Umanità violata: storie di popoli perseguitati
L’ULTIMO GENOCIDIO DEGLI YAZIDI di Alessandro Luparello
Nadia Murad Basee Taha dà un volto alle migliaia di donne yazide che sono state violentate dai membri dell’ISIS. I suoi sforzi per porre fine alla violenza sessuale come arma in guerra le sono valsi il Premio Nobel per la Pace 2018 - Ph: © Picture Alliance/dpa/V. Simanek
Iraq del nord. Metà estate. Domenica. Forse se ne percepivano i prodromi, forse. Nero attorno. Come una bandiera diventata simbolo di morte e vessillo di propaganda, come i villaggi incendiati al passaggio dei miliziani jihadisti, come i veli integrali imposti alle donne, come la terra gettata sulle fosse comuni, come l’orrore dei proclami e delle esecuzioni. Alle prime ore del 3 agosto 2014 la furia devastatrice di Daesh si è abbattuta con estrema crudeltà, ferocia e potenza (ma in modo tutt’altro che scoordinato e casuale) sui villaggi della piana di Nineveh. L’obiettivo non era quello di rafforzare il controllo territoriale pseudo-statuale del c.d. Califfato islamico (proclamato da Al Baghdadi il 29 giugno) ma di colpire una specifica minoranza curda, pacifica e molto chiusa che abitava (e abita) quell’area: gli Yazidi. Daesh, che pure ha perseguitato tutte le minoranze (mandei, cristiani siriaci, sciiti, turcomanni), contro gli yazidi ha metodicamente pianificato ed eseguito con intransigenza e lucidità una vera azione genocida. Unico obiettivo: sradicarli, eliminarne le fondamenta culturali, distruggerne i templi, incendiarne case e campi, avvelenarne i pozzi. Degli yazidi non sarebbe dovuto rimanere nulla, nulla che sarebbe potuto
Voci - DICEMBRE 2020 N.2 / A.6
tornare a vivere lì in futuro. Genocidio, appunto (riconosciuto come tale dall’ONU il 16 giugno 2016: “They came to destroy: ISIS crimes against the Yazidis”). Gli Ēzidī (in curdo) / Yazīdī (in arabo) sono una comunità religiosa di etnia e lingua curde, molto esigua nei numeri (circa 3-500’000 persone) e molto localizzata geograficamente (principalmente nel nord dell’Iraq e, in minima parte, in Siria e nel Caucaso). Il loro tratto distintivo è rappresentato sostanzialmente dalla religione professata; questa ha origini antichissime (sebbene se ne rilevino diverse stratificate contaminazioni da islam, ebraismo e cristianesimo) ed è molto identitaria: non sono ammessi matrimoni con persone di altre religioni e non sono ammesse, né in un senso né nell’altro, conversioni; ciò indubbiamente ha contribuito e contribuisce in modo significativo alla chiusura e all’isolamento della comunità e all’esoterismo che ne circonda la dottrina (tramandata peraltro prevalentemente in forma orale).
18