Rivista mensile di Ornitologia Scientifica - Tecnica - Pratica Organo Ufficiale della F.O.I.-Onlus
ANNO XLVII numero 2 2021
Canarini di Colore
Estrildidi Fringillidi Ibridi
Canarini di Forma e Posizione Lisci
Ondulati ed altri Psittaciformi
Bruno Satiné
Il fattore scurente nel Diamante di Gould
Lizard: questione di rowing
Pionites melanocephalus
ANNO XLVII NUMERO 2 2021
sommario 3 5
Apparire Giovanni Canali
Bruno Satiné Peppino Vitti
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Photo Show Le foto scattate dagli allevatori
Il sorbo: pianta della prudenza e della saviezza
41 45 48
Pierluigi Mengacci
L’olfatto Dino Tessariol
Orni-flash News al volo dal web e non solo
Concorso di disegno “Allevare è proteggere”
Canarini di Colore
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Estrildidi Fringillidi Ibridi
Giancarlo Lotierzo
Lizard: questione di rowing Antonio Di Tillio
Il Santo Graal degli ibridi Piercarlo Rossi
Canaricoltura da canto Francesco Di Giorgio
Pionites melanocephalus Francesco Dalba
Spazio Club Club Italiano del Canarino Jaspe
Allevare un tordo che viene da lontano
AMMINISTRAZIONE E PUBBLICITÀ: Segreteria F.O.I.-Onlus Via Caorsana, 94 - Località Le Mose 29122 Piacenza Tel. 0523.593403 - Fax 0523.571613 Web: www.foi.it - E-mail: redazione@foi.it
Domande sul mosaico Giovanni Canali
Il fattore scurente nel Diamante di Gould
Luca Gorreri
11 17 21 24 27 31 33
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Canarini di Forma e Posizione Lisci
Ondulati ed altri Psittaciformi
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I nostri lutti Il Diamante di Gould (1ª parte) Francesco Formisano
Attività F.O.I. - Verbale Consiglio Direttivo del 18 e 19 dicembre 2020
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51 53
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Italia Ornitologica è la rivista ufficiale della F.O.I. - Federazione Ornicoltori Italiani, pubblicata in 10 (dieci) numeri annuali a cadenza mensile, 2 (due) dei quali in versione bimestrale nel periodo estivo (Giugno/Luglio e Agosto/Settembre). Il numero 2 - 2021 è stato licenziato per la stampa il 26/2/2021
Editoriale
Apparire di G IOVANNI CANALI
O
ggi in una società che cura moltissimo l’immagine, che viaggia in modo informatico, con vari social ecc. l’apparire, l’immagine, pesano moltissimo. C’è anche chi fa una professione della sua immagine, promuovendo tante cose. Poi ci si pone una famosa domanda: è meglio essere o apparire? Quasi tutti rispondono essere, ma l’apparire non è certo aspetto secondario. Anch’io penso che sia più importante essere, ma l’apparire vale quasi come l’essere. Bisogna dire che chi è ma non appare è quasi come se non fosse, visto che nessuno lo conosce. Se Tizio avesse in un cassetto opere filosofiche straordinarie, tali da gareggiare con quelle di Kant, sarebbe certo un grandissimo filosofo, ma se tali opere rimanessero
nel cassetto e non fossero pubblicate, nessuno ne saprebbe nulla. Tizio sarebbe si un grandissimo filosofo, ma nessuno lo riconoscerebbe come tale e a nulla servirebbero le sue opere. Si può dire che chi è ma non appare, potrebbe apparire in seguito, invece chi non è non ha speranza alcuna di una apparenza sostenuta dalla sostanza; al massimo potrà avere un’apparenza fasulla che non si sa quanto potrà durare, e sempre con la spada di Damocle che qualcuno la sveli come sola apparenza. Perché ho fatto questo discorso? L’ho fatto per diversi motivi che vado ad illustrare. A volte sento dire che vi sono allevatori che hanno degli ottimi soggetti ma non li espongono, per motivi vari.
Il Presidente federale, avv. Antonio Sposito, ripreso da Canale 5 in occasione del Campionato Mondiale di Cesena 2018
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Editoriale Ebbene, non lo posso escludere con assoluta certezza ma lo ritengo davvero difficilissimo. In vita mia avrò conosciuto centinaia di allevatori, ma che non esponessero pur avendo soggetti degni ne ho conosciuto uno solo. Esporre non solo è una giusta gratificazione per l’allevatore, ma anche un’insostituibile occasione di confronto, utilissima per valutare meglio i soggetti allevati anche nei minimi dettagli. Inoltre, quando si espone con successo si riesce a cedere con minore difficoltà i propri soggetti. In linea di massima, chi ha buoni soggetti li espone ben volentieri. È quindi ben difficile, oltre che sbagliato, che chi ha soggetti validi non li esponga. Ora qualcuno potrebbe chiedermi chi fosse l’allevatore idoneo ma che non esponeva. Si trattava niente meno che di Virgilio Pieracci, doppio giudice di canarini arricciati e di pappagallini ondulati (i Pappagallini ondulati all’epoca erano specializzazione separata); già membro di commissioni tecniche, non ricordo se anche presidente, ma sono passati molti anni. Ebbe un ruolo di rilievo nella preparazione degli standard specialmente dell’arricciato del sud, all’epoca molto allevato a Parma; Pieracci era parmigiano come me e sono stato ammesso nel suo allevamento. Con la signorilità che lo contraddistingueva, mi disse che aveva esposto in passato e con successo, ma ora preferiva non farlo, poiché se avesse perso qualcuno avrebbe potuto stupirsi e fare commenti sgradevoli data la sua posizione, mentre se avesse vinto, magari ancora questo qualcuno, avrebbe potuto avanzare dubbi di favoritismo, sempre data la sua posizione. Compresi le sue ragioni, pur non condividendole, non osai esprimermi diversamente, ero agli inizi.
Il compianto ex Presidente Salvatore Cirmi ripreso da un’emittente locale
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Oggi si chiede ai giudici di esporre regolarmente ed un atteggiamento del genere, se pure comprensibile, non sarebbe ammesso. Quanto alle pubblicazioni, conosco pochissimi che, avendone la capacità, non abbiano mai pubblicato. Le pubblicazioni, se di ricerca, costituiscono un contributo importane che arricchisce gli altri e gratifica l’autore, oltre a qualificarlo. E sia chiaro che le pubblicazioni valide non hanno nulla a che fare con le chiacchiere, non importa se verbali o informatiche. Se ci fosse qualcuno che avesse qualcosa di interessante da pubblicare, lo incoraggio a farlo. Chi avesse qualche timore, sappia che può chiedere parere a persone addette ai lavori. Il comitato di redazione di una rivista, di regola, non nega un parere preventivo e certo non lo nega quello di Italia Ornitologica. Un ulteriore aspetto riguarda la pubblicità che dobbiamo fare al nostro hobby. In più di una occasione ho segnalato come la FOI sia stata mediamente molto ben gestita al suo interno, ma come in passato ci si sia occupati poco dei rapporti esterni. Recentemente la situazione è molto migliorata, ma ritengo non ci si debba accontentare, data l’importanza dell’apparire. Apparire sui media dà una popolarità notevolissima. Le poche volte che sono apparso, ho avuto più di un riscontro. Certo, apparire su canali televisivi nazionali è davvero difficile, ma non impossibile; infatti è già successo. Occorrono tenacia e conoscenze, oltre alla capacità di esprimersi adeguatamente, considerando anche la possibilità di osservazioni malevole. Purtroppo, oggi molte persone non conoscono l’esistenza della FOI e questo certo non ci giova. Si consideri inoltre che esistono anche i media locali, meno difficili da raggiungere. Ci siamo mossi abbastanza bene a livello di ministeri, grazie all’impegno di persone qualificate, come l’ing. Banfi ed altri, nonostante le difficoltà e la presenza di qualche ostilità. È importantissimo cercare di arrivarci ancora; infatti, quando le leggi ed i regolamenti sono fatti, sono fatti, e bisogna ottemperare volenti o nolenti. Quindi l’utilità di intervenire prima della decisione finale appare evidente. Importante sarebbe cercare di migliorare la nostra immagine con i gruppi ecologisti e simili, facendo capire l’utilità dell’allevamento, che consente studi importanti e preserva le specie allevate rendendo inutili fenomeni di bracconaggio. Anche i contatti con gli ambienti ornitologici scientifici sono utilissimi, sebbene difficilissimi, e necessitano di finanziamenti. I risultati di ricerche scientifiche arricchirebbero il nostro bagaglio culturale, con gli ovvi vantaggi che ne deriverebbero.
CANARINI DI COLORE
Bruno Satiné di PEPPINO VITTI, foto A. La Volpe, G. CASSETTA e A. BENAGIANO
M
i chiedono di intervenire su questo, tanto discusso, canarino di tipo “Bruno Satiné”; sinceramente avrei preferito non farlo, ma il lockdown galeotto ci ha messo lo zampino. L’intento di questo mio scritto è solo e soltanto quello di fare un po’ di chiarezza e anche un po’ di storia su questo affascinante (per me) canarino di tipo Bruno Satiné. Il presupposto, molto importante, è che non si tratta di una nuova mutazione ma di una diversa interpretazione di quella già esistente, cioè: · dobbiamo ancora considerare la mutazione Satiné una mutazione legata al sesso, allelica alla mutazione di riduzione Agata?
Il presupposto, molto importante, è che non si tratta di una nuova mutazione ma di una diversa interpretazione di quella già esistente
· Oppure dobbiamo considerarla come una mutazione sì sesso legata, ma non allelica e pertanto occupante un locus differente sul cromosoma sessuale?
Bruno Satiné mosaico rosso femmina, foto: A. La Volpe, all. P. Vitti (risultato selettivo 2ª gener. anno 2002)
Essendo stato uno dei promotori dello sviluppo selettivo di questo fenotipo, voglio rimarcare categoricamente che non mi sono mai proclamato autore di un bel niente e ho sempre detto che, questo fenotipo, chiunque può crearselo da sé e nel giro di pochi anni, senza dover spendere soldi superflui, ottenerlo facilmente. Questo a chiarimento, per quanto mi riguarda, che dietro questa storia non esiste minimamente alcun aspetto commerciale. Quei pochi soggetti da me ceduti dietro ricompensa si possono contare con le dita di una mano, chi mi conosce lo sa bene. Quando mi sono iscritto per la prima volta alla FOI, era da pochi anni apparsa la mutazione “Satiné”, la quale
Bruno Satiné mosaico rosso maschio, foto: A. La Volpe, all. P. Vitti (risultato selettivo 2ª gener. anno 2002)
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Bruno Satiné mosaico giallo femmina, foto e all.: G. Cassetta
mi ha letteralmente affascinato, tanto che ho escogitato un particolare stratagemma per potermi procurare un tal esemplare. Si parlava, a quei tempi, di un signore italo/francese di nome Ascheri, selezionatore affermato di tale mutazione, residente a Parigi; era l’anno del Campionato Mondiale di Nizza. Con una scusa appropriata, convinco mia moglie ad andare a far visita a una sua cugina, residente a Bordighera, località ai confini della Francia, molto vicina a Nizza. Approfittando di tale circostanza, ho potuto recarmi a visitare il Mondiale. Sono riuscito a rintracciare il sig. Ascheri e mi sono procurato una femmina Satiné, dando inizio alla riproduzione di tali soggetti. In uno dei primi anni ‘80, con l’intento di trasferire la mutazione Satiné nel Verzellino (Serinus serinus), procedo all’accoppiamento Verzellino maschio X femmina Canarina Satiné per ottenere F1 maschi portatori di Satiné. Come dalle attese, da questi F1 nascono pulli di diverso tipo: Nero, Bruno e Satiné. Un dì, però, vedo in una nidiata un canarino di tipo Isabella. No! Non è possibile!
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Bruno Satiné mosaico giallo femmina, foto e all.: G. Cassetta
Si, per me è stata un’autentica sorpresa e, a tutti quelli che sostengono la tesi che da un Nero portatore di Satiné è del tutto normale che nascano degli “Isabella”, dico che: “Signori, o siete in mala fede, o avete poca dimestichezza con il meccanismo di trasmissione dei fattori ereditari”. Ve lo dimostro, sperando di essere esauriente, con formule genetiche appropriate.
In uno dei primi anni ‘80, con l’intento di trasferire la mutazione Satiné nel Verzellino (Serinus serinus), procedo all’accoppiamento Verzellino maschio x femmina Canarina Satiné per ottenere F1 maschi portatori di Satiné
Si riteneva e si ritiene, che la mutazione Satiné sia allelica alla mutazione di riduzione Agata, di seguito, pertanto, la simbologia e gli accoppiamenti: I simboli: Z/Z = cromosomi sessuale del maschio; Z/W = cromosomi sessuale della femmina; + = gene ancestrale, non mutato ”Nero”, dominante sugli altri; br = gene Bruno, iniziali “br”, recessivo legato al sesso; rdag = gene di riduzione, iniziali “rd”, esponente Agata “ag”, recessivo sesso legato; rdsa = gene di riduzione, iniziali “rd” esponente Satiné “sa”, recessivo sesso legato, allelico con Agata. I due geni allelici “Agata” e “Satiné” si comportano in modo che il primo è dominante sull’altro. Come da convenzione, si ritiene che l’espressione fenotipica Satiné (quella attualmente riconosciuta) è dovuta all’interazione dei due loci genici sul cromosoma del sesso: quella del “Bruno (br)” e quello di riduzione “Satiné (rdsa)”.
Z Z
+ +
+ +
=
Maschio ancestrale Nero
Z W
+
+
=
Femmina ancestrale Nero
Z Z
+ br
+ +
=
Z Z
br br
+ +
=
Maschio Bruno
Z W
br
+
=
Femmina Bruno
Z Z
+ +
+ Maschio ancestrale = rdag Nero/portatore di Agata
Z Z
+ +
rdag Maschio = rdag Agata
Z W
+
rdag
Z Z
br br
rdsa Maschio = rdsa Satiné;
Z W
br
rdsa
Z Z
+ + Maschio “Nero”/ = br rdsa portatore di Satiné
Z Z
br br
+ Maschio “Bruno”/ = rdsa portatore di Satiné
Z Z
+ br
rdag Maschio “Agata”/ = rdsa portatore di Satiné
=
=
Maschio ancestrale Nero / portatore di Bruno
Femmina Agata
Femmina Satiné
1) 2) 3) 4)
Z + + gamete per il NERO; Z br rdsa gamete per il SATINE’; Z br + gamete per il BRUNO; Z + rdsa gamete per il NERO SATINE’(attualmente non a concorso e non riconosciuto). Come si nota dai gameti, non c’è la combinazione dei fattori Bruno e Agata (br rdag) che genera l’Isabella, ma c’è la combinazione Bruno e Satiné (br rdsa) ricevuto dall’unico cromosoma sessuale (Z) della Canarina Satiné, e l’F1, essendo portatore del fattore allelico di riduzione Satiné “rdsa”, non può essere anche portatore dell’altro fattore allelico di riduzione “Agata” (rdag), in quanto può essere portatore di uno solo dei due fattori allelici: o l’Agata, o il Satiné. Mi scuso se non sono stato comprensibile, non sono riuscito a fare meglio. Da tutto ciò, dalla nascita di un pullus di tipo Isabella, si deve trarre la con-
clusione che il fenotipo dei canarini “Satiné” attualmente riconosciuti, non è il risultato della combinazione di due geni, Bruno (br) e riduzione Satiné (rdsa), ma è il risultato della combinazione di tre geni, oltre ai due precedenti anche della riduzione Agata (rdag). Pertanto l’F1 ha un patrimonio genetico così simboleggiato: Nero (passepartout)/ Z + + + portatore di tre geni Z br rdag rdsa e produce 8 gameti differenti, 23 1) 2) 3) 4) 5) 6) 7) 8)
Z + + + Z br rdag rdsa Z br + + Z + rdag + Z + + rdsa Z br rdag + Z br + rdsa Z + rdag rdsa
(Nero); (Isabella Satiné); (Bruno); (Agata); (Nero Satiné); (Isabella); (Bruno Satiné); (Agata Satiné).
Bruno Satiné mosaico rosso maschio, foto e all.: A. Benagiano
Invece si ritiene che l’Isabella sia il risultato della combinazione di due geni: “Bruno” e “Agata”: Z Z
br br
rdag Maschio = rdag Isabella
Z W
br
rdag
=
Femmina Isabella
Accoppiamento VERZELLINO Canarina (Ancestrale Nero) X Satinè Femmina Z + + Z br rdsa Z + + W Progenie maschile ottenuta F1: Z + + Maschio Nero/ = Z br rdsa portatore Satiné Questo F1, eterozigote in due loci, accoppiato con qualsiasi femmina, non può in alcun modo generare femmine Isabella; i gameti che esso produce, per crossingover, sono quattro, 22:
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Come si nota, il gamete n°6 è quello Attualmente si discute che genera l’Isabella, il gamete n° 7 è quello del Bruno Satiné. anche sul risultato degli Certo, ognuno è libero di credere o incroci di prova del meno al fatto che io abbia trovato, in Bruno Satiné con Agata: una delle suddette nidiate, un pullus di tipo “Isabella”. Non intendo convincere sì, sono tutti intermedi alcuno, mi conforta il fatto che tale evento sia avvenuto anche in altri allevamenti, e tra questi vi è anche quello potrebbero essere prese in esame, codi una persona che attualmente riveste noscendone l’esito in tempi compatibili una carica importante nell’ambito di con le mie tante primavere vissute. uno degli Organi Federali; non lo noEra il lontano anno 2001, Bellaria 15/16 mino ma, se lui volesse, potrebbe farlo settembre, ed era il primo anno in cui per proprio conto. il CD-FOI ritenne, per la prima volta in Anche lui potrebbe mentire? Certo! assoluto, di effettuare l’aggiornaAttualmente si discute anche sul risulmento dei Giudici di Specializzazione tato degli incroci di prova del Bruno in un’unica riunione annuale, in occaSatiné con Agata: sì, sono tutti intersione dell’Assemblea ordinaria dei Giumedi. Alcuni dicono che sono dei brutti dici FOI. Tale iniziativa mirava a creare Agata, ma perché non si può dire, poii presupposti di un congresso dove tratché intermedi, che sono dei brutti neri? tare i problemi della Specializzazione, Non dovremmo poi meravigliarci più di con la fattiva partecipazione, in contanto, conoscendo di quanto il fattore temporanea, di un gran numero di GiuSatiné sia capace di influire sul fenodici di Specializzazione. In questo caso tipo, pur essendo in forma monoalledel Colore. lica (portatore). Ci sono dei Canarini La Commissione Tecnica allora in caAgata/portatori di Satiné che semrica, Presidente Davide Fresia, aveva brano dei canarini Isabella e solo l’occhio allenato riesce a distinguerli, ricevendone conferma dal controllo del sottopiuma. Bruno Satiné mosaico rosso femmina, foto e all.: A. Benagiano Attualmente ci sono dei Neri e dei Bruni portatori del fattore Satiné che non mostrano alcuna differenza con gli omozigoti; tanti altri, invece, ugualmente portatori di Satiné, si distinguono anche a distanza. Questo, secondo il mio modestissimo parere (non certezza, tale si ottiene solo dai riscontri scientifici), è dovuto a geni additivi autosomici presenti o meno nel genotipo, che contribuiscono, sia pure in modo meno significativo, all’espressione finale di un determinato fenotipo. Comunque, oltre alla considerazione di cui sopra, se ne dovrebbero fare delle altre. Preferisco non farle. Sono certo si andrebbe a smuovere un altro vespaio identico a quello dell’anno 2001 e difficilmente, le suddette “altre considerazioni”,
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predisposto un programma di lavoro affidando, ad ognuno dei componenti la CTN, un argomento da trattare su cui poi intervenire e discutere. Il compianto amico Enzo Fiorentini analizzò i più significativi cambiamenti avvenuti nei nuovi “Criteri di Giudizio”, approvati dal CD-FOI e in fase di ristampa. L’altro amico, non più tra noi, Giuseppe Trainini, diede delucidazioni in merito ai canarini “Onice”, a concorso per la priva volta in quell’anno. Roberto Rossi fece la sua relazione illustrando i canarini “Phaeo”. Al sottoscritto fu dato il compito di trattare i canarini, allora a concorso, “Melaninici a OORR” nonché i canarini “Satiné”. Al termine della mia relazione, mi sono espresso nel seguente e testuale modo: “a questo punto ritengo di fare delle considerazioni personali nei riguardi dei Canarini “Satiné” e rilanciare una provocazione: • è giusto continuare a tenere in un’unica categoria i “Satinè” di tipo “Bruno” e quelli di tipo “Isabella?”. Quando è apparsa la mutazione “Satiné”, il contesto selettivo dei Canarini di tipo “Bruno” e di tipo “Isabella” e di conseguenza anche il giudizio, a detta dei colleghi più anziani, era pressoché questo: quello più scuro era considerato “Bruno”, quello più chiaro “Isabella”. Logico era constatare (a suo tempo) che la mutazione, agendo su questi soggetti, creava un fenotipo quasi identico e si presentava con un disegno spezzato e sottile. Pertanto, la selezione è stata portata avanti solo con canarini di tipo “Isabella”, con risultati veramente magnifici. Proviamo ad immettere il fattore “Satiné” nei ceppi selezionati dei nostri attuali canarini di tipo “Bruno”; ne sono certo, nell’arco di pochi anni di selezione, ci troveremmo di fronte a canarini dal fenotipo completamente diverso con i “Bruno Satiné” e gli “Isabella
Satiné” differenziati nettamente, così come i classici “Bruno” ed “Isabella”. (Ultimo capoverso, dopo venti anni le previsioni si avverano). Apriti cielo! I Papi pontificanti, che tali non sono, si sono sbizzarriti con le espressioni più colorite (termine eufemistico). Lasciamo stare! In quel frangente, ho preso atto di quanto rinfacciatomi e, a mio parere, non essendo stato adeguatamente tutelato da chi aveva il compito di farlo, in quanto ero membro di Organo Federale, ho ritenuto opportuno di non propormi più a membro della C.T.N. Colore. Tutto questo, comunque, mi ha spronato ancor più a far si che la mia tesi avesse riscontro. Quanti anni persi inutilmente! E non so quanti ne perderemo ancora! Molte volte scruto lo specchio e gli chiedo: “Sono un buffone? Sono un buffone da dovermi vergognare? Sono degno di essere stato un componente la
Bruno Satiné, foto: A. La Volpe
Commissione Tecnica del Colore?”. Dallo specchio le risposte le ricevo e sono sempre identiche. Voglio sperare che anche gli altri, i tanti “Papi pontificanti”, facciano altrettanto. Mi è giunta, tramite un amico, una traduzione di un articolo in francese, riguardante il Satiné Bruno (all’estero si stanno appropriando della primogenitura italiana, con i nostri canarini, nel silenzio più assoluto), del sig. Jean Paul Glémet, personalità ornitologica di elevato valore; da quello che leggo nel tradotto, noto delle analogie, delle condivisioni, ma anche delle cose da me non condivise e altre ancora da me non comprese. Non entro nel merito, precisando naturalmente che le suddette incomprensioni sono dovute solo ed esclusivamente alle mie limitate capacità intellettive. Mi piacerebbe conoscere personalmente il sig. Jean Paul Glémet e interloquire con lui, ne sarei grato e principalmente onorato.
