natura ripetuta su più anni del comportamento censurato e dunque la sistematicità dell’evento e la rilevanza della reiterata violazione dei principi di verità e correttezza dei bilanci interessati. Rimane però il dubbio che la Juventus possa essere stata immolata come esempio per le altre squadre: le plusvalenze si fanno in due e la mancanza di condanne per gli altri club insinua il sospetto. Per non parlare del fatto che una vera regolamentazione delle plusvalenze non è in vigore: non ci sono norme che definiscano quando questa diventi reato, facendo sì, quindi, che la condanna della squadra di Agnelli sia basata su un crimine che effettivamente non esiste.
In ogni caso, però, ci si continua a chiedere se sia giusto penalizzare una squadra di calciatori e i suoi tifosi per degli errori commessi dalla dirigenza, falsando inoltre l’esito di un intero campionato. Se la Vecchia Signora saprà rialzarsi ce lo potrà dire ancora una volta soltanto il pallone.
Mai lamentarsi, mai spiegare. Questo è il motto della famiglia reale, mai come ora violato dalla pubblicazione di SPARE, il libro-scandalo in cui Principe “Harold” - così chiamato dall’amato fratello “Willy” - si accanisce contro la famiglia e contro la stampa, mostrando un odio particolare verso i paparazzi.
Il romanzo racconta la vita di Harry, in oltre cinquecento pagine, scritte dal ghostwriter J.R. Moehringer. Questo non era certo il primo memoir del vincitore del Premio Pulitzer, che già aveva pubblicato altre biografie di grande successo, come quella riguardante la vita del campione di tennis Andre Agassi, perciò in molti sono rimasti sorpresi leggendo il suo ultimo lavoro, giudicato dai più a dir poco mediocre. Il racconto comincia con l’infanzia di Harry, e procede con la morte di Diana, l’elaborazione del lutto, il padre assente ed il rapporto difficile col fratello, mettendo in luce quanto soffrisse perchè considerato the spare, ovvero il fratello di scorta, erroneamente tradotto con “il minore”. Proseguendo nella narrazione, si parla del suo servizio militare in Afghanistan, dell’elaborazione del trauma post bellico e dell’incontro clandestino con l’amore della sua vita, passando poi alla storia che tutti conosciamo: quella dell’abbandono dei titoli, della fuga dai tabloid
e, infine, della morte della nonna. Insomma una vita fatta di scandali, conflitti familiari e dipendenze, che si sono poi inasprite con la questione dell’eredità.
Nel suo libro, Harry non fa differenze, colpendo tutti indiscriminatamente con le critiche e i segreti rivelati, senza risparmiare nessuno all’interno della famiglia reale, nemmeno sé stesso, raccontando della sua dipendenza dalle droghe e dall’alcol, dell’adolescenza spericolata e delle numerose uccisioni di cui si è reso responsabile durante la guerra. L’unica a venire graziata sembra essere la Regina Elisabetta, che ne rimane relativamente illesa. Per non parlare della moglie Meghan Markle, descritta in modo quasi dantesco, come un angelo candido senza difetti, contrastando con l’opinione generale della famiglia reale, che spesso la descrive, nel migliore dei casi, come una “semplice attrice americana”. Meghan, infatti, interpretava uno dei protagonisti nella serie Netflix Suits, dove, secondo quanto si legge nel libro, William e Kate amavano vederla recitare, prima che lei fosse costretta ad abbandonare il ruolo su richiesta della Regina Elisabetta a seguito del fidanzamento.
A questo punto però a chi credere? Il Principe che più volte aveva dichiarato di voler vivere una vita normale, pubblicando questo libro ha attirato ancora una volta gli occhi del mondo su di sé.
Senza contare gli enormi profitti da lui ricavati, considerando che il prezzo di una copia ammonta a quasi trenta euro. Sarà dunque la verità scritta tra quelle pagine o solo un altro mezzo per ottenere maggiore visibilità? Temiamo che questa risposta rimarrà per sempre chiusa tra le mura di Buckingham Palace. Ciò che è certo è che questo libro mostra indubbiamente tre cose: il decadimento della famiglia reale negli ultimi decenni, quanto ognuno sia disposto a sacrificare per mantenere la propria reputazione e la necessità di, come si suol dire, prendere sempre tutto “con le pinze”.
L’archivio storico del Parini è un ambiente che racchiude decenni e decenni di storia e di tradizione del nostro liceo, sotto forma di documenti e pagelle dei pariniani che prima di noi hanno popolato le nostre aule. Vi immaginerete che si tratti di un ambiente ottocentesco, degno dell'eleganza che regna in alcuni ambienti del liceo, in armonia con la biblioteca, gli emicicli e le vecchie aule. Invece, sebbene sia un luogo dall'atmosfera suggestiva e affascinante, non valorizza il tesoro che realmente contiene.
Accompagnate dalla prof. Zaninelli e dall’ex prof. del Parini Gianguido Piazza, abbiamo avuto l’opportunità di visitare questo posto misterioso che - per chi non lo sapesse - si trova al primo piano, giusto a sinistra della presidenza. L’archivio è costituito da due stanze, di cui però solo una è agibile, in quanto la seconda, a partire dal periodo di pandemia, ha perso la sua funzione e il suo fascino originali, fungendo ora da ripostiglio per scorte di igienizzanti e scatoloni vari.
La tradizione dell’archivio, precedentemente situato in Via Fatebenefratelli e che è stato poi trasferito qui, risale alla vecchia sede del Parini. Il prof. Piazza ci ha spiegato le problematiche legate al mantenimento e all’aggiorna-
mento dell’archivio; una quantità di lavoro inimmaginabile di cui, però, lui non può occuparsi di persona. Questo perché il professore è uno storico, non un archivista, perciò può solo limitarsi a supervisionare l’archivio di tanto in tanto in qualità di appassionato. Per usare le sue parole: “bisognerebbe trovare uno spazio a parte per riporre i materiali che ingombrano il pavimento, in modo da rendere accessibile la seconda stanza e permettere di consultare gli scaffali”. Infatti, lui stesso, negli anni del suo insegnamento al Parini, aveva organizzato laboratori e faber quisque di ricerca storica che consistevano nel rintracciare alcuni documenti riguardanti gli studenti colpiti dalle leggi razziali del ‘38, i pariniani partigiani e le prime studentesse che hanno avuto l’opportunità di studiare nella nostra scuola.
Un altro problema, questa volta di maggiore portata, è la necessità di una nuova archiviazione, considerando che l'ultima risale agli anni ‘60. Se pensate di potervi trovare le pagelle dei vostri fratelli maggiori o dei vostri genitori vi sbagliate: quelle si trovano ancora nel seminterrato, in attesa di essere riportate alla luce e archiviate. Perciò sessant'anni di documenti sono ora accatastati, disordinati e inaccessibili, nonostante di norma passati i trent'anni possono essere
trasferiti dall'archivio di deposito a quello storico. Ciò significa che i documenti fino al ‘90, che avrebbero potuto aggiudicarsi un posto al primo piano, sono ancora tra la muffa e la polvere del seminterrato per mancate risorse. D’altra parte, però, riconosciamo che si tratta di un lavoro lungo e impegnativo, in quanto bisognerebbe assumere un archivista e trovare uno spazio idoneo ad accogliere ulteriori documenti, lavoro che richiederebbe un enorme dispendio di tempi e di fondi.
Abbiamo quindi discusso della questione con la prof. Zaninelli, la quale in precedenza ha cercato e pubblicato la pagella di Dino Buzzati, riflettendo sull’importanza di questo patrimonio comune, che ha reso la nostra scuola come è oggi. Noi crediamo che riaprire le porte dell’archivio sia un’ottima iniziativa per fare un’esperienza didattica e di identità culturale e, dal momento che è già stata realizzata, sappiamo che può essere concretizzata. Ci vengono in mente mille idee: faber, laboratori di PCTO, progetti di educazione civica e incontri in cui ospitare archivisti professionisti e figure del mestiere. Insomma, quale migliore opportunità per informarci sulla storia del nostro liceo e riscoprire le sue, anzi le nostre, origini?