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ESTRILDIDI FRINGILLDI IBRIDI
Il fattore scurente nel Diamante di Gould di GIANCARLO LOTIERZO, foto G. LOTIERZO, ELADIO RUBIO MARTIN, SEVERINO SABATO, ANTONIO MONDA, SALVATORE CASTALDO, MARIO PROCIDA
E
saminando tutte le sorprese che in questi ultimi anni ci ha riservato il Diamante di Gould,
FOTO 1 - Gould lutino T.N. Dark Factor particolare delle teste e delle timoniere, foto: Eladio Rubio Martin
volevo condividere l’attenzione su un fenotipo particolare, sconosciuto da molti, da altri spesso non accettato, che è il fattore scurente, noto con il termine “Dark Factor” degli anglosassoni. È una vera e propria mutazione osservata per la prima volta nel 1916, ben definita e standardizzata sugli psittacidi, poi apparsa anche nel Diamante di Gould. La comparsa del fattore scurente nel Diamante di Gould, come mostrato nella foto (foto n.1) ben ritratta da Eladio Rubio Martin nel gennaio 2006, ci fa considerare che, già in quel momento, questa ma-
nifestazione fenotipica era presente ma non è stata subito riconosciuta e fissata, probabilmente per la natura genetica della mutazione e perché apparsa originariamente soprattutto su soggetti ancestrali testa nera, dove la mutazione ha avuto un esito meno vistoso per la sottile differenza nel colore del collarino e codione (blu cobalto invece che blu turchese) nonché per la sottile diversità nel colore del dorso (verde scuro invece che verde brillante) (foto n. 2). Negli ultimi tempi, viceversa, il fattore scurente associato con la mutazione lu-
FOTO 2 - Confronto Gould TN A lato: Gould TN Maschio Dark Factor, foto e all. Antonio Monda. Collarino e codione (blu cobalto invece che blu turchese) petto (viola scuro invece che viola intenso), dorso (verde scuro invece che verde brillante) Sotto: Gould TN ancestrale Maschio, foto e all.: Salvatore Castaldo
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Foto n. 3 - Confronto, da sinistra: Lutino testa nera, foto e all. G. Lotierzo - Lutino testa nera S.F. dark factor, foto e all. G. Lotierzo - Lutino testa nera D.F. dark factor, foto e all. Juan Farrat Acanda. Quando ci troviamo in presenza di soggetti in cui l’eumelanina viene ridotta come nei lutini avremo maschere “brune” invece che beige nei S.F. dark factor e “marroni” invece che beige nei D.F. Dark Factor
Foto n. 4 - Differenza tra un codione “dark factor violet” di un Gould blu pastello sopra e un codione “dark factor” di un gould Lutino”sotto
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tino, molto allevata in questi ultimi anni, ci ha permesso di assistere a delle combinazioni suggestive imponenti, senza nulla togliere all’influenza che il fattore scurente ha avuto sul fenotipo quando combinato con i Diamanti di Gould della serie pastello e blu. Non si tratta di una semplice mutazione di colore ma è una mutazione della struttura della penna, non agisce direttamente sui pigmenti melanici (Eumelanina e Feomelanina), non dipende dalle dimensioni delle particelle che costituiscono i granuli di pigmento, ma agisce sulla struttura stessa delle piume che appaiono più dure per un restringimento delle barbule (piumaggio filiforme) che, a parità di pigmento presente su di esse, essendo più concentrato, accentua l’espressione finale del colore, conferendo al fenotipo un aspetto più scuro (saturo), con un’inclinazione inconsueta delle barbule molto diversa da quella che essi assumono in modo naturale. Questa condizione del piumaggio modifica così l’angolo di rifrazione della luce che, combinata con il “tyndall effect” (interferenza luminosa con la luce incidente), influenza l’espressione dei colori a base eumelanica verde e blu, e sostanzialmente porta a un inscurimento degli stessi. Pertanto non è una mutazione quantitativa, non vi è nessuna sottrazione o aumento di melanine, ma è un fattore ottico dovuto unicamente alla
struttura del piumaggio. Il fattore scurente come mutazione strutturale determina fra l’altro un accorciamento del piumaggio e la comparsa di una brinatura che viene parzialmente compensata dall’effetto visivo ed anche, in parte, da quello fisico. La mutazione è autosomica, quindi non legata al sesso e parzialmente dominante; si può manifestare in forma eterozigote, singolo fattore “Dd” e chiaramente in forma omozigote doppio fattore “DD” nel senso che, anche se presente allo stato eterozigote “singolo fattore”, è visibile. Quindi, non esistono portatori a trasmissione mendeliana classica, e non si manifestano i consueti rapporti di dominanza e latenza espressi nell’accoppiamento reciproco. Lo schema di trasmissione di questo fattore scurente non è lo stesso delle altre mutazioni autosomiche rinvenute a tutt’oggi nel Diamante di Gould, come la blu e la petto bianco, sia perché i soggetti eterozigoti sono già fenotipicamente mutati, sia perché la trasmissione non avviene seguendo le leggi mendeliane classiche, ma è soggetta, per la sua realizzazione, a più geni modificatori dalla cui influenza reciproca scaturisce l’effetto finale con una certa variabilità abbastanza ampia (multifattorialità). Dall’unione dei singoli fattori, che evidenziano una colorazione intermedia rispetto ai soggetti puri, si produce una figliolanza eterogenea tra feno-
FOTO 5 - Diamante di Gould pastello, Darck Factor Violet S.F. notare il colore violaceo del collarino e codione, foto G. Lotierzo, all.: Francesco Frisco
tipo ancestrale, singolo fattore “Dd” e doppio fattore “DD” con un rapporto mendeliano classico di 1:2:1, mentre l’accoppiamento di due soggetti doppio fattore “DD” genera nel Diamante di Gould un certo grado di mortalità embrionale, nel senso che l’allele “D”, se in condizioni di omozigosi“DD”, esercita il suo effetto oltre che sulla struttura delle piuma (inclinazione diversa delle barbule), anche sulla sopravvivenza stessa del soggetto. Pertanto possiamo dire che il gene in cui è codificato questo effetto mutante è un gene pleiotropico, fenomeno genetico per il quale un unico gene determina effetti fenotipici multipli anche non correlati fra di loro. Nel Diamante di Gould, l’unione di doppi portatori dello stesso gene letale, evidentemente,
rendono manifesto questo fenomeno che probabilmente con il tempo e un’accurata selezione tenderà a diminuire. D’altronde, la presenza di un certo numero di geni letali recessivi nel proprio patrimonio genetico è stimata in ogni specie animale. Un tempo, anche la categoria intenso del canarino, che comporta un accorciamento del piumaggio ed una saturazione di questo fino all’apice delle barbule, era ritenuto un fattore letale. La conferma di questo sgradito effetto pleiotropico si ha accoppiando tra di loro soggetti con doppio fattore scurente. In questo caso, le aspettative non ci daranno i risultati auspicati per presenza nei nidi di uova che, pur fecondate, non danno nessuna vitalità e per mortalità embrionale. Accoppiando, invece, sin-
golo fattore “Dd” per ancestrale o singolo fattore “Dd” per singolo fattore “Dd”, i risultati sono più evidenti. Aspettative di accoppiamento Prima di esaminare i risultati di accoppiamento nel Diamante di Gould affetto da questo fattore mutante, dobbiamo ricordarci che ogni cellula di un individuo possiede una doppia serie di cromosomi morfologicamente uguali (autosomi), e due di essi differenti (cromosomi sessuali). Dobbiamo ricordarci inoltre che i gameti, durante la gametogenesi, hanno due divisioni cellulari nella meiosi e portano solo una serie di cromosomi: uno di essi può essere Z o W, e determinano il sesso di un individuo. Stabilito ciò, il quadrato di Punnett ci aiuta a comprendere le aspettive:
Simbologia
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Accoppiamento femmina singolo fattore “Dd” x maschio ancestrale se il gamete della femmina che porta il cromosoma sessuale W ha contemporaneamente nei propri autosomi il gene mutato D, avremo femmine singolo fattore (Dd) e maschi ancestrali. GAMETI (Femmina S.F. Dd cis
W D
Z +++ +
Z +++ + (femmina S.F. Dd)
Z +++ + (maschio ancestrale)
W D
Z +++ +
Z +++ + (femmina S.F. Dd)
Z +++ + (maschio ancestrale)
W D
Z +++ +
(Maschio ancestrale) Z +++ + Z +++ +
se invece il gamete che porta il cromosoma sessuale Z ha contemporaneamente nei propri autosomi il gene mutato D, avremo femmine ancestrali e maschi singolo fattore (Dd) GAMETI (Femmina S.F. Dd) trans W +
Z +++ D
(Maschio ancestrale) Z +++ + Z +++ +
Z +++ + (femmina ancestrale)
Z +++ + (maschio S.F. Dd)
W +
Z +++ D
Z +++ + (femmina ancestrale)
Z +++ + (maschio S.F. Dd)
W +
Z +++ D
Accoppiamento femmina singolo fattore “Dd” x maschio singolo fattore “Dd” Accoppiando invece maschi singolo fattore per femmine singolo fattore, se il gamete femminile che porta il cromosoma sessuale Z ha contemporaneamente nei propri autosomi il gene mutato D, avremo femmine ancestrali, femmine singolo fattore (Dd), maschi singolo fattore (Dd), maschi doppio fattore (DD). GAMETI (Femmina S.F. Dd) trans W +
Z +++ D
(Maschio S.F. Dd) trans Z +++ + Z +++ D
Z +++ + (femmina ancestrale)
Z +++ + (maschio S.F. Dd)
W +
Z +++ D
Z +++ D (Femmina S.F. Dd)
Z +++ D (maschio d.F. DD)
W +
Z +++ D
Se invece il gamete femminile che porta il cromosoma sessuale W ha contemporaneamente nei suoi autosomi il gene mutato D, avremo femmine singolo fattore (Dd), femmine doppio fattore (DD) – maschi ancestrali e maschi singolo fattore (Dd). GAMETI Femmina S.F. Dd) cis
W D
Z +++ +
Z +++ + (Femmina S.F. Dd)
Z +++ + (Maschio ancestrale)
(Maschio S.F. Dd) trans Z +++ + Z +++ D
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W D
Z +++ +
Z +++ D (Femmina d.F. DD)
Z +++ + (maschio sf. Dd)
W D
Z +++ D
Fenotipo della mutazione Ecco come appaiono, quindi, fenotipicamente i soggetti mutati: “Dd” singolo fattore il verde chiaro diventa verde scuro – il blu diventa cobalto; dove insiste solo eumelanina (come nella maschera dei testa nera), il colore sarà nero e, in questo distretto, la mutazione risulta impercettibile, ma se l’eumelanina viene ridotta da un concomitante fattore mutante, come nella mutazione lutino, avremo maschere brune invece che beige. “DD” doppio fattore il verde chiaro diventa verde oliva, il blu diventa grigio blu scuro (chiamato malva negli psittaccidi); dove insiste solo eumelanina come filetto e gola nelle teste lipocromiche e l’intera maschera nei testa nera, il colore sarà nero e soltanto se questi distretti vengono notevolmente ridotti da un concomitante fattore mutante, come nella mutazione lutino, tenderà al marrone. Pertanto, il colore castano delle maschere dei lutini “Dark factor DD” (foto n. 3) è ottenuto dall’incontro casuale del colore strutturale
Foto n. 6 - Pastello blu testa nera Violet, foto: S. Severino, all.: B. La Maida
della cheratina della piuma, in seguito alla contrazione e all’inclinazione insolita delle barbule (piumaggio filiforme), e dall’assenza di eumelanina dovuta alla mutazione lutino, unitamente all’aria racchiusa nelle piume stesse. • Verde con un Fattore Scurente (S.f.) = Verde Scuro • Verde con due Fattori Scurenti (D.f.) = Verde Oliva • Blu con un Fattore Scurente (S.f.) = Cobalto • Blu con due Fattori Scurenti (D.f.) = Grigio scuro (Malva) Nel fattore scurente è inserito anche il fattore VIOLA, conosciuto con il termine Violet degli anglosassoni. Si ha per un’ulteriore variazione dell’angolo di uscita della luce che viene deviata verso il colore viola dello spettro a carico di una parte delle strutture delle penne. Anch’esso è semidominante, ma ha un comportamento genetico diverso. È codominante di tipo addizionale od additivo, si manifesta sempre in associazione al fattore di inscurimento “D”, è più appariscente ma an-
Foto n. 7 - Ipermelanismo non genetico, risultanza di disfunzioni acquisite per problemi più o meno gravi nella fisiologia del soggetto, foto: M. Procida, all.: Agostino Jemma
che più difficoltoso a realizzare in riferimento alla sua selezione in tipicità. Può essere singolo fattore o doppio fattore, rende al piumaggio una colorazione violacea, in particolar modo al codione che diviene viola, più intenso se a doppio fattore, più chiaro se a singolo fattore (foto n. 4). Nell’ingrandimento al microscopio di una barba, si possono notare granuli che disperdono la luce verso il blu ed altri verso il viola. È particolarmente bello nella serie blu e pastello (foto n. 5) (foto n. 6) e male si abbina con le tonalità ancestrali, dove apparirà con dei riflessi violacei più o meno marcati. Valutazione differenziale Il Dark factor non deve essere confuso con ipermelanismi del piumaggio dovuti a disfunzioni acquisite non genetiche (foto n. 7), e nemmeno con la mutazione ventre scuro che determina la saturazione eumelanica delle parti del corpo normalmente poco interessate dal pigmento nero (non presente ancora nel Diamante di Gould), dovuta a geni implicati nell’informazione quantitativa della biosintesi melanica. Conclusioni Con queste mie righe ho cercato di richiamare l’attenzione su questo fattore mutante che non può e non deve essere più trascurato o semplicemente ignorato. In quanto anche se non apporta alcun beneficio ai bellissimi soggetti che la natura ci ha donato, gli ancestrali, peggiorandone le qualità espositive dei soggetti stessi, in alcune mutazioni che fanno ormai parte del patrimonio ornitofilo mondiale, quali la pastello del Gould, la lutino, tutta la serie blu (foto n. 8) (foto n.9), favorisce spesso le loro performance in gara, facendo apparire i soggetti molto ossidati e quindi più consoni alla nostra favorevole valutazione a discapito di bellissimi pastello, lutini e blu non combinati con questo fattore. Lascio a tutti voi che mi avete letto le considerazioni del caso e suggerisco una categoria da assegnare al fattore scurente almeno nelle specialistiche, o quanto meno di indirizzare il fattore scurente nella categoria “combinazione di mutazioni”, quando combinato con la mutazione lutino, pastello e blu.
FOTO 8 - Differenza tra diamante di Gould blu a sinistra e diamante di Gould blu Dark Factor S.F. a destra, di colore blu cobalto, foto e all.: S.Severino
FOTO 9 - Diamante di Gould Ino Blu Dark Factor, foto e e all.: S. Severino
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CANARINI DI FORMA E POSIZIONE LISCI
Lizard: questione di rowing L’altra faccia della luna di ANTONIO DI TILLIO, foto H. EVANS E J. C. BLANCO (con la collaborazione di HUW EVANS)
Q
uando si parla di Lizard il pensiero corre alle scaglie (spangles) disposte dorsalmente, peculiare caratteristica all’origine del nome (lizard = lucertola) e voce predominante dello standard. Tuttavia, il pregiato disegno della razza non si esaurisce nello spangling, essendo necessario qualcos’altro perché possa dirsi completo. Con il termine tecnico “rowings” (1) ci si riferisce alle marcature melaniche presenti a livello pettorale, addominale e sui fianchi, evidenziate dal colore di fondo più chiaro, lipocromico del canarino Lizard (disegno definito oltremanica anche come “breastwork”). Tale elemento è andato acquistando
una popolarità crescente tra allevatori ed esperti soprattutto negli ultimi decenni, forse perché ci si è resi conto dell’ingiusto ritardo selettivo accumulato nel tempo rispetto ad altre caratteristiche, inconveniente che può essere spiegato solo risalendo alle origini documentali della razza. Nel più antico standard del canarino Lizard di cui si abbia notizia, pubblicato in “The Cottage Gardner” nel 1860 ad opera di B. P. Brent (2), alla voce “gola, petto e addome” è contemplato soltanto il colore di fondo, mentre non si fa alcuna menzione di marcature, sicuramente già allora presenti, ma non desiderate. Una conferma di questa antica conce-
Un esempio della diversa quantità di rowings normalmente presente nelle due varietà argentata e dorata, foto e all.: Juan Carlos Blanco
Con il termine tecnico “rowings” ci si riferisce alle marcature melaniche presenti a livello pettorale
zione è presente in un successivo testo (prima edizione di “The Canary Book” di Wallace, 1875), in cui un canarino Lizard vincitore al Crystal Palace di Londra (3) viene considerato dall’autore del libro un vero campione con un solo difetto, quello di essere troppo striato “ai lati del ventre”. L’inevitabile presenza di striature scure in regione pettorale e addominale (poi chiamate rowings) in quel periodo storico era dunque considerata più un difetto da eliminare che una qualità da esaltare. Un primo segnale di cambiamento è rinvenibile in un testo di Blakston (“Canaries and Cage Birds”, 1878-81), che offrendo una propria versione della scala valori del Lizard, attribuisce alla voce “gola e petto” 5 punti per la qualità del colore e l’evidenza di “rudimentali e particolareggiate scaglie”. Va tuttavia precisato che a quel tempo non esistevano associazioni di rilevanza nazionale a tutela delle singole razze, cosicché la versione del modello ideale fino ad allora proposto e standardizzato rappresentava, in realtà, niente più che una interpretazione soggettiva di singoli allevatori e autori, peraltro non sempre condivisa.
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Rowings presenti in buona quantità, ma senza un preciso ordine geometrico, foto: J. C. Blanco, all.: Antonio Rejas
Soltanto con la nascita della “Lancashire and Lizard Canary Fanciers’ Association”, avvenuta nei primi del ‘900,
comincia a delinearsi più chiaramente una scala dei punti a livello nazionale, dove al “rowing” viene attribuito un
Femmina argentata: per quanto ottimo, il disegno ventrale non raggiunge mai la definizione e nitidezza di quello dorsale, per una diversa struttura del piumaggio, foto: H. Evans, all.: David Newton
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punteggio dapprima di 5 e successivamente di 10 punti attraverso due pubblicazioni degli anni 1910-11 (4), in una delle quali è riportato anche il commento di un rinomato allevatore di Manchester, relativamente a “The Breast Work”: “… gli allevatori pongono oggi molta attenzione a questo necessario ornamento, e piu lo si ottiene ben definito ed esteso su petto, fianchi e addome, maggiori chances di vittoria si avranno". I padri fondatori della Lizard Canary Association nel 1945 confermarono l’orientamento che si era andato via via consolidando, attribuendo 10 punti al “Rowing”, criterio successivamente adottato anche dalla COM, almeno fino al recente, contestato provvedimento del comitato tecnico OMJ (Cervia, 2016) con cui, aumentandone il valore a 15 punti (contro il parere della nazione detentrice dello standard) (5), si è manifestata la volontà di valorizzarlo ulteriormente. Come un antico dipinto dopo un restauro che ne abbia rimosso la patina del tempo, oggi il disegno ventrale del Lizard è tornato alla luce, anche se il traguardo estetico ideale sembra ancora lontano. La maggior consistenza di rowings attualmente osservabile rispetto al passato, secondo Huw Evans (6), rappresenta infatti un progresso di natura più quantitativa che qualitativa. Va inoltre precisato che anche in tempi meno recenti, limitatamente ad alcuni ceppi ben selezionati, potevano osservarsi soggetti con rowings che non avevano nulla da invidiare a quelli odierni. L’interesse crescente per questo elemento del disegno merita comunque un approfondimento ed è per tale motivo che, a scopo meramente esemplificativo ovvero per focalizzarne meglio i requisiti tecnici fondamentali, lo stesso Evans ricorre alle lettere contenute nella parola “MAGIC”, ove Ma sta per “Magnitude” (grandezza, ampiezza), G per “Geometry” (geometria), I per “Intensity” (intensità) e C per “Constancy” (costanza). Il termine “grandezza” è riferito alla quantità di melanina in termini sia di ampiezza che distribuzione di rowings sul corpo dell’animale. Le marcature, oltre che ampie, devono quindi essere
disposte in senso longitudinale e distribuite uniformemente, a partire dalla gola, sull’intera regione di petto, fianchi e addome, dove s’ingrandiscono gradualmente, per oltrepassare la cloaca e terminare nel sottocoda, dove tornano ad assottigliarsi (7). A causa dello spiccato dimorfismo sessuale e della diversità di piumaggio (dorato/argentato) presenti nel Lizard, a parità di livello qualitativo, la maggiore espressione di questo connotato si ottiene solitamente nelle femmine argentate, la minore nei maschi dorati. Alla “quantità” di rowings deve accompagnarsi una loro ordinata disposizione. La “geometria” riguarda pertanto il preciso disegno formato dalla melanina, che deve essere il più regolare possibile. Considerare il disegno ventrale uguale a quello dorsale, rappresenterebbe però un errore in termini tecnici poiché, com’è noto, le penne del primo tipo (rowings) sono strutturalmente diverse, più soffici e ricche di lipidi rispetto a quelle del secondo (spangling), non potendo quindi raggiungere altrettanta nitidezza e definizione. Appare tuttavia utile evidenziare la presenza di alcune analogie: le marcature ventrali, come quelle dorsali, devono risultare allineate e costituite da penne dotate di un bordo esterno più chiaro che le renda singolarmente individuabili come anelli di una catena (il termine inglese “row” significa infatti una serie di singoli oggetti disposti in fila). Il sovrapporsi del margine chiaro di una penna alla zona scura della penna sottostante conferisce l’effetto “scaglia”, determinando la frammentazione delle linee nere che, altrimenti, risulterebbero strisce continue. (Scientificamente, per penne s’intendono tutte quelle visibili dall’esterno - penne di contorno - dotate di barbe e barbule provviste di uncini; le piume invece, generalmente nascoste sotto le penne, sono più soffici avendo barbe libere prive di uncini. Nel Lizard le piume vere e proprie formano il c.d. “sottopiuma”, che è abbondante e di color grigio-piombo. La fuoriuscita di piccoli ciuffi di piume grigie dalle copritrici è considerata più un pregio che un difetto, essendo dovuta alla densità del piumaggio tipica della razza).