Di rachele bailo, valeria magnani E sara maria salamone
L’odore della carta dei libri, le loro pagine ingiallite, le copertine di pelle ormai usurate dal tempo, la grafia che si ottiene solo con la penna stilografica. Questa è l’atmosfera che si respira nel nostro archivio storico, che, nonostante non si trovi nella sua forma migliore, conserva la sua unicità. Noi lo abbiamo visitato e abbiamo provato la sensazione di tenere in mano qualcosa che appartiene a un passato lontano, ma che allo stesso tempo fa parte di ciò che siamo. Questa aria densa di tradizione e storia ci emoziona e fa riflettere, soprattutto se messa a confronto con la nostra realtà, abituati come siamo a usare e leggere tanto su telefoni e pc.
Prese quindi dalla curiosità di portare alla luce qualche documento interessante e degno di essere pubblicato e condiviso con voi, cari Lettori, abbiamo ripescato la pagella di Carlo Emilio Gadda, scrittore e poeta di grandissima fama, che poco
più di un secolo fa frequentava il nostro stesso istituto. La pagina che abbiamo trovato risale all’anno scolastico 1909-1910 e appartiene a un unico registro complessivo di tutti gli iscritti di quell’anno. Dopo aver sfogliato tra elenchi, nomi - principalmente maschili, considerato il periodo storico - numeri e giudizi, siamo arrivate al fatidico obiettivo. Dunque, veniamo al sodo: come se la cavava il nostro Gadda pariniano?
Se vi aspettate che la materia in cui eccelleva fosse italiano, non vi sbagliate! La media annuale dei tre trimestri riporta un bel nove sia nello scritto che nell’orale, mentre nelle altre materie non c’è nemmeno un voto inferiore all’otto, neanche in quelle scientifiche: non a caso prima di essere scrittore Gadda è stato anche ingegnere.
L’unico punto “debole” per i suoi straordinari standard, ma sicuramente non per i nostri, è Ginnastica, in cui aveva rimediato un 7: è comprensibile che
non si possa eccellere in tutto. Per concludere in bellezza, il risultato dello scrutinio, che riassume il suo ottimo rendimento: promosso con menzione onorevole. A tutti gli effetti uno studente modello!
Gadda a parte, fare ricerca nel nostro archivio storico è un vero tuffo nel passato, oltre che un grande privilegio che poche scuole vantano… siamo ansiose e curiose di sapere quali altri documenti salterebbero fuori da future ricerche.
Anna Bardazzi ha guadagnato il secondo posto al premio Kihlgren 2022.
Crede che il ruolo dell’autore e del libro al giorno d’oggi siano cambiati rispetto al passato? Se sì, quale pensa che sia il loro nuovo ruolo?
Non so se sia cambiato propriamente il loro ruolo, ma certamente è mutato il mondo dell’editoria e di conseguenza anche il modo di pubblicare i libri: si pubblicano molti più libri, dunque emergere come scrittore è più difficile, essendo la fetta di mercato nettamente più piccola. Si è poi creata una nuova categoria di aspiranti scrittori, ovvero le persone famose sui social, su cui le case editrici puntano di più, poiché c’è una maggiore garanzia di vendite. Inoltre, penso che oggi sia più difficile essere notato per qualità come la potenzialità della storia o la bravura nella scrittura, e riuscire a guadagnare lo stesso pubblico è un’impresa molto più ardua per chi non ha già una certa influenza.
Lei crede che nell’era attuale del cinema liquido il libro rischi di essere soppiantato da questi altri mezzi di intrattenimento?
No, credo che il libro resterà sempre perché alle persone piace ancora leggere, e quelle che non leggono adesso non lo facevano neanche prima. Inoltre, pen-
so che il fatto che si parli di libri anche sui social aiuti a diffondere la pratica della lettura: se, infatti, una tale influencer consiglia un libro, magari ci sono delle persone che si incuriosiscono e lo leggono. Ad oggi ci sono poi nuovi mezzi che possono agevolare la diffusione dei libri, come gli audiolibri che, benché io non sia una grande amante di questa forma di “lettura”, certamente permettono di fare conoscere delle storie che altrimenti non si leggerebbero per vari motivi. Non penso proprio che ci sarà qualcosa che potrà sostituire completamente i libri, piuttosto credo che si svilupperà un modo di usufruirne diverso, sempre più “pop” e meno “intellettuale”.
Dunque ci sarà una perdita generale nel contenuto dei libri oppure comunque chi vuole raccontare una storia un po’ più impegnata riuscirà a farsi ascoltare?
Credo che chi ha veramente una voce forte e qualcosa da dire riuscirà comunque a fare strada perché, per fortuna, esistono ancora lettori che si appassionano quando trovano una bella storia e la fanno emergere. Ovviamente ci sarà anche un proliferare di storie che magari hanno meno valore ma vendono molto, che, come dicevo prima, sono più commerciali, e questa è un’evoluzione normale. Da una parte fa bene anche al
mondo dell’editoria: per un editore avere un autore che fa vendere molto permette anche di pubblicare autori di nicchia, ma più di qualità a livello di contenuto. Visto che ora ha iniziato ad affacciarsi al mondo dell’editoria, quale sarebbe un consiglio che vorrebbe dare agli scrittori del futuro?
Sicuramente leggere tanto, infatti ho capito che per scrivere un buon libro serve leggere molto, sia storie che siano in qualche modo collegate a quello che si vuole scrivere, sia storie che abbiano uno stile che ci piace, che proviamo anche a rincorrere. Consiglio di non essere avventati, di prendersi il tempo che serve per scrivere e per correggere gli errori, poiché, come dicevo prima, il mercato è talmente saturo che non si hanno molte possibilità. L’altro consiglio che sento di dare è di non mandare il manoscritto come capita, ma di cercare un agente, o un’agenzia letteraria, che creda nel progetto, lo prenda a cuore e lo presenti a modo suo, perché se non si ha un agente o se non si è qualcuno di già noto, non si ha alcuna possibilità, escludendo qualche caso di fortuna unica. Quindi, gli step: produrre un buon libro, che non sia solo scritto di getto, ma che funzioni effettivamente dal punto di vista narrativo e stilistico, e trovare qualcuno che lo rappresenti e che sappia proporlo nel modo giusto.
Sappiamo tutti che Cesare non è interessato a dirci di sé nulla più dei suoi meravigliosi exploit militari: dai suoi scritti ci sembra così un grandissimo, impavido generale che è tanto di rado colto in fallo…
Eppure basta leggere altrove e subito si comprende che aveva invece un caratterino niente male.
Ma procediamo per gradi: una delle suddette fonti è, ancora una volta, il nostro caro Plutarco, il quale non comincia la vita di Cesare con ruggenti aneddoti sulle visioni della madre finché lo teneva in grembo.
Plutarco sembra non aver alcun interesse nel delineare la famiglia di Cesare e parte in quarta raccontando di come Silla (il dittatore) gli ordinò di ripudiare la prima (forse già la seconda) moglie, Cornelia. Seguiremo il suo esempio, e riportiamo solo il sonoro no con cui Cesare rispose alla richiesta dell’uomo allora più potente di Roma.
La vita raminga di Cesare, dunque, comincia con una fuga dalle autorità e questa sua intraprendenza è anticipata già dalla sua spericolatezza giovanile: amava andare a cavallo e in particolare amava lanciare il suo prode destriero al galoppo e cavalcare con le mani unite dietro la schiena.