Maschio argentato con calotta spezzata di notevole pregio, con rowings eccezionali per quantità, geometria e intensità; si osservi la loro uniforme distribuzione dalla gola fino al sottocoda, foto e all.: Huw Evans
Il termine “intensità” indica la brillantezza del colore: soltanto il contrasto tra il nero profondo delle marcature e la luminosità del colore di fondo è in grado di rendere il disegno più evidente ed attraente. La maggiore lucentezza del colore di fondo in questo caso è appannaggio dei maschi; purtuttavia, le femmine possono risultare comunque favorite nel mostrare un disegno complessivamente migliore dalla presenza di melanine talora più intense e di una maggiore brinatura, con contrasto tra chiaro e scuro conseguentemente più evidente. Il concetto di in-
Come un antico dipinto dopo un restauro che ne abbia rimosso la patina del tempo, oggi il disegno ventrale del Lizard è tornato alla luce
tensità può essere dunque assimilato idealmente a ciò che accade regolando il contrasto dell’immagine sullo schermo di un televisore. Infine, la “costanza” è riferita alla capacità di un soggetto di mostrare al meglio il proprio disegno costantemente nel tempo. A tale riguardo, appare utile riproporre nuovamente un parallelismo tra rowings e scaglie. È esperienza comune agli allevatori di Lizard ed ai giudici di CFPL che la migliore espressione dello spangling si ottiene in condizioni di tranquillità del soggetto esposto, mentre il disegno tende a scomporsi in situazioni di eccessivo movimento, irrequietezza o spavento provocato da fattori esterni. Lo stesso può dirsi del disegno ventrale: è quindi un pregio del canarino riuscire a conservare il disegno del piumaggio ordinato e composto nel tempo e nelle diverse circostanze. Le caratteristiche come sopra menzionate dovrebbero essere tutte presenti nel caratterizzare rowings ideali, ma nella realtà ciò accade soltanto di rado.
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Nella maggior parte dei casi, infatti, possono osservarsi marcature in quantità più o meno grande, ma in assenza di altri requisiti tecnici non meno importanti. Oltre allo scarso ordine geometrico, frequente è il riscontro di linee continue, senza alcuna distinzione tra le singole penne che le compongono. La popolarità di cui gode oggi il disegno formato da rowings, dopo gli anni dell’oblio, lascia prevedere in ogni caso futuri auspicabili miglioramenti che, tuttavia, non dovranno andare a detrimento delle altre caratteristiche. Come scrive Huw Evans, il Lizard si connota per l’equilibrio delle sue varie componenti: privilegiarne una soltanto significherebbe danneggiare le altre e perdere, di conseguenza, la perfetta, delicata e complessa armonia del canarino. NOTE E RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI 1) Sostantivo inglese di genere neutro, difficilmente traducibile in altre lingue (derivato da “row” = fila, riga), solitamente usato al plurale per indicare l’insieme delle marcature ventrali. Con il singolare (“rowing”) si indica generalmente una singola marcatura, ma anche, soprattutto in passato, l’intero disegno in analogia con lo “spangling”. 2) “The Cottage Gardner and Country Gentleman” era una rivista settimanale, pubblicata per la prima volta nel 1853. B. P. Brent è noto per i suoi contributi alla letteratura avicola ed in particolare al capitolo sulle varietà di piccione domestico nel libro di Charles Darwin “La variazione degli animali e delle piante allo stato domestico” (1868). 3) Si trattava di un Lizard dorato maschio con calotta intera, allevato dal sig. Fairbrass di Canterbury. In quel periodo erano ammessi in esposizione solo soggetti con calotta completa (lo standard proposto da Wallace prevedeva addirittura 20 punti per la sola voce “testa e calotta”). 4) “Our Canaries”, di Claude St. John, e “Canaries, Hybrids and British Birds”, di John Robson. 5) La LCA (Lizard Canary Association) non ha recepito tale modifica allo standard del Lizard. 6) La maggior parte delle informazioni contenute nel testo sono tratte dalle seguenti pubblicazioni di Huw Evans: “Lizard canary basics, part 14: the rise and rise of rowings” (03/12/2017); “Lizard canary basics, part 15: the rise of rowings since 1987” (26/12/2017); “Lizard canary basics, part 16: the magic of rowings” (26/02/2019), disponibili sul web all’indirizzo https://finespangledsort.com, a cui si rimanda per maggiori dettagli e approfondimenti. 7) Ray Lee, “The breeding and management of Lizard canaries”, W. Cummings, 1982, pag. 5.
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Il Lizard, “un brutto anatroccolo”
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arafrasando il Marchese del Grillo, il Lizard è proprio il canarino che potrebbe dire alle altre razze congeneri “Io sono io, e voi non siete …” e quel che segue. Relativamente alle sue origini, si sono fatte sempre solo congetture, ma è la razza di canarino che in circa 400 anni di selezione ha mantenuto sempre identiche caratteristiche. Il Lizard non ha mai avuto un numeroso seguito di allevatori, neanche in Inghilterra. Allevato in principio esclusivamente nel Lancashire, si è in seguito diffuso anche nella zona londinese, soppiantando un’altra razza, il “London Fancy”, che molto aveva in comune con esso specialmente nel colore dei nidiacei. Infatti, molti opinionisti hanno sempre cercato di dimostrare con argomenti più o meno validi che il Lizard possa discendere appunto dal London. Anche oggi questa razza non ha un grande seguito di allevatori o di estimatori e forse il fatto dipende che, per apprezzarlo in tutta la sua bellezza, bisogna aspettare la fine della prima muta. Solo allora si potrà ammirare il suo piumaggio senz’altro originale e solo l’occhio esperto sarà in grado di dare il giusto valore a questo gioiello della natura, con un colore di fondo che nei dorati sembra fuso nell’oro impreziosito da un disegno chiuso alla perfezione, anche se a torto, nella scala valori, il tipo non è un considerando. Mai ho potuto notare alle mostre, anche superlative, un folto pubblico davanti alle gabbie dei Lizard. Se non allevatori, la maggior parte del pubblico passa oltre con lo sguardo distratto, perché il Lizard è un canarino da competenti, come i cultori dell’arte o della musica classica. È una razza che non si è mai proposta per meticciamento o ibridazioni; sarebbe un insulto al suo albero genealogico. Se nelle altre razze di canarini, accoppiamenti tra brinati (vedi Gloster) o tra intensi per la formazione di soggetti a doppio fattore intenso è quasi di prassi, nel Lizard questi accoppiamenti sono impensabili in quanto darebbero adito a soggetti sgradevoli, lontanissimi dalle sue pre-
rogative, e anche perché il piumaggio nel Lizard si presenta sempre impeccabile, lindo e aderente, senza sbuffi né sbavature antiestetiche. Chi si interessa al suo allevamento, sa perfettamente che l’accoppiamento opportuno è dorato (intenso) per argentato (brinato), tenuto anche conto del mistero calotta: · calotta piena X calotta spezzata o mancante; · calotta spezzata X calotta spezzata; Come notato, scarto deliberatamente il Lizard blue, in quanto lo ritengo un meticcio che può solo nuocere al mantenimento della purezza di questa razza. Se quasi tutte le razze di canarini di F. P. L. un giudice esperto potrebbe valutarle al 90% a colpo d’occhio, per il Lizard la cosa è impossibile in quanto il giudizio deve tenere conto di tutti i considerando dei soggetti. Se è vero che è la razza più antica tra i canarini, è altrettanto vero che è abbastanza facile osservare Lizard con ottime scaglie sul dorso (la selezione ha raggiunto livelli ottimali), ma non è abbastanza facile vedere buone rigature sul petto e sui fianchi. Molti soggetti, più nei dorati, presentano qualche accenno di linee pettorali; in altri sono più evidenti ma difficilmente eccellenti, specialmente nei maschi. È un fatto comunque che le piume del petto e dei fianchi sono diverse per natura da quelle del dorso. Soggetti femmine, specialmente nella varietà argento, presentano quasi sempre un disegno ottimale. Un novizio che si cimenta per la prima volta nell’allevamento di questa razza, scrutando i novelli nel nido e nei primi mesi di vita, avrà molti dubbi sul fatto che canarini così poco appariscenti e più simili ad un passero (specialmente se senza calotta), nel giro di pochi mesi possano subire una trasformazione così radicale da diventare degni di una mostra. D’altronde, come dare loro torto se alla schiusa e ancora implumi nel nido, la loro conformazione e il colore si avvicinano più a quelli di nidiacei di indigeni che a canarini? FILIPPO TIGANI SAVA
ESTRILDIDI FRINGILLIDI IBRIDI
Il Santo Graal degli ibridi testo e foto di PIERCARLO ROSSI
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uante volte abbiamo ascoltato frasi come “chi la dura la vince”, “mai mollare”; ebbene, quella che sto per raccontarvi è una vera e propria “favola ornitologica”. Il protagonista di questa favola è il Sig. Ken Grigg, allevatore inglese grande appassionato di ibridi e membro IOA. In questo anno funesto possiamo affermare che il Sig. Ken abbia realizzato il “Sacro Graal” nel “British Bird, Mule & Hybrid all”, riuscendo ad ottenere un ibrido molto raro: Lucherino x Ciuffolotto. Molti di noi potrebbero pensare a quanto sia stato fortunato nel realizzare questo ibrido, ma non è un caso o una fortunata coincidenza; Ken ha provato questo accoppiamento per oltre 30 anni! Ci ha confessato la moglie Jean, nella sua casa nel Kent, “che ogni anno ha allestito questa coppia e che le ciuffolotte utilizzate hanno deposto regolarmente, con un numero di uova, per un lasso di tempo così lungo, verosimilmente di 400 circa, purtroppo sempre infeconde.”
Ken è un bravissimo allevatore, realizzatore di ibridi molto interessanti che gli hanno permesso di primeggiare in diverse esposizioni sul territorio britannico
Lucherino x Ciuffolotta
Eppure, anno dopo anno Ken ha sempre creduto in questa ibridazione, sfidando la fortuna e la pressoché scarsissima affinità tra le due specie. Ma la sua caparbietà e tenacia è stata premiata; infatti, nella stagione cove 2020, ha prodotto un esemplare sbalorditivo, come è possibile ammirare nelle foto allegate. Ken è un bravissimo allevatore, realizzatore di ibridi molto interessanti che gli hanno permesso di primeggiare in diverse esposizioni sul terri-
torio britannico; molto bello un ibrido di Canarino x Ciuffolotto che si era aggiudicato il titolo al National Cage & Aviary Birds Exhibition. Inoltre, sempre lo scorso anno, è stato insignito del premio “Order of Merit” dalla IOA, un premio molto prestigioso che lo colloca tra i dodici più grandi birdmen del Paese. È allevatore da oltre 60 anni ed è stato il segretario generale dell’Head Club di Southern Norwich Plain per oltre 40 anni nonché giudice OMJ da-
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Due immagini di novello di Lucherino x Ciuffolotto
gli inizi degli anni ‘80. Ha gareggiato e giudicato in molti Paesi, vincendo anche diverse medaglie d’oro al Campionato mondiale. L’elenco di così tanti grandi successi non ha fatto montare la testa al bravo allevatore; infatti, alla Dagenham & District Cage Bird Society, associazione a cui è iscritto, Ken è sempre in prima linea con proiezioni di filmati e riunioni, e ha sempre una parola gentile di incoraggiamento o un consiglio per i membri giovani e meno giovani. Questa è la testimonianza che in questo splendido hobby nulla è scontato e la costanza e la caparbietà alla lunga possono premiare; basti pensare a 30 anni di delusioni, progetti e sogni svaniti, riuscendo in fine ad ottenere quel risultato tanto sognato e desiderato. Ho deciso di scrivere queste poche righe, in primis per portare a conoscenza di questo grandissimo risultato tutti i lettori della nostra bella rivista, e perché questa storia mi permette di fare una piccola considerazione. Purtroppo in Italia non esistono riconoscimenti del genere, ed ogni obbiettivo raggiunto, seppur raro, nei casi più fortunati giunge agli onori
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della cronaca, ma da lì a qualche anno passa troppo presto nel dimenticatoio. In Italia vi sono stati e vi sono grandissimi ibridisti che hanno raggiunto risultati pari, se non superiori, a quelli del Sig. Ken. Tra i tanti ne vorrei menzionare due e precisamente Lino Clerici ed Antonio La volpe. Questi due allevatori possono essere considerati, senza ombra di smentita, due artisti che hanno espresso per anni la loro arte regalando a noi appassionati delle vere e proprie gemme alate.
In Italia vi sono stati e vi sono grandissimi ibridisti che hanno raggiunto risultati pari, se non superiori, a quelli del Sig. Ken. Tra i tanti ne vorrei menzionare due e precisamente Lino Clerici ed Antonio La volpe
Lino è sicuramente persona umile e sempre disponibile, con un grandissimo spirito di osservazione rivolto alle coppie che ogni anno introduce in allevamento; questo gli ha permesso in quasi 50 anni di grandissima passione, di ottenere ibridi incredibili, parecchi inediti. La sua predilezione per l’ibrido di Fringuello x Verdone è nota, riuscendo ad ottenere soggetti sia ancestrali che mutati, quasi ogni anno; e poi, come non menzionare quelli con il Crociere che, accoppiato con l’Organetto, gli ha permesso di ottenere soggetti nero/bruni e soggetti mutati veramente accattivanti, e come non ricordare quelli con il Mozambico realizzato in ambo le direzioni. Per non parlare di quelli con il Ciuffolotto dove, oltre ad averne realizzati di bellissimi con il Canarino, nella forma Nero Bruna, fu il primo ad ottenere soggetti di sesso maschile nelle mutazioni Pastello e Bruno. Accoppiando il Cardellino con la Ciuffolotta, si è permesso il lusso di aver un numero così elevato di novelli da poter selezionare diversi stamm, in una sola stagione riproduttiva, sempre vincenti.
Quando parla dei risultati raggiunti nella sua splendida carriera, gli si illuminano gli occhi e ci racconta di un ibrido di Verdone Bruno x Peppola, da cui nacque una splendida femmina mutata, esposta al mondiale di Charleroy e, purtroppo, rubata ancor prima di essere giudicata. Mentre, nel 1966 ottenne un ibrido di Ministro (Passerina cyanea) x Fringuello, che perì per inappetenza a causa dell’assenza di prede vive, non facili da reperire a quei tempi. Moltissimi altri ibridi furono realizzati, ma mi vorrei soffermare su un particolare: entrambi gli ibridi appena citati sono ibridi decisamente datati, e questo rende ancora maggior lustro al signor Lino. Infatti, in quegli anni di fringillidi indigeni nati in allevamento non ve ne erano ed i soggetti venivano recuperati in natura; capite bene che la strada era ancora più in salita, e solo un occhio veramente attento ed un animo sensibile riusciva a raggiungere certi traguardi.
Il secondo “maestro” è Antonio La Volpe, uomo del sud, con una grandissima passione per il mondo alato, persona sempre disponibile nei confronti di tutti e prodiga di consigli. Dobbiamo essere grati ad Antonio perché, in questi ultimi quarant’anni, ci ha regalato dei veri capolavori: come non ricordare i primi ibridi mutati tra Crociere e Canarino, il primo ibrido in assoluto tra il Negrito e la Verdona, Fanello x Cardinalino in ambo le direzioni, ed addirittura un R1 di Crociere, tutti realizzati dentro le comuni gabbie da cova da 60Cm. Molti altri, tutti degni di nota, sono stati gli ibridi realizzati che spesso hanno fatto bella mostra di sé sulle copertine della nostra rivista. Vorrei ricordare, tra gli altri, i soggetti mutati di sesso femminile tra il Canarino Bruno Pastello e la Verdona, molto ammalianti, anche perché realizzati in anni in cui non esistevano ancora i Verdoni mutati; oppure gli splendidi
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soggetti ottenuti con l’Organetto accoppiato al Cardellino, o al Cardinalino, o alla splendida Ciuffolotta. I soggetti usati in ibridazione erano sempre studiati nei minimi particolari dal bravo Antonio, ed osservati costantemente per carpire i loro comportamenti; tutto questo, insieme ad una sfrenata passione, gli ha permesso di ottenere risultati eccezionali. Io penso che a queste persone la F.O.I., la nostra Federazione, dovrebbe essere grata, in quanto hanno permesso di portare in alto il nome dell’Italia in tutte le manifestazioni internazionali a cui hanno partecipato. Inoltre, credo sia giusto conferire a chi, come loro, con qualche primavera in più, un premio, giusto riconoscimento per tutto quello che ci hanno donato fino ad oggi e che, grazie alla loro grande passione, riusciranno a regalarci negli anni a venire.
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CANARINI DA CANTO
Canaricoltura da canto Arte e Scienza di FRANCESCO DI GIORGIO, foto RIVISTADIAGRARIA.ORG
T
utti i canarini indubbiamente cantano, ma tra il canto di un campione delle razze “canterine” e quello dei comuni canarini c’è la stessa differenza che passa tra un’opera cantata da Pavarotti ed una canzonetta strillata da uno di noi in bagno, magari mentre si rade. In fondo l’essenza delle razze da canto è tutta qui: nell’osservanza dei concetti fondamentali della materia, incentrati su arte e scienza. Nel periodo successivo all’irrobustimento in voliera, i giovani allievi che devono apprendere il canto vanno posti in singole gabbiette, collocate in un apposito scaffale che va tenuto in penombra. È ragionevole stabilire in quattro mesi l’età minima dei canarini da ingabbiare dentro lo scaffale canonico. È necessaria inoltre la presenza di un maestro cantore, vale a dire di un soggetto d’uno-due anni, che l’allievo dovrà imparare ad imitare. Ottenuto l’adattamento dei propri
È necessaria inoltre la presenza di un maestro cantore, vale a dire di un soggetto d’uno-due anni, che l’allievo dovrà imparare ad imitare
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Canarini Malinois, fonte: www.rivistadiagraria.orgh
pupilli nello scaffale, il canaricoltore deve vigilare sui vocalizzi, intervenendo qualora riscontrasse suoni tali da rompere l’armoniosità del complesso corale. Il canto è segno di buona salute, di dominanza di espressione sessuale, di territorialità, di gioia di vita! Verso la metà di ottobre, l’accudente deve procedere all’estrazione degli allievi dallo scaffale a quattro per volta e, tramite l’ascolto in una stanza dove non ci siano altri uccelli, formare gruppi affini (stamm) da allenare per
le gare di novembre, dicembre e gennaio). È nel periodo dell’educazione canora degli esemplari delle giovani leve che l’allevatore/preparatore avverte la nobiltà del suo lavoro, che non è comparabile con quello prodotto da colleghi di diversa specializzazione. Il canarino da concorso deve essere in possesso di tutte le frasi di canto codificate e deve emetterle in modo superiore alla media. I coefficienti per il raggiungimento della forma sono, oltre all’allena-
mento, la temperatura, l’illuminazione e l’alimentazione. Qualora si riscontrasse che un campioncino è restio a far sfoggio di tutte le sue qualità canore, è preferibile procedere alla sua sostituzione perché meglio di lui certamente farà un cantore meno bravo ma dal temperamento più disinvolto. Se una coppia di buon ceppo producesse nella prole un canto mediocre, in qualche caso è sufficiente scindere quell’unione per avere da quegli stessi genitori, accoppiati diversamente, dei figli di valore. Va da sé che l’affinamento canoro poggia sulle regole degli accoppiamenti in consanguineità. Per l’allevatore che disponga di un buon numero di ottimi maschi, è possibile concorrere in più gare, sfruttando la tecnica dell’avvicendamento dei cantori. A fine gara, a volte, il malvezzo delle discussioni di critica verso l’operato dei giudici: uno scenario triste da evitare perché scema la bellezza e costruttività del concorso stesso. Le esposizioni a concorso di uccelli domestici servono ad avvicinare persone nuove, sono però soprattutto uno strumento indispensabile per guidare e sostenere la selezione delle diverse specie o razze di uccelli allevati. Possiamo indubbiamente affermare che senza esposizioni l’ornicoltura non sarebbe potuta giungere ai livelli attuali di qualità che danno lustro ad ogni allevamento, seppure amatoriale. Purtroppo l’emergenza Coronavirus ci costringe ad attenuare le nostre abitudini di vita, compreso l’hobby allevamentizio. C’è stato, poi, lo stop per tutte le manifestazioni ornitologiche nel 2020. Non perdiamoci d’animo; restiamo vigili, prudenti, uniti; Dio è provvidente. E verranno tempi migliori!