Anni più tardi, quando aveva una reputazione da mantenere, decise invece di unire l’utile al dilettevole, e mentre cavalcava dettava le proprie lettere a uno scriba.
Il nostro Cesare viveva però su più registri, e a questa sua aristocratica abitudine si contrappone il fatto che, per esempio, non aveva esattamente un palato finissimo. Una volta a Milano gli servirono degli asparagi conditi con unguenti anziché olio d’oliva: Cesare ne mangiò senza fare una piega, sotto lo sguardo inorridito degli altri convitati.
Inorridire non è una reazione del tutto inappropriata di fronte a certe sue azioni. Non mi credete? Ecco un esempio: poco dopo la rocambolesca fuga di cui sopra, decise di andare a prendere lezioni di retorica - indispensabile per fare carriera - da un famoso maestro, ma il suo viaggio si interruppe quando fu catturato dai pirati, che chiesero un riscatto di venti talenti.
Dopo aver riso di loro, quasi offeso, rialzò il proprio stesso riscatto a cinquanta talenti e promise che l’avrebbe presto pagato. Passò i trentotto giorni di prigionia come se quelli fossero le sue guardie e attendenti: con loro scherzava, componeva versi e li declamava, e se non si mostravano debitamente meravigliati dava loro degli ignoranti e dei barbari e candidamente scherzava con loro dicendogli che li avrebbe fatti crocifiggere tutti una volta libero.
I pirati non avevano dubbi che scherzasse, anzi, erano divertiti dalla sua faccia tosta!
Indovinate che ha fatto appena è stato liberato? Già.
Interviene qui, in difesa di Cesare, Svetonio (poco più giovane di Plutarco, ma ancor più
pettegolo di lui), secondo cui Cesare, per non prolungare la loro agonia, li fece sgozzare prima di appenderli: e a suo avviso ciò è chiaro segno della politica di clementia che Cesare adotterà con i suoi nemici quando sarà dittatore.
Dopo aver detto ciò, Svetonio si premura di precisare che pure i nemici erano tutti concordi nel dire che dei tanti vizi di Cesare, il vino non era fra questi. Pare infatti che Catone avesse detto che di tutti quelli che hanno tramato contro lo Stato, Cesare era l’unico a non essere ubriaco. E quando si trattava di porre Cesare in cattiva luce Catone certo non si tirava indietro: per protestare contro il fatto che Cesare camminasse strascicando a terra la toga, “alla maniera delle donne”, Catone andò in Senato in toga corta e peli a vista, in una sorta di costume semi-adamitico che all’epoca era considerato più virile.
Non era il primo ad avere da ridire su come si vestisse il nostro beniamino: già Silla aveva avvertito attenti al ragazzo che porta male la cintura! Per non parlare del suo aspetto estetico in generale: Svetonio non può fare a meno di sottolineare che Cesare teneva quei pochi capelli che aveva in avanti, come una sorta di riporto.
Insomma, a ben cercare, si capisce perché Cesare ha avuto tanto successo come icona pop: magari avesse inserito uno di questi aneddoti nei suoi Commentarii…
Ah, finalmente le pagelle! Ci è voluto abbastanza, anche troppo per i miei gusti, a pubblicarle, mi meraviglio ancora di come il resto dei miei colleghi non abbia per adesso deciso di rivoltarsi, ribellarsi, protestare contro il sistema o, almeno in parte, far emergere uno scandalo; ma la cosa che mi turba maggiormente, che mi sconcerta, che mi sbigottisce sono i mediocri, per non dire terribili e orripilanti, voti degli odierni pariniani: ai miei tempi non erano ammessi simili gradi di disordine e incompeten-
za! Me li immagino, nelle loro case, a dover fronteggiare il biasimo dei genitori che farfugliano in segreto nel tentativo di ideare supplizi punitivi; e pensare che mio nonno si impegnò così tanto… Mi stupisce che i professori, da cui, poi, dipende la loro educazione, il loro futuro, non siano ancora stati sollecitati ad agire in qualche modo anche dalla propria coscienza. Ah, ma parlare di coscienza, oggi! Ahinoi! Ebbene, invece di incolpare questi ultimi, dovrei forse rivolgere il mio sguardo a una generazione da me così lontana – pensate addirittura che cade questo mese il mio
È tempo di un Allegro con brio Troverai il coraggio per affrontare temibili nemici, come la pila di carte sulla tua scrivania.
Potresti provare a vincere la pigrizia riscoprendo l’opera italiana: La bohème di Puccini fa al caso tuo.
Chitarre, bassi e liuti ti aspettano: con le tue dita hai il potere di raggiungere l’ineffabile e, pertanto, di disegnare i sentimenti.
Questo mese saprai scrivere grandi versi per la persona che ami. Segui però il consiglio di Montale, non farti intortare dalle rime!
Mi duole credere che davvero si sia smarrito il diletto, il piacere, l’amore per gli studi classici: posso almeno consolarmi di non aver dato io il nome a questo edificio, per quanto nell’altro non mi figuri circostanze poi tanto dissimili… Eppure, mah! Eppure, vi dico, ci sarà qualcosa che piaccia studiare, per cui si vuole un pochino bene a chi l’insegna, qualcosa che non si abbia appieno in odio: e se anche riuscisse ad annoiare, credete che non s’è fatto apposta, insomma.
Marzo ti farà uscire di senno. Sbrigati a scrivere un requiem dedicato al tuo raziocinio, finché sei lucido.
Questa primavera ti innamorerai del theremin, uno strumento al confine tra realtà e sogno: come quell’otto in Fisica.
Quel vecchio incidente rischia di avvelenare le tue giornate, mitigate da piccoli successi personali: Allegro non troppo.
Se non volete sentire le trombe del Giudizio siate generosi: cedete almeno un foglio protocollo alla prossima versione.
Quest’anno marzo vi renderà inclini a meditazioni filosofiche, accompagnate dalla voce elegiaca del violoncello.
Non si direbbe, ma riuscirai finalmente a innamorarti. Che aspetti, siediti al pianoforte! (e mi raccomando, Chopin Op. 69 n. 1!).
Questo mese sarà più impegnativo di un capriccio di Paganini: di sicuro la lotta per la sopravvivenza non vi annoierà.
Riparate la fisarmonica! Marzo sarà il tango che aspettavate di ballare da molto, e rimedierete un paio di avventure degne di essere narrate dal Boccaccio.
La dark comedy è un genere il cui tasso di gradimento è oscillante: alcuni la amano, altri la odiano. Ma se c’è un film che può unire queste due fazioni è sicuramente Gli Spiriti dell’Isola, nuova opera del talentuoso regista Martin McDonagh, che con la sua tagliente comicità ha permesso alla pellicola di ricevere nove candidature agli Oscar.
La storia è ambientata sulla pacifica Isola irlandese di Inisherin, dove la vita è noiosa e monotona. Pádraic, tuttavia, ha sempre vissuto felicemente con sua sorella e il suo amico Colm, che decide però di porre bruscamente fine alla loro amicizia: da qui la situazione degenera rapidamente, nei modi più imprevedibili. Per quanto la trama sia semplice, McDough l’arricchisce con sottili elementi thriller mescolati al folklore irlandese; inoltre, la pellicola fa spesso uso della simbologia, e per questo ci sono varie interpretazioni sul finale del film.
Un altro punto di forza è la recitazione: ben 4 attori hanno ricevuto una candidatura agli Oscar nelle loro rispettive categorie: Colin Farrel (attore protagonista), Brendan Gleeson e Barry Keoghan (attore non protagonista) e Kerry Condon (attrice non protagonista). Anche il lato tecnico della produzione è eccellente: la fotografia cattura perfettamente le verdi colline irlandesi e il montaggio è ottimo.