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ONDULATI ED ALTRI PSITTACIFORMI
Pionites melanocephalus La prima descrizione Prima parte testo FRANCESCO DALBA, foto P. ROCHER, disegni IT.WIKIPEDIA.ORG e WWW.BIODIVERSITYLIBRARY.ORG
È
la prima tra le specie di Pionites ad essere descritta. Pionites sta a significare “simile al Pionus” (il suffisso greco -ίτης sta ad indicare un grado di affinità od appartenenza, in tassonomia viene utilizzato appunto per significare che un taxon presenta una somiglianza con un altro precedentemente descritto). Proprio a questo suffisso si deve la comparsa del sostantivo Pionites in due celebri opere, antecedenti finanche alla scoperta delle Indie occidentali. La Naturalis Historia di Plinio il Vecchio ha un che di inquietantemente profetico. Infatti nel V libro,
Il Pionites pappagallo deve il suo nome alla apparente pinguedine del Pionus
dedicato alla geografia dell’Africa, Medio Oriente, Cappadocia, Armenia e Cilicia, al XXXII capitolo, descrivente la costa dell’Asia Minore, si trovano menzionati uno dipresso all’altro il fiume Caico (ex Mysia veniens Caiucus amnis – 121) e la popolazione dei Pioniti (Pionitae -123, i quali non sono che gli abitanti della città di Pioniai Πιονίαι –ibid. 126). Il De mineralibus et rebus metallicis (e non purtroppo il De animalibus) di Alberto Magno, scritto nel XIII Secolo, menziona una pietra detta Pionites (Lib. II, trattato II, minerali che ini-
Pionites melanocephalus, foto: P. Rocher
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ziano per la lettera P). In questo caso Pionites è una corruzione (1) di Paeanites; essa avrebbe avuto la particolare caratteristica di partorire, in determinati periodi dell’anno, una pietra uguale a sé stessa, cosicché porta il nome di Παιάν (poi attributo di Apollo) il medico degli dei, invocato durante i parti. Il Pionites pappagallo deve invece il suo nome alla apparente pinguedine del Pionus, poiché in greco πίων significa grasso o paffuto (in latino pinguis). Sicuramente il Pionus non ha l’apparenza slanciata di un Coracopsis vasa, però quando Wagler gli attribuisce questo nome, alla p. 497 della sua Monographia Psittacorum, accomuna specie eterogenee, poiché scrive: abitano in Asia
in opere precedenti alla sua scoperta, consente di menzionare anche una tela nella quale vi è forse un richiamo alla colorazione di Pionites melanocephala. Nel dipinto ad olio del 1567 di Pieter Brügel il Vecchio, intitolato Luilekkerland, ossia il paese della cuccagna, ricorrono le allegorie classiche di questa ambientazione, quali la presenza di cibo che si offre spontaneamente alle persone, il passaggio attraverso le nuvole per raggiungere il luogo e così via. Ma il dipinto è anche, più sottilmente, un’immagine del nuovo mondo: quella che viene solitamente identificata come una “pianta fatta di focacce”, sulla destra è invero un’Opuntia con i caratteristici cladodi. Ebbene, anche l’uomo
“Il paese della cuccagna”, opera di Brügel il Vecchio, fonte: it.wikipedia.org
Africa ed America, vivono in grandi stormi, per quel che attiene le rimanenti attitudini di vita, esse sono ignote. Ricomprende infatti nel genere i Pionus veri e propri, gli attuali Pionites, le Gypopsitta ed alcuni Poicephalus. In nota spiega l’etimologia dicendo che Pion sta per “obeso” e che gli indigeni del Brasile chiamano questi uccelli Maitaca; li descrive come aventi un corpo tozzo e grasso. La sua caratteristica di “nascondersi”
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che poco sopra fuoriesce da una nuvola con un cucchiaio in mano (nell’angolo in alto a destra) presenta una dislocazione cromatica simile a quella di un P. melanocephalus. Le denominazioni tassonomiche dei Pionites in generale si contraddistinguono per l’assenza di fantasia, limitandosi a richiamare una specie affine, il Pionus appunto, per quanto riguarda il genere ed a rappresentare alcune caratteristiche cromatiche per
quel che attiene alla specie. Così melanocephalus sta per testa nera, leucogaster sta per ventre bianco. Nemmeno le sottospecie sfuggono a tale logica: per il pallidus non fa d’uopo traduzione, mentre xanthomerius significa cosce gialle e xanthurus vuole dire coda gialla. Il primo Pionites melanocephalus in senso proprio, del quale si ha notizia certa, fa la sua comparsa in un pub (allora detto Public House) nel quartiere di Westminster a Londra, nei pressi dello Strand. Lo racconta chi lo vide, ossia George Edwards, bibliotecario del Royal College of Physicians nella monumentale Storia Naturale degli Uccelli Rari e di alcuni altri Animali rari e non descritti, Quadrupedi, Pesci, Insetti eccetera, pubblicato dall’autore tra il 1743 ed il 1751. All’epoca lo Strand era l’area di Londra dove maggiormente si concentrava la maggior parte dei negozi di animali, di menageries e di esibizioni di animali. Christopher Plumb, nella sua tesi dottorale Animali Esotici nella Gran Bretagna del Diciottesimo Secolo, dimostra che la geografia degli animali esotici a Londra ha due fulcri ben precisi: Strand e Piccadilly. Camminando al mattino presto per lo Strand si poteva spesso osservare il passaggio di canguri ed elefanti, si diceva che fosse pericoloso transitarvi a cavallo, poiché si udivano regolarmente i ruggiti dei grandi felini. Già nel 1252 era solito bagnarsi nelle acque del Tamigi quello che allora era un animale particolarmente esotico: un orso bianco donato dal re di Norvegia ad Enrico III; l’orso veniva accompagnato al fiume e mantenuto
Particolare del quadro di cui sopra
con una catena d’oro (si veda D. Hahn, tendono al bianco, ma l’area è meno Le denominazioni The Tower Menagerie). diffusa. È quindi una peculiarità del Plumb include nella sua dissertazione genere Pionites, va detto che ora in tassonomiche dei Pionites due mappe, con i principali negozi inglese White Breasted Parrot è il Pioin generale si londinesi dell’epoca di Edwards (e di nites leucogaster, mentre il melanocontraddistinguono lui racconta che aveva una grande colcephalus è detto Black Capped Parrot. lezione di pappagalli, fringillidi, un leIl venditore assicurò che l’animale per l’assenza di fantasia mure, uno scoiattolo, scimmie ed una “proveniva da Carraccos, sul conticoppia di testuggini), ma non comnente Americano, parte dei domini spapare la Public House in the White-Hart gnoli”. A parte la menzione di Edvivo. Scrive: “Questo uccello mi pare Yard, dove Edwards riferisce di avere wards, Carraccos si rinviene che abbia le dimensioni di una tortora, potuto vedere il pappagallo. Nella unicamente in un altro luogo: nella o di quelle piccole colombe bianche Mappa di Londra di John Rocque descrizione che William Dampier dà che alleviamo in gabbia. Ne ho fatto (1746) viene riportata una White Hart degli avocado, l’Avogato Pear Tree, un disegno, che sembra essere molto Yard poco più ad est, nella City of Lonnel suo libro A New Voyage round the vicino alla sua dimensione da vivo; midon, che avrebbe preso questo nome World, ove narra: “Viene riferito che surando le ali chiuse dello schizzo, ho proprio da un Inn recante il nome di questo frutto induca alla lussuria e per trovato che sia di cinque pollici, perWhyt Hart (che significa Cervo bianco, questo motivo è assai tenuto in stima tanto le dimensioni dell’originale poveniva raffigurato sulle insegne di dagli Spagnoli; e anche io credo che lo tranno facilmente essere desunte molte mescite di bevande ed osterie stimino molto, poiché ne ho incontrate dalla tavola”. in Gran Bretagna, anch’esso, come grandi quantità negli insediamenti spaEdwards si diffonde poi sulla coloral’orso bianco di cui sopra, con una cagnoli dei mari dell’emisfero settentriozione dell’esemplare e lo denomina: tena d’oro al collo). Nel più tardo nale, come pure nella baia di Campecy, “The White Breasted Parrot”: anche elenco dei Luoghi di Londra di John sulla Costa di Cartagena e sulla Costa lui non sfugge dalla dinamica dei Lockie (una “i” in più del filosofo) del di Carraccos”. Carraccos è un’insolita nomi basati sui colori, ma va detto 1810 c’è anche una White-Hart Yard grafia per Caracas. L’indicazione di che di pappagalli col petto bianco non in Strand, alla Drudy Lane, proprio giprovenienza geografica, quindi, era se ne contano poi molti, se si esclurando l’angolo della Gran Loggia Unimolto probabilmente corretta. dono quelli completamente bianchi: versale. La descrizione si conclude così: “Ho Psilopsiagon aymara più che bianco lo Poiché Edwards dice: nei pressi di esaminato tutte le descrizioni sui papha cianescente; Myiopsitta monachus Strand, è più probabile che si tratpagalli di diversi autori che ho potuto e Cyclopsitta gulielmitertii amabilis tasse proprio di quest’ultimo locale; reperire, ma non ne trovo alcuna che esiste ancora, anzi è stato il primo locombaci con quella sopra riportata. Si cale ad avere una licenza in tutta tratta di un bel piccolo pappagallo Londra, nel 1216. Il quartiere co- Prima rappresentazione assoluta del Pionites melanocephalus In, Edwards, e, trattandosi probabilmente di una nobbe alterne fortune, ma al- fonte: www.biodiversitylibrary.org specie non descritta, spero che mel’epoca in cui venne visto il primo riti di essere pubblicata”. Il disegno, Pionites aveva perduto molto un poco secondo lo stile del condello smalto del 1600, anzi protemporaneo Albin, rappresenta prio al White Hart era l’ultima accuratamente l’animale; mantappa per consumare delle becano solo le due ciliegie nel becco, vande alcooliche per i condannati che si ritrovano invece in quasi a morte. Forse anche per questo tutte le altre tavole del volume. motivo l’autore non si diffonde in Quello che può apparire un vezzo molti dettagli sul luogo, mentre pittorico è invece uno stratadi solito specifica il nome del vengemma per mostrare quale sia la ditore o del negozio. corretta scala dell’immagine; nel Qui, alla p. 169, della III parte caso del melanocephalus non è nedell’opera, si legge: “Ho veduto cessaria, poiché la tavola è a diquesto uccello in possesso di un mensioni naturali. In piccolo, sul commerciante in uccelli esotici, che fondo della pagina, si legge con la aveva un Pub nella White-Hart grafia di Edwards: Parakeet from Yard, nei pressi di Strand, Londra”. Carraccos. Il venditore lasciò che Edwards osservasse a lungo ed accurataNOTE mente l’animale, perché poté (1) Alberto Magno cita qui il De proprietaquantomeno tratteggiarlo dal tibus rerum di Bartholomaeus anglicus.
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S pazio Club I
l significato assunto dalle iniziative di un Club di specializzazione si concretizza in definitiva nella crescita numerica e qualitativa dei soggetti della razza di appartenenza, degli allevatori che si cimentano nell’allevamento della stessa e nello stimolare interesse sulla razza quanto in ambito espositivo che selettivo. Tutto ciò trae origine dalla visione che ogni Club dovrebbe perpetrare seguendo quanto dettato dalla FOI e divenendo un elemento di aggregazione a sostegno di un interesse comune, che avvicina allevatori e simpatizzanti della stessa razza su tutto il territorio nazionale nonché all’estero. Chiare e di prima realizzazione sono pertanto le attività che in tal senso comprendono le Mostre specialistiche di razza, le attività divulgative e tecniche quali convegni e seminari, i dibattiti e le pubblicazioni di ogni genere. Un contributo che amplifica esponenzialmente l’attenzione e favorisce lo scambio di esperienze tra appassionati diffondendo la conoscenza del particolare canarino in questione, al pari delle azioni sopracitate, è dato dalla diffusione tramite l’etere di tutto quanto riguardi una specifica razza. La relativa documentazione, esperienze “allevatoriali”, osservazioni, dettami e standard di selezione assieme a tutto il materiale fotografico e illustrativo, completano un pacchetto conoscitivo la cui capillare fruizione è garantita efficacemente solo dai mezzi social e dal web al giorno d’oggi. La riconosciuta forza di questi sistemi di informazione è dimostrata dall’evidente risultato ottenuto dalla creazione ed implementazione del sito web del Club Italiano del Canarino Jaspe (www.clubitalianojaspe.com). L’efficacia pubblicitaria e la conseguente capacità di generare adesioni, derivano dal concreto prodotto che si è ottenuto. Si è creato così, un sito di
facile consultazione ricco di spunti e contenuti che genera interesse per mezzo di una ricca sezione fotografica, in continuo ampliamento e che si accompagna alle schede tecniche sui tipi SD e DD (singola e doppia diluizione). A questi si aggiungono le pagine interattive con il sito FOI, la possibilità di scorrere le classifiche dei soggetti Jaspe esposti in diverse mostre nazionali, internazionali e ai campionati italiani e mondiali degli ultimi anni ed altro ancora. Dall’idea di realizzazione indicata dal direttivo di Club alla sua attuazione con un minimo e sostenibile esborso nell’acquisizione del dominio e nello sviluppo di un semplice layout di presentazione, passa tutta la fase di costruzione del sito web che ha compreso l’acquisizione dati documentale e fotografica sul canarino dalle caratteristiche barrature. Un lavoro che ha coinvolto e continua a includere la partecipazione di soci del Club e allevatori amici italiani e non, che si spendono a vantaggio del Jaspe attraverso la produzione di tutto ciò che è consultabile sul sito web. Stesso vale per le collaborazioni, fattivamente intensificate, con l’organo tecnico della FOI in merito alla condivisa azione che passa anche dal sito, per la crescita e la corretta selezione della razza, nell’auspicata stretta sinergia ed impegno con gli allevatori che di fatto selezionano ed espongono il canarino Jaspe. La conseguente analisi dei risultati ottenuti da un tale mezzo di informazioni è testimoniata dall’enorme effetto dimostrato dal maggior numero di contatti, richieste e persino di adesioni al Club a seguito dell’attivazione on line. Appunto per questo, in conclusione, si rende il giusto valore all’impegno profuso che merita ogni analoga attività e che, come è stato per il sito www.clubitalianojaspe.com, può divenire un’opera di carattere collettivo poiché coinvolge tutte le figure interessate e unite nel rendere al meglio e più diffusamente l’espressione di qualunque razza o tipo di uccellino attore protagonista di ogni Club FOI.
Club di specializzazione
Il Club F.O.I. tra selezione e promozione di una Razza
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DIDATTICA & CULTURA
Allevare un Tordo che viene da lontano di LUCA GORRERI, foto L. GORRERI e D. ZANCHI
I
l Tordo Grigio Giapponese, denominato scientificamente Turdus cardis dal 1830 (da Temminck), abita nel Giappone, appunto, e in parte della Cina e dell’Indocina e a volte si può trovare in Cambogia, Vietnam e Tailandia (dove l’ho visto proprio nel 2019). È un Tordo quindi esotico per noi, con una lunghezza di circa 21 cm e un peso medio di circa 60-70 grammi e presenta notevole dimorfismo sessuale. Infatti il maschio, più bello tra i due sessi, è quasi tutto nero con
Il maschio è quasi tutto nero con petto bianco con macchie nere, mentre la femmina è scura tendente al marrone Piccoli di cardis
petto bianco con macchie nere, mentre la femmina è scura tendente al marrone (dorso bruno-olivastro) con addome molto striato e colorazione ruggine chiara ai lati del petto che, nella parte centrale bassa, è bianco con striature scure. Entrambi hanno anello perioculare e zampe di colore giallo, così come il becco che però nella femmina è più scuro nella parte inferiore. I giovani assomigliano alla femmina ma con dorso striato e lati del petto camoscio con chiazze. Il canto assomiglia a
quello del comune Tordo bottaccio (T. philomelos) ma è maggiormente spezzato. È un alato che migra verso il sud della Cina a partire dalla primavera, mentre in inverno frequenta anche i giardini giapponesi alla ricerca di cibo. Spesso, in inverno, si associa nelle foreste di sempreverdi con il Tordo siberiano (Geokichla sibirica) caratterizzato da una visibile striscia bianca sopra l’occhio che lo differenzia da molti turdidi. Frequenta foreste dense collinari o
montuose tra i 400 ed i 1500 mt. di altezza, predilige ambienti ben ombreggiati. In natura, frequenta i boschi con ricca vegetazione dove si ciba di insetti, di frutticini e di piccoli invertebrati che ricerca sul terreno e nella parte bassa del sottobosco dove predilige rifugiarsi. Uno dei frutti che predilige è quello della Schefflera octophylla, pianta presente nei climi tropicali e pianta da appartamento ornamentale usata anche da noi ma che, nei nostri climi, non riesce a fruttificare.
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Costruisce un nido a coppa, di solito negli arbusti, formato da radichette, fili secchi erbacei e muschio, che mescola un poco alla terra. Le uova deposte nel nido sono di colore celeste sporco con macchiette da 3 a 6mm che schiudono a 13 giorni; le covate annue sono in media due, a volte tre, in funzione dell’andamento climatico e delle zone di nidificazione. I piccoli escono dal nido a circa 15 giorni dalla nascita ma vengono alimentati ancora dai genitori fino al totale svezzamento. In tali boschi, spesso la notevole presenza di serpenti, che attua una forte predazione di uova e pulli anche di tale specie, condiziona logicamente il numero di covate; inoltre, gli eventi climatici estivi avversi (tipo nubifragi o fortissimi venti) che possono distruggere la covata, inducono la femmina a “ricovare” velocemente. Di tali negatività noi allevatori invece siamo esenti (o quasi, in quanto a volte l’intrusione di un serpente o di un ratto può essere letale per i nostri amici alati) e quindi le covate sono proficue, dandoci la soddisfazione di far crescere dei soggetti sani che rappresentano un turdide di bell’aspetto e colorazione che, se ben accudito, saprà essere docile e ci allieterà con il suo piacevole canto primaverile. Ma vediamo come al meglio poterlo detenere ed allevare.
Nido con pullus di tordo g. giapponese
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I piccoli escono dal nido a circa 15 giorni dalla nascita ma vengono alimentati ancora dai genitori fino al totale svezzamento
Essendo una specie esotica e non in Cites, quindi non autoctona, non necessita di autorizzazione alla detenzione anche se è consigliabile detenere soggetti anellati, utili per riconoscere i riproduttori e per dimostrare la nascita in allevamenti amatoriali. I soggetti esotici di solito non possono essere trasportati in aereo e quindi introdotti nella nostra nazione (tramite tale mezzo) già da diversi anni, quindi è ovvio che i soggetti che oggi deteniamo provengono dai nostri allevamenti oppure, se trasportati ed introdotti (es: auto), da allevamenti europei. Questa specie, cosi come la maggior parte dei turdidi, necessita per riprodursi di voliere, meglio se esterne anche se non di rado alcuni allevatori hanno allevato e allevano turdidi in volierette interne.
Coppia di cardis in riproduzione
Le voliere devono essere protette dai venti; infatti, il vento rappresenta un fattore climatico molto dannoso per gli alati. Non male il prevedere una parte (1/3) del tetto aperto per far passare pioggia e luce. Mi ricordo, nelle molteplici visite che ho fatto ad allevatori di turdidi comuni, di aver visto in Toscana un allevatore che aveva realizzato, all’interno di stanze di un vecchio casolare rurale, alcune voliere di circa un metro di larghezza e uno e mezzo di lunghezza, alte circa un metro. In tali voliere si riproducevano i sasselli ed uno dei motivi di questa scelta era la difesa dalle zanzare (con semplici zanzariere apposte alla finestra delle stanze), inoltre il minor sbalzo di temperature tra giorno e notte (rispetto a voliere esterne) e la possibilità di intervenire meglio con la luce artificiale per anticipare di due mesi le cove. Infatti, con un idoneo piano programmato di regolazione dell’intensità e quantità di luce artificiale (circa 17 ore), riusciva a far entrare in estro amoroso le coppie dei tordi comuni allevati già dal mese di febbraio, quando invece il periodo naturale è aprile/inizio maggio. In questo modo, giungeva al pieno periodo del caldo estivo con le cove già terminate poiché anticipate con la tecnologia.
Logicamente il fotoperiodo può essere applicato anche in voliere esterne dove, partendo dall’inverno, si allungano proporzionalmente i minuti di luce al giorno, inducendo così le coppie a covare. Infatti, in natura (e in voliere anche interne) è la luce che determina la produzione di estrogeni negli uccelli e, quindi, lo stimolo riproduttivo. L’alimentazione aiuta ma in maniera assai minore. Ai turdidi quindi si forniscono alimenti con maggior presenza proteica e lipidica proprio prima della riproduzione (circa un mese e mezzo prima) come i pastoni con insetti. Il fornire gli insetti è, oltre che apporto nutrizionale, stimolo ed eccitazione negli alati che iniziano anche le parate nuziali dei maschi (in molte specie), i quali proferiscono alle femmine gli insetti come atto di “gentilezza”. Da non da dimenticare il fornire integratori con la vitamina E utile per aumentare la fecondità delle uova. Io mi sono trovato bene con diversi prodotti del commercio da aggiungere nel pastoncino da insettivori nelle dosi indicate sulle etichette. Importante anche mettere a disposizione erbe secche e crini, in quanto stimolano alla costruzione dei nidi. La tipologia di materiale da fornire
Importante anche mettere a disposizione erbe secche e crini, in quanto stimolano alla costruzione dei nidi
per la costruzione del nido non è da sottovalutare. Nella mia esperienza di allevatore di turdidi esotici e comuni mutati, ho spesso fatto errori che ho anche descritto su alcuni testi e guide sull’allevamento dei turdidi che ho realizzato. Infatti, spesso ho citato di usare i fili di cocco (che usavo anche io in quanto assai presenti negli habitat di molti tordi esotici) che però poi mi sono accorto di essere a volte non idonei in quanto li ho ritrovati nello stomaco dei piccoli, i quali magari a circa 2025 giorni deperivano e morivano proprio a causa della presenza di piccole palline di fili di cocco che si attorcigliavano e non venivano evacuate dagli stessi, creando dimagrimento e deperimento a volte letale. Accadevano due negatività: la prima, che
Disegni di Turdus cardis (sessi ed età) dal testo Thrushes di P. Clement e R. Hathway della Helm
qualche filo del nido entrava all’apice nel becco del pullus che, sentendolo, lo stimolava a continui movimenti di apertura-chiusura bocca ed ingerimento del filo. Oppure, accadeva che frammenti dei fili di cocco rimanevano sul fondo delle voliere e si appiccicavano agli insetti forniti vivi (ecco altro errore, che poi vi illustrerò di seguito). I genitori, infatti, per ucciderli o spezzettarli, sbattevano gli insetti, tipo il prelibato lombrico o la camola, sul fondo delle voliere dove si legavano, appunto, ad un filetto di cocco che quindi andava a finire in bocca al nidiaceo. Anche una elevata carica batterica veniva ingerita, dovuta ai residui terrosi e altresì allo sterco presente sul fondo delle voliere che si appiccicava all’insetto. Fondi delle voliere che logicamente non possono, soprattutto nel periodo riproduttivo, essere pulite molto spesso per non disturbare la riproduzione in atto che potrebbe andare male. Per il Tordo cardis occorre fornire anche una vaschetta con argilla inumidita in modo che possa usarla per impastare un po’ il materiale del nido; questo turdide, a differenza del comune Tordo bottaccio che usa argilla internamente al nido, lo riveste solo esternamente.