La musica – principalmente da xilofono e arpa –del compositore Carter Burwell è anch’essa notevole. Non è un film per tutti, per il suo ritmo talvolta lento e la sua complessità, ma chi ama le commedie più serie o la filmografia particolarmente artistica non ne rimarrà deluso.
Come tutti saprete, dopo una lunga attesa e tantissima anticipazione, il 23 febbraio è finalmente uscita la terza stagione di Outer Banks; sarà stata, però, all’altezza delle nostre aspettative? La risposta a questa domanda non è così semplice, ma prima di iniziare facciamo un passo indietro.
Per chi non conoscesse l’amatissima produzione Netflix, basti sapere che la serie TV segue le avventure di sei ragazzi - John B, Sarah, JJ, Kie, Pope e Cleo - alla ricerca dell’oro della Royal Merchant. Caccia al tesoro che, però, si rivelerà ben presto essere molto più pericolosa del previsto. Tra inseguimenti, tradimenti, antichi cimeli di famiglia e naufragi su isole deserte, i sei amici vedranno le loro vite cambiare per sempre e dovranno scavare a fondo nel loro passato per scoprire la verità.
La seconda stagione ci aveva lasciati in sospeso, con un gran numero di domande senza risposta e delle aspettative altissime, che, forse, non sono state del tutto soddisfatte. La trama della terza stagione, che segue il gruppo alla ricerca di un terzo tesoro, per quanto coerente con il resto della serie, può sembrare ridondante e ripetitiva, senza veri e propri momenti di suspense che ci tengano sulle spine. Per non parlare della superficialità con cui vengono trattate le relazioni tra i vari personaggi, ai quali è riservato pochissimo tempo, favorendo invece le sequenze d’azione.
In breve, l’ultima stagione della serie girata da Valerie Weiss si può ritenere senza infamia e senza lode, salvata solo dalle impeccabili performance degli attori e dalla fotografia di Brad Smith che ci fa venir voglia d’estate.
(Di Filippo Ginevra)(Di Alessia Petrera)
Una continuità di 42 minuti e 35 secondi data da canzoni – meglio, esperienze musicali – che non si interrompono succedendosi l’una dopo l’altra, come perfettamente incastonate in un cerchio destinato a chiudersi: l’esperienza di una vita dalla sua fase embrionale al suo trapasso, dai primi battiti agli ultimi, liricamente raccontata in un’opera che, dopo cinquant’anni, segna ancora l’apoteosi dell’idea di concept album, della sperimentazione musicale del secolo scorso, dell’analisi poetica dell’uomo nell’evoluzione del mondo fuori e dentro di lui. The Dark Side of The Moon è un tentativo elegiaco di analizzare e comprendere gli aspetti più ignoti della natura umana, ma al tempo stesso più comuni: la morte, il tempo, il denaro, la follia si intrecciano in un racconto completo della vita.
I Pink Floyd, formatisi nel 1965, decidono, con questo album, di abbandonare lo spazio e la psichedelia per dedicarsi alla vita terrena, fondando il rock progressivo. “Riciclano” varie sperimentazioni degli anni prima, ma, allo stesso tempo, creano pura novità secondo l’evidente processo artistico della band londinese per cui ogni album è costruito sul precedente. Creano uno squarcio nella musica, sia nel modo di pro-
durla che di concepirla: utilizzano il sintetizzatore e il multitraccia per registrare, incorporano voci e suoni della vita quotidiana sulla scia della musique concrète e della diffusione di quest’ultima nella musica popolare a partire dalla decade a loro precedente, ponendo il lavoro dell’ascoltatore al centro dell’esperienza e dando vita, in questo modo, a un nuovo tipo di musica colta.