Uno stamm di cardis ad un Mondiale olandese
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quali ho iniziato una sperimentazione con altri allevatori di turdidi come alimento in sostituzione totale degli insetti congelati durante l’imbecco dei genitori. Ottime per la composizione (circa 35% di proteine) e per la forma poiché, quando bagnate, assomigliano ad un piccolo insetto con forma lunga e fine. Ma riaffronterò tale argomento al termine delle prove, in quanto tale tecnica potrebbe veramente cambiare molto il modo di allevare dei turdidi e degli insettivori. Stiamo lavorando per far abituare gli uccelli ad usare tale alimento per imbeccare direttamente i nidiacei. Un accenno anche alle patologie, sebbene occorra evidenziare che i turdidi sono uccelli robusti che, se ben alloggiati e puliti ed alimentati
Femmina di cardis
Per riprendere l’argomento sull’uso di insetti vivi, dopo anni di prove e di confronto con diversi amici allevatori, tra cui ricordo l’esperto Danilo Zanchi della Val Seriana che alleva anche tale specie, a parer mio è consigliabile utilizzare durante la riproduzione (nel restante periodo si possono anche utilizzare con razionalità) insetti congelati come i pinkies e i buffalo nei primi 4-5 giorni e poi anche le tarme della farina, i bigattini, i grilli e le camole del miele, lombrichi (sempre tutti congelati logicamente) nei successivi 45 giorni; io poi, a circa 8-9 giorni, li tolgo ai genitori e li allevo a mano per meglio farli addomesticare e renderli più docili. Insetti congelati perché, grazie alla preventiva bollitura, asciugatura e successiva veloce congelazione, sono privi di batteri rispetto agli insetti vivi, batteri deleteri per la poca immunità nei primi giorni dei pulli che subirebbero contaminazioni dannose e a volte letali (pance gonfie, fegato ingrossato, intestino infiammato, presenza di Escherichia coli etc. etc.). Da ricordare anche l’utilità dei pinkies o larva di mosca soldato che sono insetti di dimensioni piccole, quindi
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proprio idonei per l’imbecco dei primi giorni. Altro accorgimento importante da consigliare è quello di spargere almeno 2 volte durante la riproduzione (prima della prima covata e poi prima della seconda, per non disturbare) sul fondo delle voliere un buono strato di torba acida di sfagno da spruzzare ogni tanto con aceto diluito nell’acqua (50 ml litro), in modo da rendere tale fondo acido e quindi tenere lontani i batteri che non prediligono l’acidità. Tale torba è in vendita presso le agrarie o i negozi di giardinaggio, ha un colore mattone ed è venduta anche in sacchi da 50 litri; con 50 litri ci si fanno circa 5 voliere (mt 2 per mt 11,50), proviene dalle sfagnete acide del nord europa (e va usata questa tipologia non altre). Tornando all’imbecco dei pulli (una volta tolti ai genitori all’età di circa 8 giorni) somministro con apposita siringa con tubicino pappa ogni 2 ore circa, dalle 6,30 alle 23 circa, composta da Ornizym Estroso o Gemme (50%) da Cuore di bue macinato (25%) e da Pellet con il 20% di proteine (25%); a volte aggiungo un po’ di ortica essiccata. Ottime anche le Gemme e l'Artificial Insect con le
I turdidi sono uccelli robusti che, se ben alloggiati e puliti ed alimentati con cura, non presentano poi molte malattie
con cura, non presentano poi molte malattie. Una patologia che si può presentare (dovuta spesso all’ingerimento di insetti vivi) è la verminosi che si combatte usando 2 volte all’anno (prima della riproduzione e prima della muta o ai pulli a circa 15-20 giorni di età) il tetramisole in 5 gr nell’acqua da bere per 2 giorni consecutivi. Le batteriosi più comuni, tipo quella da Escherichia coli, si potranno combattere usando un antibiotico (es. gentamicina ma secondo prescrizione veterinaria) per circa una settimana, seguito da un vitaminico (logico in questi casi fare tamponi e poi antibiogramma). Non male nebulizzare nelle voliere 3-
4 volte la settimana, durante la riproduzione, un ottimo disinfettante antibatterico che si può usare anche in presenza dei soggetti (come l’F10). Per evitare la presenza di acari, occorre immettere nel solco scapolare una goccia di ivermectina o fipronil verso marzo e verso luglio, oltre a spruzzare ogni tanto nelle voliere (pareti, posatoi, corridoi, etc.) prodotti ornitologici a base di piretroidi. Per le acariasi delle zampe, che vanno sempre controllate (da scagliosità, rigonfiamenti, etc.) occorre o un po’ di pomata ad uso ornitico. Per ingrossamento del fegato (si nota soffiando sull’alto ventre dove termina lo sterno) ottimo fornire prodotti a base di cardo mariano, fumaria e zinco. Importante non far mancare dei buoni probiotici ai genitori e ai piccoli,
Non dimenticare neppure, nel periodo pre-muta, di fornire sali minerali e molta verdura, soprattutto melanzane, mele e se possibile bacche fresche
L
Particolare di un maschio di cardis
poiché aiutano ad aumentare le difese immunitarie. Non dimenticare neppure, nel periodo pre-muta, di fornire sali minerali e molta verdura, soprattutto melanzane (aiutano la muta) cachi, fichi,, mele e se possibile bacche fresche. Ma è fondamentale essere seguiti da un bravo veterinario che possa spesso visitare il vostro allevamento; è possibile visualizzare sul sito www.foi.it l’elenco dei veterinari di
a parte conclusiva dell’articolo di Luca Gorreri, lancia un appello verso gli organi Federali FOI, al fine di affrontare il problema delle Categorie a concorso dedicate ai Turdidi che a dir suo risultano numericamente insufficienti ed andrebbero allargate. In due precedenti articoli pubblicati su I.O. (Le Categorie a Concorso che tutti Vorrebbero - Aprile 2020 e Maggio 2020) la CTN-EFI ha avuto modo di dimostrare, attraverso i dati espositivi degli ultimi due Campionati Italiani (Parma 2018 e Bari 2019), la carenza di soggetti esposti fra Tordi e Storni Indigeni. Infatti a Parma 2018, nonostante nella sezione G delle categorie a concorso EFI fossero state dedicate 6 categorie a concorso per i singoli e 6 per gli stamm fra Tordi e Storni, i soggetti esposti sono stati soltanto 13 distribuiti su tutte e 6 le categorie a concorso. Addirittura, nella categoria Merli a fenotipo classico c’era un solo soggetto esposto, così come nella categoria Merli mutati un solo altro soggetto. Nella categoria Storni a fenotipo classico addirittura, così come in quella Storni
prossimità specializzati in patologie aviarie. Questi tordi eseguono una muta parziale al primo anno, quando in autunno i maschi mutano il dorso e le ali grigie che poi diventeranno nere per la completa muta dal secondo anno di età; ecco il motivo per cui, visto che il massimo splendore del piumaggio dei turdidi si riscontra a partire dal secondo e terzo anno, sarebbe auspicabile che si consentisse di poter partecipare alle mostre ornitologiche almeno con soggetti con anello di tre anni. Ciò perché fino ai due anni, spesso le dimensioni ed il piumaggio non sono perfetti; da ricordare che anche la maturità sessuale avviene a circa 30 mesi, cioè nella primavera del secondo anno di età. Infatti, a volte le femmine non covano ancora o covano molto tardi. Ci auguriamo che gli organi federali FOI possano affrontare presto anche tali aspetti tecnico-scientifici, così come quello delle categorie dei turdidi comuni mutati che oggi sono carenti, in quanto i giudici e gli allevatori non sono gratificati a dover esporre o giudicare, ad esempio, un Tordo bottaccio satiné a confronto con uno bruno; spesso si decide di non esporre tali soggetti in quanto mancano le categorie appropriate, ma noi allevatori siamo fiduciosi che venga risolta la questione.
mutati, nessun soggetto esposto. Ancora peggio sono stati i numeri dei soggetti esposti a Bari 2019: nonostante nella sezione G siano state dedicate le medesime 6 categorie a concorso per i singoli e 6 per gli stamm, fra Tordi e Storni, i soggetti esposti sono stati soltanto 6 distribuiti su tutte e 6 le categorie a concorso. Addirittura nelle due categorie dedicate ai Merli, e nelle altre due dedicate agli Storni, non c’era esposto nessun soggetto, soltanto 3 soggetti esposti nella categoria Tordi Indigeni (escluso il Merlo) e 3 nella medesima categoria dedicata ai mutati. Se è vero che gli allevatori non espongono in quanto vorrebbero che si dedicassero delle categorie specifiche per ogni mutazione, come mai neanche le categorie a fenotipo classico trovano riscontro di partecipazione a concorso in queste specie? La verità è che queste specie sono molto poco allevate e allargare le categorie a concorso per incentivarne la loro esposizione non risolverebbe il problema! CARMELO MONTAGNO (Presidente C.T.N.-E.F.I.)
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Questo mese, il protagonista di Photo Show è: CELESTINO COLOMBO - RNA V930 con la fotografia che ritrae il soggetto “Lucherino femmina” Complimenti dalla Redazione!
• Invitiamo tutti gli allevatori a inviare foto di soggetti provenienti dai propri allevamenti, con descrizione della specie, razza e mutazione, all’indirizzo: redazione@foi.it
• All’autore della foto mensilmente prescelta da un comitato interno, verrà offerto in omaggio un libro edito dalla FOI in base alla preferenza e alla disponibilità.
(*) Tutte le foto inviate, anche quelle non pubblicate, rimarranno a disposizione della FOI a titolo gratuito e potranno essere utilizzate, senza alcun limite o vincolo temporale, per pubblicazioni, iniziative e scopi promozionali della Federazione
ALIMENTAZIONE
Il sorbo: pianta della prudenza e della saviezza L’aspro frutto antico da molte specie di uccelli appetito di PIERLUIGI MENGACCI, foto P. Mengacci, P. DALOUS e W. SAVERIO
Premessa Lo squillante e ripetuto “criich-criichcriich, criach-criach, priich-priich, criichuich, prruich” di alcuni Gruccioni (Merops apiaster) che volteggiano nel cielo all’altezza della pianta del sorbo, attira la mia attenzione. Siamo ai primi di Settembre, sto verificando la maturazione di alcune pere “angelica” poco lontano dal sorbo e, come tutti gli anni, la colonia di Gruccioni che nidifica nella scarpata di tufo poco lontano, viene a visitare il mio giardino-frutteto prima di migrare per paesi Africani più caldi. Non mi sembra che quei pochi grappoli di
sorbe rimasti con questa siccità, siano ancora maturi. Comunque vado a vedere, chissà…. Al mio avvicinarsi un Merlo vola via gracchiando ed i Gruccioni terminano
le loro evoluzioni e con qualche criach priich-priich si allontanano. In terra, sotto la pianta, ci sono alcune sorbe ancora verdi, altre semi-mature ed alcune marroni, le raccolgo e: -“Accidenti - borbotto fa me e me – quest’anno la maturazione è molto anticipata!”- Guardo in alto e in quei pochi grappoli sono rimaste alcune sorbe a metà colorazione! - “Caro Gigi, quest’anno non si fa la marmellata di sorbe! Però, lo spettacolo di questi multicolori Gruccioni che anche quest’anno sono venuti a trovarmi, merita ben più di un barattolino di marmellata!”-
Primo piano di Sorbo, sbocciatura in corso
Sorbo nel giardino dell’autore (Chioma autunnale)
Ramo con fiori sbocciati
Dal quaderno dei miei appunti orto-ornitofili e non solo
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Mi nascondo, come sempre, dietro un cespuglio di biancospino e attendo che si facciano nuovamente vivi per ammirarne le loro esili e variopinte evoluzioni. Alcuni si sono fermati sui fili dell’alta tensione che attraversano marginalmente il mio giardino. Non attendo molto, il “criich-criach” di questi uccelli definiti “arcobaleno” piano piano aumenta e diventa sempre più squillante, ed eccoli a volteggiare sopra il sorbo e nella mia direzione come se avessero notato la mia presenza e volessero ringraziarmi e salutarmi (penso dentro me). Generalmente più di due giorni non rimangono in zona ed oggi, dal loro volteggiare, capisco che se ne andranno. Esco dal nascondiglio e sbattendo le mani mando un saluto ed un arrivederci alla prossima primavera, quando andrò a trovarli indaffarati nella costruzione delle loro gallerie nella parete di tufo. Sono alcuni anni che mi chiedo come mai e perché questa colonia di Gruccioni, prima della partenza, venga a “ricaricare le pile” nel mio albero di sorbe, pur essendo prevalentemente insettivori e golosi di vespe, calabroni, farfalle e soprattutto di api. Chissà quali principi attivi possono trarre da questi frutti!?... O aspettano il passaggio di vespe, calabroni e farfalline che in questo periodo “assaltano” il vicino corbezzolo? Chissà!? La mia curiosità, ancora una volta, fa ricorso all’amico agronomo Massimo, esperto in piante antiche, erbe officinali e fauna selvatica, che, oltre a darmi delle dritte, mi ha procurato della documentazione atta a soddisfare il mio desiderio di approfondire la conoscenza di questa pianta dall’aspro frutto antico che, circa 20 anni fa, ho piantato nel mio giardino-frutteto. Alcuni dati botanici Il genere Sorbus, (dal latino sorbeo= assorbire) conosciuto in più di cento specie e numerose cultivar, fa parte della famiglia delle Rosaceae. Le specie più note sono: - Sorbus aucuparia, sorbo selvatico o degli uccellatori - Sorbus domestica, sorbo domestico
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Sorbe verdi
Insieme di sorbe in diversi stadi di maturazione
(apro una parentesi precisando che Massimo, a suo tempo, tra le piante antiche che mi ha consigliato di piantare, ha inserito anche un sorbo della specie Sorbus domestica e della varietà ‘Sorbo Periforme Settembrino’. -“Molto ornamentale in tutte le stagioni - mi disse- e con frutti che attirano molti uccelli. Una varietà precocissima a forma periforme di piccola pezzatura che viene a maturazione a fine agosto, primi di settembre, a seconda della zona e temperatura ambientale”.-) La specie domestica (Sorbus domestica) è la più coltivata ed è quella che viene preferita per la produzione dei frutti, dette sorbe. Ne esistono diverse varietà a seconda del periodo di maturazione e forma dei frutti. È una pianta originaria dell’Europa, Asia minore ed Africa settentrionale, che può raggiungere un’altezza di 20 metri. In Italia è noto fin dall’antichità e gli antichi Romani lo apprezzavano per il legno e ne gustavano i frutti. Ha una crescita molto lenta e fruttifica dopo 8-10 anni. Si adatta bene a vari tipi di terreno purché sia ben drenato, preferibilmente con esposizione solatia. Non richiede di solito alcun tipo di trattamento antiparassitario. Le foglie sono imparipennate della lunghezza di circa 20 cm. di color verde scuro con foglioline seghettate e appuntite che assumono un colore arancio-rossastro con sfumature violacee in autunno. I fiori che compaiono nel mese di Maggio, molto profumati, sono bianchi ed ermafroditi e molto bottinati dalle api. I frutti sono di grandezza e forma diversa (periforme e meliforme), hanno colorazioni che vanno dal giallo al rosso vivo oppure arancio sfumato fino ad una colorazione rugginosa. Le sorbe, al momento della raccolta, quando la polpa è ancora dura e sono più colorate, sono allappanti e immangiabili. Contengono, infatti, un’elevata concentrazione di tannini astringenti presenti nella loro polpa che li rendono impossibili da gustare. Durante il loro ammezzimento (sorbe messe a maturare in un cesto tra la paglia in un ambiente buio e asciutto), avviene la maturazione; i tannini si tra-
sformano gradualmente in zuccheri, e quando le sorbe hanno assunto un color bruno-ruggine e la polpa è diventata morbida, è giunta l’ora di assaporarne l’aroma e gustarne la dolcezza. Da questo procedimento di maturazione è nato il detto: “con il tempo e con la paglia si maturano le sorbe” Oltre alla colonia di Gruccioni che da alcuni anni viene a rifocillarsi, prima di intraprendere il viaggio di ritorno per zone più temperate, nella pianta del mio giardino-frutteto, vengono a cibarsi anche merli, tortore, passeri, storni, a dimostrazione che trattasi di frutti assai appetiti e da cui sicuramente traggono svariati benefici. La Specie selvatica (Sorbus aucuparia), detta ‘degli uccellatori’, (le bacche servivano da richiamo per i cacciatori), è un albero di grandezza media e generalmente lo troviamo nei boschi. Le foglie ed i fiori sono assimilabili per grandezza e colore a quelli del Sorbo domestico, mentre i frutti, raggruppati in grappoli, sono di color rosso scarlatto o corallo e vengono a maturazione mei mesi di ottobre-novembre. Sono molto appetiti a numerose specie di uccelli, come tordi, passeri e merli, e se ne cibano anche nei mesi invernali. Durante l’autunno, queste piante danno un fascino inconfondibile al bosco per la varietà di colori che vanno dal rosso violaceo dei grappoli al giallo arancio che sfuma in rosso-marrone-grigiastro delle foglie.
Gruccioni, foto: www.saveriogatto.com
Proprietà ed utilizzo Ho sempre assaporato queste bacche, fin da piccolo, quando andavo a trovare i miei bisnonni contadini e le cercavo, senza farmi vedere, nel “fondo” (cantina) nascoste nel cesto di vimini in mezzo alla paglia! Quante ne ho sputate non ancora mature!!! Col passare degli anni, e trasferitomi in città, ho dimenticato quei sapori fin quando, ritornato ad abitare nel mio paesello natale di Monteciccardo (oggi, Municipio di Pesaro), li ho ritrovati nelle bacche del mio Sorbo periforme. Non ho mai cercato di conoscerne le proprietà intrinseche, mi bastava il sapore gustativo di quello che mangiavo, ma… quei variopinti Gruccioni che da alcuni anni “passano” nel mio sorbo, prima della migrazione, hanno sollecitato in me la voglia di sapere di più di questo albero e di conoscere quali proprietà e che contributi possono apportare all’organismo, quelle sorbe grigiastre, così appetite da tanti volatili. Oltre alla parte botanica sopra accennata, la documentazione fornitami da Massimo mi ha edotto anche sui contenuti e sugli effetti benefici che questi piccoli frutti, giunti a maturazione, hanno sull’organismo. I principali contenuti sono la vitamina C (antiossidante e antinfettivo per eccellenza) e l’acido malico (produttore di energia e protettore del fegato). Inoltre, si trovano presenti anche vitamina A e vitamine del
gruppo B. Tra i sali minerali troviamo potassio magnesio e calcio. Tra gli zuccheri, abbiamo il saccarosio e il sorbitolo. Da notare che la presenza del sorbitolo rende le sorbe particolarmente adatte per i diabetici. Altri contenuti sono: tannini, flavonoidi, antiossidanti, acido sorbico, acido tartarico, acido citrico, ed oli essenziali. I tannini, sostanze astringenti, ancora in minima parte permanenti nei frutti maturi, sono di aiuto in caso di disturbi intestinali. In sintesi, le sorbe contengono molte sostanze benefiche che rendono questi frutti diuretici, astringenti, antinfiammatori, tonificanti e rinfrescanti, energizzanti, antibatterici. Riguardo alle calorie: 100 gr. di sorbe mature forniscono circa 70 calorie. Le sorbe, oltre al consumo diretto, non hanno grande mercato, ma a volte si possono trovare in negozi/mercati tipo “Campagna Amica”. Si prestano altresì per fare confetture ed alcuni liquori. In fitoterapia sono usate per le proprietà suddette soprattutto astringenti, antinfiammatorie e tonificanti. In erboristeria è consigliato un tè con fiori e foglie del sorbo. Per quanto concerne il legno, in un cassettino della mia memoria è comparso il ricordo di mio suocero (R.I.P.), maestro falegname, che lavorava anche il legno del sorbo, per realizzare alcuni mobili su misura, e alle mie curiosità rispondeva che si trattava di un legno duro, fine e molto lavorabile oltre che ricercato per le sue venature bruno-rossicce.
Gruccioni sui cavi dell’alta tensione
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Alcune curiosità Secondo l’etimologia, Sorbus deriverebbe da latino sorbeo = assorbire, riferito al fatto che i frutti, essendo molto astringenti, lenirebbero disturbi intestinali come stipsi o diarrea o gonfiori addominali. Di questa proprietà ne erano convinti Dioscoride e Galeno che utilizzavano le sorbe ad uso terapeutico e non come frutto. Anche Plinio e Virgilio nei loro scritti danno testimonianza della coltivazione del sorbo e dell’uso non solo terapeutico dei frutti, sia fra i Greci che fra i Romani, e ne diffusero la pianta in tutto il bacino mediterraneo. In età medievale, il sorbo veniva piantato vicino alle case e nei conventi in quanto ritenuto pianta magica con la proprietà di allontanare le streghe, gli spiriti maligni e i malefici. Anche Celti e Germani erano superstiziosi: appendevano un ramo fruttifero sulla porta di casa come protezione contro fulmini e sortilegi vari. Oltre alle superstizioni, le sorbe venivano utilizzate anche per usi alimentari; essiccate e macinate venivano utilizzate come farina, quando mancava o in aggiunta alla stessa, e macerate per realizzare liquori. A tal proposito, un liquore, il “Sorbolo o Sorbolino” che viene realizzato nel Parmense, molto simile al Cointreau francese per una dolcezza non stucchevole, viene ricavato dalle sorbe utilizzando una antica ricetta manto-
Gruccioni, fonte: wikimedia commons, autore: Pierre Dalous
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Secondo l’etimologia, Sorbus deriverebbe da latino sorbeo = assorbire
vana. Infatti, alla corte dei Gonzaga nel 1600 circa, veniva servito nei lauti banchetti nobiliari un liquore di sorbe che il serenissimo marchese Gonzaga aveva realizzato in onore della regina Cristina di Svezia. Conclusioni Ho ringraziato l’amico Massimo per la documentazione da cui ho attinto e approfondito la conoscenza di questa pianta, le proprietà dei suoi piccoli frutti, le curiosità, ed anche per i consigli ricevuti nella stesura dei miei appunti. Ma dovrei, in primis, “ringraziare” la presenza dei Gruccioni che mi hanno dato l’input a risolvere il mio dubbio: - “Chissà quali principi attivi possono trarre da questi frutti!?” – La presenza di Vit. C e acido malico, principali ingredienti contenuti nelle sorbe, penso che abbiano risolto il mio dubbio. Infatti, sicuramente i Gruccioni traggono da questi frutti energia e protezione durante le fatiche e avversità della migrazione, essendo altrettanto utili a superare la stagione
invernale per tutti gli altri uccelli che se ne cibano. Questi principi attivi mi hanno anche convinto a sperimentare le sorbe, nel mio piccolo allevamento di canarini di colore, in un Cocktail di frutta con giuggiole e azzeruole (vedi I.O. n° 8/9 - 2020, pagg. 27-31) con risultati più che positivi. Non ho mai messo a disposizione sorbe mature, sicuramente ci proverò con le prossime. Chissà se le gradiranno. Il canarino è per natura curioso: la cosa mi fa ben sperare, dato che alcuni miei amici allevatori di silvani e ibridatori mi hanno detto che ciuffolotti, verdoni, fringuelli e beccofrusoni ne “vanno pazzi”. Voglio chiudere con una riflessione che mi è venuta dall’antico proverbio contadino: “Col tempo e con la paglia si maturano le sorbe”, che sta a significare che non bisogna avere fretta e dare tempo al tempo affinché, come le sorbe, i nostri desideri e le nostre azioni “si maturino”, per riscoprire quelle virtù come la pazienza e la tenacia, tanto care ai nostri nonni e genitori ed altrettanto utili se non necessarie ai nostri giorni, soprattutto in questo periodo di pandemia. Anche in campo ornitologico, a causa della nostra impazienza per quel voler tutto e subito, non si tiene in considerazione che i “campioni” sono frutto di genetica, ambiente e alimentazione oltre che di selezione che richiede competenza, pazienza e tenacia. Quando qualche accoppiamento mi fa “cilecca”, penso sempre a quanta pazienza e costanza hanno gli amici ibridatori (mi permetto di citare l’amico Bruno Zamagni, che proprio in questi giorni ci ha deliziato con un soggetto chiamato “Silice”- lucherino ventre giallo - frutto di sette anni di selezione!) per ottenere quell’ibrido progettato che forse raggiungeranno dopo anni di tentavi e tante uova gettate nella pattumiera! Idealmente mi viene di raffigurarli alla pianta del sorbo (pianta della prudenza e della saviezza), che dà frutti dopo 8/10 anni e, una volta raccolti, si deve ancora attendere qualche mese per poterne assaporare l’aroma e gustarne la dolcezza. Ad maiora semper!
DIDATTICA & CULTURA
L’olfatto di DINO TESSARIOL, foto AMICIAQUATTROZAMPE.IT e TERRANIEW.IT
P
rendendo spunto dal recente articolo sull’udito degli uccelli di Giovanni Canali, pubblicato sul numero 10/2020 di I.O., volevo scrivere qualche riga su un argomento ancora molto discusso tra gli zoologi e il cui mistero sembra ancora lontano dall’essere conosciuto in maniera compiuta. La conoscenza della biologia e dell’anatomia degli uccelli maturata fino a qualche anno fa era unanimemente orientata nel ritenere che gli uccelli non dispongano del senso dell’odorato. Una prima crepa su tali conoscenze, anche se con frequenti disparità di vedute, si registrò una decina di anni fa quando degli studi approfonditi rivelarono che i colombi viaggiatori usavano l’odorato per orientarsi nel ritorno verso la loro colombaia e, più recentemente, altri studi hanno confermato che anche i grandi uccelli pelagici come gli albatros e le berte dispongono di un odorato alquanto sviluppato che utilizzano per i loro lunghi spostamenti in ambiente marino. Sugli avvoltoi costantemente alla ricerca di carcasse in decomposizione, ed in particolare per le specie del Nuovo Mondo come ad esempio l’urubù dalla testa nera (Coragyps atratus - Bechstein 1793), è provato l’utilizzo del loro spiccato senso olfattivo su grandi spazi per individuare la posizione delle prede; riescono a percepire il lezzo di una carogna fino a 25 Km di distanza, contrariamente a quelli che vivono nel Vecchio Mondo e che individuano le carcasse sfruttando quasi esclusivamente il senso della vista. Studi più recenti che usano le nuove tecnologie biomolecolari con la relativa possibilità di indagare a livelli di singoli geni, hanno dimostrato come anche negli uccelli sia certamente presente il senso dell’odorato.
Fori nasali di un pappagallo, fonte: amiciaquattrozampe.it
La conoscenza della biologia e dell’anatomia degli uccelli maturata fino a qualche anno fa era unanimemente orientata nel ritenere che gli uccelli non dispongano del senso dell’odorato
Un gruppo di ricerca italo-tedesco ha per la prima volta svelato l’importanza dei segnali olfattivi per il riconoscimento dei parenti da parte degli uccelli.
Lo studio, al quale hanno partecipato Anna Gagliardo, del dipartimento di biologia dell’università di Pisa, e i tedeschi Barbara A. Caspers dell’università di Bielefeld e Tobias Krause del Friedrich-Loeffler-Institut, è stato pubblicato in un recente numero di “Behavioral Ecology and Sociobiology”. All’ateneo pisano spiegano che «la ricerca ha preso in esame il comportamento riproduttivo dei diamanti mandarini, uccelli passeriformi della famiglia degli Estrildidi. Nel corso dell’esperimento le femmine sono state divise in due gruppi, ad alcune è stato inibito l’olfatto, mentre altre potevano sentire gli odori. Ciascuna femmina è stata poi posta in una gabbia con due maschi, uno dei quali estraneo alla femmina, mentre l’altro era un fratello sconosciuto in quanto nato in un’altra ni-
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diata». La Gagliardo sottolinea che «i risultati sono stati sorprendenti. Le femmine che potevano sentire gli odori con l’olfatto non si sono accoppiate e hanno sviluppato comportamenti aggressivi nei confronti dei maschi. Quelle deprivate dell’olfatto si sono invece accoppiate con uno dei due maschi, senza distinzione fra il fratello o estraneo, come ha rivelato l’analisi del DNA dei piccoli nati». Secondo i ricercatori «sarebbe stato sufficiente l’odore del maschio consanguineo, anche se sconosciuto, per indurre un comportamento aggressivo da parte delle femmine e un conseguente fallimento della riproduzione. La capacità delle femmine di riconoscere un fratello dall’odore e la repulsione per l’odore di un familiare in fase riproduttiva eviterebbe l’inbreeding, ovvero l’accoppiamento tra consanguinei che, come è noto, diminuisce la probabilità di sopravvivenza della progenie». Sempre la Gagliardo conclude: «Che l’olfatto sia fondamentale per riconoscere i parenti è noto da tempo per diverse specie di mammiferi; con questo studio abbiamo dimostrato per la prima volta che segnali chimici emessi da un potenziale partner possono svolgere un ruolo importante nella selezione del compagno anche negli uccelli».
Fori nasali di un'aquila, fonte: terraniew.it
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Secondo un altro studio condotto da ornitologi tedeschi, gli uccelli migratori avrebbero una miglior memoria olfattiva
Secondo un altro studio condotto da ornitologi tedeschi, gli uccelli migratori avrebbero una miglior memoria olfattiva a lungo termine rispetto alle specie che rimangono tutto l’anno nel loro ambiente naturale. Questa caratteristica potrebbe essere d’aiuto agli uccelli per non perdere la strada durante il viaggio. Gli uccelli che volano per lunghe distanze usano diversi metodi per mantenere la rotta, uno dei quali è il senso dell’odorato che sa distinguere l’odore dei venti e della loro rispettiva direzione, permettendo all’uccello di crearsi e memorizzare fin dai primi mesi di vita una chiara mappa olfattiva delle masse d’aria in movimento, della loro direzione e quindi una sicura posizione dei punti cardinali. Nel volo migratorio la mappa “degli odori dei venti” e la percezione dei campi magnetici terrestri
vengono usate a grandi distanze dalla meta, mentre, avvicinandosi, gli uccelli tendono a sostituirli con la conoscenza diretta e visiva del territorio. Cosa nuova è che in questi studi comunque è stata dimostrata la presenza dell’odorato non solo nei grandi uccelli ma anche nei piccoli migratori, quali il beccafico (Sylvia borin) e la capinera (Sylvia atricapilla). Sempre in tema di studi e ricerche recenti sull’odorato negli uccelli, Silke Steiger dell’Istituto Max Planck per l’Ornitologia, e colleghi, hanno usato un approccio genetico per determinare l’importanza nel senso dell’olfatto di nove specie di uccello (Cinciarella, Germano reale, Gallo, Cacatua rosa, Coucal nero, Kiwi, Canarino selvatico, Kakapo e Petrello delle nevi). Gli scienziati hanno analizzato i geni dei recettori olfattivi (OR), il cui numero totale potrebbe riflettere il numero di odori che un animale è in grado di distinguere. I ricercatori, con una tecnica statistica, hanno contato il numero di geni OR presenti in ciascuna specie, trovando differenze considerevoli fra l’una e l’altra. Per esempio, il Kiwi bruno della Nuova Zelanda ha sei volte il numero di geni del canarino domestico. «Quando abbiamo esaminato la dimensione del bulbo olfattivo nel cervello degli animali, abbiamo trovato differenze comparabili a quelle rilevate per quel che riguarda il numero di geni OR,» ha raccontato Steiger. «È molto probabile che questo numero sia correlato a quello degli odori che possono essere percepiti. Dato che il bulbo olfattivo è responsabile dell’analisi degli stimoli olfattivi, non ci siamo sorpresi a constatare che il numero di geni è collegato alla dimensione del bulbo.» Questi dati potrebbero dimostrare che differenti nicchie ecologiche potrebbero aver modellato il corredo di geni OR nelle specie. Oltre a stimare il numero di geni OR, i ricercatori hanno anche stabilito la proporzione in cui questi sono funzionali in ciascuna specie. Questo perché è noto che nei mammiferi una ridotta dipendenza dall’olfatto è associata con un crescente numero di mutazioni accumulate, come per esempio nell’uomo, il cui odorato poco sviluppato corrisponde a solo 40% di geni
OR attivi. Negli uccelli, però, la maggior parte dei geni OR è risultata funzionante, un altro indizio dell’importanza di questo senso per i volatili. Altri studi hanno dimostrato che quando gli uccelli fanno preening, lisciandosi le penne con il becco, diffondono composti chimici dalle loro ghiandole pineali su tutto il piumaggio. Queste sostanze chimiche producono odori che sembrano essere unici per ogni individuo, fornendo un’impronta digitale olfattiva. Per testare se tutto questo governasse anche la scelta sessuale dei singoli uccelli, i ricercatori hanno raccolto sia campioni di DNA che campioni di odore di ghiandola pineale da Gabbiani tridattili nidificanti in Alaska. Il progetto ha quindi comportato due tipi di attività di laboratorio: mentre Sarah Leclaire presso l´Università di Tolosa ha condotto le analisi delle sostanze chimiche della ghiandola pineale per caratterizzare la firma odorosa di ogni individuo, van Dongen ha analizzato
l´MHC dei gabbiani nel laboratorio di Vienna. La scoperta è che i singoli gabbiani che hanno odore simile tra loro, hanno geni simili dell’MHC. Parenti più stretti hanno quindi odori più simili di individui più lontanamente imparentati. Ciò suggerisce che gli uccelli possono essere in grado di confrontare il proprio odore con quelle di potenziali compagni e di scegliere gli individui non imparentati come partner sessuali. A margine, ironizza l’ornitologo Wagner che, «più si fanno ricerche sugli odori, più sembra che tutto ciò che fanno i Mammiferi lo possano fare anche gli uccelli.» D’altro canto e nel nostro piccolo, basta osservare la sommità del becco degli uccelli per distinguere molto bene i fori delle narici e, come l’esperienza ci insegna, in natura nulla è presente se non perfettamente funzionale alla vita di un singolo individuo. Per mia diretta esperienza molti anni fa, il dubbio che gli uccelli potessero
percepire gli odori mi era sorto quando mio padre, disperato perché gli uccelli saccheggiavano le sue ciliege, appese dei sacchetti di scarti di pesce marcescenti sugli alberi, il cui cattivo odore allontanò gli uccelli salvando così le sue ciliegie, salvo poi non riuscire ad avvicinarsi neanche per raccoglierle. Per me e per le conoscenze di allora la cosa rimaneva inspiegabile, ma ora anche questo risultato empirico avvalora le ipotesi che gli uccelli siano in grado di percepire gli odori. Concludendo, si può dire che le conoscenze sul senso dell’odorato negli uccelli sono appena all’inizio e molto si potrà ancora conoscere grazie a studi che utilizzano le moderne tecniche biogenetiche; ancora una volta, pertanto, viene confermata l’importanza della ricerca e dello studio per arrivare a conoscere cose nuove, come giustamente diceva Socrate: ”Esiste un solo bene, la conoscenza, ed un solo male, l’ignoranza.”
Malinois sul Web
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a pandemia ci ha allontanati. I concorsi sono stati sospesi. Noi tutti per sentirci vicini ci siamo riversati a capofitto sul WEB. Facebook, Twitter, You tube… tutto valido per poter confrontare il nostro lavoro con il resto del mondo. Sicuramente ottimi strumenti per rimanere in contatto con amici, allevatori conosciuti e non, che come noi amano questo stupendo cantore. Dietro l’angolo, però, sono venute fuori problematiche molto gravi che sono il motivo del mio scrivere. “10 e lode”, “Bravissimi”, “Complimenti” e chi più ne ha più ne metta… tantissimi commenti positivi ad esaltare la bravura dei soggetti pubblicati. Tutti i cantori sono stati giudicati dei campioni formidabili, il lavoro di ognuno è stato portato alle stelle dai sottoelencati commenti di amici, colleghi, ascoltatori. Tutti bravissimi! Da lodare! Da incoraggiare! Non capisco se il motivo di tanta bontà sia stata più la paura di ricevere commenti negativi sotto i propri soggetti, o il desiderio di ricevere elogi per gli stessi. Paura di sbagliare? Indecisione? Insicurezza? Non lo so, ma di soggetti veramente validi se ne sono sentiti pochi. Gli stessi sono passati inosservati
nel mucchio di complimenti regalati a tutti. In pochi hanno provato a mettere in evidenza qualità, difetti, peculiarità o carenze dei soggetti pubblicati. Sicuramente l’ascolto sul WEB non è assolutamente lo stesso che dal vivo, ma la differenza tra un “brocco” e un campione si sente... e come se si sente! Eppure, tutti “10”, palette alzate, inchini, applausi... Tutto questo non ha certo chiarito le idee a chi le aveva confuse; chi invece le aveva chiare non ha trasferito il proprio sapere a nessuno. I tanti allevatori che ogni anno trovano suggerimenti per la selezione del proprio allevamento dai giudizi ai concorsi, come si orienteranno? Spero che la maggioranza di loro sappiano farlo da soli. Se si atterranno ai commenti ricevuti, sarà veramente un grosso problema per il proprio allevamento. Tutta questa bontà porterà risultati positivi? Penso proprio di no. Mi auspico di essere smentito il prossimo anno, quando ci ritroveremo tutti insieme ai concorsi con commenti trascritti da veri Giudici su vere Schede! FAUSTO BOSI
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O rniFlash Gli uccelli posseggono un “sesto senso” infallibile
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oltissime specie di volatili eseguono più migrazioni nel corso della loro vita e nonostante percorrano migliaia e migliaia di chilometri in varie direzioni, gli uccelli hanno sempre chiara la via da seguire, rendendo impossibile perdersi: ecco il loro segreto. Sappiamo che gli uccelli vengono continuamente spostati dai forti venti di quota, ritrovandosi fuori rotta anche di centinaia di chilometri, eppure sono sempre in grado di riallinearsi prontamente al flusso migratorio. Ciò ha suggerito che le capacità di navigazione degli uccelli vanno ben oltre i classici cinque sensi includendo anche il cosiddetto sesto senso della “magneto-recezione”, ovvero la capacità di sentire e percepire il campo magnetico della Terra. Questa abilità - secondo un nuovo studio pubblicato su Current Biology - permetterebbe ai volatili di essere equipaggiati con un vero e proprio sistema GPS, in grado di fornire indicazioni precise sulla propria posizione, anche qualora si trovassero sperduti in territorio mai visitato prima. Nonostante gli studiosi siano per la gran parte concordi sul fatto che alcuni uccelli navighino attraverso il campo magnetico terrestre, non è ancora stata trovata una prova concreta su quale apparato sensoriale ne sia responsabile. Tra le varie ipotesi vi è anche l’idea che in realtà non vi sia un organo o un apparato specifico, ma che sia un insieme di fattori a restituire indirettamente le firme del campo magnetico. Non tutti i volatili però adoperano questo sistema di navigazione, e i ricercatori ancora non sanno spiegare perché alcune specie prediligano un sistema invece che un altro. Ma le prove della magneto-ricezione negli uccelli sono sempre più concrete e questo ci fa capire quanto il campo magnetico della nostra Terra sia fondamentale per moltissime specie che vi vivono. Proprio per questo abbiamo una responsabilità in più: molte delle nostre creazioni tecnologiche rischiano di confondere i sensi degli esseri viventi dotati di questa abilità. Fonte: https://tech.everyeye.it/notizie/uccelli-posseggono-mappaglobale-mentale-permette-non-perdersi-mai-499546.html
È venuto a mancare Antonio de Dios
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l famoso ornicoltore era il proprietario di Birds International, una fattoria privata dedita all’allevamento di pappagalli fondata nel 1975 nelle Filippine, coinvolta nella conservazione e diffusione delle più rare specie di pappagalli del mondo. L’azienda attualmente svolge la sua attività in una fattoria di 6 ettari, sita nella località di Fairview, Quezon City (Filippine). De Dios è stato interessato agli animali fin dalla sua infanzia, quando teneva molti animali domestici (inclusi diversi uccelli) nella sua casa di famiglia, prima di procedere all’attività di allevamento. Si era, infatti, reso conto del grave declino della popolazione di uccelli esotici nel suo Paese e, all’inizio degli anni ‘70, aveva deciso di aprire una struttura di riproduzione e ricerca. Acquisì un campo di sei ettari a Quezon City vicino a Manila, la capitale delle Filippine, fondando Birds International Incorporated. La posizione del centro è adatta poiché il clima tropicale delle Filippine favorisce l’allevamento e la propagazione di uccelli esotici. Il signor de Dios, oltreché direttore della struttura, è stato etichettato come “l’allevatore di uccelli esotici più grande e di maggior successo al mondo”. Si ritiene che abbia avuto la più grande collezione di pappagalli al mondo. Fonte: https://www.petworldwide.net/home/news/article/de-dios-passed-away/ e https://en.wikipedia.org/wiki/Antonio_de_Dios
O rniFlash Un gufo delle nevi a Central Park on sappiamo se il lockdown c’entri davvero con l’ultimo di questi avvistamenti, fatto sta che nei giorni scorsi, nel pieno centro di New York, a Central Park, è stato visto e fotografato un gufo delle nevi: è la prima volta che un esemplare di questa specie si spinge fino al cuore della metropoli, e l’animale, che ha cominciato a comparire in svariati tweet di gente che l’ha incrociato, è diventato rapidamente una celebrità, tanto da meritarsi l’apertura di un account ufficiale su Twitter. Il gufo delle nevi è nativo delle regioni più settentrionali del mondo e, solitamente, si trova ad alte latitudini (sopra i 60 °N). È però anche un animale nomade che non ha problemi a migrare verso sud durante l’inverno: in America, non è difficile vederlo anche in alcuni dei quartieri più periferici di New York come il Queens, in particolare sulle spiagge della penisola di Rockaway. A Manhattan, però, gli avvistamenti sono molto più rari, e l’ultima volta che un gufo delle nevi si è visto da quelle parti era il 1890. L’esemplare visto in questi giorni sarebbe volato fino a Central Park attirato dai campi della North Meadow. Ovviamente l’uccello è diventato subito una celebrità, e ha anche dimostrato di non avere alcuna paura a stare in compagnia degli umani: gli autori delle foto postate su Twitter raccontano di averle scattate mentre l’animale era circondato da almeno un centinaio di persone incuriosite e affascinate dal suo aspetto e dalle sue interazioni con altri uccelli locali (corvi e anche uno sparviere di Cooper, del quale non siamo però riusciti a trovare testimonianze fotografiche). Fonte: https://www.focus.it/ambiente/animali/gufo-delle-nevi-visto-a-central-park-per-la-prima-volta-da130-anni
Gli uccelli che vivono ad alta quota hanno sviluppato “piumini” più spessi
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no studio, pubblicato su Ecography da Sahas Barve, Toni Dotterer e Carla Dove, su 250 specie di uccelli canori himalayani ha rivelato che gli uccelli che vivono in ambienti più freddi e più elevati hanno un “piumino” più soffice e che quindi sono stati dotati dall’evoluzione di “giacche” più spesse. Una scoperta nata da un’intuizione che spiega come creature spesso minuscole e apparentemente fragili riescano a sopravvivere a lunghi inverni in aree dove il freddo è ancora estremo ma che, dicono gli scienziati, «fornisce anche indizi su quali specie sono maggiormente a rischio per il cambiamento climatico». Non a caso lo studio è stato ispirato da un minuscolo uccellino che Barve ha visto durante una gelida giornata di lavoro sul campo in Himalaya, nel 2014. Lo scienziato racconta: «Ero a -10° C. e c’era questo uccellino, un regolo comune, che pesa all’incirca quanto un cucchiaino di zucchero. Stava solo sfrecciando per catturare insetti». Fortunatamente, lo Smithsonian National Museum of Natural History ha una delle più grandi collezioni di uccelli al mondo e, esaminando le piume di quasi 2.000 singoli esemplari, fino ai dettagli microscopici, Barve ha notato uno schema che collegava la loro struttura al loro habitat. Ogni piuma ha una parte esterna e una parte lanuginosa nascosta e le misurazioni di Barve hanno rivelato che gli uccelli che vivevano ad altitudini più elevate avevano più lanugine: «Avevano giacche più soffici». E il segreto del minuscolo regolo comune che tanto aveva impressionato Barve nel gelo dell’Himalaya è che gli uccelli più piccoli, che perdono calore più velocemente, tendono anche ad avere piume più lunghe in proporzione alla loro dimensione corporea. Fonte: https://www.greenreport.it/news/aree-protette-e-biodiversita/gli-uccelli-che-vivono-ad-alta-quotahanno-sviluppato-piumini-piu-spessi/
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CRONACA
Concorso di disegno “Allevare è proteggere” di ASSOCIAZIONE CULTURALE MAW MEN - ART - WORK LABORATORIO D’ARTE
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o scorso giovedì 4 febbraio, in modalità «remoto», nel rispetto dei protocolli anti-Covid, si è svolta la premiazione del Concorso di Disegno «Allevare è Proteggere». Promosso dall’Associazione Ornitologica Sulmonese sotto l’egida della F.O.I. - Federazione Ornicoltori Italiani, in collaborazione con il Laboratorio d’arte MAW, il Concorso è stato riservato al Liceo Artistico «G. Mazara» di Sulmona e aveva come finalità l’ideazione di un manifesto e di un logo identificativi della F.O.I. Il progetto è nato nel settembre 2019, quando l’Associazione Ornitologica Sulmonese (AOS), attraverso il suo presidente Panfilo Primavera, pro-
pose al Liceo Mazara la partecipazione degli alunni ad un Concorso di disegno per la realizzazione di un manifesto e di un logo per la F.O.I. (Federazione Ornicoltori Italiani), destinato alla divulgazione degli scopi istituzionali della Federazione, ovvero l’attività di tutela, sviluppo e miglioramento del patrimonio ornitologico. L’iniziativa, con il supporto del Laboratorio d’arte MAW, venne presentata durante l’Open Day del Liceo Mazara svoltosi a gennaio 2020, durante il quale i ragazzi furono coinvolti in un’attività di disegno naturalistico dal vero, organizzata con la presenza degli esemplari di «pappagalli inseparabili» portati da alcuni responsabili dell’AOS.
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Nelle settimane successive i ragazzi si misero al lavoro producendo numerose proposte grafico-pittoriche per il manifesto e per un nuovo logo F.O.I. La premiazione dei lavori che nel frattempo sarebbero stati selezionati, era prevista nel mese di marzo 2020 ma, come tutti sappiamo, siamo poi entrati nel periodo dell’isolamento e tutto si è fermato. Ci siamo però trovati a concludere, nel mese di Febbraio 2021, il percorso del progetto con la volontà di premiare finalmente gli studenti. Oltre 30 i progetti presentati, provenienti dagli allievi dell’indirizzo di Arti Figurative, tutti caratterizzati da una significativa maturità delle competenze acquisite nel corso della formazione liceale. Una Giuria composta dal Caporedattore della rivista «Italia Ornitologica» Gennaro Iannuccilli, dal Presidente del l’As so ciazione Ornitologica Sulmonese Panfilo Primavera e dai curatori del MAW Italia Gualtieri e Rino Di Pietro, presenti alla manifestazione, ha selezionato i 4 progetti vincitori che sono stati premiati, in ordine di graduatoria, nel modo seguente:
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Il diploma consegnato ai partecipanti al concorso
Oltre 30 i progetti presentati, provenienti dagli allievi dell’indirizzo di Arti Figurative
1° premio ad Anastasia Varrasso per il progetto di un manifesto (gettone di partecipazione di euro 300 e diploma); 2° premio ad Angela Taddei per il progetto di un logo (euro 200 e diploma); 3° premio a Dmitrij Ferretti per il progetto di un logo (euro 100 e diploma); 4° premio a Bleona Pireci per il progetto di un manifesto (euro 50 e diploma). Plauso e grande soddisfazione sono stati espressi dal Presidente della F.O.I. Avv. Antonio Sposito e dalla Dirigente scolastica Prof.ssa Caterina Fantauzzi, presenti in video alla cerimonia di premiazione, i quali hanno sottolineato l’importante occasione rappresentata dal concorso, che ha consentito ad una grande realtà associativa come la F.O.I. di entrare in contatto con preziose energie giovanili e, al tempo stesso, di far misurare i ragazzi con le esigenze una vera e propria «messa in produzione» della loro creatività. Alla manifestazione sono intervenuti, inoltre, il Presidente del Raggruppamento Ornitologico Abruzzo-Molise Domenico Maione e la Coordinatrice dell’indirizzo di Arti Figurative del Liceo Mazara Prof.ssa Zoraide Palozzo.
CANARINI DI COLORE
Domande sul mosaico di GIOVANNI CANALI, foto E. DEL POZZO e ORNITOLOGIA LODATO
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i capita di ricevere domande sul mosaico da parte di qualche allevatore. Non si tratta di domande sull’origine, argomento sul quale mi sono espresso più volte, ma sulle caratteristiche e sugli accoppiamenti. Talune ancora su concetti che dovrebbero essere ormai acquisiti, ma che evidentemente non lo sono per tutti. In ogni disamina bisogna partire dall’inizio, quindi dal canarino selvatico (non ancestrale, come si dice, visto che non è estinto). Tralasciamo il tipo (le melanine) e la varietà (i lipocromi o più precisamente i carotenoidi, in quanto tali) per considerare la categoria, vale a dire la distribuzione dei carotenoidi, nonché la struttura delle produzioni cutanee (penne, becco, squame ed unghie).