La melodia è strutturata con una geniale architettura colma di inserti sonori: si passa dalle voci e i rumori di un aeroporto in On The Run - brano composto da Richard Wright sulla sua paura di volare -, per il ticchettio di sveglie e orologi di Time, e il blues arricchito da suoni di monete e registratori di cassa in Money, fino ad arrivare a Brain Damage, penultimo brano e unico nel quale si cita il titolo dell’album in concomitanza della follia di cui tratta, e, infine, a Eclipse, che chiude il cerchio con il celebre verso But the sun is eclipsed by the Moon, concludendosi con voci basse e un battito decrescente.
Precursore della musica elettronica, l’album è reso metastorico dalla potenza e complessità dei temi trattati, che hanno valenza illimitata proprio per la loro trasversalità nel tempo e nello spazio. È esso stesso un’entità propria che suscita un flusso irreversibile
di pensieri e sensazioni fuse con il suono. La vita sembra scorrere al dipanarsi di ognuna delle dieci tracce, che poi si riaggrovigliano all’arrivo della seguente, ad ogni assolo, ad ogni nota. Non a caso, la registrazione di un battito cardiaco è il primo suono che sentiamo, ma anche l’ultimo: ogni brano contribuisce infatti a dare significato all’insieme. Tutto sembra continuo e al suo posto, in contrasto con il significato intrinseco dell’opera che tenta di comprendere la vastità degli interrogativi umani nel loro caotico presentarsi.
L’album usciva il primo marzo del 1973, e oggi, dopo 50 anni, ha ancora qualcosa da comunicarci. Come scrissero i quattro, a otto mani, in una delle tracce più famose dell’album The time is gone, the song is over, thought I’d something more to say
di corrado calissano
ORIZZONTALI:
1. Lo possiede chi sa di avere la carta vincente - 15. Il fascio del ventennio - 16. Chi manca di riconoscenza - 17. Cavità orale spesso soggetta a infiammazione - 18. Le consonanti di Enna - 19. Vado arcaico - 20. Nel cuore della nomea - 21. Chi fa il bene - 26. Strumenti in Italia comunemente associati a tamburelli a sonagli - 29. La nota D’Este di Mantova - 31. Si usa solo una volta - 32. L’anche latino - 33. Messi a tacere - 34. La sorella di Luke Skywalker - 37. Raccolte di sangue nella pinna auricolare - 39. Il mantra di Forrest Gump - 41. Adesso poetico - 43. Dentro - 44. Non lo è sempre se luccica - 45. Flusso di solvente tra due soluzioni separate - 47. l’abuela di “Coco” - 49. Iniziali dell’Open di Francia - 50. Il letto tra le cortine - 51. Istituzioni fornite di personalità giuridica - 52. Il pulcino della radio - 53. Con il quarzo costituisce la porcellana
VERTICALI:
1. Orazione, sermone - 2. Lo sono i gemelli inseparabili - 3. Stravolto, esausto - 4. Officine Terapie Innovative - 5. Lo fa chi ordina la pizza con l’ananas - 6. Un “dunque” senza o - 7. Leggere preoccupazioni, piccoli dubbi - 8. La fine del cielo - 9. Le zecche inglesi - 10. Una cosa che i ripete ogni dodici mesi - 11. Le iniziali dell’autrice di “Lessico famigliare” - 12. L’andare degli spagnoli - 13. Saranno amari per chi ha commesso una marachella - 14. Ambito Territorio Ottimale - 22. Il più celebre ponte veneziano - 23. Monumento celebrativo simbolo del dio Ra - 24. Il frutto del duro lavoro dei bachi - 25. Li pulisce il Bert amico di Mary Poppins - 27. Il cognome del “grillo” ciclista - 28. Il fiume che cancella ogni memoria del passato - 35. Le vocali del beone - 36. La città dell’autodromo
“Enzo e Dino Ferrari” - 38. Morì per l’emozione nel riconoscere Ulisse - 39. Lo sono i cespugli di more - 40. Adoperan, impiegan - 42. Il Weasley amico di Harry - 46. L’unità di misura della quantità di sostanza - 48. Anta senza doppie - 50. Prima di Cristo in breve
di francesco sciarrino e cloe vailati
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