In ogni disamina bisogna partire dall’inizio, quindi dal canarino selvatico (non ancestrale, come si dice, visto che non è estinto)
Ebbene, il canarino selvatico come categoria è un brinato. Questo significa che i carotenoidi non raggiungono l’apice delle penne tectrici, tranne che in alcune zone dette di “elezione”. L’apice della maggior parte delle penne tectrici è quindi biancastro. Questo
apice biancastro ha fatto pensare ad un cristallo di brina, da cui il termine brinato. In altre lingue il brinato è chiamato in modo diverso, evidentemente altri popoli hanno avuto impressioni diverse; tali nomi sono ad esempio: schimmel e nevado. Quanto alla struttura delle produzioni cutanee, è presto detto, nel selvatico è normale. Si parla di struttura solo perché è avvenuta una mutazione straordinaria, direi unica, che altera la struttura delle produzioni cutanee e che è denominata “intenso”: questo perché il colore carotenoide è appunto più intenso. Il meccanismo consiste nel ridurre le produzioni cutanee: poco evidente sul becco, un poco di più sui piedi (squame ed unghie), evidente sulle penne ove si accorciano le barbe, ridu-
Coppia di canarini selvatici, fonte: canale Youtube Ornitologia Lodato
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cendo il vessillo e conferendo una maggiore concentrazione dei pigmenti ed una taglia più contenuta. Ne consegue anche la saturazione delle brinature, almeno nei soggetti nei quali l’espressione dell’intenso è ottimale. Non si confondano però i concetti di intenso mutazione, appena descritto, con le zone di elezione intense. Le zone di elezione intense hanno una struttura normale delle penne e sono già presenti nel brinato selvatico. È importantissimo inquadrare bene il brinato selvatico. La brinatura è piuttosto accentuata e le zone di elezione intense sono evidenti anche senza l’osservazione manuale. Le zone di elezione sono: maschera facciale, cosiddette spalline e codione. Le spalline non attengono alla spalla ma all’ala, in particolare: piccole copritrici e copritrici marginali. Sono state chiamate spalline perché ad ali chiuse danno l’impressione di spalline. Il dicromatismo sessuale nel brinato selvatico è abbastanza evidente. Tipo, varietà e categoria si differenziano nei due sessi. Limitandoci alla categoria, il maschio ha una brinatura meno accentuata rispetto alla femmina, inoltre le zone di elezione sono maggiori sempre
Agata jaspe mosaico rosso femmina, foto: E. del Pozzo
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Le zone di elezione intense hanno una struttura normale delle penne e sono già presenti nel brinato selvatico
nel maschio, in particolare la maschera facciale è più alta ed estesa. Allo stato domestico il brinato ha subito modifiche. Prima di tutto l’accoppiamento fra brinati allo stato domestico è degenerativo, poiché si accentua la brinatura ed insistendo si finisce anche con il corrodere le zone di elezione intense, che finiscono col palesare brinature sempre più accentuate. Con l’accoppiamento in purezza fra brinati aumenta anche il piumaggio, quindi c’è un’interferenza sulla morfologia ed i carotenoidi diventano sbiaditi, quindi un’interferenza anche sulla varietà. I brinati selvatici invece si accoppiano fra di loro del tutto tranquillamente. Il fenomeno è da ritenere sia collegato
alla comparsa della mutazione intenso. Per mantenere l’equilibrio è necessario accoppiare intenso x brinato. Trattasi di fenomeno eccezionale che ho tentato di spiegare in altre sedi (fra queste: L’unicità della mutazione intenso Italia Ornitologica n°8/9 agosto settembre 2018 con nota a supporto del dr. Pasquale De Luca, presente anche in inglese sul sito www.adop.parma.com). Nei ceppi antichi ove non è entrato l’intenso, come la razza malinois, si accoppia in purezza brinato x brinato senza danno. Altra precisazione è che il brinato domestico nel canarino di colore è allevato ricercando una brinatura fine ed uniforme. Come vedremo, una linea selettiva opposta a quella del mosaico. Poi è giunto il mosaico, che io inquadro come mutazione dominante autosomica nei confronti del brinato e con effetto additivo di geni modificatori. La mutazione intenso è dominante e sub letale nei confronti del brinato, ma non è ben chiaro come si rapporti con il mosaico, cioè se l’intenso sia dominante o epistatico nei confronti del mosaico; vale a dire che non è certo se vi sia allelicità o meno tra intenso e mosaico. Valuteremo meglio in seguito.
Agata jaspe mosaico rosso maschio, foto: E. del Pozzo
Il mosaico è un super brinato, che accentua la brinatura fino al biancastro, lasciando però, se equilibrato, intatte le zone di elezione intense; questo non succede se accoppiato in purezza. Il carattere mosaico segue il comportamento del brinato domestico e se accoppiato in purezza degenera andando in eccesso di brinatura e di piumaggio e con carotenoidi indeboliti. Pertanto, le frasi ancora abbastanza diffuse su presunti mosaico intensi o intensivi sono destituite di fondamento. Ho più volte ribadito, e lo ripeto ancora, che non esistono mosaico intensi o intensivi, che dir si voglia; la struttura è sempre da brinato. Certo, esistono soggetti con piumaggio abbastanza attillato ed altri francamente in eccesso, ma anche fra i brinati va alla stessa maniera. E se si accoppiasse brinato x brinato, cosa da non fare, la somiglianza con il mosaico aumenterebbe. Basta guardare certi canarini di forma, come i più volte citati gloster ove si usa l’accoppiamento fra brinati, per rendersene conto. Alcuni soggetti sono quasi biancastri e con zone di elezione corrose da brinatura. Incredibile a dirsi, i gloster sono stati meticciati con il canarino di colore per
Bruno mosaico giallo femmina, foto: E. del Pozzo
Il mosaico è un super brinato, che accentua la brinatura fino al biancastro, lasciando però, se equilibrato, intatte le zone di elezione intense
avere il “nuovo mosaico”. Questo imbastardimento ha fatto entrare nel canarino di colore i lumps e le depigmentazioni, tare ereditarie presenti nel gloster. Ora bisogna considerare gli standard. Purtroppo va detto che sono errati, specialmente quello femminile. Questo perché pretendono caratteristiche non raggiungibili con una normale selezione, specialmente per le femmine, tanto è vero che non si accoppia intenso (proveniente da mosaico) x mosaico, ma si accoppia in purezza mosaico x mosaico; non solo, ma si seguono due linee selettive: una per il maschio ed una per la femmina. Circostanza unica ed ignota in qualsiasi altra selezione, di qualsiasi
specie, razza, tipo ecc.., ove i maschi migliori sono fratelli delle femmine migliori, mentre nel mosaico non sono neanche parenti. Questo comporta un apparente aumento del dicromatismo sessuale, si badi solo apparente. Per fortuna alcuni saggi allevatori accoppiano il mosaico con intensi almeno in alcuni ceppi di melanici. Questi errori sono accentuati dalle tendenze di allevamento, che tendono ad esasperare gli errori stessi invece che a ridurli. In particolare il bianco gessoso tipico del mosaico, ma che non può essere totale, specialmente nei maschi, è perseguito con determinazione estrema. Tanto che si tende a trascurare altre più importanti caratteristiche. La situazione attuale ci mostra, nei ceppi di lipocromici allevati in purezza e con le due selezioni, maschile e femminile, uno stato preoccupante. Nei maschi non abbiamo più lo scudetto del petto, ma una carena evidente, mentre nelle femmine va peggio; infatti abbiamo sempre più soggetti senza carena o con carena appena percettibile, inoltre perfino una zona di elezione, i ciliari, sono ridottissimi e talora mancanti e si badi che i ciliari sono solo i
Bruno mosaico rosso maschio, foto: E. del Pozzo
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resti della mascherina femminile. Nonostante ciò, c’è da apprezzare lo sforzo selettivo di chi segue le due linee maschile e femminile, poiché nelle femmine sono riusciti a mantenere spesso un’intensità buona in spalline e codione. Questo nonostante l’accoppiamento in purezza che certo non aiuta. A proposito di scudetto del petto e di carena, va detto che non sono zone di elezione, ma persistenze di carotenoidi ben visibili ma brinati, tuttavia necessari alla vera tipicità. Le caratteristiche del mosaico accoppiato con intensi e quindi equilibrato sono diverse da quanto ipotizzato dagli standard. Abbiamo un aumento della brinatura, ad opera del mosaico, che nelle femmine tipiche arriva al biancastro; del resto le femmine brinate sono più brinate dei maschi. Nei maschi l’aumento di brinatura non raggiunge il biancastro ampio, ma si evidenzia il collare. Evidente il taglio netto nella zona ventrale biancastra, i polpacci sono biancastri. Le zone di elezione intense sono veramente intense, sia nei maschi che nelle femmine, e molto apprezzabili per la loro evidenziazione. Tuttavia si badi bene che le femmine mosaico non hanno i ciliari ma la mascherina femminile come la brinata. In altri termini, le zone di elezione intense di brinato e mosaico sono identiche e sovrapponibili, ben inteso quando si accoppia con intensi. Per quanto concerne la maschera facciale delle femmine mosaico, si consideri che i ciliari ne sono un residuo, causa gli accoppiamenti in purezza mosaico x mosaico; accoppiando con l’intenso si ha l’espressione normale, cioè la maschera. Per quanto riguarda il petto, il maschio ha lo scudetto ampio, con taglio netto sulla zona ventrale, la femmina uno scudetto più ridotto, sempre con taglio netto sulla zona ventrale. Accoppiando con l’intenso, difficilmente la femmina arriva ad avere solo la carena; a me non è mai accaduto, ma altri allevatori mi hanno garantito di esservi arrivati. Naturalmente, essendoci geni modificatori, non tutti i mosaico hanno la stessa espressione e possono essere molto diversificati. È necessario per la selezione scegliere i mosaico migliori e degli intensi che provengano da mosaico ottimi già da di-
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Satinè mosaico giallo femmina, foto: E. del Pozzo
verse generazioni, per favorire l’accumulo di geni modificatori, non visibili, ma presenti nel genotipo dell’intenso. Tornando alla maschera facciale, la differenza fra maschi e femmine è che il maschio ha la maschera più ampia, in particolare più alta sulla fronte. Per quanto riguarda la prosecuzione della maschera in ciliari, questi sono lunghi, sia nei maschi che nelle femmine. Ora c’è da considerare che la lotta contro i ciliari lunghi non ha alcun senso logico, stando alla natura. Secondo me, nei maschi potrebbe addirittura derivare da un equivoco. Molti autori, per descrivere
Le zone di elezione intense di brinato e mosaico sono identiche e sovrapponibili, ben inteso quando si accoppia con intensi
la maschera del maschio mosaico, hanno fatto un paragone con quella del cardellino; ci può stare, ma se la maschera è vista di fronte, non di lato. La maschera del canarino vista di lato prosegue in lunghi ciliari, quella del cardellino no, è come squadrata. Si consideri che si tratta di specie diverse e che il cardellino è un Carduelis ed il canarino un Serinus. Non vorrei che per seguire delle descrizioni generiche si fosse attivata una lotta ingiustificata contro i ciliari lunghi, che nel canarino ci stanno benissimo. Nelle femmine si vogliono i ciliari, che sono il residuo della maschera. Non ho mai capito che cosa abbia indotto a ricercare i ciliari separati, niente fronte e poco allungati. Non si può neppure dare la colpa al mito del cardinalino, poiché la cardinalina non ha nulla di carotenoidi sulla testa, niente ciliari. Forse il gusto, almeno discutibile, di qualcuno che valutava i primi mosaico nati da accoppiamenti in purezza, i quali se reiterati si “mangiano” la mascherina femminile. Ricordo le femmine mosaico che allevavo io quando avevo melanici diluiti, intensi e mosaico accoppiando intenso per mosaico, che erano bellissime, ma non in standard; infatti, spesso vi era molto bianco gessoso, tranne il petto con scudetto, con mascherina e lunghi ciliari, strepitose le spalline ed il codione, intensissimi ed evidenziati, come pure la mascherina femminile. Particolarmente belle se viste dall’alto. I maschi si differenziavano poco da maschi molto brinati, ma con taglio netto nella zona ventrale, polpacci biancastri, collare, e con zone di elezione strepitose per l’intensità e la evidenziazione. Tuttavia ho visto anche risultati migliori presso alcuni allevatori. C’è anche chi alterna l’accoppiamento con intensi a quello in purezza. Oggi i maschi mosaico presentano spesso, oltre al già citato scudetto ridotto a carena, il dorso tutto bianco gessoso, che spesso si associa a zone di elezione non perfette. I tecnici più attenti segnalano l’opportunità di accettare soffusioni lipocromiche sul dorso, per non estremizzare oltre la selezione. Per la selezione del mosaico bisogna considerare che vi sono geni modificatori e che si deve cercare il più possibile
il bianco gessoso, ma senza intaccare le zone di elezione e conservando scudetto e carena, possibile e normale accoppiando con l’intenso, non possibile a pieno accoppiando in purezza. Oggi si seguono due linee: quella femminile con maschi a maschera bassa o spezzata (mi intristisce guardarli) e la linea maschile, con femmine più vicine alla normalità, cioè con mascherina. Gli standard arbitrari attuali impongono questa scelta. Ora c’è da considerare il rapporto fra intenso e mosaico. In un primo tempo ritenevo probabile che ci fosse una serie allelica, con dominanza dell’intenso sia sul brinato che sul mosaico e la dominanza del mosaico sul brinato, oggi invece ritengo più probabile che l’intenso sia epistatico sul mosaico, cioè coprente, ma che non vi sia allelicità. Non stupisca che intenso e mosaico siano entrambi in rapporto allelico con il brinato; il fatto è che il brinato può essere prodotto non da un solo gene ma da diversi geni. Per approfondimento si veda l’articolo: “Un dubbio sul mosaico I. O. n°4 aprile 2017”. Ora cito alcune domande di cui parlavo all’inizio: “ho accoppiato intenso x brinato ma mi sono nati anche dei mosaico, perché?” Qui la risposta è semplice perché l’intenso nascondeva il mosaico che è dominante sul brinato. Magari da ammonire prudenza quando si acquistano intensi. Poi: “accoppiando intenso x brinato mi sono nati dei mosaico, come devo comportarmi?” Qui la storia si complica e devo fare tutto il discorso di prima... mi ci vogliono 5 minuti circa, calcolando domande intermedie. Allora distinguo fra lipocromici e melanici. Da lasciar perdere nei lipocromici e da vedere nei melanici. La categoria conta moltissimo nei lipocromici, molto meno nei melanici e le soffusioni non gradite possono essere coperte in parte dalle melanine, specialmente in certi tipi. Nei maschi si può andar bene, calcolando i vantaggi di piumaggio, di varietà e perfino di tipo, visto che le melanine si concentrano meglio nei mosaico equilibrati, inoltre per la ineguagliabile intensità delle zone di elezione. La discussione con varie ipotesi può continuare a lungo. Poi ci sono gli accenni polemici: “ho visto un brinato vincere nei mo-
saico...” (ovviamente si parla di melanici). Qui devo vestirmi da “cardinale duca di Richelieu”, come dico io quando devo essere diplomatico, anche se invecchiando sento sempre meno tale necessità. Allora faccio notare che i brinati (si parla di maschi) molto brinati ed i mosaico molto diffusi, finiscono col diventare praticamente uguali se visti dall’alto: zone di elezione identiche, brinatura uguale o quasi. Per distinguere bisogna alzare la gabbia ed osservare la zona ventrale per vedere se c’è il taglio netto, altrimenti non se ne esce. Omettendo questa precauzione, se il brinato è davvero pessimo per eccesso di brinatura, si può tranquillamente confondere con un mosaico. Poi cito e ricordo alcuni aspetti importanti. Le zone di elezione intense non
le produce il mosaico, ma sono preesistenti (ci sono ancora molti che non hanno recepito tale concetto e la convinzione contraria è fuorviante). Il mosaico non induce il dicromatismo sessuale che è preesistente, e neppure lo aumenta veramente, ma semplicemente lo sottolinea, mettendolo in maggiore evidenza. Il dicromatismo sessuale del canarino, anche mosaico, è ben diverso da quello del cardinalino: il maschio cardinalino ed il maschio mosaico sono quasi l’opposto. Non ci sono mosaico intensi come indica la struttura; del resto, se ci fossero dovrebbero esserci anche i doppi intensi mosaico, che non esistono. Spero che su questi argomenti qualche tecnico intervenga apportando un contributo.
Nero onice mosaico rosso maschio, foto: E. del Pozzo
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I NOSTRI LUTTI
Ciao Presidente
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n data 17.01.2021 il nostro presidente ha smesso di allevare, perché Davide ha allevato e nutrito la sua incommensurata passione fino agli ultimi giorni della sua esistenza terrena. Chi era Davide Fresia in campo della canaricoltura di colore lo sanno tutti gli allevatori ed i giudici non solo italiani ma anche esteri; era praticamente conosciuto e stimato in tutti i paesi del mondo ove la specializzazione del colore fosse praticata a livello espositivo. Giudice internazionale e più volte presidente della commissione tecnica, sicuramente uno dei migliori e più apprezzati giudici che la specializzazione abbia mai avuto. Ma per noi era l’amico Davide, il presidente della nostra associazione, fondata da lui nel lontano 1970 con altri 12 soci e praticamente colonna portante della stessa dalla data di fondazione fino ad oggi. È stato Presidente della sua associazione per innumerevoli mandati, orgoglioso della sua creatura, portata ad avere fino ad oltre 250 soci ed essere fra le più importanti a livello nazionale. Oltre al ruolo di presidente era presente in sede ogni venerdì sera per la gestione dello spaccio e la vendita dei prodotti ornitologici ai soci, gioviale ed entusiasta come un giovane ragazzo. Alle ultime elezioni ci aveva esortato a trovare un altro presidente che imparasse la gestione dell’associazione dicendoci “io non sono eterno, quando non ci sarò più vi troverete in difficoltà”. Nella sua immensa generosità era già preoccupato del futuro dell’associazione quando lui non ci sarebbe più stato. Avevi ragione Davide, ci troviamo in difficoltà con la gestione dell’associazione, ma siamo in difficoltà e totalmente spaesati a non più averti tra di noi, a non più poterci ritrovare al venerdì per una serata in compagnia, nella quale i tuoi consigli, il tuo entusiasmo, la tua voglia di guardare sempre avanti, la tua bontà d’animo, la tua saggezza riempivano il cuore e ci rendevano fieri di esserti amico. Ci mancherai per i consigli sugli accoppiamenti, ci mancherai per i viaggi assieme alla visita di qualche allevamento, ci mancherai nella scelta dei migliori soggetti al mercato di Reggio Emilia, ci mancherai come presidente dell’associazione, ci mancherai soprattutto come amico. Grazie del tuo esempio e di tutto quanto ci hai insegnato, siamo certi che da qualche parte lassù continui con la passione di sempre ad aiutarci e seguirci, ed a regalare qualche ottimo soggetto agli amici come hai sempre fatto. Ciao Presidente GLI AMICI E SOCI DELL’ASSOCIAZIONE ORNITOLOGICA CUNEESE
Ciao Dario
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l 28 Dicembre 2020 il mondo ornitologico ha perso un suo illustre e appassionato esponente: ci ha lasciati Dario Vecchiarelli. Classe 1929, Dario era un uomo d’altri tempi, nel senso più nobile e alto. Individuo dalla tempra antica, pacato, saggio, amico fedele e fidato; allevatore appassionato e competente, nonché eccezionale selezionatore; giudice tra i più capaci per disposizione d’animo, intelligenza e profonda conoscenza delle specie e dei regolamenti; “uomo” della Federazione Ornicoltori Italiani, all’interno della quale ha svolto diversi compiti nell’Ordine dei Giudici, nel Raggruppamento Abruzzo-Molise e nell’Associazione Pescarese Ornicoltori. Proprio all’interno dell’A.P.O., la SUA Associazione, l’altra sua famiglia, Dario lascia un vuoto incolmabile, quella sensazione di mancanza che sempre accompagnerà chi comunque può vantare la fortuna di averlo conosciuto. Nel novero dei soci fondatori dell’Associazione, Dario ne è stato colonna portante e memoria storica. Nella duplice veste di allevatore espertissimo, in grado di insegnare con garbo e sapienza e di dirigente navigato, di una calma serafica, accanto al quale nessun ostacolo sembrava insormontabile e tutto appariva possibile, ha, per usare un termine a noi ben noto, “svezzato” almeno tre generazioni di allevatori e dirigenti di Associazione, pescaresi e non, inculcando in tutti quelli che lo hanno avuto come mentore: l’amore per la natura e il senso di appartenenza, all’Associazione prima e alla Federazione poi. Tanto altro ci sarebbe da dire per raccontare l’uomo, l’allevatore, il giudice, il dirigente, ma le parole non sarebbero bastevoli, ci limitiamo quindi a concludere con un semplice: Ciao Dario e buon cammino ovunque tu vada… ASSOCIAZIONE PESCARESE ORNICOLTORI
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ESTRILDIDI FRINGILLIDI IBRIDI
Il Diamante di Gould (Chloebia gouldiae) testo e foto di FRANCESCO FORMISANO
Prima parte
Premessa Allevo (per puro diletto) da circa quarant’anni e senza soluzione di continuità, piccoli passeriformi appartenenti alle famiglie Fringillidae e Estrildidae. Ho iniziato come tanti, affetto da quell’incurabile “malattia” nota come “mal di piuma”, malattia per la quale, si sa, c’è ben poco da fare, in quanto si è “contagiati” già nel grembo materno. Infatti, come già ho avuto modo di dire in altre occasioni, anche sulle pagine di questa rivista, la mia cara mamma mi ha trasmesso geneticamente la passione per gli animali in generale e per quelli dell’universo alato, in particolare. In principio furono passerotti e fringuelli caduti dal nido, raccattati qua e là nei campi e intorno casa, salvati dalle grinfie dei gatti, nostri e del vicinato e allevati allo stecco; col tempo, vennero poi un paio di coppie di rustici e robusti canarini domestici (i bei pezzati di una volta), ai quali seguirono in breve i primi tentativi di ibridazione tra il Serino domestico appunto e gli indigeni, per la cui detenzione avevo nel frattempo chiesto e ottenuto l’autorizzazione dall’ufficio caccia e pesca provinciale competente per territorio. Oggi il rilascio dell’autorizzazione è di pertinenza delle Regioni. Tuttavia sono convinto che allevatore non si diventa, considerando l’allevamento la forma più evoluta di questa sana passione che, come detto poc’anzi, coltivo fin dalla più tenera età,
Uova fecondate
provando forti e indescrivibili emozioni al cospetto dei volatili, quali che fossero, spaziando dall’appariscente e pregiato Cardellino all’anonimo e modesto Luì piccolo. La curiosità e l’irrefrenabile voglia di cimentarmi sempre in nuove ed affascinanti esperienze riproduttive in tutti
La curiosità e la voglia di cimentarmi sempre in nuove esperienze riproduttive in questi anni hanno arricchito il mio bagaglio di cultura ornitologica
questi anni, poi, hanno arricchito il mio bagaglio di cultura ornitologica e, su invito dall’amico Renzo Esuperanzi, un quarto di secolo fa “esordivo” come collaboratore presso la redazione di I.O.; da allora ho preso l’abitudine a riportare ciò che vivo nell’ambito del mio piccolo allevamento amatoriale. Niente di eccezionale, intendiamoci, ma sic et simpliciter descrivere quanto osservato, provando a farlo possibilmente in maniera chiara e comprensibile a tutti - almeno spero - senza presunzione di insegnare niente a nessuno, con il pensiero rivolto più che altro al neofita. Fatta questa doverosa premessa, passo a raccontare l’ennesima esperienza riproduttiva maturata stavolta allevando il Diamante di Gould, iniziando come sempre nel presentare la specie nel suo ambiente naturale.
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Biologia generale Registrato come Amadina gouldiae (la forma a testa nera, mentre quella a testa rossa fu denominata Poephila mirabilis), presso la Società Zoologica di Londra da John Gould nel 1844, con relativa dedica alla sua signora, Elizabeth Coxen, disegnatrice e litografa, scomparsa poco prima (infatti la definizione esatta della specie è: Diamante della signora Gould), questo estrildide è senza ombra di dubbio il più bello, tra i piccoli passeriformi, grazie alla tavolozza di colori i quali lo rendono amazing ed alla loro perfetta dislocazione; unico neo: il canto, invero scarso, tanto da negargli la possibilità di contendere la palma del migliore al “numero uno” della categoria, ossia “sua maestà” il Cardellino. Riclassificato più volte dai tassonomisti e inizialmente ascritto al genere Poephila, successivamente fu inserito in uno specifico creato ad hoc (Chloebia) da H.G.L. Reichenbach nel 1862, monotipico, intermedio tra i Generi Lonchura ed Erythrura, per essere infine accorpato pochi anni fa, ai Diamanti asiatici e melanesiani del genere Erythrura. Una particolarità però fa quantomeno riflettere: Erythrura = “dalla coda rossa” (codione), cosa che hanno in comune tutti gli appartenenti al Genere, tutti... tranne uno: il D. di Gould. Chloebia o Erythrura? Mai come in questo caso, sarebbe opportuno il test del
DNA mitocondriale per risolvere il rebus. Endemico dell’Australia, il D. di Gould è diffuso nel caldo settentrione occupandone una vasta area che da King Sound si estende verso est alla Regione di Kimberley e a sud est del Golfo di Carpentaria, Territorio del Nord e Penisola di Capo York meridionale; Queensland nord orientale fino a Charters Towers. Migratore parziale, si porta a sud dell’areale dove nidifica, durante la stagione delle piogge estive (il nostro inverno), per poi ritornare al caldo nord, dove sverna. Taglia 13/15cm, (coda inclusa); aspetto massiccio ma elegante, becco conico e tozzo; dicromismo sessuale evidente. Il maschio presenta il dorso, le ali e la nuca di un bel verde brillante; la testa, quando di colore rosso o arancione, marginata da un orlo nero (filetto) che va a formare la bavetta sotto il mento;
Schiusa
Nidiacei a 4. gg dalla schiusa - 3 mutati blu
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Esistono tre forme (varietà) di Gould in natura, riferito al colore della testa: nero, rosso e giallo
un collarino azzurro circonda nuca e collo, sfumando nel verde del dorso; petto di un bel viola brillante, addome (ventre) giallo vivo; sottocoda bianco. Codione azzurro, coda nera con le timoniere centrali sottili e allungate, zampe e anello perioculare (nudo) carnicine. Esistono tre forme (varietà) di Gould in natura, riferito al colore della testa: nero, rosso e giallo. Viene riportato come la maggioranza sia costituita dai testa nera, (trasmissione ereditaria sessolegata e recessiva nei confronti del testa rossa), mentre della forma a testa gialla (rara), si riferisce di una percentuale intorno all’1%. Da studi effettuati sulla struttura delle piume della testa, si ritiene che la forma a testa nera, ma sarebbe il caso di parlare di mutazione, considerato il tipo di trasmissione ereditaria, sia quella arcaica. Diversamente, la femmina presenta il petto color malva e il giallo dell’addome, paglierino; colorazione del capo (qualsiasi sia) meno ampia, collarino azzurro più sottile e assenza di timoniere centrali filiformi; parti sup. colorate come nel maschio. Nonostante la tutela di leggi che ne vietano la cattura per l’esportazione (1960) e per il mercato interno (1982), lo status attuale della specie denuncia una notevole contrazione numerica, causa i frequenti incendi quasi sempre di origine dolosa, provocati per sot-
trarre superficie alla foresta e alla boscaglia e favorire la trasformazione in prateria e pascoli, sì da foraggiare mandrie e greggi di bestiame da reddito allevate allo stato brado. Inoltre, un acaro parassita localizzato alle vie respiratorie, lo Sternostoma tracheacolum, cui questo uccello è particolarmente sensibile, lo sta decimando. Per questi motivi è numericamente scarso o localmente comune, in maniera considerevole nel Queensland settentrionale e a sud del Golfo di Carpentaria. Abbastanza schivo, si tiene comunque lontano dalle zone antropizzate. L’habitat di elezione è composto in prevalenza da boscaglia di Eucalipto, savana, foresta di Mangrovia e relativa costante presenza d’acqua come fiumi, laghi o stagni; essenzialmente granivoro, si nutre dei semi delle graminacee selvatiche e coltivate, sia allo stato ceroso che secchi, prelevati direttamente sulla pianta e raramente razzolati al suolo. Viene riferita di una preferenza verso il Sorgo (Sorghum vulgare) e della “caccia” data a piccoli insetti volanti durante la stagione piovosa (riproduttiva). Gregario e poco territoriale, durante la stagione degli amori, a causa anche delle trasformazioni ambientali in atto, spesso lo si rinviene nidificare in colonia; il nido, assemblato da entrambi i sessi utilizzando sottili steli, foglie essiccate e radichette di graminacee, viene ubicato in cavità naturali, quali possono essere quelle dei tronchi di alberi vetusti, oppure nel folto degli arbusti. Il display nuziale, prerogativa del maschio, prevede piume del capo erette e profondi inchini laterali a “beccuzzare” zampe e posatoio, il tutto accompagnato da una “serenata” impercettibile; tale pantomima precede la copula, che sovente avviene all’interno del nido. Mediamente 5 le uova deposte, (3-7 gli estremi), di colore bianco rosato, opacizzano qualora gallate e covate da entrambi i partners alternandosi per 13-14gg. circa, trascorsi i quali si schiudono. Ciechi e implumi alla nascita, i pulli, presentano lateralmente alla base del becco le caratteristiche escrescenze (verruche - tubercoli) fluorescenti di colore azzurro, atte a guidare i genitori per l’imbeccata nella semioscurità del nido. Inoltre, cosa
Nidiacei a 7 gg- dalla schiusa, gozzo strapieno di miglio bianco
comune ai pulli di tutte le specie di Estrildidi, hanno i caratteristici “marchi” colorati di palato e lingua; questa particolarità, conosciuta come pattern buccale, serve a distinguere i propri figli da quelli eventualmente sortiti da uova “ospiti”, deposte nel loro nido da specie parassite da cova. Come tutti i passeriformi con prole inetta, entrambi i geni-
tori accudiscono i piccoli nel nido, i quali hanno un rapido sviluppo e a circa una settimana dalla schiusa sono già parzialmente impiumati; poiché la madre smette di covare la notte, a questa età, essi riescono a sopravvivere riscaldandosi a vicenda, favoriti dalla scarsa, se non del tutto assente escursione termica tra il dì e la notte tipica a quelle
Diamante di Gould a 16 gg.
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latitudini del continente australiano. All’involo, (3 settimane ca, dalla schiusa), conservano per alcuni giorni le escrescenze azzurrine di cui sopra; la livrea è completamente verde, parti inf. più sbiadite; becco nero; zampe grigio scuro. Gli sgargianti colori del piumaggio, secondo il sesso di appartenenza, vengono assunti al termine della muta giovanile, lentissima a completarsi. Accuditi ancora per un paio di settimane da entrambi i genitori o dal solo maschio, qualora la femmina abbia dato corso ad una nuova deposizione delle tre che mediamente vengono portate a termine in una stagione riproduttiva, si emancipano, iniziando a vagabondare riuniti in piccoli stormi misti, anche con coetanei di altre specie, alla ricerca continua di zone di pastura. Questo è quanto, più o meno, allo stato brado.
Caleidoscopio di colori
Avicoltura La location ideale dove ospitare questa bellissima specie che, d’ora in poi, per brevità, chiamerò semplicemente Gould, sarebbe un locale soleggiato, poco umido e ben arieggiato; preferibile alloggiarla in contenitore di misura non inferiore ai 55 cm di lunghezza.
L’alimentazione base è un misto composto in prevalenza dalla scagliola, alla quale va aggiunto del miglio bianco e del niger, volendo percentualizzare: 907-3. Sarebbe utile abituarli a mangiare il pastone (morbido o secco) - uno qualsiasi del commercio - ad integrare (al-
Diamante di Gould a 10 gg. dalla schiusa
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meno nei primi gg. di vita) un regime alimentare altrimenti costituito solo dai semi del misto, con il quale questi uccelli allevano la prole. Spiga di panico essiccata del commercio o meglio, per chi ne ha la possibilità, immatura, coltivandola in proprio, cosi come anche il miglio, fruttescenze di gramigna selvatica, tipo setaria, digitaria e persicaria, contribuiscono a tenerli in forma ottimale; accetta fogliolina di lattuga, mentre non gradisce la frutta. Sali minerali in polvere, grit e osso di seppia sempre presenti ad libitum (la femmina ne consuma grosse quantità prima e durante la deposizione, ma ho notato un consumo considerevole dell’osso di seppia anche da parte del maschio mentre alleva). Coppie alloggiate in voliera esterna con fondo in terra naturale, sono state viste contendere, durante la riproduzione, larve di Tenebrione poste in ciotole sul fondo e a disposizione degli altri ospiti dell’aviario, considerati naturalmente “insettivori” rispetto al Gould. Personalmente lo allevo all’aperto, in gabbia da 55cm, a volte alloggio qualche coppia in voliera (esterna con fondo in terra naturale); tale location mi permette di godere dell’intero ciclo biologico, dalla costruzione del nido allo svezzamento della prole, e in tale contesto varie volte ho assistito alla copula che, contrariamente a quanto ritenuto, avviene anche sul posatoio, in gabbia come sui rami delle essenze verdi presenti in voliera. La cassetta nido, legno o plastica, classica per ondulati, con foro d’ingresso in alto, meglio se a sviluppo orizzontale, è ben accetta; il materiale fornito è il solito misto sisal a cui aggiungere, se disponibili, steli e radichette di gramigna essiccata. Generalmente il maschio è parte attiva nell’assemblaggio del nido, mentre la femmina si limita alla “rifinitura” del giaciglio, dove depone in sequenza regolare le 5-6 uova che costituiscono la deposizione media (3/9 gli estremi). Durante la deposizione il maschio sovente trascorre buona parte del giorno a covare, lasciando il posto alla compagna per la notte. L’incubazione vera e propria cui entrambi i sessi provvedono alternandosi (la notte solo dalla femmina), inizia deposto il quarto
uovo e, trascorsi i canonici 14gg., avviene la schiusa. Stupefacente il richiamarsi con soffusi pigolii, quando si danno il cambio nel nido durante la cova. I pulli si involano dopo circa tre settimane dalla schiusa, e trascorse altre due, svezzati dal solo maschio nell’ultima, si emancipano e a questo punto vanno separati dai genitori. Di solito i novelli, dopo aver lasciato il nido, per un po’ tendono ancora a trascorrervi la notte e, qualora la femmina abbia iniziato una nuova deposizione, conviene sostituire le uova con quelle finte, onde evitare che vengano insudiciate (uova sporche di escrementi, difficilmente si schiudono). Quando sono ancora coi genitori, fornire regolarmente la vaschetta per le abluzioni in modo che imparino a usarla senza timori; le novità li spaventano in maniera eccessiva e quasi sempre, impauriti, le ignorano. Inoltre, gli spaventi a volte possono essere letali per questi suscettibili volatili. Analogamente, vanno stabulati in gabbie con identica dislocazione e colore dei vari contenitori con acqua e cibo, similmente a quelli cui sono stati abituati e svezzati; è accaduto che si siano lasciati morire di fame o di sete, in presenza di mangiatoia e beverino di colore diverso, o addirittura posizionati in maniera diversa da quella cui erano abituati quando convivevano coi genitori. Capisco che quanto suggerito può sembrare un eccesso di zelo e alquanto inverosimile, ma è successo sia al sottoscritto che ad alcuni amici, anche di recente. I maschi, trascorsi due mesi circa dalla nascita, iniziano con timidi ronzii – in pratica il canto del Gould – a manifestarsi tali. Mediamente tre le covate portate a termine in una stagione riproduttiva; alcune coppie, con clima e condizioni generali ottimali, superano agevolmente tale ipotetico traguardo. A volte, coppie alloggiate all’esterno, iniziano già a fine agosto, primi di settembre, poco dopo cioè aver completato la muta e se l’autunno si rivela, come da un po’ di anni a questa parte succede sempre più spesso qui da noi, una lunga calda coda dell’estate, fino a dicembre si possono avere tre nidiate e, dopo breve pausa invernale, ancora un paio a cavallo tra
febbraio e aprile. Naturalmente, i tempi stimati sono riferiti a coppie che allevano senza ausilio di balie. Il buon senso induce a non sfruttare troppo i riproduttori, così come non andrebbero messi in riproduzione prima che abbiano compiuto un anno di età; infatti, quando troppo giovane, la femmina ha difficoltà a deporre uova con guscio, con conseguenze spesso letali - purtroppo. Ciò si verifica con una certa frequenza particolarmente quando l’ovodeposizione coincide con condizioni meteo avverse: periodo nuvoloso, freddo umido prolungato, pioggia. In analoga situazione “anagrafica”, il maschio potrebbe non “gallare”. Fin qui ho descritto il Gould come specie di normale gestione durante il periodo riproduttivo, che alleva la progenie, ma nella pratica le cose non stanno proprio così. La tecnica di allevamento con le balie, fu necessaria (e vincente) allorquando, i primi allevatori - nordeuropei - si trovarono di fronte a quell’inaspettato anomalo comportamento della femmina, cioè all’abbandono della nidiata la notte, più o meno verso i 7-8 gg. di vita dei pulli; infatti, le prime coppie importate nel Regno Unito verso la metà del XIX° secolo, messe in riproduzione, palesarono questo abnormal behaviour così normal in natura. Come detto poc’anzi, la stagione degli amori coincide
- nell’emisfero australe - con la fine della stagione delle piogge (caldo umido); vi è scarsa escursione termica tra il giorno e la notte e i nidiacei, già parzialmente impiumati a quella età, scaldandosi a vicenda, riescono a superare indenni il calo termico, seppur lieve, proprio delle ore notturne. Tutt’altra storia purtroppo alle nostre latitudini; infatti, come molte altre specie esotiche, per niente sensibili al nostro fotoperiodo, si riproducono nel periodo, climaticamente parlando, più sfavorevole a loro: il nostro inverno. Indubbiamente questo è stato il motivo principale che ha indotto, a suo tempo, i “pionieri” dell’allevamento del Gould a far ricorso alle balie. Anche se eticamente non condivido questa tecnica, per onestà intellettuale, bisogna riconoscere che è stato proprio grazie all’ausilio della balia per eccellenza, il Passero del Giappone, che si è avuto l’ abbattimento del costo negli ultimi 30 anni di questo magnifico uccellino, permettendo di realizzare un congruo numero di esemplari, tale da soddisfare la grande richiesta di mercato in vertiginosa crescita esponenziale, diventando infine comune negli allevamenti amatoriali, altrimenti destinato solo a pochi facoltosi “collezionisti” dato il costo, proibitivo, per la maggior parte degli appassionati. Continua sul prossimo numero
Diamanti di Gould e ...intruso - (Diamante mandarino)
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Attività F.O.I. Sintesi verbale del Consiglio Direttivo Federale del 18-19 dicembre 2020 (La versione integrale è pubblicata sul sito www.foi.it/verbali) - Commissione di approfondimento sulla colorazione delle razze arricciate: determinazioni; Con deliberazione nel verbale del 14-15 febbraio 2020 il CDF ebbe ad istituire una commissione per l’attivazione della procedura di approfondimento da parte degli Organi Tecnici preposti circa le condizioni genetiche che consentano la colorazione delle razze arricciate. Nel presente verbale delibera la composizione della stessa come segue: D’Alessandro Gianfranco (Presidente della CTN-CFPA), Valente Pietro e Rossini Francesco (componente allevatori). - Data unica Campionati Regionali: determinazioni; Il CDF delibera la liberalizzazione della data di tenuta dei campionati regionali ed interregionali. Le mostre regionali rientreranno, conseguentemente, nell’ambito dell’azione di coordinamento del calendario mostre delegato su base territoriale ai consigli direttivi dei raggruppamenti. Si riafferma il principio secondo il quale, nel periodo di tenuta del campionato regionale, nel raggruppamento non potranno essere organizzate altre mostre in concomitanza. - Stati generali del Diamante di Gould, situazione del Club di Specializzazione e degli appassionati della razza: considerazioni e proposte; Il CDF delibera la tenuta di un incontro in sede FOI al quale saranno invitati a partecipare i rappresentanti del club di specializzazione e le delegazioni degli allevatori del Diamante di Gould facenti parte dei centri di aggregazione dislocati sull’intero territorio nazionale. L’incontro verterà sulla risoluzione definitiva degli inconvenienti che, probabilmente a motivo di cattivi rapporti interpersonali, attanagliano il settore nonostante gli eccellenti risultati che, purtroppo in ordine sparso, vengono conseguiti anche a livello internazionale. La riunione verrà convocata appena le condizioni epidemiologiche lo consentiranno. - Relazione del consigliere Crovace su proposte ed iniziative da parte di Allevatori: considerazioni e determinazioni; Il vice-presidente Crovace, relaziona al CDF circa il contenuto delle proposte pervenute dagli allevatori Angelo Cremone, Fabrizio Varriale, Gianluca Frezza e Mario Zampaglione successive all’incontro avuto in occasione dell’ultima Assemblea Generale delle Associazioni. Il CDF si riserva di assumere determinazioni in ordine a tali proposte all’esito di un confronto sulle stesse da tenersi con le competenti CTN, sia singolarmente che collegialmente. - Proposta realizzazione Campionato FOI Club Specializzazione internazionale; Il CDF, in attuazione di una specifica azione programmatica, delibera l’istituzione del “CAMPIONATO DEI CLUB DI SPECIALIZZAZIONE DELLA FOI”. L’evento, temporalmente a collocarsi nel periodo successivo al campionato mondiale, si prefigge il coinvolgimento di tutti gli agenti tecnico-selettivi esistenti nella Federazione (allevatori, club di specializzazione, giudici, Commissioni Tecniche Nazionali, collegi di specializzazione in seno all’ODG). La struttura organizzativa sarà sviluppata mediante una mostra sportiva con la partecipazione di allevatori tesserati FOI ed allevatori tesserati alle federazioni riconosciute dalla COM, con giudizio a confronto e con l’interazione fra giudici italiani e stranieri, con incontri tecnici di aggiornamento e di approfondimento sulle singole specie, razze e mutazioni da tenersi sotto la gestione ed il coordinamento delle CTN. La manifestazione sarà occasione
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nella quale agli allevatori tesserati FOI sarà riservato uno spazio gratuito per esporre soggetti provenienti dalla loro selezione integranti nuove razze e/o nuove mutazioni da sottoporre al vaglio dell’attenzione e dello studio delle Commissioni tecniche nazionali. La giuria sarà strutturata attraverso la formazione di mini-collegi composti da un numero variabile di giudici italiani e da un solo giudice straniero (quest’ultima scelta eventuale da concordarsi con il competente club di specializzazione). - Aggiornamento su fornitura e distribuzione vaccini anti vaiolo Zoetis; Il Consigliere Iannuccilli informa che, a seguito di un incontro avuto con il responsabile dell’azienda produttrice, è stato assicurato l’interesse da parte loro a mantenere la linea produttiva anche per i prossimi anni. Il vaccino Poulvac Canary Pox Foi è comunque attualmente disponibile su richiesta presso tutte le farmacie e punti vendita autorizzati. Si valuterà la possibilità di raccogliere le richieste per l’acquisto del vaccino tramite i raggruppamenti regionali, con il fine di ottenere un abbattimento del costo delle singole confezioni per gli allevatori interessati. - Indicazione alla COM-Italia di candidatura alla presidenza dell’OMJ da tenersi in occasione del congresso COM/OMJ. In previsione delle elezioni che si terranno in occasione del prossimo congresso COM/OMJ, il CDF invia indicazione alla COM-Italia di inoltrare alla COM/OMJ la candidatura del giudice internazionale (sezione D) Diego Crovace alla carica di Presidente OMJ per il mandato 2022/2025 - Varie ed eventuali; Il CDF, esaminato il verbale dell’ODG del 25/07/2020, con riferimento alla scadenza del Commissario della CTN Canto, Renato Buccheri rappresentante della sezione Harz, visto l’indicazione pervenuta dallo stesso Consiglio ODG, ratifica la nomina come nuovo Commissario, un rappresentante della sezione Malinois, il giudice Roberto Gabriele. Un doveroso ringraziamento al commissario Buccheri per la disponibilità ed il lavoro svolto per la CTN Canto. Il CDF dispone l’invio della documentazione per il parere previo previsto dall’art. 7 del regolamento Club di Specializzazione al Consiglio direttivo dell’assemblea dei club, in ordine al riconoscimento dell’European Parrot Finch Club del quale, pur rispettando la denominazione apparentemente generalista, delimita l’ambito di tutela delle seguenti specie appartenenti genere Erythrura: Diamante pappagallo, Diamante di Kittlitz, Diamante tricolore, Diamante Quadricolore, Diamante di Peale, Diamante Coloria e Diamante Bambù. Il CDF delibera l’erogazione di un contributo in favore dell’associazione ornicoltori Fata Morgana di Reggio Calabria di euro 300,00, per l’attuazione del progetto “Crescere insieme in FOI”. In aggiunta dispone l’invio alla predetta associazione di numero 20 copie del volume “L’ABC del canarino”, di fascicoli Frin, di quaderni ornitologici, di calendari foi 2021 e di numeri pregressi di Italia Ornitologica. Il CDF delibera il riconoscimento di un ulteriore contributo straordinario al Raggruppamento Regionale Sardegna, dell’importo di euro 1.000,00, per l’attuazione del progetto “REALIZZAZIONE DELL’AREA ORNITOLOGICA” presso “S’Ortu de Tziviriu a San Gavino Monreale” in collaborazione con l’Associazione di Promozione Sociale Qedora.